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Acquisto di carburante con soli mezzi tracciabili

 

Nell’ambito delle misure relative al contrasto alle frodi IVA su idrocarburi e carburanti, un emendamento approvato dalla Commissione Bilancio della Camera al Ddl. di bilancio 2018 prevede, a decorrere dal 1° luglio 2018, l’obbligo, ai fini della detraibilità IVA e della deduzione del costo, di acquistare il carburante esclusivamente con mezzi di pagamento tracciabili, abrogando contestualmente la disciplina relativa alla scheda carburante.

In particolare, sarebbe prevista l’introduzione all’art. 164 del TUIR del nuovo comma 1-bis, in base al quale le spese per carburante per autotrazione sarebbero deducibili, nella misura di cui al comma 1, se effettuate esclusivamente mediante carte di credito, carte di debito o carte prepagate emesse da operatori finanziari soggetti all’obbligo di comunicazione previsto dall’art. 7, sesto comma, del DPR 29 settembre 1973 n. 605.

Parallelamente, ai fini IVA, sarebbe prevista l’introduzione all’art. 19-bis1 comma 1 lett. d) del DPR 633/72 – in base al quale l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di carburanti e lubrificanti destinati ad aeromobili, natanti da diporto e veicoli stradali a motore (…) è ammessa in detrazione nella stessa misura in cui è ammessa in detrazione l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di detti aeromobili, natanti e veicoli stradali a motore – del seguente periodo: “L’avvenuta effettuazione dell’operazione deve essere provata dal pagamento mediante carte di credito, carte di debito o carte prepagate emesse da operatori finanziari soggetti all’obbligo di comunicazione previsto dall’articolo 7, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605, o da altro mezzo ritenuto parimenti idoneo individuato con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate”.
In altri termini, ai fini della detraibilità dell’IVA e della deducibilità del costo, l’acquisto di carburante dovrà avvenire esclusivamente mediante carte di creditobancomat o carte prepagate.

Sulla base delle suddette disposizioni, sembrerebbe quindi che i soggetti passivi IVA che effettuano i pagamenti mediante mezzi diversi (es. contanti) non potranno più detrarre l’IVA né dedurre il costo relativo all’acquisto del carburante.
Viene altresì disposta l’abrogazione del DPR 444/97, recante l’attuale regolamento per gli acquisti di carburante e del correlato obbligo di tenuta della scheda carburante (sostitutiva della fattura); dal 1° luglio 2018 sarebbe quindi abrogata la scheda carburante.

Del resto, già attualmente il comma 3-bis all’art. 1 del DPR 444/97 (introdotto dall’art. 7 comma 2 lett. p) del DL 70/2011), in deroga all’ordinaria disciplina, prevede l’esonero dalla tenuta della scheda carburante per i soggetti passivi IVA che acquistano carburante per autotrazione esclusivamente mediante carte di credito, bancomat e carte prepagate emesse da operatori finanziari soggetti all’obbligo di comunicazione all’Anagrafe tributaria previsto dall’art. 7 comma 6 del DPR 605/73.

Fonte: Eutekne

Rottamazione bis, ammessi i morosi delle vecchie rate

La rottamazione bis è aperta solo per i carichi che non sono già stati inclusi nella precedente domanda di definizione agevolata, con la sola eccezione delle posizioni scartate
a causa della morosità sulle vecchie dilazioni.
Per questi ultimi contribuenti, invece, l’unica possibilità di accesso ai benefici di legge consiste nel pagare in un’unica soluzione, entro il 31 luglio 2018, l’importo delle rate
scadute alla fine dell’anno scorso, previa presentazione della domanda entro il 15 maggio 2018.
Una volta decaduti dalla definizione, non è più possibile dilazionare il debito residuo.
Infine, se si abbandona la definizione ma si aveva in essere piani di dilazione precedenti, il carico residuo verrà automaticamente “spalmato” sul numero delle rate non pagate del piano originario.
Sono le prime risposte dell’Ader (agenzia delle Entrate-Riscossione) ai quesiti formulati dall’Odcec di Roma, riferiti sia alla prima procedura agevolata che alla riapertura disposta
nell’articolo 1 del decreto legge 148/17.
L’Ader ribadisce innanzitutto che la seconda chiamata, disposta con il Dl 148, non vale per i debitori che hanno già presentato la domanda entro il 21 aprile scorso e non hanno pagato le rate dovute.
Tale esclusione opera limitatamente ai carichi inclusi nell’istanza trasmessa in precedenza.
Nessun ostacolo, invece, se il debitore intende definire delle partite esistenti al 31 dicembre 2016 che non erano indicate nella vecchia domanda.
Con riferimento ai contribuenti esclusi dalla precedente definizione per non aver pagato tutte le rate scadute, relative a un piano di rientro esistente al 24 ottobre 2016, la riammissione è prevista alla precisa condizione che il debitore provveda a versare il pregresso, in un’unica soluzione, entro la fine di luglio dell’anno prossimo.
L’importo dovuto a tale titolo sarà comunicato dall’agenzia delle Entrate entro la fine di giugno 2018.
Una volta effettuato l’accesso alla nuova procedura, gli importi della definizione dovranno essere versati in tre rate, scadenti a ottobre e novembre 2018 e febbraio 2019.
Le stesse regole valgono per tutti i contribuenti che intendono definire per la prima volta carichi esistenti a fine 2016 e che sono morosi per dilazioni pendenti al 24 ottobre 2016.
L’Ader ricorda altresì che se si abbandona la rottamazione, il debito residuo non può essere nuovamente dilazionato.
Fanno eccezione, peraltro, le partite incluse in cartelle per le quali alla data di presentazione della domanda non erano ancora decorsi 60 giorni dalla notifica.
Questo vale, a maggior ragione, anche per i carichi per i quali, alla data della definizione, non è stata ancora notificata la cartella.
In tali casi, in qualsiasi momento si decada dalla rottamazione è sempre possibile dilazionare il debito che rimane.
Tale previsione trova peraltro applicazione per tutte le definizioni, sia vecchie che nuove.
L’ultimo chiarimento riguarda la riattivazione di precedenti piani di rientro, qualora il debitore abbandoni la procedura agevolata. Sul punto, l’Ader ribadisce che in tale eventualità si procederà d’ufficio a ripartire il carico residuo per il numero di rate non versate della dilazione originaria.
In proposito, si evidenza che in tale numero devono essere comprese anche le rate sospese per effetto della presentazione della domanda di rottamazione e non solo quelle che scadono dopo il periodo di sospensione.
Fonte “il sole 24 ore”

Split payment esteso dal 2018 alle controllate

Dal 1° gennaio 2018 si estende ulteriormente l’ambito soggettivo di applicazione del meccanismo di riscossione Iva dello split payment (o scissione dei pagamenti). La conversione del decreto legge 148/2017 da parte della Camera ha reso, quindi, definitivo il nuovo restyling dell’articolo 17-ter del Dpr 633/72 .
Le nuove regole ricomprendono nell’adempimento anche gli enti pubblici economici nazionali, regionali e locali, le fondazioni partecipate da amministrazioni pubbliche, le società controllate direttamente o indirettamente da qualsiasi tipo di amministrazione pubblica e quelle partecipate per una quota non inferiore al 70% da qualsiasi amministrazione pubblica o società assoggettata allo split payment.
Più in dettaglio, la nuova versione dell’articolo 17-ter, comma 1-bis, del Dpr 633/72 ricomprenderà, nel perimetro soggettivo, anche:
enti pubblici economici nazionali, regionali e locali, comprese le aziende speciali e le aziende pubbliche di servizi alla persona (lettera 0a) ;
fondazioni partecipate da amministrazioni pubbliche per una percentuale complessiva del fondo di dotazione non inferiore al 70% (lettera ob);
società controllate direttamente, ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, n. 2), del Codice civile, dalla presidenza del Consiglio dei ministri e dai ministeri (lettera a). Di fatto, la modifica ha mera finalità di coordinamento. Si ricorda che ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, n. 2) del Codice civile sono considerate società controllate quelle in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria;
società controllate direttamente ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, n. 1), del Codice civile, o indirettamente da qualsiasi tipo di amministrazione pubblica (lettera b). Ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, n. 1) del Codice civile sono considerate società controllate quelle in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;
società partecipate per una quota non inferiore al 70% da amministrazioni pubbliche o da società assoggettate allo split payment (lettera c). Quindi non rientrano nella estensione le società la cui percentuale di partecipazione complessiva del capitale è inferiore al 70 per cento;
società quotate inserite nell’indice Ftse Mib della Borsa italiana così come identificate agli effetti Iva. In questo modo viene specificato che vi rientrano le società quotate così come identificate agli effetti Iva (lettera d). Per le società quotate ora limitate all’indice Ftse Mib il ministro dell’economia e delle finanze può con proprio decreto individuare un altro indice di riferimento del mercato azionario.
La disposizione e quindi il nuovo perimetro soggettivo dello split payment chiudono, almeno sotto tale profilo, le regole soggettive e la validità degli elenchi in vigore fino al 31 dicembre di quest’anno, posto che la nuova impostazione avrà efficacia solo dalle fatture emesse a partire dal 1° gennaio 2018.
Per la completa operatività di questa disposizione bisognerà, comunque, attendere l’emanazione di un decreto del Mef che integrerà il precedente decreto del 23 gennaio 2015, a sua volta modificato dai decreti Mef 27 giugno 2017 e 13 luglio 2017.
Fonte “Il sole 24 ore”

Spesometro errato, primo semestre 2017 senza sanzioni

Sanzioni abolite per la comunicazione relativa al primo semestre 2017, facoltà di trasmettere i dati con cadenza semestrale e semplificazioni nelle informazioni da comunicare. Queste le principali novità sulla comunicazione dei dati delle fatture (spesometro) introdotte dalla legge di conversione del decreto fiscale 148/2017 , che deve essere ora pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. Il dato letterale della norma non comprende però l’ipotesi di omessa comunicazione dei dati delle fatture che quindi ricadrebbe nella sanzione ordinaria sanabile mediante ravvedimento operoso.
L’articolo 1-ter, inserito nel decreto dalla legge di conversione, prevede anzitutto la non applicazione delle sanzioni per l’invio dei dati relativi al primo semestre a condizione che entro il 28 febbraio 2018 (termine per la trasmissione relativa al secondo semestre) vengano inviati i dati esatti.
Per l’errata o incompleta trasmissione dello spesometro, l’articolo 11, comma 2-bis, del Dlgs 471/1997, prevede una sanzione pari a 2 euro per ogni fattura errata con un massimo di mille euro per ogni trimestre, ridotta alla metà per le correzioni effettuate nei primi 15 giorni.
La sanatoria sulle sanzioni riguarda anche i contribuenti che hanno esercitato l’opzione di cui al Dlgs 127/2015 (spesometro volontario) ai quali veniva applicata la sanzione fissa da 250 a 2000 euro (comma 1 dell’articolo 11 del Dlgs 471/1997) ora sostituita dalla legge di conversione con quella prevista dal comma 2-bis dell’articolo 11 per l’adempimento obbligatorio (quindi 2 euro a fattura con un massimo di 1.000 euro a trimestre).
I contribuenti potranno, inoltre, scegliere di inviare i dati con cadenza semestrale anziché trimestrale. L’articolo 21 del Dl 78/2010, come modificato dall’articolo 4 del Dl 193/2016, aveva inizialmente previsto la trasmissione dei dati con cadenza trimestrale, entro l’ultimo giorno del secondo mese successivo al trimestre di riferimento, con eccezione del secondo trimestre il cui invio è previsto per il 16 settembre. Successivamente, l’articolo 14-ter del Dl 244/2016 (il Milleproroghe) ha previsto l’invio dei dati con cadenza semestrale esclusivamente per il 2017. Pertanto, dal 2018, la trasmissione torna ad avere cadenza trimestrale, salvo la facoltà, introdotta ora con la conversione del decreto di continuare ad inviare i dati due volte l’anno. Circa le modalità di esercizio di tale facoltà, ci sarà un provvedimento della agenzia delle Entrate.
Ridotta anche la mole di dati da comunicare; i contribuenti potranno limitarsi a trasmettere solo i dati essenziali quali la partita Iva o il codice fiscale dei soggetti coinvolti nella operazione, la data e il numero della fattura, la base imponibile, l’aliquota applicata, l’imposta o, qualora questa non sia applicata in fattura, la tipologia di operazione (esente, non imponibile, eccetera).
Inoltre, con riferimento alle fatture di importo inferiore a 300 euro, registrate mediante documento riepilogativo ai sensi dell’articolo 6 del Dpr 695/1996, serve comunicare la data ed il numero del documento, l’ammontare complessivo delle operazioni e dell’Iva distinto per aliquota.
Queste semplificazioni non vengono estese ai soggetti che, in ordine alla trasmissione dei dati delle fatture, hanno optato su base volontaria (Dlgs 127/2015), per i quali pertanto l’obbligo rimarrebbe trimestrale.
Infine, la legge di conversione ripete che sono esonerati dall’adempimento gli agricoltori in regime di esonero Iva situati in montagna (fatturato inferiore a 7mila euro nell’anno precedente) e lo estende alle amministrazioni pubbliche di cui al comma 2 dell’articolo 1 del Dlgs 165/2011 con riferimento alle fatture emesse nei confronti dei consumatori finali.
Fonte “Il sole 24 ore”

Quattro regimi per le nuove attività

Le alternative per chi intende aprire la partita Iva dal prossimo mese di gennaio 2018 sono quattro, ognuna rappresentativa di un diverso regime contabile e, conseguentemente, di un differente imponibile fiscale.
Non è possibile anticipare a priori, con certezza, quale sia il regime più conveniente per ciascuna categoria di contribuenti, ma occorre, di volta in volta, analizzare le diverse variabili adattandole al caso concreto, peraltro mettendo in conto possibili sorprese (il rinvio dell’Iri al 2018 fa scuola e non si può escludere a priori un nuovo slittamento).
Attualmente, in considerazione del fatto che il regime dei cosiddetti “minimi” (o “regime di vantaggio”, di cui all’articolo 27 del Dl 98/2011 ) è un regime a esaurimento – per il quale non sono più previsti ingressi dal 1° gennaio 2016 – le scelte possibili in sede di inizio attività sono le seguenti:
– regime forfettario (disciplinato dall’articolo 1, commi da 54 a 89 , della legge 190/2014);
– regime di contabilità semplificata (articolo 66 del Tuir e articolo 18 Dpr 600/1973 );
– regime ordinario “non Iri”, disciplinato dal Tuir;
– regime ordinario “Iri” di cui all’articolo 55-bis del Tuir.
Il primo è un regime naturale – possedendone i requisiti si applica di default – mentre gli altri sono regimi obbligati in presenza di determinati parametri (ordinaria “non Iri”) o, comunque, regimi che possono essere scelti su opzione.
In genere la scelta avviene per comportamento concludente e comunicazione “ex post” nella dichiarazione relativa al primo anno di opzione (Dpr 442/1997). Tuttavia, determinati adempimenti impongono scelte precoci: è il caso dell’implementazione dei libri contabili per il regime ordinario, o dei registri incassi e pagamenti per la “modalità di base” del regime semplificato. Lo stesso vale per l’omissione degli adempimenti, come gli obblighi Iva per i forfettari.
Le variabili in gioco sono tante. In primo luogo è opportuno chiedersi quali siano i clienti del futuro imprenditore/professionista. Se si opera quasi esclusivamente con soggetti privati, un “regime di cassa” non serve a posticipare la tassazione sugli insoluti, ma la scelta per il regime forfettario può portare a incamerare la “rendita Iva” come differenza tra quella incorporata nei corrispettivi e quella assolta (senza detrazione) sugli acquisti. In presenza di cessioni a rischio insoluto o con tempi di incasso piuttosto lunghi – si pensi a chi opera stabilmente con enti pubblici – un regime di competenza può rivelarsi penalizzante.
Anche l’aspetto dei costi da sostenere entra prepotentemente in gioco: nel regime forfettario, sono astrattamente attribuiti in percentuale sui ricavi, mentre negli altri regime la deduzione è analitica, anche se può avvenire per competenza (regime ordinario) o in modo “misto” (regime semplificato).
Altro aspetto da considerare è la complessiva situazione reddituale del contribuente. In presenza di carichi familiari, oneri deducibili o detraibili rilevanti, una imposizione sostitutiva (quale quella forfettaria o quella prevista dal regime Iri) può rivelarsi controproducente, sottraendo capienza a tali benefici.
Un regime “a due livelli” come l’Iri conviene solo se si hanno redditi d’impresa piuttosto elevati che possono essere non prelevati per un certo periodo di tempo, altrimenti le complessità conseguenti all’opzione rendono inefficiente la scelta.
Spesso una decisione non basta. È il caso di chi adotta la contabilità semplificata, per la quale il legislatore ha previsto tre diverse modalità concrete di applicazione, che portano talvolta a un differente imponibile fiscale. In alcuni casi la scelta è quasi obbligata dal tipo di attività svolta (si veda la casistica relativa ai dettaglianti riportata dalla circolare 11/E/2017 ), in altri può essere il frutto di un calcolo di convenienza dell’imprenditore, senza dimenticare che il peccato originale di questo regime (ossia l’addebito integrale delle rimanenze iniziali nel primo anno senza il correttivo del riporto a nuovo delle perdite) non è ancora stato eliminato dal legislatore, contribuendo a penalizzare chi si trova o vuole fare ingresso nella contabilità semplificata provenendo dall’ordinaria.
Il peso delle rimanenze, in assenza di aggiustamenti, diviene a volte decisivo, non solo per chi proviene dall’ordinaria ma anche per chi è abituato a riempire il magazzino alla fine dell’anno.
Non sarà estraneo alla scelta anche l’onere amministrativo richiesto, che cresce al crescere della complessità del regime, pur nella considerazione che non sempre il disporre di pochi dati rappresenta la scelta migliore (si pensi ai rapporti con gli istituti di credito, con il Fisco, alle analisi di redditività e così via).
Fonte “Il sole 24 ore”

Proroga pagamenti nuova rottamazione

I termini per il pagamento delle rate per la rottamazione delle cartelle scaduti nei mesi di luglio e settembre, nonché il termine della terza rata in scadenza il prossimo 30 novembre, saranno tutti posticipati al 7 dicembre. In tal senso dispone la legge di conversione del Dl 148/2017, approvata dal Senato lo scorso 16 novembre e ora in attessa del via libera definitivo della Camera . Come si ricorderà, la disciplina sulla rottamazione delle cartelle introdotta con il Dl 193/2016 ha consentito la definizione agevolata dei ruoli affidati all’ente della riscossione dal 2000 al 2016, con il pagamento delle sole somme dovute a titolo di imposta, interessi ed aggio, senza quindi sanzioni ed interessi di mora. La norma ha consentito di optare per il pagamento rateale delle somme dovute sino ad un massimo di cinque rate. In caso di rateazione, l’articolo 6, comma 3, del Dl 193/2016 ha previsto che le rate siano versate a luglio, settembre e novembre 2017 (lettera a), e ad aprile e settembre 2018 (lettera b).
Successivamente è intervenuto il Dl 148/2017 che ha posticipato i termini di versamento delle rate di luglio e settembre al 30 novembre 2017, stabilendo che: «1. I termini per il pagamento delle rate di cui all’articolo 6, comma 3, lettera a), del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225, in scadenza nei mesi di luglio e settembre 2017 sono fissati al 30 novembre 2017».
Infine, come sopra anticipato, il testo finale della legge di conversione del Dl 148/2017, approvato in via definitiva dal Senato lo scorso 16 novembre, prevede che: «All’articolo 1: al comma 1, [n.d.a.: del Dl 148/2017] le parole: “in scadenza nei mesi di luglio e settembre 2017 sono fissati al 30 novembre 2017”, sono sostituite dalle seguenti: “sono fissati al 7 dicembre 2017 e il termine per il pagamento della rata di cui alla lettera b) dello stesso articolo 6, comma 3, del decreto-legge n. 193 del 2016 in scadenza nel mese di aprile 2018 è fissato nel mese di luglio 2018”».
Pertanto, il testo finale post conversione del Dl 148/2017 stabilisce che: «1. I termini per il pagamento delle rate di cui all’articolo 6, comma 3, lettera a), del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225, sono fissati al 7 dicembre 2017».
Ciò significa che tutte e tre le rate della rottamazione in scadenza nel 2017, compresa quella fissata al 30 novembre, sono posticipate al 7 dicembre 2017. Si segnala infine che la stessa legge di conversione ha posticipato la rata in scadenza ad aprile 2018 al mese di luglio 2018; resta invece confermato il termine dell’ultima rata in scadenza a settembre 2018.
Fonte “Il sole 24 ore”

Voucher digitale per PMI

Il voucher digitale per PMI è una misura agevolativa per le micro, piccole e medie imprese che prevede un contributo, tramite concessione di un “voucher”, di importo non superiore a 10 mila euro, finalizzato all’adozione di interventi di digitalizzazione dei processi aziendali e di ammodernamento tecnologico.
Con Decreto direttoriale 24 ottobre 2017 sono state definite le modalità e i termini di presentazione delle domande di accesso alle agevolazioni. Le domande potranno essere presentate dalle imprese, esclusivamente tramite la procedura informatica, a partire dalle ore 10.00 del 30 gennaio 2018 e fino alle ore 17.00 del 9 febbraio 2018. Già dal 15 gennaio 2018 sarà possibile accedere alla procedura informatica e compilare la domanda.
Le spese ammissibili devono essere riferite all’acquisto di software, hardware o servizi che consentano il raggiungimento delle seguenti finalità: miglioramento dell’efficienza aziendale; modernizzazione dell’organizzazione del lavoro; sviluppo di soluzioni di e-commerce.
Gli acquisti devono essere effettuati successivamente alla prenotazione del Voucher. Ciascuna impresa può beneficiare di un unico voucher di importo non superiore a 10 mila euro, nella misura massima del 50% del totale delle spese ammissibili.
Il Voucher può essere concesso in favore di:  micro, piccole e medie imprese (MPMI),  costituite in qualsiasi forma giuridica, che risultano possedere, alla data della presentazione della domanda, i requisiti previsti all’art. 5 del Decreto 23 settembre 2014.
 con sede legale/unità locale attiva in Italia, iscritte al Registro delle Imprese;
 non sottoposte a procedura concorsuale, che non si trovano in stato di fallimento/liquidazione anche volontaria/amministrazione controllata/concordato preventivo/altra situazione equivalente.
Possono beneficiare del voucher le imprese operanti in tutti i settori di attività economica ad eccezione di quelli esclusi dall’articolo 1 del regolamento (UE) n. 1407/2013 (aiuti “de minimis”) quali il settore della produzione primaria di prodotti agricoli e della pesca e acquacoltura. Tuttavia, qualora le imprese che operano in tali settori svolgano anche attività economiche ammissibili, le stesse possono beneficiare del Voucher a condizione che siano in possesso di un adeguato sistema di separazione delle attività o di un sistema contabile che assicuri la distinzione dei costi.
Ai fini dell’accesso alle agevolazioni, le imprese sono tenute al rispetto di tutti i requisiti individuati all’articolo 5 del Decreto 23 settembre 2014, tra cui è previsto l’obbligo, alla data di presentazione dell’istanza di Voucher, di essere iscritti al Registro delle imprese. Pertanto, gli studi professionali e, più in generale, i liberi professionisti possono accedere alle agevolazioni solo qualora svolgano la propria attività in forma di impresa e siano iscritti, alla data di presentazione della domanda, al Registro delle imprese.
Spese ammissibili:
Come stabilito dall’articolo 2 del Decreto 23 settembre 2014, le spese ammissibili devono essere riferite all’acquisto di software, hardware o servizi che consentano il raggiungimento delle seguenti finalità:
 miglioramento dell’efficienza aziendale;
 modernizzazione dell’organizzazione del lavoro;
 sviluppo di soluzioni di e-commerce;
 connettività a banda larga e ultralarga;
 collegamento alla rete internet mediante la tecnologia satellitare;
 formazione qualificata nel campo ICT del personale.
Riferimenti normativi:
– Decreto 23 settembre 2014;
– Decreto-Legge n. 145/201
Fonte “Fiscalfocus”

La lettera d’intento batte lo split payment

Il reverse charge e la non imponibilità Iva, anche da lettera d’intento, hanno la precedenza rispetto allo split payment. Tra inversione contabile e non imponibilità, secondo le Entrate, non è invece possibile fissare una regola generale di prevalenza. Queste sono le conclusioni cui si può pervenire confrontando l’interpretazione fornita dall’Agenzia con la circolare 27/E/2017 e i precedenti orientamenti.
Il reverse charge
Il meccanismo della scissione dei pagamenti trova un primo arresto, per espressa previsione normativa, nel caso in cui l’operazione rientri nell’ambito del reverse charge. Infatti, è lo stesso articolo 17-ter del Dpr 633/1972 a stabilire che lo split payment scatta per le prestazioni di servizi e le cessioni di beni per i quali i committenti/cessionari non sono debitori dell’imposta in base alle disposizioni in materia d’imposta sul valore aggiunto.
Pertanto, se una società che ricade nel regime effettua degli acquisti nell’esercizio dell’impresa per i quali è prevista l’inversione contabile, non si applicherà lo split payment. È questo il caso delle operazioni elencate negli articoli 17 , commi 5 e 6, e 74, commi 7 e 8, del Dpr 633/1972, e, ovviamente, quello degli acquisti di beni (anche intracomunitari) e di servizi rilevanti in Italia da fornitori non residenti.
Per gli acquisti effettuati dalla Pa è necessario distinguere. Il reverse charge trova applicazione per:
• gli acquisti interni afferenti la sfera commerciale;
• gli acquisti intracomunitari di beni, se l’ente è un soggetto passivo;
• gli acquisti intracomunitari di beni, se l’ente non è soggetto passivo, ma si è identificato ai fini Iva in conseguenza del superamento della soglia di 10mila euro o per opzione;
• i servizi acquisiti, rilevanti in Italia, se l’ente è dotato di partita Iva.
La lettera d’intento
Allo stesso modo, lo split payment non si applica se l’acquirente, in possesso dello status di esportatore abituale, invia la dichiarazione d’intento al proprio fornitore. Infatti, come condivisibilmente affermato dall’agenzia delle Entrate, in questi casi l’operazione risulta non imponibile. Il chiarimento è in linea con quanto affermato nella circolare 1/E/2015 , dato che lo split payment riguarda le operazioni documentate mediante fattura che indichi, tra l’altro, l’imposta addebitata.
L’interpretazione ha inoltre il pregio di consentire agli esportatori abituali che oggi rientrano tra i destinatari della scissione dei pagamenti di mantenere inalterato il proprio comportamento con riferimento alla gestione del plafond.
Secondo quanto affermato nella circolare 14/E/2015 , la dichiarazione d’intento non ha invece alcun effetto sulle operazioni assoggettabili al meccanismo del reverse charge che, viste le finalità antifrode, costituisce la regola prioritaria.
Appare quindi evidente il differente approccio seguito dall’amministrazione finanziaria benché anche la disposizione riguardante lo split payment sia stata fin da subito (circolare 1/E/2015) ricondotta tra quelle volte a innovare il sistema di riscossione dell’imposta, al fine di ridurre il “Vat gap” e contrastare i fenomeni di evasione e le frodi Iva.
Il disorientamento aumenta se consideriamo che con la circolare 37/E/2015 è stata sostenuta la prevalenza della non imponibilità, anche se in questo caso “propria” dell’operazione effettuata (servizi internazionali), rispetto al reverse charge.
Gli altri «incroci»
Coerente con la funzione antifrode della disciplina è invece la previsione dell’applicazione prioritaria dello split payment rispetto al regime per cassa (articolo 32-bis, decreto legge 83/2012 ): sia il reverse charge (circolare 14/E/2015) che lo split payment (circolare 27/E/2017) hanno la precedenza.
Nel paragrafo 6 della circolare 27/E/2017 viene poi ricordato che quando il fornitore emette una nota di variazione in diminuzione che si riferisce a fatture emesse prima dell’entrata in vigore dello split payment, alla stessa si applicano le regole ordinarie.
Nell’ipotesi di variazione di una fattura originaria non imponibile a fronte del ricevimento della lettera d’intento, la nota di variazione dovrebbe recare il titolo di non imponibilità.
Fonte “Il fisco”

Equo compenso già per i contratti in corso

Poco più di un mese fa, il Consiglio di Stato aveva considerato legittimo un appalto pubblico di servizi professionali al compenso simbolico di un euro. Il legislatore idealmente risponde con una modifica alla legge forense, introducendo nel Dl fiscale appena approvato al Senato (si veda questo articolo ) due nuove tutele per i lavoratori autonomi – il diritto a un «equo compenso» e il divieto di «clausole vessatorie». L’obiettivo sono gli affidamenti standardizzati di servizi professionali ripetitivi, come il recupero dei crediti, che ormai molte imprese, e talvolta anche le amministrazioni, fanno a condizioni ridotte all’osso. Le nuove tutele si aggiungono e in parte si sovrappongono a quelle che la legge 81/2017 ha previsto per la «clausole abusive» e gli abusi di dipendenza economica nei confronti dei lavoratori autonomi.
Le norme nascevano per i soli avvocati ma nella redazione finale del testo la loro applicazione è stata estesa a tutti i lavoratori autonomi. Esse riguardano i rapporti, anche in essere, tra i professionisti e i loro clienti grandi imprese, banche e assicurazioni in testa, quando sono regolati da convenzioni predisposte unilateralmente dalle imprese. Negli incarichi conferiti dopo la nuova legge, il diritto all’equo compenso dovrà essere garantito anche dalle pubbliche amministrazioni.
Il parametro per stabilire l’«equità» del compenso è simile a quello dell’articolo 36 della Costituzione sulla retribuzione del dipendente: il compenso deve essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione. Nell’articolo 36 la concretizzazione del criterio è di fatto rimessa ai contratti collettivi, qui la legge rinvia a successivi decreti ministeriali.
Le clausole «vessatorie» sono invece individuate sulla falsariga del codice del consumo, come quelle che creano un «significativo squilibrio» contrattuale a carico del professionista. La norma elenca i casi tipici di vessatorietà, sempre che le clausole non siano frutto di una trattativa e di un’approvazione specifica. Ad esempio, il potere di rifiutare la stipulazione del contratto in forma scritta, l’anticipazione delle spese da parte del professionista, il pagamento a termini superiori a sessanta giorni. C’è poi una lista nera di clausole che sono vessatorie anche se oggetto di trattativa e approvazione: il potere del cliente di modificare unilateralmente il contratto e di esigere prestazioni aggiuntive gratuite.
Le clausole con compensi iniqui o vessatorie sono nulle, secondo un regime speciale. Per le clausole vessatorie la nullità è del genere cosiddetto di protezione, la può far valere solo il professionista e comunque non si estende al resto del contratto. Anche in questo caso, la soluzione è in linea con il codice del consumo. Per il compenso non equo è prevista la sostituzione con il compenso determinato dal giudice. L’azione di nullità non è imprescrittibile, come sarebbe per regola generale, e va proposta a pena di decadenza entro ventiquattro mesi dalla firma delle convenzioni.
Nell’insieme, non si può dire che le nuove norme siano un semplice ritorno al passato, ai tempi delle tariffe professionali minime. La legge prova a correggere alcuni rapporti di forza nei quali il professionista è considerato il contraente debole. Forse questo è anche il limite dell’intervento. Le norme affrontano il problema senza una riflessione più generale sulla natura dei servizi coinvolti e senza domandarsi se, in definitiva, occorra ripensare anche le forme in cui i professionisti si organizzano per svolgerli e la loro disciplina uniforme.
Fonte Il fisco

Registri Iva senza obbligo di stampa cartacea

Stop all’obbligo di stampa cartacea dei registri Iva gestiti in modalità elettronica. Basterà, infatti, tenere aggiornati i registri digitali relativi a fatture emesse ed acquisti per stamparli in sede di accesso, ispezione o verifica a seguito della richiesta avanzata dagli organi procedenti e in loro presenza. È una delle novità introdotte dal maxiemendamento al decreto fiscale collegato alla manovra e approvato dal Senato in prima lettura (il testo ora è passato all’esame della Camera).
Ma vediamo meglio nel dettaglio. L’equiparazione degli effetti della registrazione meccanografica non trascritta a quelli della modalità cartacea viene estesa anche ai fini Iva per la tenuta del registro delle fatture di acquisto e di vendita con sistemi elettronici.
Pertanto, se a seguito di un accesso, ispezione o verifica, i dati memorizzati digitalmente risultano aggiornati e a richiesta viene eseguita la stampa immediata sui registri cartacei, gli organi verificatori dovranno constatare la regolarità della tenuta dei registri.
Con la modifica normativa il legislatore ha previsto, limitatamente ai registri Iva tenuti mediante sistemi elettronici e senza alcun riferimento all’esercizio a cui si riferiscono le registrazioni, che in sede di verifica gli organi di controllo non possono contestare l’irregolarità dell’omessa trascrizione nei registri Iva cartacei a patto che i dati inseriti nel sistema informatico siano aggiornati e prontamente stampati su richiesta.
La possibilità di assolvere agli obblighi fiscali mediante la dematerializzazione dei documenti è stata attutata con l’articolo 7 del Dl 357/1994 . Quest’ultimo provvedimento permette di tenere le scritture contabili con modalità informatiche aventi piena efficacia giuridica, ma non costituisce un’eccezione alle norme della stampa dei dati contabili nei registri cartacei.
Scopo della disposizione è quello di semplificare i processi amministrativi causati dal differimento temporale della registrazione per effetto dell’utilizzo degli strumenti meccanografici. Pertanto, la regolarità della tenuta delle scritture contabili, in assenza di annotazione su carta, è da ritenersi conforme se i dati, che si riferiscono all’esercizio corrente, risultano aggiornati ed immediatamente stampabili su richiesta.
La nuova disposizione introdotta all’interno del decreto fiscale recepisce la proposta che il Cndcec aveva indicato in previsione della legge di Stabilità 2016. E l’intervento normativo in questione potrebbe avere l’effetto di far decadere tutte le contestazioni che basano il disconoscimento del diritto alla detrazione sebbene il contribuente, pur avendo tenuto i registri con sistemi elettronici, non provvede a stamparli su carta.
Quotidiano “Il fisco”

Firma digitale per gli atti societari

Con un intervento contenuto nel maxiemendamento al Dl 148/2017 approvato ieri dal Senato, il legislatore apre la strada ai fini fiscali alla sottoscrizione digitale di alcuni atti societari che determinano il trasferimento di azioni o quote societarie la trasformazione e la fusione di società, nonché i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento di imprese soggette a registrazione. In questo modo si vuole rendere più semplice e meno oneroso per le imprese la realizzazione di determinate operazioni sociali che sono caratterizzate da specifici formalismi disciplinati in modo attento dal codice civile. In particolare la norma appena approvata, che introduce all’articolo 36 del Dl 112/2008 il comma 1-ter, consente la sottoscrizione digitale degli atti previsti dagli articoli da 2498 a 2506 del Codice civile (disposizioni che disciplinano le regole per la trasformazione, fusione delle società, nonché l’assegnazione di azioni o quote societarie), l’articolo 2556 del Codice civile (disposizione che disciplina i contratti di trasferimento della proprietà o il godimento delle imprese soggette a registrazione), nonché delle operazioni relative alla successione. L’apposizione della sottoscrizione digitale deve avvenire secondo le disposizioni del Cad (Codice dell’amministrazione digitale, ossia il Dlgs 82/2005) e delle relative regole tecniche. La limitazione, però, degli effetti della sottoscrizione ai soli fini fiscali pone non pochi dubbi sulla sua piena operatività di tali regole, lasciando impregiudicati i più stringenti vincoli civilistici.