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Ecco i codici per la IUC

L’Agenzia delle Entrate, con tre risoluzioni (nn. 45/E46/E e 47/E del 24 aprile), ha utilizzato, per la Tari, gli stessi codici l’anno scorso assegnati alla Tares  e per la Tasi, ha istituito nuovi codici da utilizzare su F24.

I codici tributo riservati alla Tasi sono:

“3958” – Tasi, abitazione principale e relative pertinenze
“3959” – Tasi, fabbricati rurali ad uso strumentale
“3960” – Tasi, aree fabbricabili
“3961” – Tasi, altri fabbricati
“3962” – Tasi, interessi
“3963” – Tasi, sanzioni

I codici rinominati che identificano la Tari (o la tariffa) sono:

per l’F24

“3944” – Tari (e Tares)
“3945” – Tari (e Tares), interessi
“3946” – Tari (e Tares), sanzioni
“3950” – tariffa
“3951” – tariffa, interessi
“3952” – tariffa, sanzioni

IUC – Imposta Unica Comunale – è il termine con il quale si intende racchiudere più tasse per la famiglia : la TASI, la TARI e l’IMU.

Quindi di per sé la IUC non è nulla se non uno scatolone pieno di insidie.

Per quanto ci hanno rassicurato per mesi che nessun costo aggiuntivo sarebbe gravato sui proprietari di case, alla resa dei conti la fregatura ci sta tutta.

Iniziamo con

La TASI.

  • Si tratta della tassa sui servizi indivisibili e cioè? Sono tutti quei servizi comunali rivolti alla collettività in modo indistinto di cui noi cittadini usufruiamo magari senza pensarci su, come ad esempio l’illuminazione stradale,  la manutenzione del manto stradale.
  • Sono soggetti al pagamento i proprietari di prima e seconda casa
  • Quanto si paga? Ancora non si sa, anche se la base imponibile è la stessa dell’IMU ma le aliquote il Comune le deve ancora decidere partendo da una base del 2,5 per mille.
  • Quando scade? Unitamente all’IMU e cioè probabilmente il 16/6 la prima rata e il saldo entro il 16/12

La TARI

  • Si tratta della rinominata “tassa sui rifiuti urbani”….sulla “monnezza” detta alla romana….
  • Soggetti al pagamento sono i possessori di abitazioni o locali che producono rifiuti ad esclusione di chi già paga per i rifiuti speciali
  • Quanto si paga? È sempre il Comune a decidere le aliquote e quindi attendiamo…. E comunque, nonostante l’obbligo della “differenziata”, sarà sicuramente sempre troppo cara
  • Quando si paga? Il pagamento dovrebbe rimanere in due rate semestrali come già lo è oggi per questo servizio.

L’IMU

E questa non ce la leviamo comunque di mezzo.

  • E’ la ormai nota Imposta sulla casa che tanto ha fatto discutere in questi ultimi anni: prima casa si, prima casa no, e poi lo scorso anno ci è toccato pagare la mini IMU sulla prima casa.
  • Sono esclusi i possessori di prima casa con eccezione dei proprietari di prima casa classificata al catasto  nelle categorie A/1, A/8 o A/9, case di lusso. Obbligo di pagamento sulle seconde case.
  • Quanto si paga? Sempre in attesa delle decisioni Comunali, le aliquote possono variare da un minimo  del 4,6 per mille a un massimo del 10,6 per mille.
  • Quando si paga? Sempre in due rate scadenti il 16/6/2014 e 16/12/2014

 

Noleggio occasionale: codice tributo

24 Aprile 2014

R.M. 43/E/2014

L’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione 43/E del 23 aprile 2014, ha istituito il codice tributo per il versamento, tramite modello “F24”, dell’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e delle relative addizionali, sui proventi derivanti dall’attività di noleggio occasionale di cui all’articolo 49-bis del decreto legislativo 18 luglio 2005, n. 171.

L’articolo 49-bis del D.Lgs. 171/2005
 prevede che “al fine di incentivare la nautica da diporto e il turismo nautico, il titolare persona fisica o società non avente come oggetto sociale il noleggio o la locazione ovvero l’utilizzatore a titolo di locazione finanziaria, di imbarcazioni e navi da diporto, di cui all’articolo 3, comma 1, può effettuare in forma occasionale, attività di noleggio della predetta unità. (…)”.

Per lo svolgimento della suddetta attività, di durata complessiva non superiore a quarantadue giorni, è previsto il pagamento di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e delle relative addizionali, nella misura del 20 per cento, entro il termine di versamento del saldo IRPEF.

Per consentire il versamento, mediante il modello F24, dell’imposta sostitutiva in argomento, si istituisce il seguente codice tributo:

  • 1847” denominato “Imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e delle relative addizionali sui proventi derivanti dall’attività di noleggio occasionale – Art. 49-bis del D.Lgs. n. 171/2005”.

In sede di compilazione del modello di versamento F24, il suddetto codice tributo è esposto nella sezione “Erario”, in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a debito versati”, con l’indicazione, nel campo “anno di riferimento”, dell’anno d’imposta per cui si effettua il versamento, nel formato “AAAA”. Il codice è utilizzabile anche in corrispondenza degli “importi a credito compensati”.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Bonifici esteri: abrogata la ritenuta

24 Aprile 2014
Il Decreto Legge IRPEF ha abrogato definitivamente la tanto discussa ritenuta del 20% sui bonifici esteri. Più in dettaglio, nel suddetto Decreto si prevede l’abrogazione del comma 2 dell’articolo 4 del decreto legge 28 giugno 1990 n. 167 convertito con modificazioni nella Legge 4 agosto 1990 n. 227.

Come noto, l’art. 4, co. 2, del D.L. 167/1990, come riscritto dalla Legge Europea 2013 (L. 97/2013), prevedeva, accanto al principio di carattere generale in base al quale su tutti i redditi di capitale e sui redditi diversi derivanti da investimenti esteri e da attività estere di natura finanziaria, gli intermediari dovevano applicare le ritenute già previste da specifiche disposizioni non soltanto quando le attività erano a essi affidate in gestione, custodia o amministrazione, ma anche qualora intervenissero nella mera riscossione dei relativi flussi, una “ritenuta d’ingresso” a titolo di acconto nella misura del 20% su determinate tipologie di redditi di capitale e di redditi diversi che derivano da investimenti detenuti all’estero o da attività estere di natura finanziaria.

La decorrenza della norma era inizialmente fissata al 1° gennaio 2014. Successivamente, ilProvvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 18 dicembre 2013:

  • rinviava l’applicazione della ritenuta, per ragioni di ordine pratico, al 1° febbraio 2014;
  • prevedeva il versamento delle ritenute operate dagli intermediari per il periodo dal 1° febbraio – 30 giugno 2014, entro il 16 luglio 2014, maggiorate dei relativi interessi e senza applicazione di sanzioni.

Con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 19.02.2014 (Protocollo 2014/24663), tenuto conto delle difficoltà sollevate dagli operatori, si rinviava al 1° luglio 2014 la decorrenza degli adempimenti connessi alle disposizioni contenute nell’art. 4, comma 2, D.L. 167/1990.

Con comunicato del Mef, n. 46 del 19.02.2014, era stato reso noto che nell’ambito del disegno di legge per l’attuazione dell’accordo “Iga” e l’implementazione del “Common Reporting Standard”, era stata predisposta una norma per la definitiva abrogazione della ritenuta. Si ricorda che sempre nel comunicato del MEF, oltre a sottolineare l’inutilità della nuova ritenuta in ingresso in quanto finalizzata a ottenere informazioni già disponibili attraverso il canale delle scambio di informazioni, veniva ulteriormente precisato che “gli acconti eventualmente già trattenuti da intermediari finanziari sulla base della norma in oggetto saranno rimessi a disposizione degli interessati dagli stessi intermediari”. Ci si riferiva alle ritenute eventualmente operate nel periodo 1° febbraio 2014 – 19 febbraio 2014, considerando la sospensione prevista per i flussi ricevuti nel mese di gennaio 2014.

Ora, con il Decreto IRPEF si risolve in maniera definitiva la questione, abrogando la disposizione normativa tanto contestata.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Detraibilità delle spese di istruzione – esperto risponde

23 Aprile 2014
Il caso – Sono madre di tre figli e, ogni anno, in occasione della compilazione del modello 730, abbiamo dubbi in merito a quelle che sono le spese di istruzione effettivamente detraibili.
Potremmo avere un quadro completo delle disposizioni attualmente vigenti?

Analisi – In primo luogo merita di essere chiarito che è consentita esclusivamente la detrazione delle spese sostenute per la frequenza di:
– corsi di istruzione secondaria di primo e secondo grado (ovvero le c.d. “scuole medie” e “scuole superiori”);
– universitaria;
– di perfezionamento e/o di specializzazione universitaria;
tenuti presso università o istituti pubblici o privati, italiani o stranieri.

Tuttavia è bene precisare come nel nostro ordinamento, essendo previsto l’obbligo scolastico fino all’età di 16 anni, non può essere rinvenuto alcun vincolo di pagamento delle tasse scolastiche fino al terzo anno delle scuole superiori.

Molto spesso, tuttavia, i genitori corrispondono degli importi all’istituto frequentato dal ragazzo di età inferiore ai 16 anni: in tal caso si deve più correttamente parlare di erogazioni liberali piuttosto che di spese di istruzione.

Le erogazioni liberali in oggetto sono comunque detraibili ai sensi dell’art. 15, comma 1, lettera i-octies) del Tuir, ma in questo caso la detrazione è personale e non spetta se sostenuta nell’interesse dei familiari fiscalmente a carico.
La spesa deve essere finalizzata all’innovazione tecnologica, all’edilizia scolastica e universitaria e all’ampliamento dell’offerta formativa e la detrazione spetta a condizione che il pagamento venga effettuato con versamento postale o bancario o con carte di debito, carte di credito, carte prepagate, assegni bancari e circolari.

Nel caso in cui siano rispettati i requisiti appena richiamati, l’erogazione liberale in oggetto potrà essere indicata nel quadro E, sez. I, righi da E8 a E12, codice 31 (qualora si proceda alla compilazione del modello di dichiarazione 730/2014) oppure nel quadro RP, righi RP8 a RP14, sempre codice 31 (nel caso in cui si opti per la compilazione del modello UnicoPF/2014).

Le spese di istruzione detraibili –
 Sono considerate fiscalmente detraibili tutte le spese sostenute per la frequenza dei corsi di istruzione secondaria e universitaria, compresi i Conservatori di musica e gli istituti musicali pareggiati.
Tali oneri sono deducibili secondo il principio di cassa, nell’esercizio in cui la spesa è stata sostenuta.

Sono altresì detraibili le spese sostenute per la frequenza di istituti privati, ma in tal caso l’importo ammesso in detrazione non può essere superiore a quello che si sarebbe sostenuto per le tasse e i contributi degli istituti statali.

Nel tempo si sono inoltre succeduti diversi chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate, che hanno sancito la detraibilità delle spese sostenute per:
– i corsi di dottorato di ricerca presso l’Università (risoluzione n.11 del 2010);
– i master universitari (circolare n. 101 del 2000);
– i corsi SSiS per l’abilitazione ad insegnare (risoluzione n.77 del 2008);
– i corsi tenuti presso le università telematiche, se istituite e riconosciute con decreto del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (risoluzione n.6 del 2007);
– le spese per la partecipazione alle prove d’accesso ai corsi universitari a numero chiuso (risoluzione n.87 del 2008);
– le soprattasse per esami di profitto e laurea;
– le spese di immatricolazione e iscrizione ad anni fuori corso.
È stato altresì chiarito che le spese sostenute per i corsi di specializzazione per i laureati sono detraibili, purché gli stessi siano riconosciuti dall’ordinamento universitario (circolare n.7 del 1193).
Da ciò ne discende che, per esempio, non sono detraibili le spese sostenute per i corsi di specializzazione organizzati dagli Ordini professionali in vista di eventuali esami di abilitazione.

Sono detraibili anche i corsi presso istituti e università private o straniere, ma in tal caso è necessario far riferimento alla spesa per la frequenza di corsi analoghi tenuti presso le Università statali italiane.

Le spese non detraibili – Si ricorda, infine, che non possono essere considerate detraibili le altre spese sostenute per la frequenza dei corsi di studio, come, ad esempio, quelle per l’acquisto di testi scolastici, di strumenti musicali, di materiale di cancelleria etc. (Risoluzione ministeriale 17/06/80, n. 8/803), nonché gli importi corrisposti per i viaggi ferroviari, vitto e alloggio necessari per consentire la frequenza alle scuole (Risoluzione ministeriale 27/10/80, n. 2/1184).

Autore: Redazione Fiscal Focus

Rivalutazione: imposta in un’unica rata

23 Aprile 2014

Nella bozza del Decreto del Governo eliminate le tre rate

Premessa – Il consiglio dei ministri dei venerdì 18 aprile, oltre ai vari provvedimenti sugli sgravi Irpef/Irap e aumento aliquote delle rendite finanziarie, ha altresì previsto che l’imposta sostitutiva sulla rivalutazione dei beni d’impresa venga versata tutta in un’unica soluzione entro il 16 giugno eliminando la possibilità di dividere l’importo dovuto in tre rate. Si attende ora la conferma ufficiale con la pubblicazione del testo definitivo.

Rivalutazione – Come noto la legge di stabilità 2014 (Legge 27 dicembre 2013, n. 147) ai commi da 140 a 146 ha riproposto la rivalutazione dei beni d’impresa e delle partecipazioni riservata alle società di capitali ed enti commerciali che non adottano i principi contabili internazionali. La rivalutazione va effettuata nel bilancio 2013 e deve riguardare tutti i beni risultanti dal bilancio al 31 dicembre 2012 appartenenti alla stessa categoria omogenea.

Saldo attivo – Il saldo attivo di rivalutazione va imputato al capitale o in un’apposita riserva che ai fini fiscali è considerata in sospensione d’imposta. Si può provvedere all’affrancamento, anche parziale, di tale riserva con il pagamento di un’imposta sostitutiva dei redditi e dell’Irap in misura pari al 10%.

Imposta sostitutiva –
 Il maggior valore dei beni è riconosciuto ai fini fiscali (redditi e Irap) dal terzo esercizio successivo a quello della rivalutazione (in generale, dal 2016) tramite il versamento di un’imposta sostitutiva determinata nelle seguenti misure: 16% per i beni ammortizzabili; 12% per i beni non ammortizzabili.

Versamento –
 In base all’art. 1, comma 145, Legge di Stabilità 2014 le imposte sostitutive dovute per il riconoscimento della rivalutazione e per l’eventuale affrancamento della riserva vanno versate in 3 rate annuali, senza interessi, entro il termine previsto per il saldo delle imposte sui redditi. Gli importi dovuti possono essere compensati con eventuali crediti disponibili.

Termine – In particolare la norma prevede che la prima rata deve essere versata “entro il termine di versamento del saldo delle imposte sui redditi dovute per il periodo di imposta con riferimento al quale la rivalutazione è eseguita, e le altre con scadenza entro il termine rispettivamente previsto per il versamento a saldo delle imposte usi redditi relative ai periodi d’imposta successivi”. In sostanza la prima rata andrà versata il prossimo 16 giugno 2014 e le altre due, rispettivamente, il 16 giugno 2015 e 16 giugno 2016.

Bozza Decreto Cdm –
 Venerdì 18 aprile si è riunito il consiglio dei ministri che ha varato una serie di provvedimenti di misura fiscale (Bonus Irpef in busta paga, Taglio Irap, Aumento aliquote rendite finanziarie). Tra le varie misure adottate figura anche la modifica del temine per pagare l’imposta sostitutiva a seguito della rivalutazione dei beni d’impresa sopraesposta. Il decreto approvato dal Governo, sostituisce, infatti il comma 145 della legge di stabilità: ai sensi della nuova disposizione “le imposte sostitutive di cui ai commi 142 e 143 sono versate in unica soluzione entro il termine di versamento del saldo delle imposte sui redditi dovute per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013”. Non sarà più possibile, quindi, suddividere l’importo dovuto su tre rate annuali. Resta tuttavia salva la possibilità di compensare il quantum dovuto con eventuali altri importi vantati a credito dal contribuente.

Carico fiscale –
 Tale disposizione, ancora in bozza, qualora venisse confermata porterà secondo le stime dell’esecutivo un esborso immediato per le aziende pari a 600 milioni di euro. Onere fiscale che si aggiunge al fatto che il maggior valore dei beni derivante dalla rivalutazione è riconosciuto ai fini fiscali (redditi e Irap) dal terzo esercizio successivo a quello della rivalutazione (in generale, dal 2016), mentre in caso di cessione, assegnazione ai soci/autoconsumo o destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa prima dell’inizio del quarto esercizio successivo a quello di rivalutazione, la plus/minusvalenza è calcolata con riferimento al costo del bene antecedente alla rivalutazione.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Imposta di registro: il ravvedimento

23 Aprile 2014
Premessa – Con il ravvedimento operoso, il contribuente che abbia commesso una violazione tributaria, formale e/o sostanziale, può rimuoverla spontaneamente, purché non sia iniziata un’attività di controllo, beneficiando di riduzioni automatiche delle sanzioni applicabili. Tale istituto è applicabile anche all’imposta di registro.

Violazioni – Per l’imposta di registro le violazioni sanabili sono l’omessa richiesta di registrazione dell’atto e l’omesso versamento dell’imposta (ad esempio, dell’imposta dovuta per le annualità successive alla prima di un contratto di locazione di durata pluriennale).

Omessa registrazione – Con riferimento alla prima violazione (omessa registrazione), la regolarizzazione avviene in due fasi, dapprima effettuando il versamento dell’imposta, maggiorata degli interessi legali, e della sanzione ridotta, successivamente chiedendo la registrazione dell’atto all’Agenzia delle Entrate. Il ravvedimento si perfeziona con l’ultimo adempimento, cioè con la richiesta di registrazione. È pertanto in relazione a tale adempimento che occorre verificare la tempestività della sanatoria e che non siano iniziate attività di controllo.

Sanzione ridotta – La sanzione base è pari al 120%-240% dell’imposta dovuta (art. 69, D.P.R. 26.4.1986 n. 131). Per effetto del ravvedimento, se la richiesta di registrazione è presentata con ritardo non superiore a 90 giorni, la sanzione applicata è quella prevista dall’art. 13, lett. c), D.Lgs. 18.12.1997, n. 472, pari ad 1/10 del minimo della sanzione base. Come chiarito dalla C.M. 23.7.1998, n. 192, infatti, tale norma riguarda anche l’imposta di registro, in quanto l’espressione “dichiarazione” usata nella specie dal legislatore va intesa in senso lato, quindi comprensiva anche della nozione di “atto” o “denuncia”.

Termine –
 La regolarizzazione può avvenire anche successivamente al novantesimo giorno, purché entro un anno dalla scadenza del termine di presentazione dell’atto alla registrazione. In tal caso, è dovuta la sanzione nella misura di 1/8 del minimo (art. 13, lett. b), D.Lgs. 472/1997).

Omesso versamento – Con riferimento all’omesso versamento dell’imposta, la violazione viene sanata con il versamento di tributo, interessi e sanzione ridotta. La sanzione piena è pari, ai sensi dell’art. 13, co. 2, D.Lgs. 18.12.1997, n. 471: per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a 15 giorni, ad 1/15 del 30% del tributo, per ogni giorno di ritardo; per i versamenti effettuati successivamente al quindicesimo giorno, al 30% dell’imposta dovuta.

Termine –
 Ai sensi delle lett. a) e b) dell’art. 13, D. Lgs. 472/1997, la sanzione ridotta se la regolarizzazione avviene entro 30 giorni dalla scadenza del termine, è pari a 1/10 della sanzione (c.d. ravvedimento sprint o breve, a seconda che intervenga entro i primi 15 giorni o nei successivi). Ad esempio, il versamento di un’imposta di euro 100 con due giorni di ritardo sconterà una sanzione pari a euro 0,4 (euro 100 * 30% sanzione base * 1/15 * 2 giorni ritardo * 1/10 riduzione ravvedimento), cioè pari allo 0,2% del tributo per ogni giorno di ritardo. Se, invece, il pagamento fosse effettuato al sedicesimo giorno di ritardo, la sanzione ridotta sarebbe pari a euro 3 (euro 100 * 30% sanzione base * 1/10 riduzione ravvedimento), cioè pari al 3% del tributo. Infine se la regolarizzazione avviene oltre i 30 giorni, ma entro un anno dalla scadenza del termine di versamento, a 1/8 della sanzione del 30% (c.d. ravvedimento lungo), cioè pari al 3,75% del tributo.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Sconto Irap dal 2014

23 Aprile 2014
Con il decreto legge del 18 aprile 2014 il Governo ha rilanciato una serie di misure volte a stimolare l’economia attraverso un aumento dei consumi e la creazione di un ambiente economico più favorevole agli imprenditori: tra queste, un ruolo sicuramente importate è da riconoscersi all’abbattimento dell’aliquota Irap a decorrere dall’esercizio 2014.

La finalità della disposizione

La finalità dell’agevolazione è quella di favorire la riduzione del costo del lavoro, in considerazione della nota indeducibilità ai fini Irap delle spese sostenute per il personale dipendente.

È bene tuttavia rimarcare come l’abbattimento generalizzato dell’aliquota Irap non premia soltanto le imprese che sostengono spese per il personale, in quanto la minor aliquota è applicabile a tutte le imprese, indipendentemente dalla presenza di lavoratori dipendenti.

Tuttavia, se da un lato la concreta applicazione del beneficio tradisce in parte le finalità della norma, è pur sempre vero che è stata introdotta una misura di semplice applicazione, in grado di favorire il mondo delle imprese.

Le nuove aliquote

L’abbattimento dell’aliquota Irap si applicherà “a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2013”, quindi sul 2014.

A seguito delle nuove agevolazione, le nuove aliquote Irap saranno pertanto le seguenti:

– imprese e professionisti: 3,50% (in luogo dell’attuale 3,90%);
– imprese agricole: 1,70 % (in luogo dell’attuale 1,90%);
– banche e le imprese finanziarie: 4,20%, (in luogo del 4,65%);
– assicurazioni: 5,30 % (in luogo del 5,90%);
– imprese concessionarie diverse da quelle di costruzione e gestione di autostrade e trafori: 3,80% (in luogo del 4,20%).

Il versamento degli acconti

Al fine di ridurre la contrazione del gettito erariale per il 2014, il Governo ha tuttavia previsto l’introduzione di un abbattimento graduale dell’aliquota, il quale ha effetti sulla misura degli acconti da versarsi con il metodo previsionale.

Infatti, in sede di versamento degli acconti è possibile optare per il metodo storico o per il metodo previsionale.

Nel primo caso sarà sufficiente versare un acconto pari al 100% (per le società di persone e le imprese individuali) o al 101,50% (per le società di capitali) dell’imposta versata l’anno prima.

Nel secondo caso, invece, si dovrà tener conto delle nuove aliquote previste dal decreto legge appena emanato.

Le aliquote previste per il versamento degli acconti con il metodo previsionale sono infatti le seguenti:
– imprese e professionisti: 3,70% ;
– imprese agricole: 1,80%;
– banche e le imprese finanziarie: 4,40%;
– assicurazioni: 5,60%;
– imprese concessionarie diverse da quelle di costruzione e gestione di autostrade e trafori: 4%

Le questioni ancora aperte

Seppure sia da ammirare l’intervento del Governo volto a limitare l’Irap per le imprese e professionisti, deve rilevarsi come ancora non sia stata data una risposta a tutti quei soggetti (professionisti in primo luogo) che non dispongono ancora di un quadro legislativo certo in tema di autonoma organizzazione.

Tali soggetti dovranno quindi, nell’incertezza, continuare a versare l’Irap (sebbene in misura ridotta), in attesa di futuri chiarimenti.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Canoni di locazione: tracciabilità dei pagamenti

23 Aprile 2014

Tutto come prima per i canoni di locazione: non possono infatti essere riscontrate particolari novità rispetto al passato, sebbene la Legge di stabilità 2014 abbia richiesto l’obbligo di tracciabilità dei pagamenti dei canoni, pena l’applicazione di imprecisate sanzioni.

Infatti, se è vero che l’obbligo è entrato in vigore il 1° gennaio, sono intervenute subito dopo, il 5 febbraio 2014, le precisazioni del Mef che, con la nota DT10492, ha praticamente annullato le novità introdotte.

Una disposizione, quindi, nata e morta in appena due mesi: appena il tempo per creare confusione tra i contribuenti e obbligarli a dotarsi di apposito conto corrente bancario, per poter garantire una tracciabilità successivamente rivelatasi non necessaria.

L’obbligo

L’obbligo di tracciabilità di pagamento dei canoni di locazione è stato introdotto con la Legge di stabilità 2014 che aveva escluso i pagamenti non tracciabili, qualunque fosse l’importo degli stessi.

Inizialmente, nel silenzio della disposizione, si ritennero applicabili le sanzioni previste dalla disciplina antiriciclaggio in tema di violazione delle norme in tema di circolazione del contante: sanzioni salatissime, comprese tra l’1 e il 40% dell’importo trasferito, con una soglia minima di 3.000 euro.

I chiarimenti del MEF

Con la nota DT 10492 del 5 febbraio 2014 il Mef ha precisato che è comunque possibile il pagamento dei canoni in contanti, se l’importo non supera i 999,99 euro, in quanto la sanzione prevista dalla disciplina antiriciclaggio è confinata soltanto ai casi in cui sia superata la soglia prevista in tema di circolazione del contante.

La tracciabilità richiesta dalla norma potrà quindi essere soddisfatta fornendo una semplice prova documentale: la vecchia e cara “ricevuta”, in altre parole.

È ovvio come, in questi termini, non pare vi siano particolari novità rispetto agli anni precedenti, in quanto, anche in passato, coloro che effettuavano i pagamenti in contanti avevano tutto l’interesse di richiedere una quietanza di pagamento.

La sanzione

Dato il quadro prospettato, l’unica sanzione prevista nel caso in cui non sia assicurata la tracciabilità dei pagamenti è rappresentata dalla perdita delle agevolazioni di natura fiscale.

Pertanto, non si potrebbero indicare in dichiarazione, ad esempio, le detrazioni spettati ai conduttori per i contratti di locazione delle unità immobiliari a uso abitativo utilizzate quali abitazioni principali.

L’anno prossimo, quindi, il contribuente che voglia fruire della detrazione in oggetto non potrà limitarsi a fornire copia del contratto di locazione, ma dovrà altresì conservare copia delle ricevute di pagamento dei singoli canoni di locazione.

Autore: Redazine Fiscal Focus

Comunicazione Beni ai soci e finanziamenti

Dopo le prime anticipazioni dei giorni scorsi, ecco che arriva puntuale il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate che fa slittare la scadenza della comunicazione dei beni ai soci a dopo l’invio di Unico.

Non si tratta tuttavia di un semplice differimento: con il Provvedimento in oggetto si interviene sulle scadenze fissate dal Provvedimento del 2 agosto 2013, indicando dei veri e propri nuovi termini di trasmissione.

Il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 16 aprile sposta infatti il termine per la comunicazione dei dati in oggetto al trentesimo giorno successivo al termine di presentazione della dichiarazione dei redditi, confermando così le prime ipotesi che vedevano la scadenza del nuovo adempimento alla fine di ottobre.

Un provvedimento, questo, che appare come necessario, in quanto, con riferimento alla disciplina relativa ai beni dell’impresa concessi in godimento a soci o familiari, l’unico modo per comprendere se la comunicazione è o no dovuta, è connesso, appunto, alla dichiarazione presentata, non solo dai soci e dai familiari dell’imprenditore, ma anche dalla stessa impresa/società che concede i beni in godimento.

Assumeranno infatti rilievo esclusivamente le fattispecie in cui sia riportato un reddito diverso, determinato confrontando il minor corrispettivo pattuito e il valore di mercato del diritto di godimento, per i soggetti che ricevono in godimento beni aziendali, nonché quei casi in cui sia stata fissata l’indeducibilità dei relativi costi sostenuti, per i soggetti concedenti i beni in godimento.

Tuttavia, se inizialmente era stata ipotizzata una convergenza tra le scadenze di Unico e della comunicazione dei beni ai soci, con il provvedimento in oggetto si evita la concentrazione dell’adempimento comunicativo e di quello dichiarativo in un’unica scadenza, prevedendo un lasso di tempo di 30 giorni tra i due adempimenti.

I soggetti tenuti alla comunicazione

Dovranno pertanto rispettare il termine previsto dei 30 giorni successivi al termine di presentazione della dichiarazione dei redditi:

– coloro che esercitano attività d’impresa, sia in forma individuale che collettiva, i quali devono comunicare i dati relativi ai soci o familiari dell’imprenditore che hanno concesso all’impresa, nell’anno d’imposta precedente, finanziamenti o capitalizzazioni per un importo complessivo, per ciascuna tipologia di apporto, pari o superiore a 3.600 euro;

– coloro che esercitano attività d’impresa, sia in forma individuale che collettiva, i quali devono comunicare i dati dei soci e dei familiari dell’imprenditore che hanno ricevuto in godimento beni dell’impresa, nel caso in cui sussista una differenza tra il corrispettivo annuo relativo al godimento del bene e il valore di mercato del diritto di godimento, con riferimento all’anno d’imposta precedente. In alternativa, può provvedervi lo stesso socio o familiare che ha ricevuto il bene in godimento.

Autore: Redzione Fiscal Focus

La correzione degli errori contabili

9 Aprile 2014
Il caso – In occasione della chiusura dei conti al 31.12.2013 ci siamo accorti come vi siano alcuni errori tra le scritture relative all’anno precedente. Sono importi irrisori e derivano principalmente da alcune piccole fatture per le quali è stato erroneamente registrato il pagamento o spese che sono state registrate due volte. Quale deve essere il corretto comportamento contabile da tenere?

L’analisi – Nel caso in cui sia necessario correggere degli errori in bilancio è necessario ricorrere alla contabilizzazione di una sopravvenienza straordinaria (attiva o passiva).
È bene tuttavia considerare come il principio contabile OIC n. 29 abbia espressamente chiarito che debbano essere necessariamente distinti gli errori determinanti da quelli non determinanti.
Più nello specifico, sono definiti errori determinanti quegli errori che hanno un effetto talmente rilevante sui bilanci su cui essi sono stati commessi che i bilanci medesimi non possono più essere considerati attendibili: nei casi più gravi, in questo caso, può essere addirittura necessario correggere i bilanci degli esercizi precedenti.
Nel caso, invece, degli errori non determinanti, sarà necessario correggerli nell’esercizio stesso in cui essi vengono scoperti, attraverso la rettifica della posta contabile che a suo tempo fu interessata dall’errore, con contropartita la voce afferente alle sopravvenienze straordinarie.
In quanto componenti straordinari di reddito, dette sopravvenienze andranno contabilizzate nella voce “E.20 Proventi straordinari” (sopravvenienze straordinarie attive) o “E.21 Oneri straordinari” (sopravvenienze straordinarie passive).
I movimenti dei conti finanziari- Alcuni problemi potrebbero porsi con riferimento a quegli errori che riguardano esclusivamente componenti finanziarie.
Si pensi, come presentato nel caso di specie, a una fattura per la quale sia erroneamente stato rilevato il pagamento al fornitore.
In questo caso, sebbene i principi contabili nulla dicano in merito, autorevole dottrina ha sottolineato come sarebbe errato movimentare un conto economico.
Secondo quanto prima detto sarebbe infatti necessario movimentare il conto sopravvenienze attive (in contropartita al conto cassa) e sopravvenienza passiva (in contropartita al conto debiti verso fornitori), ma ciò entrerebbe in contrasto con il principio di rappresentazione veritiera e corretta.
Pare pertanto più opportuno stornare i due conti con una scrittura inversa.
In tal caso, la scrittura contabile che dovrà essere effettuata, alla data in cui l’errore viene rilevato, è la seguente: Cassa contanti (dare) a Fornitore (avere).

Autore: Redazione Fiscal Focus

Fari puntati sull’antiriciclaggio

9 Aprile 2014
Aumentano le segnalazioni di operazioni sospette e, nel 56% dei casi, dalle stesse emergono reati fiscali: è questo, in estrema sintesi, il bilancio dei dati giunti al nucleo di polizia valutaria della Guardia di Finanza nell’anno 2013.

Insomma, la lotta al riciclaggio di denaro assume sempre più rilevanza, anche in considerazione del fatto che, attraverso le indagini relative al reimpiego di denaro si intensifica la lotta alla criminalità organizzata, così come il contrasto all’evasione fiscale.

Sicuramente i professionisti continuano ad avere un ruolo marginale, mentre, come al solito, molto più numerose sono le segnalazioni effettuate dagli intermediari finanziari.

L’autoriciclaggio

Come ormai noto, in Italia l’antiriciclaggio è spesso associato a tutti gli adempimenti amministrativi connessi a questa particolare disciplina. Principale rilievo assumono pertanto gli aspetti relativi all’adeguata verifica della clientela e la segnalazione delle operazioni sospette.

Ma non dobbiamo dimenticare che nel nostro ordinamento il riciclaggio costituisce anche un reato penale, disciplinato dall’art. 648 bis del codice penale, che punisce con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 1.032 a euro 15.493 chiunque compia operazioni in grado di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro.

È bene tuttavia sottolineare come soggetto attivo del reato non possa mai essere colui che commette il reato presupposto o il concorrente, in quanto il nostro ordinamento considera l’occultamento dei proventi criminosi da parte degli stessi soggetti che hanno commesso il reato presupposto semplicemente come fatto derivante non punibile.

Da mesi ormai si parla dell’introduzione, anche nel nostro ordinamento penale del reato di autoriciclaggio, ma i tentativi sono tutti naufragati.

Si pensi, da ultimo, alle anticipazioni in merito al primo provvedimento sulla volontary disclosure che il Consiglio dei ministri avrebbe dovuto approvare: in quella sede si era parlato addirittura dell’introduzione del reato di autoriciclaggio già dal mese di agosto 2014.

Sparite le disposizioni in tema di autoriciclaggio dal Dl sulla volontary disclosure si continua però a parlare di un semplice rinvio e si annuncia che, presto, un pacchetto di articoli volto a disciplinare il reato di autoriciclaggio vedrà la luce.

Si parla infatti di una bozza allo studio dei Ministeri Interno e Giustizia che non si occupa soltanto di disciplinare il nuovo reato di autoriciclaggio, ma introduce la figura di appositi commissari di governo nei comuni sciolti per mafia, i quali andranno quindi a sostituire i prefetti.

Altro nodo all’attenzione dei tecnici riguarda il riordino dell’Agenzia dei beni sequestrati e confiscati, soprattutto con riferimento ai ruoli chiave della struttura.

È necessario infatti ricordare come, a causa dell’uscita del prefetto Giuseppe Caruso per sopraggiunti limiti di età, attualmente l’Agenzia sia senza una guida, in quanto non sono stati ancora raggiunti i necessari accordi per la designazione di un successore.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Lite temeraria di Equitalia per il fermo

8 Aprile 2014

Accolta la domanda di risarcimento formulata dal contribuente privato dell’autovettura per un debito erariale prescritto da tempo

Paga il risarcimento danni da lite temeraria l’Agente della riscossione che ha proceduto all’iscrizione di fermo amministrativo nonostante l’evidente avvenuto decorso del termine ordinario di prescrizione del credito portato dalla cartella esattoriale. Equitalia non può affidare agli estratti di ruolo la prova della notifica di atti interruttivi della prescrizione. È quanto si ricava dalla sentenza n. 182/01/13 della Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso.

Il caso. 
Una contribuente ha impugnato il provvedimento di fermo amministrativo dell’autovettura chiedendone l’annullamento poiché basato su tre cartelle di pagamento portanti crediti (previdenziali e tributari) già prescritti. La donna ha anche chiesto di essere risarcita ex articolo 96 c.p.c., posto che l’Agente della riscossione, di certo a conoscenza della prescrizione dei diritti per cui agiva, aveva comunque notificato il preavviso di fermo e successivamente, pur essendo a conoscenza del ricorso contro il preavviso e della imminente pronuncia sulla sospensiva, aveva proseguito “senza il minimo raziocinio e senza alcuna oculatezza con l’iscrizione del fermo”. La ricorrente ha precisato di essere un’insegnante e di lavorare presso un istituto scolastico parecchio distante dall’abitazione (200 KM) sicché la privazione dell’autovettura le aveva causato notevoli disagi materiali e morali.

Osservazioni della CTP. 
L’adita CTP di Campobasso, premessa la giurisdizione dell’AGO per i crediti dell’INPS, ha accolto il ricorso della contribuente, limitatamente ai crediti tributari, annullando il fermo e condannando Equitalia al risarcimento dei danni da lite temeraria (art. 96 c.p.c.).

Nel merito, i giudici molisani hanno ritenuto documentalmente provato che il provvedimento opposto fu emesso sulla base di cartelle di pagamento notificate nel 2001, “onde è fin troppo evidente – si legge in sentenza – che quando fu effettuata la notifica del fermo, ovvero il 15 aprile 2013, il credito tributario era ampiamente prescritto per avvenuto decorso del termine ordinario di prescrizione di cui all’art.2946 c.c. È appena il caso di rilevare che l’Equitalia ha solo affermato di avere interrotto il termine di prescrizione ordinaria con la notifica di ulteriori atti, ma non ha affatto provato il suo assunto, nessun valore probatorio potendosi attribuire al prodotto estratto di ruolo ai fini della rituale notifica di atti interruttivi”.

Con riguardo alla domanda di risarcimento dei danni da lite temeraria, la CTP non ha avuto dubbi circa la sussistenza della responsabilità di Equitalia ex art. 96 comma 2 c.p.c., che è riferibile ai casi in cui, come nella specie, il giudice accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare. Quanto alla sussistenza dell’elemento soggettivo, poi, non è richiesto affatto il dolo o la colpa grave (che pure è ravvisabile nella specie), ma unicamente che il creditore abbia agito senza la normale prudenza, “elemento di cui non si vede come potrebbe ritenersi l’insussistenza nella specie – puntualizza la CTP – trattandosi di diritto abbondantemente prescritto”. A proposito del quantum debeatur, infine, la ricorrente ha dimostrato di avere subito un danno, anche se si può prescindere da tale prova, stante l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità: il danno da lite temeraria è costituito non già dalla lesione della posizione materiale della parte vittoriosa, ma dagli oneri di ogni genere (patema d’animo, perdite di tempo occorrenti per approntare la propria difesa, preoccupazione di potere soccombere di fronte a un evidente abuso dell’autorità) che essa abbia dovuto affrontare per essere stata costretta a contrastare l’ingiustificata iniziativa della parte avversa e dai disagi in genere sopportati per effetto di quella iniziativa, danni la cui esistenza può essere desunta dalla comune esperienza (v. Cass. n. 6796/2003 e n. 17485/2011).

Autore: Redazione Fiscal Focus

Destinare il 2 per mille ai partiti politici: scheda e istruzioni

8 Aprile 2014

In attuazione dell’art. 12, D.L. 149/2013, sono state pubblicate le schede e le istruzioni per la compilazione, utilizzabili dai contribuenti persone fisiche per destinare il 2‰ della propria Irpef a uno dei partiti politici che hanno superato l’esame della “Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici”. La suddetta scheda può essere utilizzata, già a partire dal 2014, anno 2013, non soltanto dai contribuenti che presentano il 730 o Unico PF, ma anche dalle persone fisiche che, pure essendo titolari di redditi, non sono tenuti alla presentazione della dichiarazione.

Il quadro normativo – Il D.L. 149/2013 ha abolito il finanziamento pubblico diretto ai partiti. In sostituzione del vecchio metodo di finanziamento, l’art. 12, D.L. 149/2013, ha introdotto la possibilità per ciascun contribuente di destinare volontariamente il 2‰ della propria Irpef a uno dei partiti politici che hanno superato l’esame della “Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici”.

Modalità di presentazione della scheda – La contribuzione volontaria ai partiti politici può essere effettuata per l’anno 2013 esclusivamente mediante l’utilizzo della suddetta scheda, con presentazione cartacea o telematica. Il contribuente può trasmettere la scheda direttamente, utilizzando i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate, oppure attraverso i sostituti d’imposta che prestano assistenza fiscale, i Caf e gli altri intermediari abilitati, o rivolgendosi agli uffici postali.
In tale ultimo caso, sulla busta di corrispondenza, debitamente sigillata e contrassegnata sui lembi di chiusura dal contribuente, devono essere apposti la dicitura “Scelta per la destinazione volontaria del due per mille dell’Irpef”, il codice fiscale, il cognome e il nome del contribuente.
I contribuenti che presentano la dichiarazione in forma congiunta devono inserire le schede per destinare il due per mille dell’Irpef in due buste distinte.

Struttura scheda – La scheda, oltre a contenere l’informativa sul trattamento dei dati personali, è composta da due sezioni:

  • nella prima sezione vanno indicati i dati anagrafici del contribuente che effettua la scelta;
  • nella seconda sezione sono contenuti i riquadri con i partiti politici ammessi al beneficio. Nella seconda sezione è necessario firmare in corrispondenza del partito che s’intende sostenere. La scelta riguarda i seguenti partiti: Fratelli d’Italia, Lega Nord per l’Indipendenza della Padania, PD, Movimento Politico Forza Italia, Partito Autonomista Trentino Tirolese, Partito Socialista Italiano, Sinistra Ecologia e Libertà, Scelta Civica, Sudtiroler VolkSpartei, UDC, Union Valdotoine.

Termini per l’invio – I contribuenti, compresi quelli esonerati dagli obblighi dichiarativi, presentano la scheda secondo le ordinarie scadenze relative alla dichiarazioni fiscali, comunque entro il termine per la presentazione telematica del Modello Unico Persone Fisiche 2014.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Contributi Colf - Il 10/4/2014 scade il versamento dei contributi relativi al primo trimestre 2014

Questa la tabella dei nuovi contributi per le colf.

 DECORRENZA DAL 1 GENNAIO 2014 AL 31 DICEMBRE 2014

Lavoratori Italiani e Stranieri

Contributi dovuti per contratto a tempo indeterminato senza addizionale

Retribuzione effettiva

Retribuzione convenzionale

Con quota CUAF

Senza quota CUAF

Totale

Quota a carico lavoratore

Totale

Quota a carico lavoratore

Fino a euro 7,86

Euro 6,96

Euro 1,39

Euro 0,35

Euro 1,40

Euro 0,35

Oltre euro 7,86 e fino a euro 9,57

Euro 7,86

Euro 1,57

Euro 0,39

Euro 1,58

Euro 0,39

Oltre euro 9,57

Euro 9,57

Euro 1,91

Euro 0,48

Euro 1,92

Euro 0,48

Orario di lavoro superiore a 24 ore settimanali

Euro 5,06

Euro 1,01

Euro 0,25

Euro 1,02

Euro 0,25

Contributi dovuti sui contratti a termine con il contributo addizionale

Retribuzione effettiva

Retribuzione convenzionale

Con quota CUAF

Senza quota CUAF

Totale

Quota a carico lavoratore

Totale

Quota a carico lavoratore

Fino a euro 7,86

Euro 6,96

Euro 1,49

Euro 0,35

Euro 1,50

Euro 0,35

Oltre euro 7,86 e fino a euro 9,57

Euro 7,86

Euro 1,68

Euro 0,39

Euro 1,69

Euro 0,39

Oltre euro 9,57

Euro 9,57

Euro 2,04

Euro 0,48

Euro 2,06

Euro 0,48

Orario di lavoro superiore a 24 ore settimanali

Euro 5,00

Euro 1,08

Euro 0,25

Euro 1,09

Euro 0,25

 

(1) Il contributo CUAF (Cassa Unica Assegni Familiari) non è dovuto solo nel caso di rapporto fra coniugi (ammesso soltanto se il datore di lavoro coniuge è titolare di indennità di accompagnamento) e tra parenti o affini entro il terzo grado conviventi, ove riconosciuto ai sensi di legge (art. 1 del DPR 31 dicembre 1971, n. 1403).
(2) La cifra tra parentesi è la quota a carico del lavoratore.

Il contributo addizionale dell’1.40% non si applica ai lavoratori assunti a termine in sostituzione di lavoratori assenti.

Attenzione: sulla contribuzione dovuta per i rapporti di lavoro domestico, a partire dal 1° gennaio 2013, hanno effetto alcune delle novità introdotte dalla legge 28 giugno 2012, n. 92; in particolare l’art. 2 ha previsto chel’assicurazione contro la disoccupazione involontaria (DS) è sostituita dall’Assicurazione Sociale per l’Impiego (ASpI). Per tale motivo i contributi dovuti sui rapporti a termine risultano di importo più elevato come da seconda tabella riportata in calce.

Ai rapporti di lavoro a tempo determinato si applica un contributo addizionale, a carico del datore di lavoro, pari all’ 1,40% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali (retribuzione convenzionale).

CASSACOLF

Ricordiamo che nei bollettini inviati direttamente dall’INPS non viene calcolata la Cassacolf, disciplinata dal CCNL di riferimento, in quanto non gestita dall’Istituto di previdenza.

Cessazioni

Ricordiamo che in caso di cessazione di rapporto di lavoro, i contributi vanno versati entro 10 gg. dall’ultimo giorno di lavoro. Pertanto, limitatamente ai casi in cui la cessazione sia intervenuta tra il 1° gennaio e la pubblicazione della citata circolare le eventuali sanzioni per ritardato pagamento saranno calcolate a partire dal decimo giorno successivo alla data di pubblicazione.

Novità

Si ricorda che per effetto elle modifiche apportate dalla Riforma del Mercato del Lavoro, anche ai collaboratori domestici è applicabile la convalida delle dimissioni prevista per i lavoratori dipendenti.

Contributi su ferie e preavviso

Con messaggio n. 13156 del 14 agosto 2013, l’Inps rende noto che nel portale dei Pagamenti relativo alle collaboratrici domestiche, ha provveduto ad attivare la funzione per il pagamento dei contributi relativi, anche in riferimento a  periodi di mancato preavviso e/o a ferie non godute  e liquidate in sede di fine rapporto da comunicarsi entro 5 giorni dall’evento. Si rammenta che il pagamento dei contributi in caso di cessazione, deve essere effettuato entro 10 giorni dalla cessazione del rapporto stesso.

 

Irap deducibile anche per il 2013

3 Aprile 2014

Anche quest’anno doppia deduzione Irap dalla base imponibile delle imposte sui redditi.

Come noto infatti, affianco alla deduzione forfettaria del 10% (applicabile qualora siano state sostenute delle spese per interessi passivi) si affianca quella analitica per i costi del lavoro.

Ma attenzione: l’Irap dedotta non potrà essere superiore a quella effettivamente corrisposta.
È questo un dettaglio che può apparire abbastanza banale, ma che, nel vortice dei calcoli, rischiamo di dimenticare, indicando quindi dati errati.

Nessun vincolo, invece, alla cumulabilità delle deduzioni: chi ha sostenuto spese per interessi passivi e contestualmente anche spese per lavoratori dipendenti, potrà tranquillamente continuare a fruire delle detrazioni.

Il punto di riferimento, in occasione della compilazione di Unico 14, dovrà quindi essere l’Irap versata nel 2013, sia a titolo di saldo 2012 che di acconto 2013.
È tuttavia necessario considerare che gli importi versati in acconto per il 2013 rilevano solo nel limite di quanto effettivamente dovuto. Pertanto, in sede di determinazione dell’Irap deducibile, dovremo confrontare i versamenti in acconto effettuati e quanto dovuto per l’anno 2013: il minore dei due importi dovrà essere considerato nella determinazione degli importi deducibili.

Tuttavia è sempre bene ricordare che nel calcolo potranno essere considerati anche eventuali importi versati, sempre nell’anno 2013, in sede di ravvedimento operoso o di iscrizione a ruolo, così come chiarisce la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n.8/E del 2013.

Il calcolo

Al fine di poter calcolare la deduzione spettante è in primo luogo necessario chiarire se vi sono i presupposti per la stessa.

Pertanto, nel caso della deduzione forfettaria, sarà necessario individuare la quota di interessi passivi di competenza dell’esercizio. Tale importo deve comprendere anche gli interessi impliciti nei canoni di leasing, nonché quelli relativi a meri rapporti commerciali.
La somma in oggetto dovrà essere successivamente confrontata con la quota di interessi attivi di competenza dell’esercizio: se gli interessi attivi sono superiori a quelli passivi non vi sono i presupposti per poter fruire della detrazione.
Se invece gli interessi passivi sono superiori, allora scatta la possibilità di fruire di una deduzione ai fini delle imposte sui redditi del 10% dell’Irap effettivamente versata, indipendentemente da quello che è l’importo degli interessi passivi stessi.

Passando poi alla deduzione analitica per i costi del lavoro, in questo caso il calcolo richiede uno sforzo maggiore.
In primo luogo sarà necessario individuare quello che è stato l’effettivo costo del lavoro sostenuto. Al costo sostenuto per i rapporti di lavoro dipendente e assimilato andranno pertanto sommati i compensi per gli amministratori e le indennità di trasferta.
Al fine di poter individuare i costi da poter considerare nel calcolo anzidetto il criterio da tenere a mente è il seguente: occorre riprendere tutti i costi del lavoro che non sono deducibili ai fini Irap. Per tale motivo, ad esempio, non dovremo considerare i rimborsi analitici o le spese per indumenti da lavoro, perché, in questo caso, gli importi sono deducibili ai fini Irap.
Una volta individuato il costo del lavoro, sottrarremo le deduzioni spettanti ai sensi dell’art. 11 del D.Lgs. 446/1997.
L’importo residuo (costo del lavoro meno deduzioni spettanti) andrà rapportato al totale della base imponibile Irap, al fine di poter calcolare la percentuale di incidenza.
Tale percentuale di incidenza sarà effettivamente la percentuale che dovrà essere applicata all’Irap versata nell’anno 2013 al fine di poter individuare la quota deducibile.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Cedolare secca al 10% sui canoni concordati

Scende a decorrere dal 1/1/2014 la percentuale di imposta per la cedolare secca per  affitti a canone concordato, dal 15 al 10%.

Il decreto legge per “le misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per l’EXPO 2015” n. 47 del 28/3/2014, porta l’imposta agevolate dal 15% al 10%.

Rimane al 21% l’imposta sugli altri canoni.

In un regime fiscale così opprimente, l’opportunità di sfruttare la cedolare secca è un’opportunità  favorevole ai provati cittadini che, per un reddito medio, pagherebbero altrimenti un’imposta che si aggira intorno ad una percentuale media del 33%.

Si tratta di un’imposta  che si applica ai canoni di locazione uso abitativo (libero o concordato) stipulati da privati e sostituisce

  • l’Irpef e le addizionali sul reddito degli affitti
  • l’imposta di registro e il l’imposta di bollo alla registrazione

E ancora:

  • l’imposta di registro sulle risoluzioni e proroghe del contratto di locazione
  • l’imposta di bollo, se dovuta, sulle risoluzioni e proroghe del contratto

Resta comunque l’obbligo di versare l’imposta di registro per la cessione del contratto di locazione

La cedolare secca si distingue in due diverse aliquote impositive;

  • la nuova aliquota agevolata del 10% (passata dal 19% al 15% fino al 10% dal 2014)
  • l’aliquota agevolata del 21%

da applicare sul canone libero di locazione annuo stabilito dalle parti.

E’ possibile applicare l’aliquota super agevolata del 10%  in caso di stipula di contratti a canone concordato relativi a immobili siti nei Comuni con carenze di disponibilità abitative (individuati dal Dl 551/1998, all’articolo 1, lettera a e b (si tratta, in pratica, dei comuni di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Venezia e dei comuni confinanti con gli stessi nonché gli altri comuni capoluogo di provincia) e in quelli ad alta tensione abitativa. individuati dal Cipe.

Il reddito assoggettato a cedolare:

  • è escluso dal reddito complessivo
  • sul reddito assoggettato a cedolare e sulla cedolare stessa non possono essere fatti valere rispettivamente oneri deducibili e detrazioni
  • il reddito assoggettato a cedolare deve essere compreso nel reddito ai fini del riconoscimento della spettanza o della determinazione di deduzioni, detrazioni  o benefici di qualsiasi titolo collegati al possesso di requisiti reddituali (determinazione dell’Isee, determinazione del reddito per essere considerato a carico).

Si ricorda inoltre che a decorrere dal 2013 la deduzione forfetaria da applicare agli affitti percepiti e da dichiarare nel quadro relativo ai fabbricati del modello di dichiarazione, è scesa dal 15% al 5% a sfavore del contribuente e questo rende la cedolare secca ancor più conveniente.
L’opzione non può essere effettuata nell’esercizio di attività di impresa o di arti e professioni inoltre non possono aderire al nuovo regime le società e gli enti non commerciali.

 

Srl semplificata anche per il lavoratore

2 Aprile 2014

Il caso – Due lavoratori dipendenti a tempo pieno possono costituire una srl semplificata?

L’analisi – Con specifico riferimento alla disciplina prevista in tema di srl semplificata, non possono essere individuati limiti alla possibilità, per due lavoratori dipendenti, di costituire una nuova società.

Al contrario, è possibile richiamare un’importante novità introdotta con il D.L. 76/2013 (c.d. Decreto lavoro), e con le successive modifiche della legge di conversione (L.9 agosto 013, n. 99).
A seguito dell’intervento normativo in oggetto è stata infatti ammessa l’amministrazione anche da parte dei non soci, oltre ad altri importanti aspetti quali la possibilità di costituire una srls anche per coloro che hanno più di 35 anni e la completa inderogabilità delle clausole dello statuto standard.

Potrà quindi ben accadere che, nel caso in cui i soggetti non possano seguire le vicende societarie, in quanto impegnati con il loro lavoro, sia nominato un amministratore esterno, il quale provvederà alla gestione dell’attività della società in completa autonomia.

Il divieto di concorrenza – Occorre tuttavia osservare alcuni accorgimenti per quanto riguarda i rapporti con il datore di lavoro, sebbene debba essere escluso che possano essere posti dei limiti allo svolgimento di ulteriori attività da parte dei dipendenti.

Si parla, nello specifico, di quello che l’art. 2105 c.c. definisce come “obbligo di fedeltà”.
Secondo l’articolo in oggetto il prestatore di lavoro non deve infatti trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né può divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare a essa pregiudizio.

Pertanto risulta essenziale prestare particolare attenzione ove l’attività che la nuova srls andrà a svolgere possa configurarsi come in concorrenza con quella dell’attuale datore di lavoro: in questo caso, infatti, il rischio non si concretizza soltanto in un possibile licenziamento, in quanto la responsabilità potrebbe avere anche natura risarcitoria.

Per detti motivi spesso risulta utile ottenere un consenso scritto da parte del datore di lavoro (eccezion fatta, ovviamente, per tutte quelle situazioni in cui il rischio di concorrenza tra le due attività può essere decisamente escluso).

Il dipendente pubblico – Ben diversa è la situazione per i dipendenti pubblici.
Come noto, infatti, il D.Lgs. 165/2001, mentre lascia alcuni spiragli di libertà ai lavoratori aventi un rapporto di lavoro a tempo parziale, impedisce al lavoratori full time lo svolgimento delle attività di commercio, industria, e di qualsiasi altra professione, nonché l’instaurazione di rapporti di lavoro con società private.

Sono altresì esclusi incarichi da società esterne, se non a seguito dell’autorizzazione dell’ente di appartenenza, che dovrà verificare che non vi possano essere conflitti né attuali né potenziali.

Allo stesso modo, il dipendente pubblico non potrà in alcun modo accettare cariche in società aventi finalità di lucro, eccezion fatta per tutti quegli enti e società per i quali la nomina è riservata allo Stato. Unica eccezione riguarda le società cooperative, per le quali non risultano costituiti dei limiti.

Gli aspetti previdenziali – Merita infine di essere ricordato come tra i casi nei quali è prevista la “non iscrivibilità” alle gestione commercianti ai fini INPS vi è altresì quello dello svolgimento di attività da lavoro dipendente a tempo pieno.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Lo Spesometro 2014 per i lavoratori autonomi

2 Aprile 2014

Il 10 aprile 2014 sono chiamati all’invio dello Spesometro 2014, con i dati 2013, i soggetti che liquidano l’IVA mensilmente nel 2014 e il 22 aprile 2014 quelli che la versano con scadenza diversa (coloro che aderiscono al regime dell’art.13, L. 388/2000 e coloro che liquidano l’IVA trimestralmente).

Lavoratori autonomi e spesometro – I professionisti (commercialisti, avvocati, notai, medici, consulenti in genere) sono tenuti a comunicare tutte le operazioni, anche se di modesto ammontare, registrate nel 2013.
I lavoratori autonomi, infatti, non rientrando tra i contribuenti disciplinati dall’articolo 22 del D.P.R. 633/72, hanno l’obbligo di emettere la fattura, anche per operazioni effettuate nei confronti di privati e in locali aperti al pubblico. Essi sono, dunque, fortemente penalizzati dall’eliminazione delle soglie per le operazioni supportate da fattura.

Il documento riepilogativo – Unica soluzione per evitare la comunicazione di una miriade di fatture, è effettuare la registrazione di un unico documento riepilogativo sia per le fatture attive che per le passive, ai sensi del D.P.R. 695/96, evitando così l’evidenza dei singoli clienti o fornitori, barrando un’apposita casella.
Le fatture emesse nel corso del mese, di importo inferiore a 300 euro, possono essere registrate, con riferimento a tale mese, con un unico documento riepilogativo, nel quale devono essere indicati:
– i numeri delle fatture cui si riferisce;
– l’ammontare complessivo imponibile delle operazioni;
– e l’ammontare dell’imposta, distinti secondo l’aliquota applicata (art. 6, comma 1 del D.P.R. n. 695/96).
Il contribuente deve provvedere all’immissione dei dati del documento che sintetizza le fatture di importo inferiore ai 300 €, compilando solo i campi: “Importo” e “Imposta”, che accoglieranno la somma degli importi (imponibili\non imponibili\esenti) delle fatture oggetto di riepilogo, nonché l’imposta complessivamente conteggiata. È obbligatorio indicare la “Data del documento” oppure la “Data di registrazione” e il “Numero fattura/Documento Riepilogativo” è invece obbligatorio.

Fatture cointestate –
 Se sono, invece, emesse fatture cointestate (si pensi ad esempio a un notaio che addebita l’onorario di un rogito stipulato da due coniugi), occorre evidenziare l’operazione distintamente per ciascuno di essi (ripartendo, anche se le istruzioni non lo precisano, il corrispettivo tra i diversi co-acquirenti).

L’acquisto di carburante – I professionisti, inoltre, nell’acquisto di carburanti, devono prestare attenzione alla modalità utilizzata per documentare la spesa. Nello spesometro non va indicato nulla, se essi si avvalgono della semplificazione introdotta dal D.L. n. 70/2011, che consente di non utilizzare la “scheda”, qualora i pagamenti avvengano esclusivamente mediante carte di credito, carte di debito o prepagate emesse da operatori finanziari italiani. Se permane la tenuta delle schede carburante, invece, occorre predisporre la comunicazione, avvalendosi delle modalità previste per i documenti riepilogativi.

Prestazioni a clienti esteri – 
Se il professionista ha fatturano prestazioni attive a clienti esteri, dal 2013 esse vanno include nel modello.
Entrano nello spesometro, infatti, anche le fatture emesse non soggette a Iva ai sensi dell’articolo 7-ter.
Ad esempio, un commercialista che ha reso una prestazione a una società statunitense deve emettere la fattura senza Iva e l’operazione andrà inserita nello spesometro.
Se, invece, si tratta di servizi svolti nei confronti di operatori Ue, la fattura andava inclusa negli elenchi Intrastat ed è, quindi, esonerata dallo spesometro.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Spesometro: i chiarimenti del Fisco quadro per quadro

1 Aprile 2014

Le operazioni estere nei diversi quadri della comunicazione polivalente

Mancano pochi giorni alla scadenza per il secondo (dalla reintroduzione dell’adempimento) invio del modello di comunicazione polivalente, dedicato alle operazioni rilevanti ai fini Iva, registrate nel 2013.
Il 10 e il 22 aprile 2014 sono le due date di riferimento per l’invio del modello, rispettivamente per i soggetti con liquidazione IVA mensile e per tutti gli altri.

L’Agenzia delle Entrate proprio in occasione del primo invio, posticipato a fine gennaio 2013, aveva fornito importanti chiarimenti circa i dubbi degli operatori. Rivediamone alcuni.

Quadro BL – Operazioni con soggetti residenti in Paesi della black list – Quanto già comunicato relativamente alle operazioni con controparte black list nel quadro BL, non deve essere ripetuto nel quadro SE.
In linea con il disposto dell’articolo 6, comma 4, dello Statuto del contribuente, che presiede l’intero assetto del Provv. n. 2013/94908 del 2/8/2013, infatti, le operazioni con controparte black list, che siano già confluite nella comunicazione mensile o trimestrale (quadro BL del nuovo modello polivalente) restano escluse dalla comunicazione annuale relativa alle operazioni rilevanti IVA (quadro SE dello stesso modello). Anche le operazioni con Paesi Black list di importo uguale o inferiore a 500 euro non comunicate ai sensi dell’art. 1, comma 1, del D.L. n. 40/2010, non devono essere inserite negli altri ordinari quadri del modello polivalente.

Quadro BL- caselle “operazioni con soggetti non residenti” e “acquisti di servizi da non residenti” – Per quanto concerne la finalità delle due caselle “operazioni con soggetti non residenti” e “acquisti da soggetti non residenti” presenti nel quadro BL, l’Agenzia ha chiarito che la prima va barrata in presenza di operazioni attive, mentre la seconda in presenza di operazioni passive.
Si tratta dell’opzione per l’esposizione in forma aggregata delle operazioni con soggetti non residenti (in forma analitica nel quadro FN) e degli acquisti da soggetti non residenti (in forma analitica nel quadro SE).

Quadro FE – casella Autofattura – La casella “Autofattura” del quadro FE va barrata per segnalare le autofatture emesse ai sensi dell’art. 17, co. 2, D.P.R. 633/1972, quindi per acquisti da soggetti non residenti. Vanno inserite, pertanto, le operazioni documentate da autofattura relative ad:
– acquisti da fornitori Extra- UE, fatta eccezione per le importazioni;
– acquisti da fornitori UE non già ricompresi negli elenchi INTRASTAT.

Quadro FR – casella “Autofattura” –
 La casella ‘Autofattura’ va spuntata in caso di autofatture emesse per:

– operazioni rientranti nella fattispecie disciplinata dagli articoli 7-bis e 7-ter del D.P.R. n. 633 del 1972, in mancanza degli elementi identificativi del fornitore non residente e nell’ipotesi di documentazione emessa dalla controparte non residente, illeggibile o recante dati formalmente non utilizzabili;

– acquisto da un imprenditore agricolo esonerato ai sensi dell’articolo 34, comma 6, del D.P.R. n. 633 del 1972, dall’emissione della fattura;

– acquisto per il quale il cessionario o committente obbligato alla comunicazione, non avendo ricevuto la fattura da parte del fornitore o avendola ricevuta per un importo inferiore a quello reale, regolarizza con l’emissione di autofattura o di fattura integrativa e con il versamento della relativa imposta ai sensi dell’articolo 6, comma 8 del D.Lgs. n. 471 del 1997 e dell’articolo 46, comma 5 del D.L. n. 331 del 1993.
La casella non può essere spuntata per il caso di documento riepilogativo. La casella non deve essere spuntata per il caso di operazioni in reverse charge.
In tali ipotesi va indicata la partita IVA della controparte.

Quadro SE – Nel quadro SE in generale, vanno riportate tutte le operazioni passive effettuate con non residenti, sia comunitari che extra comunitari, purché rilevanti in Italia e che non costituiscano importazioni o operazioni da indicare negli elenchi Intrastat.
Va fatta attenzione tuttavia, al fatto che:
– in caso di impossibilità di identificazione della controparte estera (come, ad esempio, un acquisto tramite internet a fronte del quale il fornitore non emette documentazione che riporti tutte le proprie generalità anagrafiche oppure una indicazione mancante o illeggibile dello Stato estero sulla fattura ricevuta) va comunicata la sola autofattura nel quadro FR;
– in caso di controparte estera da cui si riceve fattura completa di tutti i dati necessari, è sufficiente comunicare la fattura estera nel quadro SE.

Quadro FN – Nel quadro FN vanno indicate le sole operazioni attive effettuate con soggetti non residenti, ad esclusione delle esportazioni e delle operazioni da indicare negli elenchi Intrastat.
Si fa presente che vanno ivi incluse anche operazioni non documentate da fattura realizzate in Italia con soggetti non residenti (sia UE che EXTRA – UE).

Autore: Redazione Fiscal Focus

Iscrizione telematica al VIES

27 Marzo 2014

Comunicato stampa Agenzia delle Entrate

Semplificate le modalità d’iscrizione al VIES (Vat information exchange system). È bene premettere che l’inclusione nell’archivio Vies è condizione necessaria, per coloro che esercitano attività di impresa, arte o professione nel territorio dello Stato (o vi istituiscono una stabile organizzazione), per poter effettuare operazioni intracomunitarie (articolo 27, D.L. 78/2010).

La richiesta può essere effettuata direttamente nella dichiarazione di inizio attività oppure, successivamente, inviando un’istanza all’ufficio o, è questa la novità, un’istanza telematica in modalità diretta.

Con il comunicato stampa diffuso ieri, l’Amministrazione Finanziaria ha reso noto che è attivo il nuovo servizio che consente ai soggetti già titolari di partita Iva, abilitati a Fisconline o Entratel, di richiedere direttamente in via telematica la propria iscrizione nell’archivio VIES. L’adozione della modalità telematica d’iscrizione al VIES è finalizzata alla semplificazione degli adempimenti per gli operatori del settore.

La nuova modalità telematica d’iscrizione al VIES si affianca alla modalità tradizionale che prevede che i contribuenti già in possesso di partita Iva, per essere iscritti nell’archivio Vies, devono necessariamente presentare l’apposita istanza – a mano, con raccomandata o via Posta elettronica certificata (Pec) – all’ufficio.

L’adempimento viene semplificato oltreché nella forma anche nella sostanza.

Infatti, utilizzando il nuovo servizio online basta indicare nel campo dedicato la propria partita Iva, “candidata” a entrare nell’elenco Vies. Per avvalersi di questa nuova opportunità è necessario essere abilitati a Fisconline o Entratel.

Alla richiesta effettuata dal contribuente, seguirà apposita procedura di controllo da parte dell’Amministrazione Finanziaria.

Più in dettaglio, entro 30 giorni dal ricevimento della dichiarazione di volontà a porre in essere operazioni intracomunitarie, l’Agenzia effettua le analisi propedeutiche all’inserimento della posizione nel Vies. Il soggetto interessato può verificare l’avvenuta inclusione della propria posizione nell’archivio Vies utilizzando il servizio di verifica online.

Nel comunicato stampa diffuso ieri dall’Amministrazione Finanziaria si confermano le regole generali per l’inclusione negli archivi VIES. Vale il silenzio – assenso, ovvero se dall’analisi preliminare non emergono elementi di rischio di finalità evasive o di frode, il soggetto viene automaticamente incluso nell’archivio il trentunesimo giorno successivo a quello della attribuzione della partita Iva o della ricezione dell’istanza. In caso contrario, l’ufficio emette un provvedimento motivato di diniego, che preclude l’inserimento nel Vies, entro 30 giorni dal ricevimento della dichiarazione di volontà a porre in essere operazioni intracomunitarie.

Successivamente all’inserimento nel Vies, ed entro sei mesi dalla ricezione della dichiarazione di inizio attività o dell’istanza, l’ufficio effettua specifici approfondimenti, a completare l’analisi svolta nei primi 30 giorni. Ove identifichi specifici profili di rischio, l’ufficio emette un provvedimento di revoca dell’inclusione del contribuente nell’archivio.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Professionisti: quando il rimborso spese fa reddito

Il Testo unico delle imposte sui redditi, all’articolo 54, definisce la nozione di reddito di lavoro autonomo derivante dall’esercizio di arti e professioni, costituito dalla differenza tra i compensi in denaro o natura percepiti nel periodo di imposta e le spese sostenute nello stesso periodo, in relazione all’attività svolta. Dalla lettura della norma emerge che la tassazione di tali compensi, nonché la deducibilità delle spese, avviene secondo il principio di cassa, e che, in ogni caso, ci si deve trovare innanzi a compensi incassati e spese sostenute inerenti all’attività svolta. A tal proposito, la risoluzione n. 69/E del 2003 ha precisato che rientrano nella nozione di compenso anche i rimborsi spese, a condizione che risultino inerenti alla produzione del reddito di lavoro autonomo.

In generale, i rimborsi spese possono essere suddivisi in tre categorie: le anticipazioni effettuate in nome e per conto del committente, le spese a forfait e i rimborsi a piè di lista.

Le anticipazioni effettuate in nome e per conto del committente, pur debitamente documentate, non rappresentano un reddito per il professionista, anche nel caso in cui siano state sostenute per la produzione del reddito di lavoro autonomo. Il documento di spesa, in questo caso, dovrà essere intestato al cliente, e il professionista non potrà portare in deduzione dal proprio reddito il relativo onere. Parimenti, nel momento in cui il committente provvede al rimborso delle anticipazioni, il professionista dovrà emettere un documento in cui evidenzierà tali anticipazioni che, ai fini Irpef, non saranno soggette a ritenuta d’acconto, e, ai fini Iva, saranno escluse ex articolo 15 del Dpr n. 633/1972.

Nel caso in cui, invece, il professionista sostenga delle spese per conto del cliente, ma a nome proprio, con relativo documento di spesa intestato all’esercente la professione, le stesse concorreranno alla formazione del reddito di lavoro autonomo, saranno soggette a ritenuta d’acconto e saranno imponibili ai fini Iva.
Le spese forfetarie, come peraltro i rimborsi a piè di lista, concorrono a formare il reddito e saranno assoggettate a ritenuta a titolo d’acconto nella misura del 20 per cento, se erogate a soggetti residenti, o del 30 per cento, a titolo di imposta, se erogate a soggetti non residenti; risultano, inoltre, imponibili ai fini Iva. Nel caso in cui il committente riconosca al professionista, oltre al compenso vero e proprio, anche un rimborso forfetario per le spese sostenute, queste ultime saranno deducibili nel limite del 2 per cento del proprio fatturato.

Per quanto attiene ai rimborsi a piè di lista, un discorso a parte meritano le spese relative a prestazioni alberghiere e somministrazioni di alimenti e bevande in pubblici esercizi sostenute dal committente per conto del professionista e da questi addebitate in fattura. Come chiarito dalla circolare 28/E del 2006, ai sensi dell’articolo 36, comma 29, decreto legge n. 223/2006, con effetto dal 4 luglio 2006, tali spese sono integralmente deducibili dal reddito di lavoro autonomo e non soggiacciono al limite del 2 per cento, previsto dal comma 5 dell’articolo 54 del Tuir. La deduzione integrale, però, è subordinata al rispetto di una serie di adempimenti tributari tassativi. In particolare, l’esercente il servizio alberghiero o di ristorazione dovrà consegnare al committente il documento fiscale a lui intestato, con l’esplicito riferimento al professionista che ha usufruito del servizio. Il committente dovrà comunicare al professionista l’ammontare della spesa sostenuta, mediante l’invio della copia della documentazione fiscale ricevuta. Il professionista dovrà emettere la parcella, comprensiva dei compensi e delle spese pagate, al committente, e, qualora siano state rispettate tutte le condizioni, considererà il costo integralmente deducibile. L’impresa committente, infine, solo dopo aver ricevuto la parcella dal professionista, potrà imputare a costo la prestazione, comprensiva dell’importo a titolo di rimborso spese.

Rivalutazione dei beni per le imprese

L’articolo 1, commi da 140 a 146, della legge di stabilità (legge 147/2013) ha introdotto una nuova chance di rivalutazione dei beni per le imprese che adottano i principi contabili nazionali. Una possibilità che riguarda anche i beni immateriali come, tra gli altri, marchi e diritti di brevetto. Sono esclusi, invece, i beni in leasing. La rivalutazione produce effetti civili e fiscali a fronte del pagamento di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’Irap nella misura del 16% per i beni ammortizzabili e del 12% per quelli non ammortizzabili. Non è consentita la mera rivalutazione civilistica nel bilancio.

I soggetti interessati sono tutti gli esercenti attività d’impresa, anche in contabilità semplificata, in relazione ai beni materiali e immateriali iscritti tra le immobilizzazioni nonché alle partecipazioni in società controllate e collegate di cui all’articolo 2359 del Codice civile. La rivalutazione è eseguita nel bilancio dell’esercizio 2013 e costituisce l’ultima operazione dell’esercizio. Dal punto di vista contabile, per i beni ammortizzabili, possono essere adottati, anche combinandoli tra loro, tre metodi di rilevazione: la rivalutazione del solo cespite, la rivalutazione dei cespiti e del relativo fondo di ammortamento nonché la riduzione del fondo di ammortamento. Il terzo metodo è quello meno vantaggioso dal punto di vista fiscale e determina un allungamento del periodo di ammortamento. Sono rivalutabili, oltre ai beni posseduti a titolo di proprietà, i diritti reali parziari come l’usufrutto. Non è invece possibile rivalutare i beni utilizzati sulla base di contratti di leasing in quanto fino al momento del riscatto restano di proprietà del concedente.  Fra i beni materiali rivalutabili sono compresi anche quelli in fase di costruzione qualora iscritti tra le immobilizzazioni in corso. I beni immateriali rivalutabili sono quelli giuridicamente tutelati (diritti di brevetto, licenze, marchi, know how) mentre non possono essere oggetto di rivalutazione i costi pluriennali come l’avviamento, i costi di ricerca e sviluppo che non integrino know how e i costi di pubblicità.

Rivalutazione: il ruolo dei sindaci

25 Marzo 2014

Controllo sul valore attribuito e sui criteri utilizzati

Premessa – Nel caso in cui una società proceda nel bilancio al 31.12.2013 a usufruire della rivalutazione dei beni d’impresa prevista dalla legge di stabilità 2014, gli amministratori, sindaci e revisori dovranno illustrare, motivare e attestare la bontà delle operazioni compiute al fine di rendere il più possibile edotti i terzi circa le scelte compiute e i criteri seguiti.

Collegio sindacale – Per quanto riguarda in particolare le verifiche a cui è tenuto il collegio sindacale, queste si inseriscono nel generale dovere posto dall’art. 2403, c.c., che prevede a carico del collegio sindacale la vigilanza sull’osservanza della legge e dello statuto, nonché sul rispetto dei principi di corretta amministrazione. Inoltre, anche se privo del controllo contabile, il collegio sindacale è comunque chiamato a vigilare affinché non si verifichino gravi ed evidenti violazioni dei principi contabili applicabili.

Congruità del valore – Da ciò deriva quindi lo specifico adempimento che la normativa in tema di rivalutazione monetaria ha posto a carico del collegio sindacale, che quindi, oltre ad essere tenuto a vigilare sull’osservanza del corretto iter di rivalutazione da parte degli amministratori, è soprattutto chiamato ad attestare nella propria relazione al bilancio d’esercizio la congruità del valore rivalutato rispetto al valore economico e/o di funzionamento del bene, nonché a descrivere i criteri utilizzati per rivalutare le varie categorie di beni.

Verifica – Il collegio sindacale deve, quindi, verificare la correttezza del valore economico ai fini della rivalutazione con rispetto del principio contabile nazionale Oic 16, a prescindere dalle indicazioni delle norme di rivalutazione.

Presupposti –
 Il collegio sindacale dovrà in primo luogo vigilare sul rispetto dei presupposti di applicazione del provvedimento: soggettivi, oggettivi e procedurali (ad esempio, se la rivalutazione può essere motivo di rinvio ai 180 giorni dell’assemblea di approvazione del bilancio; articolo 2364, Codice civile. Su questo punto, consta peraltro una precedente opinione contraria di Assonime, circolare n. 23/06).

Criteri – Con l’applicazione dell’articolo 11 della Legge n. 342/00, il Collegio sindacale è tenuto a riferire nella propria relazione all’assemblea in merito ai “criteri” utilizzati dagli amministratori nell’operare la rivalutazione, e al rispetto del “limite massimo” iscritto in bilancio riferito al “valore interno d’uso” e al “valore corrente” di mercato degli immobili. È proprio riguardo al valore a cui gli immobili sono iscritti in bilancio post-rivalutazione che si manifesta la deroga all’articolo 2426, Codice civile.

Valore mercato – Ad esempio se gli amministratori hanno basato la rivalutazione sul valore di mercato del bene secondo un’apposita perizia di stima; gli amministratori avranno poi verificato la tenuta di questa valutazione anche in base alla recuperabilità mediante l’impiego dell’immobile “interno” all’impresa. Su queste basi e con questi supporti, il Collegio sindacale potrà basare l’attestazione circa il rispetto del limite economico massimo.

Vigilare – Quando la rivalutazione fosse compiuta da società che, in mancanza, si sarebbero trovate nelle condizioni indicate dagli articoli 2446 o 2447, il Collegio sindacale dovrà attentamente vigilare sull’effettiva tenuta del valore a cui i beni sono iscritti rispetto a quanto è recuperabile tramite il loro uso, e anche la sussistenza del presupposto della “continuità aziendale”.

Giudizio – Queste considerazioni potranno influenzare il giudizio sul bilancio del Collegio sindacale, a partire da un semplice richiamo di informativa esposto in relazione, sino ad arrivare nei casi di evidenti carenze o errori significativi, a esprimere un rilievo, o anche un giudizio negativo (articolo 2409 ter, Codice civile).

 

Il nuovo contratto a termine

Ricambiano le regole per i contratti a termine. Ne hanno viste e riviste di novità e questa non sarà sicuramente l‘ultima.

Il D.lgs n. 368, dalla sua emanazione nel 2001, ha visto ben 12 interventi ma evidentemente nessuno estremamente efficace per quanto sperato. Questa ultima modifica libera il contratto a temo determinato dal vincolo della causale e dall’unica proroga ma lo incatena al limite quantitativo di utilizzo.

Dal 21/3/2014, con la pubblicazione del decreto legge n. 34 pubblicato in G.U. n. 66 del 20/3/2014,

i contratti a termine conclusi fra un datore di lavoro o utilizzatore, potranno essere stipulati SENZA l’inserimento di una causale, per un limite massimo di 36 mesi, durante i quali potranno inserirsi 8 proroghe a condizione che si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato.

IMPORTANTE limitazione è stata inserita in relazione al limite di utilizzo dei contratti a temine che non può eccedere il limite del 20 per cento dell’organico complessivo, SALVO modifiche all’interno della contrattazione collettiva che non si sa quando e se interverrà. Per le imprese che occupano fino a cinque dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato.

Il limite del 20% dell’organico complessivo deve essere rispettato fatto salvo quanto disposto dall’articolo 10, comma 7 del D.lgs. n. 368/2001 ai sensi del quale sono in ogni caso esenti da limitazioni

quantitative i contratti a tempo determinato conclusi:

a) nella fase di avvio di nuove attività per i periodi che saranno definiti dai contratti collettivi

nazionali di lavoro anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici;

b) per ragioni di carattere sostitutivo, o di stagionalità, ivi comprese le attività già previste

nell’elenco allegato al decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525, e

successive modificazioni;

c) per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi;

d) con lavoratori di età superiore a 55 anni.

 

Al via l’elenco dei destinatari del 5 per mille – scad 07/05/2014

24 Marzo 2014

Al via l’elenco dei destinatari del 5 per mille

Le procedure di iscrizione sono attivate a partire dal 21 marzo 2014.
I ritardatari possono inviare la documentazione entro il 30.09.2014 versando la sanzione di 258 euro

L’articolo 1, comma 205, della Legge 27 dicembre 2013, n. 147, c.d. Legge di stabilità 2014, ha previsto, anche per l’esercizio finanziario 2014, la possibilità per i contribuenti di destinare una quota pari al 5 per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche a sostegno delle stesse categorie di soggetti beneficiarie del contributo per l’esercizio finanziario 2010.
Per l’anno finanziario 2014, il 5 per mille è pertanto destinato, nel dettaglio, a sostegno delle seguenti finalità:

1. sostegno degli enti del volontariato:

  • enti del volontariato di cui alla Legge 266 del 1991;
  • Onlus – Organizzazioni non lucrative di utilità sociale (articolo10 del D.Lgs. 460/1997);
  • associazioni di promozione sociale iscritte nei registri nazionale, regionali e provinciali (articolo 7, commi da 1 a 4, Legge 383/2000);
  • associazioni riconosciute che operano nei settori indicati dall’articolo 10, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 460/1997;
  • fondazioni riconosciute che operano nei settori indicati dall’articolo10, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 460/1997;

2. finanziamento agli enti della ricerca scientifica e dell’università;
3. finanziamento agli enti della ricerca sanitaria;
4. sostegno delle attività sociali svolte dal Comune di residenza del contribuente;
5. sostegno alle associazioni sportive dilettantistiche riconosciute ai fini sportivi dal Coni a norma di legge che svolgono una rilevante attività di interesse sociale.

Anche per l’anno finanziario 2014, tra le finalità alle quali può essere destinata, a scelta del contribuente, una quota pari al cinque per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche è inserita altresì quella delfinanziamento delle attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici (articolo 23, comma 46, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni dalla Legge 15 luglio 2011, n. 111). Con il Dpcm 30 maggio 2012 – pdf sono state stabilite le modalità di richiesta, le liste dei soggetti ammessi al riparto e le modalità di riparto delle somme.

Gli enti ritardatari possono provvedere all’iscrizione entro il 30.09.2014 – 
Possono partecipare (articolo 2, comma 2, del D.L. 16/2012 – Circolare n. 7/E del 20 marzo 2014) al riparto delle quote del cinque per mille gli enti ritardatari che presentino le domande di iscrizione e provvedano alle successive integrazioni documentalientro il 30 settembre 2014, versando contestualmente una sanzione di importo pari a 258 euro utilizzando il modello F24 con il codice tributo 8115 (risoluzione n. 46 del 11/5/12). I requisiti sostanziali richiesti per l’accesso al beneficio devono essere comunque posseduti alla data di scadenza della presentazione della domanda di iscrizione relativa a ogni settore.

Le ASD – Le associazioni sportive dilettantistiche che svolgono una rilevante attività sociale possono partecipare al riparto del 5 per mille per l’anno 2014.
In particolare, possono accedere al beneficio le associazioni nella cui organizzazione è presente il settore giovanile e che sono affiliate a una Federazione sportiva nazionale o a una disciplina sportiva associata o a un Ente di promozione sportiva riconosciuti dal Coni.
Inoltre le associazioni devono svolgere prevalentemente una delle seguenti attività:
• avviamento e formazione allo sport dei giovani di età inferiore a 18 anni;
• avviamento alla pratica sportiva in favore di persone di età non inferiore a 60 anni;
• avviamento alla pratica sportiva nei confronti di soggetti svantaggiati in ragione delle condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari.
A partire dal 21 marzo 2014, le associazioni sportive dilettantistiche in possesso dei requisiti presentano la domanda di iscrizione all’Agenzia delle Entrate, utilizzando modello – pdf e software specifici.
La domanda va trasmessa in via telematica direttamente dai soggetti interessati, se abilitati ai servizi Entratel o Fisconline, oppure tramite gli intermediari abilitati a Entratel (professionisti, associazioni di categoria, Caf, ecc.).
L’iscrizione deve essere presentata entro il 7 maggio 2014. Non saranno accolte le domande pervenute con modalità diversa da quella telematica.
I requisiti sostanziali richiesti per l’accesso al beneficio devono essere comunque posseduti alla data di scadenza della presentazione della domanda di iscrizione (7 maggio 2014).
All’atto dell’iscrizione il sistema rilascia una ricevuta che attesta l’avvenuta ricezione e riepiloga i dati della domanda.
Chi vuole accedere al beneficio del 5 per mille di quest’anno deve, comunque, presentare la domanda anche se l’ha già inviata per gli anni 2006, 2007, 2009, 2010, 2011, 2012 e 2013 oppure è presente nell’elenco trasmesso dal Coni per l’anno 2008.

Adempimenti successivi all’iscrizione nell’elenco delle AD: presentazione della dichiarazione sostitutiva – I legali rappresentanti delle associazioni sportive dilettantistiche iscritte in elenco devono spedire entro il 30 giugno 2014 tramite raccomandata con ricevuta di ritorno, all’Ufficio del Coni nel cui ambito territoriale si trova la sede legale dell’associazione interessata, una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ai sensi dell’articolo 47 del D.P.R. n. 445 del 2000, che attesta la persistenza dei requisiti che danno diritto all’iscrizione. Questo è il modello di dichiarazione sostitutiva – pdf.
Per agevolare la compilazione e l’invio della dichiarazione sostitutiva, la procedura telematica dell’Agenzia mette a disposizione il modello parzialmente precompilato con le informazioni fornite dagli interessati all’atto della iscrizione. Il contribuente deve solo inserire le informazioni che mancano.
Alla dichiarazione deve essere allegata, a pena di decadenza, fotocopia non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore

Minimi: possibilità di aumentare i ricavi

5 Dicembre 2013

Il Consiglio Europeo dà la possibilità di aumentare il limite dell’esenzione Iva da 30.000 a 65.000 euro

Premessa – Possibilità di innalzare la soglia di esenzione del c.d. Regime dei minimi fino a 65.000 euro di fatturato. Con la decisione 2013/678/Ue del Consiglio Ue pubblicata nella gazzetta ufficiale europea n. L316 del 27/11/13 infatti, in deroga all’articolo 285 della direttiva 2006/112/CE, l’Italia è autorizzata a esentare dall’Iva i soggetti passivi il cui volume d’affari non superi i 65.000 euro annui.

Decisione precedente – 
Con la decisione n. 2010/688/UE del 15 ottobre 2010 il Consiglio dell’Unione Europea autorizzava l’Italia ad applicare il regime dei minimi, di cui all’articolo 1, comma 96 e seguenti, Legge 244/07, fino al 31 dicembre 2013. La decisione in questione consentiva al nostro Paese di mantenere quale soglia massima, per l’applicazione del regime, gli attuali 30.000 euro di fatturato. Ciò in deroga all’art. 285 della direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006, che fissa la soglia per l’esenzione a 5 mila euro (soglia derogata, comunque, da numerosi Paesi Ue, già autorizzati dal Consiglio ad adottare limiti ben più elevati).

Decisione del 2008 – Analogamente a quanto contenuto nella precedente decisione (n. 2008/737/Ce del 15 settembre 2008), lo stesso Consiglio aveva autorizzato l’Italia ad conservare la citata soglia di 30.000 euro al fine di mantenere il valore dell’esenzione in termini reali; aveva altresì disposto che l’autorizzazione scadeva alla data di entrata in vigore di norme comunitarie che fissassero una soglia comune di volume di affari al di sotto della quale i soggetti passivi possono essere esonerati dall’IVA, o al più tardi, entro il 31 dicembre 2013.

Limite aumentato – 
Accogliendo le richieste dell’Italia, con la decisione di esecuzione 2013/678/Ue del 15 novembre scorso, il Consiglio ha autorizzato il mantenimento del regime speciale di esenzione dall’Iva fino al 31 dicembre 2016 e l’aumento a 65.000 euro del volume d’affari annuo per l’accesso al regime speciale stesso. Nelle motivazioni del provvedimento, il Consiglio osserva, tra l’altro, che l’importo richiesto dall’Italia è compatibile con la proposta di modifica della direttiva presentata dalla Commissione europea il 29 ottobre 2004 che, allo scopo di semplificare gli obblighi Iva, intende permettere agli Stati membri di fissare fino a 100.000 euro la soglia di volume d’affari annuo per l’accesso al regime speciale di esenzione dall’Iva delle piccole imprese.

Decorrenza – 
La decorrenza della nuova disposizione è stata fissata al 1° gennaio 2014 ed è applicabile fino al 31 dicembre 2016, salvo che nel frattempo non intervenga una direttiva che, modificando gli importi dei massimali del volume di affari, stabilisca anche l’esenzione dall’Iva per i soggetti passivi rientranti nei nuovi parametri.

Recepimento –
 La palla ora passa al legislatore italiano. La nuova soglia permetterebbe di ampliare il numero dei contribuenti per i quali le attuali norme prevedono tutta una serie di semplificazioni e di riduzioni degli obblighi fiscali come l’esonero della registrazione e della tenuta delle scritture contabili, delle liquidazioni e dei versamenti periodici e dell’acconto dell’imposta sul valore aggiunto. Inoltre, le agevolazioni possono estendersi alle imposte dirette e all’Irap, con la previsione di un’aliquota di vantaggio. In questo modo il regime dei minimi potrebbe essere ampliato.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Decadenza rateazione: chiarimenti del Fisco

Risoluzione 32/E del 19.03.2014

Il D.L. 69/2013 (“decreto del fare”), modificando l’art. 19 del D.P.R. 602/1973, ha innalzato il numero di rate che fa perdere il beneficio della rateazione.
In particolare, il novellato art. 19, co. 3, D.P.R. 602/1973 innalza da due a otto il numero delle rate non pagate che determina l’annullamento di tale beneficio. Per quanto riguarda il numero di rate che fanno perdere il beneficio della rateazione, rileva il mancato pagamento anche di rate “non consecutive” nel corso dell’intero piano di rateazione.

La questione – In merito alla norma in esame, ci si chiedeva se l’innalzamento (da due a otto) del numero delle rate il cui mancato pagamento determina la decadenza dal beneficio della rateazione, di maggior favore per il contribuente, fosse applicabile anche ai piani di rateizzazione già in essere alla data di entrata in vigore del “Decreto Fare”, ossia alla data del 22 giugno 2013.

Nota Equitalia 1° luglio 2013 –
 Sulla questione era intervenuta Equitalia con la Nota del 1° luglio 2013.
Nel richiamato documento, Equitalia estendeva, compatibilmente con la ratio della norma, l’innalzamento (da due a otto) del numero delle rate il cui mancato pagamento determina la decadenza dal beneficio della rateazione ai piani di rateizzazione, non decaduti, già in essere alla data di entrata in vigore del “Decreto Fare”, ossia alla data del 22 giugno 2013, auspicando che la stessa fosse estesa anche in presenza di decadenza del beneficio intervenuta a tale data.

R.M. 32/E/2014 – Con la Risoluzione 32/E del 19.03.2014, l’Amministrazione Finanziaria estende l’innalzamento, da due a otto, del numero di rate, che fa perdere il beneficio della rateazione anche ai piani di rateizzazione pendenti – dunque non decaduti – alla data di entrata in vigore del “decreto del fare” ovvero alla data del 22 giugno 2013 (D.L. 69/2013, conv. con mod. L. 98/2013).

Le motivazioni sottostanti una tale interpretazione, favorevole al contribuente, sono individuabili nella ratio di altre disposizione presenti del Decreto del Fare sulla stessa materia.

Infatti, il citato Decreto Fare, con riferimento alla disciplina della rateazione delle somme iscritte a ruolo, ha previsto che, ove il debitore si trovi, per ragioni estranee alla propria responsabilità, in una comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica, la rateazione può essere aumentata fino a centoventi rate mensili. Anche tale disposizione risultava applicabile ai piani di rateazione già accordati alla data di entrata in vigore della modifica normativa.

In sostanza, l’Agenzia delle Entrate estende l’innalzamento, da due a otto, del numero di rate, che fa perdere il beneficio della rateazione anche ai piani di rateizzazione pendenti, non decaduti, applicando il medesimo principio espresso dal Legislatore sul piano di rateazione straordinario previsto dal “decreto del fare” a favore del contribuente che si trovi “per ragioni estranee alla propria responsabilità, in una comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica”.

Autore: Redazione Fiscal Focus