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E-fattura negli appalti Pa, poco spazio agli esoneri per il nuovo standard Ue

La pubblicazione del Dlgs 148/2018 (attuativo della direttiva Ue 2014/55) in «Gazzetta Ufficiale» segna il via allo standard europeo per la fattura elettronica negli appalti pubblici, a partire dal 18 aprile 2019, senza però interferire sulla disciplina Iva applicabile alle transazioni interessate, ma determinando ulteriori peculiarità al variegato sistema della fatturazione elettronica.

Le stazioni appaltanti dovranno pertanto ricevere ed elaborare fatture elettroniche conformi allo standard europeo per gli acquisti relativi a beni, servizi e lavori previsti nell’ambito del codice dei contratti pubblici. In particolare sono soggetti al rispetto dell’obbligo le stazioni appaltanti (articolo 1, comma 1, Dlgs 50/2016), nonché alle pubbliche amministrazioni (articolo 1, comma 2, della legge 196/2009). Quindi, in sostanza, non parrebbero sussistere esoneri soggettivi e dovranno adeguarsi tutti i soggetti tenuti all’osservanza delle procedure di acquisto stabilite dal Codice dei contratti pubblici secondo le relative definizioni di «amministrazioni aggiudicatrici», «autorità governative centrali», «amministrazioni aggiudicatrici sub-centrali», «organismi di diritto pubblico» ed «enti aggiudicatori». È tuttavia previsto il differimento di decorrenza dell’obbligo al 18 aprile 2020, per le amministrazioni aggiudicatrici sub-centrali, cioè le amministrazioni aggiudicatrici che non sono autorità governative centrali e non rientrano nelle altre categorie previste dal codice di cui sopra e menzionata dall’articolo 2 del Dlgs 148/2018.

Invece, dal punto di vista oggettivo, sono escluse dall’applicazione delle nuove regole le fatture elettroniche emesse in esecuzione di contratti pubblici relativi ai lavori, servizi e forniture nei settori della difesa e sicurezza, in attuazione della direttiva 2009/81/Ce.
Le fatture elettroniche “europee” dovranno risultare conformi a specifici requisiti:
•rispettare la Core invoice usage specification (Cius) per il contesto nazionale italiano (standard europeo En 16931-1:2017);
•integrarsi con la disciplina tecnica contenuta nel decreto 55/2013 in materia di fatturazione elettronica obbligatoria verso la Pa (articolo 1, comma 213, della legge 244/2007) e mantenere il flusso sulla base del Sistema d’interscambio (Sdi).

Entro il 3 marzo 2019, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, presso Agid è prevista la costituzione di un tavolo tecnico che si occupi dell’attuazione degli obblighi attraverso:
•l’aggiornamento delle regole tecniche esistenti nella disciplina della fatturaPa e delle modalità applicative e monitoraggio della corretta applicazione delle stesse;
•valutazioni degli impatti per la pubblica amministrazione e di quelli riflessi per gli operatori economici;
•raccordo e coinvolgimento, fin dalla fase di definizione, di tutte le iniziative legislative ed applicative in materia di fatturazione e appalti elettronici.

Le disposizioni in materia di fatturazione elettronica europea non potranno comunque costituire pregiudizio per l’applicazione delle disposizioni in materia di Iva adottate in attuazione della disciplina armonizzata vigente nella Ue.

Fonte “Il sole 24 ore”

Fondo di garanzia esteso ai professionisti

Nel forcing finale delle commissioni del Senato arriva il via libera a diverse norme che interessano le attività di imprese e professioni.
A partire dall’ammissione anche dei professionisti alla sezione speciale del Fondo di garanzia per le Pmi in crisi nella restituzione dei finanziamenti bancari a causa dei crediti con la Pa. Passa anche l’emendamento dei relatori che definisce gravemente inique le clausole che prevedono termini di pagamento superiori a 60 giorni nel campo delle transazioni commerciali tra privati, ma solo nel caso di rapporti tra grandi imprese e Pmi. Tempi più rapidi per la costituzione delle società di capitali (atto depositato dal notaio entro 10 giorni e non 20) e alleggerimento degli adempimenti per le startup e le Pmi innovative che potranno inserire le informazioni anagrafiche online su startup.registroimprese.it. Ritirato in extremis, invece, l’emendamento sulle Società di investimento semplice per il venture capital.
Digitale e banda ultralarga
Finirà il 31 dicembre 2019 l’era del Commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda digitale italiana e a quel punto le competenze e le linee di azioni faranno capo direttamente al presidente del consiglio o a un ministro delegato. La presidenza del consiglio si potrà avvalere di un team di esperti, anche esterni, con una spesa di 6 milioni di euro annui a partire dal 2020. Ok alle semplificazioni per la posa della banda ultralarga fissa. Sarà più facile avviare scavi a basso impatto ambientale nelle aree monitorate dalle sovrintendenze archeologiche.
Energia e altre norme
Via libera anche all’emendamento proposto da M5S per gli “sconti” a chi viola le regole sugli impianti rinnovabili. La decurtazione degli incentivi prevista in questi casi si riduce: fra il 10 e il 50%, mentre la norma in vigore prevede valori più alti: tra il 20 e l’80%. Uno sconto si applica anche per chi realizza impianti fotovoltaici di piccola taglia, tra 1 e 3 kw. Sempre sul fronte energia scattano, su proposta di Paolo Arrigoni (Lega), procedure abilitative semplificate per la messa in funzione di piccoli impianti geotermici. Tra gli altri emendamenti approvati, anche il divieto per tutti i nuovi docenti, di ogni ordine e grado, assunti con i prossimi concorsi, di cambiare la scuola a loro assegnata per i successivi 5 anni.
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Carmine Fotina

Rottamazione delle cartelle riaperta a chi non ha versato le rate 2018

La nuova rottamazione delle cartelle pronta ad accogliere anche chi non ha saldato entro il 7 dicembre scorso le somme dovute per il 2018. La riapertura dei termini è contenuta in un emendamento al Dl semplificazioni approvato dalle commissioni Lavori pubblici e Affari costituzionali del Senato. E non è la sola novità fiscale licenziata ieri. Tra queste, lo stop alla tassa sulla bontà con il ritorno dell’Ires agevolata al 12% per il non profit almeno fino a quando non saranno individuate «misure di favore», compatibili con le regole Ue, in linea con la riforma del terzo settore. Definito il perimetro di applicazione della web tax. C’è poi l’adeguamento alla direttiva Ue che semplifica l’Iva per l’e-commerce di prestazioni di servizi delle telecomunicazioni e teleradiodifussione offerti in forma digitale. Con lo stesso correttivo si prevede il rilascio della certificazione di regolarità fiscale per chi aderisce alla rottamazione delle cartelle. Mentre sul fronte contributivo viene concesso più tempo ai datori di lavoro per mettersi in regola e non essere sanzionati con il Durc: 24 mesi in luogo dei tre mesi attuali.
Riapertura rottamazione
Il correttivo consente l’accesso alla rottamazione-ter, introdotta dal Dl fiscale di fine anno, anche ai debitori che, dopo aver aderito alla rottamazione-bis (Dl 148/2017), non hanno versato entro il 7 dicembre 2018 le somme dovute in scadenza a luglio, settembre e ottobre 2018. Attenzione, però. I debitori che vorranno salire sul treno della nuova definizione agevolata avranno tre anni per versare a rate gli importi dovuti e non cinque come prevede la rottamazione ter. Dovranno, quindi, concludere i pagamenti entro il 30 novembre 2021, anziché entro il novembre 2023.
Saldo e stralcio
Modificato anche il «saldo e stralcio», la definizione agevolata delle cartelle per chi è in difficoltà economica con un Isee fino a 20mila euro. Si precisa che le persone giuridiche, in quanto escluse da questa tipologia di sanatoria, non possono beneficiare del transito automatico dalla rottamazione-ter allo stesso «saldo e stralcio». Al contrario potranno transitare automaticamente nella rottamazione-ter anche i soggetti che non hanno versato integralmente, entro il 7 dicembre 2018, le somme dovute per la rottamazione bis, a condizione che versino entro il 30 novembre 2019 il 30% del totale dovuto e completino il pagamento entro il 30 novembre 2021.
Web tax
Con un altro emendamento approvato ieri dalle Commissioni si chiarisce che non si considerano servizi digitali, e quindi sono esonerati dall’applicazione della nuova digital tax introdotta dalla legge di Bilancio, la messa a disposizione di un’interfaccia digitale il cui scopo principale è quello di fornire agli utenti dell’interfaccia contenuti digitali, servizi di comunicazione o servizi di pagamento. In questo modo, ad esempio, non rientrano tra le prestazioni oggetto di prelievo quelli forniti dalle imprese di telefonia, i servizi di pagamento digitali (Pay pal),il marketplace dei software, borsa italiana e borsa elettrica. Viene escluso anche lo svolgimento da parte di una sede di negoziazione o di un internalizzatore sistematico delle attività e dei servizi di investimento. Non sconteranno la web tax anche le attività e i servizi di investimento e i servizi di ausilio alla concessione di prestiti da parte di un soggetto che fornisce servizi di crowdfunding autorizzato.
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Marco Mobili

Flat tax per gli autonomi, sei motivi di contrasto con i principi costituzionali

La nuova flat tax per gli autonomi è conforme alla costituzione? Un tentativo di dare una risposta richiede alcune riflessioni sui principi della Carta:

1) il comma 2 dell’articolo 53 recita che «il sistema tributario è informato a criteri di progressività». La tassa prevista dalla legge di Bilancio 2019 prevede una sola aliquota al 15% fino a 65mila euro di ricavi, che si traduce in un tetto di poco inferiore ai 50mila euro, classe di reddito nel quale rientra il 95% della totalità dei contribuenti e l’80% dei titolari di partita Iva: il reddito di 500 euro e quello di 50mila sconterà la stessa incidenza impositiva;

2) un professionista con compensi annui di circa 64 mila euro aderente alla flat tax pagherà 5.309 euro di imposte in meno rispetto al titolare di partita Iva in tassazione ordinaria (violazione principi capacità contributiva e uguaglianza, articoli 53 e 3);

3) il professionista in regime ordinario (ricavi 64mila euro) conseguirà un reddito disponibile (39.497 euro) inferiore di 2mila euro rispetto a un altro lavoratore autonomo in regime forfettario i cui incassi si fermano a 60mila euro (41.585 euro) (violazione principi progressività e capacità contributiva, articolo 53, commi 1 e 2);

4) l’imposta sostitutiva assorbe non solo l’Irpef, ma le addizionali locali e l’Irap, con la conseguenza di sollevare, a parità di capacità contributiva, una parte dei contribuenti dalla partecipazione alle fonti di finanziamento degli enti locali per i servizi erogati (violazione principi capacità contributiva e uguaglianza, articoli 53 e 3);

5) nei settori di attività svolte da iscritti alla gestione artigiani e commercianti, i contribuenti forfettari, usufruendo dell’abbattimento del 35% dei contributi previdenziali obbligatori, beneficeranno di un irragionevole bonus (violazione principio di uguaglianza, articolo 3);

6) il regime forfettario prevede l’esonero dall’applicazione dell’Iva e dai relativi adempimenti; con la conseguenza di determinare, per tutti coloro che svolgono attività nei confronti di consumatori finali un ingiustificato vantaggio competitivo (violazione principio libera concorrenza, articolo 41).

Tutto quanto ciò premesso, cosa si può fare? Ogni contribuente, escluso da tale sistema, potrebbe ricalcolare il proprio reddito con la flat tax e presentare istanza di rimborso (articolo 38 Dpr 602/73) per le somme versate in eccedenza. Avverso il silenzio rifiuto all’istanza di restituzione, il contribuente si rivolgerà alla Commissione tributaria competente, sollevando la questione di illegittimità costituzionale.

Fonte “Il sole 24 ore”

Vendita tramite e-commerce senza invio dei corrispettivi telematici

Vendite da canale e-commerce senza corrispettivi telematici. Con la risposta a interpello 9/2019 pubblicata ieri 22 gennaio, l’agenzia delle Entrate, nel fornire indicazioni sulla gestione dei diversi canali di vendita e sulla relativa certificazione fiscale, ha chiarito come le vendite a distanza vere e proprie, cioè quelle realizzate senza la presenza fisica e simultanea di venditore e consumatore attraverso l’uso esclusivo di uno o più mezzi di comunicazione a distanza, sono esentate dagli obblighi di certificazione trattandosi di commercio elettronico indiretto. Per la cessione dei propri prodotti l’interpellante, utilizzando molteplici canali di vendita, era interessato infatti a conoscerne le corrette modalità di certificazione. In particolare, per le vendite dirette al pubblico viene rilasciata fattura ovvero corrispettivi telematici dato l’esercizio dell’opzione per la trasmissione telematica degli stessi di cui al decreto legislativo n. 127 del 2015.

L’agenzia delle Entrate, riconfermando quanto indicato da ultimo con la risposta ad interpello 118/2018, ricorda come dal 1° gennaio 2019 le uniche modalità di certificazione dei corrispettivi sono quelle di rilascio di scontrini o ricevute fiscali ovvero la trasmissione dei corrispettivi giornalieri utilizzando i registratori telematici. Si possono a tal fine utilizzare anche Server-RT collocati per ciascun punto vendita in un unico idoneo locale centralizzato. Vengono invece escluse, con conseguente applicabilità di sanzioni, modalità alternative di comunicazione dei dati giornalieri, come quelle realizzate in base alla legge n. 311 del 2004 per la grande distribuzione organizzata, oppure con salvataggio dei dati in forme tali da garantirne l’immodificabilità come nel caso di utilizzo di sistemi di conservazione elettronica dei dati.

Al riguardo il contribuente istante risulta essere un soggetto che ha optato, a suo tempo, per la trasmissione telematica dei corrispettivi secondo le modalità previste per la grande distribuzione organizzata dalla legge n. 311 del 2004. Tale opzione è venuta meno lo scorso 31 dicembre 2018 ma, in sede di conversione in legge (atto Senato 989) del Dl semplificazioni 135/2018 è stato presentato un emendamento volto a prorogare l’opzione esercitata per la Gdo sino al 31 dicembre 2019 sanando così le posizioni di quanti non hanno rifiscalizzato i punti vendita con i registratori di cassa o non hanno esercitato l’opzione per la trasmissione telematica dei corrispettivi giornalieri.

Inoltre trattandosi del secondo interpello rilasciato sul medesimo a distanza di un mese, il che dimostra l’interesse generale alla specifica questione, e alla luce anche dell’imminente avvio dell’obbligo di trasmissione telematica dei corrispettivi previsto da luglio 2019 per i contribuenti con volume d’affari oltre i 400mila euro e dal 1 gennaio 2002 per tutti, sarebbe opportuno prevedere una moratoria sanzionatoria analogamente a quanto già a regime per l’obbligo di fatturazione elettronica.

Infine, le altre modalità di vendita utilizzate dall’interpellante sono quelle tramite vending machine, non presidiate da un operatore, o mediante altre apparecchiature funzionanti senza presidio fisso e con consegna realizzata presso punti vendita non di proprietà dell’istante: in entrambi i casi, per l’agenzia delle Entrate si è in presenza di installazioni che vanno censite come vending machine in quanto ritenute comunque distributori automatici.

Fonte (Il sole 24 ore)

Il controllo di una Srl blocca l’adesione

Quando la società esercita un’attività riconducibile a quella svolta dal lavoratore
Deve essere definita la nuova incompatibilità per l’applicazione del regime forfettario prevista dalla lettera d) del comma 57 della legge 190/14, introdotta dalla legge 145/18. Si tratta della disposizione che prevede la causa di esclusione per i soggetti che «controllano direttamente o indirettamente società a responsabilità limitata o associazioni in partecipazione, le quali esercitano attività economiche direttamente o indirettamente riconducibili a quelle svolte dagli esercenti attività di impresa, arti o professioni». Le condizioni affinché scatti la causa ostativa devono essere due e cioè il controllo diretto ed indiretto della Srl e lo svolgimento di una attività similare.
I casi non sono frequenti ma quello tipico riguarda la professione del commercialista che partecipi a una Srl che svolga l’attività di elaborazione dati la quale venga utilizzata per la tenuta delle contabilità dei clienti. Ci si chiede se il socio della Srl, realizzando ricavi di importo non superiore a 65mila euro, possa applicare per la propria attività individuale di commercialista il regime forfettario.
Per stabilire il controllo viene spontaneo pensare all’articolo 2359 del Codice civile. Indubbiamente il controllo c’è se il professionista dispone della maggioranza assoluta dei voti esercitabili in assemblea. O tale controllo c’è se il commercialista aspirante forfettario possiede il 51% di una Srl la quale possiede il 51% di un’altra Srl che svolge l’attività di elaborazione dati.
Il comma 2 dell’articolo 2359 precisa che si computano anche i voti spettanti a persona interposta. A nostro parere non può essere automatico considerare ad esempio un familiare come persona interposta; cioè a dire che se le quote della Srl di elaborazione dati fossero possedute dai familiari dell’aspirante forfettario, sarebbe inibito a quest’ultimo il forfait. Ciò perchè quando il legislatore ha voluto considerare il familiare come un soggetto interposto lo ha detto espressamente.
Infatti nella medesima legge di bilancio al comma 70 in materia di credito di imposta per l’attività di ricerca e sviluppo, la norma esclude che tale attività, venga effettuata da società appartenenti al medesimo gruppo e cioè controllanti o controllate; aggiunge poi la norma che per le persone fisiche si tiene conto anche delle partecipazioni o diritti posseduti dai familiari dell’imprenditore individuati nell’articolo 5 del Dpr 917/86 (coniuge, parenti entro il terzo grado o affini entro il secondo). Quindi in questo caso la parentela è prevista espressamente.
La normativa in materia di antiriciclaggio (articolo 4 del Dl 167 /90) specifica che vengono coinvolti anche i titolari effettivi e cioè le persone fisiche che in ultima istanza possiedono o controllano la persona fisica per conto della quale è realizzata una determinata attività; la circolare delle Entrate 38/13 classifica fra questi soggetti anche i familiari sempre con il grado di parentela di cui all’articolo 5 del Tuir, ma nella norma in materia di regime forfettario manca qualsiasi riferimento alle persone della famiglia.
A nostro avviso pertanto la causa di esclusione sussiste soltanto quando, il contribuente forfettario possiede la maggioranza assoluta dei voti nella Srl, anche per il tramite di società controllata.
Altra questione è quella di stabilire se nella ipotesi in cui il contribuente si trova in questa condizione possa liberarsi della partecipazione in Srl nel 2019 e questo non comprometta il regime forfettario per il medesimo periodo di imposta. La circolare dell’Agenzia 10/16 precisa che questo è possibile, ma la fattispecie esaminata riguardava la partecipazione in una società trasparente il cui reddito cadeva nella dichiarazione dei redditi del forfettario: la fattispecie della srl è diversa e purtroppo la regola è che le cause di esclusione non devono sussistere nel periodo di imposta di applicazione del regime forfettario.
Infine c’è la questione della incompatibilità con la Srl controllante che svolga una attività riconducibile a quella del forfettario. In questo ambito il codice di attività è certamente una utile indicazione, ma non può essere il solo. A nostro parere la causa di esclusione scatta quando l’attività svolta dalla srl potrebbe essere svolta anche dal professionista e questo è proprio il caso del commercialista che controlla una società di servizi contabili.
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Gian Paolo Tosoni

I crediti verso la Pa non evitano la vendita forzata dei beni pignorati

L’articolo 4 del decreto-legge 135/2018 (intitolato «Modifiche al codice di procedura civile in materia di esecuzione forzata nei confronti dei soggetti creditori della pubblica amministrazione») al comma 2 interviene sull’articolo 560 del Codice di procedura civile (si veda il box). Siamo dunque nell’ambito dell’espropriazione immobiliare, quando cioè il processo esecutivo è iniziato aggredendo con il pignoramento un bene immobile.

Dopo la trascrizione del pignoramento e proposta l’istanza di vendita, il giudice fissa l’udienza per la comparizione delle parti e dei creditori “iscritti” di cui all’articolo 498 (quelli cioè che sui beni pignorati hanno un diritto di prelazione risultante dai pubblici registri) che non siano intervenuti. È in questa udienza che il debitore esecutato deve documentare di essere titolare di crediti nei confronti di pubbliche amministrazioni; e di ciò si farà menzione nell’avviso di vendita per mettere, evidentemente, al corrente di questa circostanza chi intendesse rendersi acquirente del bene.

Da ciò risulta chiaro che, pur quando l’esecutato abbia fatto emergere la circostanza di essere titolare di quei crediti, il processo continua nella ricerca dell’acquirente; non si ha quindi una nuova ipotesi di improseguibilità/improcedibilità del processo esecutivo disposta a favore del debitore che versi in quella particolare situazione.

L’esecuzione continua fino ad individuare l’acquirente, fino al versamento da parte sua del prezzo, fino alla pronuncia del decreto che trasferisce all’acquirente stesso la titolarità del bene pignorato e ne dispone il rilascio a suo favore per una data compresa tra il sessantesimo ed il novantesimo giorno successivo.

Il “vantaggio” che deriva al debitore esecutato dall’aver fatto emergere all’udienza la circostanza di essere titolare di crediti nei confronti di pubbliche amministrazioni consiste così solo nel ritardare il momento del rilascio dell’immobile; rilascio che non potrà avvenire prima che sia decorso il termine fissato nel decreto. Con la pronuncia del decreto di trasferimento, cioè, il debitore esecutato, pur creditore verso pubbliche amministrazioni, perde comunque la titolarità del suo bene, ed è pronto a perderne anche la disponibilità materiale in conseguenza del rilascio disposto dal giudice.

Inoltre il pur limitato vantaggio accordato al debitore viene riconosciuto solo se a essere pignorato sia stato un suo bene immobile. Se il creditore avesse pignorato un bene diverso – ad esempio il denaro in conto corrente (nella forma dell’espropriazione presso terzi) – l’essere titolare di crediti nei confronti di pubbliche amministrazioni non gioverebbe all’esecutato in alcun modo.

Infine questo “vantaggio” non è già operativo. Infatti l’ultimo comma dello stesso articolo 4 prevede che tutte le disposizioni introdotte con l’articolo stesso non si applicano alle esecuzioni iniziate anteriormente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto.

Il che porta a una semplice riflessione. Se ci fosse necessità e urgenza, la protezione andrebbe accordata al debitore in tutte le espropriazioni – immobiliari – che contro di lui venissero instaurate appena entrato in vigore il decreto; o – forse ancor meglio – anche nei processi pendenti ma non ancora giunti all’udienza.

Ma se la protezione deve applicarsi solo ai processi che inizieranno addirittura dopo la pubblicazione della legge di conversione, non ci si può non domandare dove risieda il caso straordinario di necessità e d’urgenza richiesto dall’articolo 77 della Costituzione per l’adozione di un decreto legge.

Fonte “Il sole 24 ore”

Rimedi difficili per l’invio errato a un codice destinatario valido

L’errata indicazione del codice destinatario nel tracciato Xml può determinare lo scarto della fornitura da parte dello Sdi oppure, in alcuni casi, la trasmissione della fattura elettronica al soggetto sbagliato.
È questo quello che emerge dai primi giorni di operatività del nuovo sistema di trasmissione elettronica delle fatture attraverso lo Sdi. Una situazione che solleva, in particolare nel caso di trasmissione della fattura ad un soggetto sbagliato, non pochi interrogativi in termini di riservatezza delle informazioni e di procedura di regolarizzazione.
Lo Sdi non effettua analisi di merito sui dati inseriti nel file Xml della fattura, controllando esclusivamente l’avvenuta compilazione dei campi obbligatori ai fini della disciplina Iva. Gli unici controlli sostanziali effettuati dal sistema sono quelli sull’esistenza del codice fiscale e della partita Iva dei soggetti coinvolti nella transazione (attraverso una verifica di presenza nell’anagrafe tributaria) e sull’esistenza del codice destinatario del soggetto ricevente, laddove sia stato indicato nell’apposto campo del file Xml.
Questo significa che, se da un lato l’indicazione di un codice destinatario errato (vuoi perché erroneamente registrato in anagrafica, vuoi perché erroneamente comunicato dal cliente) determina lo scarto della fattura da parte dello Sdi, dall’altro l’errata indicazione di un codice destinatario valido determina invece la consegna della fattura al soggetto sbagliato. Quest’ultimo si limiterà con tutta probabilità semplicemente a cestinare la fattura, non avendo peraltro alcuna informazione immediata (indirizzo email, Pec) all’interno del tracciato Xml che gli permetta di contattare il soggetto trasmittente, che non avrà quindi modo di rendersi conto dell’errore, oppure lo scoprirà quando la fattura andrà insoluta, non avendo il cliente ricevuto la fattura. C’è però un altro aspetto ancor più sensibile: la riservatezza dei dati contenuti nella fattura consegnata all’indirizzo telematico sbagliato.
Sul piano, poi, della regolarizzazione della fattura inviata e ricevuta da un soggetto sbagliato, è chiaro che l’emittente, nel momento in cui si avvede dell’errore, vuoi per controlli interni, vuoi perché il cliente non paga, dovrà intervenire sulla precedente fattura emessa, senza variare ovviamente i termini di liquidazione dell’imposta, che deve seguire necessariamente l’effettuazione dell’operazione. Pertanto, quello che si ritiene possibile (anche perché la fattura è stata messa a disposizione nell’area riservata del cliente effettivo) è una comunicazione al cliente effettivo con cui si spiega l’errore e si rende noto che la fattura è a disposizione nell’area riservata. Inoltre, in relazione al soggetto che erroneamente ha ricevuto il documento (quando sarà possibile identificarlo), sarà necessario formalizzare, non tramite Sdi, l’errore al solo fine di lasciare agli atti di entrambi che il documento è stato ricevuto per un semplice errore di trasmissione.
Le riflessioni appena fatte danno quindi ancor più rilevanza alla possibilità fornita dall’agenzia delle Entrate di registrare l’indirizzo telematico attraverso il servizio web disponibile sul portale «Fatture e corrispettivi». In tal caso, infatti, lo Sdi invierà tutte le fatture all’indirizzo pre-registrato, indipendentemente dalla Pec o dal codice destinatario indicato nel file Xml della fattura, minimizzando pertanto non solo il rischio di scarto della fattura, ma anche il rischio che per errore la fattura venga trasmessa ad un soggetto sbagliato.
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Matteo Ravera
Benedetto Santacroce

Bollo e-fattura, conto automatico e pagamento trimestrale

Per le fatture elettroniche pagamento del bollo entro il 20 del mese successivo al trimestre di emissione. Le nuove regole, però, non operano per gli atti e i documenti fiscali informatici diversi dalle fatture elettroniche.

La novità, che avrà un impatto diretto già sulle fatture elettroniche emesse dal 1° gennaio 2019, è stata prevista dal decreto del ministro dell’Economia del 28 dicembre 2018, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 7 gennaio. In particolare, il Dm ha stabilito che il pagamento dell’imposta relativa alle fatture elettroniche emesse in ciascun trimestre solare deve essere effettuato entro il giorno 20 del primo mese successivo.

Per quanto riguarda l’ammontare da versare per le e-fatture emesse, sarà la stessa agenzia delle Entrate a comunicarlo al contribuente, sulla base dei dati presenti nelle fatture elettroniche inviate attraverso il Sistema di interscambio (Sdi). Nello specifico, l’informazione relativa all’ammontare dell’imposta dovuta sarà riportata all’interno dell’area riservata del contribuente, presente sul sito dell’Agenzia. È evidente che lo scopo della disposizione è quello di semplificare le modalità di pagamento delle imposte di bollo relative alle fatture elettroniche e facilitare così l’adempimento da parte del contribuente.

A completare il nuovo perimetro applicativo sono, poi, le due modalità di pagamento previste; difatti, sul sito dell’Agenzia sarà messo a disposizione un servizio che permetterà agli interessati di pagare l’imposta di bollo con addebito sul conto corrente bancario o postale. In alternativa, il contribuente potrà utilizzare il modello F24 predisposto dall’Agenzia. Questa semplificazione è sicuramente apprezzabile, in quanto un calcolo automatizzato evita errori e consente ai contribuenti di verificare eventuali dimenticanze.

Per le fatture in formato Xml, non vanno comunque considerate tutte le altre modalità di pagamento, come il contrassegno o l’assolvimento dell’imposta mediante autorizzazione virtuale. In riferimento a quest’ultimo profilo, l’Agenzia ha recentemente chiarito con una Faq che i soggetti autorizzati al pagamento del bollo virtuale ai sensi dell’articolo 15 del Dpr 642/1972, che emettono esclusivamente fatture elettroniche, possono rinunciare all’autorizzazione nelle modalità previste dall’articolo 15 del Dpr 642/1972.

Si evidenzia, infine, che le fatture elettroniche per cui è obbligatorio l’assolvimento dell’imposta di bollo devono riportare annotazione specifica di assolvimento dell’imposta ai sensi del decreto ministeriale così modificato.

Resta, invece, fermo quanto già previsto dal Dm del 17 giugno 2014 per il pagamento dell’imposta relativa agli atti, ai documenti ed ai registri (ad esempio il libro giornale), emessi o utilizzati durante l’anno. Il decreto in esame ha difatti espressamente lasciato inalterata la precedente modalità, che prevede il versamento dell’imposta in un’unica soluzione entro 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio e cioè entro il 30 aprile dell’anno successivo o 29 aprile per gli anni bisestili, dopo avere calcolato quanto complessivamente dovuto per tutte le fatture elettroniche emesse durante l’anno.

In definitiva, la nuova disposizione introduce un sistema binario a seconda del tipo di documento a cui si riferisce l’imposta di bollo, aggiungendo di fatto al sistema e-fattura un automatismo che può risultare particolarmente agevole per gli operatori economici.

Fonte “Il sole 24 ore”

Regime forfettario, doppia verifica sulle partecipazioni in mano ai professionisti di Giorgio Gavelli

di Giorgio Gavelli

Per entrare nel nuovo regime forfettario i professionisti dovranno prima superare lo sbarramento delle situazioni di incompatibilità. Lo stop alla tassa piatta del 15% prevista da quest’anno per le partite Iva scatta in caso di controllo (anche indiretto) ed esercizio di una attività “riconducibile”, anche indirettamente, a quella condotta come professionista singolo. Ma sull’effettiva interpretazione di queste norme della Manovra 2019 (articolo 1, comma 55 della legge 145/2018 ) si stanno già interrogando i professionisti, sia chi è già in regime forfettario, sia chi può rientrarvi con la nuova soglia di 65mila euro. Certo, rispetto ai primi testi la flessibilità è maggiore: prima infatti qualsiasi partecipazione bloccava l’accesso, ma anche ora le posizioni di confine potrebbero essere molte, e tutto dipenderà dai criteri interpretativi diffusi dalle Entrate.

Attualmente, le situazioni di conflitto possono essere distinte in due gruppi:

le partecipazioni sempre escluse, quali quelle in società di persone, studi associati o imprese familiari, indipendentemente dal ruolo e dall’oggetto dell’attività. In passato (il riferimento era, allora, il regime dei “minimi”) c’è stata un’apertura al socio accomandante «senza ingerenze» nell’attività (circolare 17/E/2012 ), ma ora, vista la stretta del legislatore, anche questa posizione sembra essere più “fuori” che “dentro”;

le partecipazioni che diventano inconciliabili solo se qualificate sotto il duplice aspetto del controllo e dell’attività economica esercitata, in Srl e associazioni in partecipazione (da notare che non vengono citate Spa, società cooperative e in accomandita per azioni che, quindi, non dovrebbero creare incompatibilità). Resta sempre fuori, presumibilmente, la società agricola, se non produce reddito d’impresa (risoluzione 27/E/2011).

Ma come declinare in concreto i due requisiti? Il controllo, anche indiretto, è nozione giuridica (articolo 2359 del Codice civile), che distingue due diverse figure (“di diritto” e “di fatto”) – non citate dalla disposizione sui forfettari – e che impone di considerare i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta. Se si optasse per un controllo “di diritto”, l’applicazione sarebbe più semplice ma anche facilmente eludibile. È, quindi, probabile che l’interpretazione ufficiale si muova più verso il controllo “di fatto”, puntando il soggetto economico, se non addirittura il titolare effettivo (Dlgs 90/2017). Questa informazione peraltro a regime sarà reperibile direttamente dal registro imprese. Se così fosse, ad esempio, al commercialista o al consulente del lavoro, soci di maggioranza della società di elaborazione dati con il coniuge, non basterebbe riservarsi solo il 40% donando il resto al coniuge, per sfuggire al controllo poiché, nella sostanza, non cambierebbe nulla e si potrebbe incorrere nel controllo indiretto.

Ancora più difficile da decifrare è la “riconducibilità” dell’attività svolta dalla struttura partecipata rispetto a quella del singolo che aspira al forfait. Qui un riferimento facile per l’interprete è presente nella stessa disciplina del regime di favore, con la differenziazione dei coefficienti di redditività basata proprio su una ripartizione dei codici Ateco per settore di attività. Ma se questo fosse il criterio, l’incompatibilità sarebbe abbastanza estesa, nel senso che i gruppi selezionati per la redditività sono solo 9, con gli ultimi due ( servizi intellettuali e finanziari e gruppo residuale) che comprendono tantissime attività, tra loro anche distanti. Ad esempio, il professionista potrebbe essere socio (anche di maggioranza) in una società immobiliare o in un ristorante, ma si troverebbe escluso partecipando in un’attività di servizi anche poco attinente; è il caso di un geometra socio maggioritario di una Srl di pubbliche relazioni o di traduzioni. Verrà predisposta una tabella differente, più rispondente allo scopo, magari esaminando i vari ordinamenti professionali per qualificare le attività «assimilabili» a quella principale? Difficile, ad oggi, immaginarlo. L’importante è che non si resti nel limbo dei principi (troppo) generali, che ogni contribuente (ed ogni ufficio) potrebbe riempire di contenuti in modo più o meno libero. Già perché il venir meno (retroattivamente: articolo 1, comma 74, legge 190/2014 ) dei requisiti per il forfettario dopo un accertamento è una specie di “tsunami” tributario, e non è il caso di collegare effetti così rilevanti a questioni interpretative. In attesa dei chiarimenti, dunque, meglio essere prudenti.

Fonte “Il sole 24 ore”

Sanatoria dei processi verbali anche per un solo periodo d’imposta

La maggiore criticità della sanatoria dei processi verbali di constatazione, prevista nell’articolo 1 del decreto fiscale (decreto legge 119/2018), è rappresentata dal fatto che occorre definirne integralmente il contenuto. Si tratta di una limitazione non da poco, atteso che, a regime, è sempre possibile regolarizzare le singole violazioni, attraverso il ravvedimento, con il pagamento della sanzione pari a un quinto del minimo. D’altra parte, è del tutto evidente come un simile obbligo possa determinare, da lato, un costo eccessivo della sanatoria, difficilmente sostenibile dal contribuente, dall’altro, l’accettazione anche di rilievi palesemente infondati.
In attesa dei necessari chiarimenti dell’agenzia delle Entrate è tuttavia possibile proporre alcune riflessioni sul punto.
In primo luogo, occorre chiedersi come comportarsi in presenza di un processo verbale afferente una pluralità di periodi d’imposta. Nonostante la dizione letterale della norma, si ritiene che il principio di autonomia dell’obbligazione d’imposta consenta di scegliere quantomeno le annualità che intende regolarizzare. Pertanto, in presenza ad esempio di un processo verbale afferente gli anni dal 2013 al 2015, dovrebbe essere ammesso presentare la dichiarazione integrativa unicamente per il 2015. Una simile interpretazione, peraltro, rafforzerebbe la considerazione secondo cui l’eventuale notifica di un avviso di accertamento avvenuta entro il 24 ottobre scorso risulterebbe ostativa unicamente per l’anno accertato. Se infatti si accetta l’idea che i singoli periodi d’imposta sono autonomi, si giunge agevolmente alla conclusione che anche la cause impeditive della sanatoria in esame debbano essere limitate a ciascun anno.
Occorre altresì interrogarsi se l’obbligo del recepimento integrale del contenuto del processo verbale di constatazione debba necessariamente comprendere anche i rilievi che l’Ufficio ha successivamente abbandonato.
Si pensi, solo per fare uno dei tanti esempi possibili, ad un pvc che abbia contestato l’omessa dichiarazione di ricavi, senza tenere in considerazione i maggiori costi a essi riferibili. O ancora, si ipotizzi una contestazione di indeducibilità dei costi per difetto di inerenza.
Qualora il contribuente abbia presentato memorie difensive, ai sensi dell’articolo 12 della legge 212/2000, evidenziando gli errori in cui sono incorsi i verificatori e documentando la fondatezza delle proprie richieste, l’Ufficio sarebbe tenuto a valutare tali deduzioni. Laddove nelle more della presentazione della dichiarazione integrativa, e cioè entro il 31 maggio 2019, venisse notificato l’avviso di accertamento derivante dal processo verbale con accoglimento delle eccezioni del contribuente, sarebbe molto importante capire come dovrebbe essere compilata la dichiarazione di condono.
Al riguardo, si è dell’opinione che il contribuente sia legittimato a ridurre il maggiore imponibile da dichiarare in misura corrispondente agli importi accertati. La valutazione dell’Ufficio, manifestata nell’avviso di accertamento, svolgerebbe infatti una funzione analoga a quella dell’autotutela, con effetti normalmente retroattivi. Sarebbe d’altra parte piuttosto singolare se vi fosse l’obbligo di integrare l’imponibile per un importo maggiore di quello preteso dal Fisco.
Se così fosse, i soggetti passivi avrebbero tutto l’interesse ad anticipare il momento della notifica degli atti di accertamento, con la necessaria collaborazione dell’agenzia delle Entrate.
A tale riguardo, non è di aiuto la proroga biennale dei termini dell’accertamento, prevista per i periodi d’imposta fino al 2015, relativa alle violazioni constatate nei processi verbali definibili. Si tratta di un differimento dei termini che riguarda la generalità dei processi verbali consegnati entro il 24 ottobre scorso, a prescindere dalla circostanza che il contribuente provveda o meno a regolarizzarli con la sanatoria in esame.

Fonte “Il sole 24 ore”

E-fattura ad hoc per notai, avvocati e commercialisti

Meno 15 giorni al D- day della fattura elettronica. Ma quella che si apre oggi è di fatto l’ultima settimana – ferie natalizie a parte – per prepararsi a questo delicato passaggio. Anche se il vero test sarà quello della riapertura del 7 gennaio, non è affatto improbabile che già nei primi giorni di gennaio gli studi possano dover emettere o vedersi recapitare e-fatture tramite il canale prescelto (sia esso un consulente fiscale incaricato o direttamente l’agenzia delle Entrate o in proprio). Di fatto la scelta del canale per (quasi) tutti è ormai alle spalle: fanno eccezione i dottori commercialisti che intendono aderire al servizio offerto dal Cndcec, il cui debutto è previsto domani.
Meglio quindi sfruttare il poco tempo rimasto per le ultime verifiche sulla riorganizzazione dei processi interni e per fare il punto sui tempi di trasmissione delle e-fatture: per alcune partite Iva, infatti, ci sono alcune specificità.
Le fatture differite 
Anche con la fattura elettronica i professionisti possono ritardare l’emissione della fattura rispetto al momento in cui incassano le somme dai clienti. A patto che le prestazioni di servizi siano individuabili attraverso «idonea documentazione» e siano effettuate nello stesso mese solare verso lo stesso soggetto (articolo 21 decreto Iva). L’unica fattura deve riportare il dettaglio delle operazioni e va emessa entro il giorno 15 del mese successivo a quello di riferimento.
Ma cosa si intende per «idonea documentazione»? Secondo la circolare 18/E/2014 possono documentare le prestazioni di servizi: l’attestazione dell’avvenuto incasso del corrispettivo, i contratti, le note di consegna lavori,le lettere di incarico ed eventuali relazioni professionali.
Anche la fattura pro forma rappresenta un documento idoneo. Quando il professionista emetterà la fattura definitiva richiamerà i riferimenti di quella pro forma. Ad esempio se il professionista emette la pro forma il 5 agosto ed incassa il compenso il 19 agosto, la fattura elettronica potrà essere emessa entro il 15 settembre (ma il debito Iva deve confluire nella liquidazione Iva di agosto).
Il fondo spese 
Notai, commercialisti e avvocati anche con la e-fattura possono continuare ad utilizzare il fondo spese e ad emettere fattura entro i 60 giorni dalla sua costituzione.
Questa possibilità può essere sicuramente utile nella prima parte del 2019, cioè quando i professionisti dovranno familiarizzare con l’emissione dei documenti in formato digitale. Il momento di effettuazione dell’operazione coincide con lo spirare del termine di 60 giorni, ma il professionista può sempre anticipare la fatturazione.
La check list preliminare
È opportuno un controllo finale su tutte le anagrafiche dei clienti di studio. Accanto al nome di ognuno devono ora comparire la Pec o il Codice destinatario, il numero di sette cifre che identifica il soggetto presso lo Sdi e senza il quale la fattura non può essere recapitata. In questi giorni ci si può collegare al portale delle Entrate «Fatture e corrispettivi» (https://ivaservizi.agenziaentrate.gov.it/portale/) o tramite il cassetto fiscale e generare il proprio Qr code identificativo da trasferire poi su tablet, telefono o carta. Servirà ad esempio quando si è in trasferta e si chiede a “nuovi” fornitori (dall’hotel al ristorante) di generare la fattura.
Sul fronte privacy, l’impatto della e fattura dovrebbe essere ridotto, a patto che lo studio sia già in regola con il Gdpr e con l’informativa sul consenso al trattamento dei dati. Sullo sfondo restano, però, i dubbi del Garante sui rischi nella trasmissione dei tanti dati richiesti.

Fonte “Il sole 24 ore”

Partite Iva, corsa alla flat tax del 15% ma pesano gli ostacoli all’accesso

Aderire o no al regime forfettario: si avvicina l’ora delle scelte per i 909mila contribuenti Iva con un volume d’affari tra i 30 e i 65mila euro. Cifra, quest’ultima, destinata a diventare dal 1° gennaio il nuovo tetto di ricavi e compensi per l’applicazione dell’imposta flat al 15 per cento. Ma una decisione s’impone anche per molti soci di società di persone (circa 830mila tra Snc e Sas) e società di capitali (1,26 milioni tra Srl e Spa). Tutti questi soggetti, per sfruttare la nuova tassazione, possono valutare di liberarsi di quote minoritarie o addirittura – in casi limite – scegliere di operare individualmente.
Proprio per evitare che la cosiddetta flat tax si traduca in un incentivo a far da soli – a danno della crescita dimensionali di microimprese e start-up – si potrebbero introdurre correttivi alla normativa, ma solo dopo l’approvazione della legge di Bilancio (si veda Il Sole 24 Ore di sabato scorso, 15 dicembre).
Sta di fatto che, come riferiscono gli operatori, nei giorni scorsi alcuni titolari di partita Iva che detenevano quote in Srl non in regime di trasparenza hanno iniziato a cederle: infatti, il possesso di tali quote non preclude l’accesso al forfait quest’anno, ma lo farà nel 2019, secondo l’impianto delineato dalla manovra. E allora, meglio non rischiare.
Posto che tutti i forfettari eviteranno l’emissione obbligatoria della fattura elettronica, la valutazione di fattibilità e convenienza è diversa per chi ha già una partita Iva (ma non ha ancora aderito al forfait) e per chi, invece, avvierà l’attività l’anno prossimo. Pensiamo a giovani, disoccupati, dipendenti o pensionati che avviano un secondo lavoro.
Le statistiche dicono che nei primi nove mesi di quest’anno il 39,7% delle nuove partite Iva è stato aperto optando fin da subito per il regime forfettario. In pratica, 160.851 contribuenti, cui corrisponde la percentuale più alta rilevata negli ultimi anni. L’appeal del regime agevolato, insomma, cresce tra i “nuovi”. E nel 2019 non ci si dovrà neppure più preoccupare dei compensi ai collaboratori (oggi il limite è 5mila euro annui) e degli investimenti in beni strumentali (oggi 20mila euro). Né rileverà l’ammontare dello stipendio o della pensione: l’importante è che i compensi sottoposti alla flat tax rientrino nella soglia dei 65mila euro. Ma per chi ha un datore di lavoro – o l’ha avuto nei due anni precedenti – la manovra che in settimana proseguirà l’iter in Parlamento prospetta un vincolo da non sottovalutare: i ricavi ottenuti dal datore non possono essere prevalenti. Una salvaguardia per evitare dipendenti mascherati da partite Iva, che si estende anche ai soggetti riconducibili indirettamente al datore (come società controllate o affiliate).
L’innalzamento del tetto dei ricavi e l’eliminazione degli altri requisiti può rendere il forfait conveniente anche per chi già opera con partita Iva. Ad esempio, il 18,7% degli avvocati e il 23,7% dei commercialisti dichiara a fini previdenziali compensi tra i 30 e i 65mila euro. Tuttavia, al di là delle altre valutazioni di convenienza (si veda l’articolo in basso) va subito stimato l’eventuale rimborso dell’Iva detratta sugli acquisti di beni strumentali effettuati negli ultimi cinque anni e sulle rimanenze. Un fatto che può trasformare un’auto o un furgone in un ticket d’ingresso.

Fonte “Il sole 24 ore”

Scontrini telematici, il fornitore «anticipa» lo sconto fiscale

Nel 2019 non scatta solo l’obbligo di fattura elettronica ma anche quello di trasmissione telematica dei corrispettivi. In questo caso, la prima scadenza sarà il prossimo 1° luglio per commercianti ed esercenti con volume d’affari sopra i 400mila euro e poi dal 1° gennaio 2020 toccherà a tutti gli altri. Un obbligo istituito dal decreto fiscale convertito definitivamente ieri dalla Camera.
Il provvedimento in questione prevede anche un’agevolazione per l’adeguamento tecnologico. Nel 2019 e 2020 verrà, infatti, concesso un contributo complessivamente pari al 50% della spesa sostenuta per un massimo di 250 euro in caso di acquisto e di 50 euro in caso di adattamento per ogni strumento con cui effettuare la memorizzazione e la trasmissione telematica dei corrispettivi. Sarà il fornitore a dover anticipare l’agevolazione che si tradurrà in uno sconto sull’acquisto. A questo punto, come farà il fornitore a recuperare lo sconto concesso? Con un rimborso sotto forma di credito d’imposta da utilizzare in compensazione, a cui non si applica né il limite dei 250mila euro relativo all’indicazione nel quadro RU della dichiarazione dei redditi né quello di utilizzo annuale di 700mila euro.
In sostanza, il fornitore agisce quasi come se fosse un sostituto d’imposta e si limita anche il campo degli eventuali successivi controlli perché la platea degli acquirenti sarebbe comunque più ampia di quella dei fornitori. Ma la questione di fondo è che per la misura sono previste risorse abbastanza limitate: 36,3 milioni per il 2019 e 195,5 milioni per il 2020. Che succede se chi anticipa lo sconto poi non trova “copertura” per il credito d’imposta? E quali sono le modalità per usufruirne? Dubbi a cui dovrà rispondere un provvedimento attuativo delle Entrate. Anche se tra i rumors c’è la possibilità di un correttivo da inserire in manovra che conceda il credito d’imposta direttamente agli acquirenti.
Intanto le categorie interessate stanno già facendo i conti con il cambiamento in arrivo, come è emerso anche dal videoforum online del Sole 24 Ore di ieri. Donatella Prampolini, vicepresidente di Confcommercio, ha messo in risalto come solo i registratori di cassa di ultima generazione potranno essere aggiornati mentre gli altri andranno sostituiti, ma ci sarà anche bisogno di una connessione funzionante. Mauro Bussoni , segretario generale di Confcommercio, plaude all’invio telematico in termini di trasparenza ma non nasconde perplessità, invece, sulla lotteria degli scontrini.

Dal “Il sole 24 ore”

IL CALENDARIO DELLA PACE FISCALE

I principali termini 2018-2019 in base al testo del Dl 119/2018 dopo il via libera definitivo del Parlamento Entrata in vigore della legge di conversione
Liti pendenti
Le controversie tributarie pendenti in Cassazione entro tale data e per le quali l’agenzia delle Entrate risulti soccombente in tutti i precedenti gradi di giudizio potranno essere definite con il pagamento di un importo pari al 5 % della lite

Stralcio delle cartelle fino a mille euro 31 dicembre 2018
Data entro la quale avverrà la cancellazione automatica dei carichi 2000-2010 fino a mille euro

Liti pendenti 1 aprile 2019
Anche gli enti territoriali potranno decidere di aderire alla definizione delle liti pendenti di cui sono parte anche con un ente strumentale

Rottamazione delle cartelle 30 aprile 2019
Il debitore può presentare istanza di adesione alla rottamazione-ter delle cartelle
Sanatoria ruoli tariffe doganali e Iva all’importazione
Dichiarazione all’agente della riscossione per aderire alla sanatoria su tariffe doganali e Iva all’importazione
Sigarette elettroniche
Scade il termine per presentare l’istanza di adesione con il modello che le Dogane metteranno a disposizione entro il 28 febbraio 2019 per aderire alla sanatoria con il versamento del 5% sui debiti maturati fino al 31 dicembre 2018 relativi a imposte di consumo sulle e-cig

Processi verbali di constatazione 31 maggio 2019
Entro fine maggio dovrà essere presentata la dichiarazione per regolarizzare le violazioni constatate nel Pvc Processi verbali di constatazione
Termine per il versamento in unica soluzione o della prima rata delle imposte autoliquidate senza il pagamento di sanzioni e interessi. Le rate successive alla prima devono essere versate entro l’ultimo giorno di ciascun trimestre
Liti pendenti
Ultimo giorno utile per presentare l’istanza di definizione agevolata per ciascuna controversia autonoma e per versare l’unica o la prima rata del dovuto
Errori formali
Si versa la prima delle due rate (la seconda scade il 2 marzo 2020) per la sanatoria degli errori formali con 200 euro per periodo d’imposta 10 giugno 2019
Liti pendenti
Il processo resta sospeso fino al 31 dicembre 2020 se entro il 10 giugno 2019 il contribuente deposita presso l’organo giurisdizionale innanzi al quale pende la controversia copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata
Rottamazione delle cartelle 30 giugno 2019
L’agente della riscossione comunica ai debitori che hanno aderito le somme dovute nonché l’importo delle singole rate da saldare e la scadenza di ciascuna di esse
Rottamazione delle cartelle 31 luglio  2019
Pagamento in unica soluzione o della prima rata della rottamazione-ter ma è anche il termine da cui decorre il nuovo piano per i contribuenti rientrati dalle precedenti rottamazioni
Ruoli tariffe doganali e Iva all’importazione
L’agente della riscossione comunica ai debitori che hanno presentato la dichiarazione le somme dovute, le singole rate e le scadenze

Liti pendenti 31 agosto 2019
Scade il termine per la seconda rata della definizione liti pendenti

Ruoli tariffe doganali e Iva all’importazione 30 settembre 2019
Scade il termine per la prima o unica rata della definizione agevolata per i ruoli con tributi doganali
Rottamazione delle cartelle 30 novembre 2019
Seconda rata della rottamazione-ter ma è anche il termine della seconda rata del nuovo piano per chi è rientrato da precedenti rottamazioni

Liti pendenti
Scade il termine per la seconda rata della definizione liti pendenti
Ruoli tariffe doganali e Iva all’importazione
Scade la seconda rata per la sanatoria su tariffe doganali e Iva all’importazione

Fonte “Il sole 24 ore”

Decreto fiscale, ecco tutte le novità introdotte dal Parlamento al testo

Il decreto fiscale è legge. L’Aula della Camera ha infatti definitivamente approvato il provvedimento senza correzioni rispetto al testo votato dal Senato. Il decreto ha ottenuto 272 voti favorevoli e 143 contrari (3 gli astenuti).
In realtà, durante l’iter parlamentare di conversione il Dl 119/2018 ha subito numerose modifiche rispetto alla versione originaria del 23 ottobre. Sul provvedimento, varato senza modifiche rispetto al testo votato dal Senato, il Governo aveva incassato anche il via libera al voto di fiducia con 310 sì, 228 no e quattro astenuti. Da segnalare anche il piccolo incidente “politico” di percorso del governo, battuto su un ordine del giorno. Ma vediamo le principali novità introdotte nell’iter di conversione.

Rottamazione-ter
Numerose le novità della rottamazione-ter delle cartelle esattoriali. Il pagamento potrà essere effettuato in unica soluzione entro il 31 luglio 2019 oppure potrà essere dilazionato fino a 18 (non più 10) rate. Le prime due (di importo pari al 10% del totale dovuto) devono essere versate rispettivamente entro il 31 luglio ed entro il 30 novembre 2019. Le altre, invece, tutte di pari importo, devono essere versate a partire dal 2020 entro il 28 febbraio, il 31 maggio, il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno.

Definizione agevolata delle liti tributarie
Numerose anche le modifiche introdotte nel corso dell’iter di conversione del provvedimento alla chiusura delle liti pendenti. Intanto, il decreto prevede che le controversie tributarie possono essere definite, e dunque chiuse, con il pagamento di un importo pari al valore della controversia. Ma in caso di ricorso pendente in primo grado, la controversia può essere definita con il pagamento del 90% del suo valore.

Alleggerito, poi, il costo della chiusura in caso di soccombenza delle Entrate. In questi casi, infatti, il decreto legge convertito definitivamente dalle Camere consente la definizione della controversia con il pagamento del 40% del suo valore (anziché la metà, come originariamente previsto) in caso di soccombenza delle Entrate in primo grado; e con il pagamento del 15% del valore (anziché 1/5) in caso di soccombenza delle Entrate in secondo grado. Infine, le liti pendenti in Cassazione possono essere definite con il pagamento di un importo pari al 5% del loro valore.

Irregolarità formali
Il decreto 119/2018 prevedeva la «dichiarazione integrativa» speciale che ora, nel testo convertito dal Parlamento, lascia spazio alla sanatoria sugli omessi versamenti alla quale potrà far ricorso non chi non ha effettuato la dichiarazione dei redditi ma solo chi, pur avendola effettuata, non ha pagato le imposte dovute o per assenza di liquidità o, più in generale, per difficoltà economiche.

Al pari delle infrazioni e delle inosservanze di obblighi o adempimenti di natura formale, che non incidono sulla determinazione della base imponibile, le irregolarità formali commesse fino al 24 ottobre 2018, possono essere regolarizzate mediante il versamento di 200 euro per ciascun periodo d’imposta. Il pagamento deve essere eseguito in due rate di pari importo entro il 31 maggio 2019 e il 2 marzo 2020. La regolarizzazione si perfeziona con il pagamento degli importi dovuti e con la rimozione delle irregolarità o delle omissioni.
La regolarizzazione non può essere utilizzata per gli atti di contestazione o irrogazione di sanzioni emessi nell’ambito della voluntary disclosure, né per l’emersione di attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute all’estero e neppure per le violazioni già contestate in atti diventati definitivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge. Infine, con riferimento alle violazioni commesse fino al 31 dicembre 2015 il provvedimento prevede la proroga di due anni dei termini di prescrizione ordinarii (cinque anni).

Definizione agevolata dei Pvc
Per quanto riguarda la definizione agevolata dei processi verbali di constatazione, le novità introdotte nel decreto legge riguardano i termini e le rate dovute per la regolarizzazione. Le rate successive alla prima, in particolare, devono essere versate entro l’ultimo giorno di ciascun trimestre. Sull’importo, inoltre, sono dovuti gli interessi legali che vanno calcolati dal giorno successivo al termine del versamento della prima rata.

Fatturazione elettronica
Tra gli esonerati dall’obbligo della fatturazione elettronica vengono ricomprese anche le associazioni sportive dilettantistiche che applicano il regime forfettario (legge 398/1991) e che nel periodo d’imposta precedente hanno conseguito dall’esercizio di attività commerciali proventi per un importo non superiore a 65mila euro. Per il 2019 sonerati dall’obbligo di fatturazione elettronica.
Per il 2019, in riferimento alle informazioni già trasmesse, sono esonerati dall’obbligo di fatturazione elettronica i medici, i farmacisti, i veterinari e, più in generale, i soggetti che inviano al Sistema tessera sanitaria i dati per l’elaborazione della dichiarazione dei redditi precompilata.
Inoltre, le deroghe previste all’obbligo di fatturazione elettronica (niente sanzioni per il primo semestre 2019 e, a seconda dei casi, riduzione dell’80%) si applicano invece fino al 30 settembre 2019 per i contribuenti che effettuano la liquidazione periodica dell’Iva con cadenza mensile.

Archivio dei rapporti finanziari
In chiave anti evasione cambiano anche le regole relative all’archivio dei rapporti finanziari. Intanto viene stabilito un termine di conservazione dei dati di dieci anni e poi l’accesso ai dati viene consentito anche alla Guardia di finanza e al Dipartimento delle finanze.

Interpello sui nuovi investimenti
Le imprese che vogliono investire in Italia possono sottoporre all’Agenzia delle Entrate il relativo piano di investimento per conoscere il trattamento fiscale cui andranno incontro. La chance, prevista dal decreto internazionalizzazione (Dlgs 147/2015)è ora consentita non anche per investimenti più bassi rispetto a quanto richiesto fino a oggi: 20 milioni anziché 30.

Reverse charge
Prorogata al 30 giugno 2022 l’applicazione del reverse charge (il meccanismo dell’inversione contabile) per alcune operazioni come la cessione di cellulari, dispositivi a circuito integrato, console da gioco, tablet e pc viene prorogata dal 31 dicembre 2018 al 30 giugno 2022.

Rilascio del Durc
La domanda di definizione agevolata non impedisce il Durc. Il Documento unico di regolarità contributiva potrà infatti essere rilasciato anche alle imprese che hanno chiesto la pace fiscale in presenza, ovviamente, di tutti gli altri requisiti di regolarità previsti il rilascio del documento.

Imposta sui trasferimenti di denaro all’estero
Dal 1° gennaio 2019 si pagherà un’imposta sui trasferimenti di denaro (eccetto le transazioni commerciali) effettuati verso paesi non Ue da money transfer. L’imposta sarà pari all’1,5% del valore di ogni singola operazione effettuata, a partire da un minimo di 10 euro.

Fonte “Il sole 24 ore”

La detrazione anticipata non vale per le fatture 2018 ricevute nel 2019

Anticipata la detrazione Iva per le operazioni infrannuali anche per le fatture ricevute nei primi 15 giorni del mese successivo all’effettuazione dell’operazione. Regola, però, inapplicabile agli acquisti a cavallo d’anno. Il legislatore, dopo oltre un anno dalla modifica del regime della detrazione Iva (Dl 50/2017) e dopo le discussioni scaturite dall’intervento interpretativo sulla circolare 1/E/2018 con il Dl 119/2018, torna sull’argomento correggendo – in parte – il contrasto tra la circolare e il Dpr 100/1998.

In effetti, in base alla circolare 1/E/2018 per le fatture ricevute nei primi giorni del mese successivo a quello di effettuazione non più era più possibile detrarre l’Iva nel mese di competenza pur avendo ricevuto e registrato il documento entro il termine per la liquidazione periodica, posticipando l’esercizio del diritto al periodo successivo e creando un disallineamento tra esigibilità e detraibilità dell’imposta.

Il Dl 119/2018 modifica l’articolo 1, comma 1, del Dpr 100/1998 stabilendo ora che entro il giorno 16 di ogni mese può essere esercitato il diritto alla detrazione relativo anche ai documenti di acquisto ricevuti e annotati entro il 15 del mese successivo a quello in cui è stata effettuata l’operazione. Pertanto, a differenza di quanto accaduto fino a ottobre, con la modifica l’Iva su una fattura relativa ad esempio a un’operazione effettuata a ottobre 2018 (datata 31 ottobre 2018) e ricevuta il 5 novembre poteva essere inclusa nella liquidazione periodica del mese di ottobre e non più in novembre.

Il legislatore si è tuttavia affrettato a specificare, in contrasto con il funzionamento dell’imposta, che tale novella non si applica alle operazioni effettuate nell’anno precedente, vale a dire al caso di una fattura relativa a un’operazione effettuata a dicembre 2018 (data fattura 31/12/2018) ricevuta il 5 gennaio 2019, per la quale non è possibile detrarre l’imposta nella liquidazione del 16 gennaio.

Come districarsi quindi dal complesso intreccio normativo all’approssimarsi di fine anno? Sono quattro i casi in cui le imprese (negli esempi considereremo solo i contribuenti con liquidazione mensile, ma le stesse considerazioni possono essere trasposte ai contribuenti trimestrali) potranno trovarsi: 1) fatture per operazioni effettuate nel 2018 ricevute e registrate entro la fine dell’anno; 2) fatture per operazioni effettuate a dicembre 2018 ricevute nel 2019; 3) fatture per operazioni effettuate a dicembre 2018 ricevute nello stesso mese, ma registrate nel 2019; (4) fatture per operazioni effettuate nel 2019.

Nel primo caso, il diritto alla detrazione potrà essere esercitato nella liquidazione di dicembre 2018 (16 gennaio 2019).

Nel secondo caso, si potrà esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta solo nel 2019 anche se le fatture sono state ricevute e registrate entro il 15 gennaio, attesa l’esclusione prevista dalla novellata formulazione dell’articolo 1, comma 1, del Dpr 100/1998. Tale nuova impostazione, peraltro, rischia di avere effetti anche sulle liquidazioni Iva dei mesi successivi, in quanto una fattura 2018 ricevuta e registrata ad esempio il 5 marzo 2019 non potrà concorrere a formare la liquidazione Iva di febbraio 2019, bensì il diritto alla detrazione potrà essere esercitato solo con la liquidazione di marzo.

Nel terzo caso il diritto alla detrazione potrà essere esercitato al più tardi nella dichiarazione annuale Iva relativa al 2018 e si renderà necessaria la predisposizione di un apposito registro Iva sezionale che permetta di escludere queste operazioni dalla liquidazione Iva del mese di registrazione che inevitabilmente sarà il 2019.

Infine, per le fatture relative a operazioni effettuate nel 2019, in un determinato mese si potrà esercitare il diritto alla detrazione relativo anche ai documenti di acquisto ricevuti e annotati entro il 15 del mese successivo a quello in cui è stata effettuata l’operazione. La complessità di gestione operativa è facilmente intuibile perché impone ai contribuenti di effettuare mensilmente un cherry picking delle fatture da inserire o da escludere dalla liquidazione Iva.

Fonte “Il sole 24 ore”

Forfettario aperto anche a chi supera i ricavi-limite nel 2018

L’allargamento delle “porte d’accesso” al regime forfettario a decorrere dal prossimo 1° gennaio è uno dei punti del ddl di Bilancio che hanno suscitato più interesse. Il cambio dei presupposti nel passaggio tra il periodo d’imposta 2018 e quello del 2019 però, pone in diversi dubbi sulla corretta applicazione del regime. Le incertezze, in particolare, riguardano:

– chi nel 2018 ha superato i limiti della precedente normativa, ma non quelli della nuova normativa;

– chi nel 2018 rispetta i requisiti precedenti ma non quelli che saranno in vigore dal 2019.

Diciamo subito che l’unico requisito che qualificherà i nuovi forfettari nel periodo d’imposta 2019 sarà il rispetto, nell’anno precedente, del limite di ricavi o compensi conseguiti fissato in 65mila euro. Vengono meno gli altri requisiti, quali la detenzione di beni strumentali non superiori a 20mila euro ovvero l’aver corrisposto compensi a personale dipendente o assimilato superiori a 5mila euro.

Sforamento dei vecchi limiti
Dato che l’unico requisito diviene il limite di ricavi o compensi è opportuno capire cosa accade se un contribuente ha superato nel 2018 il vecchio limite ma non quello nuovo, come avviene, ad esempio, per un commerciante che abbia generato, nel 2018, 55mila euro di ricavi, quindi superiori al massimo consentito nel 2018, ma non superiori al nuovo limite di 65mila euro.

Tale soggetto nel 2019 avrebbe dovuto abbandonare il regime forfettario, ma sul punto occorre ricordare che la circolare 10/E/16 ha affermato che il controllo dei ricavi per il periodo successivo va eseguito già considerando i nuovi limiti. Quindi applicando questa tesi, nel caso sopra esemplificato, il contribuente resterà nel regime forfettario anche nel 2019; e questo vale per tutti i requisiti abrogati. Dal che se ne deduce che potrà applicare ancora il regime forfettario nel 2019 il contribuente che, ad esempio, detenga al 31 dicembre 2018 beni strumentali superiori a 20mila euro, che hanno superato il tetto per effetto di acquisti eseguiti nel 2018.

Un altro requisito che viene meno è il tetto di 30mila euro quale reddito da lavoro dipendente, quindi chi ha superato questa soglia nel 2018 potrà restare nel regime forfettario anche nel 2019.

Uno degli emendamenti al Ddl di Bilancio punta a introdurre tuttavia un nuovo requisito: il divieto, per chi vuole entrare nel 2019 nel regime forfettario, di esercitare prevalentemente l’attività nei confronti di datori di lavoro (o di soggetti ad essi riconducibili anche indirettamente) con i quali sia in essere un rapporto di lavoro o lo sia stato nei due periodi d’imposta precedenti.

Applicazione dei nuovi criteri
Ora verifichiamo l’ipotesi contraria, cioè un soggetto forfettario che presenta un elemento inibente l’applicazione del regime di favore in base alle nuove regole.

Pensiamo a un forfettario che partecipa in qualità di socio a una Srl non in regime di trasparenza. La situazione era lecita nel 2018, mentre diventa una causa di esclusione nel 2019. Significa che costui deve abbandonare il regime nel 2019? Il punto è delicato e merita una pronuncia ufficiale, va però ricordato che nella circolare 10/E/16 l’Agenzia ha ammesso l’applicazione del regime di favore per il soggetto che entro il termine del periodo d’imposta ceda la partecipazione societaria che costituisce elemento ostativo. Una soluzione analoga potrebbe essere ragionevole per il caso sopra ricordato, e quindi, cedendo la partecipazione nella Srl entro il periodo d’imposta 2019 potrebbe essere mantenuto il regime di favore nello stesso periodo d’imposta 2019.

Fonte “Il sole 24 ore”

Rottamazione, ultimo appello per pagare le vecchie rate

Oggi è l’ultimo giorno per pagare le rate in scadenza nei mesi di luglio, settembre e ottobre 2018, e “salvare” così le precedenti rottamazioni cartelle. Per i debitori che vi provvedono, così come anche per i contribuenti che hanno pagato le rate nei termini di legge, è previsto il differimento automatico del versamento delle restanti somme. Queste potranno essere pagate in unica soluzione entro il 31 luglio 2019 o nel numero massimo di dieci rate consecutive di pari importo, con scadenza il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno a decorrere dal 2019, sulle quali sono dovuti, dal 1° agosto 2019, gli interessi al tasso dello 0,3% annuo.

A questo fine, entro il 30 giugno 2019, senza alcun adempimento a carico dei debitori interessati, l’agente della riscossione invia a questi ultimi apposita comunicazione, insieme ai bollettini precompilati per il pagamento delle somme dovute alle nuove scadenze, anche tenendo conto di quelle stralciate in quanto di importo residuo, al 24 ottobre 2018, fino a mille euro, comprensivo di capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni.

L’articolo 3, comma 21, del Dl 119/2018 (già approvato con modifiche dal Senato e ora all’esame della Camera) rimette in bonis i morosi della rottamazione-bis, e non prevede alcuna penalità per i contribuenti interessati, ma consente di godere delle più comode modalità di pagamento in caso di regolarizzazione dei pagamenti dovuti entro il 7 dicembre 2018. Pertanto, i contribuenti che hanno aderito alla rottamazione -bis, per non perdere i benefici connessi alla rottamazione, dovranno versare entro oggi, 7 dicembre, rispettivamente:
•con riferimento ai ruoli gennaio-settembre 2017, le somme non ancora versate delle rate già scadute nei mesi di luglio 2018 (prima rata) e settembre 2018 (seconda rata) nonché quelle il cui originario pagamento era previsto per il 31 ottobre 2018 (terza rata);
•con riferimento ai ruoli 2000 – 2016, le somme relative alla prima rata con scadenza 31 ottobre 2018.

Ad esempio, un contribuente che, con la rottamazione-bis, ha rottamato le cartelle fino al 2016 non incluse nella prima sanatoria, doveva pagare il debito in 3 rate, scadenti il 31 ottobre 2018, il 30 novembre 2018 e il 28 febbraio 2019. In questo caso, pagando oggi la rata di ottobre 2018, il residuo debito, corrispondente alle rate di novembre 2018 e febbraio 2019, che è il 60 per cento, sarà interessato dalla rottamazione ter e potrà essere pagato in 10 rate consecutive di pari importo, con scadenza il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno a decorrere dal 2019. Su tali rate saranno dovuti, dal 1° agosto 2019, gli interessi al tasso dello 0,3 per cento annuo.

Resta, tuttavia, salva la facoltà per il debitore di effettuare, entro il 31 luglio 2019, in unica soluzione, il pagamento delle rate residue. Il mancato pagamento entro oggi delle somme dovute sulle rate in scadenza nei mesi di luglio, settembre e ottobre 2018 determinerà una preclusione ai contribuenti interessati, in quanto i debiti afferenti i carichi oggetto della precedente istanza di rottamazione non potranno più essere definiti attraverso la nuova edizione della sanatoria e la dichiarazione eventualmente presentata sarà dichiarata improcedibile. Pertanto, il mancato pagamento precluderà ai debitori la possibilità di ripresentare, con riferimento agli stessi carichi, una nuova domanda di rottamazione.

Fonte “Il sole 24 ore”

Gestione rate residue nella rottamazione ter

Con il pagamento entro il 7 dicembre delle rate di luglio, settembre e ottobre 2018 della rottamazione-bis, le rate residue di novembre 2018 e febbraio 2019 confluiscono d’ufficio nella rottamazione ter. La conferma giunge dal comunicato stampa di agenzia delle Entrate-Riscossione che correttamente non fa alcuna distinzione tra affidamenti ante e post 1° gennaio 2017. La scadenza del 30 novembre dunque è stata superata dalla modifica introdotta dal Dl 119/2018.

La rottamazione ter peraltro si distingue dalle precedenti anche per il trattamento delle dilazioni in corso. Fermo restando che non vi sono ostacoli a rottamare carichi relativi a rateazioni scadute, la novità riguarda i piani di rientro pendenti alla data di presentazione dell’istanza. Nelle prime due edizioni, era precisato che, una volta trasmessa la domanda, tutte le rate in scadenza successivamente erano sospese fino al termine della prima quota di rottamazione. Era inoltre disposto che con il versamento della prima rata la rateazione pregressa era revocata ope legis. Questo significava, come confermato ripetutamente dall’Agenzia, che se non si pagava la prima rata il debitore poteva riattivare il precedente piano di rientro. In tale eventualità, l’agente della riscossione provvedeva a ripartire d’ufficio il debito residuo per il numero di rate non pagate del piano originario.

Nell’attuale versione di legge, si conferma che con la trasmissione dell’istanza le rate, relative a piani in corso, con scadenza successiva sono sospese fino al 31 luglio 2019. Inoltre, diversamente dal passato, è stabilito che tali rateazioni sono sempre revocate ope legis alla data del 31 luglio 2019. La differenza consiste nel fatto che il venir meno dei piani di dilazione non è più correlato al pagamento della prima scadenza di rottamazione ter ma è automatico, sia che si paghi o meno.

Quindi, una volta conosciuto il costo della definizione agevolata con la ricezione della comunicazione dell’Agenzia entro la fine di giugno 2019, il debitore non potrà più ripensarci e riprendere la vecchia rateazione, evitando di versare la prima rata della definizione. L’ulteriore effetto è che se si decade dalla rottamazione-ter, in qualsiasi momento, si perde irrimediabilmente la possibilità di rateizzare il debito residuo e si resta esposti alle azioni di recupero dell’agente della riscossione.

Bisognava infine chiarire perché la norma di legge dispone la mera sospensione delle dilazioni in essere, lasciando così intendere che sia possibile riattivare le stesse. La risposta è nelle Faq dell’Agenzia che ha al riguardo precisato che la ripresa delle precedenti rateazioni è ammessa in due ipotesi:

•in caso di revoca dell’istanza di definizione agevolata, comunicata entro aprile 2019;
• in caso di rigetto dell’istanza da parte dell’agente della riscossione.

La prima ipotesi rappresenta anche un’utile conferma ufficiale. Ader, infatti, rassicura sul fatto che il debitore fa in tempo a ritirare l’istanza entro il termine di legge di presentazione della stessa.

Fonte “Il sole 24 ore”

Liti sanabili se si è in regola con le rate

La scadenza del 7 dicembre è legata anche alla validità della definizione delle liti pendenti. Se nella rottamazione bis, infatti, sono stati inclusi carichi in contenzioso che tuttavia non esauriscono l’ammontare controverso, se si vuole chiudere la lite, in base all’articolo 6 del decreto legge 119/2018, occorre rispettare la scadenza di dicembre.

Si ipotizzi che il contribuente abbia presentato istanza di rottamazione bis includendo una iscrizione a ruolo provvisoria derivante da una controversia avente ad oggetto un avviso di accertamento.

Se vi è stata sentenza di Commissione tributaria provinciale sfavorevole al contribuente l’ufficio ha affidato all’agente della riscossione un importo complessivamente pari a due terzi dell’accertato.

Con il perfezionamento della rottamazione, come chiarito nella circolare 2 del 2017 dell’agenzia delle Entrate, la lite prosegue per la differenza. Se il soggetto passivo intende definire del tutto la controversia pendente, tuttavia, egli dovrà pagare entro il 7 dicembre le rate di rottamazione scadute a luglio, settembre e ottobre 2018. In difetto, la definizione della lite sarà inammissibile (articolo 6, comma 7, del decreto legge 119/2018). Si ricorda peraltro che anche in questo caso troverà applicazione la soglia di tolleranza di cinque giorni approvata in Senato in sede di conversione del decreto.

Sempre secondo la tesi dell’agenzia delle Entrate, inoltre, (circolare 22 del 2017) ai fini della chiusura della controversia non occorrerà portare a buon fine l’intera procedura di rottamazione, pagando anche le somme residue, corrispondenti alle rate di novembre 2018 e febbraio 2019.

Allo scopo, sarà pertanto sufficiente versare la prima rata della definizione ex articolo 6, in scadenza alla fine del mese di maggio 2019.

In presenza di carichi in contenzioso, il contribuente deve valutare bene se aderire alla rottamazione ter oppure alla definizione delle liti pendenti.

In alcuni casi, la scelta è obbligata. Si pensi all’impugnazione di una cartella emessa in base all’articolo 36 bis del Dpr 600/1973, avente ad oggetto il recupero di somme dichiarate e non versate. In tale eventualità, poiché la controversia non ha ad oggetto un atto impositivo, l’unica strada è quella della rottamazione. Lo stesso si dica qualora l’impugnazione della cartella sia stata promossa unicamente nei confronti dell’agente della riscossione e l’agenzia delle Entrate non sia intervenuta in giudizio.

In linea generale, peraltro, la definizione delle liti pendenti è più favorevole rispetto alla rottamazione. Con la prima infatti sono del tutto azzerati sia gli interessi che l’aggio di riscossione, mentre nella rottamazione restano dovuti gli interessi per ritardata iscrizione a ruolo e l’aggio sulle somme liquidate dall’agente della riscossione, oltre alle spese delle eventuali procedure esecutive.

A ciò si aggiunga che le sentenze emesse medio tempore, se favorevoli al contribuente, riducono anche sensibilmente l’importo della sanatoria della controversia mentre sono del tutto irrilevanti ai fini della rottamazione.

D’altro canto, se la lite ha ad oggetto un atto di accertamento ai fini dell’imposta di registro, va ricordato che se il contribuente non ha versato l’importo dovuto in pendenza di giudizio l’ufficio iscrive a ruolo l’ulteriore sanzione del 30 per cento. Secondo quanto affermato nella circolare n. 23 del 2017 dell’agenzia delle Entrate, con la definizione della lite pendente non si ottiene l’azzeramento di quest’ultima sanzione, in quanto non inclusa nell’atto originariamente impugnato. Se però l’intero ammontare preteso dall’ufficio è stato affidato all’agente della riscossione entro la fine dell’anno scorso, la rottamazione determina l’annullamento di tutte le sanzioni, compresa quella aggiuntiva del 30 per cento.

Vale infine ricordare che in entrambe le procedure è possibile chiedere la sospensione dei giudizi in corso, in pendenza del perfezionamento della definizione.

Fonte “Il sole 24 ore”

I paradossi dello Sdi: dall’integrazione due operazioni

La fatturazione elettronica, ai fini dei controlli cui è demandata l’amministrazione finanziaria, altro non è che uno spesometro continuo, con una rilevante differenza. Gli spesometri sono due, quello relativo alle fatture emesse dal fornitore e quello relativo alle fatture ricevute dal cliente, da cui la necessità di incrociare i due elenchi per porre in evidenza eventuali difformità. La fatturazione elettronica, invece, è un flusso univoco generato solo dal fornitore, che – attraverso il passaggio dal sistema di interscambio – viene acquisito dal cliente senza che possano più esistere differenze tra mittente e destinatario. Ne consegue che la fattura emessa indicando un destinatario errato ed estraneo al rapporto con quel fornitore non può – a differenza della procedura verso la pubblica amministrazione – essere respinta dal destinatario, il quale dovrà attivarsi (extra SdI, § 6.2 del provvedimento 30 aprile 2018) con il fornitore, che deve a questo punto emettere una nota di variazione per stornare la fattura errata. Vengono peraltro i brividi al pensiero della veicolazione automatizzata di queste fatture per operazioni di fatto inesistenti, che il sistema carica sulla posizione del destinatario, il quale potrebbe erroneamente esercitare il diritto di detrazione per mera negligenza di non aver controllato il flusso in entrata. La centralità della posizione del fornitore trova il fondamento nell’articolo 26 della legge Iva: solo chi ha emesso la fattura può ridurne l’imponibile e/o l’imposta.

In questo contesto meritano ulteriori approfondimenti alcune recenti affermazioni verbali dell Entrate. La prima riguarda la nota di variazione elettronica emessa nel 2019 a fronte di una fattura tradizionale del 2018. La risposta, pubblicata sul «Sole» il 13 novembre parla del contribuente che «dovesse emettere una nota di variazione nel 2019 di una fattura ricevuta nel 2018». Ma, tornando ai criteri generali e all’articolo 26 legge Iva, la nota di variazione può riguardare solo fatture emesse, cioè può essere fatta e immessa nello SdI solo dal fornitore e non dal cliente. Un analogo problema “direzionale” del flusso riguarda l’integrazione con imponibile e Iva della fattura emessa in reverse charge interno. La circolare 13/E/ 2018, § 3.1, ribadisce la non modificabilità della fattura immessa dal fornitore, così che questi dati ulteriori vanno indicati dal cliente in «un altro documento, da allegare al file della fattura». Questo tema viene ripreso nella risposta pubblicata sempre il 13 novembre, ove si fa richiamo a questa circolare, ma poi si afferma che questo documento, per consuetudine chiamato autofattura, “può” essere inviato allo SdI, anche ai fini di usufruire del servizio gratuito di conservazione elettronica offerto dall’Agenzia. Ma se andiamo al provvedimento del 30 aprile 2018, la causale autofattura “TD20” nei rapporti interni può essere usata solo come autofattura-denuncia, nel caso in cui il fornitore non abbia emesso la fattura entro i 4 mesi successivi alll’operazione. Questo input è di tutta evidenza: il fornitore non ha caricato la vendita nello SdI, lo fa il cliente. Ma se a fronte di una fattura caricata dal fornitore in reverse charge anche il cliente carica una autofattura, il sistema rileva due operazioni.

Fonte “Il sole 24 ore”

Anche per i documenti datati 2018 può scattare l’obbligo di e-fattura

Formato elettronico obbligatorio per le fatture emesse dal 1° gennaio 2019: si potrà quindi continuare validamente a gestire in formato cartaceo eventuali fatture datate 2018 ricevute nel 2019 con canali diversi dal Sistema di interscambio. Al contrario, eventuali note di variazione 2019 relative a fatture del 2018, emesse in formato cartaceo, andranno trasmesse dall’emittente e ricevute dal destinatario in elettronico attraverso il sistema di interscambio in formato strutturato Xml. Il chiarimento di sicuro interesse degli operatori necessita, però, di una attenta valutazione per evitare di registrare un documento analogico che in effetti, doveva essere emesso fin dall’origine in elettronico.

La risposta dell’Agenzia è esattamente la seguente: «L’obbligo di fatturazione elettronica scatta, in base all’articolo 1, comma 916, della legge di Bilancio 2018 (legge 27 dicembre 2017 n. 205), per le fatture emesse a partire dal 1° gennaio 2019. Il momento da cui decorre l’obbligo è legato all’effettiva emissione della fattura. Pertanto, se la fattura è stata emessa e trasmessa nel 2018 (la data è sicuramente un elemento qualificante) in modalità cartacea ed è stata ricevuta dal cessionario/committente nel 2019, la stessa non sarà soggetta all’obbligo della fatturazione elettronica».

Quindi in via generale una fattura datata 31 dicembre 2018 (essendo la data un elemento qualificante) sarà, di per sé, analogica e non elettronica. Però, se la stessa fattura, sempre datata 31 dicembre 2018 viene formata e contabilizzata nel 2018 e poi inviata, ad esempio, via Pec nel 2019 risulterà “emessa” nel 2019 e quindi dovrà essere trattata in elettronico.

Questa situazione, riprendendo un’ulteriore risposta fornita dall’agenzia delle Entrate, per la quale una fattura emessa nel 2019 e non ricevuta in elettronico non consente al cessionario/committente di detrarre l’imposta perché lo stesso non sarebbe in possesso di una fattura fiscalmente rilevante, potrebbe determinare a fine anno qualche problema al contribuente destinatario.

Pertanto, oltre ad auspicare, tenendo conto delle difficoltà che potrebbero scaturire nei primi giorni del 2019, un’applicazione flessibile della norma e della relativa interpretazione, si consiglia ai contribuenti, per quest’anno e per quanto possibile di anticipare la fatturazione di qualche giorno rispetto all’ultimo giorno dell’anno ovvero se a cavallo dell’anno di essere sicuri di trasmettere la fattura entro il 31 dicembre. Al contrario, se la spedizione avverrà i primi giorni del 2019 sarebbe cautelativo adottare fin da subito la fattura elettronica.

L’ulteriore chiarimento contenuto nella stessa risposta relativamente alle note di variazione è confermativo di quanto già indicato nella circolare 1/DF del 31 marzo del 2014 dal dipartimento delle Finanze in occasione dell’entrata in vigore dell’obbligo di fattura elettronica per le pubbliche amministrazioni centrali. Pertanto in caso di emissione di una nota di variazione nel 2019 di una fattura emessa in modalità analogica (su carta) nel 2018, va gestita unicamente in elettronico.

La manutenzione allo Sdi

Sempre a proposito di date, le Entrate hanno reso noto nella serata di ieri che sabato 1 e domenica 2 dicembre Sogei effettuerà dei lavori di potenziamento del Sistema di interscambio, che quindi non sarà disponibile nel week-end. Per questo l’Agenzia «ha disposto il differimento al 4 dicembre dei termini per la trasmissione di fatture e note di variazione dei giorni 1 e 2 dicembre 2018».

Fonte “Il sole 24 ore”

L’e-fattura non elimina l’obbligo di Intrastat

Nonostante l’introduzione della fatturazione elettronica, a partire dal prossimo 1° gennaio 2019, per le cessioni in ambito comunitario resta obbligatoria la presentazione del modello Intra anche nei casi in cui il fornitore italiano emetta una fattura con indicazione della sigla «XXXXXXX» caratterizzante un destinatario non residente. Questa è una delle risposte alle domande più frequenti (Faq) sulla fatturazione elettronica pubblicate dall’agenzia delle Entrate sul proprio sito.

Nel rispondere al contribuente l’Agenzia richiama le novità introdotte nel 2017 alle regole di presentazione e di compilazione dei modelli Intra e afferma che tali “semplificazioni” restano in vigore anche dal 1° gennaio 2019. Dalla lettura del “botta e risposta” del contribuente con l’Agenzia pare di poter concludere che le uniche ipotesi in cui i modelli Intra non devono essere presentati sono quelle già previste dal Provvedimento del 25 settembre 2017 al quale l’ufficio rinvia per maggiori approfondimenti. Più in particolare, sono esonerati dall’obbligo di presentazione dei modelli Intra 2-bis (acquisti di beni) i soggetti passivi che hanno effettuato acquisti di beni intracomunitari per importi trimestrali inferiori a 200.000 euro. Analogamente sono esonerati dall’obbligo di trasmissione dei modelli Intra 2-quater (acquisti di servizi) i soggetti passivi che hanno effettuato acquisti di servizi intracomunitari per importi trimestrali inferiori a 100mila euro.

La trasmissione facoltativa tramite lo Sdi delle fatture relative alle operazioni attive effettuate verso operatori esteri, però, se da un lato lascia immutato l’obbligo di trasmissione degli Intrastat, dall’altro, comporta l’esonero dalla nuova comunicazione (esterometro) con la quale gli operatori economici dovranno inviare telematicamente all’Agenzia i dati presenti in tali fatture transfrontaliere.

Il provvedimento delle Entrate 89757/2018 – relativo alle regole tecniche per l’emissione e la ricezione delle fatture elettroniche – nella parte dedicata alla trasmissione telematica dei dati delle operazioni transfrontaliere, concede agli operatori economici la facoltà di emettere le fatture transfrontaliere in modalità elettronica compilando solo il campo «CodiceDestinatario» con un codice convenzionale indicato nelle specifiche tecniche che risulta essere «XXXXXXX». Nel campo «identificativo fiscale Iva», inoltre, va inserita la partita Iva comunitaria.

Fonte “Il sole 24 ore”

La Guardia di Finanza potrà chiedere ipoteche e sequestri dopo il Pvc

Anche la Guardia di Finanza potrà richiedere alla commissione tributaria l’iscrizione di ipoteca sui beni del contribuente ove ritenga fondato il timore di perdere la garanzia. Lo prevede una delle modifiche al decreto fiscale approvato ieri in prima lettura al Senato.

La norma attuale

In base all’articolo 22 del Dlgs 472/1997, dopo la notifica di un atto di contestazione, di un provvedimento di irrogazione della sanzione o di un Pvc, l’agenzia delle Entrate, se ha il fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, può chiedere, con istanza motivata, al presidente della Ctp, l’iscrizione di ipoteca sui beni del trasgressore e dei soggetti obbligati in solido, e l’autorizzazione a procedere, a mezzo di ufficiale giudiziario, al sequestro conservativo dei loro beni, compresa l’azienda.

Queste misure cautelari possono essere adottate anche prima dell’emissione dell’atto impositivo per impedire che il trasgressore disperda il patrimonio sottraendo in tal modo garanzie reali allo Stato.

La novità

Con una modifica al decreto legge 119/2018, al fine di rafforzare le misure poste a garanzia del credito erariale e a sostegno delle relative procedure di riscossione, viene previsto che le istanze in questione attualmente di esclusiva pertinenza dell’agenzia delle Entrate per la richiesta di ipoteca o sequestro conservativo, possano essere inoltrate anche dal Comandante provinciale della Guardia di finanza, in relazione ai processi verbali di constatazione rilasciati dai reparti dipendenti.

La GdF dovrà dare tempestiva comunicazione alla direzione provinciale dell’agenzia delle Entrate, la quale esaminerà l’istanza e comunicherà le proprie eventuali osservazioni al presidente della commissione tributaria, nonché al comandante provinciale richiedente.

Decorso il termine di 20 giorni dal ricevimento dell’istanza, si intenderà acquisito il parere dell’Agenzia.

In presenza di tali istanze, le Fiamme Gialle dovranno fornire all’Agenzia, ogni elemento utile ai fini dell’istruttoria e della partecipazione alla procedura.

I requisiti

L’istanza di sequestro e/o ipoteca è subordinata sostanzialmente alla sussistenza di due requisiti: il fumus boni iuris ed il periculum in mora.

Il fumus boni iuris si può riscontrare nell’esistenza di un debito tributario a carico del contribuente derivante da un provvedimento dell’amministrazione (atto di contestazione, irrogazione sanzione, Pvc).

Va da sé che se la richiesta sia fondata solo sul Pvc, come accadrà in futuro in caso di proposta della GdF, al fine di giustificare l’entità della garanzia, fin da subito dovrebbero emergere le imposte dovute che saranno poi successivamente indicate nell’accertamento dell’Agenzia. Analoga evidenza dovrà essere data delle sanzioni tenendo presente che in sede di redazione del Pvc non si tiene conto dei vari istituti applicabili primo fra tutti il cumulo giuridico.

Il secondo requisito è il periculum in mora, ossia il fondato timore, da parte dell’amministrazione, di perdere la garanzia del credito. Deve trattarsi di un timore attuale e non potenziale desumibile sia da dati oggettivi, come la consistenza e le caratteristiche del patrimonio del contribuente, sia da dati soggettivi valutando cioè la condotta del debitore.

Per quest’ultima, occorre considerare i comportamenti che palesano una costante tendenza a non adempiere agli obblighi tributari. Si pensi, ad esempio, a costanti pregresse situazioni di morosità.

Si tratta pertanto di una analisi complessiva fondata su una pluralità di elementi, anche di carattere indiziario, ma che possono far ragionevolmente presupporre la volontà del contribuente di non pagare ovvero di ridurre le garanzie sulle quali l’amministrazione potrebbe rivalersi.

L’iter procedurale

Il presidente della Ctp decide sulla concessione della richiesta cautelare. Sul punto l’emendamento si limita a prevedere che la Gdf fornisca ogni elemento utile ai fini dell’istruttoria e della partecipazione alla procedura. La rappresentanza in giudizio dovrebbe quindi restare in capo all’agenzia delle Entrate.

La circostanza non è di poco conto. Si pensi al caso, non raro, in cui respingendo la richiesta, la Ctp condanni alle spese l’Ufficio. In questi casi l’istanza proviene direttamente dalla GdF e la difesa sarà contro l’istanza della GdF e non avverso un atto dell’Ufficio (come avviene con gli accertamenti a seguito di Pvc della GdF). Sarebbe singolare, a questo punto, che per una decisione del Comandante provinciale delle Fiamme Gialle rivelatasi non fondata, debba poi risarcire le spese l’Agenzia.

Fonte “Il sole 24 ore”

L’unico sezionale non obbliga a conservare in digitale anche i documenti analogici

La contemporanea registrazione di fatture elettroniche e analogiche in un unico registro sezionale Iva (acquisto o vendite) non obbliga a conservare elettronicamente anche i documenti analogici. A chiarirlo sono le Entrate, con una risposta del 15 novembre scorso, formalizzata nelle Faq pubblicate dall’Agenzia.

Dal 2019, si continueranno inevitabilmente a ricevere ancora fatture non elettroniche (su carta, in pdf, in formato immagine, eccetera), ad esempio, dai minimi, dai forfettari, dai soggetti non residenti o non stabiliti ovvero dai soggetti solo identificati. Già oggi (soprattutto con l’avvicinarsi di fine anno), invece, è possibile ricevere qualche fattura elettronica, assieme alle consuete fatture su carta. In questi casi, di ricezione mista (elettronica e analogica), non è necessario istituire diversi sezionali dei registri Iva, al fine di registrare i documenti analogici con una numerazione diversa rispetto alle e-fatture ovvero per evitarne la conservazione sostituiva prevista per queste ultime. Dal 24 ottobre 2018, peraltro, è stata abolita la registrazione “in ordine progressivo” delle fatture passive e delle autofatture nel registro Iva degli acquisti (articolo 25, comma 1, del Dpr 633/1972).

Anche se i documenti elettronici e quelli analitici vengono registrati in un unico sezionale del registro Iva acquisti, infatti, non è necessario effettuare la conservazione elettronica sostitutiva anche delle fatture analogiche.

Questa regola vale anche per il ciclo attivo. Nel 2019, anche se la fattura elettronica attiva sarà in generale obbligatoria, si dovranno ancora emettere su carta le fatture verso i soggetti non residenti o non stabiliti ovvero i soggetti identificati (identificazione diretta o tramite rappresentante fiscale), a meno che non ci si accordi con loro per l’invio della e-fattura tramite lo Sdi, per evitare l’esterometro, previa richiesta al proprio cliente “estero” (ad esempio, una consociata) del suo indirizzo telematico (codice destinatario o pec). Questa modalità di invio della e-fattura al cliente, tramite lo Sdi (allegato A del provvedimento del 30 aprile 2018, paragrafi 2.1.4), è possibile anche per il ciclo passivo (anche se più complicata) ed è diversa da quella, prevista per il solo ciclo attivo e sempre per evitare l’esterometro, di solo «invio allo Sdi» dell’Xml con il codice destinatario «XXXXXX» (si veda Il Quotidiano del Fisco del 15 novembre 2018).

Anche per il ciclo attivo, quindi, in presenza di un unico sezionale con fatture sia elettroniche che analitiche, la modalità di conservazione può essere sia elettronica (obbligatoria per le fatture elettroniche), sia analitica (per quelle cartacee).

Ad esempio, alla fattura analogica con numero 1, possono succedere le fatture elettroniche con numero 2 e 3, l’analogica con numero 4 e così via, senza necessità di ricorrere a separati registri sezionali, fermo restando il rispetto della conservazione sostitutiva solo per quelle elettroniche.

Anche con l’avvento della fattura elettronica, infine, sarà possibile adottare una numerazione progressiva che, partendo dal numero 1, prosegua ininterrottamente per tutti gli anni solari di attività del contribuente, fino alla cessazione dell’attività stessa (risoluzione 10 gennaio 2013, n. 1/E).

Fonte “Il sole 24 ore”

L’e-fattura dei forfettari resta senza obbligo di conservazione

Gli operatori che rientrano nel regime di vantaggio o nel regime forfettario non hanno l’obbligo di conservare elettronicamente le fatture ricevute, se non comunicano al cedente/prestatore la Pec o un codice destinatario con cui ricevere le fatture elettroniche. Lo ha chiarito l’agenzia delle Entrate con una delle Faq pubblicate ieri.

La legge di Bilancio per l’anno 2018 esclude dalle disposizioni in materia di fatturazione elettronica i soggetti che adottano il regime dei minimi (Dl 98/2011) e quelli che adottano il regime forfettario (legge 190/2014). Pertanto, a partire dal 1° gennaio 2019, questi soggetti saranno esonerati dalla emissione della fattura elettronica; tuttavia, lo stesso esonero non si applica ai loro fornitori, che dovranno emettere fattura elettronica rispettando il formato e il contenuto previsto per qualsiasi altro tipo di e-fattura.

La differenza, rispetto alle fatture elettroniche emesse nei confronti di soggetti passivi, riguarda gli elementi necessari per il recapito della stessa. Lo Sdi, infatti, generalmente recapita la fattura elettronica attraverso la Pec, o tramite applicativi o servizi di trasmissione file; queste due ultime modalità necessitano del preventivo processo di accreditamento, che consente di ottenere un codice destinatario di sette cifre. Pertanto, ai fini del recapito, generalmente nella fattura deve essere indicato il codice destinatario oppure un indirizzo Pec. Quando la fattura è emessa nei confronti di un minimo o forfettario, la fattura non deve però contenere né il codice destinatario né la Pec del cliente secondo l’Agenzia, bensì un codice convenzionale di sette zeri da inserire al posto del codice destinatario.

Questa indicazione permette allo Sdi di recapitare la fattura elettronica al minimo/forfettario mettendola a disposizione nella sua area riservata del sito web dell’agenzia delle Entrate, oltre che rendere disponibile al cedente/prestatore un duplicato informatico della fattura (sempre nella sua area riservata). Il cedente/prestatore, inoltre, ha l’obbligo di comunicare tempestivamente al cessionario/committente, per vie diverse dallo Sdi, che l’originale della fattura elettronica è a sua disposizione nella predetta area riservata.

Dunque, seguendo queste modalità, l’agenzia delle Entrate ha chiarito che non sussiste alcun obbligo in capo ai soggetti minimi e forfettari, nemmeno sul fronte del ciclo passivo, non essendo obbligati alla conservazione dei documenti ricevuti. Minimi e forfetari possono però decidere di ricevere le fatture elettroniche emesse dai loro fornitori anche comunicando una Pec o, in alternativa, un codice destinatario. In questa ipotesi, dalla lettura della risposta alla Faq si desume che scatta l’obbligo di conservazione elettronica.

Sintetizzando: il contribuente minimo o forfettario che comunica un indirizzo Pec o un codice destinatario sarà obbligato alla conservazione elettronica dei documenti ricevuti; chi, invece, fa nulla, quindi non comunica né Pec, né codice destinatario non ha neanche l’obbligo di conservare i documenti elettronici ricevuti; ovviamente in questo caso dovrà conservare le fatture cartacee. Anche se la risposta non lo dice, si ritiene che il medesimo metodo riguardi anche le imprese agricole in regime di esonero (volume di affari inferiore a 7mila euro).

Fonte “Il sole 24 ore”

Nel contratto di conservazione attenzione ai subfornitori

La conservazione della fattura elettronica deve essere garantita per almeno dieci anni. Diventa quindi strategica la scelta del conservatore e importante la capacità di sapersi districare tra i contratti di servizio, diffidando di quelli troppo sintetici. La creazione e gestione della fattura e la sua conservazione sono due passaggi distinti e di norma hanno due contratti diversi, anche se il fornitore è lo stesso.
Il conservatore deve essere valutato in base alla struttura (più è solida, anche finanziariamente, e più dovrebbe essere sicura), alle apparecchiature ma anche al processo di gestione dei documenti. Bisogna, inoltre, tutelarsi nel caso in cui il conservatore che abbiamo scelto fallisca o chiuda. Il contratto deve prevedere, quindi, che i nostri documenti digitali siano riversati presso un altro conservatore. Nel caso di fatture della pubblica amministrazione la legge pone come obbligo che il conservatore sia accreditato Agid (Agenzia per l’Italia digitale), ovviamente conviene verificare che il numero di protocollo sia reale. Anche se non è obbligatoria l’accreditazione Agid nel B2B dà certamente garanzie importanti . «Quasi tutti i conservatori sono accreditati Agid – spiega Bonfiglio Mariotti, presidente di Assosoftware – e si tratta di una certificazione che comporta verifiche semestrali da parte dell’Agid per accertare se si è compliance con la certificazione». Il “bollino” Agid non solo è una garanzia per l’utente, ma fornisce anche una serie di agevolazioni al conservatore grazie agli strumenti e alle competenze che mette a disposizione.
Un’altro elemento che è meglio esplicitare nel contratto riguarda eventuali subappaltatori. Il fornitore a cui ci si rivolge per i servizi che riguardano la fatturazione elettronica deve dichiarare se ricorre a sub-fornitori, sia perché è sempre meglio sapere chi gestisce materialmente i nostri documenti sia perché le responsabilità del fornitore devono essere estese anche al sub fornitore. A questo proposito è già stato approvato un emendamento al Dl fiscale che “vieta” a Sogei (quindi all’agenzia delle Entrate) di affidare a terzi esterni la conservazione.
Con internet si è un po’ persa l’abitudine di leggere i contratti ma nel contratto di conservazione conviene fare uno sforzo. «Il contratto – raccomanda Mariotti – deve essere letto, stampato e, per legge, firmato in originale».

Fonte “Il sole 24 ore”

Dai medici al forfait 5 partite Iva su 10 fuori dalla e-fattura

Anche senza proroga, dal 1° gennaio dell’anno prossimo cinque partite Iva su dieci non saranno obbligate a emettere fatture elettroniche. Tra l’allargamento del regime forfettario, i soggetti che fanno solo scontrini e le esclusioni ora in discussione in Parlamento, l’obbligo riguarderà metà dei 5,8 milioni di titolari di partita Iva (imprenditori individuali, professionisti, società ed enti non commerciali). Gli esclusi, comunque, non dovranno disinteressarsi completamente del nuovo obbligo, perché potranno comunque trovarsi a ricevere fatture elettroniche dai propri fornitori.
I primi a evitare la e-fattura sono i contribuenti che hanno aderito al regime forfettario e i vecchi minimi (circa 935mila titolari di partita Iva, in base agli ultimi dati). Ed è un insieme che potrebbe crescere fino a 1,5 milioni con l’innalzamento della soglia d’accesso a 65mila euro di ricavi, previsto nel disegno di legge di Bilancio per il 2019. Del resto, le ultime statistiche fiscali (anno d’imposta 2016) dicono che nella fascia di giro d’affari tra i 30 e i 65mila euro ci sono 909mila contribuenti.
A questi va poi aggiunto il milione e 732mila esercenti o artigiani che operano solo con consumatori ed emettono scontrini e ricevute fiscali. Per loro, di trasmissione telematica non si parlerà prima del prossimo 1° luglio (grandi operatori) o addirittura del 1° gennaio 2020 (tutti gli altri).
Oggi al voto in commissione al Senato
Il terzo fronte di limitazioni arriverà dal Parlamento. Il primo banco di prova è previsto già oggi, quando la commissione Finanze del Senato è chiamata a completare l’esame degli emendamenti accantonati la scorsa settimana.
Si tratta di modifiche al decreto fiscale (Dl 119/2018) finalizzate a restringere la platea dei soggetti obbligati alla trasmissione della e-fattura: in particolare, escludendo medici e farmacisti che inviano al Sistema tessera sanitaria (Sts) i dati relativi alle spese dei propri clienti per permettere alle Entrate di preparare la dichiarazione dei redditi precompilata. In ballo c’è anche l’esclusione delle associazioni sportive dilettantistiche, su cui però il dibattito è più aperto.
Un altro punto importante su cui i senatori prenderanno già oggi una decisione è l’estensione fino a fine settembre della moratoria sulle sanzioni per chi non si adeguerà all’obbligo di fatturazione elettronica tra privati. Al momento, il periodo di salvaguardia introdotto dal decreto fiscale si ferma al 30 giugno.
Ciò che non pare in discussione, almeno per ora, è la data di debutto del nuovo obbligo (1° gennaio 2019). Anche perché alla fattura elettronica sono legati 1,97 miliardi di euro di maggiori entrate da contrasto all’evasione Iva nel 2019.
Meno «big data» per tutelare la privacy
L’altro fronte caldo per la fattura elettronica è quello con la privacy, dopo la bocciatura di dieci giorni fa da parte del Garante. Che ha evidenziato una raccolta «sproporzionata» di informazioni su cittadini e imprese da parte del Fisco, oltre al rischio che i dati vengano usati in modo improprio da soggetti terzi.
D’altra parte, le fatture sono una miniera di informazioni sul business, oltre che sul Fisco: dai clienti alla marginalità, dai tempi di pagamento al dettaglio di molte operazioni. Proprio sul fronte dell’utilizzo dei big data, la commissione Finanze ha già approvato un emendamento che vieta a Sogei di utilizzare soggetti terzi nella conservazione dei dati delle fatture.
Inoltre, come ricordato dal ministro dell’Economia, Giovanni Tria, durante il question time al Senato, è già partito un tavolo di confronto tra Agenzia e Garante per risolvere le criticità evidenziate dall’authority.
Tra le soluzioni allo studio c’è quella di far sì che l’Agenzia memorizzi i soli dati di rilevanza tributaria. Il Fisco rinuncerebbe ad esempio ad acquisire il dettaglio dei consumi inserito nella fattura emessa da una utility a un’impresa, limitandosi a salvare nei propri database gli elementi chiave.

Fonte “Il sole 24 ore”

Pace fiscale, via al tour de force: tutte le date da ricordare

La maratona dell’Aula di Palazzo Madama – anche se il via libera finale arriverà solo oggi – porta con sé la moratoria delle sanzioni fino a settembre per la trasmissione della fattura elettronica dei contribuenti con cadenza mensile. Mentre sbarra la porta alla possibilità per i sindaci di estendere la rottamazione-ter alle ingiunzioni di pagamento con multe e tributi locali, a partire da Imu, Tasi e Tari. Tra le novità arrivate nel corso dell’esame dell’assemblea di Palazzo Madama sono arrivati anche i ritocchi al Codice del Terzo settore. Con un nuovo assetto anche per le ricadute pratiche delle erogazioni liberali, in base al quale la detrazione del 30% verrebbe limitata esclusivamente a quelle effettuate in natura con il conseguente “taglia-fuori” per quelle in denaro. Ma non solo, perché si modifica la definizione di attività «non commerciale» stabilendo che si consideri tale qualora i ricavi non superino del 5% i costi per ciascun periodo d’imposta e per non più di due periodi di imposta consecutivi.
In un decreto che è sempre di più diventato omnibus nel corso dell’esame parlamentare con la presentazione dell’emendamento sulle concessioni autostradali (al voto oggi) con obbligo di manutenzione anche dopo la fine dell’affidamento, l’asse portante restano le misure della pace fiscale. «Misure come la rottamazione-ter delle cartelle, lo stralcio delle mini cartelle, la definizione agevolata delle liti fiscali e la definizione degli errori formali danno una boccata d’ossigeno ai piccoli contribuenti in difficoltà che meritano di essere rimessi in carreggiata» sottolinea il relatore al provvedimento in commissione Finanze, Emiliano Fenu (M5S), che precisa anche come non ci sia «spazio per sconti agli evasori, né ci sono scappatoie per chi ha portato soldi fuori dal Paese, abbiamo quindi marcato una distanza rispetto al recente passato».
Come anticipato, però, oltre alla pace fiscale c’è molto di più. A cominciare dagli ulteriori ritocchi al capitolo della fattura elettronica. L’ultimo in ordine di tempo ha portato l’Aula a recuperare l’estensione sulla moratoria delle sanzioni fino a settembre. Mentre la commissione aveva già dato il via libera all’esonero per medici e farmacisti che inviano i dati al Sistema tessera sanitaria per la precompilata e alle associazioni sportive dilettantistiche con proventi fino a 65mila euro.
Poi il capitolo sulla lotta all’evasione che è diventato più corposo per effetto della possibilità di utilizzo dei dati della Superanagrafe dei conti estesa anche alla Guardia di Finanza, con i dati di sintesi sui principali rapporti finanziari che potranno essere conservati fino a un massimo di dieci anni.
Ancora, il rifinanziamento del bonus bebè per i figli nati o adottati in tutto il 2019 e con la novità della maggiorazione del 20% per i figli successivi al primo. I 444 milioni spalmati in due anni arriveranno dalla sanatoria degli errori formali, che coprirà con altri 525 milioni sempre per il 2019 e il 2020 la dote del fondo per le calamità con cui il Governo prevede di avviare dall’inizio del prossimo anno un piano di investimenti per fronteggiare il dissesto idrogeologico, per garantire la manutenzione delle reti viarie e dell’edilizia.
Nel giorno in cui la Camera ha votato la fiducia sul decreto sicurezza, il Senato ha “risposto” con l’introduzione del prelievo dell’1,5% sulle rimesse in denaro tramite money transfer verso Paesi extracomunitari per importi superiori a 10 euro. I 63 milioni attesi dalla nuova tassazione saranno destinati alla detassazione delle sigarette elettroniche: una misura considerata da Anafe-Confindustria una vittoria storica per il settore con la riduzione delle imposte dell’80% sui liquidi con nicotina e del 90% per quelli senza nicotina.
Nell’omnibus oggi attesi i voti su mobilità in deroga e cassa integrazione. Sempre in tema lavoro dovrà essere esaminato anche il tavolo per il caporalato.
A tener banco in Aula saranno poi le norme su telecomunicazioni, Bcc, proroga della riforma sulle Popolari e sull’introduzione di uno scudo anti-spread per assicurazioni e imprese con principi contabili nazionali.

La pace fiscale resta a nove corsie. Così era partita a metà ottobre scorso e così è uscita ieri dal Senato dopo il primo passaggio in Parlamento del Dl fiscale. Ma se da una parte ha mantenuto la sua struttura a più vie, le sanatorie sono cambiate molto nella sostanza soprattutto rispetto agli annunci e alle attese dei contribuenti. L’accordo politico tra Lega e M5S ha cancellato l’iniziale articolo 9 sul condono che introduceva una dichiarazione integrativa speciale su importi fino a 100mila euro l’anno con una tassa sostitutiva del 20 per cento. Al suo posto arriva la sanatoria sugli errori formali, che potranno essere corretti versando al Fisco 200 euro per ogni singolo anno d’imposta per le violazioni commesse fino al 28 ottobre 2018. Ma non è il solo cambio di rotta. Nulla da fare per il più volte annunciato «saldo e stralcio» con cui la Lega ha ipotizzato di poter consentire ai contribuenti in difficoltà economica, con un Isee fino a 30mila euro, di saldare il proprio debito versando, a seconda del reddito, il 6, il 10 o al massimo il 25% del dovuto.
Tra le assenze nelle file dei condoni gialloverdi anche l’estensione della rottamazione-ter alle ingiunzioni di pagamento con cui i comuni riscuotono tributi locali, come Imu, Tasi e Tari, o le multe. Un’estensione facoltativa per i sindaci, sempre presente nelle due passate edizioni delle rottamazioni e che ieri, invece, è stata bloccata con il no della Ragioneria, almeno secondo quanto sottolineato dal sottosegretario all’Economia, Massimo Bitonci (Lega). Nessuna possibilità, poi, di sanare gli omessi versamenti pur avendo dichiarato tutto al fisco. Anche qui il rischio di una perdita di gettito sul recupero annuale garantito dalla riscossione spontanea ha prevalso sulla possibilità di condonare le singole posizioni dei contribuenti.
Della pace fiscale resta certamente la filosofia di fondo ossia di una “sanatoria di filiera” che parte dai processi verbali di constatazione, passa agli accertamenti, alle dichiarazioni dei redditi con errori formali, alla rottamazione-ter delle cartelle esattoriali, per chiudere con i maxisconti della definizione agevolata delle liti pendenti. Al fianco di queste sanatorie ce ne sono alcune di “settore”, a partire dallo stralcio delle cartelle fino a mille euro, quella per le società sportive dilettantistiche, nonché quella per le sigarette elettroniche, che potranno chiudere i contenziosi aperti versando soltanto il 5% di quanto contestato dalle Dogane e dai Monopoli.
Per le sanatorie fiscali dai Pvc alle liti due sono i criteri di fondo: l’obbligo di dover versare la pretesa erariale al netto di interessi e sanzioni. La sola eccezione sono gli errori formali per i quali, oltre al versamento forfettario di 200 euro si prevedono specifici termini di versamento in due rate: una al 31 maggio 2019 e l’altra al 2 marzo 2020. Per le altre sanatorie (Pvc, accertamenti rottamazione ter e liti pendenti) la propria posizione si definisce con il versamento in unica soluzione o rateizzando gli importi dovuti fino a un massimo di 5 anni.
Tra le novità introdotte al Senato proprio sui versamenti rateizzati vanno segnalati l’alleggerimento delle rate che, pur restando distribuite in 5 anni, si potranno versare due nel 2019 (31 luglio e 30 novembre) e le altre a scadenza trimestrale nell’anno, passando quindi da 2 a 4 rate all’anno. Non ci sarà poi nessuna sanzione per ritardi nei pagamenti contenuti nei 5 giorni dalla scadenza.
Durante l’esame del Senato la modifica di maggior spessore sul fronte delle nove sanatorie ha riguardato la chiusura delle liti pendenti dove maggioranza e Governo hanno rivisto al rialzo gli sconti concessi a chi chiude in via agevolata, senza versare sanzioni e interessi, il contenzioso avviato con il Fisco. È stato introdotto uno sconto del 10% sulla pretesa erariale per chi ha solo presentato ricorso ed è in attesa della “lite”. È stato previsto, poi, un maxi-sconto fino al 95% (è dovuto solo il 5%) per chi ha una doppia conforme e in attesa del giudizio di Cassazione ha già battuto le Entrate in commissione provinciale e regionale. Il Senato ha aumentato anche l’appeal per chi ha vinto in primo grado riducendo la somma dovuta al Fisco dal 50% iniziale al 40%, così come ha ridotto dal 20% ora in vigore al 15% per chi ha vinto in secondo e non vuole attendere il giudizio della Cassazione.

Fonte “Il sole 24 ore”

Reverse charge su pc e console prorogato al 30 giugno 2022

L’approvazione degli emendamenti al Dl 119/2018 estende al 30 giugno 2022 l’obbligo di applicazione del reverse charge per la cessione di cellulari, tablet, laptop, cessione di gas e elettricità con effetti diretti sulla e-fattura obbligatoria. Per l’e-fattura sono confermate: l’esclusione per gli operatori sanitari che trasmettono i dati al sistema tessera sanitaria, limitatamente alle fatture corrispondenti ai dati inviati a detto sistema, nonché per le associazioni sportive dilettantistiche nel caso in cui i proventi relativi alle attività commerciali siano inferiori nel periodo d’imposta precedente a 65mila euro; le previsioni relative ai fornitori di servizi pubblici (come le imprese telefoniche) per i quali verranno emanate delle specifiche tecniche per l’emissione di fatture verso il consumatore finale per i contratti stipulati prima del 2005; le limitazioni delle cause che consentono a una pubblica amministrazione di rifiutare una fattura Pa.

Viene prorogata al 30 giugno 2022 l’applicazione del meccanismo dell’inversione contabile facoltativa (reverse charge) Iva, in linea con quanto previsto dall’articolo 199-bis della direttiva 2006/112 che ha prorogato il termine per l’applicazione facoltativa del reverse charge al 30 giugno 2022.

La misura allinea al nuovo termine Ue la possibilità di avvalersi dell’inversione contabile per le operazioni elencate all’articolo 17, sesto comma del Dpr 633/1972, alle lettere b), c), d-bis), d-ter) e d-quater). Si tratta quindi delle cessioni di telefoni cellulari, ad esclusione dei componenti e accessori per i telefoni cellulari, delle cessioni di dispositivi a circuito integrato, quali microprocessori e unità centrali di elaborazione, effettuate prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale con esclusione dei computer quali beni completi e i loro accessori. Vi rientrano inoltre le cessioni di console da gioco, tablet, pc e laptop oltre ai trasferimenti di quote di emissioni di gas a effetto serra trasferibili, dei certificati relativi al gas e all’energia elettrica e delle cessioni di gas e di energia elettrica a un soggetto passivo-rivenditore.

Tra i soggetti esclusi dall’obbligo di e-fattura sono state ricomprese le associazioni sportive che applicano il regime forfettario (opzionale) e che nel periodo d’imposta precedente hanno conseguito dall’esercizio di attività commerciali proventi per un importo non superiore a 65mila euro. Il regime forfettario opzionale trova applicazione nei riguardi delle associazioni sportive dilettantistiche che conseguono proventi da attività commerciali non superiori a 400mila euro e che sono esonerati dagli obblighi di tenuta delle scritture contabili. In caso di conseguimento dall’esercizio di attività commerciali un importo superiore a 65mila euro, le associazioni sportive devono assicurare che la fattura sia emessa dal cessionario o committente soggetto passivo d’imposta. Altra novità riguarda gli obblighi di fatturazione e registrazione relativi ai contratti di sponsorizzazione e pubblicità: tali obblighi, nei confronti di soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato, dovranno essere adempiuti dagli stessi cessionari.

Fonte “Il sole 24 ore”

La rottamazione delle cartelle ammette ritardi fino a 5 giorni

Aumento del numero delle rate, fermo il limite massimo di 5 anni del periodo di dilazione, introduzione della tolleranza di 5 giorni per tutte le scadenze e rilascio del Durc dopo la presentazione della domanda di sanatoria. Queste sono le modifiche apportate alla rottamazione-ter dalla commissione Finanze del Senato.

Nella versione attualmente in vigore, il pagamento della definizione degli affidamenti all’agente della riscossione può avvenire in un massimo di 10 rate, in scadenza il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno. Il periodo limite di dilazione dunque è di 5 anni.

Con le modifiche apportate in Senato il numero delle rate aumenta da 10 a 18. Mentre per il 2019, inoltre, restano le rate di luglio e novembre, ciascuna pari al 10% del totale, a decorrere dal 2020 le rate diventano quattro, con scadenza a febbraio, maggio, luglio e novembre di ciascun anno. In sostanza, si riduce l’importo unitario della rata di rottamazione ma resta fermo l’arco temporale di cinque anni per concludere i pagamenti.

L’altra importante modifica riguarda l’introduzione di una soglia di tolleranza nel rispetto delle scadenze di legge. Al riguardo, si ricorda che in tutte le versioni precedenti della rottamazione e anche nella vigente formulazione della definizione ter era sufficiente il ritardato pagamento anche di un solo giorno per decadere irreversibilmente dai benefici di legge. Tanto, perché non risultava applicabile l’istituto del lieve inadempimento all’articolo 15-ter del Dpr 602/1973, che consente di far salvi i ritardi di 7 giorni nel versamento della sola prima rata.

Con l’emendamento approvato si stabilisce che in caso di ritardo non superiore a 5 giorni «l’effetto di inefficacia della definizione non si produce e non sono dovuti interessi». Si tratta, in realtà, di una vera e propria soglia di tolleranza che rende del tutto irrilevanti i ritardi non superiori a 5 giorni, atteso che il debitore non subisce alcuna penalizzazione da essi. Tale soglia trova applicazione per la generalità delle rate della rottamazione ter, ivi inclusa quella in scadenza al 7 dicembre, riferita alle rate della rottamazione bis (si veda l’altro pezzo in pagina).

L’ultima modifica colma una lacuna rispetto alle precedenti rottamazioni. Si ricorda in proposito che in entrambe le precedenti versioni era stabilito che una volta presentata l’istanza di definizione il debitore poteva chiedere ed ottenere il Durc positivo. In base all’articolo 3, comma 10, del Dl 119/2018, una volta trasmessa l’istanza, il debitore non si considera inadempiente ai fini degli articoli 28-ter e 48-bis del Dpr 602/1973. La prima norma citata riguarda il potere dell’agente della riscossione di notificare al soggetto moroso destinatario di un rimborso fiscale una proposta di compensazione volontaria del credito in via di erogazione con le somme a ruolo. In caso di rifiuto, agenzia delle Entrate-Riscossione (Ader) provvede a notificare un pignoramento presso terzi. La seconda disposizione prevede il blocco dei pagamenti maggiori di 5mila euro da parte di enti pubblici qualora il beneficiario degli stessi abbia pendenze almeno pari a 5mila euro verso l’Ader. Con l’emendamento in esame il quadro è completato dalla possibilità di rilasciare il Durc qualora i carichi previdenziali risultino inclusi in domande di rottamazione. In caso di successiva decadenza dalla definizione, l’Inps revoca il documento già rilasciato. In questo modo, si consente pertanto la partecipazione a gare da parte del debitore.

Fonte “Il sole 24 ore”

Sanatoria errori formali, fuori il quadro RW

Escluse dalla sanatoria delle irregolarità formali le violazioni commesse nella compilazione del quadro RW. È questo l’effetto del correttivo che ha ricevuto il via libera della commissione Bilancio e che mira a impedire che con la sanatoria i contribuenti possano far emergere attività costituite o detenute all’estero.

Si intende così porre rimedio a un’eccessiva apertura della disposizione che, come segnalato da Dario Deotto (si veda Il Quotidiano del Fisco del 24 novembre ), sterilizzava gli effetti della regolarizzazione solo in relazione agli atti di contestazione o irrogazione delle sanzioni emessi nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria, ma non anche per le violazioni legate al quadro RW. L’emendamento specifica che ciò che è vietato è la bonifica dell’emersione di attività estere, fattispecie che letteralmente sembra diversa rispetto alla correzione di errori nell’indicazione dei valori di attività estere comunque dichiarate nel quadro RW.

La sanatoria desta comunque interesse in un sistema caratterizzato da una gran mole di adempimenti. L’idea di bonificare gli errori formali anche inconsapevolmente commessi pagando 200 euro alletta molti, tanto più che la somma è fissa per ciascun periodo d’imposta e non specifica anche per comparto impositivo. Né rileva la dimensione del contribuente.

La questione centrale resta quella di capire quale sia il perimetro della regolarizzazione, a prescindere dai limiti citati. La bozza fa riferimento a irregolarità, infrazioni e inosservanze di obblighi e adempimenti che abbiano natura formale e che non rilevino sulla determinazione della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi, dell’Iva, dell’Irap e dei pagamenti dei tributi. Si tratta di una definizione molto ampia per cui dovrebbero essere sanate non solo le violazioni formali dichiarative, ma anche quelle tributarie pur se correlate ad adempimenti diversi quali, ad esempio, le violazioni commesse nelle comunicazioni periodiche Iva e nei modelli intrastat.

In merito alle violazioni dichiarative, sono molti gli errori che possono non riflettersi su un maggior imponibile o una maggiore imposta. Si pensi al contenuto dei quadri RS (prospetti vari) e RV (riconciliazione dei dati contabili e fiscali). Va però tenuto conto che gli errori formali possono anche declinare in violazioni sostanziali. Due casi sono paradigmatici: gli errori commessi nella compilazione dei modelli studi di settore o nel prospetto delle società di comodo. Se l’errore non si riverbera sul resoconto di congruità o sulla determinazione del reddito minimo, si è in presenza di una violazione formale. Se, invece, l’errore si riflette sul reddito accertabile, la violazione per infedele dichiarazione assorbe quella formale e, quindi, il pagamento dei 200 euro sarebbe inutile.

Fonte “Il sole 24 ore”

Liti pendenti, la doppia vittoria consente la definizione con il 5%

Definizione delle liti fiscali pendenti con più appeal. Gli emendamenti approvati ieri dalla Commissione Finanze del Senato al Dl 119 prevedono che, in caso di ricorso pendente iscritto in primo grado, la lite può essere definita con il 90% delle imposte dovute nell’atto impugnato. Se, invece, è stata depositata una sentenza favorevole al contribuente la definizione della lite avviene con il pagamento del 40% delle imposte se la pronuncia è di primo grado o del 15% se è di secondo grado. Invece, se la controversia è pendente in Cassazione alla data di entrata in vigore della legge di conversione, e l’Agenzia sia risultata soccombente in tutti i precedenti giudizi, la definizione avviene con il pagamento del 5% del valore della controversia.

Nonostante queste favorevoli modifiche permangono vari dubbi. Innanzitutto il riferimento al «ricorso pendente iscritto» potrebbe comportare che si tratta solo di quei ricorsi in primo grado per i quali è stata fatta la costituzione in giudizio e non anche quelli soltanto notificati alla controparte. Se così fosse, bisogna chiarire se la data di riferimento per la costituzione sia l’entrata in vigore della legge di conversione o il 24 ottobre. Poi, non è stato disciplinato il trattamento per le pronunce della Cassazione con rinvio. Nel decreto legge, nelle ipotesi di rinvio, per la definizione della lite è necessario versare il 100% delle imposte pretese con l’atto impugnato. Ora, considerata la modifica intervenuta per i giudizi pendenti in primo grado, l’importo dovrebbe verosimilmente scendere al 90%. La relazione illustrativa al decreto, infatti, precisava che nel caso di sentenza della Cassazione con rinvio, la controversia si considera pendente in primo grado senza decisione. Poiché dopo l’emendamento, per i ricorsi pendenti in primo grado, la definizione potrà avvenire con il pagamento del 90% dovrebbe conseguire che i rinvii della Cassazione potranno essere analogamente chiusi con il 90%. Si tratta comunque di una circostanza singolare, atteso che il contribuente potrebbe aver avuto una sentenza in un grado di giudizio favorevole e non beneficerebbe di tale circostanza.

Quanto alla nuova previsione, secondo cui per un doppio grado di giudizio favorevole è dovuto il 5%, occorre comprendere se per «controversie pendenti innanzi alla Corte di Cassazione» debbano intendersi i ricorsi già notificati ovvero quelli i cui termini di impugnazione della sentenza di appello non siano ancora spirati. Va da sé che prevalendo la prima interpretazione, più aderente alla norma, il nuovo beneficio del 5% sarebbe legato alla tempestività del ricorso dell’agenzia delle Entrate alla data di conversione della legge, in assenza del quale, il contribuente potrebbe beneficiare solo del pagamento del 15%.

Nei giorni scorsi sono stati poi approvati tre emendamenti sulla rottamazione ter che rendono più interessante il meccanismo di definizione. Anziché 10 rate, viene consentito il pagamento in un numero massimo di 18 rate, consecutive, la prima e la seconda delle quali, di importo pari al 10% ciascuna delle somme complessivamente dovute ai fini della definizione, scadenti rispettivamente il 31 luglio e il 30 novembre 2019. Le restanti, di pari ammontare, scadenti il 28 febbraio, il 31 maggio, il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno a decorrere dal 2020. È stato poi previsto che l’effetto di inefficacia della definizione non si produce nei casi di tardivo versamento delle rate non superiore a 5 giorni e non sono dovuti interessi.

Fonte “Il sole 24 ore”

E-fattura, esonero limitato per medici e farmacisti

Si amplia il numero dei soggetti esclusi dalla e-fattura obbligatoria tra privati, con inclusione tra questi di tutti coloro che trasmettono i dati al sistema della tessera sanitaria e le associazioni sportive dilettantistiche. Inoltre, la moratoria che renderà più soft l’entrata in vigore dell’obbligo si estende da giugno a settembre. Queste sono le ultime novità che sono state inserite tra gli emendamenti approvati nel percorso di conversione del Dl 119/2018. Gli emendamenti sui soggetti esclusi, molto attesi dalle categorie interessate, presentano però delle condizioni che vanno attentamente rispettate per evitare errori e sanzioni.

Operatori sanitari

L’esonero degli operatori sanitari dall’obbligo di emettere fattura elettronica incontra due tipologie di limiti, il primo di ordine temporale in quanto le operazioni che non dovranno essere documentate con tracciato xml attraverso il Sistema di interscambio sono solamente quelle effettuate nel 2019. L’esclusione da un punto di vista oggettivo riguarda inoltre unicamente le fatture i cui dati sono inviati al Sistema tessera sanitaria: tutto ciò che non viene quindi trasmesso tramite questo canale, funzionale alla elaborazione della dichiarazione dei redditi precompilata, va documentato con emissione di una fattura elettronica. L’esonero interessa potenzialmente tutti gli operatori sanitari tenuti all’invio dei dati al Sistema tessera sanitaria ricompresi nell’elenco contenuto all’articolo 3 del Dlgs 175/2014 e, quindi, aziende sanitarie locali, aziende ospedaliere, istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, policlinici universitari, farmacie pubbliche e private, presidi di specialistica ambulatoriale, strutture per l’erogazione delle prestazioni di assistenza protesica e di assistenza integrativa, altri presidi e strutture accreditati per l’erogazione dei servizi sanitari e iscritti all’Albo dei medici chirurghi e degli odontoiatri oltre a professionisti sanitari quali psicologi, veterinari, infermieri, tecnici radiologi, ostetrici, nonché ottici.

Sport dilettanti

Le associazioni sportive senza scopo di lucro affiliate alle federazioni sportive nazionali o agli enti nazionali di promozione sportiva che svolgono attività sportive dilettantistiche che hanno optato per il regime speciale Iva e imposte dirette di cui alla L 398/1991:

sono esonerate dall’obbligo della fattura elettronica a condizione che, nel periodo d’imposta precedente hanno conseguito dall’esercizio di attività commerciali proventi per un importo non superiore a 65mila euro;

devono, nel caso i cui i predetti proventi siano superiori a 65mila euro, assicurare che i loro committenti o cessionari soggetti passivi d’imposta emettano per loro conto la fattura elettronica.

Inoltre, gli obblighi di fatturazione e registrazione dei contratti di sponsorizzazione e pubblicità delle predette associazioni nei confronti di soggetti stabiliti in Italia sono eseguiti per loro conto dai cessionari.

Corrispettivi tessera sanitaria

Altro emendamento approvato riguarda la trasmissione telematica dei corrispettivi giornalieri obbligatoria dal 1° gennaio 2020, e anticipata al 1° luglio 2019 per i soggetti con volume d’affari superiore a 400mila euro. Il testo originario del decreto-legge limitava ai soli operatori sanitari che vendono farmaci la possibilità di assolvere all’obbligo avvalendosi di strumenti e canali già utilizzati per l’invio dei dati al Sistema tessera sanitaria. In sede di conversione sono stati ricompresi tutti i soggetti tenuti all’invio dei dati tessera sanitaria. Con decreto del ministro della Salute, di concerto con i ministri dell’Economia e delle finanze e per la Pubblica amministrazione, sentito il Garante privacy, saranno definiti termini, ambiti di utilizzo di tali dati e modalità tecniche di trasmissione.

Fonte “il sole 24 ore”

Per il redditometro si profila una revisione condivisa con associazioni di categoria e Istat

di Marco Mobili e Giorgio Pogliotti

Non è un vero e proprio addio al redditometro, piuttosto un’ampia revisione dello strumento, condivisa con associazioni di categoria e Istat.

È una delle novità contenute nell’ultima bozza del decreto legge su occupazione, ludopatia e anti delocalizzazione delle imprese, che verrà portato lunedì al preconsiglio per approdare al primo consiglio dei ministri utile, il giorno stesso o martedì, una volta superato il nodo delle coperture, soprattutto per la norma che vieta il gioco pubblico. Nel pacchetto lavoro, dopo il coro di critiche che si è levato dal mondo produttivo contro la stretta sui contratti a termine e la somministrazione, è arrivata la frenata della Lega: «Capisco la voglia del collega Di Maio di limitare il precariato – ha detto il vicepremier Matteo Salvini – ma faremo attenzione che con la lotta al precariato, sacrosanta, non si danneggino gli interessi dei lavoratori e delle imprese costringendoli al nero». Intervenendo al festival del lavoro in corso a Milano, Salvini ha citato i voucher: «Sono stati ipocritamente cancellati, sono fondamentali in alcuni settori, vanno reintrodotti». Il ministro delle Politiche Agricole, Gian Marco Centinaio, ha aggiunto: «Il datore di lavoro potrà beneficiare di prestazioni lavorative in piena legalità e con coperture assicurative in caso di incidenti, il lavoratore riceverà un compenso esentasse e con i contributi pensionistici».

Il testo del Dl è oggetto di limature, ad esempio sembra verrà cancellata l’abolizione dello staff leasing. Fa discutere anche la norma che assoggetta al limite del 20% attualmente previsto per l’assunzione di lavoratori con contratto a tempo determinato, anche i lavoratori somministrati. Così come l’incremento del costo contributivo crescente di 0,5 punti per ogni rinnovo a partire dal secondo, che si applica al contratto a tempo determinato anche in somministrazione. Vengono reintodotte le causali dal primo rinnovo di un contratto a termine, senza che venga previsto alcun periodo transitorio.

Tornando al contrasto alla ludopatia, è previsto lo stop ad ogni forma di pubblicità e sponsorizzazione di giochi e scommesse che potrebbe arrivare a costare per le casse dello Stato 700 milioni in tre anni. La ricerca della copertura sarebbe indirizzata verso il ministero della Salute, mettendo nel mirino il costo che oggi il sistema sanitario nazionale deve affrontare per curare le patologie da gioco compulsivo. Tra gli ultimi ritocchi, c’è la deroga al divieto di pubblicità per le lotterie nazionali a estrazione differita, che salva la lotteria della Befana. Altra deroga riguarda gli stessi spot dei Monopoli che predicano il gioco responsabile e sono fatti salvi i contratti di sponsorizzazione e pubblicitari in essere.

Tornando all’intervento mirato sul redditometro per calibrare meglio la determinazioni sintetica dei redditi verso la cosiddetta economia “non osservata”; viene abolita l’efficacia dell’attuale decreto ministeriale del 2015 che fissa i valori del redditometro e disposta la messa a punto di un nuovo Dm dell’Economia che si applicherà agli accertamenti per l’anno d’imposta 2016 ,la cui prescrizione scade nel 2022. Ancora da stimare, anche se per un valore già noto pari a qualche decina di milioni di euro, l’abolizione dello split payment per i professionisti.

Fonte “Il sole 24 ore”

Delega ampia agli intermediari per la consultazione e l’acquisizione dei documenti digitali

di Michele Brusaterra

Rinvio a gennaio 2019 per l’obbligo di emissione delle fatture elettroniche per la cessione di benzina e gasolio per autotrazione e possibilità di delegare l’intermediario anche per la consultazione e acquisizione delle fatture elettroniche o dei loro duplicati informatici, nonché per la registrazione dell’indirizzo telematico.

Mentre il Dl 79/2018 ha varato il rinvio al 1° gennaio 2019 dell’obbligo di fatturazione elettronica per benzina e gasolio, previsto originariamente per il primo luglio 2018 dalla legge 205/2017, facendo così tirare un sospiro di sollievo ai gestori di impianti di distribuzione, per quanto riguarda gli intermediari il provvedimento 13 giugno scorso ne ha ampliato i «poteri».

È bene ricordare che il provvedimento 30 aprile 2018 , in tema di fattura elettronica e di intermediari, dispone, tra le altre, che il cedente e prestatore può decidere di trasmettere le fatture elettroniche allo Sdi, attraverso un intermediario, così come il cessionario e committente può decidere di ricevere le fatture elettroniche, recapitate dallo Sdi, sempre attraverso un intermediario. In tale ultimo caso deve essere comunicato al cedente e prestatore «l’indirizzo telematico», ossia il codice destinatario o l’indirizzo di posta certificata (Pec) dell’intermediario stesso.

La delega all’intermediario di cui si è detto, può essere conferita e revocata direttamente attraverso le funzionalità rese disponibili nel sito web dell’agenzia delle Entrate ovvero attraverso la presentazione dell’apposito modulo presso un qualsiasi ufficio territoriale della stessa Agenzia.

Con il provvedimento del 13 giugno scorso si prevede che ai soggetti di cui al comma 3, dell’articolo 3 del Dpr 322/1998, può essere delegata anche la «Consultazione e acquisizione delle fatture elettroniche o dei loro duplicati informatici», nonché la «Registrazione dell’indirizzo telematico» del delegante.

Per quanto concerne la consultazione, il provvedimento in commento elenca tutta una serie di azioni che l’intermediario può porre in essere tra cui vale la pena di ricordare la ricerca, consultazione e acquisizione di tutte le fatture elettroniche emesse e ricevute dal delegante utilizzando lo Sdi – che rende disponibili i file fino al 31.12 dell’anno successivo a quello di ricezione – e di tutte le ricevute, la consultazione dei dati delle operazioni transfrontaliere, la consultazione delle comunicazioni delle liquidazioni periodiche Iva, la consultazione degli elementi di riscontro «fra quanto comunicato con i prospetti di liquidazione trimestrale dell’Iva e i dati delle fatture emesse e ricevute dal soggetto delegante» e, ancora, la consultazione delle opzioni, per conto del soggetto delegante di cui al Dlgs 127/2015.

Per quanto riguarda la registrazione dell’indirizzo telematico, l’intermediario può individuare pec o codice destinatario del delegante, nonché generare il codice a barre bidimensionale (QR-Code).

La delega, la cui durata può essere fissata dal delegante all’atto del suo conferimento e ove non indicata ha durata di 4 anni, può essere conferita direttamente attraverso apposite funzionalità che si trovano all’interno dell’area riservata del delegante, Entratel o Fisconline, ovvero tramite delega da presentare all’ufficio competente dell’agenzia delle Entrate. Con tali modalità le deleghe possono anche essere revocate, in qualsiasi momento.

Fonte “Il sole 24 ore”

Noleggio, l’iperammortamento si sdoppia

di Giacomo Albano e Gianluca De Candia

Iperammortamento anche per i beni concessi in leasing operativo o noleggio. È quanto emerge da una lettura sistematica della disciplina dell’iperammortamento e dai chiarimenti finora forniti sulle modalità di fruizione del beneficio.

Va ricordato preliminarmente che, mentre in caso di leasing finanziario la maggiorazione degli ammortamenti (super ed iper) è riconosciuta esclusivamente in capo al locatario, in caso di locazione operativa o noleggio l’agevolazione è fruita dal locatore (circolare 4/E/2017).

A chi spetta il beneficio

La spettanza del beneficio in capo al locatore (non finanziario) in caso di iperammortamento è stata espressamente confermata dalle Faq del ministero dello Sviluppo economico (aggiornamento del 12 luglio 2017), dove è stato chiarito che, in caso di noleggio, i requisiti necessari per la maggiorazione del 150% potranno essere soddisfatti sia internamente che esternamente; pertanto la società di noleggio che acquista un bene iperammortizzabile per locarlo a un terzo potrà garantire l’integrazione/interconnessione del bene, alternativamente, sia con i propri sistemi o con la propria catena del valore che con i sistemi di fabbrica e la catena del valore dell’utilizzatore finale.

In entrambi questi casi il soggetto che ha diritto all’agevolazione fiscale resta il locatore, che dovrà dimostrare il soddisfacimento dei requisiti, anche quelli verificati in capo al locatario.

Le modalità di calcolo

Appurate le condizioni per la fruizione dell’agevolazione per i beni in leasing operativo, non è tuttavia chiaro se le modalità di soddisfacimento del requisito dell’interconnessione (interno o esterno) possano avere impatti sul meccanismo di calcolo.

Va ricordato che la maggiorazione si concretizza in una deduzione extracontabile che deve avvenire in base alle regole fiscali (coefficienti tabellari di ammortamento), a prescindere dai comportamenti di bilancio. Le società di locazione generalmente ammortizzano in bilancio i beni concessi in locazione sulla base della durata del contratto di locazione, scorporando dal costo ammortizzabile il valore residuo al termine del contratto. Questa tecnica di ammortamento non è riconosciuta fiscalmente e, pertanto, l’ammortamento imputato a conto economico è deducibile nei limiti dei coefficienti tabellari (ridotti a metà nel primo esercizio).

Interconnessione interna

Fatte queste premesse, si ritiene che le modalità – interne o esterne – attraverso cui è soddisfatto il requisito dell’interconnessione possano avere effetti solo indiretti sul calcolo dell’agevolazione, considerato che in caso di interconnessione interna il locatore ha maggiori possibilità di locare il bene, anche a locatari diversi, per un periodo pari alla sua vita utile.

Infatti, qualora il bene sia concesso in locazione (anche a soggetti diversi) per un periodo almeno pari alla durata dell’ammortamento fiscale, la società di locazione operativa avrà diritto al beneficio sull’intero costo del bene, in un numero di anni pari al periodo di ammortamento (ovvero alla metà del periodo di ammortamento se la società di locazione acquisisce il bene in leasing finanziario).

Al contrario, se il bene è concesso in locazione per un periodo inferiore alla durata dell’ammortamento fiscale (come è più probabile in caso di interconnessione esterna) il diritto all’agevolazione sarà proporzionale al periodo di durata del noleggio. Anche in tal caso, peraltro, il beneficio spetterà nei limiti dei coefficienti di ammortamento fiscale, a prescindere dalla quota di ammortamento imputata a conto economico.

Va da ultimo ricordato che la circolare 4/E/2017 ha chiarito che l’agevolazione spetta solo se la locazione/noleggio rappresenta l’oggetto principale dell’attività del locatore. Al contrario, qualora l’attività di noleggio sia effettuata «in maniera occasionale e non abituale con società estere del gruppo», è negata la spettanza della maggiorazione.

Il calcolo dell’iperammortamento in funzione delle modalità con cui è soddisfatto il requisito dell’interconnessione

1. L’interconnessione interna

• Alfa Spa ha acquistato un macchinario per la produzione di contenitori in plastica. Il macchinario ha un costo pari a 100 ed un coefficiente di ammortamento fiscale del 25%.

• Il macchinario viene interconnesso ai sistemi di fabbrica di Alfa e concesso in locazione operativa a Beta, che lo utilizza per il packaging dei propri prodotti, pagando un canone composto da una componente fissa ed una variabile (in funzione dei pezzi prodotti).

• Il contratto di noleggio prevede una durata di 36 mesi (dal 1.7.2018 al 30.06. 2021), al termine dei quali si assume che il bene sia concesso in locazione ad un terzo soggetto Gamma per un periodo di 18 mesi.

• L’ammortamento deducibile, considerando la riduzione alla metà del coefficiente di ammortamento per il primo anno, è pari a Euro 12,5 per il 2018, 25 per 2019, 2020 e 2021 e 12,5 per il 2022 (si assume una pari imputazione a conto economico).

• La maggiorazione su cui applicare il beneficio dell’iper-ammortamento, è quantificata in Euro 150 (pari al 150% di 100) e le quote di ammortamento annue incrementali sono pari a 37,5 (25% di 150), ridotte a metà al primo esercizio..

2. L’interconnessione esterna

• Alfa Spa ha acquistato un macchinario per la produzione di laminati. Il macchinario ha un costo pari a 100 ed un coefficiente di ammortamento fiscale del 25%.

• Il macchinario viene concesso in locazione operativa a Beta ed interconnesso ai sistemi di fabbrica del locatario, a fronte di un canone di noleggio.

• Il contratto di noleggio prevede una durata di 36 mesi al termine dei quali il contratto terminerà ed il bene tornerà nella disponibilità di Alfa che lo rivenderà al produttore (in virtù di una clausola di buy-back).

• Il valore residuo del bene al termine del periodo di noleggio è stimato pari a 28; l’ammortamento contabile è parametrato alla durata del contratto di noleggio e tiene conto del valore residuo ottenendo così quote di ammortamento annue pari 24 [(100-28):3], parametrate alla durata della locazione.

• Il coefficiente massimo tabellare è pari al 25% (che corrisponde ad un ammortamento massimo di Euro 25)

• La maggiorazione su cui applicare il beneficio dell’iper-ammortamento, è quantificata in Euro 112,5.

Fonte “Il sole 24 ore”

Perdite su crediti deducibili nell’anno del fallimento

di Luca Gaiani

Bonus variabili a dipendenti o a intermediari di competenza del 2017 deducibili già nel modello Redditi 2018, anche se gli obiettivi a cui sono condizionati vengono riscontrati nei primi mesi del 2018. In presenza di crediti verso debitori in sofferenza al 31 dicembre, con sentenza di fallimento dichiarata nell’anno successivo, la deduzione deve invece essere rinviata a quest’ultimo esercizio. È questa la posizione di Assonime, espressa nella circolare 15 di ieri, relativa alla dichiarazione dei redditi delle società di capitali, sul problema della rilevanza fiscale dei fatti intervenuti dopo la chiusura dell’esercizio.

La circolare Assonime dedicata alla scadenza del versamento dell’Ires e dell’Irap si sofferma sul tema dei costi di competenza che assumono certezza a seguito di eventi verificatisi dopo il 31 dicembre, ma prima della data di redazione del bilancio. L’associazione dichiara di condividere i chiarimenti forniti, prima dall’Oic e poi dalle Entrate nel corso del videoforum del Sole 24 Ore del 24 maggio, secondo cui gli importi per rischi ed oneri di un anno, che diventano costi certi nei primi mesi di quello successivo, mantengono nel bilancio la natura di accantonamenti (e non di debiti) e, anche se già quantificati in modo puntuale in base all’evento post 31 dicembre, diventano deducibili solo nell’anno seguente.

In presenza di una causa legale del 2017, che si definisce con sentenza o transazione nel febbraio di quest’anno, od anche nel caso di un rinnovo contrattuale dei primi mesi del 2018 che riconosce una somma una tantum sull’anno precedente, la deduzione va rinviata al periodo di imposta 2018.

Questi chiarimenti delle Entrate risolvono anche, secondo Assonime, l’ulteriore interrogativo, più volte posto in queste settimane, riguardante la deducibilità di perdite subite su crediti vantati verso debitori falliti dopo il 31 dicembre 2017, ma prima dell’approvazione del relativo bilancio. Trattandosi di perdita che deriva da un atto valutativo, la deduzione fiscale rimane legata ai requisiti sanciti dall’articolo 101, comma 5 del Tuir (non intervenendo la derivazione rafforzata) e dunque può operarsi solo nell’anno di apertura della procedura (2018).

Per contro, rientrano in una casistica del tutto diversa le ipotesi di oneri di competenza di un anno per i quali, dopo il 31dicembre, viene solo riscontrata o confermata la spettanza, oppure quantificato esattamente l’ammontare. Non si tratta, come indicato nel corso del videoforum con l’agenzia delle Entrate, di oneri che nascono come accantonamenti per poi trasformarsi in costi a seguito di fatti sorti nel nuovo anno, ma di componenti che, sin dall’esercizio di competenza, sono veri e propri costi.

Pertanto, nel bilancio di competenza, l’onere deve essere rilevato tenendo conto non solo dell’importo quantificato post 31 dicembre, ma anche della sua natura certa (debito). Sono quindi immediatamente deducibili nel modello Redditi 2018, conferma la circolare Assonime, i costi di competenza del 2017, che vengono quantificati con fatture pervenute solo nel nuovo esercizio, oppure gli Mbo riconosciuti a dipendenti o manager o ancora i bonus riconosciuti ad agenti, con riferimento a un certo esercizio, la cui spettanza venga riscontrata e il cui importo sia quantificato solo all’inizio dell’anno seguente.

Fonte “Il sole 24 ore”

Compensazione orizzontale con F24 telematico per i titolari di partita Iva

di Pierpaolo Ceroli e Luisa Miletta

Chance compensazione per il versamento degli acconti di imposta in scadenza il prossimo 2 luglio. Ma con limitazioni da rispettare. Le regole da seguire per effettuare correttamente la compensazione si fondano su due norme cardine.

•Articolo 17 del Dlgs 241/1997, modificato da ultimo dalla manovrina dello scorso anno (decreto legge 50/2017), che disciplina la compensazione orizzontale, consistente nella possibilità di compensare debiti e crediti di natura diversa sorti nei confronti di differenti Enti (Erario, Inps, Inail, enti locali).
•Articolo 34 comma 1 della legge 388/2000 che fissa il limite massimo dei crediti di imposta e dei contributi compensabili in base all’articolo 17 del Dlgs 241/1997, ovvero rimborsabili ai soggetti intestatari di conto fiscale, in 5mila euro per ciascun anno solare.

L’articolo 17 del Dlgs 241/1997 stabilisce che i debiti tributari possono essere saldati con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, emergenti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche. Tale compensazione deve essere effettuata entro la data di presentazione della dichiarazione successiva.

In tema di compensazione l’Iva presenta delle peculiarità in quanto la compensazione del credito annuale o relativo a periodi inferiori all’anno di tale imposta, per importi superiori a 5mila euro annui, può essere effettuata a partire dal decimo giorno successivo a quello di presentazione della dichiarazione o dell’istanza da cui il credito emerge.

Inoltre, a seguito delle disposizioni contenute nel decreto legge 50/2017, le aziende e i professionisti sono obbligati a presentare il modello F24 tramite la procedura Entratel o Fisconline, in caso di utilizzo in compensazione di credito con un debito di natura fiscale. Ciò scaturisce della modifica apportata dall’articolo 3, comma 3, del Dl 50/2017, all’articolo 37, comma 49-bis, del Dl 223/2006, che estende l’obbligo di presentazione telematica della delega a tutti i titolari di partita Iva che utilizzano in F24 un credito relativo a Iva, ritenute alla fonte, imposte sui redditi, imposte sostitutive, addizionali, Irap e crediti d’imposta esposti nel quadro RU del modello Redditi. A differenza del passato, questo avviene indipendentemente dal saldo finale della delega stessa, che può pertanto essere anche positivo, mentre prima della modifica l’obbligo era limitato al caso di importo finale pari a zero.

Resta escluso dalle nuove regole l’utilizzo in compensazione dei crediti di natura non erariale (per esempio Inps e Inail), per i quali non vi è l’obbligo del canale telematico dell’agenzia delle Entrate. L’esclusione dai nuovi obblighi sussiste anche per i crediti rimborsati dai sostituti a seguito di liquidazione del modello 730 e le somme erogate in base all’articolo 1 del Dl 66/2014 e dell’articolo 1, commi 12 e successivi, della legge 190/2014 («bonus 80 euro»). Tuttavia, nell’ipotesi in cui la medesima delega di pagamento accolga anche altri crediti utilizzati in compensazione «orizzontale», allora risulta necessario ricorrere ai servizi telematici dell’Agenzia. Si possono utilizzare i servizi di internet banking messi a disposizione dagli intermediari della riscossione convenzionati con le Entrate quando nello stesso F24 vi è una compensazione verticale parziale, con chiusura a debito.
Si segnala a tal fine la risoluzione 68/E/2017 che individua i codici tributo da utilizzare in sede di compensazione di crediti tributari (allegati 1, 2 e 3).

Fonte “Il sole 24 ore”

Il mancato versamento del saldo mette a rischio il superammortamento

di Pierpaolo Ceroli e Luisa Miletta

Calcolo degli acconti influenzati dai maxi-ammortamenti sui beni materiali strumentali nuovi. Le norme che regolano le proroghe del super e dell’iper ammortamento infatti risultano disallineate sotto molti punti di vista e quando si tratta di calcolare gli acconti da versare entro il prossimo 2 luglio (il 30 giugno cade di sabato) gli operatori economici incontrano non poche difficoltà.

Nel calcolo degli acconti un difetto di coordinamento per il mancato richiamo del comma 94 della legge di stabilità 2016 nell’analoga disposizione della legge di bilancio 2017, creava come conseguenza che l’acconto 2018 va determinato senza tenere conto delle norme sulla proroga del super ammortamento, sull’iperammortamento e sulla maggiorazione relativa ai beni immateriali, diversamente dalla regola generale prevista dalla legge che impone di non considerare gli effetti delle agevolazioni (si veda Il Quotidiano del Fisco dell’8 maggio 2018 ).

Ebbene i problemi di disallineamento normativo non terminano qui. Occorre prestare attenzione anche al caso in cui per lo stesso bene si voglia beneficiare sia dell’iper che del super ammortamento. In tale ipotesi l’articolo 1, comma 8, della legge 232/2016 sancisce, per quanto riguarda il super ammortamento, che «le disposizioni dell’articolo 1, comma 91, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, si applicano anche agli investimenti in beni materiali strumentali nuovi, esclusi i veicoli e gli altri mezzi di trasporto di cui all’articolo 164, comma 1, lettere b) e b-bis), del Tuir, effettuati entro il 31 dicembre 2017, ovvero entro il 30 giugno 2018 a condizione che entro la data del 31 dicembre 2017 il relativo ordine risulti accettato dal venditore e sia avvenuto il pagamento di acconti in misura almeno pari al 20 per cento del costo di acquisizione».

Il comma 9 stabilisce per l’iperammortamento che «la disposizione … si applica agli investimenti effettuati entro il 30 settembre 2018, a condizione che entro la data del 31 dicembre 2017 il relativo ordine risulti accettato dal venditore e sia avvenuto il pagamento di acconti in misura almeno pari al 20 per cento del costo di acquisizione».

Lo slittamento del termine ultimo, ad opera del Dl 91/2017, non è stato esteso anche al super ammortamento, cosicché la data del 30 settembre 2018 quale termine di ultimazione degli investimenti opera solo con riferimento a quelli iperammortizzabili. Infatti, un bene iperammortizzabile è sempre anche soggetto al super ammortamento, crescendo di livello nella deduzione (da 40% a 150%) solo per via della interconnessione (che può avvenire anche in anni successivi). Ciò significa, permanendo questa doppia data limite, che un bene, ordinato entro il 2017 con il versamento del 20% del costo di acquisizione, ultimato oltre il 30 giugno 2018, ma entro il 30 settembre, non sarà mai super ammortizzabile, ma potrebbe godere dell’iper-ammortamento se e in quanto diverrà interconnesso.

Pertanto, si suggerisce di ultimare gli acquisti dei beni materiali strumentali nuovi di cui all’allegato A della legge di bilancio 2018 entro la data del 30 giugno 2018, altrimenti non sarà possibile tener conto dell’agevolazione al 40% ma soltanto di quella al 150 per cento.

Fonte “Il sole 24 ore”

Concordato, resta il nodo della falcidia dell’Iva

di Paolo Moretti

La crescita economica del nostro Paese dipende, soprattutto, dalla “buona salute” delle imprese, le quali, in una economia ormai completamente globalizzata, si trovano spesso in difficoltà a fronteggiare una concorrenza “senza frontiere”.

Non a caso, il legislatore è intervenuto più volte per aiutare le imprese in crisi, con provvedimenti volti ad a far superare le difficoltà economiche derivanti dalla crisi che ha investito il nostro Paese, con sostanziali modifiche alla legge fallimentare (regio decreto 267/42), al fine di permettere alle stesse la continuazione dell’attività oppure liquidare il patrimonio mettendolo a disposizione dei creditori, evitando così il fallimento.

Tra i vari provvedimenti, il legislatore, con la legge di stabilità 2017, è intervenuto sostituendo l’articolo 182-ter sulla «Transazione fiscale» con una nuova versione e denominazione «Trattamento dei crediti tributari e contributivi» (articolo 1, comma 81, legge 232/2016 ). L’intento è quello di chiarire le numerose incertezze interpretative che la precedente disposizione aveva determinato per gli operatori e la stessa amministrazione finanziaria.

Sono stati rafforzati gli strumenti riguardanti il concordato preventivo (articolo 160, legge fallimentare), l’accordo di ristrutturazione dei debiti (articolo 182-bis) e le crisi da sovraindebitamento (legge 3/2012).

La nuova disposizione rappresenta una particolare procedura transattiva tra Fisco e contribuente, avente ad oggetto la possibilità di pagamento, in misura ridotta e/o dilazionata, il credito tributario privilegiato, oltre di quello chirografario.

Contenuto principale del nuovo articolo 182-ter è la possibilità, per il debitore, di proporre nel concordato preventivo e, negli accodi di ristrutturazione, il pagamento e la dilazione dei debiti privilegiati (Iva, ritenute, contributi previdenziali).

La nuova disciplina ha, tra l’altro, recepito i principi espressi dalla Corte di giustizia europea in tema di falcidia dell’Iva nonché di ritenute operate e non versate.

La Corte di giustizia ha definitivamente chiarito che la procedura di concordato preventivo costituisce una rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione dell’Iva. Inoltre, secondo la Corte Ue, tale procedura è compatibile con il sistema comune dell’Iva.

Pertanto, sulla base del nuovo comma 1 dell’articolo 182-ter così come modificato dalla legge 232/2016, l’Iva è ora falcidiabile nell’ambito del concordato preventivo e degli accordi, oltre alle ritenute operate e non versate.

Di parere opposto è, però, attualmente l’amministrazione finanziaria e, pertanto, sono iniziati i contenziosi.

Al riguardo, proprio in merito all’infalcidiabilità dell’Iva, si è espresso il tribunale di Udine con ordinanza del 14 maggio 2018. Il Tribunale ritiene che, la non falcidiabilità dell’Iva comporterebbe la violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione, oltre al non rispetto dei principi della Corte di giustizia Ue.

A parere dei giudici del tribunale di Udine, l’articolo 7 della legge 3/2012 contempla un’eccezione ingiustificata alla regola della generale falcidiabilità dei crediti privilegiati nel settore concorsuale e, in particolare, nell’omologo comparto del concordato preventivo. Da ciò deriva che il tutto è rimesso al parere della Consulta.

Fonte “Il sole 24 ore”

Commesse pluriennali, derivazione rafforzata solo in casi limitati

di Luca Miele

In caso di commesse pluriennali, la rilevazione nel bilancio redatto secondo gli standard nazionali dei relativi componenti positivi con il sistema delle rimanenze comporta l’applicazione delle norme fiscali relative alle valutazioni e, nello specifico, dell’articolo 93 del Tuir. Non trova, quindi, riconoscimento il principio di derivazione rafforzata che riguarda le qualificazioni, classificazioni e l’imputazione temporale ma non, in linea generale, le valutazioni.

Il documento della Fondazione nazionale commercialisti (Fnc) di ieri fa il punto della situazione sulla disciplina contabile e fiscale delle opere ultrannuali,sia per i soggetti Ias adopter che per quelli Oic adopter.

Secondo l’articolo93 del Tuir, le rimanenze finali delle opere con tempo di esecuzione ultrannuale concorrono alla formazione del reddito, non al momento della loro definitiva ultimazione,bensì in misura proporzionale alla percentuale di avanzamento dei lavori misurabile al termine di ciascuno degli esercizi interessati. In sostanza, trovano applicazione il criterio della competenza economica e il principio della correlazione costi-ricavi. Questa previsione normativa trova applicazione anche quando le commesse pluriennali sono rilevate contabilmente secondo il criterio della commessa completata che riconosce i ricavi e i margini di commessa solo quando il contratto è completato, ossia alla data in cui avviene il trasferimento dei rischi e benefici connessi al bene realizzato o i servizi sono resi. Tale modalità di rilevazione contabile non trova riconoscimento fiscale, non applicandosi il principio di derivazione rafforzata, e quindi si genera un doppio binario civile e fiscale, in quanto contabilmente ricavi e margini di commessa sono riconosciuti quando il contratto è completato mentre fiscalmente rilevano gli stati di avanzamento al termine di ciascun esercizio.

Campo ristretto

Il documento della Fondazione pone in evidenza come, invece, il principio di derivazione rafforzata all’articolo 83 del Tuir trova applicazione in caso di adozione del combining/segmenting nella contabilizzazione della commessa, modalità contabile che influenza la determinazione del margine economico attribuibile ad ogni attività per la durata della commessa stessa.

Le microimprese

L’Oic 23, al ricorrere di determinate condizioni, consente infatti di segmentare la contabilizzazione di una commessa in più fasi o di raggruppare più commesse trattandole come un’unica commessa. In tali fattispecie si verte in tema di qualificazioni e non di valutazioni e quindi l’articolo 93 del Tuir troverà naturale applicazione alla commessa così come contabilizzata. Ciò, tuttavia, non è vero per le micro imprese ex articolo 2435-ter del Codice civile per le quali non valgono le diverse qualificazioni (classificazioni e imputazioni temporali) previste dagli standard nazionali. Ciò determina, per queste imprese e con riferimento alle commesse ultrannuali, il mancato riconoscimento fiscale dei criteri di individuazione della commessa indicati dall’Oic 23 diversi da quelli previsti dall’articolo 93 del Tuir.

I soggetti Ias

Il documento della Fondazione evidenzia altresì che il principio di derivazione rafforzata trova invece diretta applicazione per i soggetti Ias adopter in quanto, in tal caso, le commesse ultrannuali sono rilevate con una modalità di contabilizzazione fondata sulla immediata e diretta rilevazione dei ricavi al conto economico degli esercizi in cui il lavoro è svolto, abbandonando la logica propria della valutazione delle rimanenze. Pertanto, la contabilizzazione secondo lo Ias 11 e, dal 2018, secondo l’Ifrs 15 assume rilievo ai fini Ires, salvo deroghe specifiche, e non trova applicazione l’articolo 93 del Tuir.

Fonte “Il sole 24 ore”

Da acquisto a cessione, così la Ue cerca il cambio di passo sull’evasione Iva

di Benedetto Santacroce

In quattro mosse l’Unione europea cerca di semplificare l’applicazione delle regole Iva che disciplinano gli scambi intraUe rafforzando le misure antifrode.

In particolare, il regime delle transazioni tra Stati membri proposto dalla Commissione supera l’impianto «dell’acquisto intracomunitario» e lo sostituisce con la disciplina della «cessione intraunionale». Il nuovo regime si baserà sul principio dell’imposizione nello Stato di destinazione della cessione di beni, con luogo di tassazione nello Stato di arrivo dei beni stessi. Il fornitore sarà tenuto al versamento dell’Iva sulla «cessione intraunionale» a meno che l’acquirente non sia un soggetto certificato e, in quanto tale, affidabile. Qualora l’operatore obbligato al pagamento dell’imposta non sia stabilito nello Stato in cui l’imposta è dovuta, potrà assolvere agli obblighi di dichiarazione e versamento con il sistema dello sportello unico (one shop stop, Oss). Con ogni probabilità, il nuovo regime consentirà l’abolizione dell’elenco Intrastat.

La cessione intraunionale potrà rimanere esente da imposta solo nel caso in cui il cessionario sia un soggetto certificato dall’amministrazione quale soggetto affidabile Iva (Ctp, certified taxable person). Inoltre, in caso di consignment stock intraunionale, l’operazione sarà considerata unica nel caso in cui sia il cedente che il cessionario siano Ctp. Infine, le nuove regole prevedono che per l’esenzione delle cessioni unionali il codice identificativo attribuito dallo Stato membro di arrivo delle merci sia considerato un elemento essenziale.

Fonte “Il sole 24 ore”

Spese fuori bilancio da recuperare

di Giorgio Gavelli

Le spese di pubblicità e di ricerca eliminate nello scorso esercizio dal bilancio in applicazione delle nuove regole contabili vanno anche quest’anno fiscalmente recuperate in dichiarazione, tanto ai fini Ires quanto ai fini Irap.

L’eliminazione contabile intervenuta nello scorso esercizio per effetto del Dlgs 139/2015 non deve far dimenticare la deduzione del costo ammessa in ambito fiscale, anche per dare continuità ai comportamenti dichiarativi assunti nello scorso periodo d’imposta.

La modifica contabile

A partire dai bilanci 2016, per effetto del nuovo testo dell’articolo 2426, comma 1, numero 5), Codice civile , non è più consentita la capitalizzazione delle spese di ricerca e di pubblicità, che vanno quindi spesate a conto economico nell’esercizio di competenza. Poiché tali regole si applicavano retroattivamente, le spese in corso di capitalizzazione alla chiusura del bilancio precedente a quello di prima applicazione andavano eliminate contabilmente, con contropartita preferibile sugli utili portati a nuovo o ad una riserva libera di utili presente nel patrimonio netto. Tutto ciò a meno che:

i costi di pubblicità precedentemente capitalizzati non soddisfacessero i requisiti stabiliti per i costi di impianto e ampliamento (paragrafi 41-43 del principio Oic 24), nel qual caso la riclassificazione evitava l’eliminazione (ipotesi non ricorrente);

i costi di ricerca precedentemente capitalizzati non soddisfacessero i criteri per essere riclassificati tra i costi di sviluppo (paragrafo 49), mantenendo, quindi, la propria iscrizione tra le immobilizzazioni immateriali (caso piuttosto frequente).

Le ricadute tributarie

Fiscalmente, i costi cancellati contabilmente non cessano di essere deducibili, in quanto l’articolo 13-bis, comma 7, del Dl 244/2016 prevede che per i costi imputati a conto economico in precedenti esercizi e non più capitalizzabili «resta ferma… la deducibilità sulla base dei criteri applicabili negli esercizi precedenti». Ciò significa che, per le poste in questione, la deduzione fiscale prosegue secondo la ripartizione temporale precedente. Quindi, in presenza delle condizioni richieste dal principio contabile Oic 25 (ragionevole previsione di redditi imponibili capienti), all’eliminazione dei costi non più capitalizzabili si affianca l’iscrizione delle relative imposte anticipate.

Tuttavia, la cancellazione in bilancio rende necessario, ai fini della deducibilità, il “ripescaggio” delle quote di ammortamento di queste spese in dichiarazione dei redditi, tramite variazione in diminuzione da effettuarsi sia ai fini delle imposte sui redditi che ai fini Irap.

Dove fare le variazioni

Diversamente dallo scorso anno, quest’anno i modelli dichiarativi sono più chiari nell’indicare dove effettuare le variazioni in esame:

rigo RF55 (codice 22) per la dichiarazione Ires;

rigo IC56, colonna 2, per il modello Irap.

Inoltre, le istruzioni richiedono (già dallo scorso periodo d’imposta) che si proceda, nel caso di specie, alla compilazione del quadro RV, per monitorare il disallineamento tra valore contabile e valore fiscale dell’elemento patrimoniale.

La colonna 3 dei vari righi, che sino al 2015 era riservata ai soggetti Ias, dal modello 2016 è riferita anche ai soggetti cui si applica il Dlgs 139/2015 (va riportato il codice 3), e le istruzioni avvertono che «l’eliminazione nell’attivo patrimoniale di costi iscritti e non più capitalizzabili, genera un disallineamento tra il valore civile (non più esistente a seguito dell’eliminazione) e quello fiscale». In questa ipotesi, proseguono le istruzioni, «in colonna 1, va indicata la descrizione della posta eliminata dal bilancio a seguito dell’applicazione dei principi contabili; in colonna 4, va indicato il corrispondente valore contabile risultante dal bilancio prima della transizione ai principi contabili» (2015).

Nella colonna 10, va, invece, indicato il valore fiscale esistente alla data di apertura del primo bilancio di esercizio redatto secondo i principi contabili della voce di bilancio eliminata (2016). Nelle colonne 11 e 12, vanno indicati gli incrementi/decrementi rilevanti ai fini fiscal, mentre, nella colonna 13, va indicato il valore fiscale esistente alla data di chiusura dell’esercizio.

Invece, il modello Irap – piuttosto curiosamente – chiede di monitorare i disallineamenti solo in caso di operazioni straordinarie e non di modifiche ai principi contabili.

Fonte “Il sole 24 ore “

Professionisti, sgravio sulle spese «separate» per alberghi e ristoranti

di Nicola Forte

Approdano in dichiarazione le agevolazioni fiscali per le spese alberghiere e di ristorazione dei professionisti, contenute nella legge 81/2017 (il cosiddetto Jobs act dei lavoratori autonomi).

Dal 2017, è infatti possibile superare i limiti alla deducibilità di queste spese stabiliti dal Tuir (articolo 54, comma 5 ) e, al verificarsi di determinate condizioni, le spese saranno integralmente deducibili.

La novità è stata inserita nell’articolo 54, comma 5 del Tuir (dall’articolo 8 della legge 81/2017). La nuova disposizione prevede la possibilità per il professionista di fornire la prova dell’inerenza delle spese. In buona sostanza, è ammessa la possibilità di dimostrare che le spese alberghiere e dei ristoranti siano state sostenute nell’esercizio dell’attività di lavoro autonomo. La prova può essere fornita esclusivamente con le modalità indicate dal comma 5, cioè addebitando analiticamente al committente gli oneri anticipati tramite l’esposizione distinta degli stessi nella fattura emessa.

Il legislatore ha di fatto spostato l’onere del controllo sulla riconducibilità degli oneri così sostenuti nell’attività professionale, in capo al committente dell’incarico professionale. Infatti, si parte dal presupposto che laddove le spese in questione fossero sostenute a titolo personale (al di fuori dell’attività), il committente rifiuterebbe il pagamento delle stesse unitamente ai compensi relativi all’incarico. Viceversa, in mancanza di una formale contestazione, resa possibile in seguito all’esposizione analitica degli oneri nella fattura emessa, gli stessi non potranno che essere considerati inerenti e quindi integralmente deducibili. Per questa ragione non si applicherà il limite generale alla deduzione delle spese alberghiere e di ristorazione, fissato al 75% degli importi, e, in ogni caso, per un ammontare non superiore al 2% dei compensi incassati nel periodo d’imposta.

La regola generale
In base alla regola generale, se un professionista fa una trasferta per seguire il contenzioso di un cliente, le spese alberghiere e per i ristoranti non sono completamente deducibili: se le spese ammontano a 1.000 euro la quota deducibile è di 750 euro (il 75%). L’importo così determinato deve essere capiente rispetto al 2 per cento dei compensi incassati nell’anno. L’importo eventualmente eccedente risulterà comunque indeducibile. Se i compensi incassati nell’anno sono di modesta entità, è possibile che anche una parte della spesa, pari nell’esempio a 750 euro (dopo aver applicato la prima limitazione), sia indeducibile.

La deroga
Nel nuovo assetto normativo, che consente la deduzione integrale delle spese, «addebito analitico» vuol dire che queste spese devono essere indicate distintamente nella fattura rispetto ai compensi. Se questi oneri fossero compresi nell’unica voce «compensi», il committente non sarebbe infatti in grado di riscontrarne l’inerenza rispetto all’espletamento del mandato professionale. Senza una preventiva attività di controllo, si rischierebbe dunque di consentire al professionista di considerare illegittimamente in deduzione anche gli eventuali costi sostenuti a titolo personale.

La novità è in vigore dal periodo di imposta 2017. È stato dunque modificato il modello «Redditi» 2018. Il professionista deve indicare separatamente, a seconda dei casi, le spese non addebitate rispetto a quelle “ribaltate” sul cliente. Ciò per consentire all’agenzia delle Entrate di controllare la spettanza o meno del beneficio integrale della deduzione in sede di determinazione del reddito.

Se paga il committente
È possibile poi che le spese solitamente a carico del professionista per l’esecuzione dell’incarico siano sostenute direttamente dal committente. In questa ipotesi, l’articolo 54 del Tuir prevede che questi oneri non costituiscano compensi in natura per il lavoratore autonomo.

Si consideri ad esempio il caso in cui una società che organizza un master in diritto tributario paghi direttamente le spese alberghiere e di viaggio del professionista che interviene come docente. L’operazione è perfettamente neutrale per il professionista, dal momento che questi oneri, che rimangono esclusivamente a carico della società, non hanno natura di compensi. È un’opportunità prevista dall’articolo 54 che consente, anche questa, di evitare le limitazioni della deducibilità delle spese alberghiere e di ristorazione.

Le spese di viaggio
La previsione del Tuir (articolo 54, comma 5 ) ha una portata molto ampia ed è riferibile anche alle spese di viaggio e più in generale alla trasferta effettuata dal professionista. Nello specifico, si prevede che «tutte le spese relative all’esecuzione di un incarico conferito e sostenute direttamente dal committente non costituiscono compensi in natura per il professionista».

Per le spese di viaggio, a parte il requisito dell’inerenza, l’articolo 54 non ha previsto specifici limiti quantitativi alla deducibilità. Pertanto, anche se questi oneri fossero sostenuti direttamente dal professionista, concorrerebbero integralmente alla deduzione in sede di determinazione del reddito di lavoro autonomo. Tuttavia, se anche tali spese fossero anticipate dal committente, non costituirebbero mai compensi in natura per il soggetto che ne beneficia. In questo caso, sarà il committente che potrà considerare in deduzione i costi sostenuti per conto del professionista relativi al mandato a lui conferito. La deducibilità spetta. L’inerenza, infatti, sussiste in ogni caso, trattandosi di spese funzionali all’espletamento del mandato professionale. Se è legittimamente deducibile il compenso professionale, anche le spese sostenute dall’impresa committente per conto del lavoratore autonomo possono essere considerate in deduzione.

Fonte “Il sole 24 ore”

Fattura elettronica, ok alla copia in pdf

di Benedetto Santacroce

 I contribuenti potranno continuare a portare in conservazione il pdf della fattura e non saranno obbligati a conservare l’xml, questo a condizione ovviamente che il contenuto dei documenti sia identico. Questa è una delle prime risposte dell’agenzia delle Entrate al videoforum dell’Esperto risponde che sarà visibile gratuitamente online da oggi dalle ore 12 sul sito del Sole 24 Ore. L’Agenzia, dando prevalenza alla sostanza e non alla forma consente la conservazione della copia della fattura elettronica che in originale rimarrà custodita presso lo SdI.

La posizione delle Entrate, che va accolta con pieno favore perché risponde alle esigenze operative manifestate da imprese e professionisti, consente di gestire in modo semplificato i due momenti: quello della formazione del documento e della gestione dello stesso presso l’impresa emittente e presso il cliente e quello di trasmissione e gestione del documento presso il sistema d’interscambio.

Più in dettaglio, ad esempio, un’impresa che si avvale di un intermediario potrebbe continuare ad operare all’interno con le proprie modalità e con i formati più consoni al gestionale utilizzato, inviando un flusso informativo all’intermediario. A sua volta l’intermediario potrebbe elaborare il flusso ricevuto, trasformandolo in xml e provvedendo alla trasmissione dello stesso tramite il sistema d’interscambio e inviando in allegato la fattura in formato pdf. Il destinatario potrebbe acquisire sia il formato xml che il pdf e conservare solo quest’ultimo formato.

Ovviamente, per dare esatta corrispondenza tra il primo e secondo file è necessario gestire e conservare gli esiti o le ricevute che vengono inviate dallo SdI al momento della presa in carica del file ovvero al momento della consegna al destinatario. In queste ricevute lo SdI inserisce un codice alfanumerico che caratterizza univocamente il documento (vale a dire l’impronta del documento stesso attraverso un hash calcolato con algoritmo SHA-256) per ogni file fattura elaborato.

L’Agenzia sottolinea che il documento conservato in pdf è una copia informatica dell’originale che resta pur sempre il file xml trasmesso allo SdI.

La conformità normativa della copia è garantita dalle regole imposte dall’art. 23bis del Codice dell’amministrazione digitale (Dlgs 82/2005 e successive modifiche) che al comma 2 prevede espressamente che «le copie e gli estratti informatici del documento informatico, se prodotti in conformità alle vigenti regole tecniche di cui all’art. 71 (dello stesso Cad), hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale, in tutte le sue componenti , è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato o se la conformità non è espressamente disconosciuta. Resta ferma, ove previsto, l’obbligo di conservazione dell’originale informatico».

Nel caso della fattura elettronica, per il quale non si evidenziano particolari regole di obbligo di conservazione dell’originale, è chiaro che l’adozione da parte dell’emittente del documento o del ricevente che è in possesso dell’originale di un processo di conservazione a norma della copia di tale originale che rispetti tutte le regole imposte ai fini civilistici dal Dpcm 3 dicembre 2013 e, ai fini fiscali, dal Dm 17 giugno 2014 soddisfa pienamente gli adempimenti di conservazione della fattura nel tempo.

Proprio per questo l’Agenzia conclude affermando che l’operatore potrà decidere di portare in conservazione anche la copia in pdf, formato considerato idoneo dal citato Dpcm 3 dicembre 2013.

Fonte “Il sole 24 ore”

Tassazione dei dividendi, soci qualificati penalizzati dal nuovo regime

di Giorgio Gavelli

In queste settimane le società presentano i bilanci ai soci riuniti in assemblea e, quando i risultati sono positivi, viene spesso assunta la delibera di distribuzione dei dividendi. Quest’anno, tuttavia, alcune questioni di natura fiscale e contabile meritano un approfondimento.

Sul piano tributario, l’attenzione è puntata sulle controverse disposizioni contenute nella legge di Bilancio 2018 e, in particolare, sulla norma transitoria di cui all’articolo 1, comma 1006 della legge n. 205/2017. Se, in linea generale, l’intento delle nuove disposizioni è quello di assimilare il trattamento dei soci (persone fisiche) qualificati e non, prevedendo in entrambi i casi l’applicazione della ritenuta secca del 26%, viene contestualmente statuito che alle distribuzioni di utili derivanti da partecipazioni qualificate in società ed enti soggetti Ires formatesi con utili prodotti fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2017, deliberate dal 1° gennaio 2018 al 31 dicembre 2022, continuano ad applicarsi le regole previgenti.

È facile verificare che, nella stragrande maggioranza dei casi, il socio qualificato è penalizzato dal nuovo regime, anche per il fatto che la ritenuta alla fonte (o l’imposta sostitutiva) non permette di sfruttare deduzioni e detrazioni per abbattere l’imponibile. Ne consegue che, in prima approssimazione, si potrebbe pensare di risolvere subito il problema deliberando in questi giorni la distribuzione di tutte le riserve divisibili ante 2018 presenti in bilancio, lasciando poi alle possibilità finanziarie della società la materiale liquidazione di quanto deliberato.

Tuttavia, a ben vedere, un simile comportamento appare del tutto sconsigliabile, per più di un motivo. In effetti, la scrittura contabile conseguente ad una simile delibera (dare Riserve avere Debiti verso soci per dividendi) ridurrebbe drasticamente il patrimonio netto, con effetti pressoché immediati su rating e rapporti bancari. Inoltre, qualora successivamente la società realizzasse perdite di esercizio, l’assenza di un patrimonio netto capiente indurrebbe i soci a rinunciare al proprio credito per dividendi, innescando così il rischio di vedersi imputare dall’amministrazione finanziaria il cosiddetto incasso giuridico, atteso che il dividendo è un reddito tassato per cassa come il compenso amministratore, il Tfm, gli interessi attivi e via dicendo (risoluzione n. 124/E/2017, circolare n. 73/1994, Cassazione n. 1335/2016 e n. 26842/2014).

Ma gli effetti negativi non finiscono qui, se si pensa che una scrittura quale quella sopra riportata ha anche l’effetto di ridurre per un pari importo la base Ace sin dall’inizio del periodo d’imposta (circolare n. 12/E/2014) e con analogo impatto sui periodi successivi, nonostante la liquidità permanga in società, anche se non più nell’ambito del netto patrimoniale.

Delicate conseguenze potrebbe anche avere la permanenza del debito verso i soci per un lungo periodo. Infatti, da un lato i diritti che derivano dai rapporti sociali si prescrivono in cinque anni (articolo 2949 Cc), dall’altro non si può escludere che, sulla scorta di alcune discutibili sentenze della Cassazione (10030/2009 e 17839/2016), qualche verificatore trasformi questi importi in finanziamenti fruttiferi da socio a società, inventando interessi e (omesse) ritenute.

A ben vedere, considerato anche l’evidente errore commesso nei confronti di chi aveva già deliberato ma non distribuito, alla data di entrata in vigore della legge n. 205/2017, gli utili realizzati (si veda Il Sole 24 Ore del 14 aprile scorso), la norma transitoria andrebbe riscritta completamente, prima che si concretizzino tutte le situazioni negative a cui può portare. Perché appare scontato che l’erario non vedrà applicato il 26% sugli utili ante 2018 dei soci qualificati, tanto vale stabilire sin d’ora che l’assimilazione con la disciplina dei soci non qualificati (ove ritenuta necessaria) entri in vigore direttamente con la distribuzione degli utili realizzati dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2017.

Fonte “Il sole 24 ore”

Patent box, plusvalenza agevolabile con applicazione del «nexus ratio»

di Michele Brusaterra

In caso di cessione di un bene immateriale per cui risulta applicabile il «patent box», la plusvalenza è esclusa da tassazione, per la parte del 50 per cento del valore risultante dall’applicazione alla stessa del «nexus ratio».

Questa, in sintesi, la regola da tenere a mente per sfruttare la detassazione stabilita dalle norme sul patent box e che riguarda la cessione di uno di quegli «Intellectual property» individuati dalle disposizioni stesse.

Viene stabilito, più precisamente, che tale plusvalenza è esclusa dal reddito complessivo, a condizione che almeno il 90 per cento del corrispettivo che deriva da tale cessione venga reinvestito in attività di ricerca e sviluppo che servono per lo «sviluppo, mantenimento e accrescimento di altri beni immateriali», diversi da quelli già posseduti dall’impresa, e con esclusione dell’importo sostenuto per il loro acquisto, come chiarito dalla circolare dell’agenzia delle Entrate n. 11/E/2016 .

Tale somma va reinvestita, prima della chiusura del secondo periodo d’imposta successivo a quello di cessione, nelle attività di ricerca e sviluppo svolte direttamente dal soggetto che beneficia dell’agevolazione, ovvero in contratti di ricerca stipulati con università, enti di ricerca od organismi equiparati, con società, anche start up innovative, sia che esse appartengano o non appartengano al gruppo del beneficiario dell’agevolazione.

Sostiene, inoltre, sempre la citata circolare n. 11/E/2016, che la plusvalenza costituisce reddito agevolabile nei limiti scaturenti dall’adozione della stessa regola valida per la determinazione del reddito agevolabile derivante dallo sfruttamento degli asset, applicando, quindi, il «nexus ratio», ossia il rapporto fra costi qualificati e costi complessivi, sostenuti dall’azienda.

Più precisamente il «nexus ratio» è dato dal rapporto tra i costi sostenuti per le attività di ricerca e sviluppo, sia svolte direttamente dal soggetto beneficiario dell’agevolazione, sia da università o enti di ricerca e organismi equiparati, da società, anche se start up innovative, diverse da quelle che controllano, direttamente o indirettamente, l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, costi, tutti, che vanno indicati al numeratore del rapporto.
Sempre al numeratore possono anche essere inseriti i costi relativi ad attività di ricerca e sviluppo, che sono addebitati da soggetti facenti parte dello stesso gruppo societario, ma solo per la quota di tali costi che rappresentano «un mero riaddebito di costi sostenuti da tali società del gruppo nei confronti di soggetti terzi per l’effettuazione delle medesime attività di ricerca e sviluppo».

Dopo l’intervento del Dl 3/2015, il numeratore può essere anche aumentato di un importo pari alla differenza tra quanto indicato al denominatore e quanto indicato al numeratore, ma nel limite, comunque, del 30 per cento di quest’ultimo valore.

Al denominatore si devono indicare, invece, tutti i costi indicati al numeratore, a cui vanno sommati il costo di acquisizione, anche tramite licenza di concessione in uso, del bene immateriale e i costi per operazioni intercorse con le società che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa.

Una volta determinato il «nexus ratio», esso va applicato alla plusvalenza realizzata, e il risultato costituisce reddito agevolabile nella misura del suo 50 per cento, percentuale stabilita nel 30 per cento per il 2015 e nel 40 per cento nel 2016.

Fonte “Il sole 24 ore”

E-fattura, tax free shopping con visto digitale

di Alessandro Mastromatteo e Benedetto Santacroce

Definite le modalità tecniche e operative per l’attuazione dell’obbligo di emissione di fattura elettronica per il tax free shopping dal 1° settembre 2018: con determinazione direttoriale prot. nr. 54088/RU , diramata ieri, l’agenzia delle Dogane e dei monopoli, di concerto con l’agenzia delle Entrate, ha diramato le disposizioni necessarie sia al rilascio del visto digitale sia alla interoperabilità con il Sistema di interscambio per la trasmissione dei dati delle fatture.

Nel dettaglio, in caso di apposizione del visto in un punto di uscita nazionale, la prova dell’uscita delle merci non è più fornita dal timbro apposto sul documento fiscale da parte della dogana di uscita, ma dal codice di visto digitale univoco generato da Otello 2.0. Mentre in caso di uscita dal territorio doganale dell’Unione europea attraverso un altro Stato membro, la prova di uscita delle merci è fornita dalla dogana estera secondo le modalità vigenti in tale Stato membro.

Di assoluta rilevanza la possibilità di utilizzare, prima della data di avvio dell’obbligo, la procedura che digitalizza l’intero processo e cioè Otello 2.0. – Online Tax Refund at Exit. Le istruzioni operative, contenute nella nota protocollo 54505/2018 pubblicata anch’essa ieri, chiariscono infatti come i relativi servizi informatizzati risultano disponibili già dalla giornata di oggi, assicurando comunque la gestione presso tutti i punti di uscita non solo delle fatture tax free emesse in modalità elettronica, ma anche di quelle cartacee emesse sino al 31 agosto 2018. Le fatture tax free possono infatti essere presentate in Dogana per l’apposizione del visto entro il terzo mese successivo alla data di acquisto. Di conseguenza, le fatture cartacee potranno essere vistate sino al 30 novembre 2018 con la precedente versione di Otello in caso di uscita dagli aeroporti di Malpensa e Fiumicino oppure con le modalità cartacee, mediante apposizione del timbro “conalbi” presso tutti gli altri punti di uscita. Dal 1° dicembre 2018, invece, tali procedure non saranno più accettate in quanto decorsi i tre mesi dall’avvio dell’obbligo: il cedente è infatti tenuto dal prossimo 30 settembre a trasmettere ad Otello 2.0 il messaggio contenente i dati della fattura per il tax free shopping al momento dell’emissione. Al cessionario dovrà essere messo a disposizione il documento, in forma analogica o elettronica, contenente il codice ricevuto in risposta che ne certifica l’avvenuta acquisizione da parte del sistema. Il messaggio contenente i dati dell’eventuale variazione effettuata ai sensi dell’articolo 26 del Dpr 633/1972, è trasmesso inoltre dal cedente al momento dell’effettuazione della variazione. I dati di competenza dell’agenzia delle Entrate trasmessi ad Otello 2.0 sono automaticamente messi a disposizione in apposita area riservata così da consentire al cedente, con un solo invio, di assolvere anche gli adempimenti comunicativi di natura fiscale. All’agenzia delle Entrate sono inoltre trasmesse le informazioni di competenza sullo stato di apposizione del visto digitale sulle fatture per il tax free shopping.

Il provvedimento si occupa di disciplinare anche il caso di impossibilità temporanea di trasmissione dei messaggi, richiedendo al cedente di trasmetterli non appena il sistema ritorna ad essere disponibile. Va infine ricordato che per usufruire del servizio Otello 2.0. occorre accreditarsi utilizzando le credenziali Spid (Sistema pubblico identità digitale) ovvero la Cns (Carta nazionale dei servizi).

Fonte “Il sole 24 ore”