In assenza di danno erariale, è illegittima l’iscrizione a ruolo del maggior credito erroneamente riportato in dichiarazione, se non utilizzato in compensazione, né chiesto a rimborso; tanto più se il contribuente lo ha emendato, anche in sede giudiziale, dimostrando la propria perfetta buona fede.
Con questa motivazione, la Ctr di Napoli (sentenza 7753/25/2017 – presidente Marenghi, relatore Spena), in linea con l’orientamento più recente della Cassazione, ha confermato l’annullamento integrale di una cartella di pagamento emessa a seguito del controllo formale di una dichiarazione Iva, con cui una curatela fallimentare aveva, erroneamente, esposto un credito maggiore di quello effettivo.
La vicenda muove dalla liquidazione delle imposte relative all’anno del fallimento, la cui dichiarazione presentava, come detto, un importo maggiore del dovuto. Il controllo automatizzato aveva, dunque, iscritto a ruolo la differenza (pari a circa 500mila euro), maggiorata di sanzioni e interessi, cui aveva fatto seguito la notifica della cartella di pagamento da parte dell’agente della Riscossione.
La curatela aveva, così, proposto ricorso, rilevando, tra l’altro, l’assenza di danno erariale, dovuto al fatto che il maggior credito non era stato, comunque, utilizzato, né in compensazione né, tantomeno, a rimborso.
Peraltro, preso atto dell’errore, la procedura lo aveva, comunque, corretto, successivamente alla notifica della cartella, nella prima dichiarazione utile, dimostrando, in tal modo, la propria buona fede.
Nella sua difesa, l’ufficio aveva chiesto la conferma del proprio operato, ma la Ctp lo aveva censurato, accogliendo le ragioni del fallimento.
Proposto appello, l’Agenzia aveva contestato che, indipendentemente dalla correzione postuma, la mancata presentazione della dichiarazione dell’anno successivo alla sentenza di fallimento impediva di provare la mancata utilizzazione del credito; per questa ragione, a suo dire l’iscrizione a ruolo andava confermata.
La Ctr, tuttavia, ha rigettato l’opposizione del Fisco, non solo perché innovativa rispetto al primo grado, ma anche nel merito.
In particolare, i giudici campani, ricordato il divieto di ius novorum in appello, hanno ribadito che l’eccedenza di credito, erroneamente esposta in dichiarazione, non aveva, comunque, causato alcun ammanco di liquidità nelle casse erariali.
Per altro verso, sotto il profilo soggettivo non vi era stato nessun utilizzo da parte della procedura, che, anzi, presentava un saldo Iva a credito nei confronti dell’erario.
Risultava, per questo, indubbia la buona fede della contribuente, tanto più evidente in quanto, nella prima dichiarazione utile, l’errore che aveva causato il recupero era stato, come detto, definitivamente corretto. È stato, così, confermato l’orientamento oramai consolidato in Cassazione, secondo il quale la correzione della dichiarazione dei redditi può avvenire senza alcuna limitazione e, pertanto, anche in sede contenziosa.
Quanto al merito della vicenda, i giudici hanno richiamato la recente pronuncia della Corte, che ha precisato come l’errore materiale, risultante dalla dichiarazione, non legittima alcun recupero in assenza di danno erariale, che sussiste solo a seguito e per effetto dell’utilizzo del credito non spettante (sentenza 2882/2017).
Fonte “Il sole 24 ore”