Rinunce ai finanziamenti da parte dei soci enunciate in atti di ricapitalizzazione sempre più nel mirino del Fisco. Di recente molti soci che hanno deliberato la riduzione del capitale sociale per perdite, contestualmente ricostituito attraverso la rinuncia a precedenti finanziamenti erogati alla società, si vedono recapitare avvisi di liquidazione di imposta di registro proporzionale nella misura del 3% degli importi finanziati, oltre ai relativi interessi.
In genere, la delibera di riduzione per perdite e di ricapitalizzazione mediante rinuncia a finanziamenti viene assoggettata a imposta di registro in misura fissa, in quanto atto assimilabile a un aumento del capitale sociale mediante conferimento di denaro. Vediamo, quindi, di capire su quali ragioni l’ufficio fonda la sua pretesa e quali sono le possibili valutazioni da fare per sostenere la difesa o per prevenire l’accertamento.
L’accertamento
Sull delibera con la quale il capitale sociale viene ridotto per perdite, e contestualmente ricostituito mediante rinuncia ai crediti vantati dai soci verso la società, si applica l’imposta di registro in misura fissa. Attenzione, però: in forza dell’articolo 22 del Dpr 131/1986 , al momento della sua registrazione l’ufficio verifica, se nella stessa delibera, vengono richiamati altri atti (non registrati), quali ad esempio finanziamenti dei soci alla stessa società. Infatti, gli atti enunciati in altri atti sottoposti a registrazione devono essere, a loro volta, assoggettati a imposta di registro.
Dunque, se l’atto di finanziamento soci enunciato nella delibera di ricapitalizzazione non è già stato registrato, l’ufficio procede con la notifica ai soci e alla società (in qualità di coobbligata) di un avviso di liquidazione, finalizzato ad assoggettare il medesimo atto a imposta di registro nella misura del 3%, a norma dell’articolo 9 della Tariffa, parte I, allegata al Dpr 131/1986.
La possibile difesa
In questi casi è essenziale verificare se dalla delibera societaria presentata per la registrazione possano effettivamente desumersi gli elementi fondamentali del finanziamento, quali, ad esempio, l’ammontare della somma finanziata, le parti coinvolte, e così via. Nel caso in cui tali elementi non dovessero essere evidenti, è opportuno impugnare l’atto, chiedendo al giudice di merito di dichiararne l’illegittimità per violazione e falsa applicazione dell’articolo 22.
Affinché possa trovare applicazione l’imposta di registro anche sull’atto enunciato, è necessario che:
● l’atto enunciante consenta di individuare gli elementi essenziali dell’atto enunciato;
● l’atto enunciato sia posto in essere tra le stesse parti intervenute nell’atto enunciante e che non sia stato registrato.
Le scelte preventive
Al fine di attenuare il rischio crescente di contestazione, sarebbe opportuno valutare la possibilità di strutturare le operazioni di ricapitalizzazione non ancora effettuate in modo diverso.
Si potrebbe, ad esempio, decidere di operare il rimborso dei finanziamenti ai soci prima dell’adozione della delibera di aumento del capitale. In questo modo, poi, i soci possono operare il successivo conferimento in società del denaro rimborsato. È ovvio, tuttavia, che in ipotesi di crisi societaria tale soluzione potrebbe apparire difficilmente praticabile, dal momento che la società potrebbe non disporre del denaro da rimborsare ai soci.
In alternativa, si potrebbe procedere con uno “spacchettamento” degli atti: in particolare, dopo aver deliberato la sola ricapitalizzazione, l’aumento dovrebbe essere sottoscritto dai soci mediante la rinuncia al precedente finanziamento. In tal modo, si potrebbe evitare di presentare alla registrazione una delibera assembleare che effettui anche la rinuncia e, quindi, enunci il finanziamento. Anche questa scelta, tuttavia, non rende immune da rischi: alla delibera di ripianamento delle perdite andrà allegata la situazione patrimoniale della società, dalla quale potrebbe indirettamente desumersi la presenza del finanziamento.
Infine, laddove non vi sia opposizione dei soci, potrebbe essere opportuno contabilizzare già all’origine i finanziamenti dei soci come «conferimenti in conto capitale», in modo che essi non vadano a confluire nelle poste passive di bilancio, ma compaiano tra le poste di patrimonio netto.