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SUCCESSIONE: AGEVOLAZIONE PRIMA CASA PER PIÙ IMMOBILI

A giugno 2015 è deceduto mio padre, il quale era proprietario in comunione con mia madre di due appartamenti facenti, parte di un unico complesso abitativo ma dotati ciascuno di categoria e rendita catastale autonoma. Gli eredi siamo io, mia madre e mia sorella. Mia madre ed io abitiamo nel sub 1 e mia sorella nel sub 2 (la residenza risulta al Comune). Sono questi gli unici immobili posseduti ed ereditati da noi. Dovendo presentare la dichiarazione di successione e dovendo pagare le imposte ipotecarie e catastali mi chiedo se l’agevolazione prima casa può essere richiesta solo per uno dei due sub andati in successione o per entrambi, visto che anche mia sorella ha residenza in uno degli immobili ereditati?

Risposta – Le imposte ipotecaria e catastale (pari rispettivamente al 2% e all’1% del valore degli immobili, con un versamento minimo di 200 euro per ciascuna di essa) sono dovute nella misura fissa di 200 euro per ciascuna imposta, indipendentemente dal valore dell’immobile caduto in successione, quando il beneficiario (o, nel caso di immobile trasferito a più beneficiari, almeno uno di essi) ha i requisiti necessari per fruire delle agevolazioni “prima casa”. In questo caso è necessario attestare (con un’autocertificazione) nella dichiarazione di successione l’esistenza delle condizioni che la legge richiede.

L’agevolazione fiscale è concessa se chi eredita l’immobile:

  • non è titolare, esclusivo o in comunione col coniuge, di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del Comune dove si trova l’immobile ereditato;
  • non è titolare, neppure per quote o in comunione legale, su tutto il territorio nazionale, di diritti di proprietà, uso, usufrutto, abitazione o nuda proprietà, su altra casa di abitazione acquistata, anche dal coniuge, usufruendo delle agevolazioni per l’acquisto della prima casa.

Tali due requisiti devono sussistere entrambi.

Inoltre, l’immobile deve trovarsi nel Comune in cui l’erede ha la propria residenza o in cui intende stabilirla entro diciotto mesi (salvo alcuni casi particolari in cui tale requisito non è richiesto, come per esempio per il personale delle forze di polizia).

Qualora vi siano più eredi e più immobili, ciascun erede (sempre se rispettati i predetti requisiti) potrà richiedere i benefici prima casa su un immobile diverso, ed i benefici richiesti da un coerede vanno a vantaggio anche degli altri.

Pertanto, nel caso in questione, la madre potrà richiedere l’agevolazione prima casa sul sub 1 (sul quale peraltro spetta il diritto di abitazione in qualità di coniuge superstite) e la sorella (avendo tutti i requisiti del caso) potrà richiedere la stessa agevolazione sul sub 2. Di tali agevolazioni ne beneficia anche il terzo erede.

Fiscal Focus

Regime dei minimi fino a naturale scadenza

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – Il disegno di legge di stabilità 2016 attua la riforma dei regimi agevolati prevedendo che dall’anno prossimo il regime forfetario resterà l’unico e in caso di inizio di una nuova attività si applicherà l’aliquota del 5% per i primi 5 anni. In assenza di diposizioni specifiche per i contribuenti minimi si ritiene che possano continuare ad operare con tale regime fino alla naturale scadenza.

Legge di stabilità 2015 – L’art. 1, commi 85 e 88, Legge di Stabilità 2015 ha soppresso il regime dei minimi ex art. 27, commi 1 e 2, DL n. 98/2011 dall’1.1.2015, permettendo però a coloro che al 31 dicembre 2014 erano già in regime di proseguire fino alla scadenza naturale, ossia al termine del quinquennio dall’inizio attività o al compimento del 35° anno di età.

Decreto mille proroghe – Il comma 12-undecies dell’art. 10 del Decreto “Milleproroghe” (D.L. n. 192/2014) in deroga alla disposizione di cui all’art. 1, comma 85, lett. b) e c), Legge di Stabilità 2015 che abroga il regime dei minimi, ha prorogato fino al 31 dicembre 2015 il termine entro il quale i soggetti in possesso dei relativi requisiti possono scegliere di adottare il regime di cui all’art. 27, commi 1 e 2, DL n. 98/2011, con applicazione dell’imposta sostitutiva del 5%. Di fatto, quindi, l’abrogazione del regime dei minimi prevista dalla Legge di Stabilità 2015 è prorogata di un anno.

Bozza legge di stabilità 2016 – Dal 2016 il regime forfetario sarà l’unico agevolato e in caso di inizio di una nuova attività il disegno di legge di stabilità 2016 prevede l’applicazione dell’aliquota del 5% (anziché del 15%) per i primi 5 anni. Non è previsto il mantenimento del regime di favore fino al compimento del 35° anno di età.

Forfettari start up con inizio nel 2015 – I contribuenti che hanno iniziato una nuova attività nel 2015 e che hanno fruito del regime forfetario possono, di fatto, applicare l’aliquota del 10% (anziché del 15%) sul reddito imponibile determinato applicando all’ammontare dei ricavi o compensi percepiti un coefficiente di redditività. Per i quattro anni successivi (dal 2016 al 2019) il disegno di legge di stabilità per il 2016 prevede la possibilità di applicare la nuova aliquota del 5 per cento.

Regime dei minimi – Si pone, al riguardo, il problema di quale disciplina debbano applicare i soggetti che nel 2015 e negli anni precedenti hanno scelto invece, di fruire, ricorrendone i presupposti, del regime “dei minimi”.

Mancanza di disciplina transitoria – Non è stata prevista, infatti, una disciplina transitoria per tali soggetti. Nella Legge n. 190/2014 era stato stabilito, come già detto, che i contribuenti che nel 2014 si erano avvalsi di tale regime avrebbero potuto continuare a fruirne fino alla scadenza del quinquennio e al compimento del 35° anno di età.

D.D.L. stabilità 2016 – Al riguardo si fa presente che nel disegno di legge di stabilità 2016 non vige alcuna norma contraria e pertanto si ritiene che tale disposizione legislativa rimanga in vigore, consentendo conseguentemente ai contribuenti interessati di fruire del regime “dei minimi” fino alla sua naturale scadenza e cioè fino al 5° anno o eventualmente fino al 35° anno di età.

Minimi nel 2015 – Anche la proroga stabilita in sede di conversione del D.L. n. 192/2014 (“Decreto Milleproroghe”) aveva previsto che lo stesso regime poteva essere scelto dai soggetti la cui attività fosse iniziata nel 2015. Il disegno di Legge di stabilità non ha abolito neanche tale previsione e si ritiene, pertanto, che anche tali soggetti possano continuare a fruire del regime di vantaggio fino alla sua naturale scadenza.

Autore: Devis Nucibella

Agenzie fiscali. La Cassazione “salva” gli atti dei dirigenti illegittimi

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Cassazione Tributaria, sentenza depositata il 9 novembre 2015

Sono validi ed efficaci gli atti riferibili ai funzionari delle Agenzia delle Entrate ai quali è stato conferito l’incarico dirigenziale senza concorso pubblico. È quanto emerge dalla sentenza n. 22810/15 della Sezione Tributaria della Cassazione che ha affrontato la questione degli effetti della pronuncia della Corte Costituzionale n. 37 del 2015 la quale ha sancito l’illegittimità della norma che ha consentito i ripetuti conferimenti di incarichi dirigenziali ai funzionari delle Agenzia fiscali senza l’indizione di concorsi pubblici.

Nel caso di specie, una società di persone ha invocato la ben nota sentenza della Corte costituzionale nella speranza di ottenere l’annullamento di tre avvisi di accertamento per imposte. Tali atti, infatti, erano stati firmati da un funzionario delegato dal direttore provinciale delle Entrate il quale aveva assunto la posizione dirigenziale senza il superamento delle procedure di accesso alla dirigenza necessarie per legge.

Ebbene, tale doglianza inerente alla “carenza di potere” del soggetto delegante non ha sortito l’effetto sperato. Innanzitutto, il suo esame è rimasto precluso nel giudizio di legittimità trattandosi di eccezione nuova. A tal proposito gli ermellini hanno sostenuto che le forme di invalidità dell’atto tributario, ove anche dal legislatore indicate sotto il nome di nullità, non sono rilevabili d’ufficio, né possono essere fatte valere per la prima volta nel giudizio di cassazione (tra le altre, Cass. n. 18448/2015).

La conversione delle ipotesi di nullità in mezzi di gravame avverso l’atto fiscale è una conseguenza, ha spiegato la S.C., della struttura impugnatoria del processo tributario, che vede la contestazione della pretesa fiscale suscettibile di essere prospettata solo attraverso specifici motivi di impugnazione dell’atto che la esprime. Il giudizio tributario, difatti, è caratterizzato da un meccanismo d’instaurazione di tipo impugnatorio circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati, e avente un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo di primo grado (Cass. n. 25756/2014).

Dopo questo chiarimento gli ermellini hanno espresso, ai sensi dell’art. 363 cod. proc. civ., i seguenti principi di diritto:

  • In ordine agli avvisi di accertamento in rettifica e agli accertamenti d’ufficio, il d.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, impone sotto pena di nullità che l’atto sia sottoscritto dal “capo dell’ufficio” o “da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato”, senza richiedere che il capo dell’ufficio o il funzionario delegato abbia a rivestire anche una qualifica dirigenziale; ciò ancorché una simile qualifica sia eventualmente richiesta da altre disposizioni.
  • In esito alla evoluzione legislativa e ordinamentale, sono impiegati della carriera direttiva, ai sensi della norma appena evocata, i “funzionari di area terza” di cui al contratto del comparto Agenzie fiscali fissato per il quadriennio 2002-2005. In questo senso la norma sopra citata, individua l’agente capace di manifestare la volontà della Amministrazione finanziaria negli atti a rilevanza esterna, identificando quale debba essere la professionalità per legge idonea a emettere quegli atti.
  • Essendo la materia tributaria governata dal principio di tassatività delle cause di nullità degli atti fiscali e non occorrendo, ai meri fini della validità di tali atti, che i funzionari (delegati o deleganti) possiedano qualifiche dirigenziali, ne consegue che la sorte degli atti impositivi formati anteriormente alla sentenza n. 37 del 2015 della Corte costituzionale, sottoscritti da soggetti al momento rivestenti funzioni di capo dell’ufficio, ovvero da funzionari della carriera direttiva appositamente delegati, e dunque da soggetti idonei ai sensi dell’art. 42 del D.P.R. n. 600 del 1973, non è condizionata dalla validità o meno della qualifica dirigenziale attribuita per effetto della censurata disposizione di cui art. 8, 24° comma, del d.l. n. 16 del 2012.
Autore: redazione fiscal focus

Sgravio contributivo triennale: aspetti di compatibilità con altri incentivi

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Lo sgravio contributivo triennale è incumulabile con il bonus assunzioni previsto dalla Riforma Fornero (art. 4, co. 8-11 della L. n. 92/2011). Infatti, per l’esonero contributo introdotto dalla Legge di Stabilità 2015 (art. 1, co. 118 della L. n. 190/2014) vige la disciplina generale secondo cui l’importo da porre a conguaglio nel flusso UniEmens non è cumulabile con “altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa vigente”.

Di conseguenza, se per esempio un datore di lavoro volesse assumere un lavoratore con più di 50 anni di età disoccupato da oltre 12 mesi o di donne prive di impiego regolarmente retribuito da almeno 24 mesi (ovvero prive di impiego da almeno 6 mesi e residenti in aree svantaggiate o con una professione o di un settore economico caratterizzati da un’accentuata disparità di genere), non sarà possibile godere di entrambi gli incentivi in trattazione. Semmai, è possibile godere prima del 50% dei contributi dovuti (art. 4, co. 8-11 della Legge 92/2012), per un rapporto a tempo determinato, e poi dell’incentivo della Legge 190/2014 (importo massimo conguagliabile di 8.060 euro per 36 mesi) per la trasformazione a tempo indeterminato. Infatti, ricorrendo tutti i requisiti specifici richiesti dalla L.190/2014, l’incentivo può essere riconosciuto nell’ipotesi in cui si trasformi a tempo indeterminato un rapporto a termine agevolato ai sensi dell’articolo 4, commi 8-11, della legge 92/2012.

Facciamo un esempio. Il 1° giugno 2015 Alfa assume a tempo determinato per 3 mesi Tizio, ultracinquantenne disoccupato da 24 mesi, e, alla scadenza (31.08.2015), trasforma il rapporto a tempo indeterminato. Ad Alfa spetta l’incentivo per il rapporto a tempo determinato di 3 mesi (se ricorrono tutte le condizioni di legge); per la trasformazione a tempo indeterminato ad Alfa (se ricorrono tutte le condizioni di legge) spetta l’incentivo previsto dalla legge 190/2014 per trentasei mesi.

Bonus Fornero – In tali casi, è chiaro che per poter dimezzare i contributi da versare, il lavoratore da assumere deve essere in possesso di tutte le caratteristiche individuate dalla legge. A tal fine, quindi, è necessario che:

  • il lavoratore ultracinquantenne sia disoccupato da oltre 12 mesi;
  • la donna residente in aree svantaggiate ovvero appartenente ad una professione o ad un settore economico caratterizzati da accentuata disparità occupazionale di genere deve essere priva di impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi;
  • la donna infra-cinquantenne, che risiede in un’area non svantaggiata, che non eserciti una professione né sia impiegata in un settore economico caratterizzati da accentuata disparità occupazionale di genere, deve essere priva di impiego regolarmente retribuito da almeno 24 mesi;
  • il lavoratore assunto o trasformato a tempo indeterminato per il quale si intende godere dell’esonero triennale non deve essere stato titolare di un rapporto a tempo indeterminato nei 6 mesi precedenti o titolare di un rapporto a tempo indeterminato nel corso dei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore della legge di stabilità con il datore di lavoro richiedente l’incentivo ovvero con società da questi controllate o collegate ai sensi dell’art. 2359 c.c.

Lavoratori in mobilità – Analogo discorso finora visto è applicabile anche per le assunzioni agevolate di lavoratori collocati nelle liste di mobilità (L. n. 223/1991). Infatti,è possibile godere prima dell’incentivo previsto dalla legge 223/1991, per un rapporto a tempo determinato, e poi dell’incentivo previsto dalla legge 190/2014 per la trasformazione a tempo indeterminato.

Sul punto, è bene precisare che il datore di lavoro ha facoltà di decidere quale beneficio applicare, fermo restando che, in via generale, una volta attivato il rapporto di lavoro sulla base dello specifico regime agevolato prescelto, non risulta possibile applicarne un altro. Pertanto, se il datore di lavoro ha già richiesto l’agevolazione ex art. 8, comma 2, secondo periodo, della L. 223/1991, non può, in un momento successivo, modificare tale scelta e chiedere l’applicazione dell’esonero triennale.

Incentivi cumulabili – L’esonero contributivo introdotto, invece, è cumulabile con gli incentivi che assumono natura economica (es. Garanzia Giovani). Infatti, il datore di lavoro che intenda assumere, mediante il contratto a tempo indeterminato (escluso l’apprendistato) un giovane di età compresa tra i 18 e i 29 anni e 364 giorni, in possesso anche dei requisiti previsti dall’art. 1, co. 118 della L. n. 190/2014, potrà cumulare i due benefici raggiungendo quindi un risparmio complessivo fino a un massimo di 30.180 euro nei primi tre anni di assunzione.

Autore: redazione fiscal focus

Sull’applicabilità del “nuovo” redditometro per il passato

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Cassazione Tributaria, ordinanza depositata il 6 novembre 2015

Con disposizione di diritto transitorio, l’art. 22, comma 1, del D.L. n. 78 del 2010 statuisce che le modifiche apportate all’art. 38 del D.P.R. n. 600 del 1973 producono effetti “per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto“, ossia per l’accertamento del reddito relativo a periodi d’imposta successivi al 2009.

È quanto ha evidenziato la Sesta Sezione Civile – T della Suprema Corte nell’ordinanza n. 22744/15 con cui è stata rimessa davanti al giudice di secondo grado, in accoglimento del ricorso prodotto dall’Agenzia delle entrate, la causa concernente un avviso di accertamento conseguente alla rettifica, ex art. 38 comma 4 del D.P.R. 600/73, della dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente per l’anno d’imposta 2008.

La Commissione Tributaria Regionale del Veneto aveva parzialmente accolto l’impugnazione del contribuente avendo ritenuto applicabile alla fattispecie, in luogo dei parametri previsti dal D.M. 10 settembre 1992 quelli del D.M. del 24 dicembre 2012 (intervenuto in corso di causa), e ciò in ragione della natura procedimentale delle norme regolamentari e della necessità di applicare la disciplina più favorevole al contribuente.

Ebbene, il ragionamento decisionale della CTR è stato censurato dalla Suprema Corte che ha dato ragione alla difesa erariale in punto di applicabilità del “nuovo redditometro” di cui al D.M. 24/12/2012.

La giurisprudenza di legittimità ha evidenziato “che il richiamo alla retroattività è inconferente, giacché la giurisprudenza della Corte, nell’affermare l’applicabilità degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992 ai periodi d’imposta precedenti alla loro adozione, non sulla retroattività ha fatto leva, bensì sulla natura procedimentale delle norme dei decreti, che ne comporta l’applicabilità in rapporto al momento dell’accertamento (vedi, fra varie, Cass. 19 aprile 2013, n. 9539)”.

Del pari inconferente è l’invocazione del principio del favor rei, “perché l’applicazione di tale principio è predicabile unicamente al cospetto di norme sanzionatorie, non già allorquando si tratti dei poteri di accertamento oppure della formazione della prova, che sono appunto i piani coinvolti dal redditometro. Ed ancor prima, ad ogni modo, va rilevato che la questione su quale sia la norma applicabile è questione di diritto intertemporale che, appunto, va a identificare, nella successione fra più norme, quella da dover applicare; ma il diritto intertemporale necessariamente recede a fronte di esplicita previsione di diritto transitorio, che esso stesso identifica la norma applicabile. E nel nostro caso, con disposizione di diritto transitorio, il D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1, statuisce che le modifiche apportate al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, producono effetti ‘per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto’, ossia per l’accertamento del reddito relativo a periodi d’imposta successivi al 2009 (Cass. n. 21041 del 06/10/2014)”.

Di questi rilievi dovrà ora tenere conto il giudice del rinvio.

Autore: redazione fiscal focus

Voluntary disclosure: dal 10 Novembre istanze al Centro operativo di Pescara

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate Prot. n. 2015/142716 del 06.11.2015

Le istanze inviate a partire dal prossimo 10 Novembre, al fine di consentire un’efficiente lavorazione delle istanze già pervenute alle Direzioni Provinciali competenti, usufruendo del differimento dei termini di attivazione della procedura di collaborazione volontaria disposto dall’art. 2 del decreto legge 30 settembre 2015, sono assegnate per la loro gestione ad una specifica articolazione dell’Agenzia delle entrate, individuata con il presente Provvedimento nel Centro operativo di Pescara.

La relazione di accompagnamento e la documentazione a corredo all’istanza di voluntary disclosure, sono trasmesse, esclusivamente mediante posta elettronica certificata alla casella del Centro operativo di Pescara vd.cop@postacert.agenziaentrate.it.

E’ da evidenziare che si fa riferimento esclusivamente alle istanza inviate per la prima volta. Per le integrazioni di istanze già presentate prima del 10.11.2015 si dovrà inoltrare la richiesta alla Direzione Regionale competente.

L’unica eccezione è rappresentata dalla Direzione Provinciale di Bolzano che mantiene la gestione delle istanze di accesso alla procedura di collaborazione volontaria, anche se presentate per la prima volta a decorrere dal 10 novembre 2015.

Si prevede inoltre che un ulteriore provvedimento sarà emanato a seguito del completamento dell’iter di conversione in legge del decreto legge 30 settembre 2015, n. 153 per assegnare al medesimo Centro operativo le ulteriori attribuzioni per la gestione del complessivo procedimento e per gli ulteriori adempimenti connessi alla gestione delle istanze.

Nell’ottica di agevolare il rapporto con i contribuenti, sarà inoltre prevista la possibilità, su istanza del contribuente, di effettuare eventuali fasi del procedimento in contradditorio presso altre sedi dell’Agenzia.

Autore: redazione fiscal focus

No all’ipoteca sull’immobile del Fondo

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Sui beni del fondo patrimoniale non è consentito adottare misure a garanzia del credito erariale. È quanto emerge dalla sentenza n. 1362/01/15 della Commissione Tributaria Regionale di Catanzaro.

Un contribuente ha ottenuto l’annullamento dell’iscrizione ipotecaria eseguita dall’agente della riscossione su di un immobile conferito in fondo patrimoniale.

L’uomo ha fatto presente che la misura cautelare era originata al mancato pagamento di due cartelle esattoriali che erano state impugnate davanti al giudice tributario e che l’Agenzia delle entrate aveva emesso provvedimento di sospensione a norma dell’art. 15 del D.P.R. n. 46/1999. Quindi l’iscrizione era illegittima per due ordini di motivi: per la sospensione disposta dall’ente impositore e poi perché sull’immobile conferito nel fondo patrimoniale grava un vincolo di inespropriabilità.

Dal canto suo il concessionario della riscossione ha difeso il proprio operato deducendo che l’art. 170 del codice civile fa espresso riferimento all’esecuzione sui beni del fondo e non anche all’attività cautelare in cui si concreta l’iscrizione dell’ipoteca.

Ebbene, tanto i giudici di primo grado quanto quelli d’appello hanno ritenuto fondata l’impugnazione del contribuente.

Nelle motivazioni della sentenza della CTR calabrese – confermativa di quella di prime cure – si legge: “l’unica prospettazione difensiva del concessionario della riscossione concernente la legittimità dell’iscrizione ipotecaria va disattesa. Equitalia Sud Spa non contesta, invero, che il bene sia stato conferito nel fondo patrimoniale né, tantomeno, deduce che il contribuente non avrebbe dimostrato la sussistenza di altre condizioni ostative alla iscrizione (va, sul punto, ricordato che, alla stregua della costante giurisprudenza formatasi in materia, l’esattore può iscrivere ipoteca su beni appartenenti al coniuge o al terzo, conferiti nel fondo, qualora il debito facente capo a costoro sia stato contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari, ovvero quando – nell’ipotesi contraria- il titolare del credito, per il quale l’esattore procede alla riscossione, non conosceva l’estraneità ai bisogni della famiglia; viceversa, l’esattore non può iscrivere l’ipoteca – sicché, ove proceda in tal senso, l’iscrizione è da ritenere illegittima – nel caso in cui il creditore conoscesse tale estraneità – vedi Cassazione civile, sez. III, 05/03/2013, n. 5385), ma, a sostegno dell’appello, evidenzia soltanto che l’iscrizione sarebbe legittima in quanto l’art. 170 del codice civile fa espresso riferimento al divieto di esecuzione sui beni del fondo e non anche all’attività cautelare in cui si concreta l’iscrizione dell’ipoteca. L’assunto è contraddetto dalla giurisprudenza appena ricordata, e, peraltro, non tiene conto dello stretto collegamento tra misura cautelare ed esecuzione, cui la prima è finalizzata”.

Insomma, del tutto inutilmente il concessionario della riscossione ha sostenuto la legittimità dell’atto d’iscrizione ipotecaria. Per i giudici calabresi non si può ritenere che alla stregua della vigente normativa sussista solo il divieto di procedere a esecuzione forzata sui beni del fondo patrimoniale sicché sarebbe consentito adottare misure a garanzia del credito.

Autore: redazione fiscal focus

Sottoscrizione accertamenti. Insufficiente la semplice delega

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Una decisione della CTP di Enna

Se il contribuente eccepisce il difetto di sottoscrizione quale causa di nullità dell’avviso di accertamento impugnato, l’Ufficio finanziario è tenuto a dimostrare la qualifica dirigenziale di chi ha firmato l’atto al posto del capo dell’ufficio. È quanto emerge dalla sentenza 1122/03/15 della Commissione Tributaria Provinciale di Enna.

Il collegio siciliano di primo grado ha accolto il ricorso del contribuente annullando, per l’affetto, gli avvisi di accertamento oggetto di causa essendo l’Ufficio è venuto meno all’onere probatorio in ordine al corretto esercizio della delega di firma. Più precisamente, l’Ufficio resistente non ha dimostrato che il “Capo team” che aveva sottoscritto gli avvisi, su delega del direttore, fosse in possesso dei requisiti per esercitare la funzione.

Quando l’Agenzia delle entrate si è costituita nel giudizio che ci occupa, ha prodotto la delega di firma del Direttore provinciale al “Capo Team”, effettivo firmatario degli atti impugnati, astenendosi però dal precisare se il medesimo appartenesse o meno alla carriera dirigenziale. Ebbene, questa mancanza dell’amministrazione ha favorito il ricorrente, che ha ottenuto l’annullamento della ripresa fiscale.

In motivazione si legge: “[…] ritiene la commissione che sia fondata l’eccezione di nullità degli avvisi impugnati per mancata sottoscrizione degli stessi da parte del direttore dell’Agenzia delle entrate di Enna. Vero è che il direttore dell’Agenzia può delegare tale compito a un funzionario dell’Agenzia medesima della nona qualifica funzionale, ma in tale ipotesi, in presenza di specifica eccezione di parte, l’Agenzia resistente avrebbe dovuto produrre in giudizio non soltanto la delega conferita al capo team con attestazione del valore della controversia entro i cui limiti la stessa poteva essere esercitata, ma, soprattutto, attestazione in ordine all’effettivo possesso, da parte del capo team delegato firmatario degli avvisi impugnati, della qualifica necessaria per poter ricevere tale delega e legittimamente operare in ragione di essa. Detta attestazione non risulta essere stata prodotta e invero alcunché è stato dedotto, dall’Agenzia delle entrate resistente, in ordine al possesso, da parte del (omissis), come già evidenziato firmatario degli avvisi impugnati, della nona qualifica funzionale, la sola che lo avrebbe legittimato a operare e a sottoscrivere su delega del direttore provinciale dell’Agenzia delle entrate di Enna. In assenza di tale attestazione e considerato che gli avvisi di accertamento impugnati non risultano sottoscritti dal direttore provinciale dell’Agenzia delle entrate di Enna, detti avvisi devono ritenersi nulli”.

Gli stessi principi sono stati espressi dalla CTP di Enna nella sentenza 1076/03/14.

Autore: redazione fiscal focus

Cartella esattoriale: il pagamento non riconosce il debito

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Una sentenza della CTP di Varese

Pagare delle somme derivanti da una cartella di pagamento non equivale a riconoscere il debito, con la conseguenza che non si hanno effetti sul decorso della prescrizione, né sul diritto del contribuente di contestare la pretesa.

È quanto emerge dalla sentenza n. 156/05/15 della Commissione Tributaria Provinciale di Varese.
Ai sensi dell’art. 1988 del Codice civile, la promessa di pagamento o la ricognizione di un debito dispensa colui a favore del quale è fatta dall’onere di provare il rapporto fondamentale, la cui esistenza si presume fino a prova contraria.
Il riconoscimento del debito – che secondo la giurisprudenza può realizzarsi attraverso un qualsiasi comportamento che produca l’ammissione dell’esistenza del diritto – riveste carattere fondamentale sotto il profilo della prescrizione, poiché ai sensi dell’articolo 2944 del codice civile “la prescrizione è interrotta dal riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale il diritto stesso può essere fatto valere”.
Ora, con la sentenza in argomento, la CTP di Varese ha escluso che il pagamento di alcune somme portate da una cartella di pagamento abbia avuto effetto interruttivo della prescrizione, come invece ritenuto dal concessionario della riscossione, posto che l’atto di riconoscimento di debito, di cui all’art. 1988 c.c., affinché possa produrre effetto interruttivo della prescrizione a norma dell’art. 2944 del c.c., non solo deve provenire da soggetto che abbia poteri dispositivi del diritto stesso, ma anche e soprattutto deve manifestare, in modo chiaro e univoco, l’intenzione ricognitiva del diritto altrui, tale da escludere che la dichiarazione medesima possa essere effettuata ad altri fini incompatibili con la volontà di riconoscere il diritto altrui (Cass. civ. III sentenza 24/11/2010 n. 23822).
Si deve inoltre ritenere che “ogni diritto si estingue per prescrizione quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge. Anche lo Stato e, quindi, la Pubblica amministrazione soggiace alla prescrizione ordinaria”.
I giudici varesini hanno quindi accolto il ricorso del contribuente dichiarando però la compensate le spese di lite, in ragione della particolarità e complessità della questione trattata.

Autore: redazione fiscal focus

Reverse charge Iva: possibile applicazione anche per pc e tablet

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Una nuova misura, forse solo temporanea, che riguarda l’estensione dell’applicazione del reverse charge, ovvero quel particolare meccanismo in base al quale, in deroga all’art. 17, co. 1, D.P.R. 633/1972, gli obblighi dell’assolvimento dell’IVA sono “traslati” dal soggetto cedente/prestatore al soggetto cessionario/committente. Tale strumento è generalmente utilizzato negli scambi intracomunitari con la principale finalità di cercare di tamponare l’evasione dell’imposta. In molti settori, infatti, tale evasione viene perpetrata attraverso il mancato versamento dell’IVA da parte del soggetto cedente o prestatore, che solitamente è il debitore dell’imposta.

La stessa ragione sembra alla base della possibile estensione del revers chargealle cessioni di pc, tablet, laptop e console da gioco. E’ quanto prevede uno schema di dlgs esaminato solo in via preliminare dal Consiglio dei Ministri, che sta valutando le modalità tecniche per l’adeguamento dell’articolo 17 del dpr n. 633/72 alla normativa sovranazionale.

Le suddette modifiche al Decreto IVA recepirebbero quanto previsto dall’art. 199-bis della Diretta 2006/112/UE che prevede quanto segue:

Fino al 31 dicembre 2018 e per un periodo minimo di due anni, gli Stati membri possono stabilire che il soggetto tenuto al pagamento dell’IVA sia il soggetto passivo nei cui confronti sono effettuate le seguenti operazioni:

  1. c) cessioni di telefoni cellulari, concepiti come dispositivi fabbricati o adattati per essere connessi a una rete munita di licenza e funzionanti a frequenze specifiche, con o senza altro utilizzo;
  1. d) cessioni di dispositivi a circuito integrato quali microprocessori e unità centrali di elaborazione prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale”.

Esercitando tale facoltà, il Legislatore ha in cantiere la modifica normativa in commento, introducendo nell’art. 17 del Decreto IVA una nuova lettera c), in base alla quale il reverse charge è applicabile fino al 31.12.2018 alle seguenti operazioni:

  • le cessioni di console da gioco, pc, tablet e laptop;

Da verificare il testo della norma e la sua compatibilità con le richiamate disposizioni comunitarie.

Si prevede inoltre che l’applicazione del reverse charge per le cessione di telefonino e microprocessori sia applicabile fino al 31.12.2018.

Autore: redazione fiscal focus

Premi di produttività 2015: addio alla tassazione agevolata

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – L’imposizione fiscale sostitutiva sui premi di produttività era stato previsto dalla legge n. 228/2012, per i periodi d’imposta 2013 e 2014.

In particolare, il legislatore prevedeva un’aliquota del 10%, sostitutiva dell’Irpef e relative addizionali.

Così, per il 2014 al premio di produttività era applicata l’’aliquota agevolata del 10%, per stipendio fino a 40.000 euro l’anno, con un tetto massimo di 3.000 euro lordi annui di premio.

Come dichiarato espressamente dal Ministro dell’Economia e delle finanze, nel corso di un’interrogazione parlamentare, le somme che la stessa legge di stabilità 2013 destinava alla copertura della detassazione dei premi di produttività per il 2015, pari a 200 milioni di euro, non sono destinate a finanziare la proroga dell’agevolazione fiscale ma a coprire gli effetti fiscali delle agevolazioni valide per il 2014.

Niente agevolazione per il 2015 – Per il 2015, dunque i lavoratori possono dire addio alla predetta detassazione dei premi di produttività e di tutte le altre voci di salario legati a incrementi produttivi dell’azienda, salvo un provvedimento del Governo a copertura del relativo fabbisogno (secondo i calcoli del Ministero dell’Economia e finanze servirebbero circa 638 milioni di euro).

Il risultato della mancata proroga per il 2015 della detassazione dei premi produttività è che su di essi e sulle altre voci di salario legate a incrementi produttivi dell’azienda, non si applica la tassazione sostitutiva del 10% ma si applica la tassazione ordinaria con un sensibile impatto negativo sulle tasche dei lavoratori ed in particolare di quelli più bravi (o meglio produttivi).

Il calcolo del taglio che tali soggetti subiscono è molto semplice: un lavoratore con un reddito di 27 mila euro e 2.800 euro di premio, si ritroverà in tasca 1.736 euro (aliquota del 38 %) contro i 2.520 euro (aliquota sostitutiva del 10 %).

Secondo una stima del sindacato Uil, il reddito del lavoratore subirà una perdita media di circa 1.500 euro.

Ed io pago diceva il grande Totò!

Patent box: il calcolo dell’agevolazione

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Dopo la comunicazione pubblicata in Gazzetta Ufficiale con la quale è stato “ufficializzato” il Decreto attuativo del patent box, è possibile fare il punto su alcuni aspetti relativi al rapporto tra l’agevolazione in questione e i costi di R&S nonché sul calcolo pratico della misura agevolativa introdotta dalla Legge di Stabilità 2015.

Collegamento tra bene immateriale agevolabile e costi di R&S – In merito alla prima questione, va innanzitutto evidenziato che il co. 41 dell’articolo unico della Legge di Stabilità 2015 ha definito le condizioni necessarie per usufruire dell’agevolazione.

In particolare si prevede che l’opzione per il regime di tassazione agevolata è consentita a condizione che i soggetti svolgano le attività di ricerca e sviluppo, anche mediante contratti di ricerca stipulati con Università o enti di ricerca e organismi equiparati, finalizzati alla produzione dei beni immateriali oggetto del regime agevolato.

Con le modifiche approvate nel D.L. investment compact (D.L. 3/2015), è stata concessa la possibilità di svolgere le attività di ricerca e sviluppo anche tramite società esterne, a condizione che non si tratti di società del gruppo.

Il requisito del collegamento diretto tra costi di R&S e bene immateriale è in linea con i principi dettati dall’Ocse, ed in particolare con il nexus approach in base al quale per cui deve sempre sussistere un collegamento diretto tra spese sostenute per il bene immateriale e reddito agevolabile, derivante dall’utilizzo del bene stesso.

La questione più controversa della nuova misura riguardava l’individuazione del costi di R&S rilevanti ai fini del calcolo dell’agevolazione, che è esaustivamente affrontata nell’art. 8 del D.M. 30.07.2015.

In particolare, rientrano nell’ambito delle attività di R&S:

  • la ricerca fondamentale;
  • la ricerca applicata;
  • lo sviluppo sperimentale e competitivo;
  • il design;
  • l’ideazione e la realizzazione del software protetto da copyright;
  • le ricerche preventive, i test e le ricerche di mercato e gli altri studi e interventi anche finalizzati all’adozione di sistemi anticontraffazione, il deposito, l’ottenimento e il mantenimento dei relativi diritti, il rinnovo e la protezione degli stessi;
  • le attività di presentazione, comunicazione e promozione in grado di accrescere il carattere distintivo e/o la rinomanza dei marchi.

Il calcolo dell’agevolazione – La quota di reddito e del valore della produzione (l’opzione per il regime di tassazione agevolata dei redditi derivanti dall’utilizzo dei beni immateriali rileva, oltre che per la determinazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi, anche ai fini Irap) che può essere oggetto di agevolazione è definita in base al rapporto tra i costi di attività di ricerca e sviluppo, rilevanti ai fini fiscali, sostenuti per il mantenimento, l’accrescimento e lo sviluppo del bene immateriale eleggibile e i costi complessivi (fiscali) sostenuti per produrre tale bene.

La questione della determinazione del reddito agevolabile è affrontata nell’art. 9 del Decreto attuativo, che chiarisce le modalità per il suo calcolo.

Si prevede che tale quota deve essere determinata per ciascun bene immateriale, indicando al numeratore i costi relativi alle attività di ricerca e sviluppo poste in essere

  • direttamente dai soggetti beneficiari;
  • da università o enti di ricerca e organismi equiparati;
  • da società, anche start up innovative, diverse da quelle che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa.

L’importo di tali costi è incrementato:

  • dei costi relativi alle attività di R&S derivanti da operazioni infragruppo, per la quota costituita dal riaddebito di costi sostenuti dalle società del gruppo nei confronti di soggetti terzi;
  • dei costi relativi alle attività di R&S sostenuti dal soggetto beneficiario nell’ambito di un accordo per la ripartizione dei costi come definito dal provvedimento 29 settembre 2010 dell’Agenzia delle Entrate (relativo alla disciplina degli oneri documentali in materia di transfer pricing), almeno fino a concorrenza dei proventi rappresentati dal riaddebito dei costi, di cui al comma 2, ai soggetti partecipanti all’accordo.

Al denominatore del rapporto vanno indicati i costi suddetti aumentati:

  • dei costi derivanti da operazioni infragruppo, sostenuti per lo sviluppo, il mantenimento e l’accrescimento del bene immateriale;
  • del costo di acquisizione, anche mediante licenza di concessione in uso, del bene immateriale sostenuto nel periodo d’imposta.

Per la determinazione del rapporto non assumono alcuna rilevanza:

  • gli interessi passivi;
  • le spese relative agli immobili;
  • e qualsiasi costo non direttamente riconducibile a uno specifico bene immateriale.

La quota di reddito agevolabile è data dal prodotto tra il reddito derivante dall’utilizzo dei beni immateriali e il rapporto summenzionato, e non concorre a formare il reddito d’impresa del soggetto beneficiario nelle percentuali anzidette.

Autore: redazione fiscal focus

REVERSE CHARGE IVA: POSSIBILE APPLICAZIONE ANCHE PER PC E TABLET

Una nuova misura, forse solo temporanea, che riguarda l’estensione dell’applicazione del reverse charge, ovvero quel particolare meccanismo in base al quale, in deroga all’art. 17, co. 1, D.P.R. 633/1972, gli obblighi dell’assolvimento dell’IVA sono “traslati” dal soggetto cedente/prestatore al soggetto cessionario/committente. Tale strumento è generalmente utilizzato negli scambi intracomunitari con la principale finalità di cercare di tamponare l’evasione dell’imposta. In molti settori, infatti, tale evasione viene perpetrata attraverso il mancato versamento dell’IVA da parte del soggetto cedente o prestatore, che solitamente è il debitore dell’imposta.

La stessa ragione sembra alla base della possibile estensione del revers chargealle cessioni di pc, tablet, laptop e console da gioco. E’ quanto prevede uno schema di dlgs esaminato solo in via preliminare dal Consiglio dei Ministri, che sta valutando le modalità tecniche per l’adeguamento dell’articolo 17 del dpr n. 633/72 alla normativa sovranazionale.

Le suddette modifiche al Decreto IVA recepirebbero quanto previsto dall’art. 199-bis della Diretta 2006/112/UE che prevede quanto segue:

Fino al 31 dicembre 2018 e per un periodo minimo di due anni, gli Stati membri possono stabilire che il soggetto tenuto al pagamento dell’IVA sia il soggetto passivo nei cui confronti sono effettuate le seguenti operazioni:

  1. c) cessioni di telefoni cellulari, concepiti come dispositivi fabbricati o adattati per essere connessi a una rete munita di licenza e funzionanti a frequenze specifiche, con o senza altro utilizzo;
  1. d) cessioni di dispositivi a circuito integrato quali microprocessori e unità centrali di elaborazione prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale”.

Esercitando tale facoltà, il Legislatore ha in cantiere la modifica normativa in commento, introducendo nell’art. 17 del Decreto IVA una nuova lettera c), in base alla quale il reverse charge è applicabile fino al 31.12.2018 alle seguenti operazioni:

  • le cessioni di console da gioco, pc, tablet e laptop;

Da verificare il testo della norma e la sua compatibilità con le richiamate disposizioni comunitarie.

Si prevede inoltre che l’applicazione del reverse charge per le cessione di telefonino e microprocessori sia applicabile fino al 31.12.2018.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

CARTELLA AGLI EREDI. NULLITÀ DELLA NOTIFICA

Una sentenza della CTP della Capitale

Quando è stata presentata la dichiarazione di successione, la cartella di pagamento deve essere notificata, a pena di nullità, personalmente e nominativamente a tutti gli eredi e non ai medesimi impersonalmente e collettivamente presso l’ultimo domicilio del de cuius. Gli eredi sono tenuti al pagamento del debito ereditario solamente pro quota. Pertanto è illegittimo un ruolo unico, che non determini, cioè, la pretesa imputabile a ciascuno degli eredi.

Con la sentenza n. 16576/57/15, la Commissione Tributaria Provinciale di Roma ha annullato una cartella di pagamento relativa a un’iscrizione a ruolo effettuata dalla dall’Agenzia delle Entrate ai sensi dell’art. 36-bis del D.P.R. 600/73.

La cartella veniva notificata impersonalmente agli eredi del contribuente deceduto presso l’ultimo domicilio del medesimo sicché gli eredi hanno proposto impugnazione presso la competente CTP eccependo la nullità assoluta della notificazione della cartella, posto che era stata presentata all’Agenzia delle Entrate la dichiarazione di successione. Per legge, infatti, la notificazione nell’ultimo domicilio del defunto non è consentita nel caso in cui gli eredi abbiano provveduto a comunicare all’Ufficio il loro domicilio. Il che è avvenuto, nella specie, con la dichiarazione di successione.

Ebbene, i giudici capitolini di primo grado hanno accolto il ricorso degli eredi.

A proposito della notificazione agli eredi impersonalmente e collettivamente presso l’ultimo domicilio del de cuius la CTP scrive: “risulta fondato il secondo motivo del gravame, con il quale i ricorrenti deducono la nullità assoluta della cartella impugnata e della sua notificazione, perché emessa e notificata impersonalmente ne confronti degli eredi (omissis) in via (omissis). L’art. 65 del D.P.R. n. 600/73 consente, infatti, la notificazione degli atti, relativi a soggetto defunto, impersonalmente ai suoi eredi nel suo ultimo domicilio, solo se gli eredi stessi non abbiano comunicato il loro personale domicilio. La notifica impersonale nell’ultimo domicilio del defunto non è consentita nel caso in cui gli eredi abbiano, invece provveduto a comunicare all’ufficio il loro domicilio. Nella specie, ciò è avvenuto con la dichiarazione di successione (…). La nullità in questione, secondo la Corte di cassazione è assoluta e insanabile (Cass. nn. 18729/2014; 10659/2003; 11447/2002 e 3865/2001). Oltre a ciò, poiché la cartella impugnata enuncia una pretesa fiscale nei confronti di soggetti che, in ragione della qualità ereditaria, non sono tenuti in solido, ma ‘pro quota’, la emissione del ruolo che non tenga conto della loro identità e del loro domicilio, quali risultano già dagli atti dell’Agenzia delle entrate, si risolve in una nullità della stessa iscrizione a ruolo, per la indeterminatezza della pretesa fiscale nei confronti di ciascuno”.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

SCRITTURE REGOLARI. STOP ALL’ACCERTAMENTO

Cassazione Tributaria, sentenza depositata il 4 novembre 2015

In presenza di una contabilità aziendale “ineccepibile” diventa più difficile per l’Ufficio dimostrare l’esistenza di ricavi non dichiarati. È quanto emerge dallasentenza 4 novembre 2015, n. 22465, della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria.

La controversia trattata dalla Suprema Corte è scaturita da un avviso di accertamento che rideterminava, in aumento, il reddito imponibile di una Sas in relazione ad un’unica un’annualità d’imposta, sulla base dell’asserita mancata dichiarazione di ricavi; circostanza desunta dall’Ufficio a seguito del ricarico medio ponderato, da applicare al costo delle merci in vendita, quantificato nel 66% contro il 42% dichiarato e applicato dalla contribuente.

I giudici di primo grado e, poi, quelli dell’appello non hanno avallato la pretesa impositiva, con conseguente declaratoria di nullità degli avvisi di accertamento impugnati. Dal che il ricorso per cassazione, che ha avuto anch’esso esito negativo per il fisco.

L’impugnata sentenza della CTR di Bolzano, ad avviso degli ermellini, ha fatto buongoverno dei principi giurisprudenziali in materia di accertamento analitico-induttivo ex art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. 600/1973.

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, “nell’accertamento delle imposte sui redditi, la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico – induttivo del reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 39, primo comma lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente. In tali casi, pertanto, è consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti -, maggiori ricavi o minori costi, a esempio determinando il reddito del contribuente utilizzando le percentuali di ricarico, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente”.

Da questo principio non si è discostata, a giudizio degli ermellini, la CTR di Bolzano, la quale, anche alla luce della disposta consulenza tecnica d’Ufficio, ha potuto escludere la correttezza del metodo utilizzato dai verificatori per determinare il volume d’affari della contribuente. Infatti, per un verso, lo scostamento dei ricavi dichiarati da quelli attribuiti mediante l’applicazione di una differente percentuale di ricarico non è risultata così “straordinariamente consistente” da giustificare l’accertamento per via induttiva, dall’altro lacontabilità ordinaria della contribuente è risultata “formalmente ineccepibile” così come laquella “di magazzino”.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

PERDITE SU CREDITI IN CASO DI PROCEDURE CONCORSUALI

Deducibili anche in caso di approvazione di un piano attestato di risanamento

Premessa – Sono deducibili in ogni caso le perdite su crediti relative ad un debitore assoggettato a procedure concorsuali (fallimento, liquidazione coatta amministrativa, concordato preventivo, accordo di ristrutturazione dei debiti e amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi), anche estere equivalenti, che ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti o un piano attestato di ristrutturazione.

Perdite su crediti – La disciplina delle perdite su crediti di cui all’art. 101, co. 5, del D.P.R. 917/1986 torna sotto la lente del Legislatore, che questa volta amplia le ipotesi di deduzione automatica delle perdite. Le modifiche entrano in vigore nel periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del Decreto Legislativo 147/2015. Dunque, dal periodo d’imposta 2015 (UNICO 2016) si dovrà far fronte alle novità introdotte dal Legislatore con il D.Lgs. 147/2015 – “Disposizioni recanti misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese”.

Procedure concorsuali – In particolare per quanto riguarda le procedure concorsuali l’art. 101, comma 5, TUIR prevede che le perdite su crediti sono deducibili qualora risultino da elementi certi e precisi ovvero “in ogni caso” se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali (fallimento, liquidazione coatta amministrativa, concordato preventivo, accordo di ristrutturazione dei debiti e amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi).

Deducibilità – In tale ipotesi la perdita è automaticamente deducibile indipendentemente dalla relativa definitività e dalla sussistenza degli elementi certi e precisi posto che, come ribadito dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare 1.8.2013, n. 26/E, la situazione di sofferenza del credito è “ufficialmente conclamata ad opera di un soggetto terzo indipendente e non rimessa alla mera valutazione del creditore”.

Assoggettamento a procedure concorsuali – A tal fine, il debitore è considerato assoggettato a procedure concorsuali dalla data della sentenza/provvedimento di ammissione alla procedura/decreto di omologa (sentenza dichiarativa del fallimento, provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa, decreto di ammissione al concordato preventivo, decreto di omologazione dell’accordo di ristrutturazione, decreto che dispone l’amministrazione straordinaria).

Decreto internazionalizzazione – L’art. 13, comma 1, lett. c) del D.Lgs. n. 147/2015 (c.d. “Decreto Internazionalizzazione”), integrando il comma 5 del citato art. 101, riconosce la deducibilità “in ogni caso” delle perdite su crediti anche in presenza di un piano attestato di risanamento ex art. 67, comma 3, lett. d), Legge fallimentare oppure di procedure estere equivalenti, previste in Stati con i quali sussiste un adeguato scambio di informazioni. Sul punto, la Relazione illustrativa al Decreto in esame fa riferimento, in particolare, alla procedura fallimentare di ristrutturazione societaria statunitense denominata “Chapter 11”, che risulta equivalente agli accordi di ristrutturazione di cui all’art. 182-bis della citata Legge fallimentare.

Momento rilevante – Relativamente alle suddette procedure assume rilievo rispettivamente la data di iscrizione nel Registro delle Imprese del piano di risanamento o di ammissione alla procedura estera.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Omessa IVA. A rischio la causa di non punibilità e la soglia più alta

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Il Tribunale di Varese chiede un parere alla CGUE

Lo scorso 22 ottobre è entrata a regime la riforma dei reati tributari ad opera del D.Lgs. n. 158/2015. Tale decreto, fra l’altro, ha innalzato la soglia minima di rilevanza penale per il caso di omesso versamento dell’IVA – detta soglia da 50 mila è salita a 250 mila euro per ciascun periodo d’imposta – e stabilito una causa di non punibilità, nel senso che il contribuente non è punibile ai sensi dell’art. 10 ter del D.Lgs. n. 74/2000 se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, provvede all’integralmente pagamento di quanto dovuto all’Erario, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, oltreché del ravvedimento operoso.

Queste due importanti novità in materia di reati fiscali sono ora finite sotto la lente d’ingrandimento del Tribunale di Varese che, sospettando la loro non compatibilità con il diritto dell’Unione, ha chiesto “lumi” sul punto alla Corte di Giustizia del Lussemburgo sospendendo, nel frattempo, il procedimento a carico di un amministratore di società.
Il Tribunale di Varese, visto l’art. 267 TFUE, ha chiesto alla CGUE di chiarire:

  • se il diritto europeo, e in particolar modo il combinato disposto degli artt. 4.1, paragrafo 3, TUE, 325 TFUE e dalla direttiva 2006/112 che prevedono l’obbligo di assimilazione in capo agli Stati membri per quanto riguarda le politiche sanzionatorie, possa essere interpretato nel senso che osti alla promulgazione di una norma nazionale che preveda che la rilevanza penale dell’omesso versamento dell’IVA consegua al superamento di una soglia pecuniaria più elevata rispetto a quella stabilita in relazione all’omesso versamento dell’imposta diretta sui redditi;
  • se il diritto europeo, e in particolar modo il combinato disposto degli artt. 4, paragrafo 3, TUE, 325 TFUE e dalla direttiva 2006/112 che impongono l’obbligo a carico Stati membri cli prevedere sanzioni effettive, dissuasive e proporzionate a tutela degli interessi finanziari della UE, possa essere interpretato nel senso che osti alla promulgazione di una norna nazionale che escluda la punibilità dell’imputato (sia esso amministratore, rappresentante legale, delegato a svolgere funzioni di rilevanza tributaria ovvero concorrente nell’illecito), qualora l’ente dotato di personalità giuridica ad esso riconducibile abbia provveduto al pagamento tardivo dell’imposta e delle sanzioni amministrative dovute a titolo di IVA, nonostante l’accertamento fiscale sia già intervenuto e si sia provveduto all’esercizio dell’azione penale, al rinvio a giudizio, all’accertamento della rituale instaurazione del contraddittorio in sede di processo e fin tanto che non si è proceduto alla dichiarazione di apertura del dibattimento, in un sistema che non commina a carico del predetto amministratore, rappresentante legale ovvero al loro delegato e concorrente nell’illecito alcuna altra sanzione, neppure a titolo amministrativo;
  • se la nozione di illecito fraudolento disciplinata all’art. 1 della Convenzione PIF vada interpretata nel senso di ritenere incluso nel concetto anche l’ipotesi di omesso, parziale, tardivo versamento dell’imposta sul valore aggiunto e, conseguentemente, se l’art. 2 della convenzione summenzionata imponga allo Stato membro di sanzionare con pene detentive l’omesso, parziale, tardivo versamento dell’IVA per importi superiori a 50.000,00 euro. In caso di risposta negativa, occorre chiedersi se la prescrizione dell’art. 325 TFUE, che obbliga gli Stati membri a comminate sanzioni, anche penali, dissuasive, proporzionate ed efficaci, vada interpretata nel senso che osti ad un assetto normativo nazionale che esenta da responsabilità penale e amministrativa gli amministratori e i rappresentanti legali delle persone giuridiche, ovvero i loro delegati per la funzione e i concorrenti nell’illecito, per l’omesso, parziale, ritardato versamento dell’’IVA in relazione ad importi corrispondenti a 3 o 5 volte le soglie minime stabilite in caso di frode, pari a 50.000,00 euro.

Non resta che aspettare il verdetto dei giudici lussemburghesi.

Cartella dopo controllo formale: la motivazione dev’essere chiara

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

In tema di controllo formale della dichiarazione dei redditi, è nulla la cartella di pagamento dalla quale non si evincono le ragioni logico-giuridiche che hanno portato l’Ufficio accertatore a iscrivere a ruolo gli importi asseritamente dovuti dal contribuente.

È quanto emerge dalla sentenza n. 22489/15 della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria.

La controversia ha riguardato una cartella di pagamento emessa nei confronti di un contribuente, a seguito del controllo formale, ex art. 36 ter D.P.R. 600/73, della dichiarazione dei redditi per l’anno d’imposta 2002.

L’Ufficio finanziario ha avuto da ridire sulle somme portate in deduzione/detrazione relativamente all’assegno divorzile e al figlio a carico.

La CTR della Lombardia ha annullato la ripresa avendo ritenuto, da un lato, il vizio di motivazione, dall’altro lato, che l’indagine interpretativa compiuta dall’Ufficio erariale non rientrasse nell’attività propria del controllo formale ex art. 36 ter del D.P.R. 600, poiché esso attiene alla correzione di errori materiali e di calcolo, cosicché si sarebbe dovuto procedere con l’emissione di un avviso di accertamento.

Il giudizio di cassazione intrapreso dal fisco è terminato con la conferma della statuizione pro-contribuente pronunciata dalla CTR meneghina.

Quanto al vizio di motivazione, l’Ufficio ha difeso il proprio operato evidenziando come al contribuente fosse stata inviata, prima della cartella di pagamento, la comunicazione ai sensi del comma 4 dell’art. 36 ter. Pertanto, dalla considerazione congiunta dei due atti si sarebbero potuti tranquillamente evincere i motivi della ripresa.

Ebbene, la Suprema Corte non si è potuta pronunciare circa la fondatezza o meno della tesi erariale perché nel ricorso di legittimità è stato trascritto solo il contenuto della comunicazione riguardante l’esito del controllo e non anche quello della cartella esattoriale.

Gli ermellini scrivono: “non essendo stato descritto il contenuto della cartella, al fine di verificare, quanto meno, la presenza di un rinvio alla ragioni espresse dall’Ufficio nella previa comunicazione ex art. 36 comma 4, questa Corte non è messa in grado di vagliare la fondatezza del motivo. Peraltro la CTR ha affermato che, dall’esame della cartella, non emerge quale sia stato l’iter logico-giuridico che ha determinato l’Ufficio accertatore ad iscrivere a ruolo gli importi asseritamente dovuti dal contribuente”. Pertanto il gravame dell’Ufficio è stato rigettato, con addebito delle spese del grado.

Nell’occasione, la Sezione Tributaria del Palazzaccio ha ribadito che la cartella di pagamento deve essere preceduta dalla comunicazione dell’esito del controllo ex art. 36-ter del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, a pena di nullità, poiché tale comunicazione assolve a una funzione di garanzia e realizza la necessaria interlocuzione tra l’Amministrazione finanziaria e il contribuente prima dell’iscrizione al ruolo. Al comma 4 del citato articolo è previsto che l’esito del controllo formale è comunicato al contribuente o al sostituto d’imposta con l’indicazione dei motivi che hanno dato luogo alla rettifica degli imponibili e delle ritenute alla fonte, e ciò per consentire anche la segnalazione di eventuali dati ed elementi non considerati o valutati in sede di controllo formale. La procedura prevista dall’art. 36 ter del D.P.R. n. 600/73, infatti, diversamente da quella delineata nell’art. 36 bis, si connota per l’effettuazione di controlli su dati e documenti esterni rispetto al mero contenuto cartolare della dichiarazione, che si risolvono sovente nell’accertare la veridicità di quanto in essa riportato e non la mera sussistenza di errori di calcolo o di omissioni. La previa comunicazione d’irregolarità rappresenta, quindi, un atto amministrativo istruttorio e relativo a somme non ancora iscritte a ruolo.

Autore: redazione fiscal focus

Niente IRAP per il promotore con collaboratore familiare

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

In tema imposta regionale sulle attività produttive, l’ausilio di un collaboratore familiare non è elemento di per sé idoneo a configurare l’autonoma organizzazione, quindi non determina l’assoggettabilità a IRAP dei redditi di un lavoratore autonomo.

È quanto emerge dalla sentenza n. 8008/04/15 della Commissione Tributaria Provinciale di Catania.

Il collegio etneoha accolto il ricorso di un promotore finanziario avverso il silenzio/rifiuto formatosi sulla sua istanza di rimborso di quanto versato a titolo di IRAP per quattro annualità d’imposta. Il contribuente, forte della giurisprudenza in materia (su tutte C. Cost. n. 156/2001), ha evidenziato di avere svolto, negli anni considerati, l’attività in assenza di un’organizzazione di capitale o lavoro altrui.

Ebbene, l’adita CTP di Catania ha ritenuto illegittimo il diniego dell’Agenzia delle Entrate.

La pretesa del promotore finanziario si è fondata sulla sentenza n. 156/2001 della Corte costituzionale secondo cui, a differenza di quanto avviene per l’attività imprenditoriale, l’IRAP non di applica indistintamente a tutti i professionisti e lavoratori autonomi, ma solo a quelli che operano con un’organizzazione di capitale o lavoro altrui.

Il concetto enunciato dalla Consulta è stato ribadito e chiarito dalla Corte di Cassazione; per esempio, dalla sentenza n. 22592 del 2012 che afferma: “È infatti principio consolidato che, in tema di Irap, l’esistenza di un’autonoma organizzazione, che costituisce il presupposto per l’assoggettamento a imposizione dei soggetti esercenti arti e professioni, postula che l’attività abituale e autonoma del professionista si avvalga di un’organizzazione dotata di un minimo di autonomia che potenzi e accresca l’attività produttiva”.

Nella fattispecie in esame, secondo i giudici tributari catanesi, a fronte delle affermazioni del contribuente, l’Ufficio non ha fornito alcuna prova del fatto che lo studio professionale fosse dotato di un’organizzazione autonoma, né sono stati indicati gli elementi in cui si sarebbe articolata tale organizzazione. “Al contrario” – si legge in sentenza – “il ricorrente ha prodotto due comunicazioni dell’Agenzia delle entrate da cui risulta che: 1) per gli anni d’imposta 2008 e 2009, l’ufficio ha riconosciuto la mancanza di un’autonoma organizzazione, e quindi l’esonero dall’Irap; 2) per gli anni 2006 e 2007 ha negato tale esonero, basandolo però sull’esistenza di un collaboratore familiare. Francamente l’ausilio di un solo collaboratore familiare appare troppo poco perché possa configurarsi quell’organizzazione dotata di un minimo di autonomia potenzi e accresca l’attività produttiva […]”.

Quanto all’argomento del fisco fondato sull’esistenza di elementi negativi, da 40mila a 60mila euro all’anno, la CTP ha rilevato che nelle dichiarazioni dei redditi relative agli anni in contestazione, il ricorrente ha precisato che si trattava di spese prevalentemente afferenti alle trasferte che lui effettuava di continuo sul territorio nazionale al fine di promuovere la sua attività.

In conclusione, la Commissione catanese di primo grado ha accolto il ricorso del promotore finanziario, cui spetta il rimborso di quanto richiesto (con gli interessi).

Autore: redazione fiscal focus

Acconti 2015: la cedolare secca

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Importi dovuti e corretta determinazione in Unico

Il 30 novembre prossimo scade anche il secondo acconto dovuto per la cedolare secca.

L’anticipo risulta dovuto se l’importo indicato in rigo RB11 del Modello Unico (colonna 3) è pari o superiore ad € 52.

L’acconto per la cedolare secca è pari al 95% dell’imposta complessivamente dovuta.

Il Metodo di calcolo

Anche l’acconto per la cedolare secca può essere rideterminato con le due consuete modalità. Il metodo storico e quello previsionale.

Con quello storico il conteggio viene effettuato utilizzando come riferimento l’imposta dovuta per l’anno d’imposta 2014. In particolare si deve assumere il 95% dell’imposta indicata nel rigo RB11 colonna 3 di Unico 2015 (rigo denominato “Totale imposta cedolare secca”).

Con il metodo previsionale invece l’acconto è sempre pari al 95% dell’imposta che si presume sarà dovuta per l’anno 2015.

Trattandosi di un anticipo infatti il contribuente può, infatti, sempre ridurre fino anche ad annullare il versamento di quanto originariamente determinato con il metodo storico.

Si ricorda inoltre che, al fine di non incorrere in sanzioni, nel caso di adozione del metodo previsionale l’acconto versato deve essere almeno pari al 95% della cedolare secca che sarà determinata in Unico 2016 redditi 2015.

Nel caso di specie la sanzione prevista è pari al 30% dell’importo non versato o pagato in ritardo.

Rimane comunque, sempre applicabile, anche in caso di versamento incapiente, la disciplina del ravvedimento operoso che, per effetto delle novità introdotte dalla Legge di Stabilità per il 2015 (L. 190/2014), è usufruibile non oltre il momento dell’invio dell’avviso bonario emesso a seguito della liquidazione automatica/controllo formale della dichiarazione.

Per effetto delle novità introdotte con la citata normativa il contribuente può beneficiare di una riduzione delle sanzioni che decresce con l’aumentare del tempo in cui interviene (da 1/10 a 1/6 del minimo), potendo egli stessi, al limite procedere con il ravvedimento non oltre il termine ultimo previsto per l’accertamento ex art. 43 D.p.r. 600/73.

L’indicazione in Unico

L’acconto dovuto sul 2015 va obbligatoriamente fornito, non solo per l’Irpef (rigo RN62), ma anche in ipotesi di applicazione dell’imposta sostitutiva sul reddito fondiario derivante dalla locazione di immobili abitativi (cd “cedolare secca”) per cui l’anticipo richiesto per l’annualità in corso (prima e seconda o unica rata) va segnalato esclusivamente avvalendosi delle regole previste per il calcolo sulla base del “metodo storico” al rigo RB12 del modello Unico.

Gli importi da indicare al suddetto rigo RB12 sono pari al 95% di quanto determinato a rigo RB11(“Totale imposta cedolare secca”). Tale percentuale va ulteriormente suddivisa in:

  • prima rata (colonna 1) pari al 40% del totale dovuto
  • la seconda rata (colonna 2) nella quale indicare il restante 60%.

In altre parole al rigo RB12 in colonna 1 va segnalato il 38% del rigo RB11, invece a colonna 2 il 57% sempre del rigo RB11.

Si ricorda altresì che la prima rata potrebbe non essere stata pagata qualora di ammontare pari od inferiore ad € 103,00. In questa ipotesi al 30 novembre dovrà essere versato l’intero acconto dovuto.

Anche per la cedolare secca vale la stessa regola in tema di Irpef, per cui in caso di abbandono del metodo storico, in RB12 devono essere comunque segnalati gli importi derivanti dal suddetto metodo e non i minori importi versati o che si intendono versare sulla base del calcolo previsionale.

Autore: redazione fiscal focus

Ragionieri tra gli organismi di composizione della crisi

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Anche i ragionieri vedono finalmente riconosciuto il loro diritto ad iscriversi agli Organismi di composizione della crisi da sovra indebitamento.

Con la sentenza del 4 novembre il Tar del Lazio ha infatti accolto il ricorso presentato dal CNDCEC contro i Ministeri della Giustizia, dello Sviluppo Economico e dell’Economia, con il quale l’ente aveva impugnato il Decreto Ministeriale pubblicato nel settembre 2014 che, prevedendo la laurea tra i requisiti di iscrizione negli elenchi degli organismi di composizione, di fatto, escludeva i ragionieri.

Ben trentacinquemila ragionieri, sprovvisti di laurea ma iscritti alla sezione A dell’Albo dei Commercialisti, potranno quindi finalmente ricoprire la qualifica di gestore della crisi da sovra indebitamento.

La soddisfazione del CNDCEC

Grande è la soddisfazione espressa dal Presidente Nazionale dei Commercialisti, Gerardo Longobardi, il quale aveva sin da subito denunciato la contraddittorietà del Decreto nella parte in cui non prevedeva una specifica deroga per i ragionieri.

Come hanno evidenziato infatti i consiglieri nazionali delegati alla materia Felice Ruscetta e Maria Rachele Vigani, il testo mostra tutta la sua contraddittorietà laddove prevede che “per i tre anni successivi alla sua entrata in vigore, i professionisti appartenenti agli ordini professionali dei notai, degli avvocati e dei commercialisti sono esentati dall’attività di formazione obbligatoria, purché documentino di essere stati nominati, in almeno quattro procedure, curatori fallimentari, commissari giudiziali, delegati alle operazioni di vendita nelle procedure esecutive immobiliari ovvero per svolgere i compiti e le funzioni dell’organismo o del liquidatore. Incarichi per i quali i ragionieri hanno l’abilitazione”.

I ragionieri, pertanto, finivano per essere abilitati alla funzione di compositore delle crisi dalle stesse norme transitorie, mentre se ne sanciva, allo stesso tempo, l’esclusione per mancanza dei requisiti.

La sentenza

La sentenza in commento richiama, in primo luogo, le disposizioni del Decreto Legislativo n. 139/2005, con il quale sono stati soppressi gli Ordini dei Dottori Commercialisti e i Collegi dei Ragionieri e Periti Commerciali ed è stato istituito l’Ordine territoriale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili nonché il CNDCEC.

Come stabilisce lo stesso articolo 1 del Decreto Legislativo n. 139/2005, però le competenze dei Dottori Commercialisti e dei Ragionieri Commercialisti iscritti alla sezione A sono esattamente le stesse e ricomprendono anche le funzioni che il Decreto impugnato attribuisce agli organismi di gestione della crisi.

Appare pertanto evidente come, in mancanza di una puntuale previsione ad opera di una norma equiordinata alla Legge n. 139/2009 “l’introduzione, in sede regolamentare, di una previsione restrittiva in danno dei ragionieri commercialisti e delle competenze che la legge riconosce agli stessi, si riveli illegittima”.

Il Decreto impugnato è stato ritenuto contrastante con la normativa primaria anche in considerazione delle specifiche disposizioni contenute nella Legge n. 3/2012, istitutiva appunto dell’istituto della composizione della crisi di sovra indebitamento.

L’articolo 15, comma 9 della Legge in oggetto prevede infatti che i compiti e le funzioni attribuiti agli organismi di composizione della crisi possano essere svolti anche da professionisti in possesso dei requisiti per essere nominati curatore.

In considerazione del fatto che i ragionieri possono essere nominati curatori fallimentari non si comprende come sia possibile escluderli dagli organismi si composizione della crisi.

Ecco quindi i motivi per i quali il Tar ha deciso di accogliere il ricorso proposto dal CNDCEC.

Autore: redazione fiscal focus

Esenzione Imu per i soggetti Aire

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Chiarimenti del Mef con la Risoluzione 10/DF

Premessa – Per i soggetti Aire è possibile fruire del trattamento di favore in materia di imposta municipale propria (IMU) solamente per una unità immobiliare. Questo è quanto chiarito dal Mef con la risoluzione n. 10/Df del 5 novembre.

Imu per gli Aire – Sono stati richiesti chiarimenti in merito al caso in cui i cittadini italiani residenti all’estero e iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE), aventi diritto all’applicazione del trattamento di favore in materia di imposta municipale propria (IMU), previsto dall’art. 9-bis del D. L. 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, siano proprietari di più abitazioni dislocate in diversi comuni del territorio italiano.

Abitazione principale – In particolare, è stato chiesto quali devono essere in siffatta ipotesi i criteri per stabilire quale immobile debba essere considerato direttamente adibito ad abitazione principale. Al riguardo, il Mef ha richiamato quanto stabilito dal comma 1 della suddetta disposizione che modifica l’art. 13, comma 2, del D. L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, prevedendo che, a partire dall’anno 2015, “è considerata direttamente adibita ad abitazione principale una ed una sola unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato e iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE), già pensionati nei rispettivi Paesi di residenza, a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata o data in comodato d’uso”. Per completezza il Mef ha richiamato anche il successivo comma 2 dell’art. 9-bis del D. L. n. 47 del 2014 il quale dispone che sull’”unità immobiliare di cui al comma 1, le imposte comunali TARI e TASI sono applicate, per ciascun anno, in misura ridotta di due terzi”. In assenza di specifiche disposizioni in ordine all’individuazione dell’immobile da considerare ai fini dell’equiparazione all’abitazione principale, la stessa possa essere effettuata direttamente dal contribuente.

Caratteristiche – L’abitazione principale deve essere costituita, come espressamente previsto dall’art. 13, comma 2, del D. L. n. 201 del 2011, da una sola unità immobiliare iscritta o iscrivibile in catasto a prescindere dalla circostanza che sia utilizzata come abitazione principale più di una unità immobiliare distintamente iscritta in catasto. In tal caso, le singole unità immobiliari vanno assoggettate separatamente ad imposizione, ciascuna per la propria rendita. Pertanto, il contribuente può scegliere quale delle unità immobiliari destinare ad abitazione principale, con applicazione del regime di favore stabilito dall’IMU per l’abitazione principale; le altre, invece, vanno considerate come abitazioni diverse da quella principale con l’applicazione dell’aliquota deliberata dal comune per tali tipologie di fabbricati. Sulla base dello stesso disposto dell’art. 13, comma 2, del D. L. n. 201 del 2011, il contribuente può considerare come pertinenza dell’abitazione principale soltanto un’unità immobiliare per ciascuna categoria catastale, fino ad un massimo di tre pertinenze appartenenti ciascuna ad una categoria catastale diversa, espressamente indicata dalla norma e che, entro il suddetto limite, il contribuente ha la facoltà di individuare le pertinenze per le quali applicare il regime agevolato.

Scelta – Per quanto riguarda, infine, le modalità con cui deve essere effettuata la scelta da parte del pensionato all’estero dell’immobile da considerare direttamente adibito ad abitazione principale, si fa presente che tale scelta deve essere effettuata attraverso la presentazione della dichiarazione di cui al D. M. 30 ottobre 2012 in cui il proprietario dell’alloggio deve anche barrare il campo 15 relativo alla “Esenzione” e riportare nello spazio dedicato alle “Annotazioni” la seguente frase: “l’immobile possiede le caratteristiche e i requisiti richiesti dal comma 2 dell’art. 13 del D. L. n. 201/2011”. Si ricorda che, come precisato nella risoluzione n. 3/DF del 25 marzo 2015, la dichiarazione IMU vale anche ai fini TASI.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Accertamenti 2009 e 2010: ultime settimane per la notifica

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Con l’approssimarsi della fine d’anno, si avvicinano anche i termini di decadenza dell’azione accertatrice, stabiliti ai fini delle imposte sui redditi e dell’Iva, rispettivamente dagli artt. 43 del DPR n. 600/1973 e 57 del DPR n. 633/1972.

In diverse occasioni la giurisprudenza di merito e di legittimità si è interrogata sul seguente quesito: se l’imminenza dei termini di decadenza per l’accertamento costituiscano (di per sé) un caso di particolare e motivata urgenza, ai fini della legittimità dell’accertamento anticipato, ossia dell’emissione dell’avviso prima del decorso di sessanta giorni dalla chiusura delle operazioni ispettive.

Sul punto si è pronunciata in più occasioni la Corte di Cassazione, fornendo qualche tassello utile per sciogliere uno dei nodi più spinosi sull’argomento, peraltro non affrontato dalle Sezioni Unite nella nota sentenza n. 18184 del 29/07/2013[1].

La normativa. Ai sensi delle citate norme, comuni al settore impositivo diretto e dell’IVA, l’avviso di accertamento deve essere notificato, a pena di nullità, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione.

Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione, l’Amministrazione dispone di un’annualità aggiuntiva; pertanto potrà notificare l’avviso entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui avrebbe dovuto essere presentata la dichiarazione.

Per effetto delle disposizioni menzionate, il prossimo 31 dicembre si verificherà la decadenza per l’accertamento dell’annualità d’imposta 2010, qualora sia stata presentata la relativa dichiarazione, ovvero dell’annualità d’imposta 2009 in caso di omessa dichiarazione.

Annualità con violazioni di rilevanza penale. Ai sensi del terzo comma dei citati articoli, i predetti termini risultano raddoppiati (8 o 10 anni a seconda che sia stata presentata o meno la dichiarazione), per le annualità in cui il contribuente abbia commesso violazioni qualificabili come delitti tributari, ai sensi del D.Lgs. n. 74/2000: di conseguenza, il prossimo 31 dicembre costituirà termine decadenziale per le annualità 2006 (ovvero 2004 nei casi di omessa dichiarazione), qualora siano presenti siffatte circostanze.

Peraltro, tale ultima regola è stata di recente “temperata” a favore del contribuente, con l’entrata in vigore del D.Lgs. 128/2015 per cui, a far data dallo scorso 2 settembre, il raddoppio dei termini accertativi opera solo qualora la denuncia sia stata depositata entro il termine decadenziale ordinario (fatte salve le annualità rientranti nel regime transitorio disciplinato dall’art. 2, comma 2 del medesimo D.Lgs. n. 128/2015).

La regola statutaria.Il comma 7 dell’art. 12 della Legge n. 212/2000 prevede che, nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori.

Ai fini del rispetto di tale moratoria, l’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza.

La ratio della norma va ravvisata nella necessità di assicurare al contribuente un congruo termine per fare conoscere all’ufficio accertatore (che può essere diverso da quello che ha eseguito la verifica fiscale a monte) le proprie osservazioni e richieste, in ossequio a quel principio di reciproca collaborazione ispiratore dello Statuto dei diritti del contribuente, oltre che per consentire il pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale.

Dal tenore letterale della norma statutaria, i rilievi riferibili alle annualità in scadenza (2010 o 2009, in assenza di violazioni penal-tributarie), constatati in attività ispettive concluse nei mesi di novembre e dicembre 2015, potrebbero essere legittimamente oggetto di accertamento “anticipato” (con notifica entro il 31 dicembre 2015) solo in caso di particolare e motivata urgenza.

L’orientamento della Cassazione. In diverse occasioni la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sul seguente quesito: se l’imminenza del termine di decadenza per l’accertamento costituisca o meno un caso di particolare e motivata urgenza, che legittimi l’emissione anticipata dell’avviso.

Nella citata sentenza n. 18184 del 29/07/2013, le Sezioni Unite ebbero a precisare che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale.

Sul tema in questione si registrano poi, posizioni diverse all’interno della stessa Cassazione; in alcuni casi l’imminente scadenza dei termini decadenziali è stata ritenuta, di per sé, caso di particolare e motivata urgenza (cfr. sentenze della Sez. Trib. n. 11944 del 13/07/2012 e n. 20769 dell’11/09/2013).

In pronunce più recenti, la medesima Sezione Tributaria ha censurato l’operato degli Uffici che, ritenendo sussistente la particolare e motivata urgenza nell’approssimarsi dei termini decadenziali accertativi, hanno notificato atti impositivi in violazione del disposto di cui all’art. 12, comma 7 dello Statuto.

E’ il caso, ad esempio, delle tre sentenze “gemelle” (nn. 1869/2014 del 29/01/2014, 2279/2014 del 03/02/2014 e 2592/2014 del 05/02/2014), ove la Sezione Tributaria ha affermato che il fatto che l’ufficio derivi il mancato rispetto del termine di 60 giorni dalla prossimità dei termini di decadenza per l’azione accertatrice, non rileva in quanto tale circostanza non chiarisce le ragioni per le quali l’ufficio non si era precedentemente attivato, onde rispettare il termine dilatorio.

Nella successiva pronuncia n. 7315 del 18/03/2014 la stessa Sezione Tributaria ha chiarito che l’eventualità di evitare una decadenza non può integrare, di per sé, la ragione di urgenza contemplata dalla norma, altrimenti si verrebbero a convalidare in via generalizzata tutti gli atti in scadenza, in contrasto con il principio affermato dalle Sezioni Unite (secondo il quale il requisito dell’urgenza deve essere riferito alla concreta fattispecie).

[1] Per il commento di tale pronuncia, cfr. “Accertamento anticipato: casi di ammissibilità”, sul Fiscal-Focus.info del 28 aprile 2014, del medesimo autore.

Autore: Marco Brugnolo

Patent box e credito d’imposta R&S: agevolazioni cumulabili

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – Doppia agevolazione per le imprese che svolgono attività di ricerca e sviluppo e le formalizzano attraverso marchi, brevetti, ecc.. Si potrà infatti usufruire sia del credito d’imposta per R&S che del patent box. Entrambi gli strumenti sono stati introdotti dalla Legge di Stabilità 2015.

Credito d’imposta R&S – L’unica condizione prevista per l’ottenimento del credito d’imposta è che si tratti di imprese. Sono incluse anche le stabili organizzazioni di soggetti non residenti.

Ai fini della determinazione del credito d’imposta sono agevolabili, tra l’altro, le spese per il personale altamente qualificato impiegato nelle attività di ricerca e sviluppo, in possesso di un titolo di dottore di ricerca, ovvero iscritto ad un ciclo di dottorato presso una università italiana o estera, ovvero in possesso di laurea magistrale in discipline di ambito tecnico o scientifico come da classificazione Unesco Isced (International Standard Classification of Education).

Sono altresì agevolabili le quote di ammortamento delle spese di acquisizione o utilizzazione di strumenti e attrezzature di laboratorio, nonché le spese relative a contratti di ricerca stipulati con università, enti di ricerca ed organismi equiparati,competenze tecniche e privative industriali relative a un’invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale anche acquisite da fonti esterne.

Non sono agevolabili le spese per il personale (personali ausiliario e tecnici), costi relativi a immobili e terreni, costi per studi di fattibilità, altri costi di esercizio.

Patent box – Il patent box, introdotto dalla Legge di Stabilità 2015, prevede che la quota di reddito e del valore della produzione che può essere oggetto di agevolazione venga definita in base al rapporto tra i costi di attività di ricerca e sviluppo sostenuti per il mantenimento, l’accrescimento e lo sviluppo del bene immateriale eleggibile e i costi complessivi sostenuti per produrre tale bene. Si fa riferimento ai costi fiscalmente rilevanti.

La questione più controversa della nuova misura, chiarita con l’emanazione del Decreto attuativo, riguarda l’individuazione del costi di R&S rilevanti ai fini del calcolo dell’agevolazione.

La questione più controversa della nuova misura riguardava l’individuazione del costi di R&S rilevanti ai fini del calcolo dell’agevolazione, che è stata esaustivamente affrontata nell’art. 8 del D.M. 30.07.2015.

In particolare, rientrano nell’ambito delle attività di R&S:

  • la ricerca fondamentale;
  • la ricerca applicata;
  • lo sviluppo sperimentale e competitivo;
  • il design;
  • l’ideazione e la realizzazione del software protetto da copyright;
  • le ricerche preventive, i test e le ricerche di mercato e gli altri studi e interventi anche finalizzati all’adozione di sistemi anticontraffazione, il deposito, l’ottenimento e il mantenimento dei relativi diritti, il rinnovo e la protezione degli stessi;
  • le attività di presentazione, comunicazione e promozione in grado di accrescere il carattere distintivo e/o la rinomanza dei marchi.

Il cumulo delle agevolazioni – Il Legislatore nulla ha disposto in merito alla cumulabilità degli incentivi. In questo caso, in riferimento al precedente credito d’imposta R&S istituito con la Finanziaria 2007, era stato chiarito che il credito d’imposta è cumulabile con altri contributi pubblici e agevolazioni sempre che le norme disciplinati le altre misure non dispongano diversamente (vedi C.M. 46/E/2008). Tale chiarimento risulta ancora valido e applicabile alla situazione prospettata.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

 

IRAP. Quando all’ingegnere spetta il rimborso

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Cassazione Tributaria, sentenza depositata il 4 novembre 2015

Svolgere l’attività senza il controllo e il coordinamento di terzi non legittima, di per sé, l’assoggettabilità all’IRAP dei redditi professionali. È quanto emerge dalla sentenza n. 22468/15 della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria.

In Cassazione è approdato il caso di un ingegnere che ha chiesto all’Agenzia delle Entrate – ma senza fortuna – il rimborso di quanto versato a titolo di IRAP per gli anni dal 2000-2003.

Il silenzio-rifiuto dell’amministrazione è divenuto oggetto d’impugnazione davanti ai giudici tributari pugliesi, i quali si sono espressi per ben due volte a favore dell’Agenzia. Di qui il ricorso di legittimità nel quale l’ingegnere ha ribadito di aver svolto, negli anni considerati, la propria attività privo dell’ausilio di dipendenti e senza beni strumentali consistenti (come risultante dal quadro RE e dal registro dei beni ammortizzabili), quindi in assenza del presupposto impositivo consistente nella presenza di un’autonoma organizzazione.

Ebbene, la Suprema Corte ha disposto l’annullamento del verdetto pro-fisco pronunciato dalla CTR della Puglia, avendo questo Giudice fatto discendere la sussistenza dell’automa organizzazione dal mero svolgimento dell’attività professionale in questione “senza il controllo e il coordinamento di terzi”.

La Commissione pugliese ha ravvisato il requisito dell’autonoma organizzazione in virtù della capacità del ricorrente di “porre in essere scelte autonome di organizzazione di lavoro rispetto al mondo esterno”. Per la suprema Corte, però, si tratta di una conclusione che non soddisfa il principio per cui l’IRAPcoinvolge una capacità produttiva impersonale e aggiuntiva rispetto a quella propria del professionista e colpisce un reddito che contenga una parte aggiuntiva di profitto, derivante da una struttura organizzativa ‘esterna’, cioè da un complesso di fattori che, per numero, importanza e valore economico, sono suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al know-how del professionista (dal lavoro di collaboratori e dipendenti, dal numero e grado di sofisticazione dei supporti tecnici e logistici, dalle prestazioni di terzi, da forme di finanziamento diretto e indiretto etc.), cosicché è il surplus di attività agevolata dalla struttura organizzativa che coadiuva ed integra il professionista a essere interessato all’imposizione che colpisce l’incremento potenziale, o quid pluris, realizzabile rispetto alla produttività auto organizzata del solo lavoro personale”.

Ebbene, ad avviso dei giudici del Palazzaccio la CTR ha erroneamente rinvenutola sussistenza della autonoma organizzazione nella attività svolta “in totale discrezionalità, senza soggiacere a limitazioni, condizionamenti e controlli formalmente e legittimamente imposti da altri soggetti che ne deteriorino l’intrinseca natura”, ritenendo soggetto d’imposta il ricorrente, “in quanto non emergente dagli atti la presenza degli indicati limiti e condizionamenti, affermando altresì, senza alcun concreto riferimento agli atti del giudizio, ‘che l’attività di ingegnere viene esercitata dal ricorrente con apprezzabile ed autonoma struttura organizzativa’”.

E allora la CTR dovrà riesaminare il caso tenendo bene a mente i rilievi della Suprema Corte.

Autore: redazione fiscal focus

730 rettificativo: sanzioni ridotte per CAF e professionisti

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Scatta la sola sanzione in caso di 730 rettificato entro il 10/11

I CAF e professionisti sono soggetti all’applicazione della sola sanzione per l’invio del “modello 730 rettificato”, con esclusione, quindi, dei tributi e dei relativi interessi, ai sensi dell’art. 39 del D.Lgs. n. 241/1997. Tuttavia, se il modello originario è stato presentato oltre il termine del 7 luglio 2015, e successivamente rettificato dal CAF o professionista entro il 10 novembre 2015, alla sanzione per tardività si aggiunge quella per visto infedele.

Il chiarimento è contenuto nella Circolare n. 34/2015 dell’Agenzia delle Entrate, in risposta ad alcuni quesiti avanzati dal Coordinamento Nazionale dei Centri di Assistenza Fiscale.

Regime sanzionatorio – A seguito delle innovazioni introdotte dal D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175 – che, tra le altre, ha istituito la dichiarazione precompilata – il legittimo affidamento dei contribuenti che si rivolgono ad operatori specializzati, circa la definitività del loro rapporto con il Fisco, viene espressamente tutelato prevedendo che siano quest’ultimi tenuti al pagamento di un importo corrispondente alla somma dell’imposta, degli interessi e della sanzione che sarebbe stata richiesta al contribuente, salvo il caso di condotta dolosa o gravemente colposa del contribuente.

Viene, in tal modo, a determinarsi una vera e propria “sostituzione” di colui che rilascia il visto nella posizione dell’originario debitore (il contribuente), salvo il caso in cui l’infedeltà del visto sia stata determinata dalla condotta dolosa o gravemente colposa del contribuente. Tale nuova impostazione ha carattere innovativo e generale, come emerge dalla circostanza che tale regime di responsabilità trova applicazione anche se il contribuente si avvale dell’assistenza fiscale al di fuori del sistema della dichiarazione precompilata (articolo 1, comma 5, del D.Lgs n. 175 del 2014).

Sanzioni ridotte – Sul punto, è possibile ricordare come l’Agenzia delle Entrate già con la Circolare n. 11/2015 aveva chiarito che se il Caf o il professionista presenta una dichiarazione rettificativa entro il 10 novembre dell’anno in cui è stata prestata l’assistenza, la relativa responsabilità è limitata al pagamento dell’importo corrispondente alla sola sanzione che sarebbe stata richiesta al contribuente, ridotta di un ottavo (articolo 13, comma 1, lettera b), del Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 472) sempreché il versamento venga effettuato entro la data del 10 novembre.

Pertanto, il CAF o professionista è tenuto alla sola sanzione che sarebbe stata richiesta al contribuente che, dopo aver inviato tempestivamente l’originario modello 730, presenti un modello 730 rettificativo (o comunicazione) entro il 10 novembre p.v.

730 tardivo – Differente è il caso in cui la dichiarazione originaria sia sta presentata in ritardo, ossia oltre il 7 luglio dell’anno successivo a quello cui si riferisce la dichiarazione. In quest’ultimo caso, infatti, laddove il mod. 730 tardivo sia successivamente rettificato dal CAF o dal professionista entro il 10 novembre, alla sanzione per tardività si aggiunge quella per visto di infedele.

Dichiarazione emendabile in giudizio

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Cassazione Tributaria, ordinanza depositata il 3 novembre 2015

La dichiarazione dei redditi è emendabile anche in sede contenziosa. Lo ha ribadito la Corte Cassazione (Sez. 6-T) nell’ordinanza 22443/15, pubblicata ieri.

A giudizio della Suprema Corte, la dichiarazione è ritrattabile anche in sede contenziosa, “quando dalla medesima possa derivare l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico”.

Il contribuente ha quindi la possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi anche oltre il termine previsto per l’integrazione della stessa – fissato in quello prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo dal D.P.R. 322/98 (articolo 2, comma 8 bis) – anche se “solo nell’ipotesi in cui si tratti di correzione di errori o omissioni di carattere meramente formale, che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito, o comunque di un maggior debito d’imposta”.

Di questi principi, secondo la Sesta Sezione del Palazzaccio, non ha fatto buongoverno l’impugnata sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania.

È stato pertanto accolto il ricorso del contribuente che aveva lamentato il vizio di violazione di legge per avere il giudice di secondo grado confermato la legittimità della cartella di pagamento oggetto di controversia.

A detta della CTR, la dichiarazione integrativa (ex art. 8-bis, D.P.R. n. 322/98) finalizzata alla correzione di alcuni errori commessi nella compilazione, doveva intervenire entro il termine di presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo. Gli ermellini, però, non hanno condiviso tale assunto, poiché il termine annuale per la dichiarazione integrativa non esplica alcun effetto sul procedimento contenzioso instaurato dal contribuente per contestare la pretesa tributaria – quand’anche fondata su elementi o dichiarazioni forniti dal contribuente medesimo.

Il diverso piano sul quale operano le norme in materia di accertamento e riscossione, rispetto a quelle che governano il processo tributario, nonché il principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.) comportano l’inapplicabilità, in sede processuale, di decadenze relative alla sola fase amministrativa (v. Cass. n. 10775/2015).

La parola, concludendo, è tornata al giudice di secondo grado.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Dichiarazione di emersione. Benefici solo se spontanea

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Cassazione Lavoro, sentenza depositata il 3 novembre 2015

La dichiarazione di emersione del lavoro irregolare blocca l’intimazione dell’INPS a pagare i contributi omessi solamente laddove avanzata prima dell’inizio degli accertamenti ispettivi, anche da parte della Guardia di finanza.

È quanto si ricava dalla sentenza n. 22412/15 della Sezione Lavoro della Suprema Corte.

La controversia ha riguardato una cartella esattoriale con cui è stato intimato a una Spa il pagamento, in favore dell’INPS, di oltre 676 mila euro a titolo di contributi omessi e sanzioni.

La Spa ha proposto impugnazione deducendo l’infondatezza della pretesa essendo stata presentata, ai sensi dell’art. 1 della Legge 383/01, la dichiarazione di emersione del lavoro irregolare, con apposita richiesta di far valere la stessa anche come proposta di concordato tributario e previdenziale; procedura quest’ultima portata a termine con l’effettuazione dei pagamenti dovuti.

Ebbene, la Corte d’appello di Torino – il cui verdetto è finito sotto la lente d’ingrandimento dei supremi giudici, cha l’hanno confermato – ha disposto il rigetto l’impugnazione proposta dalla società, atteso che la dichiarazione di emersione del lavoro irregolare, ove avanzata dopo l’inizio degli accertamenti ispettivi (condotti nella specie dalle Fiamme Gialle) e non spontaneamente, preclude all’impresa di usufruire dei benefici di cui al sopra citato art. 1 della L. 383.

Anche per gli ermellini, ai fini dei benefici di cui all’art. 1 della L. 383/01, rileva la spontaneità dell’iniziativa imprenditoriale; fattore che nella specie è mancato, posto che la dichiarazione di emersione è stata presentata nel corso degli accertamenti ispettivi dei quali la ricorrente era certamente a conoscenza.

A un certo punto delle motivazioni della sentenza della S.C. si legge: “Nella specie gli accertamenti ispettivi, per il tramite dalla Guardia di Finanza, erano senz’altro iniziati ai sensi della norma in questione, non potendosi ritenere che essi debbano anche essere conclusi e notificati al contribuente,essendo il beneficio in questione collegato alla spontaneità della dichiarazione, che non potrebbe configurarsi in caso di accertamenti già in atto, di cui peraltro l’azienda sia a conoscenza, come in punto di fatto accertato dalla sentenza impugnata, ove si è evidenziato che la legale rappresentate della società (omissis) venne contattata dagli ispettori in sede di accesso ispettivo per ottenere la documentazione aziendale inerente il periodo (omissis), documentazione da essa consegnata ed acquisita in data (omissis), allorquando la Guardia di Finanza consegnò almeno parte di tale documentazione all’INPS”.

Insomma, nulla da fare per la ricorrente Spa, che ora dovrà pagare anche le spese processuali.

La normativa di riferimento, a giudizio della Suprema Corte, è chiara, né vale il richiamo alle circolari ministeriali (nella specie il riferimento è alla circolare del Mef 11.10.1988 n. 88, la quale parla di “formale conoscenza” dell’inizio dei controlli): le circolari sono atti interni della P.A. che non possono far sorgere alcun diritto soggettivo in favore dei privati, né sono vincolanti per il giudice (Cass. n. 2123/73, n. 14619/00 e n. 21461/07).

Autore: redazione fiscal focus

Affitto e cedolare secca: ​niente acconti ​se il contratto si risolve

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – Sono sempre più numerosi i proprietari che optano per il regime della cedolare secca riguardo gli immobili concessi in locazione per uso abitativo.

Si ricorda, che il regime fiscale della cedolare secca si concretizza, per il proprietario, nel versamento di un’imposta sostituiva di Irpef, e relative addizionali, calcolata sul 100% del canone annuo percepito ed applicando su tale canone un’aliquota del 21% o del 10%. Quest’ultima aliquota si applica per i contratti di locazione a canone concordato relativi ad abitazioni ubicate nei comuni con carenze di disponibilità abitative (articolo 1, lettera a) e b) del dl 551/1988) e nei comuni ad alta tensione abitativa (individuati dal Cipe).

Il versamento della cedolare secca segue lo stesso meccanismo di versamento dell’IRPEF (saldo e acconti) ed è eseguito alle stesse scadenze previste per l’Irpef.

L’acconto è pari al 95% dell’imposta dovuta per l’anno precedente. Come per l’Irpef, anche per la cedolare secca, il pagamento dell’acconto è dovuto solo se la cedolare per l’anno precedente supera i 51,65 euro e il suo versamento va effettuato:

  • in un’unica soluzione, entro il 30 novembre, se l’importo da versare è inferiore a 257,52 euro
  • in due rate se, invece, l’importo dovuto è superiore a 257,52 euro, di cui:
    1. la prima, del 40% dell’importo dovuto, entro il 16 giugno (o 16 luglio con maggiorazione dello 0,40%);
    2. la seconda, del restante 60% entro il 30 novembre.

La risoluzione del contratto in corso d’anno – Spesso accade che il contratto di locazione in essere tra le parti si risolva anticipatamente nel corso del periodo d’imposta.

Se il contratto è assoggettato a tassazione ordinaria, per il proprietario non si pongono problemi poiché il canone percepito confluisce nel suo reddito complessivo ai fini Irpef in sede di dichiarazione dei redditi riferita al periodo d’imposta in cui è avvenuta la risoluzione.

Il problema si pone in merito ai contratti soggetti a cedolare secca, per i quali, invece, il canone non confluisce nel reddito complessivo ai fini Irpef del proprietario, ma è tassato a parte, come anticipato in premessa, applicandovi un’aliquota (sostitutiva) del 21% o 10%.

In sede di dichiarazione redditi, dunque, nel caso di cedolare secca il proprietario dell’immobile, è chiamato a liquidare saldo e acconto. Si supponga ad esempio che un contratto di locazione soggetto a cedolare secca si risolva, in anticipo rispetto alla regolare scadenza, nel corso del 2016: il proprietario deve comunque versare gli acconti della cedolare per tale periodo d’imposta?

Certamente, questi è chiamato a versare il saldo per il 2015. In merito invece, agli acconti potrebbe decidere di non versarli, applicando il metodo previsionale, prestando, tuttavia, attenzione al fatto di essere sicuro che per tale anno non stipulerà altri contratti di affitto soggetti a cedolare secca.

Stesso ragionamento è applicabile per eventuali contratti risolti anticipatamente nel 2015.

Autore: Pasquale Pirone

Costi black list: la deducibilità oltre il valore normale

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Oltre il nuovo “limite” del valore normale, i costi sostenuti con operatori paradisiaci saranno deducibili ove sussista il vantaggio economico dell’operazione. E’ quanto prevede il nuovo art. 110, co. 10 e ss. del D.P.R. 917/1986 dopo le modifiche introdotte dal Decreto crescita e internalizzazione (D.lgs. 147/2015, pubblicato sulla G.U. n. 220 del 22.09.2015). Le modifiche normative si applicano dal periodo d’imposta 2015 e pertanto ne dovremo tener conto già dalla presentazione del Modello UNICO 2016.

Entrando più nel dettaglio, la nuova normativa sulla deducibilità dei costi sostenuti con operatori paradisiaci prevede la piena deducibilità entro il limite del valore normale (la cui individuazione ancora non è del tutto chiara), rinviando la deduzione per la parte che eccede il valore normale alla dimostrazione del vantaggio economico dell’operazione.

Orbene, la dimostrazione della citata condizione non è affatto semplice e implica per l’impresa il porre in essere di un vero e proprio confronto di convenienza dell’operazione posta in essere con quella che in alternativa avrebbe dovuto realizzare. Vediamo nello specifico come.

Addio all’esimente dell’effettiva attività commerciale – Prima di analizzare come dimostrare il vantaggio economico dell’operazione, è appena il caso di evidenziare che per fortuna il Legislatore nella nuova formulazione dell’art. 110, co. 10, D.P.R. 917/1986 ha eliminato la tortuosa ipotesi della dimostrazione dell’effettiva attività commerciale.

A tal proposito è appena il caso di ricordare che la stessa Amministrazione Finanziaria, con la R.M. 46/E/2004, aveva indicato, a titolo esemplificativo, una serie di dati e documenti ritenuti idonei a dimostrare l’esercizio dell’attività commerciale (il bilancio e atto costitutivo del fornitore paradisiaco; un prospetto descrittivo dell’attività esercitata; i contratti di locazione degli immobili utilizzati come sede degli uffici e dell’attività; la copia delle fatture delle utenze elettriche e telefoniche; ecc..).

La suddetta condizione era praticamente inutilizzata da parte del contribuente, data l’elevata difficoltà insita nel reperire la necessaria documentazione.

Il vantaggio economico dell’operazione – Per dedurre la parte di costo che eccede il valore normale, al contribuente, una volta individuato il valore normale dell’operazione, non resta che predisporre l’adeguata documentazione dalla quale si evinca in modo inequivocabile che sussiste un effettivo vantaggio economico dalle operazioni poste in essere.

Riguardo a tale condizione, l’Amministrazione Finanziaria nella C.M. 51/E/2010 ha chiarito che la valutazione della sua sussistenza va effettuata tenendo conto di tutti gli elementi e le circostanze che caratterizzano il caso concreto, attribuendo rilevanza alle condizioni complessive dell’operazione, quali ad esempio:

  • il prezzo della transazione;
  • la presenza di costi accessori, quali, ad esempio, quelli di stoccaggio, magazzino;
  • le modalità di attuazione dell’operazione (ad esempio, i tempi di consegna);
  • la possibilità di acquisire il medesimo prodotto presso altri fornitori;
  • l’esistenza di vincoli organizzativi/commerciali/produttivi che inducono ad effettuare la transazione con il fornitore Black list o comunque, che renderebbero eccessivamente onerosa la medesima transazione con altro fornitore.

L’analisi congiunta di tali elementi evidenzia che il fine ultimo, a parere dell’Amministrazione Finanziaria, è dimostrare che il comportamento adottato dall’impresa italiana deve risultare vantaggioso sotto il profilo imprenditoriale e, al contempo, che la stessa operazione non sarebbe realizzabile con altro fornitore.

La visione “restrittiva” dell’Amministrazione Finanziaria è stata ampliata dalla giurisprudenza di merito. Ci si riferisce in particolare alla sentenza della Commissione Tributaria Regionale delle Marche, sez. III, del 22 giugno 2010, n. 5, nella quale è stato chiarito che l’effettivo interesse economico dell’operazione si rinviene a condizione che le operazioni siano effettivamente svolte a condizioni di mercato e che l’impresa abbia posto in essere un operazione in grado di generare profitto, a prescindere dalla dimostrazione della maggiore convenienza della stessa rispetto a quella di altri fornitori.

Più di recente, nella sentenza della Corte di Cassazione dell’8 maggio 2013, n. 10749, la Suprema Corte ha ritenuto che le operazioni poste in essere dall’impresa residente rispondessero ad un effettivo interesse economico, specificando che per tale si intendono “non solo prezzi competitivi ma anche altri fattori, quali la puntualità nelle forniture e la serietà del fornitore in genere”.

La condotta del contribuente non deve essere riconducibile a manovre elusive poste in essere con il solo scopo di ridurre il carico fiscale. Pertanto sarà necessario evidenziare quali sono i reali vantaggi dell’operazione e per quale motivo si è scelto di acquistare beni o servizi dal fornitore localizzato in un paradiso fiscale.

Autore: redazione fiscal focus

A​cconto Irpef. Importi dovuti e corretta determinazione in Unico

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Il 30 novembre scade il secondo acconto di Unico 2015.

Anche quest’anno contribuenti e i loro consulenti saranno alle prese con i conteggi necessari al fine di determinare correttamente quanto dovuto.
Com’è ormai noto il calcolo dell’acconto dovuto per Irpef, Ires, Ivie ed Ivafe, cedolare secca ed Irap può essere calcolato con il metodo “storico” oppure con quello previsionale.
Vediamo nel caso di specie il corretto trattamento dell’Irpef in relazione alle regole in vigore.
L’indicazione in Unico
L’anticipo Irpef dovuto per l’annualità in corso (prima e seconda od unica rata) deve essere, indicato al rigo RN62 del modello Unico 2015 PF. Il dato è quello determinato con l’utilizzo del metodo storico, calcolato sulla base del debito effettivo maturato nel corso del 2014.
L’acconto è dovuto solo se l’importo di cui al rigo RN34 è pari o superiore ad € 52.
Nell’ipotesi in cui l’importo della prima rata risulti superiore ad € 103 lo stesso va pagato in due tranches:

  • la prima è scaduta con il termine per il versamento a saldo relativo alla dichiarazione dei redditi dell’anno precedente,
  • la seconda va versata entro il 30 novembre 2015.

Percentuale

In relazione alla percentuale da determinare a titolo di acconto Irpef si ricorda che l’articolo 11 commi 18 e 19 del DL 76/2013 ha disposto l’aumento dal 99% al 100% dell’acconto Irpef dovuto in relazione all’anno 2013 e a quelli successivi.
Pertanto l’anticipo IRPEF per l’annualità 2015, pari come detto al 100% dell’imposta dovuta, va segnalato rispettivamente in colonna 1 ed in colonna 2 del rigo RN62 applicando le percentuali del 40% e del 60% sull’importo di cui al rigo RN34 (denominato “Differenza”) di Unico.
Il calcolo previsionale
Se il contribuente si avvale del cd “metodo previsionale” nel calcolo dell’acconto da versare all’Erario, gli importi da determinare in RN62 devono essere sempre quelli definiti utilizzando il “metodo storico” secondo le regole sopra indicate e non i minori importi versati o che si intendono versare.
Con il metodo previsionale ai fini del calcolo si deve fare riferimento all’imposta che si presume sarà dovuta per l’anno. In questo caso per non incorrere in sanzione occorre che l’imposta versata a titolo di acconto non sia poi a consultivo inferiore al 100% di quella determinata a saldo in Unico 2016.
L’eccezione
A tale regola fa eccezione, da quest’anno, l’ipotesi in cui si rende necessario il ricalcolo dell’acconto su base storica nel caso in cui ai soli fini della maggiorazione dell’acconto dovuto, è imposta la rideterminazione dell’Irpef per il 2014. Tale casistica passa attraverso la compilazione del rigo RN61 del modello.
Al ricorrere delle ipotesi di seguito indicate sarà, quindi, necessario proseguire con la compilazione del rigo con il quale rideterminare il cd “Rigo differenza” poiché, in questi casi l’acconto da indicare nel modello su base storica (RN62) non troverà più la sua base di calcolo nel rigo RN34, ma bensì nel nuovo Rigo RN61 (colonna 4).
In particolare si tratta delle seguenti casistiche:

  • redditi derivanti dall’attività di noleggio occasionale di imbarcazioni e navi da diporto,
  • redditi dei terreni,
  • redditi dei fabbricati locati a soggetti in condizioni di disagio,
  • deduzione forfettaria in favore degli esercenti impianti di distribuzione di carburante,
  • soggetti non residenti in relazione alla possibile detrazione per carichi di famiglia (salvo quanto previsto con riferimento ai contribuenti “non residenti Schumacker”),
  • titolari di determinate obbligazioni (irrilevanza parziale delle ritenute subite).

Si tratta, generalmente, di ipotesi peggiorative per il contribuente, poiché di norma l’importo di cui al rigo RN61 risulta sempre maggiore del rigo RN34.

Nello specifico occorrerà quindi compilare il rigo RN61 del Modello Unico PF 2015 barrando colonna 1 ed indicando a colonna 2 il reddito complessivo rideterminato applicando le disposizioni che ne hanno imposto la rideterminazione. Infine a colonna 3 andrà segnalato l’importo dell’imposta netta ricalcolata e come detto a colonna 4 il nuovo ammontare dell’importo “differenza” (ovvero il rigo RN34 rideterminato).
Pertanto in ipotesi di rideterminazione dell’Irpef 2014 (poiché si rientra in una o più delle casistiche sopra elencate) l’acconto Irpef sarà dovuto se l’importo indicato a colonna 4 del rigo RN61 è pari o superiore ad € 52.
Anche in queste ipotesi, se il contribuente si avvale del cd “metodo previsionale” nel calcolo dell’acconto da versare all’Erario, gli importi da determinare in RN62 devono rimanere sempre ancorati al “metodo storico” secondo le regole sopra indicate non dovendosi mai indicare i minori importi versati o che si intendono versare .

Fonte: redazione fiscal focus

Auto: ​Il maggiore ammortamento

A cura di Antonio Gigliotti

Doppia agevolazione con la legge di stabilità 2016

Premessa – Con l’introduzione dell’agevolazione del super ammortamento ad opera della legge di stabilità 2016 l’acquisto di autovetture oltre a godere dell’aumento del 40 % della quota di ammortamento potranno fruire anche dell’innalzamento del tetto fiscale del costo ammortizzabile.

Legge di stabilità 2016 – Una delle misure di maggior interesse contenute nel disegno di Legge di Stabilità 2016 è relativa alla possibilità per imprese e professionisti di adottare una percentuale maggiore di ammortamento. L’attuale proposta normativa prevede che per i soggetti titolari di reddito d’impresa e per gli esercenti arti e professioni che effettuano investimenti in beni materiali strumentali nuovi dal 15 ottobre 2015 al 31 dicembre 2016, con esclusivo riferimento alla determinazione delle quote di ammortamento, il costo di acquisizione è maggiorato del 40 per cento.

Beni strumentali – Per quanto riguarda l’ambito oggettivo l’attuale formulazione normativa prevede che vi rientrino i beni strumentali, ad eccezione di quelli per i quali il D.M. 31 dicembre 1988 stabilisce coefficienti di ammortamento inferiori al 6,5% e degli acquisti di fabbricati e di costruzioni.

Auto – Al concetto di strumentalità dei beni si prevede un’eccezione: rientrano nel perimetro applicativo della norma anche le autovetture c.d. a uso promiscuo ex articolo 164, comma 1, lettera b), D.P.R. 917/1986. In particolare per questi beni il beneficio è doppio: al maggior ammortamento si accompagna un incremento del tetto fiscale del costo ammortizzabile.

Tetto del costo ammortizzabile. Per tale tipologia di vetture il costo ammortizzabile valido per ammortamenti e leasing, viene aumentato del 40 per cento. In particolare per le auto, si passa da un tetto di 18.076 € a uno di 25.306 € (per quelle degli agenti e dei rappresentanti si cresce da 25.823 € a 36.152 €) mentre per i motocicli si passa da 4.131,66 € a 5.784,32 € ed infine per i ciclomotori si passa da 2.065,83 € a 2.891,42 €.

Aumento ammortamento – Come sopraesposto oltre ad aumentare il tetto fiscale del costo ammortizzabile con la nuova agevolazione si ottiene anche un aumento del 40% della deduzione degli ammortamenti e dei canoni di leasing delle autovetture. Conseguentemente se il costo dell’autovettura è inferiore al tetto del limite fiscalmente rilevante il maxi-ammortamento opera normalmente al contrario se il costo dell’auto supera il limite fiscalmente rilevante, il maxi-ammortamento si applica su quest’ultimo.

Calcolo – Se si considera l’acquisto di un’autovettura, il cui costo ammonta a 30.000 euro, il beneficio è, infatti, duplice. Preliminarmente si deve procedere incrementando il costo effettivo del 40%. Quindi la base di partenza è costituita da 42.000 euro. Successivamente si deve “scartare” la quota di costo eccedente il nuovo massimale di 25.306,39 euro. Tale importo si ottiene, come detto, incrementando del 40 % il precedente limite di 18.075,99 euro. L’ammortamento del cespite avviene applicando un coefficiente del 25 per cento e ottenendo un importo pari a 4.519 euro. Tale quota sarà maggiorata di un importo annuo di 1.807,60 euro (40 %), al quale si applicherà poi la deducibilità limitata al 20 per cento. Alla fine del periodo di ammortamento il contribuente si troverà ad aver ammortizzato un costo complessivo di e 25.306 euro (140 % di 18.076) a cui è stata applicata la percentuale di deducibilità del 20 %.

Leasing e noleggio – La maggior quota deducibile si otterrà anche in caso di leasing. Per tale tipologia di contratti, la maggior deduzione dovrebbe riguardare, pur in assenza di chiarimenti, solo la quota capitale dei canoni. Nessuna agevolazione è prevista per le auto in noleggio a lungo termine in quanto saranno le società concedenti a fruire del maxi ammortamento al 40 per cento. Ricordiamo che per tali società le autovetture costituiscono beni strumentali a deducibilità integrale.

Autore: redazione fiscal focus

Iscrizione d’ipoteca. Asseverazione della comunicazione da parte di Equitalia

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Sono validi agli effetti della procedura di riscossione dei tributi i certificati, le visure e qualsiasi atto e documento amministrativo rilasciati, tramite sistemi informatici o telematici, al concessionario del servizio della riscossione dei tributi qualora contengano apposita asseverazione del predetto concessionario della loro provenienza.

È quanto ha ricordato la Commissione Tributaria Regionale della Calabria nella sentenza n. 1379/01/15.
La Commissione di primo grado ha respinto il ricorso del contribuente confermando, per l’effetto, l’impugnato provvedimento d’iscrizione d’ipotecaria. Nel successivo giudizio d’appello il contribuente ha lamentato l’erroneità della decisione di prime cure perché l’impugnazione era stata dichiarata inammissibile senza considerare che la documentazione attestante la notifica della comunicazione di avvenuta iscrizione d’ipoteca era stata prodotta da Equitalia in copia semplice, non avente alcun valore probatorio.
Ebbene, anche il giudizio d’appello si è chiuso in senso favorevole al concessionario, alla stregua delle seguenti osservazioni.
La CTR catanzarese ha ritenuto la regolarità della comunicazione di avvenuta iscrizione ipotecaria perché questo documento è stato prodotto da Equitalia nel giudizio di primo grado “in copia conforme all’originale, siccome contenente apposita asseverazione del predetto concessionario della sua provenienza (v. attestazione di conformità all’originale – sottoscritta dall’agente di riscossione – sulla comunicazione di avvenuta iscrizione ipotecaria, sull’allegato dettaglio degli addebiti e sull’avviso di ricevimento in data [omissis], prodotta da Equitalia con allegazione al fascicolo di primo grado)”.
L’attestazione di conformità, apposta dall’agente della riscossione sulla copia dei documenti prodotti, attribuisce agli stessi la stessa efficacia degli originali, atteso che tale potere è espressamente previsto dall’art. 5, comma 5, D.Lgs. n. 669/96, che recita: “Sono validi agli effetti della procedura di riscossione dei tributi i certificati, le visure e qualsiasi atto e documento amministrativo rilasciati, tramite sistemi informatici o telematici, al concessionario del servizio della riscossione dei tributi qualora contengano apposita asseverazione del predetto concessionario della loro provenienza”.
E allora la CTR ha ritenuto l’appello del contribuente meritevole di rigetto “in quanto il ricorso di primo grado proposto dal contribuente porta la data del 13/04/2011, dalla regolare notifica della comunicazione di avvenuta iscrizione ipotecaria”.
Il soccombente paga le spese del giudizio.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Rimborsi fiscali: i termini per la richiesta

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Documento del 31 ottobre 2015 della Fondazione Nazionale Commercialisti

Un interessante documento della Fondazione Nazionale Commercialisti (FNC – documento del 31 ottobre 2015) che analizza i termini per la richiesta dei rimborsi fiscali, distinguendo a seconda delle tipologia di rimborso e della causa sottesa alla richiesta di rimborso.

Il punto di partenza nell’analisi della fattispecie indicata è il dato normativo. Va osservato in via preliminare che per la ripetizione del pagamento indebito, l’ordinamento tributario italiano prevede un regime speciale basato sull’istanza di parte, da presentare, a pena di decadenza dal relativo diritto, nel termine previsto dalle singole leggi di imposta o possono essere disciplinati dalle norme generali del Contenzioso Tributario.

Nello specifico, bisogna far riferimento:

  • all’art. 38 del DPR n. 602/1973, il quale, in tema di rimborso delle imposte sui redditi, stabilisce il dies a quo nella “data del versamento” o in quella “in cui la ritenuta è stata operata”;
  • all’art. 21, co. 2, del D.Lgs. n. 546/1992, in virtù del quale “la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto della restituzione”.

Dopo aver analizzato in via generale la normativa che disciplina la fattispecie, vengono analizzati alcuni casi particolari: rimborso degli acconti, imposte non dovute per agevolazioni fiscali o disposizioni fiscali con effetto retroattivo, la dichiarazione di incostituzionalità di una norma fiscale, ritardata trasposizione nell’ordinamento interno di una direttiva comunitaria, overulling, ecc……

Nella seconda parte del lavoro vengono analizzate nel dettaglio le questione relative ai rimborsi per le imposte sui redditi e a quelle sull’IVA.

Rimborso acconti – Uno dei casi più interessanti è quello relativo alla presentazione dell’istanza di rimborso per il versamento indebito di acconti.

Nel caso di specie – evidenzia la FNC – il termine di decadenza per la presentazione dell’istanza di rimborsi decorre dal versamento del saldo nel caso in cui il diritto al rimborso derivi da un’eccedenza dei versamenti in acconto, rispetto a quanto risulti dovuto a saldo oppure qualora derivi da pagamenti cui inerisca un qualche carattere di provvisorietà, poiché subordinati alla successiva determinazione, in via definitiva, dell’obbligazione o della sua misura.

Invece, decorre dal giorno del versamento dell’acconto stesso nel caso in cui quest’ultimo, già dal momento in cui venne eseguito, non fosse dovuto o non lo fosse nella misura in cui fu versato, ovvero qualora fosse inapplicabile la disposizione di legge in base alla quale venne effettuato, poiché in questi casi l’interesse e la possibilità di richiedere il rimborso sorge sin dal momento in cui avviene il pagamento.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Stabilità 2016 e settore agricolo: non solo misure a favore

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Da un lato lo Stato da ma dall’altro…..

Come già scritto in precedenza in merito alle misure a favore previste dalla legge di stabilità 2016, ossia l’abolizione dell’IRAP e dell’IMU, è opportuno andare ad analizzare quelle che sono invece i provvedimenti che sicuramente determineranno un malumore per il gli operatori del settore agricolo. A partire dal 2016 è prevista un’ulteriore rivalutazione dei redditi domenicali e agrari, un incremento dell’aliquota relativa all’imposta di registro per l’acquisto dei terreni, e l’abolizione del regime di esonero.

Rivalutazione dei redditi – Per quanto riguarda la rivalutazione dei redditi, il governo ha aumentato la rivalutazione dal 7% al 30% ai soli fini di determinazione dell’imposte sui redditi, da ciò potrà aumentare l’Irpef a carico dei produttori agricoli, a causa del maggior aumento del reddito tassabile; si augura comunque che tale ulteriore rivalutazione non riguardi gli IAP ( imprenditori agricoli professionali) che si ritiene debbano rientrare in quanto previsto nel comma 50 dell’art. 3 legge 662/1996 che appunto prevede ai fini della determinazione delle imposte sui redditi, una rivalutazione dell’80 % per i redditi domenicali e del 70 % per i redditi agrari.

Imposta di registro trasferimento terreni agricoli – Il Legislatore ha previsto un aumento dell’aliquota relativa all’imposta di registro che si applica ai trasferimenti di terreni agricoli, prevedendo una percentuale che passa dal 12 al 15 %, ad eccezione però per gli IAP che possono rifarsi alla piccola proprietà contadina prevista dall’art. 2 comma 4 bis, DL 30/12/1999 n. 194, convertito nella legge 25/2010, ossia ad una imposta di registro e ipotecaria fisse, e ad un’imposta catastale pari all’1 %.

Rideterminazione del valore di acquisto dei terreni agricoli – anche per quanto riguarda la rideterminazione del valore di acquisto, in caso di potenziale emersione di plusvalenze l’aliquota dell’imposta sostitutiva passa dal 4 % all’8 %, solo se la cessione del terreno si perfeziona entro 5 anni dall’acquisto e per i terreni posseduti dal 1 gennaio 2015.

Regime di esonero – Infine la legge di stabilità 2016 prevede, a partire dal 1 gennaio 2017 l’abolizione del regime di esonero (di cui al comma 6 dell’art 34 DPR 633/1972) , per i piccoli produttori agricoli con un volume d’affari inferiore a 7.000 €; ciò comporterà un aggravio di costi, nonché di adempimenti, a cui prima non erano chiamati a rispondere.

Quindi, possiamo dire, che da un lato si è data in questi giorni molta enfasi a misure quali, l’abolizione dell’IRAP e dell’IMU, ma è opportuno sottolineare che in ogni caso si deve far fronte alle mancate entrate legate a queste manovre, nonché andare ad individuare quelle fonti tramite le quali farne fronte; da qui quindi l’adozione delle misure sopra descritte che sicuramente creeranno non pochi malumori tra gli operatori del settore agricolo.

Autore: redazione fiscal focus

Omesso versamento imposte: il pagamento del debito estingue il reato

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Il D.Lgs. 158/2015 e la non punibilità di alcuni reati

Oltre ad aver previsto soglie di punibilità più elevate per i reati di omesso versamento di ritenute e dell’Iva, il decreto legislativo 158/2015 ha introdotto la non punibilità per quei contribuenti hanno omesso il versamento, ma che prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di 1° grado hanno provveduto al pagamento integrale, ossia anche degli interessi e delle sanzioni. L’art 13 del D.Lgs. 158/2015 prevede appunto che:

I reati di omesso versamento di Iva e di ritenute certificate, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché’ del ravvedimento operoso.

La non punibilità è prevista anche per l’indebita compensazione di crediti non spettanti (non di quelli fittizi, ben più gravi) i se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, sempre che il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività’ di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

Soglie di punibilità – E’ opportuno mettere in evidenza (nella tabella in calce) i cambiamenti avvenuti in merito alle soglie oltre alle quali si configura un reato penale in riferimento all’omesso versamento.

Qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fasedi estinzione mediante rateizzazione, anche ai fini dell’applicabilità’ dell’articolo 13-bis, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo, periodo che comunque può essere prorogato di ulteriori 3 mesi dal Giudice competente; la prescrizione rimane comunque sospesa.

Altri reati – Per gli altri reati quali, dichiarazione fraudolenta, indebita compensazione con crediti inesistenti, fatture false, ecc, il pagamento del debito tributario, non porta alla non punibilità del comportamento ai fini fiscali, ma può comportare una riduzione della pena fino alla metà, nonché la mancata applicazione delle pene accessorie.

Immagine. ART 03.11.2015

Autore: redazione fiscal focus

Stabile organizzazione: l’opzione per la branch exemption

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Con il Decreto crescita e internalizzazione si prevede la possibilità per il soggetto residente svolgente attività d’impresa di optare per la branch exemption per tutte le stabili organizzazioni estere. Tradotto in termini pratici, in deroga al principio di tassazione su base mondiale, l’impresa italiana potrà decidere di non far concorrere alla determinazione del proprio reddito imponibile gli utili e le perdite prodotte dalla stabile organizzazione estera.

L’efficacia delle nuove disposizioni –Le citate disposizioni si applicheranno a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto. Come noto, il D.lgs.147/2015 è entrato in vigore il 22.10.2015. Pertanto, le disposizioni in questione si applicheranno dal periodo d’imposta 2016.

L’esercizio dell’opzione –Si tratta di un regime fiscale opzionale irrevocabile che una volta prescelto interessa tutte le stabili organizzazioni estere dell’impresa residente, al momento della costituzione delle medesime, al fine di evitare arbitraggi.

L’esercizio dell’opzione deve avvenire al momento di costituzione della stabile organizzazione, con effetto dal medesimo periodo d’imposta, ed è irrevocabile.

Per le stabili organizzazioni già esistenti si prevede che l’opzione in argomento possa essere esercitata entro il secondo periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle norme in esame, con effetto dal periodo d’imposta in corso a quello di esercizio della stessa.

Ai fini dell’esercizio della citata opzione, il contribuente dovrà indicare separatamente, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di esercizio dell’opzione, gli utili e le perdite attribuibili a ciascuna stabile organizzazione nei cinque periodi d’imposta antecedenti a quello di esercizio dell’opzione; se ne deriva una perdita fiscale netta questa compenserà gli utili successivamente realizzati dalla stabile organizzazione e dall’imposta dovuta si computeranno le eventuali eccedenze positive di imposta estera riportabili ai sensi dell’articolo 165, comma 6 del TUIR.

Nel caso di stabile organizzazione localizzata in Stati paradisiaci, l’opzione potrà essere esercitata al verificarsi alternativamente ad una delle seguenti condizioni:

  • le società non residenti svolgano un’effettiva attività industriale o commerciale;
  • dalle partecipazioni detenute non consegua l’effetto di localizzare i redditi in territori diversi da quelli di cui al decreto emanato ai sensi dell’articolo 168-bis del TUIR;
  • l’insediamento all’estero non rappresenta una costruzione artificiosa volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale.

In caso di esercizio dell’opzione, senza la sussistenza delle suddette esimenti implicherà l’applicazione, alle stabili organizzazioni, della disciplina delle controlled foreign companies – CFC e delle regole di imputazione del reddito per trasparenza contenute nell’articolo 167 del TUIR.

Nel caso di esercizio dell’opzione con riferimento alle stabili organizzazioni per le quali non sono state applicate le disposizioni in materia di CFC si applicheranno, sussistendone le condizioni, le disposizioni sulla tassazione integrale dei dividendi.

Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del predetto decreto, saranno disciplinate le modalità applicative delle disposizioni precedentemente commentate.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Jobs Act dei lavoratori autonomi: è tempo di rafforzare le tutele

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

La Lapet chiede una riduzione dell’aliquota contributiva della GS INPS al 24%, mediante un decremento progressivo di un punto percentuale annuo

È risaputo che da anni i lavoratori autonomi iscritti alla Gestione separata INPS sono vittime di una forte pressione contributiva, che spesso porta al conseguente abbandono dell’attività professionale intrapresa per trovare nuovi sbocchi lavorativi. La Lapet, infatti, ha confermato che – oggi più che mai – è necessario un intervento per ovviare a tale situazione, anche alla luce dei dati che vedono nel 2014 un calo di quasi il 10%, (-8,6%) rispetto all’anno precedente, di iscritti alla Gestione separata INPS. Inoltre, mentre i collaboratori sono diminuiti del 2,4 %, i professionisti hanno registrato un calo ben più marcato del 30,1%.

“Un trend negativo che non deve stupire – ha commentato Roberto Falcone presidente nazionale Lapet – Era facilmente prevedibile che, dopo il boom degli anni passati, il perdurare della forte pressione contributiva, avrebbe portato alla fuga dalla gestione separata, con il conseguente incremento del sommerso. È dunque giunto il momento di intervenire a favore di tutti quei professionisti che tra l’altro, in questo periodo di recessione, continuano a contribuire seriamente alla creazione di ricchezza nazionale”.

Nuove professioni – Sul punto, una recente indagine svolta da CNA Professioni ha evidenziato che negli anni della crisi il numero dei professionisti è aumentato in maniera significativa, in particolar modo quello dei professionisti non organizzati in ordini o collegi. Si tratta delle nuove professioni, quelle di cui dalla Legge n. 4/2013. “Per questo motivo servono interventi normativi organici, concreti e tempestivi, realmente in grado di liberare le energie positive di un numero crescente di professionisti. – ha aggiunto Giorgio Berloffa presidente Cna Professioni – È evidente, infatti, nonostante l’ampia portata di detti fenomeni economici e sociali, il ritardo del nostro Paese a dotarsi di un sistema organico di misure rivolte a ottemperare esigenze e peculiarità delle attività dei genuini prestatori di lavoro autonomo, i veri professionisti. Per tale motivo guardiamo con fiducia le misure contenute nel ddl Stabilità 2016 e collegato. Tra queste, in materia previdenziale, il blocco dell’aliquota contributiva al 27 % anche per 2016, rappresenta certamente un intervento molto importante”.

Ridurre aliquota INPS – Al riguardo, è doveroso ricordare che l’attuale normativa (art. 2, comma 57, L. n. 92/2012 c.d. Riforma Fornero) prevede un incremento delle aliquote contributive, in maniera indiscriminata, per tutti i lavoratori iscritti alla gestione separata INPS, fino al 33% a decorrere dall’anno 2018. Incremento introdotto con il dichiarato intento di contrastare il fenomeno del rapporto di lavoro subordinato, mascherato da attività di collaborazione coordinata e continuativa e a progetto.

È superfluo affermare che il legislatore avrebbe dovuto prevedere una diversa disciplina per i professionisti iscritti alla gestione separata, i quali da tale fenomeno risultano totalmente estranei e la cui genuina attività autonoma non può essere assimilata ad eventuale attività fraudolenta di collaborazione coordinata e continuativa. – ha aggiunto Falcone – Riteniamo pertanto necessario introdurre misure strutturali, che riconfigurino il complessivo onere contributivo e non norme di proroga, anno per anno”.

Difatti, la Lapet sostiene da anni la volontà di introdurre un sistema previdenziale che preveda un onere contributi pari al 24 %, con un decremento progressivo di 1 punto percentuale annuo. “L’aliquota al 24 % – ha precisato Falcone – da un lato è rispettosa del principio di equità contributiva nei confronti di tutti i soggetti iscritti, dall’altro consente l’adeguatezza delle future prestazioni pensionistiche”.

Mise: 50 milioni per l’imprenditorialità giovanile

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Forti agevolazioni per piccole imprese giovanili e a conduzione femminile

La circolare 9 ottobre 2015, n° 75445, visto quanto stabilito dal regolamento adottato con decreto 8 luglio 2015, n. 140 del Ministro dello sviluppo economico, individua criteri e modalità di concessione delle agevolazioni previste dal decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185; le stesse sono poste in essere al fine di agevolare la nascita di micro e piccole imprese, competitive, a prevalente o totale partecipazione giovanile o femminile. La circolare individua, pertanto, i termini e le modalità di presentazione delle domande di agevolazione, nonché le necessarie specificazioni e indicazioni operative per la concessione ed erogazione delle agevolazioni; le risorse finanziarie a disposizione sono pari a 50 milioni di euro.

Soggetti beneficiari – L’art.5 del regolamento individua i soggetti che possono beneficiare del provvedimento in oggetto, ossia le imprese:

  • costituite in forma societaria, ivi incluse le società cooperative;
  • la cui compagine societaria è composta, per oltre la metà numerica dei soci e di quote di partecipazione, da soggetti di età compresa tra i diciotto e i trentacinque anni ovvero da donne;
  • costituite da non più di 12 (dodici) mesi dalla data di presentazione della domanda di agevolazione;
  • di micro e piccola dimensione, secondo la classificazione di cui all’allegato 1 del Regolamento GBER.

Investimenti ammissibili – Sono ammissibili alle agevolazioni, i programmi di investimento da realizzare in tutto il territorio nazionale con spese non superiori a euro 1.500.000,00 promossi nei settori:

  • produzione di beni nei settori dell’industria, dell’artigianato, della trasformazione dei prodotti agricoli;
  • fornitura di servizi alle imprese e alle persone;
  • commercio di beni e servizi;
  • turismo;
  • settori, di particolare rilevanza per lo sviluppo dell’imprenditorialità giovanile.

Caratteristiche finanziamentole agevolazioni in oggetto, sono concesse ai sensi e nei limiti del Regolamento de minimis n. 1407/2013 si configurano come un finanziamento agevolato a tasso pari a zero, della durata massima di otto anni e di importo non superiore al 75% della spesa ammissibile. L’agevolazione è subordinata, in particolare, al rispetto dei massimali previsti dal precitato regolamento europeo, ai sensi del quale le agevolazioni possono avere un importo massimo complessivo, in termini di equivalente sovvenzione lordo (ESL), di euro 200.000,00 (duecentomila/00) nell’arco di tre esercizi finanziari per impresa unica, fatte salve le specifiche limitazioni dettate nel settore del trasporto merci su strada per conto terzi.

A partire dal prossimo 13 gennaio 2016 infatti, sarà possibile compilare le domande esclusivamente per via elettronica, utilizzando la piattaforma informativa messa a disposizione da Invitalia.

Professionisti e cassa: onere deducibile o costo?

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – Ogni anno i professionisti sono chiamati a liquidare e versare i contributi alla cassa di appartenenza e ogni volta il dubbio che sorge, è sempre lo stesso: tali contributi sono da considerarsi oneri deducibili dal reddito complessivo (ai sensi dell’art. 10 del TUIR) o oneri deducibili da reddito professionale (ai sensi dell’art. 54 del TUIR)?

Sul tema vi è un forte contrasto tra prassi amministrativa (Agenzia delle Entrate) e giurisprudenza (Corte di Cassazione), configurandosi così un’obiettiva incertezza sulla portata della norma.

Secondo l’Agenzia delle Entrate trattasi di onere deducibile dal reddito complessivo ai sensi dell’art. 10 del TUIR e quindi da riportare nel quadro RP del Modello Unico, mentre per la Cassazione si tratta di onere deducibile dal reddito professionale poiché costo inerente all’attività esercitata.

La tendenza del contribuente è di considerare tali contributi come onere deducibile dal reddito di lavoro autonomo poiché si preferisce seguire l’orientamento di un organo che fissa un principio di legge qual è appunto la Cassazione, con il rischio di subire un accertamento dalla parte del fisco (il cui orientamento è fissato attraverso circolari e risoluzioni interne prive, invece, di effetto “normativo”).

L’orientamento giurisprudenziale – Il predetto orientamento della Corte di Cassazione è contenuto nella sentenza n. 2781/2001 (confermato altresì nell’ordinanza n. 1939/2009), in cui il giudice ha espressamente ritenuto che “a norma dell’art. 10, comma 1 , lettera i) del d.p.r. 597/1973, dal reddito complessivo si deducono, se non sono deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formarlo e purché risultino da idonea documentazione, i contributi previdenziali e assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge. Nel caso di specie, i contributi previdenziali in questione erano deducibili in sede di determinazione del reddito professionale. L’art. 50 (oggi art. 54), 1° comma, del d.p.r. 597/1973 consente, infatti, per la determinazione del reddito di lavoro autonomo, la deduzione delle spese “inerenti” all’esercizio dell’arte o professione effettivamente sostenute nel periodo d’imposta. Ora, i contributi versati dai notai alla cassa Nazionale del Notariato sugli onorari loro spettanti sono indubbiamente “inerenti”, e cioè connessi, all’attività professionale svolta. Non si può limitare, come fa il contribuente, il concetto di “inerenza” alle sole spese necessarie per la produzione del reddito ed escluderlo per quelle che sono una conseguenza del reddito prodotto. Tale distinzione non si rinviene nella legge e non è neppure ricavabile dall’aggettivo “inerente” usato dal legislatore, in quanto esso, per la sua genericità, postula un rapporto di intima relazione tra due cose o idee che si può verificare sia quando l’una sia lo strumento per realizzare l’altra sia quando ne sia l’immediata derivazione”.

Dunque, per i giudici i contributi previdenziali e assistenziali in questione sono deducibili dal reddito di lavoro autonomo, per il semplice fatto che l’articolo 54 del TUIR (prima articolo 50 del TUIR) rimanda al principio “dell’inerenza”, da seguire nell’individuazione dei costi da poter dedurre ai fini della determinazione del reddito professionale imponibile. Come evidenziato nella predetta sentenza, infatti, per la Cassazione, i costi della professione non sono solo quelli necessari alla produzione del reddito, ma anche quelli che da esso derivano (la difesa dell’Agenzia delle Entrate era, invece, basata sul fatto che tali contributi “costituiscono un onere dovuto a posteriori, e quindi una conseguenza del reddito prodotto e non già una spesa necessaria per la produzione del reddito deducibile ex art. 50 del d.p.r. 597/1973, con la conseguenza che non possono considerarsi costi inerenti”).

L’orientamento dell’Agenzia delle Entrate – Secondo l’Agenzia delle Entrate (Risoluzione n. 79/E/2002) “i contributi versati dai professionisti alle casse professionali non sono altro che contributi obbligatori per legge, versati per finalità previdenziali e assistenziali. Com’è noto, tutti i contributi aventi tali finalità costituiscono, per la generalità dei contribuenti, oneri deducibili dal reddito complessivo. Infatti, l’articolo 10, comma 1, lettera e), del TUIR prevede espressamente che i contributi previdenziali e assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge sono deducibili dal reddito complessivo del contribuente. Il primo periodo del comma 1 dell’articolo 10 stabilisce, inoltre, che la deducibilità dal reddito complessivo di tali oneri è consentita a condizione che gli stessi non siano deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formarlo. L’articolo 50 (oggi art. 54) del TUIR, nel disciplinare la determinazione del reddito di lavoro autonomo, non prevede tra le spese deducibili i contributi previdenziali e assistenziali obbligatori per legge. Né appare condivisibile l’indirizzo giurisprudenziale, peraltro non univoco (si veda al riguardo anche la decisione dell’8 luglio 1992, n. 4362 della Comm. Trib. Centrale), espresso dalla Corte di Cassazione che riconduce i suddetti contributi nell’ambito delle spese sostenute nell’esercizio dell’attività professionale. Le spese afferenti l’attività professionale sono infatti quelle sostenute per lo svolgimento di attività o per l’acquisizione di beni da cui derivano compensi che concorrono alla formazione del reddito professionale. E’ necessario, pertanto che sussista una connessione funzionale, anche indiretta, dei costi ed oneri sostenuti rispetto alla produzione dei compensi che concorrono a formare il reddito di lavoro autonomo. I contributi previdenziali e assistenziali sono invece versati al fine di garantire al lavoratore una posizione pensionistica e una assistenza personale al verificarsi di determinati eventi (ad esempio la malattia o l’infortunio del lavoratore) e pertanto attengono esclusivamente alla sfera personale del lavoratore. La peculiarità del fine di tutela del singolo assicurato esclude, quindi che possa trattarsi di un costo sostenuto in funzione della produzione del reddito di lavoro autonomo. Non appare rilevante inoltre la circostanza che i contributi in esame siano commisurati all’ammontare degli onorari percepiti dal professionista; tale importo costituisce, infatti, solo la base di commisurazione per determinare l’ammontare dei contributi dovuti alla Cassa. Si ritiene quindi che i contributi in esame possano essere dedotti esclusivamente dal reddito complessivo del contribuente ai sensi dell’articolo 10 comma 1, lettera e), del Tuir”.

In conclusione, per l’Amministrazione finanziaria, i contributi in questione sono da dichiarare nel quadro RP della dichiarazione dei redditi e non nel quadro RE del Modello Unico del professionista.

Autore: Pasquale Pirone

Statuto del contribuente e ruling interno

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

La Legge 11 marzo 2014, n. 23, rubricata “Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita” prevedeva, tra l’altro, la revisione della disciplina degli interpelli in materia fiscale.

In particolare, l’art. 6, comma 3 della citata legge, delegava il Governo ad introdurre disposizioni per la revisione generale della disciplina degli interpelli, allo scopo di garantirne una maggiore omogeneità, anche ai fini della tutela giurisdizionale e di una maggiore tempestività nella redazione dei pareri, procedendo in tale contesto all’eliminazione delle forme di interpello obbligatorio qualora costituenti un inutile aggravio per il contribuente, senza significativi benefici per l’Amministrazione.

L’approvazione del D.Lgs n. 156/2015. In ottemperanza a quanto stabilito dal Legislatore delegante, il Governo ha ricondotto nell’ambito dello Statuto dei diritti del contribuente l’intera disciplina degli interpelli (prima distribuita su diverse norme, non perfettamente coordinate), mediante la radicale riformulazione dell’art. 11 della Legge n. 212/2000.

In particolare, il D.Lgs 24/09/2015, n. 156, che entrerà in vigore dal 1° gennaio 2016, ha nel contempo:

  • riformulato l’art. 11 dello Statuto del contribuente che ora contempla ben cinque diverse tipologie di ruling;
  • disciplinato in modo omogeneo e razionale le varie tipologie di interpello introdotte;
  • abrogato le disposizioni non più compatibili.

La disciplina, in realtà, non è ancora completa nei dettagli; l’art. 8 del citato D.Lgs n. 156/2015 demanda, infatti, alla pubblicazione di appositi provvedimenti dei Direttori delle Agenzie fiscali, da emanare entro il 30 gennaio 2016, la previsione delle modalità di presentazione delle istanze, l’individuazione degli uffici cui inviare le medesime istanze e quelli da cui dovranno pervenire le relative risposte, comprese le modalità di comunicazione; i medesimi provvedimenti dovranno inoltre stabilire ogni altra regola di dettaglio concernente la procedura.

Viene, infine, precisato nella citata ultima norma che per le istanze di interpello presentate prima dell’emanazione dei provvedimenti esecutivi, restano applicabili le disposizioni procedurali in vigore al momento della presentazione dell’istanza.

Le nuove tipologie di interpello. Come innanzi accennato, l’art. 1 del D.Lgs n. 156/2015, riformula in toto l’art. 11 della Legge n. 212/2000, rubricato “Diritto di interpello”, prevedendo cinque diverse tipologie di ruling interno, a ciascuna delle quali, peraltro, corrispondono tempi specifici di riposta.

Interpello ordinario. L’istituto, previsto dal comma 1, lettera a), dell’articolo 11 Legge 212/2000, mantiene sostanzialmente la struttura dell’”interpello ordinario” di cui al vigente art. 11. L’istanza è volta ad ottenere un parere quando sussistano obiettive condizioni di incertezza sull’interpretazione di disposizioni tributarie, in relazione alla loro applicazione a casi concreti e personali. Tale tipologia di interpello, in sostanza, può essere attivata in relazione a qualsiasi disposizione tributaria che si presenti obiettivamente incerta nella sua applicazione alla fattispecie concreta e personale; l’amministrazione risponde in 90 giorni.

Interpello qualificatorio. La nuova tipologia di ruling, ugualmente prevista dal comma 1, lettera a) dell’art. 11, si presenta in via complementare rispetto all’interpello ordinario, da cui differisce per il rilievo che assume la valutazione della fattispecie obiettivamente incerta rispetto all’interpretazione delle norme di legge invocate dal contribuente nel caso concreto. Con tale strumento, il contribuente potrà chiedere all’Amministrazione finanziaria un parere non tanto in relazione all’applicazione delle disposizioni, quanto in ordine alla “corretta qualificazione delle fattispecie”, anche in tal caso quando sussistano obiettive condizioni di incertezza alla luce delle disposizioni tributarie applicabili alle medesime. Anche la risposta a tale tipologia di interpello è prevista in 90 giorni.

Interpello probatorio. Lo strumento, previsto dalla successiva lett. b) del medesimo comma 1, si rende applicabile ad una categoria molto ampia di situazioni, andando a sostituire, di fatto, diverse istanze attualmente previste dall’ordinamento tributario (come ad esempio quelle previste dall’art. 11, comma 13 della Legge n. 413/1991 e l’istanza di interpello delle C.F.C.); la richiesta è finalizzata ad ottenere un parere sulla sussistenza delle condizioni o sull’idoneità degli elementi probatori offerti dal contribuente, ai fini dell’adozione di un determinato regime fiscale. La risposta dell’Amministrazione, in tal caso, è prevista in 120 giorni.

Interpello anti-abuso. Tale forma di ruling, prevista dalla lett. c) del comma 1 in commento, è destinata ad assorbire le principali fattispecie ricomprese nel campo di applicazione dell’interpello antielusivo di cui al vigente art. 21 della Legge n. 413/1991; costituisce, peraltro, il nuovo strumento, già previsto nel nuovo art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente1, che ha codificato la controversa fattispecie dell’abuso del diritto, attraverso il quale il contribuente può chiedere all’Amministrazione se le operazioni che intende realizzare costituiscano fattispecie di abuso del diritto. Tale istituto può essere attivato dal contribuente anche per conoscere il parere dell’Amministrazione in relazione alle ipotesi di interposizione, ai sensi dell’art. 37, comma 3 del D.P.R. n. 600/1973. La risposta dell’Amministrazione a tale tipologia di interpello deve arrivare entro 120 giorni.

Interpello disapplicativo. L’ultima forma di interpello, disciplinata dal comma 2 dell’art. 11 in argomento, corrisponde a quella attualmente disciplinata dall’art. 37-bis, comma 8 del D.P.R. n. 600/1973, il quale consente al contribuente di chiedere all’Amministrazione un parere in ordine alla sussistenza delle condizioni che legittimano la disapplicazione di norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive del soggetto passivo. Nello stesso comma viene riportata la precisazione che la presentazione o la mancata presentazione dell’istanza de qua non pregiudicano, in nessun caso, la possibilità per il contribuente di fornire la dimostrazione della spettanza della disapplicazione anche nelle successive fasi dell’accertamento amministrativo e del contenzioso. Peraltro, in caso di risposta negativa è prevista la possibilità della sua impugnazione “differita”, ossia unitamente al ricorso avverso l’avviso di accertamento. La risposta dell’Amministrazione a tale tipologia di interpello deve arrivare entro 120 giorni.

[1]Inserito dall’art. 1 del D.Lgs n. 128/2015, con decorrenza dal 1° ottobre 2015.

Autore: Marco Brugnolo

Rimborsi chilometrici: esenzione condizionata

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Con la R.M. 92/E del 30.10.2015, l’Amministrazione Finanziaria analizza il regime fiscale dei rimborsi chilometrici, ribadendo quanto già sostenuto nei precedenti documenti di prassi (Circolare n. 326/E del 1997 e Risoluzioni n. 54/E del 1999, n. 191/E del 2000, n. 232/E del 2002 e n. 53/E del 2009) ovvero che i rimborsi chilometrici erogati per l’espletamento della prestazione lavorativa in un comune diverso da quello in cui è situata la sede di lavoro, sono esenti da imposizione, sempreché, in sede di liquidazione, l’ammontare dell’indennità sia calcolato in base alle tabelle ACI, avuto riguardo alla percorrenza, al tipo di automezzo usato dal dipendente e al costo chilometrico ricostruito secondo il tipo di autovettura. Detti elementi dovranno risultare dalla documentazione interna conservata dal datore di lavoro.

Nel caso sottoposto al vaglio dell’Agenzia, una società assicurativa, che si avvale tra i propri dipendenti di alcune figure professionali che svolgono frequentemente le proprie mansioni in trasferta, in particolare al di fuori del territorio comunale ove è ubicata la sede di lavoro di assegnazione (cd. missione temporanea) anche attraverso l’utilizzo dell’autovettura personale, chiede lumi sulla deducibilità delle suddette spese.

La società in questione al fine di determinare i rimborsi da erogare ai dipendenti utilizza un particolare meccanismo informativo, ponendo a confronto i chilometri calcolati “dalla sede di lavoro alla località di missione” (di seguito “prima percorrenza”) con quelli “dal domicilio alla località di missione” (di seguito “seconda percorrenza”) operando come segue:

  • quando il percorso per raggiungere la località di missione, calcolato a partire dall’abitazione, è più breve rispetto a quello calcolato partendo dalla sede di lavoro (il calcolo della “seconda percorrenza” risulta minore della “prima percorrenza”), l’indennità chilometrica spettante viene interamente riconosciuta in regime di esenzione fiscale e contributiva;
  • quando, invece, il percorso per raggiungere la località di missione, calcolato a partire dall’abitazione, è più lungo rispetto a quello calcolato partendo dalla sede di lavoro (il calcolo della “seconda percorrenza” risulta maggiore della “prima percorrenza”), l’indennità chilometrica, seppur corrisposta in ragione dell’intero percorso, è assoggettata a tassazione, fiscale e previdenziale, per la sola quota riferibile alla maggiore distanza percorsa; ciò nel presupposto che l’importo tassato è da considerarsi quale rimborso erogato per il tratto abitazione-sede lavoro.

L’istante giustifica il proprio comportamento in ragion del fatto che iI rimborso delle spese di viaggio per il tragitto abitazione-sede di lavoro, a suo parere, costituisce un ammontare fiscalmente rilevante ai sensi dell’art. 51 del TUIR, dal momento che il costo sostenuto al riguardo risulta già forfettariamente “rimborsato” con il riconoscimento delle detrazioni per lavoro dipendente di cui all’art. 13 del TUIR.

Su tale questione interviene l’Agenzia, che partendo dal principio di onnicomprensività per i redditi di lavoro dipendente ex articolo 49 del TUIR, ribadisce innanzitutto che per le trasferte fuori del territorio comunale sono previsti tre distinti sistemi di tassazione in ragione del tipo di rimborso (analitico, forfetario o misto) scelto e non è possibile ipotizzare, accanto alle fattispecie individuate dal Legislatore tributario nel comma 5 dell’art. 51 del TUIR, nuovi e diversi sistemi di calcolo degli importi che non concorrono al reddito.

Ciò detto, viene chiarito che:

  • le indennità o i rimborsi di spese per le trasferte nell’ambito del territorio comunale, tranne i rimborsi di spese di trasporto, comprovate da documenti provenienti dal vettore, concorrono a formare il reddito;
  • per quanto concerne il regime fiscale da applicare ai rimborsi spese corrisposti sotto forma di indennità chilometrica, in linea con i precedenti interventi, l’Amministrazione Finanziaria ha chiarito che i rimborsi chilometrici erogati per l’espletamento della prestazione lavorativa in un comune diverso da quello in cui è situata la sede di lavoro, sono esenti da imposizione, sempreché, in sede di liquidazione, l’ammontare dell’indennità sia calcolato in base alle tabelle ACI, avuto riguardo alla percorrenza, al tipo di automezzo usato dal dipendente e al costo chilometrico ricostruito secondo il tipo di autovettura. Detti elementi dovranno risultare dalla documentazione interna conservata dal datore di lavoro.

Applicando tale ultimo principio al caso in esame, viene chiarito che:

  • laddove la distanza percorsa dal dipendente per raggiungere, dalla propria residenza, la località di missione risulti inferiore rispetto a quella calcolata dalla sede di servizio, con la conseguenza che al lavoratore è riconosciuto, in base alle tabelle ACI, un rimborso chilometrico di minor importo, quest’ultimo è da considerare non imponibile ai sensi dell’articolo 51, comma 5, secondo periodo, del TUIR;
  • nell’ipotesi in cui la distanza percorsa dal dipendente per raggiungere, dalla propria residenza, la località di missione risulti maggiore rispetto a quella calcolata dalla sede di servizio, con la conseguenza che al lavoratore viene erogato, in base alle tabelle ACI, un rimborso chilometrico di importo maggiore rispetto a quello calcolato dalla sede di servizio, la differenza è da considerarsi reddito imponibile ai sensi dell’articolo 51, comma 1, del TUIR.
Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Il nuovo approccio all’evasione fiscale

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Si mira ad incentivare gli adempimenti spontanei

Il fenomeno dell’evasione fiscale assume nel nostro paese dimensioni molto rilevanti. Le istituzioni, e in primo luogo il Governo, attuano un impegno costante ai fini dell’individuazione di obiettivi e di indirizzi di politica fiscale. L’evasione, infatti, comporta effetti economici negativi sotto diversi e importanti profili: determina effetti distorsivi sull’allocazione delle risorse, interferisce con la libera concorrenza dei mercati ed è sinergicaalla corruzione e alla criminalità economico/organizzata.

Con il comunicato stampa n°213 del 26/10/2015, il MEF ha voluto mettere in risalto la lotta all’evasione intrapresa dal Governo, nonché, il ruolo cruciale svolto dall’Agenzia delle Entrate; le competenze maturate e consolidate dal personale e dalla dirigenza costituiscono un patrimonio che il Governo intende salvaguardare. Lo spirito di dedizione e l’esecuzione dei doveri d’ufficio lontano dai riflettori che il personale ha mostrato in tante occasioni deve continuare a essere di esempio per chiunque operi al servizio del cittadino e dell’interesse pubblico. Vengono messe in risalto le principali iniziative messe in atto dal Governo al fine di contrastare l’evasione fiscale, quali:

  • riforma fiscale su delega del Parlamento. Il Governo ha dato attuazione alla delega fiscale (L. 23/2014) modificando la normativa rendendola più efficace, al fine di prevenire comportamenti abusivi e ridurre margini di interpretazione; in un contesto di maggiore chiarezza l’amministrazione fiscale svolge un ruolo nuovo, che si basa su un rapporto di confronto con il cliente e non di solo applicazione coatta di sanzioni;
  • l’incrocio delle banche dati. Con la legge di stabilità per il 2015 sono state introdotte le norme per il cosiddetto “controllo cambia-verso” che promuovono l’incrocio delle banche-dati, grazie al quale l’Agenzia delle Entrate può segnalare ai contribuenti problemi di adempimento prima di attivare il processo sanzionatorio, al fine di incentivare l’adempimento spontaneo;
  • fatturazione elettronica. L’obbligo di fatturazione elettronica introdotto nei confronti delle pubbliche amministrazioni centrali nel giugno 2014 ed estesa a tutte le pubbliche amministrazioni a marzo del corrente anno.
  • reverse charge e split payment. L’introduzione di queste modalità di versamento dell’IVA a decorrere dall’1 gennaio 2015 ha consentito all’erario di registrare un maggior gettito di questa imposta stimato nell’ordine di 1 miliardo di euro nell’anno;
  • voluntary disclosure. Lo strumento che consente ai contribuenti che detengono illecitamente patrimoni all’estero di regolarizzare la propria posizione denunciando spontaneamente all’Amministrazione finanziaria la violazione degli obblighi di monitoraggio.

E’ giusto segnalare con fierezza le misure poste in essere dal Governo, ma lo è altrettanto evidenziare come ancora oggi secondo i dati della Corte dei conti di Roma e quelli del parlamento europeo, in Italia l’evasione fiscale vale circa il 30% del Prodotto interno lordo, ovvero la misura della ricchezza di un Paese.

Omesso versamento di IVA. La crisi economica non salva dal reato

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Cassazione Penale, sentenza depositata il 29 ottobre 2015

Non risponde del reato di omessa IVA il legale rappresentante di società che, in presenza di una crisi di liquidità dell’impresa, ha fatto tutto quanto era in suo potere per reperire le risorse necessarie a far fronte all’obbligazione tributaria non essendovi tuttavia riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e comunque a lui non imputabili.

È quanto si ricava dalla sentenza n. 43599/15 della Corte di Cassazione – Terza Sezione Penale.

Gli ermellini, nel confermare il verdetto di condanna per il reato di cui all’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000 pronunciato dalla Corte d’appello nei confronti del legale rappresentante di una società cooperativa, ha sostenuto che l’inadempimento tributario penalmente rilevante può essere attribuito a “forza maggiore” solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio.

Nel caso in esame, l’imputato ha ammesso che i mancati accontamenti dell’IVA erano risalenti a un’epoca precedente alla data di assunzione della carica societaria e ha pure rivendicato di aver optato per il mancato versamento dell’imposta per una sua scelta imprenditoriale. Ebbene, tanto è bastato agli ermellini per ritenere sussistente la responsabilità del ricorrente.

Nella sentenza 43599/15 si legge: “la consapevolezza dell’attuale stato di dissesto dell’impresa comporta l’accettazione delle relative conseguenze quando, come nel caso in esame, esse siano responsabilmente valutate da chi, subentrando nella carica, dimostra in tal modo di poterne avere il dominio finalistico, anche se si tratta di dissesto imputabile alla precedente gestione. È lo stesso imputato ad affermare di aver chiesto rassicurazioni alla società controllante, unico debitore della cooperativa, affinchè provvedesse a saldare il conto, ma non ha mai dedotto di essersi attivato, pur avendo a disposizione il lungo periodo che lo separava dalla scadenza del termine per il versamento annuale, per cercare di onorare l’impegno alla scadenza; aldilà delle generiche indicazioni sulla crisi finanziaria dell’impresa e della spiegazione delle relative cause, non risultano allegazioni circa richieste di finanziamenti, avvio di ingiunzioni giudiziarie nei confronti del debitore o altre iniziative per cercare di tamponare la mancanza di liquidità. La pura e semplice indicazione di dati macroeconomici dell’impresa non costituisce prova rigorosa dell’assoluta impossibilità di adempiere derivante da causa a lui non imputabile, essendo peraltro principio incontroverso, nella dottrina e nella giurisprudenza civilistica, che la crisi di liquidità salvo casi eccezionali non manda esente da colpa il debitore pecuniario inadempiente”.

Nulla da fare, quindi, per il legale rappresentante della cooperativa, che dovrà pagare le spese processuali e la somma di mille euro in favore della Cassa delle ammende.

Accertamento. Per l’IRAP il termine non raddoppia

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Le violazioni non hanno rilevanza penale

Il raddoppio dei termini per l’esercizio dell’attività accertatrice, in caso di violazioni che comportano l’obbligo di denuncia all’Autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 331 c.p.p., non opera con riguardo all’IRAP, poiché le dichiarazioni che costituiscono oggetto materiale dei reati di cui al D.Lgs. n. 74/2000 sono solamente quelle relative alle imposte sui redditi e all’IVA.

È quanto ha affermato la Commissione Tributaria Provinciale di Como nella sentenza n. 514/02/15.

Nel caso di specie la CTP ha ritenuto operante il raddoppio dei termini di cui all’art. 43 D.P.R. n. 600/1973 per la notifica dell’accertamento oggetto di causa, eccetto che per la pretesa relativa all’IRAP.

Per la Cassazione (sentenza n. 4906 del 2015) – hanno evidenziato i giudici comaschi – è errata l’inclusione dell’IRAP nella quantificazione dell’imposta evasa non trattandosi di un’imposta sui redditi in senso tecnico.

Inoltre, le dichiarazioni costituenti l’oggetto materiale del reato di cui all’articolo 4 D.Lgs. n. 74/2000 (contestato nella fattispecie) sono solamente le dichiarazioni dei redditi e le dichiarazioni annuali IVA (v. circolare del Ministero delle finanze n. 154/E del 4/8/2000, che motiva l’esclusione della dichiarazione IRAP con la natura reale di siffatta imposta, che perciò considera non incidente sul reddito).

L’articolo 4 D.Lgs. n. 74/2000, che configura un reato di pericolo concreto, tutela il bene giuridico patrimoniale dalla percezione del tributo ed è all’indebito vantaggio d’imposta, deducibile dalle correlate dichiarazioni annuali, che deve farsi riferimento per l’individuazione del profitto del reato (Cass., Sez. 3 pen. 11147/2011). “Delle imposte evase” – si legge allora in sentenza– “come indicate dall’agenzia dovrà tenersi conto pertanto di quanto sopra menzionato con riferimento all’esclusione dell’Irap (vedi sul punto anche Ctp Lombardia Brescia, sezione X, 16/4/2014, n. 34) non essendo legittimo il raddoppio dei termini per la notifica degli avvisi di accertamento di cui all’art. 43 terzo comma dpr 29/9/1973 n. 600 con riferimento all’imposta succitata. Il raddoppio dei termini è invece legittimo per le altre imposte ai fini reddituali e Iva, essendo stato chiaramente specificato dalla Corte costituzionale con la sentenza del 25/7/2011 n. 247 che il raddoppio dei termini di decadenza dal potere di accertamento previsto dal dl n. 223/2006 è cagionato da un fattore obiettivo, rinvenibile nell’obbligo di presentazione della denuncia penale (…)”.

Insomma, poiché il raddoppio dei termini opera in presenza di violazioni tributarie per le quali esiste un obbligo di denuncia per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000 e poiché le violazioni relative all’IRAP non comportano tale obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria è da escludere che l’istituto in parole possa operare per questo tributo.

Nel nuovo ruling vale sempre la regola del “silenzio assenso”

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Il D.Lgs. 24/09/2015, n. 156, pubblicato nella G.U. del 7 ottobre 2015, con efficacia generalizzata dal 1° gennaio 2016, ha profondamente revisionato la disciplina degli interpelli, in ottemperanza alla delega formulata dall’art. 6, comma 3 Legge n. 23/2014.

In particolare, l’art. 1 del citato D.Lgs. n. 156/2015 ha riformulato l’art. 11 della Legge n. 212/2000, riconducendo nell’ambito dello Statuto dei diritti del contribuente l’intera disciplina degli interpelli (prima distribuita su diverse norme, non perfettamente coordinate tra loro), rendendola più omogenea e razionale.

L’efficacia delle risposte. Il terzo comma del rinnovato art. 11 dello Statuto, oltre a prescrivere i termini entro i quali l’Amministrazione è tenuta a fornire risposta alle istanze di interpello introdotte o revisionate, precisa che la risposta stessa, scritta e motivata, vincola l’Amministrazione Finanziaria con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza e limitatamente al richiedente; stabilisce, peraltro, la nullità di qualsiasi atto, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio, emesso in difformità della risposta.

La nuova formulazione, nel confermare la vincolatività della risposta solo per l’Amministrazione, rispetto al passato innova il testo identificando espressamente l’amministrazione “in ogni suo organo”, ricomprendendovi, pertanto, quelli ausiliari. Di conseguenza, la risposta favorevole al contribuente preclude, ad esempio, anche ai verificatori della Guardia di Finanza di formulare rilievi nel p.v.c. emesso in esito ad accessi, ispezioni e verifiche, laddove le medesime questioni siano state oggetto di un vaglio dell’Amministrazione in sede di interpello, sempre che non siano emersi, nel corso dell’indagine, elementi che alterano il quadro rappresentato dal contribuente nella relativa istanza.

Il silenzio assenso. Peraltro, il medesimo comma 3 conferma ed estende a tutte le tipologie di ruling la regola del “silenzio assenso”, prevedendo che, qualora la risposta dell’Amministrazione non pervenga nel termine previsto dalla legge, si consolida la soluzione prospettata dal contribuente, con l’effetto di determinare anche la nullità di qualsiasi atto, a contenuto impositivo o sanzionatorio, difforme alla soluzione su cui si è formato il silenzio.

La disposizione prevede che l’efficacia della risposta si estende anche ai comportamenti successivi del contribuente, purché riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello, salvo rettifica della soluzione interpretativa, applicabile comunque ai comportamenti futuri (rimanendo, di contro, consolidati gli effetti già prodotti in virtù della precedente risposta).

I termini per le risposte dell’Amministrazione. Va chiarito che alle istanze formulate per gli interpelli ordinario e qualificatorio, di cui all’art. 11, comma 1, lett. a) dello Statuto, l’Amministrazione dovrà rispondere nel termine di 90 giorni; di contro, per le istanze formulate per gli interpelli qualificatorio, anti-abuso e disapplicativo (di cui all’art. 11, comma 1, lett. b) e c) e comma 2 della medesima legge 212/2000), l’Amministrazione potrà avvalersi del più ampio termine di 120 giorni.

Riprendendo la disposizione prevista dall’attuale disciplina dell’interpello ordinario, il comma 5 del nuovo art. 11 prevede che la presentazione delle varie tipologie di istanze di interpello non produce alcun effetto interruttivo o sospensivo sulle ordinarie scadenze degli adempimenti tributari.

Autore: Marco Brugnolo

730 precompilato. Dal 2016 via al controllo preventivo del fisco per i modelli anomali

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Precompilata modificata con controllo preventivo e rimborso a cura dell’Agenzia delle entrate, se il 730 inviato dal contribuente o per il tramite del sostituto d’imposta, presenta elementi di incoerenza rispetto ai criteri pubblicati da un apposito provvedimento da emanarsi a cura della stessa Agenzia delle entrate.

E’ questa una delle principali novità stabilite dall’articolo 49 della bozza di Legge di stabilità 2016 che sta affrontando in questi giorni l’iter parlamentare per l’approvazione.

La modifica si sostanzia attraverso l’inserimento del comma 3 bis all’art. 5 D.Lgs. 175/2014, che prevede per la prima volta, il controllo preventivo per i 730 che presentano anomalie rispetto a determinati parametri che saranno stabiliti dall’Agenzia delle entrate.

Il controllo preliminare del Fisco

Su tali 730 sarà dunque possibile, già a partire dall’anno di reddito 2015, un controllo preliminare, in via automatizzata o mediante verifica dei documenti a supporto per la compilazione del modello, da effettuarsi dalla stessa amministrazione finanziaria entro 4 mesi dal termine previsto per la trasmissione della dichiarazione oppure dalla successiva data di invio del modello qualora questa avvenga dopo il 7 luglio.

L’accredito post controllo non avverrà a cura del sostituto ma sarà erogato direttamente dall’agenzia delle entrate, non oltre il sesto mese successivo al termine per la trasmissione del modello (e quindi ordinariamente entro il 7 gennaio), ovvero dalla data di trasmissione del 730 se successiva.

I rimborsi rilevanti.

La stessa procedura si applica anche ai 730 precompilati e modificati dal contribuente o per il tramite del sostituto, che “determinato un rimborso di importo rilevante”.

In questi casi il rimborso sarà possibile solo attraverso il controllo preventivo e l’erogazione diretta per il tramite dell’Agenzia delle entrate.

La norma, prevede altresì l’abrogazione dell’articolo 1 commi 586 e 587 della L. 147/2013, che aveva previsto per i rimborsi che superano soglia 4.000 euro, in presenza di detrazioni per carichi di famiglia (anche derivanti da eccedenze d’imposta degli anni precedenti), il controllo preventivo ed assegnazione del rimborso da parte dell’amministrazione finanziaria.

Tale norma, infatti è da considerarsi superata poiché con riferimento i familiari a carico viene effettuato un controllo di validità ed esistenza dei relativi codici fiscali al momento dell’invio della dichiarazione, mentre con riferimento alle eccedenze derivanti dall’anno precedente, le stesse vengono proposte direttamente dall’Agenzia delle entrate nella dichiarazione precompilata.

In tutti questi casi la norma specifica, inoltre, che rimane altresì impregiudicata la facoltà dell’Agenzia delle entrate di poter esperire ogni possibile controllo previsto in materia di imposte sui redditi (formale e sostanziale).

L’invio delle spese mediche.

Vengono previsti con decorrenza 2016 a valere sull’anno d’imposta 2015, alcune modifiche sul sistema “Tessera sanitaria” sul cui portale devono essere caricati i dati relativi alle spese mediche per alimentare la precompilata.

Tutti i cittadini, indipendentemente dalla predisposizione della dichiarazione dei redditi precompilata, potranno, infatti, consultare i dati relativi alle proprie spese sanitarie acquisiti mediante i servizi telematici messi a disposizione dal Sistema Tessera Sanitaria.

Viene inoltre prevista l’applicazione della sanzione pari ad € 100,00, per ogni comunicazione, in caso di omessa, tardiva o errata trasmissione dei dati da parte degli operatori sanitari (ivi compresi medici e dentisti titolari di P.iva) in relazione alle prestazioni erogate nel 2015.

Per quanto attiene invece alla comunicazione clienti e fornitori di cui all’articolo 21 Dl 78/2010 (“spesometro”), viene stabilito che, i dati inviati dagli operatori al sistema Tessera sanitaria, potranno essere prelevati direttamente dall’agenzia delle entrate ai fini del presente adempimento, evitando così un adempimento aggiuntivo ai contribuenti.

In tal senso un apposito Provvedimento dell’agenzia delle entrare si dovrà preoccupare di stabilire termini e modalità di acquisizione dei dati stessi già comunicati.

Va segnalata anche la predisposizione della comunicazione delle spese sanitarie rimborsate, da effettuarsi a cura di enti e casse/società di mutuo soccorso aventi finalità esclusivamente assistenziale entro il 28 febbraio di ciascun anno.

Si tratta, nella sostanza, delle spese mediche non rimaste a carico del contribuente, la cui comunicazione è prevista al fine di assicurare in precompilata la correttezza dell’importo effettivamente detraibile.

Modello TR III trimestre 2015: la scadenza è fissata al 2 Novembre

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Entro il prossimo 2 Novembre (il 31 Ottobre cade di Sabato) sarà possibile presentare il Modello TR, approvato con il Provvedimento n. 39968 del 20 Marzo 2015, per le richieste di rimborso/compensazione dell’eccedenza IVA del terzo trimestre 2015.

Chi può utilzzare il Modello TR – Il modello IVA TR deve essere utilizzato dai contribuenti che hanno realizzato nel trimestre un’eccedenza di imposta detraibile di importo superiore a 2.582,28 euro e che intendono chiedere in tutto o in parte il rimborso di tale eccedenza ovvero intendono utilizzarla in compensazione orizzontale (ovvero con imposte/contributi/ritenute diverse dall’IVA).
Compensazioni – L’utilizzo in compensazione del credito IVA infrannuale può avvenire solo dopo la presentazione dell’istanza. L’utilizzo in compensazione per importi inferiori ad euro 5.000,00 è possibile dopo la presentazione del Modello TR.
L’utilizzo in compensazione per importi superiori ad 5.000 euro annui, riferito all’ammontare complessivo dei crediti trimestrali maturati nell’anno, comporta l’obbligo di utilizzare i predetti crediti a partire dal sedicesimo giorno del mese successivo a quello di presentazione del Modello IVA TR. Per poter compensare l’eccedenza IVA già dal 16 Novembre si dovrà presentare l’istanza entro il 31 Ottobre.
Rimborso IVA: le condizioni necessarie – Ai sensi dell’art. 38-bis, secondo comma, il credito IVA infrannuale può essere richiesto a rimborso unicamente dai contribuenti in possesso di uno dei seguenti requisiti:

  • aliquota media delle operazioni attive inferiore a quella degli acquisti;
  • operazioni non imponibili superiori al 25% del totale delle operazioni effettuate;
  • dai soggetti non residenti e senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato, identificati direttamente (art. 35-ter, D.P.R. n. 633/1972) o che hanno nominato un rappresentante residente nel territorio dello Stato;
  • quando effettuano acquisti ed importazioni di beni ammortizzabili per un ammontare superiore ai due terzi dell’ammontare complessivo degli acquisti e delle importazioni di beni e servizi imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, limitatamente all’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili, nonché di beni e servizi per studi e ricerche;
  • quando effettuano prevalentemente operazioni non soggette all’imposta per effetto degli articoli da 7 a 7-septies per un importo superiore al 50 per cento dell’ammontare di tutte le operazioni effettuate, prestazioni di lavorazione relative a beni mobili materiali, prestazioni di trasporto di beni e relative prestazioni di intermediazione, prestazioni di servizi accessorie ai trasporti di beni e relative prestazioni di intermediazione, ovvero prestazioni di servizi di cui all’articolo 19, comma 3, lettera a-bis).

A seconda della condizione che da diritto alla presentazione del Modello TR, si dovrà barrare nel quadro TD, sezione I, campi TD1 – TD5 l’apposita casella.

Rimborsi IVA – La sezione del modello relativa ai rimborsi è stata adeguata al fine di tenere conto, tra l’altro, delle modifiche alla disciplina degli stessi apportate dal c.d. decreto Semplificazioni fiscali (D.Lgs. n. 175/2014).
Con l’art. 13 del Decreto Semplificazioni Fiscali (D.Lgs. 175/2014, pubblicato nella G.U. 28.11.2014 n. 288), in vigore dal 13 dicembre 2014, sono state ridisegnate le regole per i rimborsi dell’eccedenza IVA, elevando la soglia che consente l’ottenimento del rimborso senza presentazione di garanzie fideiussorie.
In particolare:

  • i rimborsi IVA di importo inferiore ad euro 15.000,00 possono essere richiesti senza la presentazione della garanzia. Basta esclusivamente la presentazione dell’ istanza trimestrale.

Se si è esonerati dalla presentazione della garanzia, nella casella 3, del rigo TD8, si dovrà indicare:

  1. se l’istanza è dotata di visto di conformità o della sottoscrizione da parte dell’organo di controllo e della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà che attesta la presenza delle condizioni individuate dall’articolo 38-bis, comma 3, lettere a), b) e c);
  2. se il rimborso è richiesto dai curatori fallimentari e dai commissari liquidatori;
  3. se il rimborso è richiesto dalle società di gestione del risparmio indicate nell’articolo 8, del decreto-legge n. 351 del 2001.

Sarà necessario presentare la garanzia per i rimborsi superiori a 15.000 euro solo nelle ipotesi di situazioni di rischio. Si tratta delle ipotesi di rimborso richiesto:

  • da soggetti che esercitano un’attività di impresa da meno di due anni ad esclusione delle imprese start-up innovative (ex art. 25, D.L. n. 179/2012);
  • da soggetti ai quali, nei due anni precedenti la richiesta di rimborso, sono stati notificati avvisi di accertamento o di rettifica da cui risulti, per ciascun anno, una differenza tra gli importi accertati e quelli dell’imposta dovuta o del credito dichiarato superiore:
    1. al 10% degli importi dichiarati se questi non superano 150.000 euro;
    2. al 5% degli importi dichiarati se questi superano 150.000 euro ma non superano 1.500.000 euro;
    3. all’1% degli importi dichiarati, o comunque a 150.000 euro se gli importi dichiarati superano 1.500.000 euro;
  • da soggetti che presentano l’istanza priva del visto di conformità o della sottoscrizione alternativa o non presentano la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà;
  • da soggetti passivi che richiedono il rimborso dell’eccedenza detraibile risultante all’atto della cessazione dell’attività.

Pensionati e la nuova no tax area

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – E’ stata varata giovedì 15 ottobre 2015, dal Consiglio dei Ministri, le legge di stabilità 2016, contenente una serie di misure tra cui l’aumento della c.d. no tax area per la fascia di pensionati under e over 75.

Attualmente, la soglia di esenzione fiscale per i pensionati è fissata a 7.500 euro per i pensionati di età inferiore ai 75 anni e a 7.750 euro per i pensionati di età pari o superiore ai 75 anni.

L’innalzamento della soglia – Con la legge di stabilità 2016, salvo futuri emendamenti, la soglia di esenzione fiscale, è aumentata a:

  • 7.750 euro per i pensionati under 75.
  • 8.000 euro per i pensionati over 75;

La no tax area per i pensionati al di sopra dei 75 anni , dunque, è equiparata a quella già prevista per i lavoratori dipendenti.
Inoltre, se confermato, l’innalzamento potrebbe essere considerato come un contentino per quella fascia di contribuenti meno abbienti (cioè pensionati con una soglia di reddito annuale bassa) che sono lasciati fuori dal bonus fiscale di 80 euro introdotto a regime dalla legge di stabilità 2015 dal governo Renzi a favore dei lavoratori dipendenti.

Dal 2016 o dal 2017? – Il giorno dopo il varo della legge di stabilità per il 2016 è toccato al Ministro del lavoro e delle politiche sociali Giuliano Poletti tirare le somme riguardo gli interventi di previdenza e lavoro contenuti nella manovra.
Proprio in merito all’innalzamento della no tax area per i pensionati, lo stesso Ministro ha precisato che l’aumento scatterà dal 2017 e che l’eventuale anticipo della misura al 2016 è legato al via libera dell’UE in merito alla flessibilità dello 0,2% del deficit prevista per le misure contro l’emergenza immigratoria.
D’altronde l’anticipo dell’innalzamento della no tax area per i pensionati al 2016 non è l’unica misura contenuta nella manovra finanziaria a essere legata al via libera di Bruxelles sulla clausola per l’emergenza immigrazione.
Anche il taglio dell’IRES dall’attuale 27,5% al 24% a decorrere dal 2016 è legato al riconoscimento all’Italia da parte dell’Europa della flessibilità sul deficit. Se tale flessibilità non sarà accordata, il taglio di 3,5% percentuali dell’IRES scatterà a decorrere dal 2017 (è stato lo stesso Renzi a dichiararlo nella presentazione della legge).
La misura dell’innalzamento della no tax area, secondo le stime dei sindacati, che poco sono entusiasti dell’esiguità della misura (“più che delusi siamo molto molto arrabbiati” sono state le parole del segretario generale della CGIL Susanna Camusso), si tradurrebbe, in media, in 100 euro di tasse in meno da pagare per i soggetti interessati. Una magra consolazione per una categoria di pensionati sempre più tartassata.

Autore: PASQUALE PIRONE

Iva 2014: l’Agenzia avvisa per i modelli omessi

Informati i contribuenti della mancata presentazione della Dichiarazione Iva

Premessa – L’Agenzia avvisa in anticipo i contribuenti che non hanno ancora presentato, o non hanno compilato correttamente, la dichiarazione Iva per il 2014. I 65mila destinatari possono rimediare da soli e pagare le sanzioni ridotte, senza ricevere controlli.

Comunicazione dell’Agenzia delle Entrate – Per comunicare questa chance a coloro che non hanno ancora presentato la dichiarazione Iva per il 2014 o che l’hanno presentata soltanto con il quadro VA compilato, l’Agenzia delle Entrate sta inviando delle lettere agli indirizzi di posta elettronica certificata (Pec) di questi contribuenti, in modo da permettergli di controllare ed eventualmente correggere la propria posizione.

Rapporto con il contribuente – Queste comunicazioni fanno parte del percorso di cambiamento che l’Agenzia ha intrapreso nei rapporti con i contribuenti, con l’obiettivo di aumentare il grado di fiducia da parte dei cittadini e favorire l’adempimento spontaneo degli obblighi tributari. Con il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate pubblicato oggi, infatti, vengono indicate le modalità con cui vengono messe a disposizione dei contribuenti le informazioni da verificare per assicurarsi le sanzioni ridotte previste dal ravvedimento operoso.

Modalità di comunicazione – Oltre alle mail certificate, le comunicazioni viaggiano per posta ordinaria, in modo da raggiungere anche chi non ha un indirizzo Pec attivo, oppure non registrato nei pubblici elenchi.

Compliance – Le comunicazioni previste dal provvedimento di ieri seguono a breve distanza i 220mila alert preventivi inviati dal Fisco ai contribuenti che, pur essendo obbligati (avendo più redditi e più datori di lavoro), non hanno presentato la dichiarazione. Anche in quel caso, lo scopo delle comunicazioni è permettere il ravvedimento spontaneo del contribuente prima dei controlli.

Regolarizzazione – I contribuenti che non hanno ancora presentato la dichiarazione Iva relativa al periodo d’imposta 2014 possono regolarizzare la propria posizione presentando la dichiarazione entro 90 giorni a partire dal 30 settembre 2015, pagando le sanzioni in misura ridotta. Invece coloro che hanno presentato la dichiarazione Iva 2014 con la compilazione del solo quadro VA possono regolarizzare già da ora gli errori eventualmente commessi e beneficiare così delle sanzioni in misura ridotta in ragione del tempo trascorso, grazie all’istituto del ravvedimento operoso.

Contattare l’Agenzia– Se il contribuente ha assolto correttamente i suoi obblighi dichiarativi, potrà comunicarlo immediatamente alle Entrate telefonando al numero 848.800.444 da telefono fisso (tariffa urbana a tempo) oppure al numero 06.96668907 da telefono cellulare (costo in base al piano tariffario applicato dal proprio gestore), dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 17, selezionando l’opzione “servizi con operatore > comunicazione dalla Direzione Centrale Accertamento”.

Comunicazioni già inviate – Ricordiamo che negli ultimi mesi l’Agenzia ha già inviato 220mila lettere a chi ha dimenticato di presentare la dichiarazione pur avendo percepito più redditi da lavoro dipendente o da pensione da diversi sostituti (datori di lavoro o enti previdenziali) e non ha effettuato il conguaglio delle imposte. Sono state inoltre inviate 190mila comunicazioni di anomalie rilevate nei dati dichiarati ai fini degli studi di settore. Infine sono state trasmesse 20mila comunicazioni complessivamente inviate a cittadini che non hanno dichiarato tutte le plusvalenze, professionisti che non hanno denunciato tutti i compensi certificati dai sostituti d’imposta, soggetti Iva con vendite dichiarate inferiori alle fatture comunicate al Fisco dai clienti.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti