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Gli articoli di cancelleria non concorrono al reddito d’impresa

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 30811 , del 22 dicembre 2017, ha respinto il ricorso dell’agenzia delle Entrate confermando la tesi dei giudici del merito: le rimanenze finali del materiale di cancelleria non rilevano come ricavi e non concorrono, secondo le disposizioni del Dpr 917/86, alla determinazione del reddito di impresa.

Una società ha impugnato dinanzi alla Ctp l’avviso di accertamento per l’anno d’imposta 1998, notificatole nel settembre 2005, con cui l’agenzia delle Entrate ha recuperato a tassazione rilevanti importi a titolo di imposte sul reddito e Irap, irrogando contestualmente, anche le relative sanzioni.
La Ctpha rigettato il ricorso della società che è stato appellato davanti alla Ctr; i giudici tributari del merito di secondo grado, riassumendo in sintesi la vicenda, hanno invece, dichiarato la legittimità delle deduzioni delle spese di cancelleria sostenute dalla società.
Avverso la sentenza sfavorevole l’agenzia delle Entrate è ricorsa in Cassazione.

Con riferimento alla parte della sentenza che interessa il presente commento l’agenzia delle Entrate denuncia, nel ricorso in Cassazione, la violazione del Dprn. 917/1986, ex artt. 53 e 59 (ora artt. 85 e 92), nella formulazione vigente ratione temporis, dovendosi includere le rimanenze finali del materiale di consumo (nella specie, materiale di cancelleria) nei ricavi.
Per i giudici di legittimità, la tesi sostenuta dall’agenzia delle Entrate è infondata in quanto gli articoli di cancelleria non costituiscono né beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività d’impresa, né materie prime e sussidiarie, semilavorati e altri beni mobili acquistati o prodotti per essere impiegati nella produzione di beni da parte della contribuente, che è società avente ad oggetto la produzione di componenti di auto.
Per i giudici di legittimità, di conseguenza, le relative rimanenze finali non possono concorrere alla formazione del reddito, ai sensi del combinato disposto del Dpr n. 917/1986, degli artt. 53 e 59 (ora artt. 85 e 92).
Non è condivisibile, rileva la Corte di Cassazione, la tesi sostenuta dall’agenzia delle Entrate, secondo cui il materiale di cancelleria, pur non partecipando direttamente al processo produttivo, deve essere ricompreso nelle rimanenze finali, analogamente a quanto avviene in sede civile ex art. 2423 ter c.c., visto che non può essere usato ripetutamente.

Per la Cassazione il ricorso va , pertanto , rigettato sulla base del principio che in tema di reddito d’impresa, le rimanenze finali del materiale di cancelleria non rilevano ai sensi del Dpr n. 917/86, ai fini della quantificazione dei ricavi di un’impresa che ha ad oggetto la produzione di articoli di diversa tipologia, trattandosi di beni che, pur non essendo destinati ad essere utilizzati ripetutamente, sono strumentali, in quanto non coinvolti direttamente nel processo produttivo, ma aventi solo funzione di supporto rispetto all’attività imprenditoriale.

 Fonte “Il sole 24 ore”

Cedolare secca e uso abitativo: dai tribunali un’apertura verso i soggetti «non privati»

Quando si discute in merito all’applicazione del regime sostitutivo della cedolare secca, si fa essenzialmente riferimento agli immobili abitativi. L’articolo 3 del Dlgs 23/2011, rubricato «Cedolare secca sugli affitti», statuisce infatti che, in alternativa al regime ordinario vigente per la tassazione del reddito fondiario ai fini Irpef, il proprietario o il titolare di diritto reale di godimento di unità immobiliari abitative, locate a uso abitativo, può optare per il regime della cedolare secca.

Pertanto, dalla lettura della disciplina, emerge come siano soggettivamente legittimati all’applicazione del regime della cedolare secca, esclusivamente le persone fisiche che detengono gli immobili nella cosiddetta “sfera privata” e lochino i medesimi, senza che ciò rientri nell’esercizio di un’impresa o di una libera professione.

In altri termini, deve trattarsi di soggetti passivi Irpef che, in relazione alla locazione posta in essere, conseguano un reddito fondiario. Sulla base di tali considerazioni, la cedolare secca è stata, fino a oggi, preclusa ai locatori di immobili abitativi, che risultino soggetti passivi Ires, come individuati dall’articolo 73 del Tuir (Spa, Srl, società cooperative, enti commerciali, enti non commerciali, società ed enti di ogni tipo, compresi i trust, non residenti in Italia).

L’Agenzia ha confermato quanto già indicato dal legislatore, ma nella Cm 26/E/2011 è andata “oltre” il dettato normativo chiarendo che, per l’applicazione della cedolare secca, è necessario porre rilievo anche all’attività del conduttore, restando esclusi dal regime i contratti conclusi con locatari che agiscono nell’esercizio di attività d’impresa o di lavoro autonomo, nonostante detti immobili vengano di fatto utilizzati dall’affittuario per soddisfare le esigenze abitative dei propri collaboratori/dipendenti. Soggettivamente risulta essere condizione indispensabile la natura sia del locatore e sia del conduttore i quali, come indicato nel sopra citato documento di prassi e confermato nella Cm 8/E/2017, devono essere due persone fisiche le quali, rispettivamente, detengono e utilizzano l’immobile residenziale per finalità abitative. Di conseguenza, l’opzione per la cedolare secca non è esercitabile qualora la veste di locatore venga assunta da un soggetto diverso dal proprietario dell’immobile. In tale ambito, infatti, il reddito conseguito dal locatore non costituisce un reddito fondiario, ma bensì un reddito diverso.

Se è vero che l’amministrazione finanziaria ha assunto una tale posizione restrittiva, è altrettanto vero che la norma in sé non è poi così categorica. Tant’è che alcune pronunce sulla vicenda si sono rivelate favorevoli a una interpretazione più accomodante. La recente Ctr Lombardia, sezione 19, sentenza 754, del 27 febbraio 2017 , stabilisce che il locatore di immobili a uso abitativo, se persona fisica che agisce come privato, può optare per il regime fiscale agevolato della cosiddetta “cedolare secca”, a prescindere dal fatto che il conduttore sia persona fisica o società, nulla prescrivendo la citata norma sulla natura giuridica di quest’ultimo. Della stessa opinione, la Ctp Umbria-Terni, sezione II, 20 gennaio 2016, la Ctp Milano, sezione XXV, 17 aprile 2015 e la Ctp Reggio Emilia attraverso la pronuncia 470/03/2014. Quest’ultima ha, infatti, disposto il riconoscimento della cedolare secca anche a quella tipologia di contratti nei quali, il conduttore dell’immobile è un’impresa che lo loca per concederlo in uso a un proprio dipendente quale benefit.
L’interpretazione assunta dall’Ufficio nella Cm 26/E/2011 non trova alcun riscontro nella lettera della legge, ma deve essere considerata piuttosto “creativa” o contra legem, in violazione dell’articolo 12 delle preleggi al Codice civile e in abuso del vincolo costituzionale della potestà normativa in materia tributaria sancito dall’articolo 23 della Costituzione. Pertanto, pare giunto il momento per i contribuenti di far valere il peso delle norme nelle sedi competenti, forti dei primi riscontri da parte della giurisprudenza di merito.

Fonte “Il sole 24 ore”

Dati antiriciclaggio utilizzabili dal Fisco

Le informazioni “sensibili” raccolte per l’antiriciclaggio e il contrasto al finanziamento del terrorismo passano agli archivi del fisco e si possono/devono scambiare automaticamente tra i Paesi membri dell’Ue.

Dal 1° gennaio sono infatti entrate in vigore le nuove regole europee che obbligano gli Stati membri a fornire alle autorità fiscali competenti (quelle cioè del Paese di residenza della persona fisica interessata) l’accesso ai dati raccolti sul riciclaggio del denaro proveniente da business illeciti. È questo l’effetto della direttiva Ue 2016/2258 recepita dalla legge di delegazione europea 2016-2017 (legge 25 ottobre 2017, n. 163) entrata in vigore il 21 novembre scorso e che prevede – come stabilito tassativamente dalla direttiva – l’avvio dello scambio automatico di informazioni dal 2018.

L’ambito normativo in cui si inserisce questo strumento di lotta all’evasione internazionale è quello tradizionale dello scambio obbligatorio automatico di informazioni previsto dalla direttiva 2014/107/Ue, che modificava la direttiva 2011/16/Ue già esecutiva dal 1° gennaio 2016 agli Stati membri e dal 1° gennaio 2017 all’Austria. Tale normativa dà attuazione allo standard globale per lo scambio automatico di informazioni fiscali all’interno dell’Unione, garantendo così che le informazioni sui titolari dei conti finanziari siano trasmesse allo Stato membro in cui risiede il titolare del conto.

La direttiva prevede che in alcuni casi, tutt’altro che infrequenti nelle transazioni internazionali, se il titolare di un conto è una struttura intermediaria, le istituzioni finanziarie debbano individuare e segnalare alle autorità fiscali nazionali competenti i beneficiari effettivi (cosiddetti “Bo”, beneficial owner). Questo step si aggancia alle informazioni in materia di antiriciclaggio ottenute sulla base della direttiva 2015/849 (comunemente nota come IV Direttiva antiriciclaggio, recepita dal decreto legislativo 90 del 2017) per l’identificazione dei titolari effettivi.

Le autorità nazionali hanno accesso diretto alle informazioni sui proprietari di imprese, beneficiari, trust e altre entità e sul loro ruolo di clienti. La nuova direttiva Ue permette in linea teorica alle autorità fiscali degli Stati Ue di reagire rapidamente nei casi di evasione e aggiramento delle norme fiscali.

È evidente il cambio di passo nella lotta internazionale – almeno su scala europea – all’evasione fiscale, attività di contrasto che dal 2018 potrà utilizzare gli strumenti molto più incisivi dell’Anti-money laundering. Il trasferimento diretto delle informazioni sui titolari effettivi di enti schermati alle agenzie nazionali, e la loro diretta utilizzabilità nelle procedure di accertamento, consentirà un’efficacia molto più diretta e tempestiva dell’azione di contrasto all’elusione e all’evasione tributaria . Con un solo rischio applicativo, legato al fatto che non sempre la disciplina fiscale che individua i contribuenti nelle normative nazionali corrisponde con i criteri internazionali di individuazione del titolare effettivo.

Fonte “Il sole 24 ore”

Il calendario fiscale del 2018

Dal 1° gennaio 2018 viene concesso un credito d’imposta del 40 % a tutte quelle imprese che effettuano spese di attività di formazione mentre dal 1° febbraio 2018 verrà riconosciuto il ristoro dello 0,15% delle spese sostenute per il rilascio della garanzia richiesta per legge. Queste alcune delle novità entrate in vigore con il 2018.

Dal 1° gennaio 2018 è possibile esercitare l’opzione per il così detto gruppo Iva. Si tratta di un nuovo istituto destinato sia ad esercenti attività d’impresa che arti e professioni, per i quali ricorrano congiuntamente i vincoli finanziario, economico e organizzativo previsti dall’articolo 70-ter del Dpr 633 del 1972. Il gruppo Iva diviene un unico soggetto passivo mentre i soggetti ad esso partecipanti perdono la loro soggettività passiva ai fini dell’imposta sul valore aggiunto.

Dal 1° gennaio 2018 semplificata la presentazione dei modelli Instrastat. Per gli acquisti di beni essi vanno presentati solo ai fini statistici, con riferimento a periodi mensili, qualora l’ammontare totale trimestrale di detti acquisti sia, per almeno uno dei quattro trimestri precedenti, uguale o superiore a 200 mila euro. Per quanto riguarda i servizi ricevuti i modelli vanno presentati solo a livello statistico, con riferimento a periodi mensili, qualora l’ammontare totale trimestrale di detti acquisti sia, per almeno uno dei quattro trimestri precedenti, uguale o superiore a 100 mila euro.

Per gli atti impugnabili notificati a partire dal 1° gennaio 2018, è necessario presentare reclamo e mediazione per tutte le controversie di valore non superiore a 50 mila euro. Il reclamo e la mediazione sono obbligatori e non facoltativi. Dl 50/2017, articolo 10, comma 1.

Dal 1° gennaio 2018 nelle fatture elettroniche emesse nei confronti del servizio sanitario nazionale (Ssn), per gli acquisti di prodotti farmaceutici, è necessaria l’indicazione delle indicazioni sul “codice di autorizzazione all’immissione in commercio” (Aic) e il corrispondente quantitativo. sempre dalla medesima data le predette fatture sono rese disponibili all’agenzia italiana del farmaco.

Dal 1° gennaio 2018 è possibile rivalutare il valore delle partecipazioni di controllo, iscritto in bilancio a titolo di avviamento, marchi d’impresa e altre attività immateriali, versando un’imposta sostitutiva del 16%, non solo in società residenti nel territorio dello Stato ma anche in società non residenti e senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato stesso. Ciò vale anche se le partecipazioni predette sono acquisite a seguito di operazioni di cessione d’azienda o di partecipazioni. La norma si applica agli acquisti di partecipazioni avvenute nel periodo d’imposta antecedente a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di bilancio (per i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, acquisite dal 2017).

Dal 1° gennaio 2018 concesso un credito d’imposta a tutte quelle imprese che effettuano spese di attività di formazione. Il credito d’imposta è del 40% da calcolare sulle spese relative al solo costo aziendale sostenuto per le spese del personale nel periodo in cui lo stesso è occupato in attività di formazione finalizzata ad acquisire o consolidare conoscenze riferite alle tecnologie previste dal Piano nazionale Industria 4.0.

Dal 1° gennaio 2018 le indennità, i rimborsi forfettari, i premi e i compensi erogati ai direttori artistici ed ai collaboratori tecnici per prestazioni di natura non professionale da parte di cori, bande musicali e filodrammatiche che perseguono finalità dilettantistiche, e quelli erogati nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche dal Coni, dalle Federazioni sportive nazionali, dall’Unire, dagli enti di promozione sportiva e da qualunque organismo, comunque denominato, che persegua finalità sportive dilettantistiche e che da essi sia riconosciuto, non concorrono a formare il reddito per un im porto non superiore, complessivamente nel periodo d’imposta, a 10 mila euro (fino al 2017 era 7.500).

Dal 1° gennaio passa dal 26% al 30% la detrazione Irpef per le donazioni in denaro o in natura a enti del terzo settore, per un importo totale non superiore in ciascun periodo d’imposta a 30 mila euro. La detrazione sale al 35% se l’ente beneficiario è una organizzazione di volontariato. Debutta sempre dal 1° gennaio 2018 la nuova versione della norma «Più dai, meno versi»: le donazioni in denaro o in natura a enti del terzo settore effettuate da persone fisiche, enti e società sono deducibili nel limite del 10% del reddito complessivo dichiarato.

Dal 1° febbraio 2018 per coloro che richiedono il rimborso Iva annuale o infrannuale, è riconosciuto il ristoro di una parte delle spese sostenute per il rilascio della garanzia richiesta per legge. Il ristoro, pari allo 0,15% dell’importo garantito e per ogni anno di garanzia, riguarda i rimborsi Iva a partire da quello fatto con la dichiarazione Iva annuale relativa al 2017 e per i rimborsi infrannuali a partire da quelli relativi al primo trimestre 2018.

Si possono trasmettere entro il 28 febbraio 2018 alle Entrate i dati relativi al primo semestre 2017 di fatture emesse e ricevute, ma anche di bollette doganali e note di variazione ed evitare così l’applicazione di sanzioni per le comunicazioni omesse, erronee o incomplete effettuate entro il 16 ottobre 2017.

Il 7 marzo debutta la consegna alle Entrate dei dati sulle ritenute del 21% operate sulle locazioni brevi (e relativo Cud agli interessati al 31 marzo) da parte degli intermediari immobiliari (agenzie ma anche portali, salvo ripensamenti da parte del Tar Lazio). Entro il 31 marzo gli intermediari immobiliari devono inviare il Cud ai clienti ai quali abbiano effettuato la ritenuta (a titolo di acconto o di imposta) del 21% sui canoni di locazioni brevi.

Dal 30 giugno, per la prima volta dall’entrata in vigore delle norme speciali sulle locazioni brevi (la cosiddetta «tassa Airbnb») gli intermediari immobiliari hanno l’obbligo di comunicazione telematica alle Entrate dei dati di ogni contratto di locazione breve stipulato dal 1° giugno 2017 al 31 dicembre 2017. Nel nuovo modello 730 è stato aggiornato anche il rigo F8, in modo da poter indicare l’importo delle ritenute sulle locazioni brevi riportato nel quadro Certificazione Redditi.

Sempre dal 1° luglio 2018 ai soggetti passivi d’imposta che acquistano carburanti per autotrazione presso gli impianti stradali di distribuzione, il cedente deve emettere fattura elettronica. È inoltre ammesso in deduzione, con le regole e i limiti previsti dall’articolo 164 del Tuir, l’acquisto di carburante per autotrazione solo se il pagamento è effettuato mediante carte di credito, carte di debito o carte prepagate emesse da operatori finanziari soggetti all’obbligo di comunicazione all’Anagrafe tributaria. Ai soggetti esercenti attività di distribuzione di carburante spetta un credito d’imposta pari al 50% del totale delle commissioni loro addebitate, a partire dal primo luiglio 2018, per le transazioni il cui pagamento viene effettuato tramite carte di credito. Il credito d’imposta può essere utilizzato in compensazione solo dal periodo d’imposta successivo a quello di maturazione. Dal 1° luglio 2018 scompare infine la scheda carburanti.

 

 

Auto ai manager, più sconto per l’azienda

Il sole 24 ore

 L’aumento del 3% dei costi chilometrici Aci per il calcolo del fringe benefit da tassare nel 2018 in capo a dipendenti e amministratori per le auto aziendali in uso promiscuo, anche per pochi giorni (si veda il Quotidiano del Fisco di ieri), non aumenterà la deduzione, per l’impresa, del 70% dei costi delle vetture dei dipendenti per la «maggior parte del periodo d’imposta». Ma aumenterà la deduzione dei costi delle auto date agli amministratori (anche per pochi giorni): in questo caso, i costi si deducono al 100%, nel limite del fringe benefit tassato, mentre l’eccedenza è deducibile al 20% se l’utilizzo è promiscuo o è indeducibile se l’uso è solo personale.

Auto ai dipendenti

Le spese e gli altri componenti negativi dei «veicoli dati in uso promiscuo ai dipendenti per la maggior parte del periodo d’imposta» (più di 183 giorni l’anno), cioè per scopi sia aziendali (ad esempio, visita a clienti) sia personali (ad esempio, tragitto casa-lavoro o viaggi nel weekend o in ferie), sono deducibili al 70% dall’impresa (90% fino al 2012), senza considerare alcun limite di costo del veicolo, come quello dei 18.075,99 euro applicabile agli acquisti di vetture. Non occorre né che tale utilizzo avvenga in modo continuativo né che il veicolo sia utilizzato da uno stesso dipendente. Se l’autovettura è acquistata nel corso dell’anno e viene data in uso promiscuo ai dipendenti, la maggior parte del periodo si calcola dal momento dell’acquisto fino al termine del periodo d’imposta.

La deduzione del 70% è su tutti i costi effettivi di bilancio (come ammortamento, canoni di leasing o noleggio, manutenzione, bollo auto, assicurazione, custodia, carburante) del veicolo, cioè non solo a quelli che eccedono il fringe benefit tassato al lavoratore.

Auto agli amministratori

Le regole di tassazione del fringe benefit in capo al dipendente si applicano «anche con riferimento ai redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente», come quelli degli amministratori delle società: l’articolo 34 della legge 342/2000 ha assimilato il trattamento fiscale dei redditi da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa con quello dei redditi di lavoro dipendente. Ma l’assimilazione non vale per «tutti gli effetti di legge», come ad esempio capita per la deduzione del costo dal reddito di impresa (circolare 1/E/2007, paragrafo 17.1): l’articolo 164, comma 1, lettera b-bis, Tuir continua a consentire la deduzione agevolata al 70% solo per i veicoli «dati in uso promiscuo ai dipendenti» (circolare 5/E/2001).

Quindi, per gli amministratori i costi da bilancio delle vetture loro assegnate (anche per pochi giorni) si deducono al 100%, nel limite del fringe benefit tassato (che è al netto dell’eventuale rimborso pagato dall’amministratore, comprensivo di Iva); l’eccedenza è deducibile al 20% se l’uso è promiscuo o è indeducibile se l’uso è solo personale.

Iva

La detrazione Iva sui costi delle autovetture rimane al 40% anche in caso di uso promiscuo da parte dei dipendenti, tranne quando l’azienda addebita a questi ultimi un corrispettivo (naturalmente, fatturato con Iva, circolare 326/E/1997, paragrafo 2.3.2.1 e risoluzione 25/E/2000) per l’uso personale (si ritiene almeno pari al fringe benefit tassato). Quindi, l’Iva pagata per il loro acquisto e utilizzo è integralmente detraibile (risoluzione 6/DPF/2008). Ciò, però, vale solo per le assegnazioni ai dipendenti e non per quelle agli amministratori, per le quali la detrazione è sempre del 40% (Direzione regionale Entrate della Lombardia, n. 904-472/2014).

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Acquisto di carburante con soli mezzi tracciabili

 

Nell’ambito delle misure relative al contrasto alle frodi IVA su idrocarburi e carburanti, un emendamento approvato dalla Commissione Bilancio della Camera al Ddl. di bilancio 2018 prevede, a decorrere dal 1° luglio 2018, l’obbligo, ai fini della detraibilità IVA e della deduzione del costo, di acquistare il carburante esclusivamente con mezzi di pagamento tracciabili, abrogando contestualmente la disciplina relativa alla scheda carburante.

In particolare, sarebbe prevista l’introduzione all’art. 164 del TUIR del nuovo comma 1-bis, in base al quale le spese per carburante per autotrazione sarebbero deducibili, nella misura di cui al comma 1, se effettuate esclusivamente mediante carte di credito, carte di debito o carte prepagate emesse da operatori finanziari soggetti all’obbligo di comunicazione previsto dall’art. 7, sesto comma, del DPR 29 settembre 1973 n. 605.

Parallelamente, ai fini IVA, sarebbe prevista l’introduzione all’art. 19-bis1 comma 1 lett. d) del DPR 633/72 – in base al quale l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di carburanti e lubrificanti destinati ad aeromobili, natanti da diporto e veicoli stradali a motore (…) è ammessa in detrazione nella stessa misura in cui è ammessa in detrazione l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di detti aeromobili, natanti e veicoli stradali a motore – del seguente periodo: “L’avvenuta effettuazione dell’operazione deve essere provata dal pagamento mediante carte di credito, carte di debito o carte prepagate emesse da operatori finanziari soggetti all’obbligo di comunicazione previsto dall’articolo 7, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605, o da altro mezzo ritenuto parimenti idoneo individuato con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate”.
In altri termini, ai fini della detraibilità dell’IVA e della deducibilità del costo, l’acquisto di carburante dovrà avvenire esclusivamente mediante carte di creditobancomat o carte prepagate.

Sulla base delle suddette disposizioni, sembrerebbe quindi che i soggetti passivi IVA che effettuano i pagamenti mediante mezzi diversi (es. contanti) non potranno più detrarre l’IVA né dedurre il costo relativo all’acquisto del carburante.
Viene altresì disposta l’abrogazione del DPR 444/97, recante l’attuale regolamento per gli acquisti di carburante e del correlato obbligo di tenuta della scheda carburante (sostitutiva della fattura); dal 1° luglio 2018 sarebbe quindi abrogata la scheda carburante.

Del resto, già attualmente il comma 3-bis all’art. 1 del DPR 444/97 (introdotto dall’art. 7 comma 2 lett. p) del DL 70/2011), in deroga all’ordinaria disciplina, prevede l’esonero dalla tenuta della scheda carburante per i soggetti passivi IVA che acquistano carburante per autotrazione esclusivamente mediante carte di credito, bancomat e carte prepagate emesse da operatori finanziari soggetti all’obbligo di comunicazione all’Anagrafe tributaria previsto dall’art. 7 comma 6 del DPR 605/73.

Fonte: Eutekne

Voucher per la digitalizzazione delle Pmi

Cos’è
È una misura agevolativa per le micro, piccole e medie imprese che prevede un contributo, tramite concessione di un “voucher”, di importo non superiore a 10 mila euro, finalizzato all’adozione di interventi di digitalizzazione dei processi aziendali e di ammodernamento tecnologico.
La disciplina attuativa della misura è stata adottata con il decreto interministeriale 23 settembre 2014.
Cosa finanzia
Il voucher è utilizzabile per l’acquisto di software, hardware e/o servizi specialistici che consentano di:
– migliorare l’efficienza aziendale;
– modernizzare l’organizzazione del lavoro, mediante l’utilizzo di strumenti tecnologici e forme di –
flessibilità del lavoro, tra cui il telelavoro;
– sviluppare soluzioni di e-commerce;
– fruire della connettività a banda larga e ultralarga o del collegamento alla rete internet mediante la tecnologia satellitare;
– realizzare interventi di formazione qualificata del personale nel campo ICT.
Gli acquisti devono essere effettuati successivamente alla prenotazione del Voucher.

Come funziona
Con decreto direttoriale 24 ottobre 2017 sono state definite le modalità e i termini di presentazione delle domande di accesso alle agevolazioni. Le domande potranno essere presentate dalle imprese, esclusivamente tramite la procedura informatica che sarà resa disponibile in questa sezione, a partire dalle ore 10.00 del 30 gennaio 2018 e fino alle ore 17.00 del 9 febbraio 2018. Già dal 15 gennaio 2018 sarà possibile accedere alla procedura informatica e compilare la domanda. Per l’accesso è richiesto il possesso della Carta nazionale dei servizi e di una casella di posta elettronica certificata (PEC) attiva e la sua registrazione nel Registro delle imprese.

Entro 30 giorni dalla chiusura dello sportello il Ministero adotterà un provvedimento cumulativo di prenotazione del Voucher, su base regionale, contenente l’indicazione delle imprese e dell’importo dell’agevolazione prenotata.

Nel caso in cui l’importo complessivo dei Voucher concedibili sia superiore all’ammontare delle risorse disponibili (100 milioni di euro), il Ministero procede al riparto delle risorse in proporzione al fabbisogno derivante dalla concessione del Voucher da assegnare a ciascuna impresa beneficiaria. Tutte le imprese ammissibili alle agevolazioni concorrono al riparto, senza alcuna priorità connessa al momento della presentazione della domanda.

Ai fini dell’assegnazione definitiva e dell’erogazione del Voucher, l’impresa iscritta nel provvedimento cumulativo di prenotazione deve presentare, entro 30 giorni dalla data di ultimazione delle spese e sempre tramite l’apposita procedura informatica, la richiesta di erogazione, allegando, tra l’altro, i titoli di spesa.

Dopo aver effettuato le verifiche istruttorie previste, il Ministero determina con proprio provvedimento l’importo del Voucher da erogare in relazione ai titoli di spesa risultati ammissibili.

Finanziamenti a misura d’impresa e di professionista (regioni Puglia – Sicilia)

Puglia/1 – Via a Tecnonidi, il fondo da 30 milioni di euro
TecnoNidi in Puglia offre un pacchetto di aiuti per start up tecnologiche o imprese con un’idea innovativa, con un fondo di 30 milioni di euro. Beneficiari, piccole imprese di nuova costituzione o operative da cinque anni al massimo che intendano avviare o sviluppare piani di investimento a contenuto tecnologico in una delle aree di innovazione (Manifattura sostenibile, Salute dell’uomo, Comunità digitali, creative e inclusive) o delle “tecnologie chiave” abilitanti individuate dalla Regione nel documento Smart Specialitation Strategy. Le agevolazioni (per importi compresi tra 25.000 e 350.000 euro) si riferiscono a un prestito rimborsabile e a una sovvenzione sia per gli investimenti sia per i costi di funzionamento.
Puglia/2 – Incentivi per rinnovabili e cogenerazione nelle Pmi
Un sostegno alle Pmi arriva dalla Regione Puglia col nuovo bando “Aiuti per la tutela dell’ambiente” lanciato da Puglia Sviluppo Spa.
Il bando stanzia 60 milioni di euro in favore delle microimprese, delle imprese di piccola dimensione e delle medie imprese che intendono realizzare una progetto di investimento finalizzato all’efficientamento energetico, alla cogenerazione ad alto rendimento e alla produzione di energia da fonti rinnovabili.
I progetti di investimento ammissibili devono prevedere una spesa non inferiore a euro 80.000,00 per unità locale e conseguire un risparmio di energia pari ad almeno il 10% dell’unità locale oggetto di investimento.
Al progetto di investimento vanno obbligatoriamente allegati una diagnosi energetica ex ante e un progetto di fattibilità tecnico-economica nonché una scheda tecnica riassuntiva dei parametri energetici del progetto di fattibilità tecnico economica proposto.
Le agevolazioni saranno calcolate, indipendentemente dall’ammontare del progetto ammissibile, sull’importo massimo di € 4.000.000 per le medie imprese e di € 2.000.000 per le piccole e micro imprese. La copertura finanziaria del piano di investimento finanziato dalla misura è prevista nelle seguenti percentuali:
– 30% mutuo a carico del Fondo efficientamento energetico mutui;
– 40% sovvenzione diretta;
– 30% mutuo a carico della banca finanziatrice.
Le imprese interessate possono presentare le domande di agevolazione al soggetto finanziatore convenzionato con Puglia sviluppo Spa o ad un Confidi a partire dal 19 settembre 2017.
Maggiori informazioni sul sito di Sistema Puglia.
Sicilia/1 – La formazione dei professionisti guadagna tempo
Proroga al 20 dicembre per il bando da 3 milioni di euro che concede contributi per la formazione dei professionisti. Con decreto del dirigente generale del Dipartimento regionale dell’istruzione e della formazione professionale n. 8392 del 20 novembre 2017, è stata disposta la proroga di venti giorni del termine di presentazione delle istanze di partecipazione dell’avviso n. 16/2017 , «Azioni di rafforzamento per la formazione dei liberi professionisti lavoratori autonomi», con il quale viene fornito un sostegno alle esigenze di continuo e costante aggiornamento delle competenze dei liberi professionisti ed i lavoratori autonomi di tipo intellettuale. Sono ammissibili a finanziamento, tutti i percorsi di formazione finalizzati allo sviluppo professionale e culturale dei soggetti, in coerenza con le professionalità, le conoscenze e competenze già possedute.
Le domande dovranno essere inviate entro le ore 12 del 20 dicembre (e non più entro il 30 novembre ) tramite l’apposito sito di predisposizione della domanda.
Sicilia/2 – Contributi per le attività extra agricole
Arrivano dalla Sicilia contributi per lo sviluppo del turismo e delle attività extra agricole.
Il bando approvato con decreto 25 settembre 2017, n. 2743 stanzia 20 milioni di euro a valere sul Piano di sviluppo rurale 2014-2020 per gli interventi per il sostegno agli investimenti per la creazione e lo sviluppo di attività extra-agricole.
Beneficiari sono gli imprenditori agricoli e i coadiuvanti familiari, che diversificano la loro attività attraverso l’avvio di attività extra-agricola; le persone fisiche; le microimprese e le piccole imprese.
Sono finanziate attività di B&B; la valorizzazione di prodotti artigianali; gli interventi per creazione e lo sviluppo di attività commerciali; i servizi turistici, servizi ricreativi, di intrattenimento, servizi per l’integrazione sociale in genere, servizi di manutenzione ambientale, per la fruizione di aree naturali quali Natura 2000, Parchi o Riserve.
Per ogni progetto è previsto un contributo a fondo perduto pari al 75% dei costi ammissibili. I progetti dovranno avere un valore minimo di 30.000 euro e un massimo di 266 mila euro (la soglia del regime “de minimis”).
Le domande possono essere presentate dal 27 ottobre 2017 al 20 febbraio 2018 per via telematica attraverso il portale Sian Agea. La valutazione è a graduatoria secondo i punteggi stabiliti dal bando.
Qui tutte le informazioni.
Sicilia/3 – Fondi per l’efficientamento energetico delle Pmi
Con il decreto 31 ottobre 2017 la Sicilia ha aperto il bando di cofinanziamento col MiSe diretto all’erogazione di contributi alle Pmi per la realizzazione di diagnosi energetiche o l’adozione di sistemi di gestione dell’energia conformi alle norme Iso 50001.
Beneficiarie sono le piccole e medie imprese siciliane. Il budget è di 1.795.500 euro e l’agevolazione consiste in un contributo a fondo perduto. La misura finanzia il 50% delle spese ammissibili (entro un massimo di 5.000 euro) per ogni diagnosi energetica eseguita e il 50% delle spese ammissibili (non oltre 10.000 euro) per ogni adozione di un sistema di gestione dell’energia conforme alle Iso 50001 che sia comprensivo di diagnosi energetica.
La domanda può essere presentata a partire dal 9 dicembre 2017 alle ore 12,00 dell’8 gennaio 2018. La domanda di sostegno deve essere compilata e presentata all’indirizzo di posta elettronica: dipartimento.energia@certmail.regione.sicilia.it
Sicilia/4 – Per gli ecosistemi forestali bando da 55 milioni
Copre il 100% delle spese ammissibili, fino a 200.000 euro per iniziative presentate da privati, fino a 500.000 per le domande presentate da privati associati o da comuni, il bando della Regione Sicilia «Aiuti agli investimenti destinati ad accrescere la resilienza e il pregio ambientale degli ecosistemi forestali» (misura 8.5 del Psr Sicilia 2014 2020): l’avviso – la cui dotazione complessiva è di 55 milioni di euro – si rivolge a proprietari, possessori e/o titolari pubblici o privati della gestione di superfici forestali, a loro associazioni. L’obiettivo è sostenere iniziative localizzate nelle aree classificate come bosco all’interno di Parchi e Riserve e delle Aree Rete Natura 2000, finalizzate al perseguimento di impegni di tutela ambientale, al miglioramento dell’efficienza ecologica degli ecosistemi forestali, alla mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. Favorende anche gli investimenti volti all’offerta di servizi ecosistemici, alla valorizzazione in termini di pubblica utilità delle foreste e delle aree boschive. Domande di partecipazione fino al 13 settembre 2018.

Finanziamenti a misura d’impresa e di professionista (regioni Toscana – Marche)

Toscana, finanziamenti a tasso zero per le startup
C’è ancora tempo per presentare le domande finanziamenti a tasso zero per startup e nuove imprese lanciate dalla Regione Toscana con il bando approvato con decreto dirigenziale 31 agosto 2017, n. 12603. Il budget iniziale è di 16 milioni di euro.
Possono presentare domanda le micro e piccole imprese, nonché i liberi professionisti in quanto in Toscana equiparati alle imprese (Dgr n. 240/2017) la cui costituzione è avvenuta nei due anni precedenti la presentazione della domanda; oppure le persone fisiche intenzionate ad avviare entro 6 mesi dalla data di presentazione della domanda una micro o piccola impresa o un’attività di libero professionista.
L’agevolazione consiste in un finanziamento agevolato a tasso zero, nella misura del 70% del costo totale ammissibile, comunque di importo non superiore a 24.500 euro. La durata del finanziamento è di 7 anni (84 mesi di cui 18 di preammortamento).
Il costo totale ammissibile del progetto presentato non deve essere inferiore a 8.000 euro e superiore a 35.000 euro.
Le domande possono essere presentate fino ad esaurimento risorse esclusivamente per via telematica accedendo a questo sito web , previa registrazione account alla piattaforma.
Qui le altre informazioni.
Le Marche a sostegno delle strutture ricettive innovative delle Pmi
Per effetto della proroga disposta dalla Regione, c’è tempo fino al 15 gennaio 2018 per accedere agli incentivi per il miglioramento della qualità, sostenibilità e innovazione tecnologica delle strutture ricettive.
Il bando ha un budget di circa 1,9 milioni e beneficiari sono micro, piccole e medie imprese delle Marche. L’obiettivo del bando è di incentivare progetti di riqualificazione di strutture ricettive esistenti e già operanti, attraverso interventi di ristrutturazione, straordinaria manutenzione, restauro e risanamento conservativo e di ampliamento delle stesse, purché finalizzati al miglioramento del livello di sostenibilità ambientale, dell’accessibilità, dell’innovazione tecnologica, all’adeguamento ed adesione ai disciplinari di prodotto.
Sono ammesse spese per realizzazione di opere edili, acquisto di attrezzature, macchinari e arredi.Il costo complessivo ammesso alle agevolazioni per la realizzazione del progetto non può essere inferiore a 50.000 euro. L’agevolazione consiste in un contributo a fondo perduto in conto capitale sulla spesa ritenuta ammissibile, secondo una intensità di aiuto pari al massimo al 50% della spesa complessiva del progetto.
L’ammontare totale dell’agevolazione non può superare l’importo massimo di 200mila euro per ciascuna domanda. L’istanza di finanziamento, dovrà essere presentata tramite il sistema informatico della Regione entro il 15 gennaio 2018.

Finanziamenti a misura d’impresa e di professionista (regioni Campania – Calabria)

Campania, contratti di sviluppo per 325 milioni
Disponibili 325 milioni di euro immediatamente finanziabili per favorire l’attrazione di nuovi investimenti a sostegno di programmi già avviati nei settori dei trasporti, dell’aerospazio, dell’agroalimentare, dell’innovazione e del turismo. Le agevolazioni – contratti di sviluppo (legge 6 agosto 2008, n.133) – sono il frutto di un accordo siglato tra Ministero per lo Sviluppo Economico, la Regione Campania e Invitalia (soggetto attuatore). L’investimento complessivo minimo richiesto è di 20 milioni di euro. Per le attività di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli, si riduce a 7,5 milioni di euro. Le procedure prevedono da un anno una Fast Track, che consente di ridurre i tempi per ottenere le agevolazioni, stabilendo l’avvio del programma di sviluppo entro 6 mesi dalla determina e il completamento degli investimenti entro 36 mesi. Per le domande di accesso è necessario registrarsi sulla piattaforma dedicata ai servizi online di Invitalia , deve essere regolarmente costituito e iscritto nel Registro delle imprese.
Calabria/1– Aiuti alle attività non agricole nelle aree rurali
Il bando della Regione, approvato con decreto 24 novembre 2017, n. 13066 stanzia aiuti all’avviamento per nuove attività non agricole nelle aree rurali.
La finalità del bando è rafforzare il sistema economico extra-agricolo all’interno delle aree rurali. Il budget a valere su risorse del Piano di sviluppo rurale della Regione Calabria è pari a 2.850.000 euro. I destinatari sono: agricoltori che avviano nuove attività extra agricole in aree rurali; persone fisiche che avviano nuove attività extra-agricole nelle zone rurali; microimprese e piccole imprese.
L’agevolazione è un «premio di start-up concesso al partecipante dietro presentazione di un piano di sviluppo che dovrà essere caratterizzato da un significativo contenuto tecnologico e innovativo, o mirato allo sviluppo di prodotti, servizi o soluzioni nel campo dell’economia digitale, o finalizzato alla valorizzazione economica dei risultati del sistema della ricerca pubblica e privata, o mirato allo sviluppo di servizi alla persona». Il premio allo start-up di impresa è fissato in 50.000 euro. Il bando stabilisce i criteri di valutazione e le modalità di formazione della graduatoria.
Domande entro il 31 gennaio 2018.

Calabria/2– Startup e spin-off in corsa per il bando da 10 milioni
Si rivolge a stratup e spin-off il bando pubblicato in Calabria (Burc n. 121 del 27 novembre 2017), per agevolare la nascita di nuove imprese sul territorio regionale. Prevede 10 milioni di euro divisi in 2 call da 5 milioni ciascuna, per il 2017 e il 2018. E due fasi di intervento: la prima di orientamento, formazione, affiancamento, tutoraggio. La seconda, di concessione di incentivi “de minimis” per l’avvio dell’attività imprenditoriale: sono destinati 3 milioni di euro alle start up, 2 milioni agli spin-off. L’intensità del contributo è del 70% delle spese ammissibili, entro il limite di 200mila euro nell’arco di tre esercizi finanziari.

Finanziamento a misura d’impresa e di professionista (regioni Lazio – Umbria)

L’Umbria aiuta le startup innovative
È stato approvato con decreto 13 novembre 2017, n. 11805 il bando 2017 a sostegno delle nuove Pmi innovative che ha l’obiettivo di incentivare la creazione di startup innovative ad alta intensità di applicazione di conoscenza e le iniziative di spin-off della ricerca ai fini della valorizzazione economica dei risultati della ricerca e/o dello sviluppo di nuovi prodotti, processi e servizi ad alto contenuto innovativo. Le risorse, a valere sul Por Fesr 2014-2020, ammontano a 1.300.000 euro. In particolare in linea con la Strategia di ricerca e innovazione per la specializzazione intelligente, il bando promuove e sostiene nuova imprenditorialità basata sulla conoscenza orientata ai mercati internazionali. L’intenzione è di contribuire a favorire l’aumento di una cultura imprenditoriale, con particolare riguardo ai settori knowledge intensive e a conferire una maggiore attrattività a talenti e professionalità qualificate. I progetti presentati dalle imprese devono andare in questa direzione. L’ammontare complessivo delle spese ammissibili non può essere inferiore a 30.000 né superiore a 500.000 euro.
Le richieste di agevolazione dovranno essere compilate e presentate alla Regione Umbria esclusivamente mediantepiattaforma informatica.
Domande fino al 29 giugno 2018.
Umbria, sostegno ai nuovi imprenditori
Il rilancio dell’occupazione giovanile è al centro del bando della Regione Umbria diretto a sostenere nuove iniziative imprenditoriali e lanciato con decreto dirigenziale 19 giugno 2017, n. 6155. La Regione stanzia 700.000,00 euro e beneficiari sono Pmi e giovani imprenditori tra i 18 e i 35 anni. I costi ammissibili coperti dal finanziamento sono quelli necessari ad avviare l’attività produttiva (costi per l’avvio dell’attività, per il primo anno di funzionamento, per locazioni di immobili, consulenze, nonché costi per acquisti di macchinari e attrezzature).
Il proponente dovrà allegare alla domanda un progetto di impresa redatto secondo uno schema che è allegato al bando. Domande fino al 2 gennaio 2018. La domanda e il progetto d’impresa possono essere presentati a mano o via raccomandata o via posta elettronica certificata all’indirizzo: direzionesviluppo.regione@postacert.umbria.it Valutazione a graduatoria secondo i punteggi stabiliti nel bando. Tutte le informazioni sono reperibili sul sito della Regione.
Lazio/1– Incentivi per la sostituzione delle caldaie a biomassa
Imprese e privati cittadini del Lazio possono beneficiare del bando diretto alla sostituzione delle caldaie a biomassa legnosa. La dotazione finanziaria ammonta a 4.850.000 euro.
Gli interventi finanziabili dal bando sono di due tipi: la rottamazione e la sostituzione di vecchi generatori di calore alimentati a biomasse legnose, con generatori di calore alimentati a biomasse legnose a basse emissioni ed alto rendimento o alimentati a gas (metano, Gpl), anche integrati con pannelli o collettori solari termici; oppure l’installazione di elettrofiltri finalizzata alla riduzione delle emissioni di particolato sottile degli impianti a biomasse legnose.
Per ciascuna unità immobiliare è possibile sovvenzionare un intervento composto da una o entrambe le tipologie. Il costo del singolo intervento ammissibile non potrà comunque superare 10.000 euro per la sostituzione della caldaia e 2.000 euro per la installazione di elettrofiltri.L’agevolazione consiste in un contributo a fondo perduto pari al 60% delle spese ammesse ed effettivamente sostenute per l’intervento.
Le domande vanno presentate solo per via telematica compilando il formulario disponibile online sulla piattaforma Gecoweb , e quindi inviando la domanda e gli allegati richiesti via Pec (posta elettronica certificata) seguendo la procedura descritta nel bando.
Qui le altre informazioni.
Lazio/2 – Garanzia Equity per aumenti di capitale sociale
Disponibili 9,6 milioni di euro per la concessione di una garanzia gratuita su aumenti di capitale sociale effettuati da vecchi e nuovi soci della Pmi, a copertura parziale (50%) del rischio. Destinatari: Pmi che presentino al momento della domanda almeno due bilanci regolarmente approvati.

Finanziamenti a misura d’impresa e di professionista (regioni Veneto – Lombardia)

Il Veneto premia l’efficientamento energetico delle Pmi
Dalla Regione Veneto arriva il sostegno all’efficientamento energetico delle piccole e medie imprese. Il bando, approvato con Dgr 12 ottobre 2017, n. 1630 stanzia 6 milioni di euro.
L’incentivo è nella forma del contributo a fondo perduto e beneficiarie sono le micro, piccole e medie imprese del Veneto. È ammessa una sola domanda di contributo.
Sono ammessi progetti coerenti col Piano energetico regionale e finalizzati al contenimento della spesa energetica, alla riduzione delle emissioni di gas climalteranti e alla valorizzazione delle fonti rinnovabili secondo le opportunità di risparmio energetico individuate e quantificate dalla diagnosi energetica effettuata dall’impresa.
Il contributo a fondo perduto è pari al 30% della spesa ammissibile
Le domande vanno presentate per via telematica usando il Sistema informativo unificato della Programmazione unitaria (Siu) della Regione.
Qui tutte le informazioni sul bando.
Lombardia/1 – Via agli incentivi per la sicurezza delle Pmi
Con il decreto 27 ottobre 2017, n. 13395 la Regione ha dato il via all’edizione 2018 del bando “Impresa sicura” che prevede contributi per investimenti innovativi finalizzati all’incremento della sicurezza a favore delle micro e piccole imprese commerciali e artigiane.
Destinatarie delle agevolazioni sono le micro e piccole imprese del commercio e dell’artigianato, con almeno un punto vendita ubicato in Lombardia. Le risorse disponibili sono pari a 1.520.000 euro.Sono finanziate le spese per tutti quei sistemi innovativi per la sicurezza e la prevenzione di furti, rapine e atti vandalici.
L’agevolazione consiste in un contributo a fondo perduto pari al 50% delle spese nel limite massimo di 5.000 euro.Il contributo è concesso con procedura valutativa “a sportello” secondo l’ordine cronologico di invio telematico della richiesta e con graduatoria finale.
Le domande possono essere presentate fino alle ore 16 del 21 dicembre 2017 a Unioncamere Lombardia esclusivamente tramite il sito , accedendo alla sezione “servizi e-gov” e selezionando la voce “contributi alle imprese”.
Qui tutte le informazioni.
Lombardia/2– Aiuti agli studi con il «bollino» di qualità
Via allo sportello della linea Intraprendo che riapre i battenti con una dotazione di 7 milioni di euro. Si tratta di finanziamenti a fondo perduto e prestiti a tasso zero che la Regione Lombardia insieme a Finlombarda concedereranno a sostegno di imprese e professionisti, in particolare giovani e over 50, che abbiano ottenuto una dichiarazione di qualità del progetto da parte di istituzioni pubbliche o privati. Domande solo per via telematica attraverso alla piattaforma Siage.

Finanziamenti a misura d’impresa e di professionista (regioni Piemonte – Liguria)

Il Piemonte finanzia le imprese agricole contro le calamità naturali
Il bando, lanciato con decreto dirigenziale 9 novembre 2017, n. 1118 (Bur 23 novembre 2017 n. 47) finanzia le aziende agricole per l’acquisto di reti antigrandine a protezione delle coltivazioni.
Beneficiari sono agricoltori e imprese agricole piemontesi.
Le risorse a valere sul Programma di sviluppo rurale 2014-2020 ammontano a 4 milioni di euro. Ogni beneficiario può presentate più domande di aiuto, una per ogni intervento riferita a specifici impianti di protezione con reti antigrandine.
Ogni impianto di protezione deve essere riferito a uno specifico prodotto la cui coltivazione è in essere al momento della presentazione della domanda.
Le spese possono coprire l’acquisto e l’installazione delle reti antigrandine.
La domanda di sostegno può essere presentata fino al 23 marzo 2018.
La domanda va presentata esclusivamente in formato digitale attraverso il servizio “Psr 2014-2020”, pubblicato su questo portale , nella sezione “agricoltura”.
Qui tutte le informazioni.
Liguria/1 – Incentivi alle strutture ricettive all’aria aperta
La Regione con la deliberazione del 17 novembre 2017 n. 927 ha lanciato un nuovo bando per aiutare la ricettività turistica ligure dopo quello dedicato agli alberghi.
Beneficiari sono piccole, micro e medie imprese che esercitano attività ricettiva all’aria aperta (campeggi, villaggi turistici e parchi per vacanze).
Il budget è di 1 milione di euro (800.000 destinati alla riqualificazione di strutture ricettive esistenti, 200.000 per nuove strutture ricettive).
Tra le spese ammissibili rientrano quelle di progettazione lavori, esecuzione di opere murarie, acquisto di macchinari e attrezzature, nonché quelle destinate al miglioramento dell’efficienza energetica.
L’agevolazione consiste in un finanziamento agevolato per un ammontare non inferiore a 20.000 euro e non superiore a 90.000 euro.
È possibile presentare domanda dal 23 gennaio 2018 al 20 aprile 2018. Le domande di ammissione all’agevolazione, vanno inoltrate esclusivamente tramite il sistema “bandi on line” .
Qui tutte le informazioni.
Liguria/2 – Via al bando 2017 per le piccole e medie imprese turistiche
A partire dal 30 novembre 2017 le imprese turistiche della Liguria potranno accedere ai finanziamenti del bando approvato con deliberazione n. 661/2017.
La dotazione del bando è di 6 milioni di euro cui aggiungere 6 milioni di euro di cofinanziamento bancario.
Ammessi a finanziamento sono Piani di riqualificazione dell’offerta turistica ligure finalizzati allo sviluppo e competitività delle strutture ricettive alberghiere proposti da micro, piccole e medie imprese.
Il finanziamento, a sostegno del Piano di riqualificazione ha natura ipotecaria ed è concedibile per un ammontare non inferiore ad 150.000 euro e non superiore a 800.000 euro fino al 100% del Piano di riqualificazione stesso.
Le spese ammissibili sono quelle funzionali allo sviluppo ed alla competitività delle strutture ricettive (progettazione lavori, opere murarie, acquisto di macchinari e impianti, introduzione sistemi di qualità e adesione a sistemi di certificazione ambientale quali Iso, Emas, Ecolabel).
Una quota del 50% del finanziamento è concessa a valere su fondi privati messi a disposizione da una Banca convenzionata e una quota del 50% dello stesso è concessa da FI.L.S.E. (Finanziaria ligure per lo sviluppo economico) a valere su fondi regionali.
Le domande vanno inoltrate esclusivamente utilizzando il sistema «bandi on line» dal sito internet www.filse.it o dal sito www.filseonline.regione.liguria.it, a partire dal 30 novembre 2017 fino al 20 marzo 2018 unitamente alla copia della richiesta di finanziamento alla Banca convenzionata.
Qui le altre informazioni.

Tutti i bandi per i finanziamenti a misura d’impresa e di professionista

EUROPA
Horizon/1 – Dallo Sme Instrument 480 milioni per la ricerca e l’innovazione
Con un budget che sfiora i 480 milioni di euro nel solo 2018, Sme Instrument, la costola di Horizon dedicata agli incentivi per le piccole e medie imprese, ha lanciato una call (Eic-Smeinst-2018-2020), in due fasi, per sviluppare nuove idee di business e testare la fattibilità tecnica e il potenziale commerciale di un’innovazione traducendola in un business plan (ovvero gli studi di fattibilità previsti nella fase 1 della call che distribuiranno 50mila euro a singolo progetto della durata di 6 mesi ). Inoltre la call eroga contributi per trasformare la propria idea di business in un prodotto pronto per il mercato: le attività possono includere, per esempio, la messa a punto di prototipi, test, collaudi e proiezioni di mercato (fase 2 della call). Si può presentare domanda anche per una sola delle due fasi. Le call prevedono diversi cut-off (finestre per la presentazione delle candidature): si va da febbraio 2018 a novembre 2020 per la fase 1 e da gennaio 2018 a ottobre 2020 per la fase due.
Qui le altre informazioni.
Horizon/2 – Fast Track to Innovation, 100 milioni per le partnership
Vale 100 milioni la call di Fast Track to Innovation lanciata nell’ambito di Horizon 2020. La call è indirizzata alla ricerca di uno o più partner per accelerare il lancio sul mercato di un prodotto innovativo industriale in un massimo di tre anni. Si tratta di uno strumento che permette di ottenere fondi in uno schema aperto e accessibile per far crescere le idee elaborate dai consorzi di innovatori di tutti i tipi e dimensioni in tutta Europa. Nella partnership è obbligatorio inserire un socio industriale. Possono partecipare anche le università e i centri di ricerca. Tetto massimo per singolo progetto: 3 milioni di euro. Le domande possono essere inviate nelle diverse finestre aperte nel biennio (cut-off): si va da febbraio 2018 a ottobre 2020.
Qui le altre informazioni.
Horizon/3 – Via a 115 milioni per la digitalizzazione dell’industria Ue
Con una call da 115 milioni di euro lanciata il 31 ottobre scorso (H2020-DT-2018-2020), il programma Horizon 2020 punta alla digitalizzazione del sistema industriale europeo. L’invito a presentare proposte che si articola in quattro azioni tutte in scadenza il 17 aprile 2018, finanzia i progetti per la creazione di hubs di innovazione digitale, piattaforme digitali e prototipi sperimentali su larga scala: due leve sulle quali la Ue sta puntando per facilitare l’accesso all’innovazione digitale delle imprese europee così da migliorarne la competitività, i processi di produzione e i servizi. Tra i requisiti necessari per partecipare alla call, anche la destinazione di almeno il 50% del budget dell’investimento iniziale a favore delle piccole e medie imprese. Le quattro azioni della call sono «single-stage» e quindi a scadenza unica.
Qui maggiori dettagli sulla call.
Horizon/4 – Per la rinascita rurale in pista 52 milioni
Lanciata la call da 52,4 milioni di euro (H2020-RUR-2018-2020) per trainare lo sviluppo economico delle aree di campagna, montane e costiere attraverso la costruzione di strategie di modernizzazione, modelli di governance efficienti sostenendo catene produttive di colture agricole e boschive innovative, facendo perno sulle risorse locali incluso il capitale umano, naturale e culturale. Le sei azioni della call di Horizon, in scadenza il 13 febbraio 2018, finanzieranno progetti di sviluppo delle sinergie tra i principali settori economici delle aree interessate, creazione di catene produttive sostenibili food e non food, nonché le iniziative per la digitalizzazione delle imprese.
Qui tutte le altre informazioni.
Cosme, fondi per i cluster a servizio della difesa e della sicurezza
Il programma Cosme finanzia con 800mila euro la collaborazione tra Stati per i cluster e i consorzi che operano nei settori della difesa e della sicurezza e che si interfacciano con altre organizzazioni non militari nell’area dell’uso duale delle tecnologie di prodotti e servizi verso i Paesi extra Ue. Con la call Cos-cluster-2017-3-6 aperta fino al 13 dicembre prossimo, la Commissione europea sostiene le piccole e medie imprese attive nel settore militare e civile che si organizzano in cluster per operare fuori dai confini Ue. In particolare l’iniziativa finanzierà eventi, iniziative di divulgazione, attività di formazione e monitoraggio.

La responsabilità penale in determinati casi ricade sul nuovo manager

Risponde del reato di omesso versamento Iva il nuovo amministratore che subentra dopo la presentazione della dichiarazione firmata dal precedente rappresentante legale. A confermare questo principio è la Corte di cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 55482 depositata ieri.
Il fatto
L’amministratore di una Srl veniva condannato dal tribunale e dalla Corte di appello per il reato omesso versamento Iva.
L’imputato ricorreva in Cassazione e lamentava, tra l’altro, l’erronea applicazione della norma penale, poiché la corte territoriale aveva ravvisato la responsabilità del nuovo amministratore pur in assenza di prove.
Secondo la difesa, infatti, l’evasione sarebbe stata determinata dall’inserimento di alcune fatture intracomunitarie nel periodo in cui l’amministrazione della società era affidato ad altro soggetto. L’evasione, quindi, era già stata pianificata prima che l’imputato ricoprisse l’incarico di legale rappresentante.
La decisione
La Suprema corte ha ritenuto la doglianza infondata. I giudici di legittimità hanno innanzitutto rilevato che con l’accettazione della carica di amministratore il soggetto acquisisce contezza delle obbligazioni, anche tributarie, da adempiere. Ai fini della configurazione dell’elemento psicologico del reato di omesso versamento dell’Iva è sufficiente la coscienza e volontà di non versare all’Erario l’imposta.
Ne consegue così che risponde del delitto anche chi è subentrato nella carica di amministratore dopo la presentazione della dichiarazione e prima della scadenza dell’acconto.
La Cassazione ha così precisato che l’assunzione della carica di amministratore comporta la necessità di una minima verifica preventiva della contabilità, dei bilanci e delle ultime dichiarazioni dei redditi.
Chi omette tali riscontri sceglie di esporsi volontariamente alle conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze. A nulla rileva, come nella specie, che il subentro sia avvenuto dopo la presentazione della dichiarazione da cui emergeva il debito di imposta, in quanto il reato di omesso versamento si consuma alla scadenza dell’acconto dell’anno successivo.
La decisione conferma l’orientamento espresso anche se, con la sentenza 30492/2015, la Suprema corte, ha operato un importante distinguo in base ai reati contestati: per i delitti di omessi versamenti a fronte di dichiarazioni predisposte da precedenti amministratori, il subentrante con un minimo di diligenza può facilmente verificare la sussistenza del debito di imposta non versato. Nell’ipotesi, invece, di reati dichiarativi ovvero per l’utilizzo di fatture false, è necessario che l’accusa provi la conoscenza da parte del nuovo soggetto delle violazioni contabili commesse in precedenza.
In ogni caso, appare opportuno che, nel momento in cui si assume la rappresentanza legale di una società di capitali, prudenzialmente venga posta in essere un’attività ricognitiva finalizzata a rilevare eventuali anomalie contabili e fiscali onde evitare, in futuro, contestazioni sull’operato altrui.
Fonte “Il sole 24 ore”

La Svizzera rilancia il segreto bancario

Non sarà ancora un vento di restaurazione, ma il raffreddamento di sensibilità sulla trasparenza fiscale internazionale – mantra degli ultimi 5 anni – è ormai un dato di fatto difficile da ignorare.
Dopo l’allerta dell’Ocse, che nel suo “Implementation report” di novembre segnalava il ritardo di decine di Paesi nell’adeguamento agli standard per il futuro scambio di informazioni, ora la cronaca porta dritto in Svizzera. Domani il plenum dei due rami del Parlamento di Berna voterà un’interpretazione molto restrittiva del rilascio delle informazioni riguardanti cittadini stranieri con conti e investimenti nei suoi istituti finanziari, tornando in sostanza a rilanciare lo storico brand di cassaforte alpina di “segreti&riservatezza”. Le banche e gli altri intermediari dovranno avvisare in anticipo i correntisti/risparmiatori/investitori stranieri circa i dati che si accingono a inviare automaticamente alle loro autorità fiscali. Non a caso avvocati e professionisti stanno già mettendo a punto la strategia di rallentamento per via giudiziaria (ricorsi e opposizioni) del rilascio delle info, soprattutto in direzione Sud.
L’inversione di orientamento sul tema “trasparenza” non è comunque un’esclusiva d’oltralpe. Come si vede nella cartina mappamondo pubblicata a lato, dall’incrocio dei 148 Paesi che hanno siglato accordi multilaterali o bilaterali per lo scambio di informazioni fiscali, ben più della metà (90) mantengono una forma più o meno intensa di segreto bancario, e 37 di questi addirittura conservano il totale segreto bancario. Ancora più esplicita la posizione di altri 22 Paesi che non hanno siglato alcun tipo di accordo per lo scambio di informazioni fiscali.
Questa fotografia spiega meglio di ogni altra considerazione l’ultimo rapporto dell’Ocse (Implementation report on automatic exchange of information) secondo cui tra l’essere compliant nella legislazione e l’attivare gli scambi con le altre giurisdizioni c’è un saltum non da poco. L’atteggiamento temporeggiante è variegato, tra Paesi che non stanno raccogliendo i dati che poi dovrebbero trasmettere ai 100 e più partner «in quanto non interessati a ricevere informazioni», e altre giurisdizioni che stanno impiegando «tempi eccessivamente lunghi per mettere in opera le basi legali per il funzionamento dello scambio automatico e per gli accordi multilaterali» necessari a far “scorrere” le informazioni. Il 15 % della platea degli Stati, narra il rapporto, non ha neppure terminato l’allineamento con la legislazione internazionale, tra questi un buon numero dei paesi del Golfo (a cominciare da Quatar, Emirati, Kuwait, Brunei) e la Turchia che per varie ragioni non hanno ancora ratificato la Convenzione per lo scambio automatico. Altri paesi caraibici e “oceanici” sono ancora più indietro nei processi di risalita verso l’emersione, tanto che il Report conclude che «un certo numero di giurisdizioni ha mancato pietre miliari» sul percorso e ora ha timeline sfidanti, per usare un eufemismo.
Intanto però l’Europa, molto attiva in queste settimane sul piano del rilancio della fiscalità, ha approvato ieri le raccomandazioni sui reati fiscali. Si tratta di misure ispirate dai 211 suggerimenti formulati dalla Commissione speciale d’inchiesta del Parlamento europeo sul riciclaggio di denaro, l’elusione fiscale e l’evasione fiscale, che i deputati hanno approvato con 492 voti in favore, 50 contrari e 136 astensioni. Tra i piani d’azione spicca la creazione di registri pubblici dei titolari effettivi delle aziende, le sanzioni contro gli intermediari che favoriscono la pianificazione fiscale aggressiva e la richiesta di costituire una commissione permanente per indagare sulla fiscalità.
Fonte “Il sole 24 ore”

Rottamazione bis, ammessi i morosi delle vecchie rate

La rottamazione bis è aperta solo per i carichi che non sono già stati inclusi nella precedente domanda di definizione agevolata, con la sola eccezione delle posizioni scartate
a causa della morosità sulle vecchie dilazioni.
Per questi ultimi contribuenti, invece, l’unica possibilità di accesso ai benefici di legge consiste nel pagare in un’unica soluzione, entro il 31 luglio 2018, l’importo delle rate
scadute alla fine dell’anno scorso, previa presentazione della domanda entro il 15 maggio 2018.
Una volta decaduti dalla definizione, non è più possibile dilazionare il debito residuo.
Infine, se si abbandona la definizione ma si aveva in essere piani di dilazione precedenti, il carico residuo verrà automaticamente “spalmato” sul numero delle rate non pagate del piano originario.
Sono le prime risposte dell’Ader (agenzia delle Entrate-Riscossione) ai quesiti formulati dall’Odcec di Roma, riferiti sia alla prima procedura agevolata che alla riapertura disposta
nell’articolo 1 del decreto legge 148/17.
L’Ader ribadisce innanzitutto che la seconda chiamata, disposta con il Dl 148, non vale per i debitori che hanno già presentato la domanda entro il 21 aprile scorso e non hanno pagato le rate dovute.
Tale esclusione opera limitatamente ai carichi inclusi nell’istanza trasmessa in precedenza.
Nessun ostacolo, invece, se il debitore intende definire delle partite esistenti al 31 dicembre 2016 che non erano indicate nella vecchia domanda.
Con riferimento ai contribuenti esclusi dalla precedente definizione per non aver pagato tutte le rate scadute, relative a un piano di rientro esistente al 24 ottobre 2016, la riammissione è prevista alla precisa condizione che il debitore provveda a versare il pregresso, in un’unica soluzione, entro la fine di luglio dell’anno prossimo.
L’importo dovuto a tale titolo sarà comunicato dall’agenzia delle Entrate entro la fine di giugno 2018.
Una volta effettuato l’accesso alla nuova procedura, gli importi della definizione dovranno essere versati in tre rate, scadenti a ottobre e novembre 2018 e febbraio 2019.
Le stesse regole valgono per tutti i contribuenti che intendono definire per la prima volta carichi esistenti a fine 2016 e che sono morosi per dilazioni pendenti al 24 ottobre 2016.
L’Ader ricorda altresì che se si abbandona la rottamazione, il debito residuo non può essere nuovamente dilazionato.
Fanno eccezione, peraltro, le partite incluse in cartelle per le quali alla data di presentazione della domanda non erano ancora decorsi 60 giorni dalla notifica.
Questo vale, a maggior ragione, anche per i carichi per i quali, alla data della definizione, non è stata ancora notificata la cartella.
In tali casi, in qualsiasi momento si decada dalla rottamazione è sempre possibile dilazionare il debito che rimane.
Tale previsione trova peraltro applicazione per tutte le definizioni, sia vecchie che nuove.
L’ultimo chiarimento riguarda la riattivazione di precedenti piani di rientro, qualora il debitore abbandoni la procedura agevolata. Sul punto, l’Ader ribadisce che in tale eventualità si procederà d’ufficio a ripartire il carico residuo per il numero di rate non versate della dilazione originaria.
In proposito, si evidenza che in tale numero devono essere comprese anche le rate sospese per effetto della presentazione della domanda di rottamazione e non solo quelle che scadono dopo il periodo di sospensione.
Fonte “il sole 24 ore”

Nuove rottamazioni è possibile far precedere l’istanza da una richiesta di dilazione

Con le nuove rottamazioni stabilizzate dalla conversione del Dl 148/2017 è possibile far precedere l’istanza da una richiesta di dilazione, in modo da conservare una via d’uscita futura, nel caso in cui non si fosse in condizioni di pagare il costo della sanatoria. Ai sensi dell’articolo 6, comma 8, lettera c), del Dl 193/2016, se il debitore non paga la prima rata della definizione, può riprendere la rateazione pregressa. Tale disposizione non risulta incompatibile con le nuove procedure e deve quindi ritenersi ad esse pienamente applicabile.
L’articolo 1 del Dl 148/2017 prevede una disciplina unitaria sulla possibilità di riprendere eventuali rateazioni precedenti, applicabile sia alla definizione dei carichi 2017, sia a quella riferita ai carichi ante 2017. Si stabilisce con chiarezza, infatti, che se è pendente un piano di rientro alla data di presentazione della domanda di definizione, le rate in scadenza successivamente a tale data sono sospese sino al termine della prima rata della rottamazione. Il riferimento temporale dunque è la situazione esistente al momento della trasmissione della nuova istanza. Sul punto, vale ricordare come la formulazione originaria dell’articolo 6 del Dl 193/2016, avesse dato origine a interpretazioni contrastanti in ordine alla individuazione dei piani di rientro rilevanti ai fini della definizione agevolata. Secondo le Faq di Equitalia, la normativa in esame si rivolgeva alle rateazioni esistenti alla data di presentazione della domanda. Nell’opinione dell’agenzia delle Entrate invece (circolare n. 2 del 2017 ), le disposizioni avrebbero dovuto riferirsi alle dilazioni esistenti al 24 ottobre 2016. Le due tesi avevano dei riflessi inevitabili anche ai fini della facoltà, innanzi ricordata, di riattivare i piani di rientro, non pagando la prima rata. Secondo la posizione delle Entrate, infatti, detta facoltà sarebbe stata esercitabile limitatamente alle dilazioni esistenti per l’appunto al 24 ottobre dell’anno scorso.
Nella seconda edizione delle rottamazioni, invece, questo problema è risolto direttamente dalla legge. Questo significa, quindi, che il debitore può avere interesse a far precedere la domanda di definizione da una istanza di rateazione. Una volta ottenuto il piano di rientro, con la trasmissione del modulo all’Ader si ottiene innanzitutto la sospensione ope legis nel pagamento di tutte le rate in scadenza, a seconda dei casi, fino a luglio 2018 (rottamazione 2017) oppure a ottobre 2018 (rottamazione 2016). In questo modo, inoltre, si evita di pagare somme che, in tutto o in parte, non sono deducibili dal quantum della sanatoria. L’importo versato a titolo di sanzione, interessi di mora e interessi da dilazione non è infatti deducibile dalla definizione.
Al momento della scadenza della prima rata, il debitore sarà a un bivio: a) se paga, la dilazione precedente sarà revocata e il debito residuo, in linea di principio, non potrà essere ulteriormente rateizzato; b) se non paga, potrà riprendere il precedente piano di rientro. A quest’ultimo proposito, si ricorda che il manuale interno dell’Ader prevede che l’importo complessivo del debito debba essere “spalmato” d’ufficio su tutte le rate non pagate del piano originario.
Non tutti potranno tuttavia avvalersi della facoltà di chiedere preventivamente la dilazione del carico che si vuole rottamare. In presenza di vecchie rateazioni non onorate da tempo, per ottenere un nuovo piano è necessario pagare tutto lo scaduto. Ne deriva che in tal caso al debitore tale opportunità risulterà di fatto preclusa.
Fonte “Il sole 24 ore”

Sentenza corretta: due termini per contestare il ruolo definitivo

Il contrasto tra motivazione e parte dispositiva della sentenza può essere oggetto di istanza di correzione materiale, che va presentata entro il termine previsto per l’impugnazione. In tal caso il giudice deve pronunciarsi con ordinanza collegiale e la stessa può essere a sua volta appellata sempre nello stesso termine, con impugnazione che può riguardare la sentenza originaria corretta e/o l’ordinanza. In quest’ultimo caso, il Fisco non può iscrivere a ruolo a titolo definitivo le somme recate dall’accertamento finché non si è resa definitiva l’ordinanza collegiale anche in caso di mancata impugnazione della sentenza ante correzione. Questa la Ctr Sicilia, con la sentenza 3814/7/2017 (presidente Gennaro, relatore Sanfilippo).
Un contribuente ricorre contro l’Erario per un atto del 2002. Con sentenza depositata il 15 luglio 2010 la Ctp, da un lato, rigetta il ricorso nella parte motiva e, dall’altro, lo accoglie nella parte dispositiva.
Il Fisco notifica la sentenza il 28 gennaio 2011 all’indirizzo del ricorrente (anziché al domicilio eletto). Il contribuente non reagisce e poi chiede la correzione della sentenza per errore materiale e il dispositivo viene sostituito con ordinanza collegiale del 17 febbraio 2011.
Il 15 febbraio 2012, vigente il vecchio rito per l’impugnazione, il contribuente ricorre al comma 4 dell’articolo 288 del Codice di rito e appella l’ordinanza collegiale (le sentenze relativamente alle parti corrette, possono essere impugnate nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui è stata depositata l’ordinanza di correzione).
In seguito alla mancata impugnazione della sentenza notificata al contribuente, il Fisco il 27 settembre 2011 iscrive a titolo definitivo le somme accertate e notifica il ruolo tramite concessionario il 20 gennaio 2012 a cui segue un secondo ricorso.
Per il contribuente non ci sono le condizioni per l’iscrizione a titolo definitivo. Infatti, non vale né il termine “corto” ( in base al quale la sentenza si sarebbe resa definitiva il 29 marzo 2011 perché non notificata al domicilio eletto), né il termine “lungo” (secondo cui la sentenza si sarebbe resa definitiva il 14 novembre 2011 perché l’ordinanza collegiale ha dato tempo sino al 28 marzo 2012 per appellare la sola parte della sentenza “corretta”, cosa che il contribuente ha fatto nel termine).
Al contrario, il Fisco sostiene la legittimità dell’iscrizione definitiva a ruolo, dato che la sentenza originaria non è stata appellata nè entro il 29 marzo 2011 (termine “corto”) né entro il 14 novembre 2011 (termine “lungo”).
I giudici di primo e secondo grado danno ragione al contribuente. La sentenza può essere temporalmente scomposta nella sentenza ante correzione e quella post correzione. Da qui due conseguenze pratiche:
una volta presentata l’istanza di correzione materiale, l’iscrizione a ruolo avviene solo dopo la correzione favorevole del dispositivo della sentenza tramite ordinanza collegiale;
una volta che sia stata impugnata la sentenza post correzione nella sola ordinanza collegiale, allora per l’iscrizione a ruolo definitiva bisogna aspettare il passaggio in giudicato della seconda parte, indipendentemente dall’impugnazione della sentenza originaria ante correzione.
Fonte “Il sole 24 ore”

Split payment esteso dal 2018 alle controllate

Dal 1° gennaio 2018 si estende ulteriormente l’ambito soggettivo di applicazione del meccanismo di riscossione Iva dello split payment (o scissione dei pagamenti). La conversione del decreto legge 148/2017 da parte della Camera ha reso, quindi, definitivo il nuovo restyling dell’articolo 17-ter del Dpr 633/72 .
Le nuove regole ricomprendono nell’adempimento anche gli enti pubblici economici nazionali, regionali e locali, le fondazioni partecipate da amministrazioni pubbliche, le società controllate direttamente o indirettamente da qualsiasi tipo di amministrazione pubblica e quelle partecipate per una quota non inferiore al 70% da qualsiasi amministrazione pubblica o società assoggettata allo split payment.
Più in dettaglio, la nuova versione dell’articolo 17-ter, comma 1-bis, del Dpr 633/72 ricomprenderà, nel perimetro soggettivo, anche:
enti pubblici economici nazionali, regionali e locali, comprese le aziende speciali e le aziende pubbliche di servizi alla persona (lettera 0a) ;
fondazioni partecipate da amministrazioni pubbliche per una percentuale complessiva del fondo di dotazione non inferiore al 70% (lettera ob);
società controllate direttamente, ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, n. 2), del Codice civile, dalla presidenza del Consiglio dei ministri e dai ministeri (lettera a). Di fatto, la modifica ha mera finalità di coordinamento. Si ricorda che ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, n. 2) del Codice civile sono considerate società controllate quelle in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria;
società controllate direttamente ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, n. 1), del Codice civile, o indirettamente da qualsiasi tipo di amministrazione pubblica (lettera b). Ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, n. 1) del Codice civile sono considerate società controllate quelle in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;
società partecipate per una quota non inferiore al 70% da amministrazioni pubbliche o da società assoggettate allo split payment (lettera c). Quindi non rientrano nella estensione le società la cui percentuale di partecipazione complessiva del capitale è inferiore al 70 per cento;
società quotate inserite nell’indice Ftse Mib della Borsa italiana così come identificate agli effetti Iva. In questo modo viene specificato che vi rientrano le società quotate così come identificate agli effetti Iva (lettera d). Per le società quotate ora limitate all’indice Ftse Mib il ministro dell’economia e delle finanze può con proprio decreto individuare un altro indice di riferimento del mercato azionario.
La disposizione e quindi il nuovo perimetro soggettivo dello split payment chiudono, almeno sotto tale profilo, le regole soggettive e la validità degli elenchi in vigore fino al 31 dicembre di quest’anno, posto che la nuova impostazione avrà efficacia solo dalle fatture emesse a partire dal 1° gennaio 2018.
Per la completa operatività di questa disposizione bisognerà, comunque, attendere l’emanazione di un decreto del Mef che integrerà il precedente decreto del 23 gennaio 2015, a sua volta modificato dai decreti Mef 27 giugno 2017 e 13 luglio 2017.
Fonte “Il sole 24 ore”

Spesometro errato, primo semestre 2017 senza sanzioni

Sanzioni abolite per la comunicazione relativa al primo semestre 2017, facoltà di trasmettere i dati con cadenza semestrale e semplificazioni nelle informazioni da comunicare. Queste le principali novità sulla comunicazione dei dati delle fatture (spesometro) introdotte dalla legge di conversione del decreto fiscale 148/2017 , che deve essere ora pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. Il dato letterale della norma non comprende però l’ipotesi di omessa comunicazione dei dati delle fatture che quindi ricadrebbe nella sanzione ordinaria sanabile mediante ravvedimento operoso.
L’articolo 1-ter, inserito nel decreto dalla legge di conversione, prevede anzitutto la non applicazione delle sanzioni per l’invio dei dati relativi al primo semestre a condizione che entro il 28 febbraio 2018 (termine per la trasmissione relativa al secondo semestre) vengano inviati i dati esatti.
Per l’errata o incompleta trasmissione dello spesometro, l’articolo 11, comma 2-bis, del Dlgs 471/1997, prevede una sanzione pari a 2 euro per ogni fattura errata con un massimo di mille euro per ogni trimestre, ridotta alla metà per le correzioni effettuate nei primi 15 giorni.
La sanatoria sulle sanzioni riguarda anche i contribuenti che hanno esercitato l’opzione di cui al Dlgs 127/2015 (spesometro volontario) ai quali veniva applicata la sanzione fissa da 250 a 2000 euro (comma 1 dell’articolo 11 del Dlgs 471/1997) ora sostituita dalla legge di conversione con quella prevista dal comma 2-bis dell’articolo 11 per l’adempimento obbligatorio (quindi 2 euro a fattura con un massimo di 1.000 euro a trimestre).
I contribuenti potranno, inoltre, scegliere di inviare i dati con cadenza semestrale anziché trimestrale. L’articolo 21 del Dl 78/2010, come modificato dall’articolo 4 del Dl 193/2016, aveva inizialmente previsto la trasmissione dei dati con cadenza trimestrale, entro l’ultimo giorno del secondo mese successivo al trimestre di riferimento, con eccezione del secondo trimestre il cui invio è previsto per il 16 settembre. Successivamente, l’articolo 14-ter del Dl 244/2016 (il Milleproroghe) ha previsto l’invio dei dati con cadenza semestrale esclusivamente per il 2017. Pertanto, dal 2018, la trasmissione torna ad avere cadenza trimestrale, salvo la facoltà, introdotta ora con la conversione del decreto di continuare ad inviare i dati due volte l’anno. Circa le modalità di esercizio di tale facoltà, ci sarà un provvedimento della agenzia delle Entrate.
Ridotta anche la mole di dati da comunicare; i contribuenti potranno limitarsi a trasmettere solo i dati essenziali quali la partita Iva o il codice fiscale dei soggetti coinvolti nella operazione, la data e il numero della fattura, la base imponibile, l’aliquota applicata, l’imposta o, qualora questa non sia applicata in fattura, la tipologia di operazione (esente, non imponibile, eccetera).
Inoltre, con riferimento alle fatture di importo inferiore a 300 euro, registrate mediante documento riepilogativo ai sensi dell’articolo 6 del Dpr 695/1996, serve comunicare la data ed il numero del documento, l’ammontare complessivo delle operazioni e dell’Iva distinto per aliquota.
Queste semplificazioni non vengono estese ai soggetti che, in ordine alla trasmissione dei dati delle fatture, hanno optato su base volontaria (Dlgs 127/2015), per i quali pertanto l’obbligo rimarrebbe trimestrale.
Infine, la legge di conversione ripete che sono esonerati dall’adempimento gli agricoltori in regime di esonero Iva situati in montagna (fatturato inferiore a 7mila euro nell’anno precedente) e lo estende alle amministrazioni pubbliche di cui al comma 2 dell’articolo 1 del Dlgs 165/2011 con riferimento alle fatture emesse nei confronti dei consumatori finali.
Fonte “Il sole 24 ore”

Quattro regimi per le nuove attività

Le alternative per chi intende aprire la partita Iva dal prossimo mese di gennaio 2018 sono quattro, ognuna rappresentativa di un diverso regime contabile e, conseguentemente, di un differente imponibile fiscale.
Non è possibile anticipare a priori, con certezza, quale sia il regime più conveniente per ciascuna categoria di contribuenti, ma occorre, di volta in volta, analizzare le diverse variabili adattandole al caso concreto, peraltro mettendo in conto possibili sorprese (il rinvio dell’Iri al 2018 fa scuola e non si può escludere a priori un nuovo slittamento).
Attualmente, in considerazione del fatto che il regime dei cosiddetti “minimi” (o “regime di vantaggio”, di cui all’articolo 27 del Dl 98/2011 ) è un regime a esaurimento – per il quale non sono più previsti ingressi dal 1° gennaio 2016 – le scelte possibili in sede di inizio attività sono le seguenti:
– regime forfettario (disciplinato dall’articolo 1, commi da 54 a 89 , della legge 190/2014);
– regime di contabilità semplificata (articolo 66 del Tuir e articolo 18 Dpr 600/1973 );
– regime ordinario “non Iri”, disciplinato dal Tuir;
– regime ordinario “Iri” di cui all’articolo 55-bis del Tuir.
Il primo è un regime naturale – possedendone i requisiti si applica di default – mentre gli altri sono regimi obbligati in presenza di determinati parametri (ordinaria “non Iri”) o, comunque, regimi che possono essere scelti su opzione.
In genere la scelta avviene per comportamento concludente e comunicazione “ex post” nella dichiarazione relativa al primo anno di opzione (Dpr 442/1997). Tuttavia, determinati adempimenti impongono scelte precoci: è il caso dell’implementazione dei libri contabili per il regime ordinario, o dei registri incassi e pagamenti per la “modalità di base” del regime semplificato. Lo stesso vale per l’omissione degli adempimenti, come gli obblighi Iva per i forfettari.
Le variabili in gioco sono tante. In primo luogo è opportuno chiedersi quali siano i clienti del futuro imprenditore/professionista. Se si opera quasi esclusivamente con soggetti privati, un “regime di cassa” non serve a posticipare la tassazione sugli insoluti, ma la scelta per il regime forfettario può portare a incamerare la “rendita Iva” come differenza tra quella incorporata nei corrispettivi e quella assolta (senza detrazione) sugli acquisti. In presenza di cessioni a rischio insoluto o con tempi di incasso piuttosto lunghi – si pensi a chi opera stabilmente con enti pubblici – un regime di competenza può rivelarsi penalizzante.
Anche l’aspetto dei costi da sostenere entra prepotentemente in gioco: nel regime forfettario, sono astrattamente attribuiti in percentuale sui ricavi, mentre negli altri regime la deduzione è analitica, anche se può avvenire per competenza (regime ordinario) o in modo “misto” (regime semplificato).
Altro aspetto da considerare è la complessiva situazione reddituale del contribuente. In presenza di carichi familiari, oneri deducibili o detraibili rilevanti, una imposizione sostitutiva (quale quella forfettaria o quella prevista dal regime Iri) può rivelarsi controproducente, sottraendo capienza a tali benefici.
Un regime “a due livelli” come l’Iri conviene solo se si hanno redditi d’impresa piuttosto elevati che possono essere non prelevati per un certo periodo di tempo, altrimenti le complessità conseguenti all’opzione rendono inefficiente la scelta.
Spesso una decisione non basta. È il caso di chi adotta la contabilità semplificata, per la quale il legislatore ha previsto tre diverse modalità concrete di applicazione, che portano talvolta a un differente imponibile fiscale. In alcuni casi la scelta è quasi obbligata dal tipo di attività svolta (si veda la casistica relativa ai dettaglianti riportata dalla circolare 11/E/2017 ), in altri può essere il frutto di un calcolo di convenienza dell’imprenditore, senza dimenticare che il peccato originale di questo regime (ossia l’addebito integrale delle rimanenze iniziali nel primo anno senza il correttivo del riporto a nuovo delle perdite) non è ancora stato eliminato dal legislatore, contribuendo a penalizzare chi si trova o vuole fare ingresso nella contabilità semplificata provenendo dall’ordinaria.
Il peso delle rimanenze, in assenza di aggiustamenti, diviene a volte decisivo, non solo per chi proviene dall’ordinaria ma anche per chi è abituato a riempire il magazzino alla fine dell’anno.
Non sarà estraneo alla scelta anche l’onere amministrativo richiesto, che cresce al crescere della complessità del regime, pur nella considerazione che non sempre il disporre di pochi dati rappresenta la scelta migliore (si pensi ai rapporti con gli istituti di credito, con il Fisco, alle analisi di redditività e così via).
Fonte “Il sole 24 ore”

Per l’utilizzo dei voucher non si può superare il 2017

La data del 31 dicembre per utilizzare i voucher non potrà essere superata nemmeno se la prestazione di lavoro accessorio da retribuire inizia quest’anno e prosegue nel 2018. La precisazione è stata fornita dall’Inps, con il messaggio 4752/2017 pubblicato ieri.
Dal 17 marzo di quest’anno non è più possibile acquistare i voucher per pagare le prestazioni di lavoro accessorio a causa dell’abrogazione della relativa normativa e l’introduzione di quella sul lavoro occasionale. Tuttavia fino al prossimo 31 dicembre i voucher richiesti prima del 17 marzo possono essere utilizzati nel rispetto della normativa preesistente. Tuttavia l’istituto di previdenza ieri ha precisato che nella relativa procedura informatica i committenti d’ora in avanti non potranno inserire prestazioni che iniziano o finiscono dopo il 31 dicembre 2017.
Quelle che eventualmente sono già erroneamente state inserite saranno cancellate d’ufficio, integralmente se tutte nel 2018, o parzialmente, per la parte relativa al 2018, se a cavallo di anno. In entrambi i casi il committente non sarà informato, quindi è importante verificare la situazione personale nel sistema informatico.
Gli interessati devono anche tenere presente che la procedura telematica per consuntivare i buoni lavoro utilizzati entro quest’anno sarà disponibile solo fino al 15 gennaio 2018. Dal giorno successivo l’accesso alla procedura sarà inibito.
Per eventuali importi versati entro il 17 marzo per pagare le prestazioni di lavoro accessorio, ma non utilizzate entro la fine del 2017, potrà essere chiesto il rimborso entro il 31 marzo 2018, utilizzando il modello Sc52 disponibile nel sito internet dell’Inps.
Per quelli postali e quelli acquistati presso le tabaccherie autorizzate, l’Inps invita a provvedere «tempestivamente» agli adempimenti riguardanti pagamenti e rimborsi, salvo poi precisare che per i buoni erogati dalle tabaccherie (i voucher Pea) la scadenza è fissata al 16 marzo 2018.
A inizio mese con il messaggio 4405/2017 erano già state fornite le indicazioni utili per ottenere il rimborso di somme erroneamente versate dopo il 17 marzo di quest’anno al fine di acquistare i voucher telematici. Anche in tal caso la domanda va presentata alla sede territoriale competente dell’istituto di previdenza, utilizzando il modello Sc52 a cui va allegata la ricevuta di pagamento, eccetto le transazioni avvenute con F24.
Non si sa ancora, invece, cosa succederà ai voucher tuttora acquistabili e utilizzabili per il “bonus baby sitter” cioè il contributo che le mamme possono ottenere in sostituzione del congedo parentale al fine di pagare appunto una baby sitter che si prenda cura del figlio. È questo l’unico caso in cui i voucher, in versione esclusivamente telematica, sono sopravvissuti all’abrogazione della norma.
Nel messaggio 4752/2017 pubblicato ieri si rimanda a «successive specifiche indicazioni operative». L’operatività del bonus baby sitter, salvo ulteriori proroghe, è ora prevista fino a tutto il 2018.
Fonte “Il sole 24 ore”

L’accollante non può utilizzare propri crediti per i debiti dell’accollato

Niente compensazione tra crediti dell’accollante e debiti dell’accollato, ma sono salvi i comportamenti difformi posti in essere fino al 15 novembre 2017.
L’agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 140/E del 15 novembre 2017 , entrando nel merito dell’accollo di debiti tributari altrui con utilizzo in compensazione di crediti tributari dell’accollante, fa innanzitutto presente che, in base a quanto disposto dall’articolo 8 della legge 212/2000, cosiddetto «Statuto dei diritti del contribuente», il debitore originario non è mai liberato dall’obbligazione e risponde, quindi, in solido con il terzo accollante, come anche evidenziato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 28162 del 2008, ove è stato affermato che accollarsi un debito altrui non significa «assumere la posizione di contribuente o di soggetto passivo del rapporto tributario, ma la qualità di obbligato (o coobbligato) in forza di titolo negoziale».
Pertanto, fatte tali premesse in tema di compensazione, l’agenzia delle Entrate esprime parere negativo in merito, appunto, alla compensazione con crediti dell’accollante, di debiti tributari dell’accollato. Le compensazioni, infatti, possono avvenire solo tra crediti e debiti «in essere tra i medesimi soggetti e non tra soggetti diversi».
Tra le varie sentenze richiamate nella risoluzione in commento, è il caso di citare anche quelle nn. 14874 e 18788, entrambe del 2016, attraverso le quali la Suprema Corte ha chiarito che l’eventuale compensazione è possibile «in sede di versamenti unitari delle imposte (oltre che dei contributi dovuti all’INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali) soltanto in ipotesi di crediti (a) dello stesso periodo, (b) nei confronti dei medesimi soggetti e (c) risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data» di entrata in vigore del Dlgs 241/1997.
Vista l’obbiettiva incertezza sull’argomento, dichiara l’agenzia delle Entrate, eventuali compensazioni tra crediti dell’accollante e debiti dell’accollato posti in essere prima dell’emanazione della risoluzione in commento, non sono punibili e sono da considerarsi validi. Nel caso in cui, però, il credito utilizzato in compensazione sia inesistente, resta in capo al soggetto accollato il debito tributario non assolto, con applicazione, in questo caso, delle relative sanzioni.
Per le situazioni di compensazioni tra crediti dell’accollante e debiti dell’accollato, sorte successivamente all’emanazione della risoluzione n. 140/E/2017, ancorché in virtù di patti contrattuali stipulati antecedentemente, le compensazioni in commento non sono ritenute valide e viene distinta la posizione dell’uno e dell’altro soggetto:
-l’accollato, ossia il debitore originario, resta debitore del tributo e nei suoi confronti viene recuperato il singolo tributo nonché le relative sanzioni per omesso versamento, oltre che gli interessi, con possibilità di adire all’istituto del ravvedimento operoso;
-l’accollante, che risulta aver utilizzato un credito in violazione delle norme vigenti, sarà destinatario della sanzione di cui all’articolo 13, comma 4, del Dlgs 471/1997, pari al 30 per cento del credito utilizzato, se esso è effettivamente esistente e il credito stesso ritornerà utilizzabile; ovvero della sanzione dal 100 al 200 per cento del credito utilizzato in compensazione, in base a quanto disposto dall’articolo 13, comma 5, sempre del Dlgs 471/1997, se il credito utilizzato risulta invece inesistente.
Fonte “Il sole 24 ore”

Liquidazioni Iva, in arrivo le pec sulla non conformità

In arrivo le comunicazioni di non conformità (compliance) delle comunicazioni delle fatture emesse e registrate con la liquidazione periodica Iva; ciò al fine di favorire l’adempimento spontaneo degli obblighi tributari. Infatti l’agenzia delle Entrate metterà a disposizioni le informazioni derivanti dal confronto tra i dati delle fatture acquisiti con lo spesometro e quelli delle comunicazioni delle liquidazioni Iva; in questo modo, i contribuenti che hanno omesso la comunicazione della liquidazione potranno sanare la loro posizione spontaneamente.
L’agenzia delle Entrate ha pubblicato ieri, sul proprio sito internet, il provvedimento n. 275294 con cui da attuazione ai commi 634 -636 della legge 190/2014 i quali prevedono l’adozione di un nuovo modello di cooperazione tra l’amministrazione finanziaria e i contribuenti, finalizzato a stimolare l’assolvimento degli obblighi tributari e a favorire l’emersione spontanea delle basi imponibili.
Nello specifico, l’Agenzia metterà a disposizione le informazioni dalle quali risulta che, nel trimestre di riferimento, sono state emesse fatture, e quindi comunicati telematicamente i relativi dati ai sensi dell’articolo 21 del Dl 78/2010, mentre manca la comunicazione della liquidazione Iva (articolo 21-bis dello stesso Dl 78/2010).
Le informazioni saranno trasmesse dall’agenzia delle Entrate a mezzo pec al contribuente e riguarderanno i dati fiscali e gli elementi utili per individuare la violazione commessa; inoltre, i contribuenti potranno trovare la medesima comunicazione nell’area riservata del portale dell’agenzia delle Entrate denominata “La mia scrivania”. Nell’area riservata del sito saranno, inoltre, disponibili ulteriori dati rispetto a quelli comunicati a mezzo pec, tra cui, il dettaglio dei documenti emessi e ricevuti (tipo e numero documento, data di emissione e registrazione, imponibile/importo, aliquota Iva e imposta, natura operazione e stato documento).
Come precisato nel provvedimento, le informazioni, oltre che al contribuente, sono rese note anche alla Guardia di Finanza tramite strumenti informatici.
A seguito del ricevimento della comunicazione, i contribuenti possono richiedere informazioni o fare segnalazioni direttamente o avvalendosi di intermediari abilitati. Qualora, invece, si riconosca la validità della comunicazione, è possibile procedere alla regolarizzazione di errori o omissioni secondo le modalità previste dall’articolo 13 del Dlgs 472/1997 ovvero con ravvedimento operoso. Infatti la comunicazione ricevuta a mezzo Pec non ha le caratteristiche di alcun provvedimento che impediscano il ravvedimento.
Si ricorda che ai sensi del comma 2-ter dell’articolo 11 del Dlgs 471/1997 l’omessa, incompleta o infedele comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche, è punita con la sanzione amministrativa da euro 500 a euro 2.000 e che sanzione è ridotta alla metà se la trasmissione è effettuata entro i quindici giorni successivi alla scadenza prevista o se, nel medesimo termine, è effettuata la trasmissione corretta dei dati.
Quindi nella ipotesi in cui sia stata omessa la comunicazione della liquidazione il contribuente deve provvedere alla trasmissione e versare la sanzione nella misura di un nono di 500 euro se non sono trascorsi 90 giorni (esempio liquidazione del secondo trimestre 2017) dalla scadenza originaria oppure un ottavo se il ritardo è superiore come ad esempio per la liquidazione del primo trimestre.
Fonte il sole 24 ore

Proroga pagamenti nuova rottamazione

I termini per il pagamento delle rate per la rottamazione delle cartelle scaduti nei mesi di luglio e settembre, nonché il termine della terza rata in scadenza il prossimo 30 novembre, saranno tutti posticipati al 7 dicembre. In tal senso dispone la legge di conversione del Dl 148/2017, approvata dal Senato lo scorso 16 novembre e ora in attessa del via libera definitivo della Camera . Come si ricorderà, la disciplina sulla rottamazione delle cartelle introdotta con il Dl 193/2016 ha consentito la definizione agevolata dei ruoli affidati all’ente della riscossione dal 2000 al 2016, con il pagamento delle sole somme dovute a titolo di imposta, interessi ed aggio, senza quindi sanzioni ed interessi di mora. La norma ha consentito di optare per il pagamento rateale delle somme dovute sino ad un massimo di cinque rate. In caso di rateazione, l’articolo 6, comma 3, del Dl 193/2016 ha previsto che le rate siano versate a luglio, settembre e novembre 2017 (lettera a), e ad aprile e settembre 2018 (lettera b).
Successivamente è intervenuto il Dl 148/2017 che ha posticipato i termini di versamento delle rate di luglio e settembre al 30 novembre 2017, stabilendo che: «1. I termini per il pagamento delle rate di cui all’articolo 6, comma 3, lettera a), del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225, in scadenza nei mesi di luglio e settembre 2017 sono fissati al 30 novembre 2017».
Infine, come sopra anticipato, il testo finale della legge di conversione del Dl 148/2017, approvato in via definitiva dal Senato lo scorso 16 novembre, prevede che: «All’articolo 1: al comma 1, [n.d.a.: del Dl 148/2017] le parole: “in scadenza nei mesi di luglio e settembre 2017 sono fissati al 30 novembre 2017”, sono sostituite dalle seguenti: “sono fissati al 7 dicembre 2017 e il termine per il pagamento della rata di cui alla lettera b) dello stesso articolo 6, comma 3, del decreto-legge n. 193 del 2016 in scadenza nel mese di aprile 2018 è fissato nel mese di luglio 2018”».
Pertanto, il testo finale post conversione del Dl 148/2017 stabilisce che: «1. I termini per il pagamento delle rate di cui all’articolo 6, comma 3, lettera a), del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225, sono fissati al 7 dicembre 2017».
Ciò significa che tutte e tre le rate della rottamazione in scadenza nel 2017, compresa quella fissata al 30 novembre, sono posticipate al 7 dicembre 2017. Si segnala infine che la stessa legge di conversione ha posticipato la rata in scadenza ad aprile 2018 al mese di luglio 2018; resta invece confermato il termine dell’ultima rata in scadenza a settembre 2018.
Fonte “Il sole 24 ore”

Credito d’imposta a sostegno degli investimenti pubblicitari incrementali

Con l’articolo 57-bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito con modificazioni dalla
legge 21 giugno 2017, n. 96, è stata introdotta una importante agevolazione di natura fiscale, nella
forma del credito d’imposta, sugli investimenti pubblicitari incrementali programmati ed effettuati
sulla stampa (giornali quotidiani e periodici, locali e nazionali) e sulle emittenti radio-televisive a diffusione locale.
Con l’articolo 4 del decreto-legge16 ottobre 2017, n. 148, è stato anche definito lo stanziamento
delle risorse finalizzate a questa misura: per il 2018 sono dedicati 62,5 milioni di euro, di cui:
– 50 milioni per gli investimenti sulla stampa (20 per gli investimenti effettuati nel secondo
semestre del 2017, più 30 per quelli da effettuare nel 2018);
– 12,5 milioni per gli investimenti da effettuare nel 2018 sulle emittenti radio-televisive.
La legge ha demandato ad un Regolamento di attuazione il compito di disciplinare tutti gli aspetti
della misura non direttamente regolati dalla legge, comprese le procedure operative che sono state
definite con l’Agenzia delle Entrate; il Regolamento è in corso di adozione.
Nella consapevolezza che le imprese destinatarie attendono di conoscere i contenuti caratterizzanti
di questo nuovo incentivo per pianificare i loro investimenti pubblicitari, il Dipartimento ha deciso
di pubblicare delle informazioni essenziali che seguono.
I chiarimenti che vengono illustrati qui di seguito anticipano, quindi, i contenuti principali del
Regolamento di prossima adozione.
1. Soggetti beneficiari
Possono beneficiare del credito d’imposta i soggetti titolari di reddito d’impresa o di lavoro autonomo che effettuano investimenti in campagne pubblicitarie, il cui valore superi di almeno l’1 per cento gli analoghi investimenti effettuati nell’anno precedente sugli stessi mezzi dl informazione.
2. Misura del beneficio

Il credito d’imposta è pari al 75 per cento del valore incrementale degli investimenti effettuati,
elevato al 90 per cento nel caso di microimprese, piccole e medie imprese e start-up innovative;
per microimprese, piccole e medie imprese si intendono quelle definite dalla raccomandazione
n.2003/361/CE della Commissione, del 6 maggio 2003, e dal decreto del Ministro delle attività
produttive 18 aprile 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 238 del 12 ottobre 2005; per start-
up innovative si intendono quelle definite dall’articolo 25 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179,
convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221.

Il credito d’imposta liquidato potrà essere inferiore a quello richiesto nel caso in cui l’ammontare
complessivo dei crediti richiesti con le domande superi l’ammontare delle risorse stanziate. In tal
caso, si provvede ad una ripartizione percentuale delle risorse tra tutti i richiedenti aventi diritto.

Al riguardo, è importante ricordare che i limiti di spesa sono distinti per gli investimenti sulla
stampa e per quelli sulle emittenti radio-televisive, in coerenza con il fatto che gli stessi stanziamenti delle risorse sono stati distinti dalla legge per i due tipi di media. Questo significa che, in presenza di investimenti su entrambi i media, il soggetto richiedente può vedersi riconosciute due diversi di crediti d’imposta, in percentuali differenziate a seconda delle condizioni della ripartizione su ognuna delle due platee di beneficiari.
Nel caso in cui sia accertato che l’ammontare complessivo del credito richiesto non esaurisca le
risorse stanziate, tali risorse, secondo il generale funzionamento di tali incentivi, andranno ad
incrementare la dotazione finanziaria dell’anno successivo.

3. Investimenti ammissibili

Sono ammissibili al credito d’imposta gli investimenti riferiti all’acquisto di spazi pubblicitari e
inserzioni commerciali su giornali quotidiani e periodici, nazionali e locali, ovvero nell’ambito della programmazione di emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali.
In sede di prima attuazione, il beneficio è applicabile anche agli investimenti effettuati dal 24
giugno al 31 dicembre 2017 sempre con la stessa soglia incrementale riferita all’anno precedente.
ATTENZIONE: l’estensione al secondo semestre del 2017 riguarda tuttavia i soli investimenti effettuati sulla stampa, ed in questo caso sono ammessi anche gli investimenti effettuati sui giornali on-line.

In ogni caso, gli investimenti pubblicitari devono essere effettuati su giornali ed emittenti editi da imprese titolari di testata giornalistica iscritta presso il competente Tribunale, ai sensi dell’articolo 5 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, ovvero presso il Registro degli operatori di comunicazione di cui all’articolo 1, comma 6, lettera a), numero 5, della legge 31 luglio 1997, n. 249, e dotate in ogni caso della figura del direttore responsabile.
Sono escluse dal credito d’imposta le spese sostenute per l’acquisto di spazi destinati a servizi
particolari; ad esempio: televendite, servizi di pronostici, giochi o scommesse con vincite di denaro,
di messaggeria vocale o chat-line con servizi a sovraprezzo.
Le spese per l’acquisto di pubblicità sono ammissibili al netto delle spese accessorie, dei costi di
intermediazione e di ogni altra spesa diversa dall’acquisto dello spazio pubblicitario, anche se ad
esso funzionale o connesso.

4. Limiti e condizioni di ammissibilità

Le spese per gli investimenti si considerano sostenute secondo le regole generali in materia fiscale
previste dall’art. 109 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, recante
il Testo unico delle imposte sui redditi.

L’effettività del sostenimento delle spese deve poi risultare da apposita attestazione rilasciata dai
soggetti legittimati a rilasciare il visto di conformità dei dati esposti nelle dichiarazioni fiscali, ovvero dai soggetti che esercitano la revisione legale dei conti.

ATTENZIONE: qualora il credito d’imposta richiesto sia superiore alla soglia di 150.000 euro, e richieda, pertanto, ai fini della liquidazione, l’accertamento preventivo di regolarità presso la Banca Dati Nazionale Antimafia del Ministero dell’interno, il richiedente potrà beneficiare del credito richiesto a condizione che sia iscritto (o abbia inoltrato alla Prefettura competente la richiesta di iscrizione) agli elenchi dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa, di cui all’articolo 1, comma 52, della legge 6 novembre 2012, n. 190. A questo fine, le attività svolte dai soggetti richiedenti il beneficio si considerano comunque equiparate a quelle indicate dall’articolo 1, comma 53, della stessa legge n. 190.

La soluzione di ricorrere al meccanismo delle “white list” per la fruizione del beneficio, ove
superiore alla soglia dei 150.000 euro, consentirà un decisivo snellimento della procedura di liquidazione, che diversamente sarebbe sottoposta ad una complessa verifica, presso la Banca Dati, di tutti i soggetti coinvolti nella gestione ed amministrazione delle società richiedenti.
Naturalmente, l’Amministrazione effettuerà ogni dovuto controllo sull’esito delle richieste di iscrizione, come per tutti gli altri requisiti.
Il credito d’imposta è alternativo e non cumulabile, in relazione a medesime voci di spesa, con ogni
altra agevolazione prevista da normativa nazionale, regionale o comunitaria.
Il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione, tramite il modello F24, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni.

5. Domanda di ammissione al beneficio

I soggetti interessati presentano la domanda di fruizione del beneficio nella forma di una comunicazione telematica (una “prenotazione”) su apposita piattaforma dell’Agenzia delle Entrate,
secondo il modello che ha definito la medesima Agenzia, usufruendo di una “finestra temporale”
ampia (potrebbe essere dal 1° marzo al 31 marzo di ciascun anno).

La comunicazione dovrà contenere:
– i dati identificativi dell’azienda (o del lavoratore autonomo);
-il costo complessivo degli investimenti pubblicitari effettuati, o da effettuare, nel corso
dell’anno; ove gli investimenti riguardino sia la stampa che le emittenti radio-televisive, i
costi andranno esposti distintamente per le due tipologia di media;
– il costo complessivo degli investimenti effettuati sugli analoghi media nell’anno precedente;
(per “media analoghi” si intendono la stampa, da una parte, e le emittenti radio-televisive
dall’altra; non il singolo giornale o la singola emittente);
– l’indicazione dell’incremento degli investimenti su ognuno dei due media, in percentuale ed
in valore assoluto;
– l’ammontare del credito d’imposta richiesto per ognuno dei due media;
– dichiarazione sostitutiva di atto notorio, redatta ai sensi degli articoli 46 e 47 del decreto del
presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, concernente il possesso del requisito
consistente nell’assenza delle condizioni ostative ed interdittive previste dalle disposizioni
antimafia ai fini della fruizione di contributi e finanziamenti pubblici.

6. Controlli

L’Agenzia delle Entrate e l’Amministrazione effettueranno i controlli di rispettiva competenza, in
ordine all’effettivo possesso dei requisiti che condizionano l’ammissione al beneficio fiscale; ove
sia accertata la carenza di taluno dei requisiti, e quindi l’indebita fruizione, totale o parziale, del beneficio, l’Amministrazione provvederà al recupero delle somme con le procedure coattive di
legge.
In ogni caso il Dipartimento è a disposizione per fornire ogni ulteriore chiarimento, che potrà essere richiesto con una semplice mail invia al seguente indirizzo segreteriacapodie@governo.it
Naturalmente, le risposte a quesiti che abbiano un rilievo generale saranno comunque pubblicate a
vantaggio di tutti i possibili interessati.

Bonus pubblicità, escluse le televendite

Sul bonus pubblicità per le imprese e i lavoratori autonomi che investono in campagne
pubblicitarie su quotidiani, periodici, emittenti tv e radio locali, arriva la certezza delle
regole operative. Questo è il primo e più evidente risultato della pubblicazione, sul sito
della presidenza del Consiglio dei ministri, delle procedure per permettere ad aziende e
lavoratori autonomi di richiedere il credito d’imposta sulla pubblicità incrementale per
2017 e 2018.

Una misura, questa, molto attesa dal settore editoriale nel tentativo di dare nuovo slancio
alla raccolta pubblicitaria. L’agevolazione, introdotta dalla manovra correttiva 2017 e
fortemente richiesta dalla Fieg al Tavolo Editoria, è prevista per chi farà investimenti
superiori, nel periodo interessato, dell’1% al valore degli investimenti, di analoga natura,
effettuati nell’anno precedente.
I chiarimenti che sono stati pubblicati sulla pagina web del Dipartimento per l’infomazione e l’Editoria della Presidenza del Consiglio anticipano così i contenuti del Dpcm di prossima
adozione. Nelle more del parere del Consiglio di Stato, che dovrà precedere l’adozione del
Dpcm, la pubblicazione online di questi chiarimenti operativi dà copertura all’operazione.
Mettendo anche punti fermi. Il primo: i limiti di spesa andranno distinti fra stampa, da una
parte, e radio e tv locali dall’altra. E la domanda dovrà contenere l’ammontare del credito
d’imposta richiesto per ognuno dei due media. In questo senso tutti gli investimenti dal 24
giugno al 31 dicembre sono ammissibili al credito d’imposta solo se fatti sulla stampa
(edizioni cartacee o edizioni online per tutte le testate iscritte presso il Tribunale ai sensi
della legge 47 del 1948 o presso il Registro operatori di comunicazione). Per radio e tv
locali se ne parlerà nel 2018. Sono escluse le spese per televendite, servizi di pronostici,giochi o scommesse con vincite in denaro, di messaggeria vocale o chat-line con servizi a
sovrapprezzo.

Il credito d’imposta è pari al 75% del valore incrementale degli investimenti effettuati,
elevato al 90% nel caso di microimprese piccole e medie imprese e startup innovative.
Questo bonus andrà calcolato sulla parte eccedente l’1% di incremento delle spese avute
l’anno prima. La dote a disposizione è di 62,5 milioni. Si parla di 50 milioni per gli
investimenti sulla stampa (20 per quelli effettuati nel secondo semestre 2017 più 30 da
effettuare nel 2018) e 12,5 milioni per gli investimenti da effettuare sulle emittenti radio-
televisive nel 2018. Guardando agli importi, il credito d’imposta liquidato potrà essere
inferiore a quello richiesto qualora venisse superato l’ammontare delle risorse stanziate. In
tal caso gli aventi diritto avrebbero una ripartizione percentuale delle risorse. Nel caso in
cui, invece, la dotazione finanziaria dovesse essere superiore alle richieste, le risorse
andranno a valere sulla dote dell’anno successivo. Per la fruizione del beneficio, dove
fosse superiore alla soglia dei 150mila euro, è stata scelta la soluzione del meccanismo
delle “white list”.

I bandi e le opportunità per i finanziamenti a misura d’impresa e di studio

Umbria, sostegno ai nuovi imprenditori
Il rilancio dell’occupazione giovanile è al centro del bando della Regione Umbria diretto a sostenere nuove iniziative imprenditoriali e lanciato con decreto dirigenziale 19 giugno 2017, n. 6155. La Regione stanzia 700.000,00 euro e beneficiari sono Pmi e giovani imprenditori tra i 18 e i 35 anni. I costi ammissibili coperti dal finanziamento sono quelli necessari ad avviare l’attività produttiva (costi per l’avvio dell’attività, per il primo anno di funzionamento, per locazioni di immobili, consulenze, nonché costi per acquisti di macchinari e attrezzature).
Il proponente dovrà allegare alla domanda un progetto di impresa redatto secondo uno schema che è allegato al bando. Domande dal 1° luglio 2017 al 2 gennaio 2018. La domanda e il progetto d’impresa possono essere presentati a mano o via raccomandata o via posta elettronica certificata all’indirizzo: direzionesviluppo.regione@postacert.umbria.it Valutazione a graduatoria secondo i punteggi stabiliti nel bando. Tutte le informazioni sono reperibili sul sito della Regione.

Il Lazio incentiva la sostituzione delle caldaie a biomassa

Imprese e privati cittadini del Lazio possono beneficiare del bando diretto alla sostituzione delle caldaie a biomassa legnosa. La dotazione finanziaria ammonta a 4.850.000 euro.
Gli interventi finanziabili dal bando sono di due tipi: la rottamazione e la sostituzione di vecchi generatori di calore alimentati a biomasse legnose, con generatori di calore alimentati a biomasse legnose a basse emissioni ed alto rendimento o alimentati a gas (metano, Gpl), anche integrati con pannelli o collettori solari termici; oppure l’installazione di elettrofiltri finalizzata alla riduzione delle emissioni di particolato sottile degli impianti a biomasse legnose.
Per ciascuna unità immobiliare è possibile sovvenzionare un intervento composto da una o entrambe le tipologie. Il costo del singolo intervento ammissibile non potrà comunque superare 10.000 euro per la sostituzione della caldaia e 2.000 euro per la installazione di elettrofiltri.L’agevolazione consiste in un contributo a fondo perduto pari al 60% delle spese ammesse ed effettivamente sostenute per l’intervento.
Le domande vanno presentate solo per via telematica compilando il formulario disponibile online sulla piattaforma GeCoWEB a partire dalle ore 12:00 del 17 ottobre 2017, e quindi inviando la domanda e gli allegati richiesti via Pec (posta elettronica certificata) seguendo la procedura descritta nel bando.
Qui le altre informazioni.

Lazio, garanzia Equity per aumenti di capitale sociale
Disponibili 9,6 milioni di euro per la concessione di una garanzia gratuita su aumenti di capitale sociale effettuati da vecchi e nuovi soci della Pmi, a copertura parziale (50%) del rischio. Destinatari: Pmi che presentino al momento della domanda almeno due bilanci regolarmente approvati. Domande dal 10 ottobre 2017.

Voucher digitale per PMI

Il voucher digitale per PMI è una misura agevolativa per le micro, piccole e medie imprese che prevede un contributo, tramite concessione di un “voucher”, di importo non superiore a 10 mila euro, finalizzato all’adozione di interventi di digitalizzazione dei processi aziendali e di ammodernamento tecnologico.
Con Decreto direttoriale 24 ottobre 2017 sono state definite le modalità e i termini di presentazione delle domande di accesso alle agevolazioni. Le domande potranno essere presentate dalle imprese, esclusivamente tramite la procedura informatica, a partire dalle ore 10.00 del 30 gennaio 2018 e fino alle ore 17.00 del 9 febbraio 2018. Già dal 15 gennaio 2018 sarà possibile accedere alla procedura informatica e compilare la domanda.
Le spese ammissibili devono essere riferite all’acquisto di software, hardware o servizi che consentano il raggiungimento delle seguenti finalità: miglioramento dell’efficienza aziendale; modernizzazione dell’organizzazione del lavoro; sviluppo di soluzioni di e-commerce.
Gli acquisti devono essere effettuati successivamente alla prenotazione del Voucher. Ciascuna impresa può beneficiare di un unico voucher di importo non superiore a 10 mila euro, nella misura massima del 50% del totale delle spese ammissibili.
Il Voucher può essere concesso in favore di:  micro, piccole e medie imprese (MPMI),  costituite in qualsiasi forma giuridica, che risultano possedere, alla data della presentazione della domanda, i requisiti previsti all’art. 5 del Decreto 23 settembre 2014.
 con sede legale/unità locale attiva in Italia, iscritte al Registro delle Imprese;
 non sottoposte a procedura concorsuale, che non si trovano in stato di fallimento/liquidazione anche volontaria/amministrazione controllata/concordato preventivo/altra situazione equivalente.
Possono beneficiare del voucher le imprese operanti in tutti i settori di attività economica ad eccezione di quelli esclusi dall’articolo 1 del regolamento (UE) n. 1407/2013 (aiuti “de minimis”) quali il settore della produzione primaria di prodotti agricoli e della pesca e acquacoltura. Tuttavia, qualora le imprese che operano in tali settori svolgano anche attività economiche ammissibili, le stesse possono beneficiare del Voucher a condizione che siano in possesso di un adeguato sistema di separazione delle attività o di un sistema contabile che assicuri la distinzione dei costi.
Ai fini dell’accesso alle agevolazioni, le imprese sono tenute al rispetto di tutti i requisiti individuati all’articolo 5 del Decreto 23 settembre 2014, tra cui è previsto l’obbligo, alla data di presentazione dell’istanza di Voucher, di essere iscritti al Registro delle imprese. Pertanto, gli studi professionali e, più in generale, i liberi professionisti possono accedere alle agevolazioni solo qualora svolgano la propria attività in forma di impresa e siano iscritti, alla data di presentazione della domanda, al Registro delle imprese.
Spese ammissibili:
Come stabilito dall’articolo 2 del Decreto 23 settembre 2014, le spese ammissibili devono essere riferite all’acquisto di software, hardware o servizi che consentano il raggiungimento delle seguenti finalità:
 miglioramento dell’efficienza aziendale;
 modernizzazione dell’organizzazione del lavoro;
 sviluppo di soluzioni di e-commerce;
 connettività a banda larga e ultralarga;
 collegamento alla rete internet mediante la tecnologia satellitare;
 formazione qualificata nel campo ICT del personale.
Riferimenti normativi:
– Decreto 23 settembre 2014;
– Decreto-Legge n. 145/201
Fonte “Fiscalfocus”

Solo la sentenza definitiva blocca la non punibilità

Per i reati di omesso versamento dell’Iva e delle ritenute il cui procedimento era in corso al 22 ottobre 2015, il pagamento integrale dell’imposta ai fini della non punibilità può avvenire successivamente all’apertura del dibattimento a condizione che la sentenza non sia definitiva. A precisarlo è la Corte di cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 52640 depositata ieri.
Un contribuente era condannato, sia in primo grado sia in appello, a 5 mesi di reclusione per omesso versamento dell’Iva indicata in dichiarazione. L’imputato ricorreva in Cassazione, lamentando tra l’altro l’omessa applicazione nei suoi confronti della causa di non punibilità introdotta dal Dlgs 158/2015 e prevista dall’articolo 13 del Dlgs 74/2000. Egli aveva in corso, infatti, un piano di rateizzazione che sarebbe terminato a breve con il pagamento dell’intera pretesa.
In base alla nuova formulazione del citato articolo 13 i reati di omesso versamento di ritenute, Iva e indebita compensazione di crediti non spettanti, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative ed interessi, siano stati estinti mediante integrale pagamento.
La Corte di appello riteneva non applicabile tale causa di non punibilità perché nella specie il procedimento era già in secondo grado. La Cassazione ha invece ritenuto fondata la doglianza.
Secondo i giudici di legittimità la nuova previsione è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto (22 ottobre 2015) e ciò anche se il dibattimento sia già stato aperto, purché non vi sia sentenza definitiva.
In caso di rateizzazione il giudice deve riconoscere un ulteriore termine di tre mesi, anche se è già aperto il dibattimento.
La natura assegnata al pagamento del debito, riguardante la punibilità del reato, comporta la sua applicazione a tutti i procedimenti in corso, anche ove sia stato oltrepassato il limite temporale previsto dalla norma. Il principio di uguaglianza vieta trattamenti differenti per situazioni uguali ed impone così che il pagamento assuma la medesima efficacia estintiva per i procedimenti in corso all’entrata in vigore della norma. Se così non fosse, vi sarebbe un’ingiustificabile disparità di trattamento per le quali potrebbe prospettarsi una questione di illegittimità costituzionale.
Da evidenziare che in precedenza la Cassazione aveva già affermato il medesimo principio (sentenze 40314/2016 e 11417/2017), tuttavia, di recente aveva, al contrario, ritenuto inapplicabile la causa di non punibilità ai procedimenti in corso con apertura del dibattimento già avvenuta (sentenza 30139/2017).
Fonte ” Il fisco”

Società estinte, l’estensione dei tempi di riscossione non è retroattiva

L’amministrazione finanziaria avrà a disposizione ben cinque anni per incassare le debenze dalle società cessate ma esclusivamente qualora l’istanza di cancellazione risulti depositata successivamente al 13/12/2014 in quanto, la disciplina accolta nell’articolo 28 del Dlgs 175/2014, che ha esteso le tempistiche di recupero per le poste debitorie esigibili da parte dell’agenzia delle Entrate, non può essere considerata retroattiva e, di conseguenza, è in grado di manifestare la sua efficacia esclusivamente qualora la procedura di cessazione risulti essere stata innescata successivamente all’entrata in vigore del decreto legislativo menzionato. A questa conclusione è giunta la Suprema Corte la quale, attraverso l’ordinanza 20427/2017 (conformi Cassazione, sentenza 6743/2015, 18385/2015, 19142/2016) ha cassato il ricorso depositato dall’amministrazione finanziaria. I Giudici del Palazzaccio hanno infatti chiarito che «l’articolo 28, comma 4, del Dlgs 21 novembre 2014, n. 175, recante disposizioni di natura sostanziale sulla capacità delle società cancellate dal registro delle imprese, non ha valenza interpretativa, neppure implicita, e non ha, quindi, alcuna efficacia retroattiva. Ne consegue che il differimento quinquennale (operante nei confronti soltanto dell’amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione indicati nello stesso comma, con riguardo a tributi e contributi) degli effetti dell’estinzione della società derivanti dall’articolo 2495, comma 2, Codice civile, si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese (che costituisce il presupposto di tale differimento) sia presentata nella vigenza della nuova disciplina di detto Dlgs, ossia il 13 dicembre 201, o successivamente”.
In buona sostanza l’Ufficio può contare su un intervallo di tempo superiore per incassare i propri crediti maturati nei confronti delle società (di capitali e di persone), il cui liquidatore ha presentato un’istanza di cancellazione in quanto, seguendo il disposto del comma 4, articolo 28, l’efficacia della cessazione di una società, qualora scaturisca da un’istanza di estinzione volontaria dal registro delle imprese, risulta essere differita di cinque anni dalla richiesta di depennamento limitatamente a comparti tributario e contributivo. Pertanto la cancellazione presentata, per tutta la durata del menzionato quinquennio non inertizza la validità e l’efficacia degli avvisi di accertamento, liquidazione e riscossione afferenti ai tributi e ai contributi e alle relative sanzioni e interessi oltre che degli atti processuali.
Una parte della dottrina è dell’avviso che l’enunciazione contenuta nel comma 4 dell’articolo 28 del Dlgs 175/2014 fosse funzionale a soddisfare l’esigenza di sanare gli atti invalidi notificati, in passato, dall’agenzia delle Entrate nei confronti delle società cancellate dal registro delle imprese. A conferma di tale tesi l’amministrazione finanziaria, attraverso le circolari n. 31/E/2014 e 6/E/2015, ha avuto modo di articolare, asserendo la natura di norma “procedimentale” della disciplina, al fine di ascrivere una valenza retroattiva in grado di “accomodare” il passato. La tesi sostenuta dall’Ufficio risulta essere però inammissibile, considerata la manifesta valenza sostanziale della disposizione, tenuto conto che la medesima influisce palesemente sulla sedicente capacità giuridica della società cancellata.
Il nostro convincimento è tuttavia che la disposizione contenuta nel Dlgs 175/2014, risultando illegittima, non possa trovare applicazione nemmeno nei confronti delle società cancellate a far data dal 13/12/2014 in quanto, alle irresolutezze evidenziate dagli Ermellini attraverso la sentenza n. 6743/2015, secondo la quale la disciplina genererebbe una ingiustificata disuguaglianza di trattamento tra i differenti creditori della società, la medesima disposizione apparirebbe promulgata travalicando gli ambiti di competenza attribuiti agli articoli 1 e 7 della Legge di Delegazione n. 23/2014 e tutto ciò condurrebbe a qualificarla come illegittima. Risulta infatti evidente che una società cancellata dal registro delle imprese non è in grado di intraprendere un giudizio e, di conseguenza, la disciplina contenuta nell’articolo 28 del Dlgs 175/2014 non consente al soggetto chiamato in causa di esercitare il proprio diritto di difesa, tutelato dall’articolo 24 Costituzione. Tale considerazione è stata condivisa anche dai Giudici del Palazzaccio che, nella menzionata sentenza n. 6743/2015, hanno sostenuto che il ricorso proposto da una società estinta risulta essere inammissibile in conseguenza del difetto di capacità della società e dell’improponibilità del ricorso stesso.
Fonte “Il fisco”

Una sanzione per ogni omissione

Marcia indietro della Cassazione sull’applicazione del cumulo giuridico alle sanzioni relative agli omessi versamenti. Con l’ordinanza n. 27068 depositata la scorsa settimana (si veda questo articolo ), i giudici di legittimità hanno escluso il cumulo per questa tipologia di violazione giungendo a conclusioni opposte rispetto a quanto espresso nella sentenza 21570/2016. Un cambio di orientamento rilevante perché, dopo la pronuncia del 2016, molti contribuenti hanno impugnato gli atti dell’amministrazione sugli omessi o ritardati versamenti di imposta senza applicazione del cumulo. Secondo l’interpretazione dell’amministrazione finanziaria, infatti, è da escludersi una simile possibilità.
Da notare che in presenza di omessi o tardivi versamenti, salvo errori dell’ufficio (in genere ravvedimenti non considerati) o difetti di notifica dell’agente della riscossione, difficilmente ci sono validi motivi da eccepire nell’impugnazione trattandosi di violazioni abbastanza evidenti.
Il precedente orientamento della Cassazione aveva così consentito, in presenza di plurime violazioni, la contestazione dell’operato dell’amministrazione almeno sul calcolo della sanzione irrogata.
Il precedente orientamento
Nella vicenda affrontata lo scorso anno, a una società era notificata una cartella di pagamento per omesso versamento di imposte liquidate dal contribuente, nella specie si trattava di Iva, Irpef, Irap, ritenute, oltre interessi e sanzioni. Il provvedimento veniva impugnato lamentando, tra i diversi motivi, l’omessa applicazione del cumulo giuridico sulle sanzioni. I giudici di merito di entrambi i gradi di giudizio accoglievano la tesi favorevole al contribuente.
L’agenzia delle Entrate ricorreva allora in Cassazione contestando, in estrema sintesi, un’errata interpretazione della norma. La Suprema Corte, respingendo i motivi dell’Ufficio, rilevava che il cumulo giuridico prevede in linea generale, l’applicazione di una sanzione unica e ridotta (cosiddetto cumulo giuridico) in luogo di quella derivante dalla somma delle sanzioni relative ai singoli illeciti (cosiddetto cumulo materiale).
Nell’ipotesi di omessi versamenti la sanzione è disciplinata dall’articolo 13 del Dlgs 471/97, il quale si limita a determinarne l’ammontare nella misura del 30% (la norma riformata prevede anche misure differenti in relazione a pagamenti tardivi). Tuttavia, la disposizione non esclude espressamente l’applicazione dell’istituto del cumulo giuridico, con la conseguenza che può ritenersi applicabile anche per tali violazioni. Si tratta, infatti, di un istituto la cui funzione è di attenuare il maggior rigore delle sanzioni che potrebbero derivare dal cumulo materiale. La sua applicazione non è facoltativa per gli uffici, poiché questi ultimi devono verificare in concreto la sanzione meno gravosa per il contribuente; non rileva peraltro né l’ambito temporale, non essendo cioè limitato allo stesso periodo di imposta, né oggettivo, potendosi applicare alla generalità dei tributi ed anche tra violazioni riguardanti lo stesso tributo.
Il revirement
Anche nel procedimento posto a base dell’ordinanza della Cassazione depositata ieri, a una società erano stati contestati con cartella di pagamento ripetuti tardivi omessi versamenti di imposta. Nella specie però la Suprema Corte ha ritenuto che per tali violazioni non sia possibile determinare le sanzioni considerando la continuazione.
Nella circostanza i giudici di legittimità hanno evidenziato che l’istituto del cumulo concerne le violazioni potenzialmente incidenti sulla determinazione dell’imponibile o sulla liquidazione del tributo. Il ritardo o l’omissione del pagamento è, invece, una violazione che attiene all’imposta già liquidata contenuta nella dichiarazione presentata dal contribuente, per la quale la norma disciplina un trattamento sanzionatorio proporzionale e autonomo per ciascun mancato pagamento.
Fonte “Il fisco”

Possibile il ravvedimento con pagamento frazionato

Il versamento delle somme dovute per il ravvedimento operoso può anche avvenire in via frazionata cumulando così i vantaggi del ravvedimento “breve” con quelli del ravvedimento “lungo” perché il ravvedimento operoso (totale) può avvenire sia con un pagamento unico sia con un pagamento frazionato. È il principio che l’ufficio ha tentato di negare e che la Ctr Sardegna ha ribadito (sentenza 223/5/17, presidente e relatore La Rocca) , condannando l’amministrazione al pagamento delle spese processuali.
La vicenda
Una Srl omette il versamento dell’Iva del 2005, si avvale poi della proroga normativa intervenuta il 26 luglio 2005 e rimedia effettuando distinti versamenti frazionati per imposta, sanzioni e interessi.
La prima tranche viene pagata entro il termine breve di 30 giorni con corresponsione della sanzione ridotta al 3,75%; la seconda e ultima tranche viene versata oltre i 30 giorni ma entro la data di presentazione della dichiarazione Iva corrispondendo la sanzione ridotta al 6 per cento.
L’amministrazione, tuttavia, considera tardivi entrambi i versamenti e iscrive a ruolo la differenza tra quanto dovuto in base alle sanzioni ordinarie del 30% cento e quanto pagato nei due casi (3,75 e 6%), vale dire il 26,25 e il 24 per cento.
Il contribuente, invece, si difende sostenendo che l’illegittimità del recupero operato dallìufficio, in quanto il ravvedimento operoso può anche essere effettuato in maniera frazionata.
Di parere diverso il Fisco, secondo cui il ravvedimento operoso non consentirebbe il pagamento scaglionato, in quanto il versamento dell’imposta dovrebbe avvenire interamente entro lo stesso limite temporale di quello delle sanzioni ridotte sulla base dell’articolo 13, comma 2, del Dlgs 472/1997 .
La tesi dell’amministrazione viene bocciata sia in primo che in secondo grado.
Le motivazioni
Secondo la Ctr, il contribuente ha correttamente operato nel rispetto della risoluzione 67/E del 23 giugno 2011 effettuando, in assenza di controlli, il versamento integrale del dovuto in forma frazionata nel termine massimo consentito conteggiando congruamente per ciascuna rata – o meglio per ciascuna frazione di tributo – oltre all’imposta originariamente non versata, anche sanzioni ed interessi (ridotti in base al momento in cui è avvenuto il pagamento).
Sotto questo profilo, il comportamento del contribuente risulta coerente con quanto previsto dalla stessa risoluzione 67/E, che ha escluso la possibilità di considerare perfezionato il ravvedimento, quando il contribuente versa solo la “prima rata”, pretendendo poi di avere sanzioni e interessi ridotti anche per gli importi versati oltre il termine ultimo.
Fonte “Il fisco”

La lettera d’intento batte lo split payment

Il reverse charge e la non imponibilità Iva, anche da lettera d’intento, hanno la precedenza rispetto allo split payment. Tra inversione contabile e non imponibilità, secondo le Entrate, non è invece possibile fissare una regola generale di prevalenza. Queste sono le conclusioni cui si può pervenire confrontando l’interpretazione fornita dall’Agenzia con la circolare 27/E/2017 e i precedenti orientamenti.
Il reverse charge
Il meccanismo della scissione dei pagamenti trova un primo arresto, per espressa previsione normativa, nel caso in cui l’operazione rientri nell’ambito del reverse charge. Infatti, è lo stesso articolo 17-ter del Dpr 633/1972 a stabilire che lo split payment scatta per le prestazioni di servizi e le cessioni di beni per i quali i committenti/cessionari non sono debitori dell’imposta in base alle disposizioni in materia d’imposta sul valore aggiunto.
Pertanto, se una società che ricade nel regime effettua degli acquisti nell’esercizio dell’impresa per i quali è prevista l’inversione contabile, non si applicherà lo split payment. È questo il caso delle operazioni elencate negli articoli 17 , commi 5 e 6, e 74, commi 7 e 8, del Dpr 633/1972, e, ovviamente, quello degli acquisti di beni (anche intracomunitari) e di servizi rilevanti in Italia da fornitori non residenti.
Per gli acquisti effettuati dalla Pa è necessario distinguere. Il reverse charge trova applicazione per:
• gli acquisti interni afferenti la sfera commerciale;
• gli acquisti intracomunitari di beni, se l’ente è un soggetto passivo;
• gli acquisti intracomunitari di beni, se l’ente non è soggetto passivo, ma si è identificato ai fini Iva in conseguenza del superamento della soglia di 10mila euro o per opzione;
• i servizi acquisiti, rilevanti in Italia, se l’ente è dotato di partita Iva.
La lettera d’intento
Allo stesso modo, lo split payment non si applica se l’acquirente, in possesso dello status di esportatore abituale, invia la dichiarazione d’intento al proprio fornitore. Infatti, come condivisibilmente affermato dall’agenzia delle Entrate, in questi casi l’operazione risulta non imponibile. Il chiarimento è in linea con quanto affermato nella circolare 1/E/2015 , dato che lo split payment riguarda le operazioni documentate mediante fattura che indichi, tra l’altro, l’imposta addebitata.
L’interpretazione ha inoltre il pregio di consentire agli esportatori abituali che oggi rientrano tra i destinatari della scissione dei pagamenti di mantenere inalterato il proprio comportamento con riferimento alla gestione del plafond.
Secondo quanto affermato nella circolare 14/E/2015 , la dichiarazione d’intento non ha invece alcun effetto sulle operazioni assoggettabili al meccanismo del reverse charge che, viste le finalità antifrode, costituisce la regola prioritaria.
Appare quindi evidente il differente approccio seguito dall’amministrazione finanziaria benché anche la disposizione riguardante lo split payment sia stata fin da subito (circolare 1/E/2015) ricondotta tra quelle volte a innovare il sistema di riscossione dell’imposta, al fine di ridurre il “Vat gap” e contrastare i fenomeni di evasione e le frodi Iva.
Il disorientamento aumenta se consideriamo che con la circolare 37/E/2015 è stata sostenuta la prevalenza della non imponibilità, anche se in questo caso “propria” dell’operazione effettuata (servizi internazionali), rispetto al reverse charge.
Gli altri «incroci»
Coerente con la funzione antifrode della disciplina è invece la previsione dell’applicazione prioritaria dello split payment rispetto al regime per cassa (articolo 32-bis, decreto legge 83/2012 ): sia il reverse charge (circolare 14/E/2015) che lo split payment (circolare 27/E/2017) hanno la precedenza.
Nel paragrafo 6 della circolare 27/E/2017 viene poi ricordato che quando il fornitore emette una nota di variazione in diminuzione che si riferisce a fatture emesse prima dell’entrata in vigore dello split payment, alla stessa si applicano le regole ordinarie.
Nell’ipotesi di variazione di una fattura originaria non imponibile a fronte del ricevimento della lettera d’intento, la nota di variazione dovrebbe recare il titolo di non imponibilità.
Fonte “Il fisco”

Concorso in bancarotta per i sindaci che omettono i controlli

Sì alla condanna per concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale a carico dei sindaci che, malgrado fosse evidente che le condotte degli amministratori potevano determinare il fallimento della società, non hanno impedito l’evento omettendo i controlli. La Cassazione, con la sentenza 52433/2017 , afferma la corresponsabilità nel reato del presidente del collegio sindacale e di un componente del collegio di una Spa i cui amministratori, in un separato giudizio, avevano patteggiato una pena per una vasta gamma di operazioni illegali, dall’eccesso abusivo al credito all’eccessivo accantonamento delle indennità di infortunio dei lavoratori, dall’illegittima contabilizzazione dei costi per lo smaltimento dei rifiuti ai finanziamenti alle società a loro riconducibili.
Secondo la corte d’appello le azioni dei vertici erano così macrospiche da non poter “sfuggire” al controllo dei sindaci, per questo i fatti reati andavano imputati anche a loro. I ricorrenti contestano la lettura dei giudici di merito, condivisa invece dalla Cassazione, per la parte in cui, alla contestazione del reato per aver determinato il fallimento, per effetto delle operazioni dolose (articolo 223, comma 2 n.2 della legge fallimentare), sia seguita una condanna per bancarotta distrattiva o dissipativa (articolo 223 comma 1 della legge fallimentare). Per i giudici però il rimando alle distrazioni è coerente con le fattispecie contestate e la conclusione raggiunta in linea con la giurisprudenza di legittimità che ha definito i contorni del reato di determinazione del fallimento per effetto di operazioni dolose. Una fattispecie – precisano i giudici – che si distingue dalle ipotesi generali di bancarotta fraudolenta patrimoniale in quanto la nozione di “operazione” presuppone una modalità di pregiudizio patrimoniale che non dipende direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione) «bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante in procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato».

I giudici respingono poi anche l’appunto secondo il quale i giudici di merito avrebbero dedotto la responsabilità dei sindaci una volta appurate le “colpe” degli amministratori grazie al patteggiamento fatto da questi ultimi. La Cassazione però precisa che i giudici di merito non hanno fondato il loro giudizio solo sul fatto storico della dell’applicazione della pena da parte dei membri del board, ma hanno ricostruito le loro condotte, presupposto della responsabilità dei sindaci, specificando tutti gli elementi di prova.
Fonte “Il fisco”

Bonus prima casa anche se l’abitazione non è idonea

La titolarità del diritto di proprietà di un’abitazione “inidonea” sia per circostanze oggettive (casa inabitabile) sia per circostanze soggettive (allargamento della famiglia) non impedisce l’acquisto di un’altra abitazione con l’agevolazione “prima casa”: lo ha stabilito la Cassazione con l’ordinanza 27376 del 17 novembre 2017.
La questione non è nuova perché la Cassazione ha recentemente affermato (ordinanza 14740 del 13 giugno 2017, si veda questo articolo ) che la casa divenuta soggettivamente inidonea è di ostacolo all’agevolazione “prima casa” se il contribuente in questione ne voglia acquistare un’altra. C’è però da rammentare che questa pronuncia n. 14740 fece scalpore perché, con essa, la Cassazione ha invertito la sua precedente giurisprudenza di segno contrario (le sentenze 18128/2009, 100/2010 e 3931/2014), nella cui scia si era accodata anche la giurisprudenza di merito: Ctp Alessandria, 22/2010, Ctp Matera, 820/2011, Ctr Lombardia 2970/2014, Ctr Lombardia 4272/2015, Ctp Milano 5888/2016.
In passato, per un breve periodo (dal 24 gennaio 1993 al 31 dicembre 1995), la legge sull’agevolazione “prima casa” aveva concesso il beneficio a chi avesse dichiarato «di non possedere altro fabbricato … idoneo ad abitazione» (Dl 16/1993 e Dl 155/1993). Prendendo però atto del fatto che il giudizio di “idoneità” di un’abitazione comportava una forte discrezionalità nella osservazione dei singoli casi concreti (dovendosi tener conto sia delle caratteristiche del fabbricato sia delle esigenze personali del contribuente e della sua famiglia) il legislatore eliminò ben presto (con la legge 549/1995) il riferimento all’idoneità della abitazione preposseduta, viceversa stabilendo (con norma ancor oggi vigente) che l’agevolazione fiscale è impedita per il solo fatto della titolarità di una abitazione, senza più riferimento alla sua idoneità, o meno, per le esigenze abitative del contribuente.
Cosicchè, dal 1° gennaio 1996 alla sentenza di Cassazione 7 agosto 2009 n. 18128 nessuno ha mai più dubitato che, per l’ottenimento dell’agevolazione “prima casa”, occorresse considerare anche il requisito della idoneità dell’abitazione preposseduta. Nel 2009 invece la Suprema Corte ha improvvisamente ritenuto che «il requisito della “impossidenza di altro fabbricato … sussista nel caso di carenza di un altro alloggio concretamente idoneo a sopperire ai bisogni abitativi». Non è dato sapere se questa sentenza fu il frutto di un errore (e cioè di ritenere applicabile al caso oggetto del giudizio una normativa invece abrogata). Il fatto è che la giurisprudenza successiva, sopra menzionata (almeno, stando alle pronunce pubblicate), si è adeguata pedissequamente, nonostante l’Agenzia delle Entrate abbia cercato di fare argine con la risoluzione 86/E del 20 agosto 2010, nella quale ha negato la rilevanza dell’inidoneità soggettiva della casa preposseduta.
C’è infine da notare, peraltro, che l’Agenzia delle Entrate, nella risoluzione n. 107 del 1° agosto 2017 (nonché nella predetta risoluzione 86/2010), ha sancito che la proprietà di una casa divenuta oggettivamente inidonea ad essere abitata (ad esempio, a causa del terremoto) non impedisce al contribuente di comprarne un’altra, avvalendosi dell’agevolazione “prima casa”.
Fonte “Il fisco”

Equo compenso già per i contratti in corso

Poco più di un mese fa, il Consiglio di Stato aveva considerato legittimo un appalto pubblico di servizi professionali al compenso simbolico di un euro. Il legislatore idealmente risponde con una modifica alla legge forense, introducendo nel Dl fiscale appena approvato al Senato (si veda questo articolo ) due nuove tutele per i lavoratori autonomi – il diritto a un «equo compenso» e il divieto di «clausole vessatorie». L’obiettivo sono gli affidamenti standardizzati di servizi professionali ripetitivi, come il recupero dei crediti, che ormai molte imprese, e talvolta anche le amministrazioni, fanno a condizioni ridotte all’osso. Le nuove tutele si aggiungono e in parte si sovrappongono a quelle che la legge 81/2017 ha previsto per la «clausole abusive» e gli abusi di dipendenza economica nei confronti dei lavoratori autonomi.
Le norme nascevano per i soli avvocati ma nella redazione finale del testo la loro applicazione è stata estesa a tutti i lavoratori autonomi. Esse riguardano i rapporti, anche in essere, tra i professionisti e i loro clienti grandi imprese, banche e assicurazioni in testa, quando sono regolati da convenzioni predisposte unilateralmente dalle imprese. Negli incarichi conferiti dopo la nuova legge, il diritto all’equo compenso dovrà essere garantito anche dalle pubbliche amministrazioni.
Il parametro per stabilire l’«equità» del compenso è simile a quello dell’articolo 36 della Costituzione sulla retribuzione del dipendente: il compenso deve essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione. Nell’articolo 36 la concretizzazione del criterio è di fatto rimessa ai contratti collettivi, qui la legge rinvia a successivi decreti ministeriali.
Le clausole «vessatorie» sono invece individuate sulla falsariga del codice del consumo, come quelle che creano un «significativo squilibrio» contrattuale a carico del professionista. La norma elenca i casi tipici di vessatorietà, sempre che le clausole non siano frutto di una trattativa e di un’approvazione specifica. Ad esempio, il potere di rifiutare la stipulazione del contratto in forma scritta, l’anticipazione delle spese da parte del professionista, il pagamento a termini superiori a sessanta giorni. C’è poi una lista nera di clausole che sono vessatorie anche se oggetto di trattativa e approvazione: il potere del cliente di modificare unilateralmente il contratto e di esigere prestazioni aggiuntive gratuite.
Le clausole con compensi iniqui o vessatorie sono nulle, secondo un regime speciale. Per le clausole vessatorie la nullità è del genere cosiddetto di protezione, la può far valere solo il professionista e comunque non si estende al resto del contratto. Anche in questo caso, la soluzione è in linea con il codice del consumo. Per il compenso non equo è prevista la sostituzione con il compenso determinato dal giudice. L’azione di nullità non è imprescrittibile, come sarebbe per regola generale, e va proposta a pena di decadenza entro ventiquattro mesi dalla firma delle convenzioni.
Nell’insieme, non si può dire che le nuove norme siano un semplice ritorno al passato, ai tempi delle tariffe professionali minime. La legge prova a correggere alcuni rapporti di forza nei quali il professionista è considerato il contraente debole. Forse questo è anche il limite dell’intervento. Le norme affrontano il problema senza una riflessione più generale sulla natura dei servizi coinvolti e senza domandarsi se, in definitiva, occorra ripensare anche le forme in cui i professionisti si organizzano per svolgerli e la loro disciplina uniforme.
Fonte Il fisco

Registri Iva senza obbligo di stampa cartacea

Stop all’obbligo di stampa cartacea dei registri Iva gestiti in modalità elettronica. Basterà, infatti, tenere aggiornati i registri digitali relativi a fatture emesse ed acquisti per stamparli in sede di accesso, ispezione o verifica a seguito della richiesta avanzata dagli organi procedenti e in loro presenza. È una delle novità introdotte dal maxiemendamento al decreto fiscale collegato alla manovra e approvato dal Senato in prima lettura (il testo ora è passato all’esame della Camera).
Ma vediamo meglio nel dettaglio. L’equiparazione degli effetti della registrazione meccanografica non trascritta a quelli della modalità cartacea viene estesa anche ai fini Iva per la tenuta del registro delle fatture di acquisto e di vendita con sistemi elettronici.
Pertanto, se a seguito di un accesso, ispezione o verifica, i dati memorizzati digitalmente risultano aggiornati e a richiesta viene eseguita la stampa immediata sui registri cartacei, gli organi verificatori dovranno constatare la regolarità della tenuta dei registri.
Con la modifica normativa il legislatore ha previsto, limitatamente ai registri Iva tenuti mediante sistemi elettronici e senza alcun riferimento all’esercizio a cui si riferiscono le registrazioni, che in sede di verifica gli organi di controllo non possono contestare l’irregolarità dell’omessa trascrizione nei registri Iva cartacei a patto che i dati inseriti nel sistema informatico siano aggiornati e prontamente stampati su richiesta.
La possibilità di assolvere agli obblighi fiscali mediante la dematerializzazione dei documenti è stata attutata con l’articolo 7 del Dl 357/1994 . Quest’ultimo provvedimento permette di tenere le scritture contabili con modalità informatiche aventi piena efficacia giuridica, ma non costituisce un’eccezione alle norme della stampa dei dati contabili nei registri cartacei.
Scopo della disposizione è quello di semplificare i processi amministrativi causati dal differimento temporale della registrazione per effetto dell’utilizzo degli strumenti meccanografici. Pertanto, la regolarità della tenuta delle scritture contabili, in assenza di annotazione su carta, è da ritenersi conforme se i dati, che si riferiscono all’esercizio corrente, risultano aggiornati ed immediatamente stampabili su richiesta.
La nuova disposizione introdotta all’interno del decreto fiscale recepisce la proposta che il Cndcec aveva indicato in previsione della legge di Stabilità 2016. E l’intervento normativo in questione potrebbe avere l’effetto di far decadere tutte le contestazioni che basano il disconoscimento del diritto alla detrazione sebbene il contribuente, pur avendo tenuto i registri con sistemi elettronici, non provvede a stamparli su carta.
Quotidiano “Il fisco”

Auto aziendali dedotte al 20%

I costi delle auto aziendali non possono essere dedotti integralmente, ma subiscono il taglio al 20% anche se si tratta di beni utilizzati solo per l’attività dell’imprenditore. Per le Entrate, infatti, la deduzione piena si può avere solo per auto senza le quali «l’attività non può essere esercitata». Lo stupore per questa normativa è contenuta nella mail che un imprenditore ha inviato alla casella ilmiogiornale@ilsole24ore.com . (LA TABELLA )
Per il reddito d’impresa, però, la deduzione di ammortamenti, canoni di leasing o noleggio, spese di manutenzione, assicurazione, custodia, carburanti, tassa di circolazione ecc., è piena (quindi, non ridotta al 20%, al 50% per i minimi e i forfettari o all’80% per gli agenti, con limiti massimi di spesa rilevante fiscalmente) solo per i seguenti veicoli:
autocarri, a patto che abbiano un rapporto tra potenza e portata inferiore al coefficiente 180 (provvedimento Entrate 6 dicembre 2006), autobus, trattori stradali, autotreni, autoarticolati, autosnodati, mezzi di trasporto non a motore (biciclette e gondole) (circolare 1/E/2007), a patto che siano inerenti all’attività d’impresa (circolare 48/E/1998 e risoluzione 244/E/2002);
i veicoli adibiti a uso pubblico, come taxi e Ncc , muniti di licenza comunale (articolo 164, comma 1, lettera a, punto 2, Tuir);
autovetture, autocaravan, aeromobili da turismo, navi e imbarcazioni da diporto (articolo 54, comma 1, lettere a e m, Dlgs 285/1992), ciclomotori e motocicli, utilizzati «esclusivamente come beni strumentali nell’attività propria dell’impresa» (articolo 164, comma 1, lettera a, punto 1, Tuir, regola valida solo per le imprese e non per i professionisti, circolare 48/E/1998), cioè «senza i quali l’attività stessa non può essere esercitata», come le autodelle imprese che effettuano noleggi o leasing (circolari 48/E/1998, 11/E/2007, risposta 8.2, 13 febbraio 1997 n. 37/E e risoluzione 59/E/2007) o quelle utilizzate dalle autoscuole (circolare 11/E/2007).
I costi delle altre autovetture, quindi, non sono deducibili al 100%, ma al 20% (80% per gli agenti e 50% per i minimi e i forfettari), come le auto usate per pubblicizzare i servizi offerti, tramite l’allestimento all’esterno di messaggi pubblicitari e marchi d’impresa (circolari 1/E/2007 e 50/E/2002) o per i mezzi che gli alberghi utilizzano per il trasporto dei clienti verso impianti di risalita, piste da sci, scuole di sci, servizi di noleggio, stazioni ferroviarie, aeroporti. In questi casi, per le Entrate non ricorrono gli elementi per ritenere detti beni utilizzati esclusivamente come beni strumentali nell’attività dell’impresa, in quanto non sono beni senza i quali l’attività non può essere esercitata (interrogazione parlamentare del 3 agosto 2016, n. 5-09338).

 

 

 

Residenza fiscale

Non sono sufficienti a integrare il requisito del domicilio in Italia ex art. 43 Codice civile richiamato dall’articolo 2 Tuir la sussistenza di interessi personali e familiari, in assenza della prova della conservazione nel nostro paese di interessi patrimoniali ed economici.
Questo è il principio ricavabile dalla lettura della sentenza della Ctp di Varese n. 402 depositata lo scorso 14 settembre 2017 che ha accolto il ricorso di un cittadino italiano emigrato dal 1974 in Venezuela, che aveva man mano ivi spostato (e in altri Paesi) i propri interessi di natura imprenditoriale e il cui collegamento con lo Stato Italiano era costituito principalmente da elementi (titolarità di un complesso immobiliare, di utenze, di un conto corrente, di un’autovettura) che trovavano giustificazione nel mantenimento del coniuge (asseritamente separato di fatto), residente in Italia.
Secondo l’amministrazione finanziaria il soggetto era da intendersi fiscalmente residente in Italia con tutte le conseguenti riprese a tassazione, atteso che per “domicilio” deve intendersi il luogo in cui il soggetto ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi non solo di natura economica ma anche personali, affettivi, sociali e familiari.
La Ctp di Varese rigetta la tesi dell’ufficio interpretando rigidamente, in un’ottica puramente economica, la locuzione «sede principale dei suoi affari ed interessi» contenuta nella definizione di “domicilio”, affermando l’assoluta irrilevanza degli indizi relativi alla conservazione in Italia di interessi personali o familiari, in assenza della prova per l’appunto del mantenimento nel nostro Paese di interessi patrimoniali ed economici.
Si tratta di una decisione dal carattere senz’altro innovativo, portatrice di una tesi che, pur trovando un forte supporto in dottrina, è però costantemente rigettata dalla Suprema Corte di Cassazione che da sempre accoglie, ai fini fiscali, una nozione molto ampia di domicilio, in linea con la prassi dell’amministrazione finanziaria, e ove semmai il punto ancora oggetto di dibattito, in assenza di un appiglio normativo, riguarda il criterio di prevalenza tra gli interessi economici-patrimoniali e quelli personali-affettivi.
Sotto questo profilo va ricordato che, nonostante l’orientamento maggioritario della Cassazione dava prevalenza ai rapporti personali affettivi, con la sentenza n. 6501 del 31 marzo 2015, i giudici di legittimità hanno invece inteso enfatizzare il centro degli interessi economici quale criterio per individuare la residenza fiscale dell’individuo. Con la successiva sentenza n. 12311 del 15 giugno 2016, la Corte di Cassazione è però tornata all’impostazione precedente, quindi ad oggi non vi è ancora un cristallino orientamento sul tema, restando imprescindibile una valutazione caso per caso.

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Firma digitale per gli atti societari

Con un intervento contenuto nel maxiemendamento al Dl 148/2017 approvato ieri dal Senato, il legislatore apre la strada ai fini fiscali alla sottoscrizione digitale di alcuni atti societari che determinano il trasferimento di azioni o quote societarie la trasformazione e la fusione di società, nonché i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento di imprese soggette a registrazione. In questo modo si vuole rendere più semplice e meno oneroso per le imprese la realizzazione di determinate operazioni sociali che sono caratterizzate da specifici formalismi disciplinati in modo attento dal codice civile. In particolare la norma appena approvata, che introduce all’articolo 36 del Dl 112/2008 il comma 1-ter, consente la sottoscrizione digitale degli atti previsti dagli articoli da 2498 a 2506 del Codice civile (disposizioni che disciplinano le regole per la trasformazione, fusione delle società, nonché l’assegnazione di azioni o quote societarie), l’articolo 2556 del Codice civile (disposizione che disciplina i contratti di trasferimento della proprietà o il godimento delle imprese soggette a registrazione), nonché delle operazioni relative alla successione. L’apposizione della sottoscrizione digitale deve avvenire secondo le disposizioni del Cad (Codice dell’amministrazione digitale, ossia il Dlgs 82/2005) e delle relative regole tecniche. La limitazione, però, degli effetti della sottoscrizione ai soli fini fiscali pone non pochi dubbi sulla sua piena operatività di tali regole, lasciando impregiudicati i più stringenti vincoli civilistici.

Notifica cartelle, aumentano i soggetti abilitati

L’approvazione di ieri al Senato del decreto legge fiscale collegato alla manovra 2018 porta con sé delle novità in materia di modalità di perfezionamento della notifica delle cartelle di pagamento.
In sostanza, la modifica interviene per disciplinare i soggetti, diversi dal notificante, che possono eseguire le formalità necessarie per il perfezionamento del processo notificatorio.
La notifica della cartella, salvo che non si utilizzi la posta elettronica certificata, avviene tramite gli ufficiali della riscossione o può essere eseguita da altri soggetti abilitati dal concessionario ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale.
Ma il compimento delle sole formalità imputabili al notificante ha solo l’effetto di convalidare l’osservanza e il rispetto di un termine (di decadenza e/o prescrizione) e non di anticipare gli effetti sostanziali e processuali che la notificazione produce.
Tali effetti sono condizionati, risolutivamente, al perfezionamento integrale della procedura notificatoria nei confronti del destinatario dell’atto ( es. l’atto giunge a buon fine), ovvero che siano stati effettuati gli altri adempimenti previsti dalla legge affinché l’atto sia comunque entrato nella disponibilità del destinatario (ricezione dell’atto), o che siano state eseguite le procedure affinché il destinatario sia messo a conoscenza dell’atto a lui destinato (es. compiuta giacenza).
Con l’intervento normativo vengono abilitati soggetti diversi da quelli che hanno eseguito la notifica vera e propria, per compiere le formalità che portano al perfezionamento della notifica.

In pratica, se il processo notificatorio non è andato a buon fine in prima battuta tali nuovi soggetti sono abilitati, nel termine di trenta giorni, ad eseguire tutte le formalità necessarie per il perfezionamento della notifica.
Tutte le operazioni fatte devono risultare da un’apposita relazione datata e sottoscritta.

Spesometro semestrale solo su opzione per il 2018

Spesometro semestrale solo su opzione del contribuente. Altrimenti dal 2018 la cadenza di invio tornerà trimestrale, come inizialmente previsto dal Dl fiscale dello scorso anno. È quello che emerge dal maxiemendamento al decreto collegato alla manovra su cui il Governo ha incassato ieri la fiducia al Senato (148 sì, 116 no e nessun astenuto). Quindi – a meno di interventi nell’esame del testo in seconda lettura a Montecitorio o nel Ddl di Bilancio – non si tornerà al vecchio spesometro a cadenza annuale come pure era stato auspicato dalla commissione Finanze della Camera nella risoluzione approvata il 18 ottobre dopo il caos che si era verificato nelle scorse settimane con il blocco dei canali di trasmissione per ragioni di tutela della privacy.
Il meccanismo messo a punto dal maxiemendamento, che ricalca quello votato in commissione Bilancio a Palazzo Madama e proposto dal relatore al Dl, Silvio Lai (Pd), prevede la «facoltà dei contribuenti» di trasmettere i dati «con cadenza semestrale» limitando il tipo di informazioni da inviare a: partita Iva della controparte nell’operazione o al codice fiscale per chi non svolge attività d’impresa o professionale; data e numero della fattura; base imponibile Iva, aliquota, imposta e tipologia dell’operazione qualora l’imposta non sia indicata in fattura. Di fatto anche per i dati delle fatture emesse e ricevute nel 2018 si potranno effettuare solo due invii alle Entrate, così come era stato previsto per i dati relativi al 2017. 

Tradite al momento le richieste di imprese e professionisti sulla cadenza annuale degli invii, arriva comunque una semplificazione molto attesa dagli operatori: la possibilità di trasmettere i dati del documento riepilogativo per le “mini-fatture” ossia quelle (sia emesse che ricevute) di importo inferiore ai 300 euro. In questa circostanza, il testo approvato dal Senato stabilisce che «i dati da trasmettere comprendono almeno la partita Iva del cedente o del prestatore per il documento riepilogativo delle fatture attive, la partita Iva del cessionario o committente per il documento riepilogativo delle fatture passive, la data e il numero del documento riepilogativo nonché l’ammontare imponibile complessivo e l’ammontare dell’imposta complessiva distinti secondo l’aliquota applicata».
Ma non è tutto, perché vengono stabiliti una serie di esoneri. Le pubbliche amministrazioni, infatti, non dovranno più comunicare dati delle fatture emesse nei confronti dei consumatori finali. Mentre non saranno più soggetti all’obbligo dello spesometro i produttori agricoli con un volume d’affari al di sotto dei 7mila euro, costituito per almeno due terzi dalla cessione dei prodotti agricoli.

I ritocchi approvati dal Senato riguardano, però, anche la sterilizzazione delle sanzioni chiesta a più riprese da imprese e professionisti proprio a seguito dei gravi problemi verificatisi in occasione del primo invio semestrale per il 2017 (il cui termine, dopo diverse proroghe, è scaduto il 16 ottobre scorso). Non si applicheranno, quindi, penalità qualora i contribuenti correggeranno omissioni o errori inviando i dati corretti entro il 28 febbraio del 2018. E sempre in tema di sanzioni vengono uniformate quelle applicabili sia a chi ha esercitato l’invio opzionale dei dati fattura (con una serie di vantaggi) sia a chi li trasmette per obbligo: la sanzione amministrativa diventa per tutti di 2 euro per ciascuna fattura (con un limite massimo di mille euro per ciascun trimestre) per l’omissione o l’errata trasmissione. Importi comunque riducibili con il ravvedimento.

Spesometro, torna la possibilità di cumulare le fatture sotto i 300 euro

Il Parlamento mantiene la parola. Dopo aver impegnato il Governo a semplificare lo spesometro e non applicare le sanzioni per il caos informatico che ha caratterizzato il primo invio con la risoluzione Sanga approvata alla Camera, è arrivato ieri il via libera della commissione Bilancio alle diverse richieste delle forze politiche di revisione delle modalità di invio delle comunicazioni dei dati delle fatture per il 2018 (in attesa della soppressione dall’anno successivo con l’introduzione dell’obbligo generalizzato dell’e-fattura nelle operazioni business to business). E lo fa anche riducendo il numero delle informazioni da comunicare all’Agenzia delle Entrate.

A effettuare una sintesi dei correttivi è stato il relatore al Dl fiscale, Silvio Lai (Pd): «Con la norma, viene prevista la possibilità per il contribuente di trasmettere i dati annualmente o semestralmente, semplificando la procedura. Inoltre, si offre la facoltà di riepilogo cumulativo di tutte le fatture di un’impresa inferiori a trecento euro. Per gli errori commessi nell’invio dei dati delle fatture del primo semestre 2017, sono abolite le sanzioni, purché tali errori siano sanati con un nuovo invio da effettuarsi entro febbraio 2018». Intervento che, aggiunge sempre Lai, recepisce le «segnalazioni giunte dal mondo dell’impresa» e dei professionisti.

Ma vediamo nel dettaglio. Il confronto sulla tempistica della trasmissione tra Parlamento, che si spingeva a chiedere un unico adempimento(come per il vecchio spesometro fino alle fatture 2016), e l’amministrazione finanziaria, che al contrario era propensa a concedere anche per il 2018 un doppio invio, si è concluso con una soluzione salomonica: sarà il contribuente a scegliere se trasmettere i dati con cadenza semestrale o annuale.

La vera semplificazione, in realtà, riguarda il numero dei dati da inviare. Ad esempio scompare una delle informazioni del tutto superflue per le comunicazioni Iva, come il codice di avviamento postale (Cap) della controparte commerciale. Secondo il correttivo approvato bisognerà indicare nella comunicazione: la partita Iva dei soggetti coinvolti nelle fatture o il codice fiscale per chi non è impresa o professionista; la data e il numero della fattura; l’imponibile Iva, l’aliquota applicata e l’imposta; il tipo di operazione nel caso in cui l’Iva non sia indicata in fattura.

La riduzione dei dati da inviare passa anche dal numero dei documenti da trasmettere. Le fatture emesse o ricevute di importo inferiore a 300 euro potranno essere registrate cumulativamente (come nel vecchio spesometro) e il contribuente potrà scegliere di “segnalare” solo il documento riepilogativo. Altra novità riguarda, poi, l’esonero delle Pa dall’obligo di inviare i dati delle fatture emesse nei confronti di consumatori finali.

La sterilizzazione delle sanzioni si applica soltanto alle difficoltà che hanno caratterizzato il primo tormentato invio che è arrivato a scadenza, dopo diverse proroghe, lo scorso 16 ottobre. In sostanza, non saranno dovute le sanzioni di 2 euro per ogni fattura trasmessa erroneamente (nel limite di 1.000 euro per trimestre) né tantomeno la penalità da 200 a 2.500 euro per chi ha esercitato l’opzione per la trasmissione facoltativa dei dati fattura.

Disciplina del gruppo Iva (seconda parte)

L’opzione è esercitata mediante dichiarazione telematica contenente le indicazioni previste nel comma 2 dell’art. 70 quater, D.P.R. 633/1972 (cui si rinvia) e vincola i partecipanti per un triennio purchè permangano i requisiti:

  • se la dichiarazione è presentata tra il 1° gennaio ed il 30 settembre l’opzione ha effetto a decorrere dall’anno successivo;

  • se la dichiarazione è presentata tra il 1° ottobre ed il 31 dicembre l’opzione ha effetto a decorrere dal secondo anno successivo.

Al termine del primo triennio l’opzione si rinnova automaticamente per ciascun anno successivo fino a quando non è esercitata la revoca.

La cessazione dell’intero gruppo Iva si verifica in ogni caso se e quando viene meno la pluralità dei soggetti partecipanti.

Effetti dell’opzione

Soggettività

L’esercizio dell’opzione comporta che, durante tutto il periodo di vigenza dell’opzione, i soggetti passivi che partecipano al gruppo Iva perdono la loro autonoma soggettività ai fini Iva: unico soggetto passivo diviene, infatti, il gruppo Iva che si sostituisce interamente ai soggetti partecipanti ed agisce come qualsiasi autonomo soggetto passivo. Il gruppo Iva, quale unico soggetto passivo, è identificato con unica partita Iva.

Il venir meno della soggettività in capo ai singoli partecipanti è ciò che differenzia specificamente il gruppo Iva rispetto alla liquidazione Iva di gruppo disciplinata dall’art. 73, co. 3, D.P.R. 633/1972 : quest’ultimo istituto, infatti, consente la mera compensazione delle posizioni Iva a debito ed a credito ed i soggetti partecipanti mantengono intatta la propria rispettiva soggettività passiva. I soggetti partecipanti ad un gruppo Iva, peraltro, perdendo la loro posizione soggettiva individuale, non possono partecipare ad una procedura di liquidazione Iva di gruppo.

Disciplina

La prima conseguenza dell’opzione è certamente l’irrilevanza ai fini Iva delle cessioni di beni e prestazioni di servizio che intercorrono tra i soggetti partecipanti ad un medesimo gruppo Iva: per effetto dell’opzione, infatti, assumono rilevanza esclusivamente le cessioni e le prestazioni effettuate da un soggetto facente parte del gruppo Iva nei confronti di un terzo non facente parte e, specularmente, quelle effettuate da un terzo non facente parte del gruppo Iva nei confronti di un soggetto facente parte del gruppo Iva che si considerano rispettivamente effettuate e acquistate dal gruppo Iva.

Anche gli obblighi ed i diritti derivanti dall’applicazione delle norme in materia di Iva sono, rispettivamente, a carico ed a favore (soltanto) del gruppo Iva.

La generalizzata irrilevanza delle operazioni intervenute tra i soggetti partecipanti al gruppo Iva determina una complessiva semplificazione: i contribuenti beneficiano dell’abbattimento di oneri legati all’esecuzione di una serie di adempimenti formali mentre l’Agenzia delle Entrate beneficia di uno snellimento dell’attività di controllo a questi relativa.

In via del tutto esemplificativa spetterà al gruppo Iva procedere:

  • all’applicazione dell’Iva sulle operazioni imponibili poste in essere;

  • alla determinazione dell’Iva detraibile;

  • al calcolo dell’eventuale rettifica della detrazione;

  • al pagamento dell’imposta;

  • alle richieste di rimborso;

  • all’assolvimento degli adempimenti formali di fatturazione, annotazione e dichiarazione;

  • all’esercizio delle opzioni che la normativa in materia di Iva accorda ai soggetti passivi.

Rimangono comunque applicabili al gruppo Iva le modalità ed i termini speciali di emissione, numerazione e registrazione delle fatture nonché di esecuzione delle liquidazioni e dei versamenti periodici stabiliti dai decreti di attuazione delle deleghe contenute negli artt. 22, co. 2, e 74, D.P.R. 633/1972 .

Eccedenze detraibili

L’art. 70 sexies, D.P.R. 633/1972 disciplina il regime delle eccedenze detraibili: il passaggio, per i soggetti partecipanti al gruppo Iva, da una soggettività passiva Iva individuale ad una soggettività passiva Iva collettiva in capo al gruppo, infatti, determina alcune conseguenze sui crediti Iva che emergono dalle dichiarazioni Iva dei singoli partecipanti.

Le eccedenze Iva detraibili che emergono dalla dichiarazione annuale del soggetto che entra a far parte di un gruppo Iva non possono essere trasferite al gruppo Iva e restano nella esclusiva disponibilità della singola società cui si riferiscono. Con una disposizione di favore è stato però previsto che tali eccedenze possono essere:

  • chieste a rimborso a prescindere dalla ricorrenza dei requisiti previsti dall’art. 30, D.P.R. 633/1972 ;

  • utilizzate in compensazione  orizzontale ai sensi dell’art. 17, D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241 .

La preclusione al trasferimento al gruppo Iva concerne, però, soltanto la parte del credito eccedente i versamenti dell’Iva effettuati per l’anno precedente a quello di entrata a far parte del gruppo Iva: il divieto, viceversa, non vale per la parte delle eccedenze detraibili pregresse che trova capienza nei versamenti Iva effettuati nell’anno precedente al primo anno di partecipazione al gruppo Iva.

In questo senso, ipotizzando che un soggetto entri a far parte del gruppo Iva a partire dal 2017, che la dichiarazione annuale relativa al 2016 evidenzi un credito pari a 1.000 e che il predetto soggetto abbia effettuato versamenti periodici Iva per il 2016 pari a 500, ne conseguirebbe che l’eccedenza creditoria sarebbe limitatamente trasferibile al gruppo Iva per un importo di 500(6).

L’eccedenza creditoria che risulta dalla dichiarazione del gruppo Iva e che non sia stata chiesta a rimborso all’atto della cessazione del medesimo, per effetto del venir meno della pluralità dei partecipanti, rimane nell’esclusiva disponibilità del rappresentante del gruppo Iva che potrà computarla in detrazione nelle proprie liquidazioni periodiche o nella propria dichiarazione annuale.

Soggetto responsabile

Un ruolo preminente nella disciplina in esame è certamente quello attribuito al rappresentante del gruppo Iva.

Tale soggetto, infatti, è chiamato ad adempiere tutti gli obblighi ed esercitare tutti i diritti derivanti dall’applicazione delle norme in materia di Iva rispettivamente a carico ed a favore del gruppo Iva. Tale soggetto, inoltre, assume una funzione cautelativa delle esigenze dell’Erario: il rappresentante del gruppo Iva, infatti, è solidalmente responsabile con le altre società partecipanti per le somme che risultano dovute a titolo d’imposta, interessi e sanzioni a seguito delle attività di liquidazione e di controllo.

La responsabilità che sussiste sui partecipanti al gruppo Iva, secondo quanto precisato nella Relazione governativa, è una responsabilità solidale paritetica giustificata dalla unitarietà del soggetto passivo costituito dal gruppo Iva.

Tale responsabilità solidale paritetica ha però destato qualche perplessità.

Il modello adottato dal Legislatore, infatti, rispecchia l’assetto sostanzialmente previsto per il consolidato fiscale nazionale: quest’ultimo regime però presenta marcate differenze rispetto al gruppo Iva. Nel consolidato fiscale nazionale, infatti, le singole società consolidate mantengono, a differenza del gruppo Iva, la propria soggettività e procedono alla liquidazione del rispettivo imponibile con l’unica differenza che non procedono, in sede di dichiarazione, alla liquidazione dell’imposta; il soggetto consolidante recepisce i dati che riceve dalle società controllate senza poterne sindacare correttezza o veridicità: è per tale ragione che il Legislatore ha escluso una responsabilità oggettiva ed esclusiva del consolidante. Nel gruppo Iva, viceversa, le singole società partecipanti perdono la loro soggettività e non sono onerate da adempimenti di natura contabile né da obblighi di determinazione dell’imposta che gravano esclusivamente sul rappresentante del gruppo Iva. La responsabilità solidale paritetica imputata ai singoli partecipanti del gruppo Iva non appare pertanto coerente: la scelta del Legislatore è evidentemente motivata dall’esigenza di garantire la riscossione del credito erariale perché i partecipanti al gruppo Iva, pur perdendo la loro soggettività, mantengono una propria autonomia economica e finanziaria.

Il rappresentante del gruppo Iva è individuato ope legis nel soggetto che esercita sugli altri partecipanti al gruppo Iva il controllo di cui all’art. 70 ter , co. 1, D.P.R. 633/1972 (vincolo finanziario) ossia il soggetto che dal 1° luglio dell’anno solare precedente esercita il controllo ai sensi dell’art. 2359, co. 1, n. 1, c.c. Nelle ipotesi in cui nessun soggetto che esercita il controllo di diritto possa esercitare l’opzione (secondo la Relazione governativa il caso più frequente è quello in cui i soggetti stabiliti nel territorio dello Stato siano «sorelle» in quanto controllati da un soggetto che non è stabilito nel territorio dello Stato) il rappresentante del gruppo Iva è individuato nel soggetto partecipante « con volume d’affari o ammontare di ricavi più elevato nel periodo precedente alla costituzione del gruppo medesimo» (art. 70 septies, co. 2, D.P.R. 633/1972): secondo la Relazione governativa è tale il soggetto che «comparando gli importi dei volumi d’affari e dei ricavi dei partecipanti al gruppo, esprima il valore assoluto più elevato» (7).

Nell’ipotesi in cui, in pendenza dell’opzione, il rappresentante del gruppo Iva venga meno o cessi di fare parte del gruppo Iva, non cessano gli effetti dell’opzione in capo agli altri partecipanti: in tal caso dal giorno successivo e senza soluzione di continuità subentra quale rappresentante del gruppo Iva il soggetto individuato in forza del valore assoluto più elevato del relativo volume d’affari o di ricavi (con riferimento all’ultima dichiarazione presentata).

Entrata in vigore

Le disposizioni concernenti il gruppo Iva trovano applicazione a partire dal 1° gennaio 2018 (art. 1, co. 30, L. 232/2016): ciò comporta che per i soggetti passivi la possibilità di costituire gruppi Iva opererà concretamente dal 2019.

Tale lasso temporale dovrebbe consentire al Mef di poter utilmente procedere, come previsto dall’art. 11, Direttiva 2006/112/CE, alla consultazione del Comitato consultivo (art. 1, co. 31, L. 232/2016).

Conclusioni

L’introduzione del gruppo Iva nel sistema italiano deve certamente essere valutato con favore perché, al di là della (solo) apparente semplicità della relativa disciplina (la cui complessità è viceversa testimoniata dalla circostanza che il Legislatore ha dedicato ben 11 nuovi articoli alla fattispecie), comporterà sicuri benefici in termini di imposta e di adempimenti in capo alle società partecipanti nonché, più in generale, una semplificazione per contribuenti ed Erario.

I vantaggi in termini di imposta saranno, ovviamente, ben più evidenti nelle ipotesi in cui tra i soggetti aderenti al gruppo Iva ci siano società con un’alta limitazione al diritto di detrazione; nel sistema vigente ad ogni soggetto passivo corrisponde un differente pro rata di detraibilità: nel nuovo gruppo Iva il pro rata, infatti, dovrà essere individuato in funzione di tutte le operazioni effettuate dai partecipanti del gruppo Iva verso terzi così limitando di fatto gli effetti del pro rata di detrazione che si verificherebbero sulle singole società.

“Gruppo Iva nazionale”

(Sandro Cerato)

La Settimana fiscale n. 6/2017, pag. 16

(2) La Relazione Governativa precisa che in tale ipotesi, in caso di soggetto che eserciti una pluralità di aziende, costituisce evidentemente condizione ostativa alla partecipazione al gruppo Iva anche il sequestro di una sola di esse.

(3) Nella Comunicazione del 2009 della Commissione europea sono altresì riportate le definizioni concernenti il contenuto dei «rapporti finanziari, economici ed organizzativi»: il vincolo finanziario è definito «in relazione ad una percentuale di partecipazione al capitale o ai diritti di voto (oltre il 50%), o con riferimento ad un contratto di franchising, il quale garantisce che un’impresa ha effettivamente il controllo su un’altra»; il vincolo economico è da ritenersi sussistente quando «L’attività principale dei membri del gruppo è dello stesso genere, o le attività dei membri del gruppo sono complementari o interdipendenti, o un membro del gruppo svolge attività che avvantaggiano, pienamente o sostanzialmente, gli altri membri»; il vincolo organizzativo è definito «in relazione all’esistenza di una struttura di gestione almeno parzialmente condivisa».

(4) La Relazione Governativa riporta l’esempio di vincolo finanziario che sussiste qualora il soggetto A controlla sia il soggetto B che, a sua volta, controlla il soggetto C, sia il soggetto D che, a sua volta, controlla il soggetto E.

(5) Il comma 5 dell’art. 70 quater, D.P.R. 633/1972, cui si rinvia, regolamenta l’ipotesi in cui in pendenza dell’opzione venga a sussistere il vincolo finanziario in capo a soggetti passivi in relazione ai quali originariamente non sussisteva sia l’ipotesi in cui, essendo stata riconosciuta dall’Agenzia delle Entrate l’insussistenza del vincolo economico o di quello organizzativo in capo ad un dato soggetto (con conseguente esclusione dal gruppo Iva), successivamente tali vincoli vengano a sussistere.

(6)Esempio riportato nella Relazione governativa.

(7)Nella Relazione governativa sono riportati diversi esempi numerici cui si rinvia concernenti la comparazione degli importi.

(1)La giurisprundenza comunitaria, peraltro, ha riconosciuto la possibilità di aderire ad un gruppo Iva anche a soggetti non passivi di imposta (Corte di Giustizia Ue, 9 aprile 2013, C-85/11).

Disciplina del gruppo Iva (prima parte)

La Legge di Bilancio 2017 (L. 11 dicembre 2016, n. 232) ha introdotto in Italia l’istituto del gruppo Iva, così come previsto in via facoltativa dall’art. 11, Direttiva 2006/112/CE: con l’intervento legislativo, più specificamente, è stato inserito il titolo V bis nel D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 composto da 11 nuovi articoli (art. 70 bis – art. 70 duodecies).
La novità rappresenta un’importante opzione per i soggetti passivi ed allinea il sistema italiano a quelli già vigenti in diversi Paesi dell’Unione Europea colmando, sotto questo profilo, il gap competitivo con i soggetti passivi che ivi operano.
La relativa disciplina presenta diversi profili di particolarità e merita approfondimento per alcune sue specifiche peculiarità.
Premessa
L’art. 11, par. 1, Direttiva 2006/112/CE prevede che nei rispettivi ordinamenti nazionali è possibile, previa consultazione del comitato Iva, «considerare come un unico soggetto passivo le persone   stabilite nel territorio dello stesso Stato membro che siano giuridicamente indipendenti, ma strettamente vincolate fra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi»; la norma replica l’originaria disposizione già prevista nell’art. 4, par. 4, co. 2, Direttiva 77/388/CEE.
La Direttiva Iva, pertanto, concedela facoltà agli Stati membri di riconoscere la soggettività di un gruppo Iva ove sussistano tra più soggetti passivi «rapporti finanziari, economici ed organizzativi »: la disciplina comunitaria non individua la definizione di tali «rapporti» per i quali, pertanto, occorre rinviare alla normativa domestica. Sotto questo profilo, tra l’altro, il par. 2 dell’art. 11 Direttiva 2006/112/CE prevede che qualora sia stata esercitata tale facoltà lo Stato membro «può adottare le misure necessarie a prevenire l’elusione o l’evasione fiscale».
Il Legislatore domestico ha regolamentato in ben 11 articoli (art. 70 bis – art. 70 duodecies,  D.P.R. 633/1972) la disciplina del gruppo Iva.
Presupposti per la costituzione del gruppo Iva
Requisiti soggettivi
L’art. 70 bis, co. 1, D.P.R. 633/1972 dispone che il gruppo Iva possa essere costituito (esclusivamente) da soggetti passivi di imposta esercenti attività di impresa o di arti e professioni, stabiliti nel territorio dello Stato, per i quali sussistano congiuntamente determinati vincoli di natura finanziaria, economica ed organizzativa.(1)
Il successivo art. 70 quater, D.P.R. 633/1972, peraltro, stabilisce che, per quanto la costituzione del gruppo Iva sia opzionale, una volta esercitata l’opzione essa vincola tutti i soggetti passivi rispetto ai quali sussistano congiuntamente i predetti vincoli.
Dal combinato disposto delle due norme consegue che il Legislatore ha inteso adottare la regola dell’all in all out secondo cui l’esercizio dell’opzione obbliga tutti i soggetti passivi, per i quali sussistano i predetti vincoli, a partecipare necessariamente alla disciplina Iva di gruppo: in linea di principio, quindi, i gruppi societari che ritengano opportuno costituire un gruppo Iva hanno l’obbligo di far optare in tal senso tutti i soggetti passivi tra i quali ricorrano i tre vincoli. In altre parole, i soggetti passivi tra cui sussistono i tre vincoli hanno un’alternativa secca: possono scegliere se partecipare tutti a un gruppo Iva ovvero se non costituire affatto un gruppo Iva.
La partecipazione al gruppo Iva, in ogni caso, è esclusa dall’art. 70 bis, co. 2, D.P.R. 633/1972 per:
1) le sedi e le stabili organizzazioni all’estero di società italiane;
2) i soggetti la cui azienda sia sottoposta a sequestro giudiziario ex art. 670, c.p.c.(2);
3) i soggetti sottoposti a procedura concorsuale;
4) i soggetti posti in liquidazione ordinaria.
Qualche perplessità è stata avanzata quanto all’esclusione dal gruppo Iva delle sedi e stabili organizzazioni all’estero di società italiane. Tale esclusione, infatti, comporta che se un operatore parte di un gruppo Iva in Italia si avvale di una stabile organizzazione all’estero, tale stabile organizzazione resta esclusa dal gruppo Iva cui fa parte la casa madre; per l’effetto, le prestazioni tra casa madre e stabile organizzazione non sono considerate come effettuate nell’ambito del gruppo Iva e non possono avvalersi della relativa esclusione dall’applicazione dell’imposta che, viceversa, opera per i soggetti passivi che fanno parte del medesimo gruppo Iva (come si dirà infra): tali operazioni restano, pertanto, assoggettate ad imposta.
Requisiti oggettivi
Il Legislatore domestico ha previsto che il gruppo Iva possa sussistere tra soggetti passivi per i quali ricorrono congiuntamente «vincoli» di natura finanziaria, economica ed organizzativa: i tre vincoli rappresentano requisiti cumulativi e l’assenza (anche) soltanto di uno dei tre preclude la possibilità di costituire il gruppo Iva. L’art. 11, par. 1, Direttiva 2006/112/CE, in realtà, non impone espressamente la contemporanea sussistenza di tali vincoli: tale requisito, però, è stato posto quale ulteriore condizione per l’attivabilità del regime nella Comunicazione del 2009 della Commissione europea.
Il contenuto dei tre vincoli non è specificato nella Direttiva 2006/112/CE ed il loro contorno è talmente vago che l’individuazione di una loro definizione da parte del Legislatore domestico avrebbe potuto lasciare margini di opinabilità(3): per tale ragione il Legislatore domestico ha definito nell’art. 70 ter, D.P.R. 633/1972 il vincolo finanziario ancorandolo a criteri obiettivi e gli ha attribuito una ben determinata «preminenza» introducendo una presunzione secondo cui la presenza del vincolo finanziario fa ritenere sussistenti anche gli altri due vincoli economico ed organizzativo (art. 70 ter, co. 4, D.P.R. 633/1972).
Il vincolo finanziario è definito con un parametro oggettivo determinato sulla base della nozione di controllo cd. di diritto, diretto o indiretto, di tipo assembleare di cui all’art. 2359, co. 1 n. 1), c.c.: il controllo deve sussistere fin dal 1° luglio dell’anno precedente a quello di esercizio dell’opzione.
Sulla base di tale definizione, pertanto, sussiste un vincolo finanziario quando:
  • tra i soggetti passivi esiste, direttamente o indirettamente, un rapporto di controllo;
  • i soggetti passivi sono controllati, direttamente o indirettamente, dal medesimo soggetto, purchè residente nel territorio dello Stato oppure in uno Stato appartenente all’Unione europea ovvero aderente all’Accordo sullo Spazio economico europeo ovvero con il quale comunque l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni(4).
Il vincolo economico, viceversa, sussiste laddove tra determinati soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato sussista almeno una delle forme di cooperazione economica identificate nello svolgimento:
  • di un’attività dello stesso genere;
  • di attività complementari o interdipendenti;
  • di attività che avvantaggiano pienamente o sostanzialmente uno o più di essi.
Da ultimo, il vincolo organizzativo sussiste quando tra gli organi decisionali di determinati soggetti ricorre un coordinamento, operato in via di diritto (ai sensi del capo nono del libro V, c.c.) o di fatto, ancorché svolto da un altro soggetto.
L’art. 70 ter, co. 4, D.P.R. 633/1972, come anticipato, definisce in che misura il vincolo finanziario assuma preminenza rispetto agli altri attraverso una presunzione di carattere relativo: se tra determinati soggetti passivi ricorre il vincolo finanziario, si presumono sussistenti fra gli stessi anche i vincoli economico ed organizzativo. La preminenza assegnata al vincolo finanziario, peraltro, come affermato nella Relazione governativa, deriva non soltanto dalla più agevole accertabilità dello stesso ma anche dalla circostanza che quando un soggetto è vincolato finanziariamente ad un altro, in via generale lo è anche dal punto di vista economico ed organizzativo.
È una presunzione relativa che è comunque superabile dal contribuente ove fornisca prova contraria; a tal fine occorre presentare preventivamene apposito interpello probatorio, ai sensi dell’art. 11, co. 1, lett. b), L. 27 luglio 2000, n. 212 : si tratta di un interpello finalizzato ad ottenere l’avallo dell’Agenzia delle Entrate circa l’esclusione dal perimetro del gruppo Iva di soggetti che, in linea di principio, dovrebbero esservi inclusi per la sussistenza del vincolo finanziario.
La presunzione, peraltro, opera soltanto a favore del contribuente nel senso che l’Agenzia delle Entrate in presenza del vincolo finanziario non può contestare la sussistenza degli altri due requisiti né fornire la prova della loro mancata ricorrenza: è solo il contribuente che, in presenza del vincolo finanziario, può provare l’assenza di uno degli (o di entrambi gli) altri vincoli.
Con un’ulteriore presunzione è stabilito che il vincolo economico si considera in ogni caso insussistente per i soggetti per i quali il vincolo finanziario ricorra in dipendenza di partecipazioni acquisite nell’ambito degli interventi finalizzati al recupero di crediti o derivanti dalla conversione in azioni di nuova emissione di crediti verso imprese in temporanea difficoltà finanziarie di cui all’art. 113, Tuir .
Tale presunzione ha, in sostanza, la finalità di mitigare la rigidità dell’all in all out principle ed escludere il vincolo economico rispetto a partecipazioni che sono state acquisite in modo occasionale o al di fuori di precise scelte imprenditoriali. I contribuenti, peraltro, qualora il vincolo economico venga ad esistenza in relazione a tali soggetti, ed abbiano interesse ad inserirli nel gruppo Iva, possono presentare all’Agenzia delle Entrate apposito interpello probatorio, ai sensi dell’art. 11, co. 1 lett. b), L. 212/2000: si tratta di un interpello avente una funzione diametralmente opposta all’interpello indicato in precedenza. Anche tale presunzione opera soltanto a favore del contribuente e, per l’effetto, l’Agenzia delle Entrate non può contestare la sussistenza del vincolo economico nei confronti di soggetti il cui vincolo finanziario sia stato acquisito tramite le menzionate procedure.
Esercizio dell’opzione
L’art. 70 quater, D.P.R. 633/1972 disciplina, come anticipato, il criterio dell’all in all out secondo cui, ove l’opzione sia esercitata, tutti i soggetti passivi tra cui ricorrono i tre vincoli indicati devono obbligatoriamente partecipare al gruppo Iva: l’opzione riveste pertanto carattere onnicomprensivo. La scelta del Legislatore, probabilmente dovuta alla preoccupazione di prevenire possibili utilizzi abusivi del nuovo istituto, rischia, però, di rappresentare un impedimento alla creazione di un gruppo Iva con specifico riferimento ai gruppi societari di più grandi dimensioni e formati da un elevato numero di società.
La rigidità di tale previsione è stata, peraltro, delimitata attenuando le conseguenze derivanti alla mancata inclusione nel gruppo Iva di soggetti passivi, invece, titolati a parteciparvi. Nell’ipotesi di mancato esercizio dell’opzione da parte di uno o più dei soggetti per cui ricorrano i tre vincoli è infatti previsto:
  • da un lato il recupero in capo al gruppo Iva dell’effettivo vantaggio fiscale conseguito;
  • dall’altro la cessazione del gruppo Iva ma soltanto dall’anno successivo rispetto a quello in cui è accertato il mancato esercizio dell’opzione e soltanto se tali soggetti non esercitino l’opzione.
In altre parole, l’avvio del gruppo Iva senza la presenza di tutti i soggetti che ne dovrebbero far parte non inficia ex tunc l’opzione a suo tempo esercitata: la mancata inclusione nel gruppo Iva di uno o più soggetti non travolge l’opzione ma rende possibile, in caso di contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, esclusivamente il recupero del vantaggio fiscale eventualmente conseguito; anche la cessazione del gruppo Iva è eventuale e ricorre soltanto ove i soggetti all’epoca non inclusi non esercitino l’opzione per partecipare al gruppo Iva(5).

Bonus pubblicità dal 2017

Come si preparano le imprese a usufruire del credito d’imposta per gli investimenti pubblicitari introdotto dal Dl 50/2017 ? Quali saranno i costi agevolabili? Solo quelli di pubblicazione su stampa quotidiana e/o di acquisto degli spazi televisivi oppure anche i costi di preparazione? Come si conteggerà l’incremento? Per massa oppure distinguendo tra i vari mezzi di comunicazione prescelti per gli investimenti pubblicitari?

Queste le principali domande che imprese e consulenti si pongono per dare concretezza alla norma contenuta nell’articolo 57-bis del Dl 50/2017, che non ha ancora avuto attuazione pratica a causa della mancanza del decreto attuativo (da pubblicare entro il 22 ottobre e ad oggi non ancora noto), e che già è oggetto di modifica tramite l’articolo 4 del Dl 148/2017 , in corso di conversione.

Con il comma 3-bis, il Dl 148/2017 ha infatti integrato la disciplina del credito d’imposta sugli investimenti pubblicitari, anticipandone in parte gli effetti, con estensione agli investimenti effettuati nel periodo dal 24 giugno 2017 e fino al 31 dicembre 2017, ma solo per la stampa quotidiana e periodica, anche online, escludendo quindi per tale periodo gli investimenti sulle emittenti televisive e radiofoniche locali, sia analogiche sia digitali. Il valore degli investimenti deve superare almeno dell’1% l’ammontare degli analoghi investimenti pubblicitari effettuati dai medesimi soggetti sugli stessi mezzi di informazione nel corrispondente periodo dell’anno 2016 (ossia dal 24 giugno 2016 al 31 dicembre 2016).

Soggetti interessati e coperture

Il credito è rivolto ad imprese e lavoratori autonomi e spetta nella misura:

  • del 75% del valore incrementale per imprese e lavoratori autonomi;
  • del 90% del valore incrementale per piccole e medie imprese, microimprese e startup innovative.

Per il 2017 e il 2018 il Dl 148/2017 fornisce già le coperture finanziarie del beneficio, al fine di dare un grado di certezza alle imprese che intendono pianificare gli investimenti in tali anni. Per gli anni seguenti il limite massimo di spesa sarà stabilito annualmente mediante decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

L’applicazione

Il credito di imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione, ai sensi del Dlgs 241/1997, previa istanza diretta al Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri.

Poiché l’articolo 57-bis del Dl 50/217 prevede che la concessione del credito d’imposta sia sottoposta agli «eventuali adempimenti europei», il decreto di attuazione dovrà anche chiarire la compatibilità dell’agevolazione con la normativa europea degli aiuti di Stato.

Da un punto di vista contabile, se i costi di pubblicità sono spesati nella voce B7 del conto economico, il credito d’imposta costituisce un contributo in conto esercizio spettante a norma di legge, da imputare nella voce A5. I costi possono ancora essere capitalizzati, se non ricorrenti ed aventi beneficio futuro (paragrafi 41-43 dell’Oic 24). In tale caso il contributo dovrà essere portato a loro riduzione.

Superammortamento, per gli incapienti bonus riportabile

L’incapienza del reddito dell’impresa rispetto a super e iper ammortamento non comporta la perdita del beneficio, ma solamente il suo rinvio temporale. Le società che risultano incapienti rispetto agli incentivi per gli investimenti genereranno una perdita fiscale che potrà essere riportata a nuovo e compensata con futuri redditi nei limiti temporali o quantitativi previsti, rispettivamente, per i soggetti Irpef e per le società di capitali.

Il meccanismo agevolativo per gli investimenti che il Ddl di bilancio 2018 proroga al prossimo anno comporta una maggiorazione del costo ai fini del calcolo degli ammortamenti e dei canoni di leasing deducibili: 40% per super-ammortamento, ridotto al 30% nel 2018, e 150% per iper-ammortamento, misura confermata anche il prossimo anno.

La deduzione di queste maggiorazioni (che si cumulano gli ammortamenti iscritti in bilancio e quantificati sul 100% del costo) avviene mediante una rettifica in diminuzione al reddito di impresa (Irpef o Ires) nella dichiarazione.

Le imprese che chiudono l’esercizio in perdita fiscale o con un reddito inferiore alla deduzione maggiorata, non riescono immediatamente a fruire della agevolazione la quale non genera un immediato risparmio fiscale. Il super-ammortamento (e ancor più l’iper-ammortamento) si traducono cioè in una maggior perdita fiscale che, per le imprese in contabilità ordinaria, può essere riportata a nuovo. In questo modo, l’incentivo non viene perso ma semplicemente rinviato sotto forma di perdita o di maggior perdita compensabile. L’effettiva fruizione del super-ammortamento per gli incapienti è dunque condizionata, quanto a tempi e importi, dai vincoli previsti per la compensazione delle perdite. Per le imprese Irpef (ditte individuali e società di persone) la perdita, compresa quella generata dal super o iper-ammortamento, può essere utilizzata entro il quinquennio successivo senza alcun limite di importo. Per le società di capitali, invece, manca un limite temporale, ma il recupero non può mai superare l’80% del reddito di ciascun esercizio. Senza limiti temporali o quantitativi, è invece la compensazione delle perdite prodotte nei primi tre esercizi di vita dell’impresa.

La situazione di incapienza, causata dalla carenza di utili rispetto agli investimenti realizzati, non può essere evitata neppure rallentando lo stanziamento delle quote di ammortamento, dato che la misura delle deduzioni si rapporta sempre alle quote massime calcolate secondo i coefficienti tabellari a prescindere dalle percentuali (eventualmente ridotte) impiegate in bilancio. Lo stesso per i leasing: la super deduzione si spalma sulla metà del periodo di ammortamento a prescindere dalla durata effettiva del contratto che può essere anche più lunga. Una via di uscita, per le imprese che operano nei gruppi, può invece trarsi dalla attivazione del consolidato fiscale. La quota di super ammortamento non assorbita (perdita fiscale) viene trasferita al gruppo e compensata immediatamente con redditi di altre società.

Sì definitivo alla legge europea: indennizzo per la garanzia sui rimborsi Iva

La Legge europea, approvata definitivamente ieri alla Camera, porta con sé una serie di novità fiscali sia in materia di Iva che di imposte dirette, novità introdotte per evitare l’applicazione di specifiche infrazioni da parte della Ue.

Rimborsi Iva

L’articolo 7 della Legge europea riconosce una somma a titolo di ristoro per i costi sostenuti da quanti sono tenuti a prestare una garanzia all’Erario in relazione alle richieste di rimborso Iva. Tale somma è fissata nella misura dello 0,15% dell’importo garantito per ogni anno di durata della garanzia. Ciò significa che tutti quei soggetti che non rientrano tra i cosiddetti “contribuenti virtuosi” e continuano a essere tenuti a prestare una garanzia a tutela delle somme erogate, non sono rimborsati integralmente delle spese sostenute per il rilascio della garanzia, ma piuttosto ricevono una somma forfettaria che copre solo parzialmente gli oneri sopportati dal contribuente. Inoltre, tale somma spetta solo dal momento in cui è stato definitivamente accertato il diritto al rimborso, il che avviene alla scadenza del termine per l’emissione dell’avviso di accertamento/rettifica, se questo non sia stato emesso.

La nuova disciplina di favore non produce effetti per il passato. Nello specifico, si prevede che le disposizioni si applichino a partire dal nuovo anno, ovvero dalle richieste di rimborso fatte con la dichiarazione Iva annuale per 2017 e con l’istanza infrannuale relativa al primo trimestre 2018.

Restituzione Iva non dovuta

La seconda modifica riguarda la presentazione della domanda di restituzione dell’Iva non dovuta. La stessa, in via ordinaria e a pena di decadenza, deve essere presentata nel termine di 2 anni dal versamento dell’imposta o dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.

Se da un lato tale termine permane, dall’altro, è ora disciplinata la possibilità del superamento dello stesso, qualora sia applicata un’Iva non dovuta a una cessione di beni/prestazione di servizi e ciò sia accertato in via definitiva dall’amministrazione finanziaria. In questi casi, i due anni per la presentazione della domanda di restituzione del cedente/prestatore decorrono dall’avvenuta restituzione al cessionario/committente dell’importo precedentemente pagato a titolo di rivalsa. La restituzione dell’imposta resta in ogni caso esclusa se il versamento sia avvenuto in un contesto di frode.

Iva esportazioni umanitarie

La terza novità introduce nel testo del Dpr 633/72 la disciplina circa la non imponibilità ai fini Iva delle cessioni di beni effettuate nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti della cooperazione allo sviluppo, destinati a essere trasportati o spediti fuori dal territorio Ue, in attuazione di scopi umanitari.

L’onere della prova dell’avvenuta esportazione è adempiuto dalla bolletta doganale e grava sul cedente, così come ricade su quest’ultimo la sanzione amministrativa nel caso in cui, in frode alla legge, il trasporto del beni fuori dal territorio Ue non avvenga entro il termine di 180 giorni. La sanzione, tuttavia, non si applica se nei 30 giorni successivi la fattura viene regolarizzata e l’Iva versata.

Agevolazioni fiscali marittime

La legge europea estende la portata di una serie di agevolazioni alle imprese marittime, attualmente limitate solo alle navi iscritte al registro internazionale italiano, anche alle navi iscritte nei registri di Paesi Ue o dello Spazio economico europeo. Si tratta in particolare: del credito d’imposta riconosciuto agli armatori in misura corrispondente all’imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta sulle retribuzioni corrisposte al personale di bordo imbarcato a valere ai fini del versamento delle ritenute alla fonte relative a tali redditi (credito d’imposta Irpef marittimi); della irrilevanza dell’80% dei redditi, derivanti dall’utilizzazione delle navi iscritte nel Registro internazionale, nonché del relativo valore della produzione Irap e del regime della Tonnage tax.

Per effetto della modifica tali regimi risultano quindi applicabili ai soggetti residenti e soggetti non residenti aventi stabile organizzazione nel territorio dello Stato con riferimento alle navi iscritte nei registri Ue o See, adibite «esclusivamente» ai traffici internazionali, ovvero, più propriamente, che rispettino le limitazioni ai viaggi di cabotaggio previste dall’articolo 1, comma 5, del Dl 30 dicembre 1997 n. 457, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1998, n. 30, espressamente richiamate dal provvedimento.