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REGIME FORFETTARIO E RETTIFICA DELLA DETRAZIONE IVA

Con il passaggio dal regime IVA ordinario al regime forfettario, scatta la rettifica della detrazione IVA di cui all’art. 19 bis-2 DPR 633/72.
In particolare, il comma 3 della norma succitata così recita:
“Se mutamenti nel regime fiscale delle operazioni attive, nel regime di detrazione dell’imposta sugli acquisti o nell’attività comportano la detrazione dell’imposta in misura diversa da quella già operata, la rettifica è eseguita limitatamente ai beni e ai servizi non ancora ceduti o non ancora utilizzati e, per i beni ammortizzabili, è eseguita se non sono trascorsi quattro anni da quello della loro entrata in funzione.”
Dunque, il passaggio dal regime iva ordinario al regime forfettario, comporta la rettifica dell’iva già detratta sui “beni e servizi” non ancora “ceduti” e/o “utilizzati” e sui “beni ammortizzabili”.
La rettifica dell’IVA inizialmente detratta va operata considerando che:

  • le disposizioni di cui all’art. 19 bis-2 DPR 633/72, relative ai beni ammortizzabili, devono intendersi riferite anche ai beni immateriali di cui all’articolo 68 del TUIR;
  • per i beni ammortizzabili materiali ed immateriali la rettifica va eseguita solo se non sono ancora trascorsi cinque anni dalla loro entrata in funzione. Limitatamente alla norma in esame non si considerano ammortizzabili i beni di costo unitario non superiore a 516,46 €, ne’ quelli il cui coefficiente di ammortamento stabilito ai fini delle imposte sul reddito è superiore al 25%;
  • agli effetti del presente articolo i fabbricati o porzioni di fabbricati sono comunque considerati beni ammortizzabili ed il periodo di rettifica è stabilito in dieci anni, decorrenti da quello di acquisto o di ultimazione;
  • fra i beni non ancora ceduti o non ancora utilizzati rientra certamente il valore delle rimanenze finali ed i contratti di leasing in essere. Riguardo al valore delle rimanenze finali, l’IVA va rettificata integralmente, mentre nel caso dei contratti di leasing, la rettifica dell’iva, originariamente assolta con il maxi canone iniziale, va effettuata proporzionalmente al tempo che residua alla conclusione del contratto;

Le rettifiche delle detrazioni iva andranno effettuate nella Dichiarazione annuale IVA relativa all’anno in cui si verificano gli eventi che le determinano, sulla base delle risultanze delle scritture contabili obbligatorie.
Pertanto, l’ex contribuente ordinario nell’ultima Dichiarazione Iva, che nel nostro caso corrisponderà alla Dichiarazione Iva 2016 per l’anno 2015, al rigo VA14 dovrà barrare la casella 1, al fine di indicare che trattasi dell’ultimo anno (il 2015) in cui verranno applicate le regole ordinarie in materia di iva.
Sulla scorta dell’art. 19 bis-2 DP.R. 633/72 dovrà quindi procedere alla rettifica della detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti, riportando nel rigo VF56 il valore complessivo delle rettifiche iva operate.
L’IVA eventualmente da versare corrisponderà:

  • al 100% dell’IVA detratta per le rimanenze finali e i servizi non ancora utilizzati;
  • ai quinti residui per i beni strumentali;
  • ai decimi rimanenti per i beni immobili.

L’IVA dovuta a seguito della rettifica confluirà all’interno della dichiarazione IVA e concorrerà alla determinazione dell’importo a debito/credito risultante dalla dichiarazione annuale.
Relativamente all’IVA dovuta a seguito di rettifica della detrazione a sfavore, a differenza del regime dei minimi, l’imposta non dovrà essere più versata autonomamente: l’importo indicato al rigo VF56 confluirà infatti nel rigo VL, all’interno dell’imposta complessiva a debito o a credito, e l’eventuale debito dovrà essere versato in un’unica soluzione con il codice tributo 6099 anno di riferimento 2015.
L’eventuale credito iva, che emergerà dall’ultimo anno in cui l’iva è applicata nei modi ordinari, potrà essere chiesto a rimborso oppure compensato con il modello F24.
La rettifica alla detrazione iva vale anche in senso opposto, ossia nel caso di passaggio dal regime forfettario al regime ordinario (per opzione o per obbligo). In tal caso l’iva non detratta diviene detraibile. Quindi i contribuenti non più forfettari devono determinare l’Iva assolta sulle merci in rimanenza, sui beni strumentali di importo superiore a 516,46 euro o con percentuale di ammortamento inferiori al 25% e sui servizi non utilizzati.
Infine, con il passaggio dal regime iva ordinario al regime forfettario, può esserci il caso dell’esigibilità differita dell’iva o dell’iva in sospensione per via dell’adozione da parte del contribuente del meccanismo della liquidazione dell’iva “per cassa”. Anche in tal caso va data notizia nella prima Dichiarazione Iva Annuale utile e potrebbe emergere un debito che andrà versato con le modalità su esposte.

AUTORE: MASSIMILIANO BELLINI

INTERVENTI DI EFFICIENTAMENTO ENERGETICO: DETRAZIONE DELLE SPESE

L’agevolazione è confermata anche per il 2016

L’art. 14 del D.L. 14 giugno 2013 n° 63, ai fini di un miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici esistenti, ha previsto una detrazione del 65% delle spese sostenute con riferimento a :
  • miglioramento termico dell’edificio (coibentazioni – pavimenti – finestre, comprensive di infissi);
  • installazione di pannelli solari;
  • sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale.

Dal 1 gennaio 2017 il beneficio sarà del 36%, cioè quello ordinariamente previsto per i lavori di ristrutturazione edilizia.
Soggetti beneficiari– Rientrano tra i soggetti che possono richiedere l’agevolazione: le persone fisiche, comprese gli esercenti arti e professioni; i contribuenti che conseguono reddito d’impresa; le associazioni tra professionisti; gli enti pubblici e privati che non svolgono attività commerciale purché siano soggetti al pagamento dell’Ires (dunque non i Comuni ad esempio). Possono fruire dell’agevolazione anche i titolari di un diritto reale sull’immobile; i condomini, per gli interventi sulle parti comuni condominiali; gli inquilini; i familiari del possessore. Dal 1° gennaio 2016 sono ammessi anche gli Istituti autonomi per le case popolari.
Immobili interessati – Gli interventi devono essere eseguiti su unità immobiliari e su edifici (o su parti di edifici) esistenti, di qualunque categoria catastale, anche se rurali, compresi quelli strumentali (per l’attività d’impresa o professionale). Non sono agevolabili, quindi, le spese effettuate in corso di costruzione.
La Legge di stabilità 2016 al comma 74 ( Legge n° 208 del 28 dicembre 2015) ha confermato la detrazione anche per il 2016 e al comma 88 ammette all’agevolazione anche le spese per l’acquisto, l’installazione e la messa in opera di dispositivi multimediali per il controllo da remoto degli impianti di riscaldamento o produzione di acqua calda o di climatizzazione delle unita’ abitative, volti ad aumentare la consapevolezza dei consumi energetici da parte degli utenti e a garantire un funzionamento efficiente degli impianti. Questi dispositivi devono mostrare attraverso canali multimediali i consumi energetici, mediante la fornitura periodica dei dati, le condizioni di funzionamento correnti e la temperatura di regolazione degli impianti e consentire l’accensione, lo spegnimento e la programmazione settimanale degli impianti da remoto.
In particolare le spese agevolabili fanno riferimento a :

  • interventi di riqualificazione energetica di edifici esistenti, che ottengono un valore limite di fabbisogno di energia primaria annuo per la climatizzazione invernale inferiore di almeno il 20% rispetto ai valori riportati in un’apposita tabella (i parametri cui far riferimento sono quelli definiti con decreto del ministro dello Sviluppo economico dell’11 marzo 2008, così come modificato dal decreto 26 gennaio 2010). Il valore massimo della detrazione è pari a 100.000 euro
  • interventi su edifici esistenti, parti di edifici esistenti o unità immobiliari, riguardanti strutture opache verticali, strutture opache orizzontali (coperture e pavimenti), finestre comprensive di infissi, fino a un valore massimo della detrazione di 60.000 euro. La condizione per fruire dell’agevolazione è che siano rispettati i requisiti di trasmittanza termica U, espressa in W/m2K, in un’apposita tabella (i valori di trasmittanza, validi dal 2008, sono stati definiti con il decreto del ministro dello Sviluppo economico dell’11 marzo 2008, così come modificato dal decreto 26 gennaio 2010). In questo gruppo rientra anche la sostituzione dei portoni d’ingresso, a condizione che si tratti di serramenti che delimitano l’involucro riscaldato dell’edificio verso l’esterno o verso locali non riscaldati e risultino rispettati gli indici di trasmittanza termica richiesti per la sostituzione delle finestre
  • l’installazione di pannelli solari per la produzione di acqua calda per usi domestici o industriali e per la copertura del fabbisogno di acqua calda in piscine, strutture sportive, case di ricovero e cura, istituti scolastici e università. Il valore massimo della detrazione è di 60.000 euro
  • interventi di sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di caldaie a condensazione e contestuale messa a punto del sistema di distribuzione. La detrazione spetta fino a un valore massimo di 30.000 euro;
  • sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con pompe di calore ad alta efficienza e con impianti geotermici a bassa entalpia, con un limite massimo della detrazione pari a 30.000 euro;
  • interventi di sostituzione di scaldacqua tradizionali con scaldacqua a pompa di calore dedicati alla produzione di acqua calda sanitaria, con un limite massimo della detrazione pari a 30.000 euro.
  • Non è agevolabile, invece, l’installazione di sistemi di climatizzazione invernale in edifici che ne erano sprovvisti.

La detrazione del 65% si applica anche alle spese documentate e rimaste a carico del contribuente:

  • per interventi relativi a parti comuni degli edifici condominiali o che interessino tutte le unità immobiliari di cui si compone il singolo condominio, sostenute dal 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2016;
  • per l’acquisto e la posa in opera delle schermature solari di cui all’allegato M al Dlgs 311/2006, sostenute dal 1 gennaio al 31 dicembre 2016, fino a un valore massimo della detrazione di 60.000 euro;
  • per l’acquisto e la posa in opera di impianti di climatizzazione invernale dotati di generatori di calore alimentati da biomasse combustibili, sostenute dal 1 gennaio 2015 al 31 dicembre 2016, fino a un valore massimo della detrazione di 30.000 euro.

Altra novità prevista dalla Legge 208 del 28 dicembre 2015 (Legge di stabilità 2016) è la possibilità per gli interventi su parti comuni dei condomini di cedere l’ecobonus alle aziende che fanno i lavori in cambio di uno sconto. In questo modo si permette anche agli inquilini incapienti di sfruttare le detrazioni. Le modalità operative della cessione dovranno essere chiarite dall’Agenzia delle Entrate, con un provvedimento da emanarsi entro il 1° marzo 2016, probabilmente il credito si potrà cedere non solo alle imprese ma anche ai professionisti tecnici.
La detrazione deve essere ripartita in dieci rate annuali di pari importo, non è cumulabile – per i medesimi interventi con la detrazione del 50% per le ristrutturazioni o con altri incentivi come il conto termico (cui hanno diritto, in alternativa alla detrazione, pannelli solari termici e pompe di calore).

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

TELEFISCO 2016: QUADRO RW E IVAFE

Nel corso di Telefisco 2016 l’Amministrazione Finanziaria ha chiarito come deve essere compilato il quadro RW e come si calcolano le sanzioni in presenza di un dossier titoli intrattenuto dal contribuente con un intermediario estero.

I casi prospettati all’Amministrazione Finanziaria sono stati i seguenti.

Un contribuente deteneva un dossier titoli al 1° gennaio del 2015 il cui valore complessivo era 1.000.000 euro al 1° gennaio 2015 e di 1.100.000,00 al 31 dicembre 2015. Il questo caso il capitale iniziale è sempre stato investito in un solo titolo che si è rivalutato.

Nella fattispecie prospettata il contribuente compilerà un solo rigo del quadro RW, indicando come valore inziale 1.000.000 e come valore finale 1.100.000 e come giorni di possesso 365.

Nelle ipotesi di omessa compilazione del modello RW, la sanzione è determinata applicando la percentuale prevista dall’art. 5, Dl 167/90 al valore al termine del periodo di detenzione, rappresentato dall’intero anno, pari a euro 1.100.000.

CASO 2 – Un contribuente deteneva un dossier titoli al 1° gennaio del 2015 il cui valore complessivo era 1.000.000 euro, che è stato investito e reinvestito più volte nel corso dell’anno con i seguenti valori rispettivamente iniziali e finali con questo stesso ordine:

  • Valore iniziale, 1.000.000, valore finale, 1.015.323; giorni, 31.
  • Valore iniziale, 1.015.323; valore finale, 1.030.647; 28 giorni.
  • Valore iniziale, 1.030.647, valore finale, 1.045.970, giorni 31;
  • Valore iniziale, 1.045.970, valore finale, 1.061.293, giorni 30;
  • Valore iniziale, 1.061.293, valore finale, 1.076.616, giorni 31;
  • Valore iniziale, 1.076.616, valore finale, 1.091.940, giorni 30;
  • Valore iniziale, 1.091.940, valore finale, 1.107.263, giorni 31;
  • Valore iniziale, 1.107.263, valore finale, 1.122.586, giorni 31;
  • Valore iniziale, 1.122.586, valore finale, 1.137.909, giorni 30;
  • Valore iniziale, 1.137.909, valore finale, 1.153.233, giorni 31;
  • Valore iniziale, 1.153.233, valore finale, 1.168.556, giorni 30;
  • Valore iniziale, 1.168.556, valore finale, 1.183.879, giorni 31.

Il tale caso il calcolo della sanzione deve avvenire moltiplicando ciascun importo valore finale per i relativi giorni di possesso. La somma dei valori così determinati deve essere divisa per 365.

A titolo esemplificativo, la sanzione per l’omessa dichiarazione del titolo ceduto nel mese di gennaio sarà pari al 3% (6%) di (1.015.323*31)/365 e cosi via. La somma delle sanzioni riferibili a ciascun periodo di detenzione determinerà la sanzione complessiva dovuta per le violazioni della normativa sul monitoraggio fiscale.

Questo è un importante chiarimento. Infatti la sanzione dal 3 al 15 per cento (o dal 6 al 30 percento in caso di detenzione degli investimenti in Stati non collaborativi) si applica sulla media ponderata delle giacenze in luogo della somma degli investimenti indicati in colonna 8 (valore finale) che nel caso di specie sarebbe stata pari ad euro 13.195.214.

Viene altresì chiarito che dal punto di vista della temporalità delle operazioni di investimento e disinvestimento rientranti all’interno di un unitario rapporto finanziario, l’individuazione del termine si riferisce al rapporto finanziario nel suo complesso. Pertanto, gli adempimenti dichiarativi previsti dovranno prevedere l’indicazione del valore iniziale e del valore finale di detenzione della relazione finanziaria, non rilevando le eventuali singole variazioni della composizione di quest’ultima.

In termini pratici questo significa che in caso di possesso di un dossier titoli con valore iniziale 2.000.000,00 di euro e valore finale 3.000.000,00 di euro, estinto a novembre 2015, visto che le operazioni di investimento e disinvestimento rientrano all’interno di un unitario rapporto finanziario si dovrà compilare un solo rigo della dichiarazione, indicando come valore finale 3.000.000,00 di euro.

Altro chiarimento sul quadro RW riguarda il soggetto delegato. SU tale aspetto viene chiarito, compatibilmente con le indicazioni fornite nella C.M. 28/E/2012, che l’Ivafe è dovuta dalle persone fisiche residenti che detengono all’estero attività finanziarie a titolo di proprietà o di altro diritto reale, indipendentemente dalle modalità della loro acquisizione e, quindi, anche se pervengono da eredità o donazioni.
Pertanto, i soggetti delegati su un conto estero, comunque obbligati alla compilazione del modulo RW, non sono tenuti al versamento dell’Ivafe.

AUTORE: GIOACCHINO DE PASQUALE

 

 

ELIMINATA L’IMU SUGLI IMBULLONATI

Con la circolare n. 2 le Entrate dettano le istruzioni

Premessa – Escono dal calcolo della rendita catastale i macchinari, i congegni, le attrezzature ed altri impianti funzionali ad uno specifico processo produttivo, ovvero i cosiddetti “imbullonati”. È questa l’innovazione che la Legge di Stabilità 2016 ha introdotto in tema di determinazione della rendita catastale dei fabbricati di categoria D ed E, ovvero le unità immobiliari urbane a destinazione speciale e particolare.

Circolare n. 2/E/2016 – Dal 1° gennaio 2016, come chiarisce la circolare 2/E di ieri, nel processo estimativo, per esempio, di industrie, centrali o stazioni elettriche, non saranno più inclusi le turbine, gli aerogeneratori, i grandi trasformatori, gli altiforni, così come tutti gli impianti che costituiscono le linee produttive presenti nell’unità immobiliare, indipendentemente dalle loro tipologia, rilevanza dimensionale o modalità di connessione. Del pari, sono esclusi dalla stima i pannelli fotovoltaici, ad eccezione di quelli integrati sui tetti e nelle pareti della struttura che non possono essere smontati senza rendere inutilizzabile la copertura o la parete cui sono connessi.

Aggiornamento – Per le unità già censite è possibile presentare atti di aggiornamento, non connessi alla realizzazione di interventi edilizi sul bene, solo per rideterminare la rendita catastale, escludendo dalla stessa eventuali componenti impiantistiche che, secondo i nuovi criteri, non sono più oggetto di stima diretta.

Modalità per il calcolo della rendita catastale – In pratica, d’ora in avanti, per gli immobili a destinazione speciale e particolare, la stima diretta si effettuerà tenendo conto del suolo, delle costruzioni e degli elementi strutturalmente connessi (come impianti elettrici e di areazione, ma anche ascensori, montacarichi, scale mobili), senza più considerare i macchinari, i congegni, le attrezzature e gli altri impianti funzionali al processo produttivo, che non conferiscono all’immobile un’utilità apprezzabile anche in caso di modifica dell’attività al suo interno. Con la nuova norma vengono quindi meno le criticità interpretative talora riscontrate nel processo tecnico-estimativo di determinazione della rendita dei fabbricati produttivi, grazie alla definizione univoca delle tipologie di macchinari e impianti escluse dalla stima diretta.

Aggiornamento scatta entro il 15 giugno – La circolare specifica che la nuova disposizione non ha valore di interpretazione autentica ed esplica, pertanto, i suoi effetti solo a decorrere dal 1° gennaio 2016. È però possibile presentare atti di aggiornamento catastale per escludere eventuali componenti impiantistiche che, secondo i nuovi criteri, non fanno più parte della stima diretta. Se la dichiarazione di variazione viene presentata correttamente in catasto entro il 15 giugno 2016, la nuova rendita catastale avrà valore fiscale fin dal 1° gennaio 2016 per il calcolo dell’imposta municipale propria.

Online la nuova versione Docfa – Da ieri viene resa disponibile sul sito internet dell’Agenzia la nuova versione 4.00.3 della procedura Docfa, con le relative istruzioni operative, seguendo il percorso Home > Cosa devi fare > Aggiornare dati catastali e ipotecari > Aggiornamento Catasto fabbricati – Docfa. La nuova versione deve essere obbligatoriamente utilizzata, a partire dal 1° febbraio 2016, per gli atti di aggiornamento del Catasto Edilizio Urbano finalizzati alla rideterminazione della rendita catastale per scorporo degli impianti. Per tutte le altre dichiarazioni, in via transitoria, è consentito utilizzare anche la versione precedente (4.00.2) del software Docfa, fino alla fine del mese di marzo 2016.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

TELEFISCO 2016 – AGEVOLAZIONE PRIMA CASA: I CHIARIMENTI

Nel corso di Telefisco 2016 è stata affrontata la recente novità legislativa introdotta con la Legge di Stabilità 2016 concernente l’ottenimentodell’agevolazione prima casa. Con la Legge di Stabilità 2016 si è ampliata la possibilità di fruire dell’agevolazione in questione, prevedendo che si possa ottenere l’aliquota ridotta anche nel caso in cui l’acquirente detenga un immobile acquisto con l’agevolazione prima casa a patto che si provveda alla sua cessione entro un anno dalla data di stipula dell’atto con il quale viene acquistato il “nuovo” immobile.

I requisiti prima casa ante e post Legge di Stabilità 2016 – Per usufruire dell’agevolazione prima casa, devono essere rispettati i seguenti requisiti:

  • non deve trattarsi di immobile di lusso;
  • devono essere soddisfatti i requisiti di cui alla nota II-bis) all’articolo 1, della tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. 131/1986.

Tali ultimi requisiti sono:

  1. Immobile ubicato nelterritoriodelcomuneincui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquistolapropria residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirentesvolgelapropria attività ovvero, se trasferito all’estero per ragioni di lavoro, inquello in cui ha sede o esercita l’attività il soggetto da cui dipende ovvero, nel caso in cui l’acquirente sia cittadino italianoemigratoall’estero,che l’immobile sia acquisito come prima casa sul territorioitaliano.La dichiarazione di voler stabilire la residenza nel comune ove è ubicato l’immobile acquistatodeveessereresa,apenadidecadenza, dall’acquirente nell’atto di acquisto;
  2. Nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare;
  3. L’acquirente non deve essere titolare di un’altra abitazione, ovunque ubicata, che sia stata acquistata con l’agevolazione prima casa;
  4. L’agevolazione è subordinata al fatto che la casa acquistata con il beneficio fiscale non sia ceduta per almeno un quinquennio oppure che, se ceduta prima del decorso del quinquennio, entro un anno sia acquista altra prima casa.

Come si evince dall’elencazione riportata, la lettera b) preclude l’agevolazione prima casa se si è titolare del diritto di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare, mentre la lettera c) preclude l’agevolazione prima casa nel caso di possesso di altro immobile acquisto con l’abitazione prima casa in tutto il territorio nazionale.

La Legge di Stabilità 2016 introduce un nuovo punto 4-bis, alla nota II bis, dell’art. 1, della parte prima della Tariffa allegata al D.P.R.131/1986, la quale prevede che ove l’acquirente detenga un immobile acquisto con l’abitazione prima casa per fruire dell’agevolazione deve provvedere alla sua cessione entro un anno dalla data di stipula dell’atto con il quale viene acquistato il “nuovo” immobile.

I chiarimenti di Telefisco 2016 – Non era chiaro se l’estensione dell’agevolazione prima casa riguardasse soltanto gli atti soggetti a imposta proporzionale di registro o anche gli atti soggetti ad IVA. Su tale questione l’Amministrazione Finanziaria ha chiarito che le novità inserite nel corpo della disciplina prima casa, nell’ambito della Nota II-bis richiamata si applicano anche nell’ipotesi in cui il nuovo acquisto sia imponibile Iva.
La modifica delle condizioni stabilite dalla Nota II-bis esplica, quindi effetti anche ai fini dell’applicazione dell’aliquota agevolata Iva del 4 per cento.

E’ stato altresì chiarito che la modifica delle condizioni stabilite dalla Nota II-bis esplica, effetti anche ai fini dell’applicazione delle agevolazioni “prima casa” in sede di successione o donazione.
Resta inteso che, nell’atto di donazione o nella dichiarazione di successione con cui si acquista il nuovo immobile in regime agevolato, dovrà risultare l’impegno a trasferire entro un anno l’immobile preposseduto.

E’ stato infine chiarito che per gli atti conclusi prima del 31.12.2015 non può essere richiesto il rimborso delle eventuali maggiori imposte versate rispetto a quelle che sarebbero state dovute in applicazione delle nuove disposizioni né spetta un credito d’imposta.

Il credito d’imposta per il riacquisto della prima casa – Altra questione sulla quale l’Amministrazione Finanziaria ha offerto dei chiarimenti riguarda il credito d’imposta per il riacquisto della prima casa.

L’articolo 7, commi 1 e 2, della Legge 23 dicembre 1998, n. 448 stabilisce l’attribuzione di un credito d’imposta a favore dei contribuenti che, entro un anno dalla vendita dell’immobile, acquistato con i benefici ‘prima casa’, provvedano ad acquisire un’altra casa di abitazione, per la quale ricorrono le condizioni di cui alla nota II bis all’articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al Testo unico dell’imposta di registro, approvato con il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (TUR).

Alla luce delle modifiche introdotte alle agevolazioni “prima casa”, il dubbio era se si potesse fruire di detto credito d’imposta nel caso in cui il contribuente effettui il nuovo acquisto prima di vendere la casa preposseduta.

A parere dell’Amministrazione Finanziaria, alla luce delle modifiche che hanno interessato la normativa in materia di “prima casa” deve ritenersi che il credito di imposta in questione spetti al contribuente anche nell’ipotesi in cui proceda all’acquisto della nuova abitazione prima della vendita dell’immobile preposseduto. Una diversa interpretazione – afferma l’Agenzia – non risulterebbe, infatti, coerente con la ratio della riforma che ha inteso agevolare la sostituzione della “prima casa”, introducendo una maggiore flessibilità nei tempi previsti per la dismissione dell’immobile preposseduto.
All’atto di acquisto del nuovo immobile con le agevolazioni ‘prima casa’ il contribuente potrà, quindi, fruire del credito di imposta per l’imposta dovuta in relazione al nuovo acquisto nel limite, in ogni caso, dell’imposta di registro o dell’imposta sul valore aggiunto corrisposte in occasione dell’acquisizione dell’immobile preposseduto.

AUTORE: GIOACCHINO DE PASQUALE

TELEFISCO 2016 – STOP AGLI STUDI DI SETTORE PER CHI CESSA L’ATTIVITÀ

Premessa – Non saranno più necessari sia i modelli Ine sia quelli di comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore per i contribuenti che hanno cessato l’attività nel corso del periodo d’imposta o che si trovano in liquidazione ordinaria. Questo perché l’obiettivo di rilevare la presenza di ricavi o compensi non dichiarati, o di rapporti di lavoro irregolare, potrà essere comunque raggiunto con l’integrazione e l’analisi delle diverse banche dati, a cui accede l’Agenzia delle Entrate.

Modelli studi di settore – In anticipo di quattro mesi rispetto allo scorso anno, arrivano sul sito dell’Agenzia, dopo la fase di test, i 204 modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, da utilizzare per la dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta 2015. Con il provvedimento di approvazione del 29 gennaio sono definite, inoltre, le caratteristiche tecniche di stampa. I modelli, in particolare, riguardano: 51 studi relativi ad attività economiche del settore delle manifatture; 60 studi relativi ad attività economiche del settore dei servizi; 24 studi relativi ad attività professionali; 69 studi relativi ad attività economiche del settore del commercio. I contribuenti che nel periodo d’imposta 2015 hanno esercitato le attività “altre creazioni artistiche e letterarie” (codice 90.03.09) e “fabbricazione di bigiotteria e articoli simili n.c.a.” (codice 32.13.09), devono compilare i relativi modelli, VK28U e WD33U, per la sola acquisizione di dati.

Cessazione attività – La novità più importante è data dall’eliminazione dell’obbligo di presentare i modelli Ine (Indicatori di normalità economica) e il modello di comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore per i contribuenti che hanno cessato l’attività nel corso del periodo d’imposta o che si trovano in liquidazione ordinaria. Con riferimento all’anno d’imposta 2015, questi due adempimenti, infatti, risultano non più necessari poiché eventuali ricavi/compensi non dichiarati o rapporti di lavoro irregolare potranno essere efficacemente rilevati attraverso l’integrazione e l’analisi delle diverse banche dati a disposizione dell’Agenzia delle Entrate.

Super ammortamento – I modelli risultano inoltre aggiornati con le informazioni relative ai correttivi, individuate sulla base della metodologia presentata alla Commissione degli esperti lo scorso 2 dicembre e con le informazioni necessarie per gestire i “super-ammortamenti” introdotti dalla Stabilità 2016 (Legge 208/2015). In particolare sono stati introdotti nei righi F18 e F20 del modello imprese e nei righi G11 e G12 del modello per i professionisti i campi destinati a ospitare la quota parte degli ammortamenti imputabili al maggior costo ammortizzabile (40%) dei beni strumentali nuovi acquistati a partire dal 15 ottobre scorso.

Altre novità – Gli stessi quadri tengono inoltre conto dell’applicazione del regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità. Struttura semplificata, inoltre, per il quadro “F”: per gli studi evoluti per il periodo d’imposta 2015 è stato infatti accorpato il contenuto dei righi F14 e F15, come già fatto per gli studi evoluti per l’anno 2014, mentre nel quadro “X” è possibile rettificare il peso di alcune variabili.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

 

I FORFETTARI E “L’AUTOCONSUMO”

Fra i vari requisiti richiesti dall’art. 1 commi 54-89 Legge 190/2014 (c.d. Legge di Stabilità 2015) e successive modifiche apportate dalla Legge di Stabilità 2016, uno dei casi più critici riguarda la valutazione dei ricavi e/o compensi rilevati nel periodo di imposta precedente.
In particolare, occorre valutare se nel periodo di imposta 2015 il contribuente, corrispondentemente al proprio codice Atecofin, ha superato o meno la soglia massima dei ricavi previsti come tetto massimo.
La verifica dei requisiti di accesso di cui al comma 54 va effettuata avuto riguardo all’anno precedente quello di riferimento.
Pertanto con riferimento al 2016, le condizioni di accesso vanno verificate nel 2015 e, analogamente al regime dei minimi, andranno successivamente verificate anno per anno.
Fra i vari aspetti da considerare nel determinare i ricavi e compensi rilevati nel periodo di imposta 2015, va valutato il valore normale dei beni destinati al consumo personale o familiare del contribuente.
La Legge 190/2014, che ha introdotto nel nostro ordinamento il regime forfettario, nulla dispone in merito alla destinazione dei beni al consumo personale o familiare dell’esercente attività d’impresa, arte o professione.
Per analizzare la questione, occorre fare riferimento alla Circolare A.E. del 28 gennaio 2008, n.7/E, la quale ha fornito gli ulteriori chiarimenti in merito al funzionamento del regime fiscale dei contribuenti minimi. In particolare al punto 6.6 (autoconsumo) della succitata Circolare, l’Agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti in merito al quesito seguente:
“Si richiedono chiarimenti in merito al trattamento da riservare alle operazioni di destinazione al consumo personale o familiare di beni dell’impresa che potrebbero avvenire in costanza di applicazione del regime dei minimi.”
Risposta
Ai fini dell’imposta sul valore aggiunto le operazioni di destinazione al consumo personale o familiare di beni dell’impresa, che ordinariamente ai sensi dell’articolo 2, secondo comma, n. 5, del d.P.R. n. 633 del 1972, costituiscono operazioni rilevanti agli effetti del tributo qualora la relativa imposta assolta all’atto dell’acquisto sia stata detratta, nell’ambito del regime dei minimi sono effettuate senza applicazione dell’Iva, in conformità al disposto del comma 100, secondo cui i contribuenti minimi non addebitano l’imposta sul valore aggiunto a titolo di rivalsa.
Per converso, ai fini della determinazione del reddito, l’autoconsumo da parte di un soggetto che applica il regime dei contribuenti minimi trova disciplina nell’articolo 4 del decreto ministeriale del 2 gennaio 2008, secondo cui ai fini della determinazione della base imponibile “si applicano le disposizioni di cui agli articoli 54, comma 1-bis, lettera c), 57 e 58, comma 3, del citato testo unico, concernenti la destinazione dei beni al consumo personale o familiare dell’imprenditore o dell’esercente l’arte o la professione.”
L’Agenzia delle Entrate, nelle conclusioni al quesito, ha ribadito che “i ricavi e le plusvalenze relativi a beni destinati al consumo personale o familiare dell’esercente impresa, arte o professione concorreranno come componenti positive del reddito imponibile dei contribuenti minimi, anche se per tale destinazione non risultano percepiti ricavi o compensi”.
Per analogia, così come nel caso dei contribuenti minimi, occorre rifugiarsi nell’art. 4 del Decreto Ministeriale del 02 Gennaio 2008, in base al quale ai fini della determinazione della base imponibile assumono rilievo i contenuti di cui al Testo Unico delle imposte sui redditi art. 54, comma 1, lettera c) e articoli 57 e 58, comma 3.
Il contribuente che destina beni o servizi al consumo personale o dei suoi familiari, dovrà sommare il valore normale di tali beni o servizi, determinato in base all’art. 9 T.U.I.R, ai ricavi e compensi complessivamente conseguiti nel periodo di imposta.
Pertanto, l’autoconsumo rileva indipendentemente dalla percezione di un corrispettivo e va preso in considerazione ai fini della determinazione dei ricavi complessivi originati in un periodo di imposta, da confrontarsi con la soglia massima di ricavi prevista per quel determinato contribuente corrispondentemente al codice Atecofin che identifica l’attività esercitata.
Si può concludere che, in deroga al principio di cassa allargato, concorrono a formare il reddito anche i ricavi relativi ai beni destinati al consumo personale o familiare dell’esercente impresa arte o professione, ancorché sia assente la manifestazione finanziaria.
AUTORE: MASSIMILIANO BELLINI

 

COMUNICAZIONE ANNUALE DATI IVA: CONTABILITÀ SEPARATE

I soggetti che nel corso del 2015 hanno svolto più attività e che, per obbligo o per opzione, hanno adottato la contabilità separata ai sensi dell’art. 36, D.P.R. 633/1972 devono presentare un’unica Comunicazione, riportando i dati relativi a tutte le attività esercitate.

Se per una delle attività è previsto l’esonero dalla presentazione della Dichiarazione IVA annuale e, conseguentemente, della Comunicazione IVA,nella stessa vanno esposti soltanto i dati delle attività per le quali vige l’obbligo di presentazione del modello.

Compilazione Comunicazione – Innanzitutto è da sottolineare che l’esercizio di due attività separate nell’anno cui si riferisce la comunicazione verrà evidenziato barrando l’apposita casella “Contabilità separata” presente nella Sezioni I “Dati Generali”.

Inoltre, per quanto riguarda il codice di attività, in caso di svolgimento di più attività, andrà indicato il codice dell’attività prevalente, che ha realizzato un maggior volume d’affari nel periodo d’imposta.

Persone fisiche e limite volume d’affari – Un tema di particolare interesse per le persone fisiche che svolgono più attività gestite in contabilità separata, riguarda l’obbligo o l’esonero dalla presentazione della Comunicazione annuale dati IVA.

Si ricorda, infatti, che tra i soggettiesonerati dalla presentazione della Comunicazione annuale dati IVA vi rientrano le persone fisiche che hanno realizzato nel 2015 un volume d’affari inferiore o uguale ad € 25.000 ancorché tenuti a presentare la dichiarazione annuale.

Sul tema, le istruzioni alla compilazione della comunicazione annuale Iva, precisano che “ai fini della determinazione del volume d’affari realizzato nell’anno in cui la comunicazione dati si riferisce, il contribuente, come precisato con circolare n. 113 del 31 maggio 2000, deve fare riferimento al volume d’affari complessivo relativo a tutte le attività esercitate ancorché gestite con contabilità separate, comprendendo nel calcolo anche l’ammontare complessivo delle operazioni effettuate, registrate o soggette a registrazione nell’ambito dell’attività per la quale è previsto l’esonero dalla dichiarazione annuale Iva e, conseguentemente, dalla comunicazione dati“.

Di conseguenza, per stabilire se il soggetto è obbligato o meno alla presentazione della Comunicazione annuale dati IVA, dovrà far riferimento al volume d’affari complessivo.

Nel caso in cui una delle attività non superi il suddetto limite, inoltre, poiché entrambe le attività sono considerate nel computo del limite di euro 25.000, nella comunicazioneIva deve essere ricompresa la sommatoria delle risultanze contabili di entrambe le attività.

Produttori agricoli in regime di esonero – Un caso particolare è rappresentato dal produttore agricolo in regime di esonero che svolge anche attività commerciali.

In base all’art. 34, co. 6, D.P.R. 633/1972, tali soggetti se nell’anno solare precedente hanno realizzato o, in caso di inizio di attività prevedono di realizzare, un volume d’affari non superiore a 7.000 euro, costituito per almeno due terzi da cessioni di prodotti agricoli e ittici, sono esonerati dal versamento dell’imposta e da tutti gli obblighi documentali e contabili, (compresa la comunicazione annuale), fermo restando l’obbligo di numerare e conservare le fatture e le bollette doganali.

Da tenere in debita considerazione che nel caso in cui tali soggetti (persone fisiche) svolgono contemporaneamente anche altre attività commerciali,per stabilire se il soggetto è obbligato o meno alla presentazione della Comunicazione annuale dati IVA si dovrà tener conto del volume d’affari derivante dall’attività agricola anche se inferiore ad euro 7.000,00.

Ad esempio, se un contribuente svolge attività agricola con volume d’affari pari a Euro 5.000,00 e attività commerciale con volume d’affari pari a euro 21.000,00, lo stesso sarà obbligato alla presentazione della Comunicazione annuale dati IVA (volume d’affari superiore ad euro 25.000,00). I dati da inserire nella Comunicazione annuale riguardano però solo l’attività commerciale.

Nel caso di specie, se il volume d’affari è superiore a euro 7.000,00, non solo tale volume d’affari concorrerà alla formazione del volume d’affari per stabilire se il soggetto è obbligato o meno alla presentazione della Comunicazione annuale dati IVA ma anche tali dati dovranno essere inclusi nella Comunicazione annuale.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Modello Unico 2016

Il Modello Unico (di dichiarazione unificato compensativo, da cui l’abbreviazione Uni.Co.) viene utilizzato per presentare più dichiarazioni fiscali di soggetti che percepiscono redditi di terreni e fabbricati, di partecipazione, di lavoro autonomo (occasionale o continuativo), di lavoro dipendente, di impresa e di pensione.

Documentazione

Qui potete trovare i modelli da scaricare e compilare: Unico Persone Fisiche e PF Mini 2014 e Unico 2014 SC (Società di Capitali). In base alla tipologia del contribuente, di distinguono diversi modelli:

  • Unico Persone Fisiche.

Questo modulo va compilato da parte di coloro che devono presentare sia la dichiarazione dei redditi (in alternativa al Modello 730) sia la dichiarazione Iva. In particolare, i soggetti che hanno l’obbligo di consegnare questo modello sono i contribuenti che:

  • nell’anno precedente oggetto di dichiarazione hanno posseduto redditi d’impresa, redditi di lavoro autonomo per i quali è richiesta la partita Iva, redditi diversi non compresi fra quelli dichiarabili con il modello 730;
  • nell’anno precedente e/o in quello di presentazione della dichiarazione non risultano residenti in Italia;
  • nell’anno di presentazione della dichiarazione hanno percepito redditi di lavoro dipendente erogati solo da datori di lavoro non obbligati ad effettuare le ritenute d’acconto;
  • devono presentare anche una delle dichiarazioni IVA, IRAP, Modello 770 ordinario e semplificato;
  • devono presentare la dichiarazione per conto di deceduti;
  • sono lavoratori con contratto a tempo indeterminato, il cui rapporto di lavoro è cessato al momento della presentazione della dichiarazione.

Tutti quei contribuenti che, invece, si trovano in situazioni meno complesse (non hanno cambiato il domicilio fiscale dal 1° novembre dell’anno precedente a quello di presentazione della dichiarazione;  non sono titolari di partita IVA;  hanno percepito uno o più redditi da terreni, fabbricati, lavoro dipendente, attività commerciali;  vogliono fruire di deduzioni e detrazioni  per le spese sostenute; non devono presentare il modulo per conto di altri) possono tranquillamente compilare un modello Unico per Persone Fisiche Mini.

  • Unico Società di Capitali.

Anche questo modello consente di presentare sia la dichiarazione dei redditi che quella IVA. Nello specifico, deve essere presentato da parte dei cosiddetti soggetti IRES, ovvero:

  • le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative, comprese le società cooperative che abbiano acquisito la qualifica di Onlus e le cooperative sociali, le società di mutua assicurazione, nonché le società europee residenti nel territorio dello Stato;
  • gli enti commerciali (enti pubblici e privati e i trust);
  • le società di ogni tipo, tranne le società semplici, le società e le associazioni equiparate e gli enti commerciali non residenti nel territorio.
  • Unico Società di Persone.

Questo ulteriore modulo va compilato da parte di tutti i contribuenti che devono presentare, anche in tal caso, dichiarazione dei redditi e Iva e, più precisamente:

  • le società semplici;
  • le società in nome collettivo e accomandita semplice;
  • le società di armamento;
  • le società di fatto o irregolari;
  • le associazioni prive di personalità giuridica;
  • le aziende coniugali;
  • i gruppi europei di interesse economico.
  • Unico Enti Non Commerciali.

I contribuenti che, in questo ultimo caso, devono presentare Modello 730 e Iva sono quegli enti che si caratterizzano per non avere come oggetto principale lo svolgimento di una attività di natura economica. Ovvero:

  • Soggetti pubblici e privati diversi dalle società;
  • I trust che non hanno per oggetto esclusivo lo svolgimento di attività commerciali;
  • Gli organismi di investimento collettivo del risparmio, esclusi gli organi di amministrazione dello Stato, dei Comuni, delle Province e delle Regioni;
  • Le società e gli enti di qualsiasi tipo, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio italiano.

Istruzioni: che cosa si deve fare

Nella maggior parte dei casi, la presentazione del Modello Unico per tutte le tipologie sin qui viste avviene per via telematica:

  • Diretta, consegnandola personalmente in qualsiasi ufficio o avvalendosi dei servizi online messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate. In questo ultimo caso, il contribuente può scegliere se utilizzare il servizio telematico Fisconline, a meno che non sia tenuto a presentare  il Modello 770 per un numero di soggetti superiore a 20 e al quale si accede tramite un  codice Pin che va preventivamente richiesto all’Agenzia; il servizio Entratel, se è tenuto a presentare il modello 770 in relazione a più di 20 soggetti.
  • Tramite intermediari abilitati (professionisti, associati di categoria, Caf o altri), al quale si può chiedere supporto anche per la compilazione del modello stesso. Questi soggetti sono tenuti a rilasciare una dichiarazione di impegno, datata e sottoscritta e, entro trenta giorni dal termine previsto per la presentazione, l’originale del modello firmato dai contribuenti e la comunicazione di avvenuta ricezione da parte dell’Agenzia delle Entrate.

In alcuni casi particolari, si potrà consegnare il modello anche in formato cartaceo presso un qualunque Ufficio Postale. Si tratta di quei contribuenti che, nel caso dell’Unico per Persone Fisiche, pur possedendo redditi dichiarabili con il 730, non hanno un datore di lavoro, non sono titolari di una pensione, devono presentare la dichiarazione per conto di deceduti, sono privi di sostituti di imposta o semplicemente devono comunicare alcuni dati tramite dei quadri del Modello. Nel caso di Unico per Enti Non Commerciali, sono quei contribuenti che non sono tenuti a presentare la dichiarazione Iva o dei sostituti d’imposta o ai fini Irap.

Scadenze

Il Modello Unico, per  tutte le tipologie di contribuenti, va presentato entro 9 mesi dalla chiusura del periodo di imposta. Per l’Unico Società di Capitali e per quelle società o enti il cui esercizio coincide con l’anno solare la scadenza è fissata per il 30 settembre. Tutti coloro che possono seguire la procedura cartacea di presentazione, hanno tempo dal 2 maggio al 30 giugno per recarsi presso un qualsiasi Ufficio Postale. È bene, tuttavia, tenere sempre sott’occhio lo scadenzario dell’Agenzia delle Entrate in caso di proroghe e variazioni.

Voluntary disclosure: notifica via PEC dal 2016

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Con un emendamento al disegno di legge di Stabilità 2016, che dovrà ottenere l’approvazione della Commissione bilancio della Camera, si prevede che, a partire dal 1° gennaio 2016, tutte le notifiche relative alla voluntary disclosure vengano inviate alla PEC del professionista che ha inviato l’istanza. Solo nei casi in cui l’indirizzo PEC fornito dal professionista in sede di presentazione dell’istanza risulti inattivo o irraggiungibile si procederà alla notifica degli atti con le tradizionali modalità.

Nel caso di invio via PEC degli atti della voluntary disclosure, la notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore della mail trasmette all’Agenzia delle Entrate la ricevuta di accettazione con la relativa attestazione temporale che certifica l’avvenuta spedizione del messaggio.

La novità in questione intende evitare problemi di comunicazione tra Agenzia e contribuente; quest’ultimo infatti per i più svariati motivi potrebbe non ricevere o ricevere in ritardo le notifiche da parte dell’agenzia delle Entrate, con possibili conseguenze negative sul perfezionamento della procedura. Ovviamente, giocherà un ruolo fondamentale il professionista che ha assistito il contribuente nell’adesione alla procedura di collaborazione volontaria. Sarà quest’ultimo che dovrà accettare la ricezione delle notifiche e poi comunicarle tempestivamente al contribuente.

Si ricorda che per le istanze presentate dal 10.11.2015 al 30.11 le notifiche arriveranno dal Centro operativo di Pescara, in quanto ufficio competente a gestire le suddette istanze.

Infatti, con il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate Prot. n. 2015/142716 del 06.11.2015 è stato individuato nel Centro operativo di Pescara l’assegnatario delle istanze inviate a partire dal 10 Novembre, con la necessità dunque di inviare la relazione di accompagnamento e la documentazione a corredo all’istanza di voluntary disclosure, esclusivamente mediante posta elettronica certificata alla casella del Centro operativo di Pescara vd.cop@postacert.agenziaentrate.it.

E’ da evidenziare che si fa riferimento esclusivamente alle istanza inviate per la prima volta. Per le integrazioni di istanze già presentate prima del 10.11.2015 era necessario inoltrare la richiesta alla Direzione Regionale competente.

Nell’ottica di agevolare il rapporto con i contribuenti, è prevista la possibilità, su istanza del contribuente, di effettuare eventuali fasi del procedimento in contradditorio presso altre sedi dell’Agenzia.

Autore: redazione fiscal focus

Assunzione detenuti e internati: modalità attuative credito d’imposta

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n.153321 del 27.11.2015

Con il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n.153321 del 27.11.2015 sono state definite le modalità attuative del credito d’imposta di cui all’articolo 3 della legge 22 giugno 2000, n. 193, e successive modificazioni, concesso a favore delle imprese che assumono, per un periodo di tempo non inferiore a trenta giorni, lavoratori detenuti o internati, anche quelli ammessi al lavoro esterno ai sensi dell’articolo 21 della legge 26 luglio 1975, n. 354, ovvero detenuti semiliberi provenienti dalla detenzione, o che svolgono effettivamente attività formative nei loro confronti.

Le disposizioni contenute nel presente provvedimento decorrono dal 1° gennaio 2016.

I crediti d’imposta maturati fino al 31 dicembre 2015, non ancora interamente utilizzati in compensazione, sono fruiti dalle imprese, a decorrere dal 1° gennaio 2016, secondo le disposizioni del presente provvedimento, nei limiti dell’importo residuo risultante dalla differenza tra i crediti comunicati all’Agenzia delle Entrate dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia e l’ammontare dei crediti fruiti in compensazione utilizzando il codice tributo 6741, rilevati dall’Agenzia delle Entrate attraverso i modelli F24 presentati successivamente alle comunicazioni del citato Dipartimento.

Il primo step previsto dal Provvedimento riguarda l’individuazione delle imprese beneficiarie. A tal fine il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia trasmette all’Agenzia delle Entrate, entro il 31 dicembre di ciascun anno e con modalità telematiche definite d’intesa, l’elenco delle imprese beneficiarie del credito per l’anno successivo, con l’importo concesso a ciascuna di esse.

Il suddetto credito d’imposta è utilizzabile in compensazione, presentando il modello F24 esclusivamente attraverso i servizi telematici ENTRATEL e FISCONLINE messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate, secondo modalità e termini definiti con provvedimento del Direttore della stessa Agenzia.

Il Provvedimento in commento sancisce che l’Agenzia delle Entrate verifica, per ciascun modello F24 ricevuto, che l’importo del credito d’imposta utilizzato non risulti superiore all’ammontare del beneficio complessivamente concesso all’impresa, al netto dell’agevolazione fruita attraverso i modelli F24 già presentati. Nel caso in cui l’importo del credito utilizzato risulti superiore al beneficio residuo, il relativo modello F24 è scartato e i pagamenti ivi contenuti si considerano non effettuati.

Autore: redazione fiscal focus

Fattura elettronica: niente obbligo per i medici convenzionati

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

R.M. 98/E/2015

Con la Risoluzione 98/E del 25.11.2015, l’Amministrazione Finanziaria, in risposta alla consulenza giuridica chiesta dalla Federazione Italiana dei Medici di Medicina Generale, ha chiarito che il cedolino emesso dalle Aziende Sanitarie Locali in favore dei medici di medicina generale operanti in regime di convenzione con il SSN, nel rispetto di determinati requisiti, sia sostitutivo degli obblighi di fatturazione, anche elettronica.

Nel documento di prassi in questione la situazione prospettata è la seguente: i medici di medicina generale operanti in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale – attività che si colloca in una posizione intermedia fra quella professionale e quella parasubordinata, causa i vincoli imposti dalla stessa convenzione con il SSN (di orario, retribuzione, presenza, ecc.) – ricevono mensilmente da parte dell’Azienda Sanitaria competente per territorio un cedolino, nel quale sono riepilogate tutte le voci che entrano a far parte della propria remunerazione mensile e da cui emerge il netto dovuto per l’attività prestata.

Nel contesto descritto si chiede la necessità per i suddetti medici di emettere fattura elettronica trattandosi di committente ente pubblico.

In risposta alla richiesta effettuata, l’Amministrazione Finanziaria ha dapprima chiarito che laddove l’obbligo di emettere una fattura non sussisteva prima del D.M. n. 55 del 2013, lo stesso non è venuto dopo l’introduzione della fattura elettronica.

In altre parole, l’introduzione della fattura elettronica non ha creato una categoria sostanziale nuova o diversa dalla fattura “ordinaria”, con la conseguenza che, pur nel limite della compatibilità con gli elementi che le caratterizzano, continuano a trovare applicazione tutti i chiarimenti già in precedenza emanati con riferimento generale alla fatturazione, nonché le deroghe previste da specifiche disposizioni normative di settore.

Per tale ragione, per individuare la necessità di emettere fattura elettronica è necessario rifarsi ai criteri generali in tema di fattura.

A tal proposito, evidenzia l’Agenzia, l’articolo 2 del D.M. 31 ottobre 1974, dispone che “Nei rapporti tra gli esercenti la professione sanitaria e gli enti mutualistici per prestazioni medico-sanitarie generiche e specialistiche, il foglio di liquidazione dei corrispettivi compilato dai detti enti tiene luogo della fattura di cui all’art. 21 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. Tale documento deve contenere gli elementi e i dati indicati nel secondo comma del citato art. 21 ed essere emesso in triplice esemplare; il primo deve essere consegnato o spedito al professionista unitamente ai corrispettivi liquidati, il secondo consegnato o spedito all’ufficio provinciale della imposta sul valore aggiunto competente ai sensi dell’art. 40 del citato decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, il terzo conservato presso l’ente».

Dunque, il cedolino emesso dalle Aziende Sanitarie Locali è sostitutivo della fattura, a patto che questo contenga gli stessi elementi della fattura come indicati dall’art. 21, e sia emesso in triplice esemplare.

Nel rispetto di tali condizioni, il cedolino emesso dalle Aziende Sanitarie Locali compilato dalle Aziende Sanitarie Locali, è sostitutivo degli obblighi di fatturazione, e trattandosi di committenti enti pubblici, degli obblighi di fatturazione elettronica.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Credito per investimenti in ricerca e sviluppo

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Con la Risoluzione 97 le Entrate istituiscono il codice tributo

Premessa – Un nuovo codice tributo per fruire tramite F24, a partire dal prossimo anno, del bonus spettante alle imprese che sostengono costi per quelle attività negli anni dal 2015 al 2019.

Credito imposta – Gli imprenditori che investono in attività di ricerca e sviluppo, indipendentemente dal settore economico in cui operano e dal regime contabile adottato, possono usufruire di un credito d’imposta, introdotto inizialmente dall’articolo 3 del Dl 145/2013, poi sostituito integralmente dall’articolo 1, comma 35, della legge 190/2014 (Stabilità 2015).

Beneficiari – La nuova formulazione dell’articolo ha modificato la misura, la decorrenza e la platea dei beneficiari dell’agevolazione, prevedendo l’attribuzione del bonus in favore di tutte le imprese che effettuano investimenti dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 fino a quello in corso al 31 dicembre 2019.

Modalità applicative – Il decreto interministeriale del 27 maggio 2015 ha definito le modalità applicative del credito d’imposta. In particolare, l’articolo 6 stabilisce che l’importo del beneficio concesso venga indicato nella dichiarazione dei redditi riguardante il periodo d’imposta nel corso del quale sono state sostenute le spese e che l’utilizzo del credito debba avvenire, esclusivamente in compensazione, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello di sostenimento dei costi.

Codice tributo – Per consentire la fruizione dell’incentivo fiscale dall’inizio del prossimo anno, la risoluzione 97/E del 25 novembre 2015 istituisce il codice tributo “6857”, che sarà dunque operativo dal 1° gennaio 2016.

Compilazione – Andrà riportato nella sezione “Erario” del modello F24, in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a credito compensati” ovvero, nei casi in cui il contribuente debba riversare l’agevolazione, nella colonna “importi a debito versati”. Nel campo “anno di riferimento” andrà riportato l’anno in cui è stato sostenuto il costo.

Autore: redazione fiscal focus

Rivalutazione beni d’impresa: le problematiche non risolte

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Si potrebbe finalmente dare una svolta applicativa alla possibilità di rivalutazione

Il disegno di legge di Stabilità 2016 prevede la riapertura dei termini per la rivalutazione dei beni d’impresa; si fa riferimento ai beni risultanti nel bilancio riferito al periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2014 che possono essere oggetto di rivalutazione nel 2015.

La legge di stabilità 2016 quindi riprende la possibilità di rivalutare i beni d’impresa.

Possono ricorrere alla rivalutazione i soggetti indicati nell’art.73 del TUIR, che non adottano i principi contabili internazionali ai fini della redazione del bilancio; i suddetti soggetti possono, in deroga a quanto previsto dall’art. 2426 c.c., rivalutare i beni d’impresa, materiali ed immateriali, e le partecipazioni in società controllate e collegate ai sensi dell’art. 2359 c.c. costituenti immobilizzazioni, ad eccezione degli immobili alla cui produzione o scambio è diretta l’attività d’impresa (c.d. immobili merce), risultanti dal bilancio d’esercizio in corso al 31 dicembre 2014.

Il maggior valore attribuito ai beni rivalutati si considera riconosciuto ai fini IRES/IRPEF ed IRAP e delle relative addizionale a decorrere dal terzo esercizio successivo a quello con riferimento al quale la rivalutazione è stata effettuata, mediante il versamento di un’imposta sostitutiva:

  • del 16% per i beni ammortizzabili
  • del 12% per i beni non ammortizzabili.

In altri termini, il riconoscimento dei maggiori valori si ha a partire dal 2018.

Analisi criticità – Analizzando con un approccio critico la riproposizione della rivalutazionenella Legge di Stabilità 2016 si deve comunque mettere in risalto come nel corso degli anni, sia stata molto limitata la risposta delle imprese alla possibilità di procedere alla rivalutazione dei beni; bisogna, affinchè il ricorso a tale procedura diventi più conveniente e sensato, cercare di capire quali sono gli aspetti intrinsechi che hanno determinato lo scarso appeal e intervenire per far si che tale strumento diventi effettivamente utile e conveniente rispetto a quelle che sono le reali necessita dell’impresa stessa.

Quali sono le ragioni che hanno portato ad uno scarso ricorso a tale procedura?

In primis si ricorda che, la rivalutazione deve obbligatoriamente operare sia ai fini fiscali sia ai fini civilistici; non è quindi possibile optare per una delle due scelte; ma quale sarebbe il motivo per il quale un’impresa dovrebbe decidere di procedere alla rivalutazione e quindi pagare un’imposta sostitutiva in un’unica soluzione per poi avere degli effetti fiscali positivi solo qualche anno dopo? Ricordiamo inoltre che la rivalutazione del bene al netto dell’imposta sostitutiva versata concorre alla formazione del reddito. Quindi si individuano già due profili critici, ossia, le non appetibili aliquote sostitutive, e l’obbligatorietà di procedere sia ad una rivalutazione civile sia fiscale. Perché quindi non riammettere la possibilità di rivalutare solo in bilancio vista la sempre più crescente necessità di avere bilanci sempre più attendibili?

Un altro aspetto sul quale si pone l’accento è quello che riguarda i terreni sottostanti e pertinenziali ai fabbricati da rivalutare; la circolare 13/E/2014 stabilisce che “ ai fini della rivalutazione i terreni sottostanti e pertinenziali vanno compresi nella categoria omogenea dei beni non ammortizzabili mentre i fabbricati, se strumentali, vanno considerati come beni ammortizzabili e quindi rientrano nell’apposita categoria”.

Sarebbe tutto chiaro sennonché la categoria indicata per i beni non ammortizzabili non esiste, se non solo ai fini dell’aliquota da applicare.

Quindi i terreni sottostanti e pertinenziali ai fabbricati da rivalutare in quale categoria omogenea rientrano?

Parliamo di criticità fortemente limitanti, e per questo che il legislatore dovrebbe porre enfasi su tali fattori, modificando alcune disposizioni e rendere finalmente conveniente per l’impresa, ricorrere ad un istituto che finora si è caratterizzato per potenzialità nascoste piuttosto che espresse.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Omaggi ai dipendenti: trattamento fiscale

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

In occasione delle feste natalizie (ma non solo) è consuetudine “omaggiare” ai propri dipendenti dei beni in natura generalmente non rientranti nell’attività d’impresa.

Come noto, l’art. 19 bis1, co. 1, lett. h), D.P.R. 633/1972, come modificato dall’art. 30 del D.lgs. semplificazioni fiscali), dispone che l’IVA relativa all’acquisto di beni destinati ad essere omaggiati, non rientranti nell’attività d’impresa, ricompresi fra le spese di rappresentanza in base al DM 19.11.2008, :

  • è detraibile se il costo unitario dell’omaggio è inferiore a € 50,00;
  • è indetraibile se il costo unitario dell’omaggio è superiore a € 50,00.

Si ricorda che ai fini IVA (C.M. 34/E/2009), per l’individuazione degli omaggi da ricomprendere tra le spese di rappresentanza, è necessario fare riferimento a quanto disposto dall’art. 1, DM 19.11.2008; in particolare, è necessario che le spese:

  • siano sostenute con finalità promozionali e di pubbliche relazioni;
  • siano ragionevoli in funzione dell’obiettivo di generare benefici economici;
  • siano coerenti con gli usi e le pratiche commerciali del settore.

Per quanto riguarda gli omaggi ai dipendenti, questi ai fini Iva non possono essere considerate spese di rappresentanza, in quanto prive del requisito di sostenimento per finalità promozionali. L’IVA relativa ai beni destinati ai dipendenti è da considerare indetraibile per mancanza di inerenza con l’esercizio dell’impresa.

Gli omaggi ai dipendenti di beni che non rientrano nell’attività dell’impresa ai fini delle imposte dirette sono da ricomprendere tra le erogazioni liberali (spese per prestazioni di lavoro sostenute in denaro o in natura a titolo di liberalità) a favore dei lavoratori concesse in occasioni di festività o ricorrenze alla generalità o a categorie di dipendenti, le quali beneficiano della deducibilità dal reddito d’impresa (art. 95 del Tuir) .

Per i lavoratori autonomi, detti costi sono deducibili ai sensi dell’art. 54, comma 1, Tuir, avente una portata applicativa analoga a quella dell’art. 95 del Tuir.

Ai fini IRAP, le spese per gli acquisti di omaggi da destinare ai dipendenti rientrano nei “costi del personale”, che ai sensi degli artt. 5 e 5-bis, D.Lgs. n. 446/97 non concorrono alla formazione della base imponibile IRAP, ancorché gli stessi siano contabilizzati in voci diverse dalla B.9 del Conto economico. Di conseguenza, le spese in esame sono indeducibiliai fini IRAP indipendentemente dalla natura giuridica del datore di lavoro.

Anche per i lavoratori autonomi, le spese in esame sono indeducibiliai fini IRAP, in quanto gli stessi determinano la base imponibile IRAP ai sensi dell’ art. 8, comma 1, D.Lgs. n. 446/97 quale “differenza tra l’ammontare dei compensi percepiti e l’ammontare dei costi sostenuti inerenti all’attività esercitata … esclusi gli interessi passivi e le spese per il personale dipendente.

Gli omaggi ricevuti dai dipendenti producono, in taluni casi, imponibilità in capo ai dipendenti stessi.

Tale imponibilità va verificata alla luce del disposto dell’art. 51, comma 3, Tuir.

In base alla citata disposizione:

  • le erogazioni liberali in denaro concorrono sempre (a prescindere dall’ammontare) alla formazione del reddito del dipendente e quindi sono assoggettate a tassazione;
  • le erogazioni liberali in natura se di importo:
    • non superiore ad € 258,23 nel periodo d’imposta non concorrono alla formazione del reddito;
    • superiore ad € 258,23 nel periodo d’imposta concorrono per l’intero ammontare alla formazione del reddito del dipendente (non solo per la quota eccedente il limite).
Autore: redazione fiscal focus

Accertamenti definitivi: non opera la sospensione dell’esecuzione forzata

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Il D.Lgs. 159/2015 ha introdotto importanti modifiche in merito alle Misure per la semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione; le novità riguardano anche la concentrazione della riscossione nell’accertamento. Lo stesso Decreto ha previsto che l’avviso di accertamento diventa esecutivo trascorsi 60 gg dal termine previsto per la presentazione del ricorso, quindi non si considera più invece il termine di notifica dell’avviso di accertamento.

All’art. 5 lo stesso decreto intervenendo sull’art.29, comma 1 del D.L.78/2010 prevedeva che: gli avvisi di accertamento divengono esecutivi (decorso il termine utile per la proposizione del ricorso) e devono espressamente recare l’avvertimento che, decorsi trenta giorni dal termine ultimo per il pagamento, la riscossione delle somme richieste, in deroga alle disposizioni in materia di iscrizione aruolo, è affidata in carico agli agenti della riscossione anche ai fini dell’esecuzione forzata, con le modalità determinate con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate, di concerto con il Ragioniere generale dello Stato. L’esecuzione forzata è sospesa per un periodo di centottanta giorni dall’affidamento in carico agli Agenti della riscossione degli atti di cui alla lettera; proprio in merito all’ultimo punto il D.Lgs 159/2015 ha stabilito invece che la predetta sospensione non opera in caso di accertamenti definitivi, anche in seguito a giudicato, nonché in caso di recupero di somme derivanti da decadenza dalla rateazione“; quindi in questi casi viene esclusa la sospensione della procedura di esecuzione forzata.

Inoltre il Legislatore ha eliminato la lettera e, comma 1, art. 29 del D.L. 78 del 2010 nella parte in cui stabiliva che l’espropriazione forzata, in ogni caso, è avviata, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre 2015 del terzo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto esecutivo; da qui, quindi, l’espropriazione forzata è legata ai termini di prescrizione ordinaria quinquennale per le sanzioni, e decennali per i tributi erariali.

Infine è da segnalare che lo stesso decreto ha previsto la possibilità di recapitare al debitore la cosiddetta comunicazione dell’affidamento della riscossione ad Equitalia, oltre che con raccomandata anche con posta semplice, posta ordinaria e certificata.

Autore: redazione fiscal focus

Antiriciclaggio: anche gli avvocati coinvolti

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Ci sono adempimenti che vengono spesso dimenticati. Più che dimenticati, si potrebbe più correttamente dire, soffocati: soffocati da tutti gli altri adempimenti, quelli per i quali la scadenza è più imminente e deve essere necessariamente rispettata.

Tutto il resto viene quindi relegato tra le formalità rinviabili ad una data imprecisata: fino a quando, almeno, non scattano le sanzioni.

Stiamo parlando della disciplina antiriciclaggio, e di tutti quegli adempimenti che la stessa ci obbliga a rispettare: adempimenti che possono apparire soltanto formali, ma dietro ai quali si nasconde un apparato sanzionatorio di tutto rispetto, fatto non solo di sanzioni amministrative sicuramente sproporzionate, ma anche di sanzioni penali.

Gli avvocati

Se i commercialisti e gli esperti contabili fanno ormai da tempo i conti con questa particolare disciplina, ci sono altri professionisti che la stanno sicuramente sottovalutando.

Stiamo parlando degli avvocati, i quali sono comunque tenuti all’osservanza della normativa antiriciclaggio quando, in nome o per conto dei loro clienti, compiono qualsiasi operazione di natura finanziaria o immobiliare e quando assistono i clienti nella predisposizione o nella realizzazione di operazioni riguardanti:

1) il trasferimento a qualsiasi titolo di diritti reali su beni immobili o attività economiche;

2) la gestione di denaro, strumenti finanziari o altri beni;

3) l’apertura o la gestione di conti bancari, libretti di deposito e conti di titoli;

4) l’organizzazione degli apporti necessari alla costituzione, alla gestione o all’amministrazione di società;

5) la costituzione, la gestione o l’amministrazione di società, enti, trust o soggetti giuridici analoghi.

Si pensi, quindi, ad una consulenza legale per la riscossione di una polizza assicurativa, alla redazione di un contratto di comodato o di affitto, ai risarcimenti che comportano il trasferimento di un importo in denaro.

Attività, queste, che vengono svolte quotidianamente negli studi legali, ma che, frequentemente, non sono correlate agli adempimenti antiriciclaggio.

La segnalazione delle operazioni sospette

Giova tuttavia di essere ricordato che, ai sensi dell’articolo 12 del D.Lgs. 231/2007, l’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette non trova applicazione se le informazioni sono ricevute dal cliente:

  • nel corso dell’esame della posizione giuridica o dell’espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento;
  • nell’ambito della consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento,
  • ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso.

L’esonero dall’obbligo della segnalazione non comporta però l’esclusione dagli obblighi di adeguata verifica della clientela.

Ciò significa che, anche se si ricadesse in un’ipotesi nella quale non dovrà essere comunque effettuata la segnalazione, il professionista sarà comunque obbligato a procedere all’identificazione del cliente e del titolare effettivo, senza dimenticare la conservazione e la registrazione dei dati.

Autore: redazione fiscal focus

Rimborsi IVA: l’individuazione dei contribuenti a rischio

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

La nuova normativa concernente la possibilità di richiedere i rimborsi IVA senza presentazione di garanzie è stata più volte sotto la lente dell’Amministrazione Finanziaria. Prima con la C.M. 32/E/2014 e successivamente con la C.M. 6/E/2015 e C.M. 35/E/2015, sono stati forniti importanti chiarimenti. Tra i vari chiarimenti forniti dall’Amministrazione Finanziaria si vuole porre l’attenzione sull’individuazione dei contribuenti a rischio, ovvero coloro che non possono fruire delle condizioni agevolative previste dalla novellata normativa e sono comunque tenuti alla presentazione della garanzia, per rimborsi di ammontare superiore ad euro 15.000,0. I c.d. contribuenti a rischio sono:

  • i soggetti passivi che esercitano un’attività d’impresa da meno di 2 anni, diversi dalle imprese start-up innovative di cui all’art. 25, D.L. 179/2012, conv. con modif. dalla L. 221/2012;
  • i soggetti passivi ai quali, nei 2 anni antecedenti la richiesta di rimborso, sono stati notificati avvisi di accertamento o di rettifica da cui risulti, per ciascun anno, una differenza tra gli importi accertati e quelli dell’imposta dovuta o del credito dichiarato superiore:
    1. al 10% degli importi dichiarati se questi non superano Euro 150.000;
    2. al 5% degli importi dichiarati se questi superano Euro 150.000 ma non superano Euro1.500.000;
    3. all’1% degli importi dichiarati, o comunque a Euro 150.000, se gli importi dichiarati superano Euro 1.500.000.

Per quanto riguarda la prima casistica, va puntualmente determinato lo svolgimento dell’attività d’impresa da meno di due anni. In tal senso va evidenziato che la formulazione della norma fa esclusivo riferimento allo svolgimento di attività d’impresa; pertanto, il suddetto limite non si riferisce ai soggetti che svolgono attività di lavoro autonomo.

Per gli esercenti arti e professioni, dunque, la richiesta di rimborsi di importo superiore ad euro 15.000,00 potrà avvenire senza la necessaria presentazione della garanzia, a patto che sull’istanza da cui emerge il credito si appone il visto di conformità o la sottoscrizione alternativa dell’organo di controllo e si presenta la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.

Sempre in merito al computo dei due anni dall’inizio di svolgimento dell’attività che qualificata il contribuente a “rischio” con relativo obbligo di presentare la garanzia per le richieste di rimborso d’importo superiore ad euro 15.000,00, l’Amministrazione Finanziaria ha chiarito che per il computo dei due anni deve farsi riferimento all’effettivo svolgimento dell’attività d’impresa, che ha inizio con la prima attività effettuata e non con l’apertura della partita Iva.

Viene chiarito inoltre che il termine dei due anni si riferisce alla data di richiesta del rimborso annuale o trimestrale.

In termini pratici, un contribuente che presenta la richiesta di rimborso in data 30.06.2016, non dovrà presentare la polizza fideiussoria se ha svolto la prima attività d’impresa il 30.06.2014 o in data anteriore.

Sono tenuti alla presentazione della garanzia anche i soggetti passivi ai quali, nei 2 anni antecedenti la richiesta di rimborso, sono stati notificati avvisi di accertamento o di rettifica da cui risulti, per ciascun anno, una differenza tra gli importi accertati e quelli dell’imposta dovuta o del credito dichiarato superiore a determinate soglie

Sulla verifica di tale requisito, già con la C.M. 32/E/2014 l’Amministrazione Finanziaria aveva avuto modo di chiarire che per la verifica dell’assenza di avvisi di accertamento o di rettifica l’intervallo dei due anni deve essere calcolato dalla data di richiesta del rimborso.

A titolo esemplificativo, per una richiesta di rimborso presentata il 15 marzo 2016, qualsiasi atto di accertamento o rettifica notificato prima del 15 marzo 2014 non verrà preso in considerazione, mentre rileveranno la presenza di atti di accertamento o di rettifica notificati dal 15 marzo 2014 al 14 marzo 2016.

Veniva inoltre precisato che gli atti da considerare ai fini della verifica del requisito in commento, non sono solo gli avvisi di accertamento e rettifica ai fini IVA, ma anche quelli relativi agli altri tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate.

Si rileva, altresì, che nel computo degli atti da considerare al fine del calcolo degli importi accertati si deve tener conto di tutti quelli notificati nei due anni antecedenti la richiesta di rimborso, prescindendo dall’esito degli stessi, con eccezione degli atti annullati in autotutela o oggetto di sentenze favorevoli al contribuente passate in giudicato.

Autore: redazione fiscal focus

Codice tributo per investimenti in beni strumentali

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Con la Risoluzione n. 96 di ieri le Entrate hanno istituito il relativo codice

Premessa – Con la risoluzione n. 96 di ieri 19 novembre, l’Agenzia delle Entrate ha istituito il codice tributo per l’utilizzo del credito d’imposta, mediante F24, dell’incentivo fiscale previsto dal “decreto competitività” a favore dei titolari di reddito d’impresa.

Ambito soggettivo – Beneficiari del credito d’imposta di cui all’articolo 18 del DL 91/2014 sono i contribuenti titolari di reddito d’impresa che, nel periodo compreso tra l’entrata in vigore della disposizione (25 giugno 2014) e il 30 giugno scorso, hanno effettuato investimenti in nuovi beni strumentali (macchinari e impianti) compresi nella divisione 28 della tabella Ateco 2007 e destinati a strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato.

Credito – Il bonus fiscale, pari al 15% delle spese sostenute in eccedenza rispetto alla media degli analoghi investimenti realizzati nei cinque periodi di imposta precedenti (con facoltà di escludere dal calcolo della media il periodo in cui l’investimento è stato maggiore), è utilizzabile esclusivamente in compensazione, mediante modello F24, e deve essere ripartito in tre quote annuali di pari importo: la prima, a decorrere dal 1° gennaio del secondo periodo d’imposta successivo all’investimento.

Codice tributo – Per consentirne la fruizione a partire dall’inizio del prossimo anno, secondo le modalità fornite con la Circolare 5/2015, la Risoluzione 96/E del 19 novembre 2015 istituisce lo specifico codice tributo “6856”, operativo dal 1° gennaio 2016.

Compilazione – Questo va esposto nella sezione “Erario” del modello F24, in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a credito compensati” ovvero, nei casi in cui il contribuente debba procedere a riversare l’agevolazione, nella colonna “importi a debito versati”. Nel campo “anno di riferimento” deve essere riportato l’anno di sostenimento della spesa.

Autore: redazione fiscal focus

Transfer price: valido in Dogana con “correzioni”

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Un tavolo congiunto tra Dogane e Agenzia delle Entrate per stabilire l’adattabilità dei metodi per giustificare il valore normale ai fini delle imposte dirette e anche per la determinazione del valore da utilizzare ai fini doganali. Viene evidenziato in primis chela definizione del valore in dogana è contenuto nell’art. 29 CDC, secondo il quale l’importo della transazione indicato in fattura – il prezzo pagato o da pagare per la merce – assurge a base dell’imponibile in dogana (previo aggiustamento degli elementi da addizionare o da escludere ai sensi degli artt. 32 e 33 CDC) e dunque costituisce oggetto dell’attività di accertamento doganale.

Ciò significa che, salva l’emersione di un ragionevole dubbio al riguardo, il valore di transazione è quello da prendere in considerazione ai fini dell’applicazione dei diritti doganali. Può accadere tuttavia che nel caso di transazioni tra parti collegate si agisca sulla determinazione del prezzo attraverso un prezzo delle merci più basso (sotto-fatturazione) o più alto (sovra-fatturazione) rispetto a quello che un venditore, non legato al suo compratore, avrebbe praticato in identiche circostanze di spazio e di tempo.
A tal fine vengono ritenuti idonei, anche ai fini doganali, per dimostrare la congruità dei valori doganali, i metodi tradizionali OCSE di determinazione del prezzo di trasferimento infragruppo, sebbene con diversi gradi di affidabilità.
Si tratta dei seguenti metodi: CUP(Comparable Uncontrolled Price), RPM (Resale Price Method), CPM (Cost Plus Method) e PSM (Profit Split Method); qualche riserva solleva l’applicazione del TNMM (Transactional Net Margin Method).
I fattori di comparabilità, ossia quei fattori che possono assumere, in varia misura, rilevanza nel determinare la confrontabilità tra operazioni infragruppo rispetto a quelle intercorse tra parti indipendenti in condizioni similari, possono essere ritenuti validi con le seguenti considerazioni:

  • le caratteristiche dei beni ceduti (e dei servizi prestati) sono prese in considerazione anche ai fini della classificazione doganale delle merci e della determinazione della base imponibile con riferimento ad ogni singola partita dichiarata all’importazione e ad ogni singola circostanza della transazione internazionale sottostante;
  • l’analisi delle funzioni svolte, dei rischi assunti e dei beni strumentali utilizzati è particolarmente rilevante anche nello studio dei flussi dei pagamenti relativi a molteplici elementi che contribuiscono alla determinazione del valore in dogana;
  • i dettagli dei termini e delle clausole ricavabili dai contratti, la cui conoscenza consente di effettuare una comparazione dei contratti prodotti nell’ambito del regime degli “oneri documentali”, risponde all’esigenza di determinare molti aspetti inerenti alle responsabilità dei pagamenti effettuati o da effettuare in forza degli aggiustamenti di cui agli artt. 32 e 33 CDC, con particolare riferimento ai flussi dei pagamenti dovuti per l’utilizzo dei diritti di proprietà intellettuale, quali canoni e diritti di licenza;
  • le condizioni economiche, sono valutate anche ai fini doganali rilevando nell’ambito dei procedimenti autorizzatori o, ad esempio, ai fini della concessione dello status di operatore economico autorizzato (AEO);
  • le strategie di impresa sono tenute in debita considerazione anche in dogana tenuto conto che, nelle autorizzazioni preventive degli aggiustamenti ex art.156-bis DAC, è indispensabile l’analisi degli obiettivi strategici di medio e lungo periodo dell’intero gruppo societario ai fini dell’ammissibilità dei prezzi di trasferimento stabiliti tra venditori e importatori legati.

Secondo i principi di precauzione, trasparenza e partecipazione al procedimento amministrativo, le disposizioni recate dall’art. 156-bis delle DAC prevedono la possibilità di “concordare” con la dogana una pre-determinazione del valore sulla base di criteri di “congruità del prezzo” costantemente monitorabili.

In sostanza, la Dogana incentiva gli operatori al ruling preventivo per veder riconosciuto il prezzo di trasferimento praticato dalle aziende multinazionali nell’ambito degli scambi cross-border.
A tal fine è allegato alla circolare un formulario da presentare alle Dogane per fornire tutte le informazioni e la documentazione necessaria per veder riconosciuta la propria strategia di fissazione dei prezzi di trasferimento.

Autore: redazione fiscal focus

Cessione aziende: il registro non guida l’accertamento

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Per le cessioni di immobili o di aziende, nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali su di essi, ai fini IRPEF, IRES ed IRAP, l’esistenza di un maggior valore non può più essere presunta soltanto sulla base del valore anche se dichiarato o accertato ai fini dell’imposta di registro ovvero delle imposte ipocatastali.

E’ quanto prevede il Decreto crescita e internalizzazione (art. 5, co. 3, D.lgs.147/2015), che con norma di interpretazione autentica ha risolto una questione assai dibattuta in dottrina e giurisprudenza.

La questione – La corte di Cassazione più volte si era espressa sulla questione, ritenendo legittima la rettifica della plusvalenza da cessione di azienda in base al maggior valore dichiarato ai fini dell’imposta di registro. Era onere del contribuente dare prova contraria.

Nell’esprimerne tale posizione né la giurisprudenza né l’Amministrazione Finanziaria tenevano conto dei diversi metodi di calcolo della base imponibile ai fini delle imposte dirette e ai fini dell’imposta di registro. Mentre ai fini delle imposte dirette ciò che conta è il corrispettivo stabilito dalle parti, ai fini dell’imposta di registro si fa riferimento al valore venale in comune commercio. Il primo un dato certo risultante dalle disposizioni negoziali, l’altro invece un dato presuntivo che si base sulla individuazione del prezzo che sarebbe stato applicato in normali condizioni di mercato. Che quest’ultimo sia un dato discrezionale non v’è dubbio. Ecco allora che i due parametri non possono essere messi a confronto: si tratterebbe di misurare due fattispecie diverse con gli stessi criteri.

I valori OMI e l’accertamento ai fini dell’imposta di registro – A complicare la situazione, la definizione del valore venale in comune commercio, che originariamente avveniva da parte dell’Amministrazione Finanziaria facendo riferimento esclusivo ai valori OMI (Osservatorio del Mercato immobiliare). Per fortuna la Cassazione ha rotto il collegamento diretto tra dati OMI e valore venale in comune commercio.

Interpretazione poi adottata dall’Amministrazione Finanziaria nella C.M. 18/E/2010, laddove l’Agenzia, recependo modifiche normative risalenti al 2008, ha riconosciuto che lo scostamento dei corrispettivi dichiarati per le cessioni di beni immobili rispetto al valore normale (valore OMI) rappresenta un elemento presuntivo semplice, e indirizzando gli uffici, con riferimento alle controversie pendenti, a valutare se le motivazioni degli accertamenti impugnati si dimostrino comunque adeguate o se, invece, si rivelino insufficienti così da richiedere l’abbandono del contenzioso in corso.

In altri termini, il solo discostamento del corrispettivo dai valori OMI non era stato ritenuto sufficiente per l’accertamento, ritenendo necessari anche ulteriori elementi presuntivi idonei ad integrare la prova della pretesa (quali, a titolo meramente esemplificativo, il valore del mutuo qualora di importo superiore a quello della compravendita, i prezzi che emergono dagli accertamenti effettuati con la ricostruzione dei ricavi sulla base delle risultanze delle indagini finanziarie, i prezzi che emergono da precedenti atti di compravendita del medesimo immobile). Questa interpretazione viene ora promossa a legge ad opera del Decreto crescita e internalizzazione.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

REDDITI DIVERSI: BED AND BREAKFAST GLI ASPETTI FISCALI

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

L’attività di B&B, se esercitata in maniera occasionale non è un’attività soggetta ad Iva e, di conseguenza, chi la gestisce non dovrà emettere documenti fiscali, ma esclusivamente ricevute comprovanti l’avvenuto pagamento.

Il carattere saltuario o occasionale, infatti, consente l’esclusione dal campo di applicazione dell’IVA.
In sostanza, quindi, l’attività di Bed and Breakfast esercitata da persone fisiche che usufruiscono, in maniera occasionale e con assenza di organizzazione di mezzi (Ris. 13 ottobre 2000 n. 155/E e 14 dicembre 1998, n. 180/E), di parte della propria abitazione di residenza per offrire alloggio e prima colazione, esclude la soggettività imprenditoriale.
In caso contrario, ossia quando l’attività è esercitata per professione abituale, si deve obbligatoriamente aprire la partita IVA e dichiarare il relativo reddito d’impresa.

Requisiti soggettivi

Chi esercita tale attività deve essere in possesso dei seguenti requisiti soggettivi:

  • possesso dei requisiti morali previsti dall’articolo 11 del R.D. n. 773/1931 (T.U.L.P.S.);
  • assenza di pregiudiziali ai sensi della legge antimafia;
  • assenza di condanne ai sensi della Legge 20 Febbraio 1958 n. 75 (Legge Merlin).

Iva

Il contribuente che gestisce un’attività di Bed and Breakfast in maniera saltuaria e senza organizzazione di mezzi dovrà rilasciare al cliente una ricevuta non fiscale, datata, numerata con l’indicazione del corrispettivo incassato e del numero dei giorni di pernottamento.
In questo caso la “madre” resterà al titolare del B&B e la “figlia” verrà consegnata all’ospite. L’unico accorgimento da prendere è quello di applicare una marca da bollo da € 2,00 qualora l’importo superi € 77,47.
In alcuni comuni occorrerà addebitare ai turisti anche la tassa di soggiorno e provvedere al suo versamento.

Redditi

Sotto il profilo tributario queste attività occasionali sono tassate come redditi diversi.
Il principio applicabile è quello di cassa: vanno dichiarati i soli proventi effettivamente percepiti.
Ogni spesa considerata “specificamente inerente” l’attività esercitata può essere dedotta nel quadro RL del mod. UNICO PF o nel quadro D del 730, dall’ammontare dei proventi incassati.
Pertanto ad esempio, nel quadro RL di Unico sarà necessario procedere a compilare il rigo RL14 (il riferimento è a Unico 2015) e ad indicare in colonna 1 l’ammontare dei proventi incassati, in colonna 2 il totale dei costi, mentre a rigo RL19 è necessario riepilogare il reddito netto conseguito.
Tale reddito farà eventualmente cumulo con gli altri posseduti dal contribuente che devono essere poi riepilogati tutti nel quadro RN dove avviene la liquidazione complessiva dell’IRPEF dovuta.
Il contribuente deve anche redigere e conservare un prospetto riepilogativo (da esibire a richiesta dell’amministrazione finanziaria) dove riportare l’indicazione dell’ammontare lordo dei corrispettivi e delle spese inerenti, dalla cui somma algebrica si ricava il reddito da dichiarare.
Sul punto si ricorda che le spese inerenti vanno opportunamente documentate.
Una questione complessa diventa spesso quella di separare in modo chiaro e netto le spese inerenti, da quelle normali del ménage familiare (per esempio, quelle per l’energia elettrica, l’acqua, il gas, ecc.). In tale caso per i consumi energetici, un criterio opportuno, potrebbe essere quello di effettuare un calcolo pro-quota su base millesimale e in proporzione al tempo di occupazione.

Agevolazioni ristrutturazione (50%)

In fine per gli interventi relativi a spese di ristrutturazione dell’unità immobiliare residenziale utilizzata per l’attività di B&B si ricorda che con la Risoluzione n. 18/E/2008, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che le spese di ristrutturazione delle abitazioni private adibite promiscuamente anche all’esercizio di un’attività commerciale, Bed and Breakfast, possono usufruire della detrazione d’imposta prevista, ai fini Irpef del 50%, per il recupero del patrimonio edilizio, delle spese effettivamente sostenute dal contribuente, purché ulteriormente ridotte del 50%.

Autore: redazione fiscal focus

Stabili organizzazioni: quando è dovuta l’IVA in Italia?

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Affinché si possa ritenere che la stabile organizzazione in Italia di un soggetto estero partecipi a un’operazione e sia tenuto per la suddetta operazione al versamento dell’IVA è necessario non solo che la stabile organizzazione partecipi all’operazione ma la stabile deve svolgere una parte essenziale dell’operazione. E’ quanto chiarito dall’Amministrazione Finanziaria in risposta ad un interpello reso noto dalla stampa specializzata (Sole 24 ore del 04.11.2015) che amplia l’interpretazione restrittiva fornita dall’Amministrazione Finanziaria nella C.M. 37/E/2011.

La stabile organizzazione ai fini IVA: rapporti con la casa madre – Il Regolamento Ue 282/2011, facendo proprie numerose interpretazioni giurisprudenziali, ha fornito la definizione di stabile organizzazione ai fini Iva. Il citato Regolamento, oltre a definire puntualmente il concetto di stabile organizzazione ai fini Iva, interviene sulla stabile organizzazione regolando i rapporti con la casa madre e gli effetti ai fini delle regole territoriali relative alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi.
In particolare:

  • l’art. 11 del citato Regolamento, fornisce la definizione di stabile organizzazione;
  • gli articoli 53 e 21 del Regolamento UE n. 282/2011 stabiliscono quando la stabile organizzazione, partecipando, rispettivamente dal lato attivo e da quello passivo, all’effettuazione dell’operazione, viene considerata soggetto passivo ai fini IVA in luogo della sede dell’attività economica.

La partecipazione delle stabile organizzazione all’effettuazione dell’operazione – La stabile organizzazione è tenuta al versamento dell’IVA solo se partecipa all’effettuazione dell’operazione (art. 192-bis della direttiva 2006/112/CE). L’art. 192-bis della dir. 2006/112/CE, sancisce che, la stabile organizzazione, identificata in uno Stato membro diverso da quello del soggetto da cui essa dipende, fa venir meno l’obbligo generalizzato del reverse charge per i servizi e per i beni forniti al committente nazionale sotto due condizioni: 1. la casa madre effettua operazioni rilevanti nel territorio dello Stato (in cui la stabile organizzazione è identificata); 2. la stabile organizzazione partecipa alla esecuzione del servizio.

Cosa si debba intendere per partecipazione è indicato nel Regolamento UE 282/2011.

L’ articolo 53 del Regolamento Ue 282/2011 individua i casi un cui la stabile organizzazione, che opera come soggetto attivo, sia da prendere in considerazione come soggetto passivo ai fini IVA, in luogo della sede dell’attività economica.
In particolare, la citata disposizione sancisce quando la stabile organizzazione è (non è) tenuta al versamento dell’IVA:

  • non lo è se NON partecipa alla cessione di beni o alla prestazione di servizi ai sensi dell’art. 192- bis, lett. b), della Direttiva n. 2006/112/CE, a meno che la sua struttura sia utilizzata dalla casa madre per operazioni inerenti alla realizzazione della cessione o prestazione, prima o durante l’effettuazione della predetta cessione o prestazione;
  • non lo è se non partecipa alla cessione di beni o alla prestazione di servizi o se ha unicamente funzioni di supporto amministrativo (per esempio, la contabilità, la fatturazione e il recupero crediti);
  • infine, se, viene emessa una fattura con il numero di identificazione IVA attribuito dallo Stato membro della stabile organizzazione alla stessa, si considera, salvo prova contraria, che tale stabile organizzazione abbia partecipato alla cessione di beni o alla prestazione di servizi effettuata in tale Stato membro.

Tali aspetti sono stati oggetto di un intervento operato dall’Amministrazione Finanziaria con la circolare 37/E del 2011. In base ai chiarimenti contenuti nella circolare, “deve escludersi che la stabile organizzazione partecipi all’effettuazione del servizio quando in nessun modo il cedente o prestatore utilizzi le risorse tecniche o umane della stabile organizzazione in Italia per l’esecuzione della cessione o della prestazione in considerazione”.
L’interpretazione fornita dall’Amministrazione Finanziaria non pare del tutto in linea con le indicazioni del Regolamento UE 282/2011, facendo riferimento al semplice utilizzo delle risorse tecniche o umane della stabile organizzazione. Tale interpretazione è stata “ampliata” dalla Commissione UE che nel Working Paper n. 791 del 2014 e Working Paper n. 857/2015) ha precisato, su richiesta italiana, che una stabile organizzazione partecipa all’operazione se i mezzi umani e tecnici della stabile organizzazione sono stati effettivamente utilizzati nel caso concreto al fine di fornire (prima o durante l’esecuzione) un supporto in merito al completamento dell’operazione.
Tale interpretazione viene fatta propria dall’Agenzia delle Entrate, la quale, in risposta ad un interpello reso noto dalla stampa specializzata, ha affermato che affinché si possa ritenere che la stabile organizzazione in Italia di un soggetto estero partecipi a un’operazione e sia tenuto per la suddetta operazione al versamento dell’IVA è necessario non solo che la stabile organizzazione partecipi all’operazione ma la stabile deve svolgere una parte essenziale dell’operazione. E’ quanto chiarito dall’Amministrazione Finanziaria in risposta ad un interpello reso noto dalla stampa specializzata.

Autore: Redazione Fiscal Focus

730 rettificativo: sanzioni ridotte per CAF e professionisti

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Scatta la sola sanzione in caso di 730 rettificato entro il 10/11

I CAF e professionisti sono soggetti all’applicazione della sola sanzione per l’invio del “modello 730 rettificato”, con esclusione, quindi, dei tributi e dei relativi interessi, ai sensi dell’art. 39 del D.Lgs. n. 241/1997. Tuttavia, se il modello originario è stato presentato oltre il termine del 7 luglio 2015, e successivamente rettificato dal CAF o professionista entro il 10 novembre 2015, alla sanzione per tardività si aggiunge quella per visto infedele.

Il chiarimento è contenuto nella Circolare n. 34/2015 dell’Agenzia delle Entrate, in risposta ad alcuni quesiti avanzati dal Coordinamento Nazionale dei Centri di Assistenza Fiscale.

Regime sanzionatorio – A seguito delle innovazioni introdotte dal D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175 – che, tra le altre, ha istituito la dichiarazione precompilata – il legittimo affidamento dei contribuenti che si rivolgono ad operatori specializzati, circa la definitività del loro rapporto con il Fisco, viene espressamente tutelato prevedendo che siano quest’ultimi tenuti al pagamento di un importo corrispondente alla somma dell’imposta, degli interessi e della sanzione che sarebbe stata richiesta al contribuente, salvo il caso di condotta dolosa o gravemente colposa del contribuente.

Viene, in tal modo, a determinarsi una vera e propria “sostituzione” di colui che rilascia il visto nella posizione dell’originario debitore (il contribuente), salvo il caso in cui l’infedeltà del visto sia stata determinata dalla condotta dolosa o gravemente colposa del contribuente. Tale nuova impostazione ha carattere innovativo e generale, come emerge dalla circostanza che tale regime di responsabilità trova applicazione anche se il contribuente si avvale dell’assistenza fiscale al di fuori del sistema della dichiarazione precompilata (articolo 1, comma 5, del D.Lgs n. 175 del 2014).

Sanzioni ridotte – Sul punto, è possibile ricordare come l’Agenzia delle Entrate già con la Circolare n. 11/2015 aveva chiarito che se il Caf o il professionista presenta una dichiarazione rettificativa entro il 10 novembre dell’anno in cui è stata prestata l’assistenza, la relativa responsabilità è limitata al pagamento dell’importo corrispondente alla sola sanzione che sarebbe stata richiesta al contribuente, ridotta di un ottavo (articolo 13, comma 1, lettera b), del Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 472) sempreché il versamento venga effettuato entro la data del 10 novembre.

Pertanto, il CAF o professionista è tenuto alla sola sanzione che sarebbe stata richiesta al contribuente che, dopo aver inviato tempestivamente l’originario modello 730, presenti un modello 730 rettificativo (o comunicazione) entro il 10 novembre p.v.

730 tardivo – Differente è il caso in cui la dichiarazione originaria sia sta presentata in ritardo, ossia oltre il 7 luglio dell’anno successivo a quello cui si riferisce la dichiarazione. In quest’ultimo caso, infatti, laddove il mod. 730 tardivo sia successivamente rettificato dal CAF o dal professionista entro il 10 novembre, alla sanzione per tardività si aggiunge quella per visto di infedele.

Canone RAI in bolletta. Vale solo il possesso della TV

Il possesso del televisore resta il requisito per il pagamento del canone RAI. È quanto ha ritenuto di dover precisare l’esecutivo dopo le voci di una possibile estensione del canone TV anche al possesso di altri dispositivi (vedi PC, tablet e smartphone) con cui è possibile vedere i canali RAI.

La legge di Stabilità per il 2016 prevede il pagamento del canone RAI attraverso la bolletta elettrica. Il canone – il cui importo per il 2016 scende a 100 euro (contro gli attuali 113,50) – dovrebbe essere diviso in sei rate da 16.66 euro ciascuna e si dovrebbe pagare solamente in relazione alla prima casa. Così il governo pensa di porre fine al fenomeno evasivo che affligge questa tassa sul possesso “di uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive”.

Poiché sulla misura sono circolate informazioni a volte contrastanti, il sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, intervenendo a Radio 24 su “Mattina 24”, ha precisato che il nuovo metodo di pagamento del canone non modificherà, almeno per il momento, l’impianto della normativa in vigore e che pertanto “È il possesso di un televisore il requisito per il pagamento del canone, non degli altri device”, quali computer, tablet e smartphone.

Nella norma abbiamo solo aggiunto una presunzione del possesso del televisore che è il contratto di fornitura elettrica”, ha detto ancora il sottosegretario Giovannelli, che, a proposito del contrasto all’evasione, ha evidenziato come “secondo i dati Istat il 97% degli italiani possiede un televisore. Eppure questo non emerge dai dati sul pagamento del canone”.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti