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Il controllo di una Srl blocca l’adesione

Quando la società esercita un’attività riconducibile a quella svolta dal lavoratore
Deve essere definita la nuova incompatibilità per l’applicazione del regime forfettario prevista dalla lettera d) del comma 57 della legge 190/14, introdotta dalla legge 145/18. Si tratta della disposizione che prevede la causa di esclusione per i soggetti che «controllano direttamente o indirettamente società a responsabilità limitata o associazioni in partecipazione, le quali esercitano attività economiche direttamente o indirettamente riconducibili a quelle svolte dagli esercenti attività di impresa, arti o professioni». Le condizioni affinché scatti la causa ostativa devono essere due e cioè il controllo diretto ed indiretto della Srl e lo svolgimento di una attività similare.
I casi non sono frequenti ma quello tipico riguarda la professione del commercialista che partecipi a una Srl che svolga l’attività di elaborazione dati la quale venga utilizzata per la tenuta delle contabilità dei clienti. Ci si chiede se il socio della Srl, realizzando ricavi di importo non superiore a 65mila euro, possa applicare per la propria attività individuale di commercialista il regime forfettario.
Per stabilire il controllo viene spontaneo pensare all’articolo 2359 del Codice civile. Indubbiamente il controllo c’è se il professionista dispone della maggioranza assoluta dei voti esercitabili in assemblea. O tale controllo c’è se il commercialista aspirante forfettario possiede il 51% di una Srl la quale possiede il 51% di un’altra Srl che svolge l’attività di elaborazione dati.
Il comma 2 dell’articolo 2359 precisa che si computano anche i voti spettanti a persona interposta. A nostro parere non può essere automatico considerare ad esempio un familiare come persona interposta; cioè a dire che se le quote della Srl di elaborazione dati fossero possedute dai familiari dell’aspirante forfettario, sarebbe inibito a quest’ultimo il forfait. Ciò perchè quando il legislatore ha voluto considerare il familiare come un soggetto interposto lo ha detto espressamente.
Infatti nella medesima legge di bilancio al comma 70 in materia di credito di imposta per l’attività di ricerca e sviluppo, la norma esclude che tale attività, venga effettuata da società appartenenti al medesimo gruppo e cioè controllanti o controllate; aggiunge poi la norma che per le persone fisiche si tiene conto anche delle partecipazioni o diritti posseduti dai familiari dell’imprenditore individuati nell’articolo 5 del Dpr 917/86 (coniuge, parenti entro il terzo grado o affini entro il secondo). Quindi in questo caso la parentela è prevista espressamente.
La normativa in materia di antiriciclaggio (articolo 4 del Dl 167 /90) specifica che vengono coinvolti anche i titolari effettivi e cioè le persone fisiche che in ultima istanza possiedono o controllano la persona fisica per conto della quale è realizzata una determinata attività; la circolare delle Entrate 38/13 classifica fra questi soggetti anche i familiari sempre con il grado di parentela di cui all’articolo 5 del Tuir, ma nella norma in materia di regime forfettario manca qualsiasi riferimento alle persone della famiglia.
A nostro avviso pertanto la causa di esclusione sussiste soltanto quando, il contribuente forfettario possiede la maggioranza assoluta dei voti nella Srl, anche per il tramite di società controllata.
Altra questione è quella di stabilire se nella ipotesi in cui il contribuente si trova in questa condizione possa liberarsi della partecipazione in Srl nel 2019 e questo non comprometta il regime forfettario per il medesimo periodo di imposta. La circolare dell’Agenzia 10/16 precisa che questo è possibile, ma la fattispecie esaminata riguardava la partecipazione in una società trasparente il cui reddito cadeva nella dichiarazione dei redditi del forfettario: la fattispecie della srl è diversa e purtroppo la regola è che le cause di esclusione non devono sussistere nel periodo di imposta di applicazione del regime forfettario.
Infine c’è la questione della incompatibilità con la Srl controllante che svolga una attività riconducibile a quella del forfettario. In questo ambito il codice di attività è certamente una utile indicazione, ma non può essere il solo. A nostro parere la causa di esclusione scatta quando l’attività svolta dalla srl potrebbe essere svolta anche dal professionista e questo è proprio il caso del commercialista che controlla una società di servizi contabili.
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Gian Paolo Tosoni

Fatture su carta, senza effetti il secondo invio elettronico

Doppia spedizione: non è valida la strada delle note di credito
L’obbligo della fatturazione elettronica tra privati sta facendo emergere, in questa prima fase di applicazione, una serie di criticità. Un tema particolarmente delicato è dato dall’invio, tramite formato elettronico, della medesima fattura già emessa e consegnata nel 2018, in formato cartaceo o comunque non elettronico.
Ipotizziamo che, per un errore del software, una società abbia trasmesso, in data 1° gennaio 2019, mille fatture già emesse nel mese di dicembre 2018, consegnate alla controparte e contabilizzate entro la fine dello stesso anno (il caso, tutt’altro che teorico, ha coinvolto più contribuenti).
Ipotizziamo anche che l’ulteriore invio elettronico non sia stato bloccato dal sistema Sdi (le fatture sono risultate al sistema come regolari, né il sistema è stato in grado di riconoscerne la natura di secondo invio, dal momento che l’emissione originaria è avvenuta fuori dal sistema elettronico). La ricezione elettronica di queste fatture, lato soggetto ricevente, non può essere rifiutata da quest’ultimo, in quanto il sistema non considera questa opzione (differentemente da quanto potrebbe invece accadere in caso di rapporto con la pubblica amministrazione).
Con tutta probabilità, in caso di errato doppio invio della medesima fattura, fino all’anno scorso, seguendo le modalità non elettroniche o “cartacee”, le parti si sarebbero semplicemente accordate nel senso di stralciare la copia inviata in più, tenendo per buona quella emessa secondo le tempistiche di legge.
Tuttavia, oggi il tema deve essere rivalutato alla luce del passaggio nel sistema Sdi, che traccia e mantiene memoria dell’avvenuto invio in predicato. A un primo esame, si potrebbe ipotizzare valido l’utilizzo delle note di credito, ex articolo 26 el Dpr 633/72, quale metodo per stornare il secondo invio (quello elettronico) erroneamente effettuato.
Tuttavia, a una disamina più attenta, non può sfuggire il fatto che questa problematica attenga non già ad un errore di fatturazione, ma ad un errato secondo invio della stessa fattura già emessa.
L’articolo 26 del Dpr 633, a ben vedere, contempla una moltitudine di casi soggetti a rettifica, tutti comunque accomunati da un errore, formale o sostanziale, della fattura emessa. Ecco quindi che troviamo disciplinati dall’articolo 26 casi di: variazioni in aumento o in diminuzione della base imponibile o dell’imposta, correzioni di errori formali e di calcolo, casi di abbuoni e sconti successivamente intervenuti per accordo tra le parti, e così via. Il caso qui trattato, però, è differente: la fattura non è stata emessa con errori, semplicemente è stata inviata due volte.
A parere di chi scrive, quindi, l’emissione di note di credito nel caso specifiche risulterebbe errata. La procedura corretta dovrebbe invece essere quella di non considerare il cosiddetto secondo invio, evitando conseguentemente ogni correlata contabilizzazione (e mantenendo ovviamente memoria contabile, e con questa ogni successivo adempimento fiscale, del primo corretto invio).
Vista la particolarità della questione, potrebbe essere utile provvedere a una comunicazione all’agenzia delle Entrate, in base alla legge 212/2000 (Statuto del contribuente), mettendola al corrente dell’errore avvenuto, magari identificando il flusso informatico in questione.
In questi casi, sarebbe auspicabile che l’amministrazione finanziaria, oltre a chiarire i corretti adempimenti da adottare, consideri il particolare contesto di novità e le correlate difficoltà interpretative, evitando di comminare qualsivoglia sanzione od emettere accertamenti di sorta.
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Enrico Holzmiller

I crediti verso la Pa non evitano la vendita forzata dei beni pignorati

L’articolo 4 del decreto-legge 135/2018 (intitolato «Modifiche al codice di procedura civile in materia di esecuzione forzata nei confronti dei soggetti creditori della pubblica amministrazione») al comma 2 interviene sull’articolo 560 del Codice di procedura civile (si veda il box). Siamo dunque nell’ambito dell’espropriazione immobiliare, quando cioè il processo esecutivo è iniziato aggredendo con il pignoramento un bene immobile.

Dopo la trascrizione del pignoramento e proposta l’istanza di vendita, il giudice fissa l’udienza per la comparizione delle parti e dei creditori “iscritti” di cui all’articolo 498 (quelli cioè che sui beni pignorati hanno un diritto di prelazione risultante dai pubblici registri) che non siano intervenuti. È in questa udienza che il debitore esecutato deve documentare di essere titolare di crediti nei confronti di pubbliche amministrazioni; e di ciò si farà menzione nell’avviso di vendita per mettere, evidentemente, al corrente di questa circostanza chi intendesse rendersi acquirente del bene.

Da ciò risulta chiaro che, pur quando l’esecutato abbia fatto emergere la circostanza di essere titolare di quei crediti, il processo continua nella ricerca dell’acquirente; non si ha quindi una nuova ipotesi di improseguibilità/improcedibilità del processo esecutivo disposta a favore del debitore che versi in quella particolare situazione.

L’esecuzione continua fino ad individuare l’acquirente, fino al versamento da parte sua del prezzo, fino alla pronuncia del decreto che trasferisce all’acquirente stesso la titolarità del bene pignorato e ne dispone il rilascio a suo favore per una data compresa tra il sessantesimo ed il novantesimo giorno successivo.

Il “vantaggio” che deriva al debitore esecutato dall’aver fatto emergere all’udienza la circostanza di essere titolare di crediti nei confronti di pubbliche amministrazioni consiste così solo nel ritardare il momento del rilascio dell’immobile; rilascio che non potrà avvenire prima che sia decorso il termine fissato nel decreto. Con la pronuncia del decreto di trasferimento, cioè, il debitore esecutato, pur creditore verso pubbliche amministrazioni, perde comunque la titolarità del suo bene, ed è pronto a perderne anche la disponibilità materiale in conseguenza del rilascio disposto dal giudice.

Inoltre il pur limitato vantaggio accordato al debitore viene riconosciuto solo se a essere pignorato sia stato un suo bene immobile. Se il creditore avesse pignorato un bene diverso – ad esempio il denaro in conto corrente (nella forma dell’espropriazione presso terzi) – l’essere titolare di crediti nei confronti di pubbliche amministrazioni non gioverebbe all’esecutato in alcun modo.

Infine questo “vantaggio” non è già operativo. Infatti l’ultimo comma dello stesso articolo 4 prevede che tutte le disposizioni introdotte con l’articolo stesso non si applicano alle esecuzioni iniziate anteriormente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto.

Il che porta a una semplice riflessione. Se ci fosse necessità e urgenza, la protezione andrebbe accordata al debitore in tutte le espropriazioni – immobiliari – che contro di lui venissero instaurate appena entrato in vigore il decreto; o – forse ancor meglio – anche nei processi pendenti ma non ancora giunti all’udienza.

Ma se la protezione deve applicarsi solo ai processi che inizieranno addirittura dopo la pubblicazione della legge di conversione, non ci si può non domandare dove risieda il caso straordinario di necessità e d’urgenza richiesto dall’articolo 77 della Costituzione per l’adozione di un decreto legge.

Fonte “Il sole 24 ore”

Fatture 2018 inviate a gennaio, vale l’emissione «in analogico»

Le autofatture da autoconsumo, da omaggio o per l’estrazione dei beni dal deposito Iva devono essere inviate al sistema d’interscambio con l’indicazione del codice TD01 e non con il codice TD20, codice che è utilizzabile solo per le «autofatture spia»; le fatture attive datate dicembre 2018, ma inviate tramite posta ordinaria o tramite Pec nei primi giorni di gennaio possono essere analogiche; la data della fattura immediata è la data di effettuazione dell’operazione, mentre per la fattura differita la data da indicare è la data di emissione della fattura elettronica. Sono alcuni dei chiarimenti forniti ieri dall’agenzia delle Entrate nel corso dell’incontro promosso dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili.

Autofatture

Per le autofatture per omaggi, per autoconsumo o per destinazione a finalità estranee all’attività d’impresa era chiaro, in base alle Faq diffuse in precedenza dalla stessa Agenzia, che dovessero essere inviate al sistema d’interscambio. Quello che viene chiarito ora è che tali documenti devono essere classificati con il codice «tipo documento» TD01 vale a dire il codice identificativo delle fatture ordinarie. Non deve essere utilizzato il codice TD20 che, invece, è da utilizzarsi solo e unicamente per le autofatture emesse dal cessionario/committente nel caso in cui dopo quattro mesi dall’effettuazione dell’operazione lo stesso non abbia ancora ricevuto la fattura elettronica relativa alla specifica transazione. In altre parole il «TD20» deve essere utilizzato solo per le autofatture di cui all’articolo 6, comma 8 del Dlgs 471/97.

Nelle risposte viene chiarito che analogo trattamento deve essere effettuato per le autofatture per l’estrazione dei beni da un deposito Iva ovvero per inviare volontariamente la cosiddetta «autofattura» di integrazione della fatture nazionali soggette a reverse charge.

A proposito delle autofatture di estrazione dal deposito Iva, è importante segnalare che secondo l’agenzia delle Entrate (anche se sul punto si esprime personalmente qualche dubbio) le stesse vadano obbligatoriamente inviate allo Sdi.

Emissione e ricezione

Un tema di particolare interesse riguarda la gestione delle fatture del 31 dicembre del 2018. In effetti, il tema che si poneva era di comprendere come dovessero essere emesse e gestite le fatture attive datate 2018, ma inviate al cliente tramite posta ordinaria o tramite Pec nei primi giorni del 2019. In particolare ci si poneva il problema se le stesse dovessero essere trattate in elettronico o se potevano ancora essere emesse in analogico.

L’Agenzia, riprendendo a dire il vero un’integrazione fatta nelle Faq pubblicate sul sito, ribadisce che queste fatture possono essere emesse in analogico. Inoltre, in relazione al cessionario/committente, l’Agenzia sottolinea che le fatture possono essere detratte direttamente nel mese di gennaio 2019. Sempre per le fatture datate 30 dicembre 2018, inviate, in questo caso, elettronicamente con un lieve ritardo entro i primi giorni di gennaio 2019, l’Agenzia chiarisce che non si darà luogo a sanzioni in base all’articolo 6, comma 5 bis del Dlgs 472/97.

Fonte “Il sole 24 ore”

Debutta sul 730 la detrazione per i mezzi pubblici

Online le versioni definitive del modello 730/2019 con le relative istruzioni aventi ad oggetto le dichiarazioni per il periodo d’imposta 2018. Le novità sono quelle annunciate e in parte già previste con la legge di Bilancio 2018.

Tra le new entry si segnala la detrazione al 19% relativa ai premi per assicurazioni aventi per oggetto il rischio di eventi calamitosi stipulati per unità immobiliari a uso abitativo, nonché quella per le spese sostenute in favore di minori o di maggiorenni con disturbo specifico dell’apprendimento (Dsa) fino a completamento della scuola secondaria di secondo grado.

Spetta dal 2018, sempre nella misura del 19 per cento, anche la detrazione per le spese sostenute per l’acquisto degli abbonamenti ai servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale per un importo non superiore a 250 euro. La detrazione compete anche per le spese sostenute per i familiari a carico entro comunque il limite complessivo di 250 euro.

Infine è innalzato a 1.300 euro (prima fissato in 1.291,14) il limite di detrazione dei contributi associativi alle società di mutuo soccorso.

Per le erogazioni liberali in favore di organizzazioni non lucrative di utilità sociale e delle Associazioni di promozione sociale la percentuale di detrazione è del 30 per cento, mentre si arriva fino al 35 per cento per le erogazioni in favore delle organizzazioni di volontariato.

Il Codice del Terzo settore prevede inoltre che, in alternativa alla detrazione, le liberalità in denaro o in natura erogate a favore degli enti del Terzo settore non commerciali (Onlus, Ov e Aps) sono deducibili dal reddito complessivo netto del soggetto erogatore nel limite del 10 per cento del reddito complessivo dichiarato. Qualora detto importo sia di ammontare superiore al reddito complessivo dichiarato, diminuito di tutte le deduzioni, l’eccedenza può essere computata in aumento dell’importo deducibile dal reddito complessivo dei periodi di imposta successivi, ma non oltre il quarto, fino a concorrenza del suo ammontare.

Dal 2018 è attivo anche il cosiddetto «bonus verde» per cui si applica la detrazione del 36% delle spese sostenute, (limite max 5mila euro) per gli interventi di sistemazione a verde di aree scoperte private di edifici esistenti, unità immobiliari, pertinenze o recinzioni, per gli impianti di irrigazione e per la realizzazione pozzi e di coperture a verde e di giardini pensili (misura peraltro prorogata fino al 31 dicembre 2019 dalla legge 145/2018).

Dal 21 novembre comunicazione all’Enea (ristrutturazioni2018.enea.it) anche per gli interventi edilizi ultimati nell’anno 2018 agevolati al 50%. Si tratta, è bene precisarlo, di un adempimento previsto non per tutti gli interventi di recupero di cui all’articolo 16-bis del Tuir, ma solo per quelli che sono anche volti al risparmio energetico e all’utilizzo di fonti rinnovabili di energia (ad esempio infissi, installazione o sostituzione di collettori solari, solare termico).

Infine, si ricorda che dal 1° gennaio 2018, anche ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, si applicano le medesime disposizioni previste per i dipendenti privati riguardo la deducibilità dei premi e contributi versati alla previdenza complementare dei dipendenti pubblici.

Inoltre, va detto che, sempre dal 2018, per la tassazione della rendita integrativa anticipata (Rita) il percettore del reddito ha facoltà di avvalersi in dichiarazione della tassazione ordinaria in luogo di quella sostitutiva applicata dal soggetto erogatore.

Fonte “Il sole 24 ore”

Rimedi difficili per l’invio errato a un codice destinatario valido

L’errata indicazione del codice destinatario nel tracciato Xml può determinare lo scarto della fornitura da parte dello Sdi oppure, in alcuni casi, la trasmissione della fattura elettronica al soggetto sbagliato.
È questo quello che emerge dai primi giorni di operatività del nuovo sistema di trasmissione elettronica delle fatture attraverso lo Sdi. Una situazione che solleva, in particolare nel caso di trasmissione della fattura ad un soggetto sbagliato, non pochi interrogativi in termini di riservatezza delle informazioni e di procedura di regolarizzazione.
Lo Sdi non effettua analisi di merito sui dati inseriti nel file Xml della fattura, controllando esclusivamente l’avvenuta compilazione dei campi obbligatori ai fini della disciplina Iva. Gli unici controlli sostanziali effettuati dal sistema sono quelli sull’esistenza del codice fiscale e della partita Iva dei soggetti coinvolti nella transazione (attraverso una verifica di presenza nell’anagrafe tributaria) e sull’esistenza del codice destinatario del soggetto ricevente, laddove sia stato indicato nell’apposto campo del file Xml.
Questo significa che, se da un lato l’indicazione di un codice destinatario errato (vuoi perché erroneamente registrato in anagrafica, vuoi perché erroneamente comunicato dal cliente) determina lo scarto della fattura da parte dello Sdi, dall’altro l’errata indicazione di un codice destinatario valido determina invece la consegna della fattura al soggetto sbagliato. Quest’ultimo si limiterà con tutta probabilità semplicemente a cestinare la fattura, non avendo peraltro alcuna informazione immediata (indirizzo email, Pec) all’interno del tracciato Xml che gli permetta di contattare il soggetto trasmittente, che non avrà quindi modo di rendersi conto dell’errore, oppure lo scoprirà quando la fattura andrà insoluta, non avendo il cliente ricevuto la fattura. C’è però un altro aspetto ancor più sensibile: la riservatezza dei dati contenuti nella fattura consegnata all’indirizzo telematico sbagliato.
Sul piano, poi, della regolarizzazione della fattura inviata e ricevuta da un soggetto sbagliato, è chiaro che l’emittente, nel momento in cui si avvede dell’errore, vuoi per controlli interni, vuoi perché il cliente non paga, dovrà intervenire sulla precedente fattura emessa, senza variare ovviamente i termini di liquidazione dell’imposta, che deve seguire necessariamente l’effettuazione dell’operazione. Pertanto, quello che si ritiene possibile (anche perché la fattura è stata messa a disposizione nell’area riservata del cliente effettivo) è una comunicazione al cliente effettivo con cui si spiega l’errore e si rende noto che la fattura è a disposizione nell’area riservata. Inoltre, in relazione al soggetto che erroneamente ha ricevuto il documento (quando sarà possibile identificarlo), sarà necessario formalizzare, non tramite Sdi, l’errore al solo fine di lasciare agli atti di entrambi che il documento è stato ricevuto per un semplice errore di trasmissione.
Le riflessioni appena fatte danno quindi ancor più rilevanza alla possibilità fornita dall’agenzia delle Entrate di registrare l’indirizzo telematico attraverso il servizio web disponibile sul portale «Fatture e corrispettivi». In tal caso, infatti, lo Sdi invierà tutte le fatture all’indirizzo pre-registrato, indipendentemente dalla Pec o dal codice destinatario indicato nel file Xml della fattura, minimizzando pertanto non solo il rischio di scarto della fattura, ma anche il rischio che per errore la fattura venga trasmessa ad un soggetto sbagliato.
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Matteo Ravera
Benedetto Santacroce

Bollo e-fattura, conto automatico e pagamento trimestrale

Per le fatture elettroniche pagamento del bollo entro il 20 del mese successivo al trimestre di emissione. Le nuove regole, però, non operano per gli atti e i documenti fiscali informatici diversi dalle fatture elettroniche.

La novità, che avrà un impatto diretto già sulle fatture elettroniche emesse dal 1° gennaio 2019, è stata prevista dal decreto del ministro dell’Economia del 28 dicembre 2018, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 7 gennaio. In particolare, il Dm ha stabilito che il pagamento dell’imposta relativa alle fatture elettroniche emesse in ciascun trimestre solare deve essere effettuato entro il giorno 20 del primo mese successivo.

Per quanto riguarda l’ammontare da versare per le e-fatture emesse, sarà la stessa agenzia delle Entrate a comunicarlo al contribuente, sulla base dei dati presenti nelle fatture elettroniche inviate attraverso il Sistema di interscambio (Sdi). Nello specifico, l’informazione relativa all’ammontare dell’imposta dovuta sarà riportata all’interno dell’area riservata del contribuente, presente sul sito dell’Agenzia. È evidente che lo scopo della disposizione è quello di semplificare le modalità di pagamento delle imposte di bollo relative alle fatture elettroniche e facilitare così l’adempimento da parte del contribuente.

A completare il nuovo perimetro applicativo sono, poi, le due modalità di pagamento previste; difatti, sul sito dell’Agenzia sarà messo a disposizione un servizio che permetterà agli interessati di pagare l’imposta di bollo con addebito sul conto corrente bancario o postale. In alternativa, il contribuente potrà utilizzare il modello F24 predisposto dall’Agenzia. Questa semplificazione è sicuramente apprezzabile, in quanto un calcolo automatizzato evita errori e consente ai contribuenti di verificare eventuali dimenticanze.

Per le fatture in formato Xml, non vanno comunque considerate tutte le altre modalità di pagamento, come il contrassegno o l’assolvimento dell’imposta mediante autorizzazione virtuale. In riferimento a quest’ultimo profilo, l’Agenzia ha recentemente chiarito con una Faq che i soggetti autorizzati al pagamento del bollo virtuale ai sensi dell’articolo 15 del Dpr 642/1972, che emettono esclusivamente fatture elettroniche, possono rinunciare all’autorizzazione nelle modalità previste dall’articolo 15 del Dpr 642/1972.

Si evidenzia, infine, che le fatture elettroniche per cui è obbligatorio l’assolvimento dell’imposta di bollo devono riportare annotazione specifica di assolvimento dell’imposta ai sensi del decreto ministeriale così modificato.

Resta, invece, fermo quanto già previsto dal Dm del 17 giugno 2014 per il pagamento dell’imposta relativa agli atti, ai documenti ed ai registri (ad esempio il libro giornale), emessi o utilizzati durante l’anno. Il decreto in esame ha difatti espressamente lasciato inalterata la precedente modalità, che prevede il versamento dell’imposta in un’unica soluzione entro 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio e cioè entro il 30 aprile dell’anno successivo o 29 aprile per gli anni bisestili, dopo avere calcolato quanto complessivamente dovuto per tutte le fatture elettroniche emesse durante l’anno.

In definitiva, la nuova disposizione introduce un sistema binario a seconda del tipo di documento a cui si riferisce l’imposta di bollo, aggiungendo di fatto al sistema e-fattura un automatismo che può risultare particolarmente agevole per gli operatori economici.

Fonte “Il sole 24 ore”

Regime forfettario, doppia verifica sulle partecipazioni in mano ai professionisti di Giorgio Gavelli

di Giorgio Gavelli

Per entrare nel nuovo regime forfettario i professionisti dovranno prima superare lo sbarramento delle situazioni di incompatibilità. Lo stop alla tassa piatta del 15% prevista da quest’anno per le partite Iva scatta in caso di controllo (anche indiretto) ed esercizio di una attività “riconducibile”, anche indirettamente, a quella condotta come professionista singolo. Ma sull’effettiva interpretazione di queste norme della Manovra 2019 (articolo 1, comma 55 della legge 145/2018 ) si stanno già interrogando i professionisti, sia chi è già in regime forfettario, sia chi può rientrarvi con la nuova soglia di 65mila euro. Certo, rispetto ai primi testi la flessibilità è maggiore: prima infatti qualsiasi partecipazione bloccava l’accesso, ma anche ora le posizioni di confine potrebbero essere molte, e tutto dipenderà dai criteri interpretativi diffusi dalle Entrate.

Attualmente, le situazioni di conflitto possono essere distinte in due gruppi:

le partecipazioni sempre escluse, quali quelle in società di persone, studi associati o imprese familiari, indipendentemente dal ruolo e dall’oggetto dell’attività. In passato (il riferimento era, allora, il regime dei “minimi”) c’è stata un’apertura al socio accomandante «senza ingerenze» nell’attività (circolare 17/E/2012 ), ma ora, vista la stretta del legislatore, anche questa posizione sembra essere più “fuori” che “dentro”;

le partecipazioni che diventano inconciliabili solo se qualificate sotto il duplice aspetto del controllo e dell’attività economica esercitata, in Srl e associazioni in partecipazione (da notare che non vengono citate Spa, società cooperative e in accomandita per azioni che, quindi, non dovrebbero creare incompatibilità). Resta sempre fuori, presumibilmente, la società agricola, se non produce reddito d’impresa (risoluzione 27/E/2011).

Ma come declinare in concreto i due requisiti? Il controllo, anche indiretto, è nozione giuridica (articolo 2359 del Codice civile), che distingue due diverse figure (“di diritto” e “di fatto”) – non citate dalla disposizione sui forfettari – e che impone di considerare i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta. Se si optasse per un controllo “di diritto”, l’applicazione sarebbe più semplice ma anche facilmente eludibile. È, quindi, probabile che l’interpretazione ufficiale si muova più verso il controllo “di fatto”, puntando il soggetto economico, se non addirittura il titolare effettivo (Dlgs 90/2017). Questa informazione peraltro a regime sarà reperibile direttamente dal registro imprese. Se così fosse, ad esempio, al commercialista o al consulente del lavoro, soci di maggioranza della società di elaborazione dati con il coniuge, non basterebbe riservarsi solo il 40% donando il resto al coniuge, per sfuggire al controllo poiché, nella sostanza, non cambierebbe nulla e si potrebbe incorrere nel controllo indiretto.

Ancora più difficile da decifrare è la “riconducibilità” dell’attività svolta dalla struttura partecipata rispetto a quella del singolo che aspira al forfait. Qui un riferimento facile per l’interprete è presente nella stessa disciplina del regime di favore, con la differenziazione dei coefficienti di redditività basata proprio su una ripartizione dei codici Ateco per settore di attività. Ma se questo fosse il criterio, l’incompatibilità sarebbe abbastanza estesa, nel senso che i gruppi selezionati per la redditività sono solo 9, con gli ultimi due ( servizi intellettuali e finanziari e gruppo residuale) che comprendono tantissime attività, tra loro anche distanti. Ad esempio, il professionista potrebbe essere socio (anche di maggioranza) in una società immobiliare o in un ristorante, ma si troverebbe escluso partecipando in un’attività di servizi anche poco attinente; è il caso di un geometra socio maggioritario di una Srl di pubbliche relazioni o di traduzioni. Verrà predisposta una tabella differente, più rispondente allo scopo, magari esaminando i vari ordinamenti professionali per qualificare le attività «assimilabili» a quella principale? Difficile, ad oggi, immaginarlo. L’importante è che non si resti nel limbo dei principi (troppo) generali, che ogni contribuente (ed ogni ufficio) potrebbe riempire di contenuti in modo più o meno libero. Già perché il venir meno (retroattivamente: articolo 1, comma 74, legge 190/2014 ) dei requisiti per il forfettario dopo un accertamento è una specie di “tsunami” tributario, e non è il caso di collegare effetti così rilevanti a questioni interpretative. In attesa dei chiarimenti, dunque, meglio essere prudenti.

Fonte “Il sole 24 ore”

Niente cartelle a Natale, congelate 255mila notifiche

Dati Mef di fine settembre: scende dell’8% il numero di liti tributarie pendenti
Anche le cartelle si preparano ad andare in ferie. Durante le festività natalizie l’attività di notifica di quasi tutti gli atti di agenzia delle Entrate-Riscossione sarà congelata: per la precisione, la sospensione andrà dal 23 dicembre fino al 6 gennaio 2019, con l’obiettivo di evitare disagi ai contribuenti.
La contabilità dell’operazione rende l’idea dell’impatto della sospensione: in queste due settimane, infatti, era previsto l’invio di quasi 268mila atti. L’unica eccezione è prevista per quelli inderogabili (meno di 13 mila), che dovranno essere comunque notificati, in buona parte tramite Pec.
Nel dettaglio, allora, sarà bloccata la notifica di 207.968 atti, che sarebbero altrimenti arrivati per posta, a cui aggiungere 46.851 documenti da notificare attraverso la posta elettronica certificata, per un totale di 254.819 cartelle e avvisi. Dopo il periodo di sospensione, comunque, la notifica ripartirà.
Le regioni più interessate da questo blocco sono tre: il Lazio in cui saranno congelati 35.739 atti, seguito dalla Campania (34.971) e dalla Lombardia (29.902). A seguire ci sono Veneto con 28.481 atti in stand by, Toscana (18.516), Puglia (17.561), Emilia Romagna (17.486), Calabria (13.787), Piemonte (12.449), Umbria (9.058), Sardegna (8.988), Liguria (7.554), Abruzzo (5.836), Marche (4.933), Basilicata (3.739), Friuli Venezia Giulia (3.478), Trentino Alto Adige (1.186), Molise (689) e infine la Valle d’Aosta con 464 atti. Tra le grandi città, al primo posto troviamo Roma con 27.012 atti in stand by, seguita da Napoli (22.384) e Milano, dove è sospesa la notifica di 9.802 cartelle e avvisi.
Intanto, secondo quanto comunica il ministero dell’Economia, cala il numero delle controversie tributarie pendenti: secondo i dati aggiornati al 30 settembre, scendono al di sotto delle 400mila unità (399.058), mostrando una riduzione di circa l’8% rispetto all’anno precedente, a conferma di un trend positivo iniziato già dal 2012. Nel terzo trimestre le controversie instaurate in entrambi i gradi di giudizio, pari a 38.867, registrano un incremento del 2% rispetto allo stesso periodo del 2017. Le controversie definite sono state 46.883, con un aumento di circa il 5,3% su base annua.
Fonte “Il sole 24 ore”

Sanatoria dei processi verbali anche per un solo periodo d’imposta

La maggiore criticità della sanatoria dei processi verbali di constatazione, prevista nell’articolo 1 del decreto fiscale (decreto legge 119/2018), è rappresentata dal fatto che occorre definirne integralmente il contenuto. Si tratta di una limitazione non da poco, atteso che, a regime, è sempre possibile regolarizzare le singole violazioni, attraverso il ravvedimento, con il pagamento della sanzione pari a un quinto del minimo. D’altra parte, è del tutto evidente come un simile obbligo possa determinare, da lato, un costo eccessivo della sanatoria, difficilmente sostenibile dal contribuente, dall’altro, l’accettazione anche di rilievi palesemente infondati.
In attesa dei necessari chiarimenti dell’agenzia delle Entrate è tuttavia possibile proporre alcune riflessioni sul punto.
In primo luogo, occorre chiedersi come comportarsi in presenza di un processo verbale afferente una pluralità di periodi d’imposta. Nonostante la dizione letterale della norma, si ritiene che il principio di autonomia dell’obbligazione d’imposta consenta di scegliere quantomeno le annualità che intende regolarizzare. Pertanto, in presenza ad esempio di un processo verbale afferente gli anni dal 2013 al 2015, dovrebbe essere ammesso presentare la dichiarazione integrativa unicamente per il 2015. Una simile interpretazione, peraltro, rafforzerebbe la considerazione secondo cui l’eventuale notifica di un avviso di accertamento avvenuta entro il 24 ottobre scorso risulterebbe ostativa unicamente per l’anno accertato. Se infatti si accetta l’idea che i singoli periodi d’imposta sono autonomi, si giunge agevolmente alla conclusione che anche la cause impeditive della sanatoria in esame debbano essere limitate a ciascun anno.
Occorre altresì interrogarsi se l’obbligo del recepimento integrale del contenuto del processo verbale di constatazione debba necessariamente comprendere anche i rilievi che l’Ufficio ha successivamente abbandonato.
Si pensi, solo per fare uno dei tanti esempi possibili, ad un pvc che abbia contestato l’omessa dichiarazione di ricavi, senza tenere in considerazione i maggiori costi a essi riferibili. O ancora, si ipotizzi una contestazione di indeducibilità dei costi per difetto di inerenza.
Qualora il contribuente abbia presentato memorie difensive, ai sensi dell’articolo 12 della legge 212/2000, evidenziando gli errori in cui sono incorsi i verificatori e documentando la fondatezza delle proprie richieste, l’Ufficio sarebbe tenuto a valutare tali deduzioni. Laddove nelle more della presentazione della dichiarazione integrativa, e cioè entro il 31 maggio 2019, venisse notificato l’avviso di accertamento derivante dal processo verbale con accoglimento delle eccezioni del contribuente, sarebbe molto importante capire come dovrebbe essere compilata la dichiarazione di condono.
Al riguardo, si è dell’opinione che il contribuente sia legittimato a ridurre il maggiore imponibile da dichiarare in misura corrispondente agli importi accertati. La valutazione dell’Ufficio, manifestata nell’avviso di accertamento, svolgerebbe infatti una funzione analoga a quella dell’autotutela, con effetti normalmente retroattivi. Sarebbe d’altra parte piuttosto singolare se vi fosse l’obbligo di integrare l’imponibile per un importo maggiore di quello preteso dal Fisco.
Se così fosse, i soggetti passivi avrebbero tutto l’interesse ad anticipare il momento della notifica degli atti di accertamento, con la necessaria collaborazione dell’agenzia delle Entrate.
A tale riguardo, non è di aiuto la proroga biennale dei termini dell’accertamento, prevista per i periodi d’imposta fino al 2015, relativa alle violazioni constatate nei processi verbali definibili. Si tratta di un differimento dei termini che riguarda la generalità dei processi verbali consegnati entro il 24 ottobre scorso, a prescindere dalla circostanza che il contribuente provveda o meno a regolarizzarli con la sanatoria in esame.

Fonte “Il sole 24 ore”

La detrazione anticipata non vale per fatture 2018 ricevute nel 2019

Se le operazioni si sono svolte tutte nel 2018 la detrazione è al 16 gennaio
Per le fatture 2018 registrate nel 2019 diritto da esercitare nella dichiarazione Iva
Anticipata la detrazione Iva per le operazioni infrannuali anche per le fatture ricevute nei primi 15 giorni del mese successivo all’effettuazione dell’operazione. Regola, però, inapplicabile agli acquisti a cavallo d’anno. Il legislatore, dopo oltre un anno dalla modifica del regime della detrazione Iva (Dl 50/2017) e dopo le discussioni scaturite dall’intervento interpretativo sulla circolare 1/E/2018 con il Dl 119/2018, torna sull’argomento correggendo – in parte – il contrasto tra la circolare e il Dpr 100/1998.
In effetti, in base alla circolare 1/E/2018 per le fatture ricevute nei primi giorni del mese successivo a quello di effettuazione non più era più possibile detrarre l’Iva nel mese di competenza pur avendo ricevuto e registrato il documento entro il termine per la liquidazione periodica, posticipando l’esercizio del diritto al periodo successivo e creando un disallineamento tra esigibilità e detraibilità dell’imposta.
Il Dl 119/2018 modifica l’articolo 1, comma 1 del Dpr 100/1998 stabilendo ora che entro il giorno 16 di ogni mese può essere esercitato il diritto alla detrazione relativo anche ai documenti di acquisto ricevuti e annotati entro il 15 del mese successivo a quello in cui è stata effettuata l’operazione. Pertanto, a differenza di quanto accaduto fino a ottobre, con la modifica l’Iva su una fattura relativa, per esempio, a un’operazione effettuata a ottobre 2018 (datata 31 ottobre 2018) e ricevuta il 5 novembre poteva essere inclusa nella liquidazione periodica del mese di ottobre e non più in novembre.
Il legislatore si è tuttavia affrettato a specificare, in contrasto con il funzionamento dell’imposta, che tale disciplina non si applica alle operazioni effettuate nell’anno precedente, vale a dire al caso di una fattura relativa a un’operazione effettuata a dicembre 2018 (data fattura 31/12/2018) ricevuta il 5 gennaio 2019, per la quale non è possibile detrarre l’imposta nella liquidazione del 16 gennaio.
Come districarsi quindi dal complesso intreccio normativo all’approssimarsi di fine anno? Sono quattro i casi in cui le imprese (negli esempi considereremo solo i contribuenti con liquidazione mensile, ma le stesse considerazioni possono essere trasposte ai contribuenti trimestrali) potranno trovarsi: 1) fatture per operazioni effettuate nel 2018 ricevute e registrate entro la fine dell’anno; 2) fatture per operazioni effettuate a dicembre 2018 ricevute nel 2019; 3) fatture per operazioni effettuate a dicembre 2018 ricevute nello stesso mese, ma registrate nel 2019; (4) fatture per operazioni effettuate nel 2019.
Nel primo caso, il diritto alla detrazione potrà essere esercitato nella liquidazione di dicembre 2018 (16 gennaio 2019).
Nel secondo caso, si potrà esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta solo nel 2019 anche se le fatture sono state ricevute e registrate entro il 15 gennaio, attesa l’esclusione prevista dalla nuova formulazione dell’articolo 1, comma 1, del Dpr 100/1998. Tale nuova impostazione, peraltro, rischia di avere effetti anche sulle liquidazioni Iva dei mesi successivi, in quanto una fattura 2018 ricevuta e registrata ad esempio il 5 marzo 2019 non potrà concorrere a formare la liquidazione Iva di febbraio 2019, bensì il diritto alla detrazione potrà essere esercitato solo con la liquidazione di marzo.
Nel terzo caso il diritto alla detrazione potrà essere esercitato al più tardi nella dichiarazione annuale Iva relativa al 2018 e si renderà necessaria la predisposizione di un registro Iva sezionale che permetta di escludere queste operazioni dalla liquidazione Iva del mese di registrazione che inevitabilmente sarà il 2019.
Infine, per le fatture relative a operazioni effettuate nel 2019, in un determinato mese si potrà esercitare il diritto alla detrazione relativo anche ai documenti di acquisto ricevuti e annotati entro il 15 del mese successivo a quello in cui è stata effettuata l’operazione. La complessità di gestione operativa è facilmente intuibile perché impone ai contribuenti di effettuare mensilmente un cherry picking delle fatture da inserire o da escludere dalla liquidazione Iva.
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In arrivo le lettere di compliance per le attività finanziarie estere

Dalle autorità oltre frontiera anche i dati sui rapporti amministrati da fiduciarie
Amministrazione al lavoro per evitare le conseguenze delle informazioni duplicate
Anche quest’anno molti contribuenti che detengono attività finanziarie all’estero potrebbero ricevere dall’agenzia delle Entrate le «comunicazioni per la promozione dell’adempimento spontaneo» perché risultano aver omesso di indicarle nella dichiarazione dei redditi (quadro RW e altri). Lo scorso anno numerose lettere di questo tipo sono state inviate anche a contribuenti che, avendo affidato i propri investimenti finanziari all’estero in amministrazione o gestione ad intermediari finanziari italiani, non avevano ulteriori obblighi dichiarativi. Quest’anno, però, pare che l’amministrazione centrale abbia di molto affinato i criteri selettivi per evitare troppe comunicazioni fuori bersaglio.
Il meccanismo d’innesco delle comunicazioni è costituito dallo scambio automatico d’informazioni nelle sue varie forme (Facta con gli Stati Uniti, articolo 8 della direttiva 2011/16/UE con i Paesi europei o che hanno stipulato apposite convenzioni con l’Unione europea e Common Reporting Standard-Crs con i Paesi che vi aderiscono). Attraverso lo scambio d’informazioni, infatti, le autorità fiscali italiane ricevono annualmente l’elenco degli italiani che detengono attività finanziarie nei Paesi partner e, evidentemente, lo utilizzano come indicatore di anomalia. Da quest’anno, il rischio di “falsi positivi” è molto alto perché, per la prima volta, i dati scambiati riguardano anche Svizzera, Principato di Monaco e Austria.
Oggetto della comunicazione sono i conti di deposito custodia o gestione aperti presso istituzioni finanziarie residenti nell’altro Stato, il saldo o valore dei conti e l’importo totale lordo degli interessi, dei dividendi e degli altri redditi generati in relazione alle attività detenute nel conto pagati ed accreditati sul conto (o in relazione al conto) nel corso dell’anno solare o di altro adeguato periodo di rendicontazione, relativi appunto a soggetti residenti in Italia.
Il problema è che le autorità estere comunicano anche i rapporti che, pur amministrati da una fiduciaria italiana o gestiti da una banca o società di gestione del risparmio italiana in veste di sostituti d’imposta, sono intestati direttamente al cliente residente in Italia. Infatti, essendo il conto corrente ed il dossier estero intestati al contribuente italiano, l’intermediario estero è obbligato in linea di principio ad assolvere gli obblighi di comunicazione imposti dalla direttiva e dal Crs. Ciò in quanto la normativa relativa al Crs non prevede alcuna esimente per queste fattispecie.
Allo stato attuale si sa che l’amministrazione finanziaria è consapevole della criticità; certamente sono allo studio efficaci interventi correttivi.
A questo proposito, è molto importante tener presente che il flusso informativo fornito dagli intermediari finanziari italiani all’Archivio dei rapporti finanziari sui rapporti intrattenuti con la clientela (articolo 7, sesto comma del Dpr 605/1973 e articolo 11, comma 2 del Dl 201/2011) comprende anche le relazioni che pur essendo intrattenute con intermediari esteri sono amministrate o gestite da istituzioni finanziarie italiane. Basterebbe quindi che l’Agenzia fosse in grado di confrontare i dati provenienti dallo scambio automatico con quelli presenti nell’Archivio per selezionare le sole situazioni irregolari ed evitare l’avvio di indagini infruttuose.
Perché ciò fosse possibile occorrerebbe prevedere nelle comunicazioni inviate all’Archivio un flag con cui evidenziare che il rapporto oggetto della comunicazione è detenuto, per il tramite dell’intermediario italiano, all’estero. Meglio sarebbe se i tracciati per la comunicazione all’Archivio (il “tracciato unico”) con quelli per lo scambio automatico in modo che ci sia sostanziale corrispondenza tra i dati segnalati dall’intermediario italiano e quelli provenienti dall’estero.
Fonte “Il sole 24 ore”

La dilazione straordinaria non può essere riattivata

La rateazione può essere riaperta con la Riscossione, non con le Entrate
Non può essere riattivato il piano di dilazione straordinario delle somme dovute all’agenzia delle Entrate, ex articolo 1, commi da 134 a 138 della legge 208/2015, una volta che questo è decaduto e che il contribuente ha abbandonato la procedura di rottamazione dei carichi di cui all’articolo 6 del decreto 193/2016. La precisazione, pienamente condivisibile, giunge dalla risposta 116 dell’agenzia delle Entrate, resa in sede di procedura da interpello e pubblicata ieri.
Un contribuente, che aveva perfezionato gli accertamenti con adesione con l’agenzia delle Entrate, con il versamento della prima rata, era successivamente decaduto dal piano di pagamento rateale degli stessi. L’interessato si era tuttavia avvalso della procedura straordinaria di riammissione alla dilazione, recata nell’articolo 1, commi da 134 a 138, della legge 208/2015. Dopo aver versato le rate dovute fino a novembre 2016, il contribuente interrompeva i pagamenti.
Il carico in oggetto veniva pertanto affidato all’agente della riscossione. Con riferimento alle medesime partite, il debitore procedeva alla trasmissione dell’istanza di definizione agevolata,in base all’articolo 6 del Dl 193/2016, senza però pagare neppure la prima rata, in scadenza al luglio 2017. Stando così le cose, viene richiesto all’agenzia delle Entrate se, una volta decaduti dalla rottamazione, fosse possibile riprendere la dilazione iniziale, in forza dell’articolo 6, comma 8, lettera c), del Dl 193/2016. In virtù di tale articolo, con il pagamento della prima rata sono revocate ope legisle rateazioni pregresse, di tal che, sostiene il soggetto passivo, omettendo il versamento della rata in scadenza a luglio dello scorso anno dovrebbe essere possibile riprendere la dilazione degli accertamenti con adesione.
La risposta delle Entrate è stata negativa. Le rateazioni potenzialmente riattivabili sono infatti solo quelle pendenti nei riguardi dell’agente della riscossione, non quelle afferenti l’agenzia delle Entrate. Queste ultime, nel caso di specie, sono irrimediabilmente decadute. Per completezza, vale peraltro osservare al riguardo che nulla vieterebbe all’interessato di proporre domanda di rottamazione ter per i medesimi carichi, non sussistendo alcuna causa ostativa.
Fonte “Il sole 24 ore”

E-fattura ad hoc per notai, avvocati e commercialisti

Meno 15 giorni al D- day della fattura elettronica. Ma quella che si apre oggi è di fatto l’ultima settimana – ferie natalizie a parte – per prepararsi a questo delicato passaggio. Anche se il vero test sarà quello della riapertura del 7 gennaio, non è affatto improbabile che già nei primi giorni di gennaio gli studi possano dover emettere o vedersi recapitare e-fatture tramite il canale prescelto (sia esso un consulente fiscale incaricato o direttamente l’agenzia delle Entrate o in proprio). Di fatto la scelta del canale per (quasi) tutti è ormai alle spalle: fanno eccezione i dottori commercialisti che intendono aderire al servizio offerto dal Cndcec, il cui debutto è previsto domani.
Meglio quindi sfruttare il poco tempo rimasto per le ultime verifiche sulla riorganizzazione dei processi interni e per fare il punto sui tempi di trasmissione delle e-fatture: per alcune partite Iva, infatti, ci sono alcune specificità.
Le fatture differite 
Anche con la fattura elettronica i professionisti possono ritardare l’emissione della fattura rispetto al momento in cui incassano le somme dai clienti. A patto che le prestazioni di servizi siano individuabili attraverso «idonea documentazione» e siano effettuate nello stesso mese solare verso lo stesso soggetto (articolo 21 decreto Iva). L’unica fattura deve riportare il dettaglio delle operazioni e va emessa entro il giorno 15 del mese successivo a quello di riferimento.
Ma cosa si intende per «idonea documentazione»? Secondo la circolare 18/E/2014 possono documentare le prestazioni di servizi: l’attestazione dell’avvenuto incasso del corrispettivo, i contratti, le note di consegna lavori,le lettere di incarico ed eventuali relazioni professionali.
Anche la fattura pro forma rappresenta un documento idoneo. Quando il professionista emetterà la fattura definitiva richiamerà i riferimenti di quella pro forma. Ad esempio se il professionista emette la pro forma il 5 agosto ed incassa il compenso il 19 agosto, la fattura elettronica potrà essere emessa entro il 15 settembre (ma il debito Iva deve confluire nella liquidazione Iva di agosto).
Il fondo spese 
Notai, commercialisti e avvocati anche con la e-fattura possono continuare ad utilizzare il fondo spese e ad emettere fattura entro i 60 giorni dalla sua costituzione.
Questa possibilità può essere sicuramente utile nella prima parte del 2019, cioè quando i professionisti dovranno familiarizzare con l’emissione dei documenti in formato digitale. Il momento di effettuazione dell’operazione coincide con lo spirare del termine di 60 giorni, ma il professionista può sempre anticipare la fatturazione.
La check list preliminare
È opportuno un controllo finale su tutte le anagrafiche dei clienti di studio. Accanto al nome di ognuno devono ora comparire la Pec o il Codice destinatario, il numero di sette cifre che identifica il soggetto presso lo Sdi e senza il quale la fattura non può essere recapitata. In questi giorni ci si può collegare al portale delle Entrate «Fatture e corrispettivi» (https://ivaservizi.agenziaentrate.gov.it/portale/) o tramite il cassetto fiscale e generare il proprio Qr code identificativo da trasferire poi su tablet, telefono o carta. Servirà ad esempio quando si è in trasferta e si chiede a “nuovi” fornitori (dall’hotel al ristorante) di generare la fattura.
Sul fronte privacy, l’impatto della e fattura dovrebbe essere ridotto, a patto che lo studio sia già in regola con il Gdpr e con l’informativa sul consenso al trattamento dei dati. Sullo sfondo restano, però, i dubbi del Garante sui rischi nella trasmissione dei tanti dati richiesti.

Fonte “Il sole 24 ore”

Partite Iva, corsa alla flat tax del 15% ma pesano gli ostacoli all’accesso

Aderire o no al regime forfettario: si avvicina l’ora delle scelte per i 909mila contribuenti Iva con un volume d’affari tra i 30 e i 65mila euro. Cifra, quest’ultima, destinata a diventare dal 1° gennaio il nuovo tetto di ricavi e compensi per l’applicazione dell’imposta flat al 15 per cento. Ma una decisione s’impone anche per molti soci di società di persone (circa 830mila tra Snc e Sas) e società di capitali (1,26 milioni tra Srl e Spa). Tutti questi soggetti, per sfruttare la nuova tassazione, possono valutare di liberarsi di quote minoritarie o addirittura – in casi limite – scegliere di operare individualmente.
Proprio per evitare che la cosiddetta flat tax si traduca in un incentivo a far da soli – a danno della crescita dimensionali di microimprese e start-up – si potrebbero introdurre correttivi alla normativa, ma solo dopo l’approvazione della legge di Bilancio (si veda Il Sole 24 Ore di sabato scorso, 15 dicembre).
Sta di fatto che, come riferiscono gli operatori, nei giorni scorsi alcuni titolari di partita Iva che detenevano quote in Srl non in regime di trasparenza hanno iniziato a cederle: infatti, il possesso di tali quote non preclude l’accesso al forfait quest’anno, ma lo farà nel 2019, secondo l’impianto delineato dalla manovra. E allora, meglio non rischiare.
Posto che tutti i forfettari eviteranno l’emissione obbligatoria della fattura elettronica, la valutazione di fattibilità e convenienza è diversa per chi ha già una partita Iva (ma non ha ancora aderito al forfait) e per chi, invece, avvierà l’attività l’anno prossimo. Pensiamo a giovani, disoccupati, dipendenti o pensionati che avviano un secondo lavoro.
Le statistiche dicono che nei primi nove mesi di quest’anno il 39,7% delle nuove partite Iva è stato aperto optando fin da subito per il regime forfettario. In pratica, 160.851 contribuenti, cui corrisponde la percentuale più alta rilevata negli ultimi anni. L’appeal del regime agevolato, insomma, cresce tra i “nuovi”. E nel 2019 non ci si dovrà neppure più preoccupare dei compensi ai collaboratori (oggi il limite è 5mila euro annui) e degli investimenti in beni strumentali (oggi 20mila euro). Né rileverà l’ammontare dello stipendio o della pensione: l’importante è che i compensi sottoposti alla flat tax rientrino nella soglia dei 65mila euro. Ma per chi ha un datore di lavoro – o l’ha avuto nei due anni precedenti – la manovra che in settimana proseguirà l’iter in Parlamento prospetta un vincolo da non sottovalutare: i ricavi ottenuti dal datore non possono essere prevalenti. Una salvaguardia per evitare dipendenti mascherati da partite Iva, che si estende anche ai soggetti riconducibili indirettamente al datore (come società controllate o affiliate).
L’innalzamento del tetto dei ricavi e l’eliminazione degli altri requisiti può rendere il forfait conveniente anche per chi già opera con partita Iva. Ad esempio, il 18,7% degli avvocati e il 23,7% dei commercialisti dichiara a fini previdenziali compensi tra i 30 e i 65mila euro. Tuttavia, al di là delle altre valutazioni di convenienza (si veda l’articolo in basso) va subito stimato l’eventuale rimborso dell’Iva detratta sugli acquisti di beni strumentali effettuati negli ultimi cinque anni e sulle rimanenze. Un fatto che può trasformare un’auto o un furgone in un ticket d’ingresso.

Fonte “Il sole 24 ore”

Scontrini telematici, il fornitore «anticipa» lo sconto fiscale

Nel 2019 non scatta solo l’obbligo di fattura elettronica ma anche quello di trasmissione telematica dei corrispettivi. In questo caso, la prima scadenza sarà il prossimo 1° luglio per commercianti ed esercenti con volume d’affari sopra i 400mila euro e poi dal 1° gennaio 2020 toccherà a tutti gli altri. Un obbligo istituito dal decreto fiscale convertito definitivamente ieri dalla Camera.
Il provvedimento in questione prevede anche un’agevolazione per l’adeguamento tecnologico. Nel 2019 e 2020 verrà, infatti, concesso un contributo complessivamente pari al 50% della spesa sostenuta per un massimo di 250 euro in caso di acquisto e di 50 euro in caso di adattamento per ogni strumento con cui effettuare la memorizzazione e la trasmissione telematica dei corrispettivi. Sarà il fornitore a dover anticipare l’agevolazione che si tradurrà in uno sconto sull’acquisto. A questo punto, come farà il fornitore a recuperare lo sconto concesso? Con un rimborso sotto forma di credito d’imposta da utilizzare in compensazione, a cui non si applica né il limite dei 250mila euro relativo all’indicazione nel quadro RU della dichiarazione dei redditi né quello di utilizzo annuale di 700mila euro.
In sostanza, il fornitore agisce quasi come se fosse un sostituto d’imposta e si limita anche il campo degli eventuali successivi controlli perché la platea degli acquirenti sarebbe comunque più ampia di quella dei fornitori. Ma la questione di fondo è che per la misura sono previste risorse abbastanza limitate: 36,3 milioni per il 2019 e 195,5 milioni per il 2020. Che succede se chi anticipa lo sconto poi non trova “copertura” per il credito d’imposta? E quali sono le modalità per usufruirne? Dubbi a cui dovrà rispondere un provvedimento attuativo delle Entrate. Anche se tra i rumors c’è la possibilità di un correttivo da inserire in manovra che conceda il credito d’imposta direttamente agli acquirenti.
Intanto le categorie interessate stanno già facendo i conti con il cambiamento in arrivo, come è emerso anche dal videoforum online del Sole 24 Ore di ieri. Donatella Prampolini, vicepresidente di Confcommercio, ha messo in risalto come solo i registratori di cassa di ultima generazione potranno essere aggiornati mentre gli altri andranno sostituiti, ma ci sarà anche bisogno di una connessione funzionante. Mauro Bussoni , segretario generale di Confcommercio, plaude all’invio telematico in termini di trasparenza ma non nasconde perplessità, invece, sulla lotteria degli scontrini.

Dal “Il sole 24 ore”

IL CALENDARIO DELLA PACE FISCALE

I principali termini 2018-2019 in base al testo del Dl 119/2018 dopo il via libera definitivo del Parlamento Entrata in vigore della legge di conversione
Liti pendenti
Le controversie tributarie pendenti in Cassazione entro tale data e per le quali l’agenzia delle Entrate risulti soccombente in tutti i precedenti gradi di giudizio potranno essere definite con il pagamento di un importo pari al 5 % della lite

Stralcio delle cartelle fino a mille euro 31 dicembre 2018
Data entro la quale avverrà la cancellazione automatica dei carichi 2000-2010 fino a mille euro

Liti pendenti 1 aprile 2019
Anche gli enti territoriali potranno decidere di aderire alla definizione delle liti pendenti di cui sono parte anche con un ente strumentale

Rottamazione delle cartelle 30 aprile 2019
Il debitore può presentare istanza di adesione alla rottamazione-ter delle cartelle
Sanatoria ruoli tariffe doganali e Iva all’importazione
Dichiarazione all’agente della riscossione per aderire alla sanatoria su tariffe doganali e Iva all’importazione
Sigarette elettroniche
Scade il termine per presentare l’istanza di adesione con il modello che le Dogane metteranno a disposizione entro il 28 febbraio 2019 per aderire alla sanatoria con il versamento del 5% sui debiti maturati fino al 31 dicembre 2018 relativi a imposte di consumo sulle e-cig

Processi verbali di constatazione 31 maggio 2019
Entro fine maggio dovrà essere presentata la dichiarazione per regolarizzare le violazioni constatate nel Pvc Processi verbali di constatazione
Termine per il versamento in unica soluzione o della prima rata delle imposte autoliquidate senza il pagamento di sanzioni e interessi. Le rate successive alla prima devono essere versate entro l’ultimo giorno di ciascun trimestre
Liti pendenti
Ultimo giorno utile per presentare l’istanza di definizione agevolata per ciascuna controversia autonoma e per versare l’unica o la prima rata del dovuto
Errori formali
Si versa la prima delle due rate (la seconda scade il 2 marzo 2020) per la sanatoria degli errori formali con 200 euro per periodo d’imposta 10 giugno 2019
Liti pendenti
Il processo resta sospeso fino al 31 dicembre 2020 se entro il 10 giugno 2019 il contribuente deposita presso l’organo giurisdizionale innanzi al quale pende la controversia copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata
Rottamazione delle cartelle 30 giugno 2019
L’agente della riscossione comunica ai debitori che hanno aderito le somme dovute nonché l’importo delle singole rate da saldare e la scadenza di ciascuna di esse
Rottamazione delle cartelle 31 luglio  2019
Pagamento in unica soluzione o della prima rata della rottamazione-ter ma è anche il termine da cui decorre il nuovo piano per i contribuenti rientrati dalle precedenti rottamazioni
Ruoli tariffe doganali e Iva all’importazione
L’agente della riscossione comunica ai debitori che hanno presentato la dichiarazione le somme dovute, le singole rate e le scadenze

Liti pendenti 31 agosto 2019
Scade il termine per la seconda rata della definizione liti pendenti

Ruoli tariffe doganali e Iva all’importazione 30 settembre 2019
Scade il termine per la prima o unica rata della definizione agevolata per i ruoli con tributi doganali
Rottamazione delle cartelle 30 novembre 2019
Seconda rata della rottamazione-ter ma è anche il termine della seconda rata del nuovo piano per chi è rientrato da precedenti rottamazioni

Liti pendenti
Scade il termine per la seconda rata della definizione liti pendenti
Ruoli tariffe doganali e Iva all’importazione
Scade la seconda rata per la sanatoria su tariffe doganali e Iva all’importazione

Fonte “Il sole 24 ore”

Decreto fiscale, ecco tutte le novità introdotte dal Parlamento al testo

Il decreto fiscale è legge. L’Aula della Camera ha infatti definitivamente approvato il provvedimento senza correzioni rispetto al testo votato dal Senato. Il decreto ha ottenuto 272 voti favorevoli e 143 contrari (3 gli astenuti).
In realtà, durante l’iter parlamentare di conversione il Dl 119/2018 ha subito numerose modifiche rispetto alla versione originaria del 23 ottobre. Sul provvedimento, varato senza modifiche rispetto al testo votato dal Senato, il Governo aveva incassato anche il via libera al voto di fiducia con 310 sì, 228 no e quattro astenuti. Da segnalare anche il piccolo incidente “politico” di percorso del governo, battuto su un ordine del giorno. Ma vediamo le principali novità introdotte nell’iter di conversione.

Rottamazione-ter
Numerose le novità della rottamazione-ter delle cartelle esattoriali. Il pagamento potrà essere effettuato in unica soluzione entro il 31 luglio 2019 oppure potrà essere dilazionato fino a 18 (non più 10) rate. Le prime due (di importo pari al 10% del totale dovuto) devono essere versate rispettivamente entro il 31 luglio ed entro il 30 novembre 2019. Le altre, invece, tutte di pari importo, devono essere versate a partire dal 2020 entro il 28 febbraio, il 31 maggio, il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno.

Definizione agevolata delle liti tributarie
Numerose anche le modifiche introdotte nel corso dell’iter di conversione del provvedimento alla chiusura delle liti pendenti. Intanto, il decreto prevede che le controversie tributarie possono essere definite, e dunque chiuse, con il pagamento di un importo pari al valore della controversia. Ma in caso di ricorso pendente in primo grado, la controversia può essere definita con il pagamento del 90% del suo valore.

Alleggerito, poi, il costo della chiusura in caso di soccombenza delle Entrate. In questi casi, infatti, il decreto legge convertito definitivamente dalle Camere consente la definizione della controversia con il pagamento del 40% del suo valore (anziché la metà, come originariamente previsto) in caso di soccombenza delle Entrate in primo grado; e con il pagamento del 15% del valore (anziché 1/5) in caso di soccombenza delle Entrate in secondo grado. Infine, le liti pendenti in Cassazione possono essere definite con il pagamento di un importo pari al 5% del loro valore.

Irregolarità formali
Il decreto 119/2018 prevedeva la «dichiarazione integrativa» speciale che ora, nel testo convertito dal Parlamento, lascia spazio alla sanatoria sugli omessi versamenti alla quale potrà far ricorso non chi non ha effettuato la dichiarazione dei redditi ma solo chi, pur avendola effettuata, non ha pagato le imposte dovute o per assenza di liquidità o, più in generale, per difficoltà economiche.

Al pari delle infrazioni e delle inosservanze di obblighi o adempimenti di natura formale, che non incidono sulla determinazione della base imponibile, le irregolarità formali commesse fino al 24 ottobre 2018, possono essere regolarizzate mediante il versamento di 200 euro per ciascun periodo d’imposta. Il pagamento deve essere eseguito in due rate di pari importo entro il 31 maggio 2019 e il 2 marzo 2020. La regolarizzazione si perfeziona con il pagamento degli importi dovuti e con la rimozione delle irregolarità o delle omissioni.
La regolarizzazione non può essere utilizzata per gli atti di contestazione o irrogazione di sanzioni emessi nell’ambito della voluntary disclosure, né per l’emersione di attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute all’estero e neppure per le violazioni già contestate in atti diventati definitivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge. Infine, con riferimento alle violazioni commesse fino al 31 dicembre 2015 il provvedimento prevede la proroga di due anni dei termini di prescrizione ordinarii (cinque anni).

Definizione agevolata dei Pvc
Per quanto riguarda la definizione agevolata dei processi verbali di constatazione, le novità introdotte nel decreto legge riguardano i termini e le rate dovute per la regolarizzazione. Le rate successive alla prima, in particolare, devono essere versate entro l’ultimo giorno di ciascun trimestre. Sull’importo, inoltre, sono dovuti gli interessi legali che vanno calcolati dal giorno successivo al termine del versamento della prima rata.

Fatturazione elettronica
Tra gli esonerati dall’obbligo della fatturazione elettronica vengono ricomprese anche le associazioni sportive dilettantistiche che applicano il regime forfettario (legge 398/1991) e che nel periodo d’imposta precedente hanno conseguito dall’esercizio di attività commerciali proventi per un importo non superiore a 65mila euro. Per il 2019 sonerati dall’obbligo di fatturazione elettronica.
Per il 2019, in riferimento alle informazioni già trasmesse, sono esonerati dall’obbligo di fatturazione elettronica i medici, i farmacisti, i veterinari e, più in generale, i soggetti che inviano al Sistema tessera sanitaria i dati per l’elaborazione della dichiarazione dei redditi precompilata.
Inoltre, le deroghe previste all’obbligo di fatturazione elettronica (niente sanzioni per il primo semestre 2019 e, a seconda dei casi, riduzione dell’80%) si applicano invece fino al 30 settembre 2019 per i contribuenti che effettuano la liquidazione periodica dell’Iva con cadenza mensile.

Archivio dei rapporti finanziari
In chiave anti evasione cambiano anche le regole relative all’archivio dei rapporti finanziari. Intanto viene stabilito un termine di conservazione dei dati di dieci anni e poi l’accesso ai dati viene consentito anche alla Guardia di finanza e al Dipartimento delle finanze.

Interpello sui nuovi investimenti
Le imprese che vogliono investire in Italia possono sottoporre all’Agenzia delle Entrate il relativo piano di investimento per conoscere il trattamento fiscale cui andranno incontro. La chance, prevista dal decreto internazionalizzazione (Dlgs 147/2015)è ora consentita non anche per investimenti più bassi rispetto a quanto richiesto fino a oggi: 20 milioni anziché 30.

Reverse charge
Prorogata al 30 giugno 2022 l’applicazione del reverse charge (il meccanismo dell’inversione contabile) per alcune operazioni come la cessione di cellulari, dispositivi a circuito integrato, console da gioco, tablet e pc viene prorogata dal 31 dicembre 2018 al 30 giugno 2022.

Rilascio del Durc
La domanda di definizione agevolata non impedisce il Durc. Il Documento unico di regolarità contributiva potrà infatti essere rilasciato anche alle imprese che hanno chiesto la pace fiscale in presenza, ovviamente, di tutti gli altri requisiti di regolarità previsti il rilascio del documento.

Imposta sui trasferimenti di denaro all’estero
Dal 1° gennaio 2019 si pagherà un’imposta sui trasferimenti di denaro (eccetto le transazioni commerciali) effettuati verso paesi non Ue da money transfer. L’imposta sarà pari all’1,5% del valore di ogni singola operazione effettuata, a partire da un minimo di 10 euro.

Fonte “Il sole 24 ore”

Fattura elettronica, moratoria a due vie e allargamento degli esoneri

Avvio morbido della fattura elettronica con moratoria delle sanzioni per ritardata emissione dei documenti estesa fino a settembre del 2019 per i contribuenti mensili, mentre resta ferma a giugno per i trimestrali; ampliamento delle casistiche soggettive e oggettive di esclusione dall’obbligo di emissione della fattura elettronica; previsione dell’obbligo di trasmissione dei corrispettivi telematici a decorrere dal 1° luglio 2019 per i contribuenti con un volume d’affari superiore a 400mila euro, e dal 1° gennaio 2020 per tutti; egualmente dal 2020 debutto delle dichiarazioni precompilate Iva con riduzione degli obblighi di tenuta dei registri Iva.

Vengono, invece, confermate le nuove regole a regime per emissione delle fatture, registrazione delle operazioni e detrazione anticipata delle fatture d’acquisto infrannuali. Queste, sul fronte della fatturazione elettronica, sono le principali novità e conferme contenute nella legge di conversione del decreto legge n. 119/2018, approvata ieri in via definitiva dalla Camera dei Deputati.

Moratoria

Gli operatori che non saranno pronti a gestire dal 1° gennaio 2019 la predisposizione e la trasmissione delle fatture elettroniche allo Sdi in formato strutturato Xml potranno usufruire di un periodo (di sei mesi per i contribuenti trimestrali e di nove mesi per i contribuenti mensili) in cui la fattura elettronica potrà essere emessa in ritardo senza sanzioni, a condizione che l’emissione avvenga entro il termine di liquidazione dell’Iva di periodo. O comunque le sanzioni saranno ridotte al 20 per cento se la fattura, emessa in maniera tardiva, partecipa alla liquidazione periodica del mese o del trimestre successivo.

La moratoria opera naturalmente anche nei riguardi del cessionario/committente che non abbia ricevuto e-fattura o abbia erroneamente detratto l’imposta non procedendo alla regolarizzazione con autofattura-denuncia, in assenza di fattura elettronica o con ravvedimento operoso.

Nuovi esoneri

In sede di conversione del decreto legge 119/2018, è stato anche esteso agli operatori sanitari l’esonero dall’obbligo di emettere fattura elettronica unicamente per le operazioni effettuate nel 2019 ed i cui dati sono inviati al Sistema tessera sanitaria. Gli operatori sanitari non sono comunque esonerati dal ricevere e-fatture dai loro fornitori.

Altra esclusione soggettiva interessa le associazioni sportive dilettantistiche, in relazione ai proventi da attività commerciali laddove non superiori a 65mila euro: oltre soglia, la fattura deve essere invece emessa elettronicamente per loro conto dal cessionario o committente soggetto passivo d’imposta. Infine, gli obblighi di fatturazione e registrazione relativi ai contratti di sponsorizzazione e pubblicità delle associazioni sportive devono essere adempiuti dai cessionari.

Precompilate Iva

Per tutti i soggetti passivi Iva residenti e stabiliti in Italia saranno disponibili, a partire dalle operazioni Iva 2020, in apposita area riservata del sito internet dell’agenzia delle Entrate, le bozze dei registri Iva acquisti e vendite, delle liquidazioni periodiche e della dichiarazione annuale Iva. In caso di convalida delle informazioni proposte o di integrazione dei dati, viene meno l’obbligo di tenuta dei registri Iva acquisti e vendite, ad eccezione della tenuta del registro degli incassi e pagamenti.

Rifiuto fatture Pa

Con decreto ministeriale saranno, poi, stabilite le cause che possono consentire alle amministrazioni pubbliche di rifiutare le fatture elettroniche ricevute, superando così l’attuale meccanismo per il quale, ricevuto il tracciato Xml, le pubbliche amministrazioni hanno quindici giorni di tempo per accettare tramite lo Sdi la fattura elettronica oppure per rifiutarla, non avendo alcun obbligo di indicare la motivazione del rifiuto stesso.

Trasmissione telematica

Altro emendamento approvato riguarda, infine, la trasmissione telematica dei corrispettivi giornalieri obbligatoria dal 1° gennaio 2020, e anticipata al 1° luglio 2019 per i soggetti con volume d’affari superiore a 400mila euro. La trasmissione dei dati dei corrispettivi fa venire meno l’obbligo di tenuta del relativo registro.

Fonte “Il sole 24 ore”

La detrazione anticipata non vale per le fatture 2018 ricevute nel 2019

Anticipata la detrazione Iva per le operazioni infrannuali anche per le fatture ricevute nei primi 15 giorni del mese successivo all’effettuazione dell’operazione. Regola, però, inapplicabile agli acquisti a cavallo d’anno. Il legislatore, dopo oltre un anno dalla modifica del regime della detrazione Iva (Dl 50/2017) e dopo le discussioni scaturite dall’intervento interpretativo sulla circolare 1/E/2018 con il Dl 119/2018, torna sull’argomento correggendo – in parte – il contrasto tra la circolare e il Dpr 100/1998.

In effetti, in base alla circolare 1/E/2018 per le fatture ricevute nei primi giorni del mese successivo a quello di effettuazione non più era più possibile detrarre l’Iva nel mese di competenza pur avendo ricevuto e registrato il documento entro il termine per la liquidazione periodica, posticipando l’esercizio del diritto al periodo successivo e creando un disallineamento tra esigibilità e detraibilità dell’imposta.

Il Dl 119/2018 modifica l’articolo 1, comma 1, del Dpr 100/1998 stabilendo ora che entro il giorno 16 di ogni mese può essere esercitato il diritto alla detrazione relativo anche ai documenti di acquisto ricevuti e annotati entro il 15 del mese successivo a quello in cui è stata effettuata l’operazione. Pertanto, a differenza di quanto accaduto fino a ottobre, con la modifica l’Iva su una fattura relativa ad esempio a un’operazione effettuata a ottobre 2018 (datata 31 ottobre 2018) e ricevuta il 5 novembre poteva essere inclusa nella liquidazione periodica del mese di ottobre e non più in novembre.

Il legislatore si è tuttavia affrettato a specificare, in contrasto con il funzionamento dell’imposta, che tale novella non si applica alle operazioni effettuate nell’anno precedente, vale a dire al caso di una fattura relativa a un’operazione effettuata a dicembre 2018 (data fattura 31/12/2018) ricevuta il 5 gennaio 2019, per la quale non è possibile detrarre l’imposta nella liquidazione del 16 gennaio.

Come districarsi quindi dal complesso intreccio normativo all’approssimarsi di fine anno? Sono quattro i casi in cui le imprese (negli esempi considereremo solo i contribuenti con liquidazione mensile, ma le stesse considerazioni possono essere trasposte ai contribuenti trimestrali) potranno trovarsi: 1) fatture per operazioni effettuate nel 2018 ricevute e registrate entro la fine dell’anno; 2) fatture per operazioni effettuate a dicembre 2018 ricevute nel 2019; 3) fatture per operazioni effettuate a dicembre 2018 ricevute nello stesso mese, ma registrate nel 2019; (4) fatture per operazioni effettuate nel 2019.

Nel primo caso, il diritto alla detrazione potrà essere esercitato nella liquidazione di dicembre 2018 (16 gennaio 2019).

Nel secondo caso, si potrà esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta solo nel 2019 anche se le fatture sono state ricevute e registrate entro il 15 gennaio, attesa l’esclusione prevista dalla novellata formulazione dell’articolo 1, comma 1, del Dpr 100/1998. Tale nuova impostazione, peraltro, rischia di avere effetti anche sulle liquidazioni Iva dei mesi successivi, in quanto una fattura 2018 ricevuta e registrata ad esempio il 5 marzo 2019 non potrà concorrere a formare la liquidazione Iva di febbraio 2019, bensì il diritto alla detrazione potrà essere esercitato solo con la liquidazione di marzo.

Nel terzo caso il diritto alla detrazione potrà essere esercitato al più tardi nella dichiarazione annuale Iva relativa al 2018 e si renderà necessaria la predisposizione di un apposito registro Iva sezionale che permetta di escludere queste operazioni dalla liquidazione Iva del mese di registrazione che inevitabilmente sarà il 2019.

Infine, per le fatture relative a operazioni effettuate nel 2019, in un determinato mese si potrà esercitare il diritto alla detrazione relativo anche ai documenti di acquisto ricevuti e annotati entro il 15 del mese successivo a quello in cui è stata effettuata l’operazione. La complessità di gestione operativa è facilmente intuibile perché impone ai contribuenti di effettuare mensilmente un cherry picking delle fatture da inserire o da escludere dalla liquidazione Iva.

Fonte “Il sole 24 ore”

Sì alla detrazione Iva per le spese sostenute sugli immobili di terzi

«Deve riconoscersi il diritto alla detrazione Iva per lavori di ristrutturazione o manutenzione anche in ipotesi di immobili di proprietà di terzi, purché sia presente un nesso di strumentalità con l’attività di impresa o professionale, anche se quest’ultima sia potenziale o di prospettiva. E ciò pur se – per cause estranee al contribuente – la predetta attività non abbia poi potuto concretamente esercitarsi».
È questo il principio di diritto espresso dalla Cassazione, Sezioni Unite civili, con la sentenza 11533/2018, che ha messo la parola fine alla controversa questione sulla detrazione d’imposta delle spese di ristrutturazione o manutenzione di immobili non di proprietà, bensì soltanto detenuti da soggetti passivi di imposta a titolo di locazione.
La pronuncia in esame trae origine dal ricorso presentato da una Srl avverso tre avvisi di accertamento con i quali veniva recuperata l’Iva, ritenuta indebitamente detratta, in relazione a spese di ristrutturazione di un complesso immobiliare detenuto in locazione dalla stessa e di proprietà della controllante estera della ricorrente.
L’immobile destinato a residence per vacanze era inizialmente accatastato come abitativo in categoria A/2 e, solo al termine della ristrutturazione, aveva ricevuto il diverso inquadramento catastale come immobile in categoria D/2.
La fattispecie de qua inoltre si caratterizzava per la ulteriore circostanza che la società contribuente aveva detratto l’Iva senza mai esercitare in concreto l’attività d’impresa. Difatti, le suddette spese erano state sostenute nella prospettiva di una futura attività imprenditoriale che tuttavia non è mai stata avviata dalla società italiana in ragione della vendita del complesso turistico ristrutturato successivamente alla incorporazione della controllante.
Occorre evidenziare che, in casi simili, precedenti pronunce avevano escluso il diritto alla detrazione dell’imposta in ragione del fatto che il contratto di locazione potesse essere solo strumentale, predisposto cioè al solo fine di permettere al conduttore una detrazione di cui il proprietario dell’immobile, in quanto “consumatore finale”, non avrebbe potuto aver diritto in quanto non esercente attività di impresa o professionale.
Pur prendendo atto di tale preoccupazione, la Suprema Corte è giunta ad una soluzione mediana e, conformemente al fondamentale principio europeo di neutralità dell’Iva, ha riconosciuto il diritto alla detrazione Iva per lavori di ristrutturazione o manutenzione anche se su immobili di proprietà di terzi, purché sia presente un nesso di strumentalità con l’attività d’impresa o professionale.
Tale nesso di strumentalità viene meno soltanto quando l’attività economica, anche se potenziale o prospettica, non abbia mai potuto concretamente esercitarsi per circostanze dipendenti e non estranee al contribuente, non potendosi tollerare in via di principio limitazioni al diritto di detrazione.
È stato infine precisato che ai fini della detrazione vi deve essere un tipico accertamento di fatto che tenga conto della esistenza o meno della natura strumentale dell’immobile rispetto all’attività economica effettivamente svolta o che il contribuente avrebbe potuto svolgere.
Accertamento che nel caso di specie la Ctr ha invece omesso di fare, ritenendo erroneamente esclusa la detrazione perché in corso di ristrutturazione l’immobile era indicato in categoria A/2 abitativa.
È evidente che si vuole ancora una volta tutelare il diritto alla detrazione, ancorando la sua limitazione ad una concreta e puntuale verifica.

Fonte “Il sole 24 ore”

Forfettario aperto anche a chi supera i ricavi-limite nel 2018

L’allargamento delle “porte d’accesso” al regime forfettario a decorrere dal prossimo 1° gennaio è uno dei punti del ddl di Bilancio che hanno suscitato più interesse. Il cambio dei presupposti nel passaggio tra il periodo d’imposta 2018 e quello del 2019 però, pone in diversi dubbi sulla corretta applicazione del regime. Le incertezze, in particolare, riguardano:

– chi nel 2018 ha superato i limiti della precedente normativa, ma non quelli della nuova normativa;

– chi nel 2018 rispetta i requisiti precedenti ma non quelli che saranno in vigore dal 2019.

Diciamo subito che l’unico requisito che qualificherà i nuovi forfettari nel periodo d’imposta 2019 sarà il rispetto, nell’anno precedente, del limite di ricavi o compensi conseguiti fissato in 65mila euro. Vengono meno gli altri requisiti, quali la detenzione di beni strumentali non superiori a 20mila euro ovvero l’aver corrisposto compensi a personale dipendente o assimilato superiori a 5mila euro.

Sforamento dei vecchi limiti
Dato che l’unico requisito diviene il limite di ricavi o compensi è opportuno capire cosa accade se un contribuente ha superato nel 2018 il vecchio limite ma non quello nuovo, come avviene, ad esempio, per un commerciante che abbia generato, nel 2018, 55mila euro di ricavi, quindi superiori al massimo consentito nel 2018, ma non superiori al nuovo limite di 65mila euro.

Tale soggetto nel 2019 avrebbe dovuto abbandonare il regime forfettario, ma sul punto occorre ricordare che la circolare 10/E/16 ha affermato che il controllo dei ricavi per il periodo successivo va eseguito già considerando i nuovi limiti. Quindi applicando questa tesi, nel caso sopra esemplificato, il contribuente resterà nel regime forfettario anche nel 2019; e questo vale per tutti i requisiti abrogati. Dal che se ne deduce che potrà applicare ancora il regime forfettario nel 2019 il contribuente che, ad esempio, detenga al 31 dicembre 2018 beni strumentali superiori a 20mila euro, che hanno superato il tetto per effetto di acquisti eseguiti nel 2018.

Un altro requisito che viene meno è il tetto di 30mila euro quale reddito da lavoro dipendente, quindi chi ha superato questa soglia nel 2018 potrà restare nel regime forfettario anche nel 2019.

Uno degli emendamenti al Ddl di Bilancio punta a introdurre tuttavia un nuovo requisito: il divieto, per chi vuole entrare nel 2019 nel regime forfettario, di esercitare prevalentemente l’attività nei confronti di datori di lavoro (o di soggetti ad essi riconducibili anche indirettamente) con i quali sia in essere un rapporto di lavoro o lo sia stato nei due periodi d’imposta precedenti.

Applicazione dei nuovi criteri
Ora verifichiamo l’ipotesi contraria, cioè un soggetto forfettario che presenta un elemento inibente l’applicazione del regime di favore in base alle nuove regole.

Pensiamo a un forfettario che partecipa in qualità di socio a una Srl non in regime di trasparenza. La situazione era lecita nel 2018, mentre diventa una causa di esclusione nel 2019. Significa che costui deve abbandonare il regime nel 2019? Il punto è delicato e merita una pronuncia ufficiale, va però ricordato che nella circolare 10/E/16 l’Agenzia ha ammesso l’applicazione del regime di favore per il soggetto che entro il termine del periodo d’imposta ceda la partecipazione societaria che costituisce elemento ostativo. Una soluzione analoga potrebbe essere ragionevole per il caso sopra ricordato, e quindi, cedendo la partecipazione nella Srl entro il periodo d’imposta 2019 potrebbe essere mantenuto il regime di favore nello stesso periodo d’imposta 2019.

Fonte “Il sole 24 ore”

Rottamazione, ultimo appello per pagare le vecchie rate

Oggi è l’ultimo giorno per pagare le rate in scadenza nei mesi di luglio, settembre e ottobre 2018, e “salvare” così le precedenti rottamazioni cartelle. Per i debitori che vi provvedono, così come anche per i contribuenti che hanno pagato le rate nei termini di legge, è previsto il differimento automatico del versamento delle restanti somme. Queste potranno essere pagate in unica soluzione entro il 31 luglio 2019 o nel numero massimo di dieci rate consecutive di pari importo, con scadenza il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno a decorrere dal 2019, sulle quali sono dovuti, dal 1° agosto 2019, gli interessi al tasso dello 0,3% annuo.

A questo fine, entro il 30 giugno 2019, senza alcun adempimento a carico dei debitori interessati, l’agente della riscossione invia a questi ultimi apposita comunicazione, insieme ai bollettini precompilati per il pagamento delle somme dovute alle nuove scadenze, anche tenendo conto di quelle stralciate in quanto di importo residuo, al 24 ottobre 2018, fino a mille euro, comprensivo di capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni.

L’articolo 3, comma 21, del Dl 119/2018 (già approvato con modifiche dal Senato e ora all’esame della Camera) rimette in bonis i morosi della rottamazione-bis, e non prevede alcuna penalità per i contribuenti interessati, ma consente di godere delle più comode modalità di pagamento in caso di regolarizzazione dei pagamenti dovuti entro il 7 dicembre 2018. Pertanto, i contribuenti che hanno aderito alla rottamazione -bis, per non perdere i benefici connessi alla rottamazione, dovranno versare entro oggi, 7 dicembre, rispettivamente:
•con riferimento ai ruoli gennaio-settembre 2017, le somme non ancora versate delle rate già scadute nei mesi di luglio 2018 (prima rata) e settembre 2018 (seconda rata) nonché quelle il cui originario pagamento era previsto per il 31 ottobre 2018 (terza rata);
•con riferimento ai ruoli 2000 – 2016, le somme relative alla prima rata con scadenza 31 ottobre 2018.

Ad esempio, un contribuente che, con la rottamazione-bis, ha rottamato le cartelle fino al 2016 non incluse nella prima sanatoria, doveva pagare il debito in 3 rate, scadenti il 31 ottobre 2018, il 30 novembre 2018 e il 28 febbraio 2019. In questo caso, pagando oggi la rata di ottobre 2018, il residuo debito, corrispondente alle rate di novembre 2018 e febbraio 2019, che è il 60 per cento, sarà interessato dalla rottamazione ter e potrà essere pagato in 10 rate consecutive di pari importo, con scadenza il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno a decorrere dal 2019. Su tali rate saranno dovuti, dal 1° agosto 2019, gli interessi al tasso dello 0,3 per cento annuo.

Resta, tuttavia, salva la facoltà per il debitore di effettuare, entro il 31 luglio 2019, in unica soluzione, il pagamento delle rate residue. Il mancato pagamento entro oggi delle somme dovute sulle rate in scadenza nei mesi di luglio, settembre e ottobre 2018 determinerà una preclusione ai contribuenti interessati, in quanto i debiti afferenti i carichi oggetto della precedente istanza di rottamazione non potranno più essere definiti attraverso la nuova edizione della sanatoria e la dichiarazione eventualmente presentata sarà dichiarata improcedibile. Pertanto, il mancato pagamento precluderà ai debitori la possibilità di ripresentare, con riferimento agli stessi carichi, una nuova domanda di rottamazione.

Fonte “Il sole 24 ore”

Gestione rate residue nella rottamazione ter

Con il pagamento entro il 7 dicembre delle rate di luglio, settembre e ottobre 2018 della rottamazione-bis, le rate residue di novembre 2018 e febbraio 2019 confluiscono d’ufficio nella rottamazione ter. La conferma giunge dal comunicato stampa di agenzia delle Entrate-Riscossione che correttamente non fa alcuna distinzione tra affidamenti ante e post 1° gennaio 2017. La scadenza del 30 novembre dunque è stata superata dalla modifica introdotta dal Dl 119/2018.

La rottamazione ter peraltro si distingue dalle precedenti anche per il trattamento delle dilazioni in corso. Fermo restando che non vi sono ostacoli a rottamare carichi relativi a rateazioni scadute, la novità riguarda i piani di rientro pendenti alla data di presentazione dell’istanza. Nelle prime due edizioni, era precisato che, una volta trasmessa la domanda, tutte le rate in scadenza successivamente erano sospese fino al termine della prima quota di rottamazione. Era inoltre disposto che con il versamento della prima rata la rateazione pregressa era revocata ope legis. Questo significava, come confermato ripetutamente dall’Agenzia, che se non si pagava la prima rata il debitore poteva riattivare il precedente piano di rientro. In tale eventualità, l’agente della riscossione provvedeva a ripartire d’ufficio il debito residuo per il numero di rate non pagate del piano originario.

Nell’attuale versione di legge, si conferma che con la trasmissione dell’istanza le rate, relative a piani in corso, con scadenza successiva sono sospese fino al 31 luglio 2019. Inoltre, diversamente dal passato, è stabilito che tali rateazioni sono sempre revocate ope legis alla data del 31 luglio 2019. La differenza consiste nel fatto che il venir meno dei piani di dilazione non è più correlato al pagamento della prima scadenza di rottamazione ter ma è automatico, sia che si paghi o meno.

Quindi, una volta conosciuto il costo della definizione agevolata con la ricezione della comunicazione dell’Agenzia entro la fine di giugno 2019, il debitore non potrà più ripensarci e riprendere la vecchia rateazione, evitando di versare la prima rata della definizione. L’ulteriore effetto è che se si decade dalla rottamazione-ter, in qualsiasi momento, si perde irrimediabilmente la possibilità di rateizzare il debito residuo e si resta esposti alle azioni di recupero dell’agente della riscossione.

Bisognava infine chiarire perché la norma di legge dispone la mera sospensione delle dilazioni in essere, lasciando così intendere che sia possibile riattivare le stesse. La risposta è nelle Faq dell’Agenzia che ha al riguardo precisato che la ripresa delle precedenti rateazioni è ammessa in due ipotesi:

•in caso di revoca dell’istanza di definizione agevolata, comunicata entro aprile 2019;
• in caso di rigetto dell’istanza da parte dell’agente della riscossione.

La prima ipotesi rappresenta anche un’utile conferma ufficiale. Ader, infatti, rassicura sul fatto che il debitore fa in tempo a ritirare l’istanza entro il termine di legge di presentazione della stessa.

Fonte “Il sole 24 ore”

Liti sanabili se si è in regola con le rate

La scadenza del 7 dicembre è legata anche alla validità della definizione delle liti pendenti. Se nella rottamazione bis, infatti, sono stati inclusi carichi in contenzioso che tuttavia non esauriscono l’ammontare controverso, se si vuole chiudere la lite, in base all’articolo 6 del decreto legge 119/2018, occorre rispettare la scadenza di dicembre.

Si ipotizzi che il contribuente abbia presentato istanza di rottamazione bis includendo una iscrizione a ruolo provvisoria derivante da una controversia avente ad oggetto un avviso di accertamento.

Se vi è stata sentenza di Commissione tributaria provinciale sfavorevole al contribuente l’ufficio ha affidato all’agente della riscossione un importo complessivamente pari a due terzi dell’accertato.

Con il perfezionamento della rottamazione, come chiarito nella circolare 2 del 2017 dell’agenzia delle Entrate, la lite prosegue per la differenza. Se il soggetto passivo intende definire del tutto la controversia pendente, tuttavia, egli dovrà pagare entro il 7 dicembre le rate di rottamazione scadute a luglio, settembre e ottobre 2018. In difetto, la definizione della lite sarà inammissibile (articolo 6, comma 7, del decreto legge 119/2018). Si ricorda peraltro che anche in questo caso troverà applicazione la soglia di tolleranza di cinque giorni approvata in Senato in sede di conversione del decreto.

Sempre secondo la tesi dell’agenzia delle Entrate, inoltre, (circolare 22 del 2017) ai fini della chiusura della controversia non occorrerà portare a buon fine l’intera procedura di rottamazione, pagando anche le somme residue, corrispondenti alle rate di novembre 2018 e febbraio 2019.

Allo scopo, sarà pertanto sufficiente versare la prima rata della definizione ex articolo 6, in scadenza alla fine del mese di maggio 2019.

In presenza di carichi in contenzioso, il contribuente deve valutare bene se aderire alla rottamazione ter oppure alla definizione delle liti pendenti.

In alcuni casi, la scelta è obbligata. Si pensi all’impugnazione di una cartella emessa in base all’articolo 36 bis del Dpr 600/1973, avente ad oggetto il recupero di somme dichiarate e non versate. In tale eventualità, poiché la controversia non ha ad oggetto un atto impositivo, l’unica strada è quella della rottamazione. Lo stesso si dica qualora l’impugnazione della cartella sia stata promossa unicamente nei confronti dell’agente della riscossione e l’agenzia delle Entrate non sia intervenuta in giudizio.

In linea generale, peraltro, la definizione delle liti pendenti è più favorevole rispetto alla rottamazione. Con la prima infatti sono del tutto azzerati sia gli interessi che l’aggio di riscossione, mentre nella rottamazione restano dovuti gli interessi per ritardata iscrizione a ruolo e l’aggio sulle somme liquidate dall’agente della riscossione, oltre alle spese delle eventuali procedure esecutive.

A ciò si aggiunga che le sentenze emesse medio tempore, se favorevoli al contribuente, riducono anche sensibilmente l’importo della sanatoria della controversia mentre sono del tutto irrilevanti ai fini della rottamazione.

D’altro canto, se la lite ha ad oggetto un atto di accertamento ai fini dell’imposta di registro, va ricordato che se il contribuente non ha versato l’importo dovuto in pendenza di giudizio l’ufficio iscrive a ruolo l’ulteriore sanzione del 30 per cento. Secondo quanto affermato nella circolare n. 23 del 2017 dell’agenzia delle Entrate, con la definizione della lite pendente non si ottiene l’azzeramento di quest’ultima sanzione, in quanto non inclusa nell’atto originariamente impugnato. Se però l’intero ammontare preteso dall’ufficio è stato affidato all’agente della riscossione entro la fine dell’anno scorso, la rottamazione determina l’annullamento di tutte le sanzioni, compresa quella aggiuntiva del 30 per cento.

Vale infine ricordare che in entrambe le procedure è possibile chiedere la sospensione dei giudizi in corso, in pendenza del perfezionamento della definizione.

Fonte “Il sole 24 ore”

I paradossi dello Sdi: dall’integrazione due operazioni

La fatturazione elettronica, ai fini dei controlli cui è demandata l’amministrazione finanziaria, altro non è che uno spesometro continuo, con una rilevante differenza. Gli spesometri sono due, quello relativo alle fatture emesse dal fornitore e quello relativo alle fatture ricevute dal cliente, da cui la necessità di incrociare i due elenchi per porre in evidenza eventuali difformità. La fatturazione elettronica, invece, è un flusso univoco generato solo dal fornitore, che – attraverso il passaggio dal sistema di interscambio – viene acquisito dal cliente senza che possano più esistere differenze tra mittente e destinatario. Ne consegue che la fattura emessa indicando un destinatario errato ed estraneo al rapporto con quel fornitore non può – a differenza della procedura verso la pubblica amministrazione – essere respinta dal destinatario, il quale dovrà attivarsi (extra SdI, § 6.2 del provvedimento 30 aprile 2018) con il fornitore, che deve a questo punto emettere una nota di variazione per stornare la fattura errata. Vengono peraltro i brividi al pensiero della veicolazione automatizzata di queste fatture per operazioni di fatto inesistenti, che il sistema carica sulla posizione del destinatario, il quale potrebbe erroneamente esercitare il diritto di detrazione per mera negligenza di non aver controllato il flusso in entrata. La centralità della posizione del fornitore trova il fondamento nell’articolo 26 della legge Iva: solo chi ha emesso la fattura può ridurne l’imponibile e/o l’imposta.

In questo contesto meritano ulteriori approfondimenti alcune recenti affermazioni verbali dell Entrate. La prima riguarda la nota di variazione elettronica emessa nel 2019 a fronte di una fattura tradizionale del 2018. La risposta, pubblicata sul «Sole» il 13 novembre parla del contribuente che «dovesse emettere una nota di variazione nel 2019 di una fattura ricevuta nel 2018». Ma, tornando ai criteri generali e all’articolo 26 legge Iva, la nota di variazione può riguardare solo fatture emesse, cioè può essere fatta e immessa nello SdI solo dal fornitore e non dal cliente. Un analogo problema “direzionale” del flusso riguarda l’integrazione con imponibile e Iva della fattura emessa in reverse charge interno. La circolare 13/E/ 2018, § 3.1, ribadisce la non modificabilità della fattura immessa dal fornitore, così che questi dati ulteriori vanno indicati dal cliente in «un altro documento, da allegare al file della fattura». Questo tema viene ripreso nella risposta pubblicata sempre il 13 novembre, ove si fa richiamo a questa circolare, ma poi si afferma che questo documento, per consuetudine chiamato autofattura, “può” essere inviato allo SdI, anche ai fini di usufruire del servizio gratuito di conservazione elettronica offerto dall’Agenzia. Ma se andiamo al provvedimento del 30 aprile 2018, la causale autofattura “TD20” nei rapporti interni può essere usata solo come autofattura-denuncia, nel caso in cui il fornitore non abbia emesso la fattura entro i 4 mesi successivi alll’operazione. Questo input è di tutta evidenza: il fornitore non ha caricato la vendita nello SdI, lo fa il cliente. Ma se a fronte di una fattura caricata dal fornitore in reverse charge anche il cliente carica una autofattura, il sistema rileva due operazioni.

Fonte “Il sole 24 ore”

Anche per i documenti datati 2018 può scattare l’obbligo di e-fattura

Formato elettronico obbligatorio per le fatture emesse dal 1° gennaio 2019: si potrà quindi continuare validamente a gestire in formato cartaceo eventuali fatture datate 2018 ricevute nel 2019 con canali diversi dal Sistema di interscambio. Al contrario, eventuali note di variazione 2019 relative a fatture del 2018, emesse in formato cartaceo, andranno trasmesse dall’emittente e ricevute dal destinatario in elettronico attraverso il sistema di interscambio in formato strutturato Xml. Il chiarimento di sicuro interesse degli operatori necessita, però, di una attenta valutazione per evitare di registrare un documento analogico che in effetti, doveva essere emesso fin dall’origine in elettronico.

La risposta dell’Agenzia è esattamente la seguente: «L’obbligo di fatturazione elettronica scatta, in base all’articolo 1, comma 916, della legge di Bilancio 2018 (legge 27 dicembre 2017 n. 205), per le fatture emesse a partire dal 1° gennaio 2019. Il momento da cui decorre l’obbligo è legato all’effettiva emissione della fattura. Pertanto, se la fattura è stata emessa e trasmessa nel 2018 (la data è sicuramente un elemento qualificante) in modalità cartacea ed è stata ricevuta dal cessionario/committente nel 2019, la stessa non sarà soggetta all’obbligo della fatturazione elettronica».

Quindi in via generale una fattura datata 31 dicembre 2018 (essendo la data un elemento qualificante) sarà, di per sé, analogica e non elettronica. Però, se la stessa fattura, sempre datata 31 dicembre 2018 viene formata e contabilizzata nel 2018 e poi inviata, ad esempio, via Pec nel 2019 risulterà “emessa” nel 2019 e quindi dovrà essere trattata in elettronico.

Questa situazione, riprendendo un’ulteriore risposta fornita dall’agenzia delle Entrate, per la quale una fattura emessa nel 2019 e non ricevuta in elettronico non consente al cessionario/committente di detrarre l’imposta perché lo stesso non sarebbe in possesso di una fattura fiscalmente rilevante, potrebbe determinare a fine anno qualche problema al contribuente destinatario.

Pertanto, oltre ad auspicare, tenendo conto delle difficoltà che potrebbero scaturire nei primi giorni del 2019, un’applicazione flessibile della norma e della relativa interpretazione, si consiglia ai contribuenti, per quest’anno e per quanto possibile di anticipare la fatturazione di qualche giorno rispetto all’ultimo giorno dell’anno ovvero se a cavallo dell’anno di essere sicuri di trasmettere la fattura entro il 31 dicembre. Al contrario, se la spedizione avverrà i primi giorni del 2019 sarebbe cautelativo adottare fin da subito la fattura elettronica.

L’ulteriore chiarimento contenuto nella stessa risposta relativamente alle note di variazione è confermativo di quanto già indicato nella circolare 1/DF del 31 marzo del 2014 dal dipartimento delle Finanze in occasione dell’entrata in vigore dell’obbligo di fattura elettronica per le pubbliche amministrazioni centrali. Pertanto in caso di emissione di una nota di variazione nel 2019 di una fattura emessa in modalità analogica (su carta) nel 2018, va gestita unicamente in elettronico.

La manutenzione allo Sdi

Sempre a proposito di date, le Entrate hanno reso noto nella serata di ieri che sabato 1 e domenica 2 dicembre Sogei effettuerà dei lavori di potenziamento del Sistema di interscambio, che quindi non sarà disponibile nel week-end. Per questo l’Agenzia «ha disposto il differimento al 4 dicembre dei termini per la trasmissione di fatture e note di variazione dei giorni 1 e 2 dicembre 2018».

Fonte “Il sole 24 ore”

L’e-fattura non elimina l’obbligo di Intrastat

Nonostante l’introduzione della fatturazione elettronica, a partire dal prossimo 1° gennaio 2019, per le cessioni in ambito comunitario resta obbligatoria la presentazione del modello Intra anche nei casi in cui il fornitore italiano emetta una fattura con indicazione della sigla «XXXXXXX» caratterizzante un destinatario non residente. Questa è una delle risposte alle domande più frequenti (Faq) sulla fatturazione elettronica pubblicate dall’agenzia delle Entrate sul proprio sito.

Nel rispondere al contribuente l’Agenzia richiama le novità introdotte nel 2017 alle regole di presentazione e di compilazione dei modelli Intra e afferma che tali “semplificazioni” restano in vigore anche dal 1° gennaio 2019. Dalla lettura del “botta e risposta” del contribuente con l’Agenzia pare di poter concludere che le uniche ipotesi in cui i modelli Intra non devono essere presentati sono quelle già previste dal Provvedimento del 25 settembre 2017 al quale l’ufficio rinvia per maggiori approfondimenti. Più in particolare, sono esonerati dall’obbligo di presentazione dei modelli Intra 2-bis (acquisti di beni) i soggetti passivi che hanno effettuato acquisti di beni intracomunitari per importi trimestrali inferiori a 200.000 euro. Analogamente sono esonerati dall’obbligo di trasmissione dei modelli Intra 2-quater (acquisti di servizi) i soggetti passivi che hanno effettuato acquisti di servizi intracomunitari per importi trimestrali inferiori a 100mila euro.

La trasmissione facoltativa tramite lo Sdi delle fatture relative alle operazioni attive effettuate verso operatori esteri, però, se da un lato lascia immutato l’obbligo di trasmissione degli Intrastat, dall’altro, comporta l’esonero dalla nuova comunicazione (esterometro) con la quale gli operatori economici dovranno inviare telematicamente all’Agenzia i dati presenti in tali fatture transfrontaliere.

Il provvedimento delle Entrate 89757/2018 – relativo alle regole tecniche per l’emissione e la ricezione delle fatture elettroniche – nella parte dedicata alla trasmissione telematica dei dati delle operazioni transfrontaliere, concede agli operatori economici la facoltà di emettere le fatture transfrontaliere in modalità elettronica compilando solo il campo «CodiceDestinatario» con un codice convenzionale indicato nelle specifiche tecniche che risulta essere «XXXXXXX». Nel campo «identificativo fiscale Iva», inoltre, va inserita la partita Iva comunitaria.

Fonte “Il sole 24 ore”

La Guardia di Finanza potrà chiedere ipoteche e sequestri dopo il Pvc

Anche la Guardia di Finanza potrà richiedere alla commissione tributaria l’iscrizione di ipoteca sui beni del contribuente ove ritenga fondato il timore di perdere la garanzia. Lo prevede una delle modifiche al decreto fiscale approvato ieri in prima lettura al Senato.

La norma attuale

In base all’articolo 22 del Dlgs 472/1997, dopo la notifica di un atto di contestazione, di un provvedimento di irrogazione della sanzione o di un Pvc, l’agenzia delle Entrate, se ha il fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, può chiedere, con istanza motivata, al presidente della Ctp, l’iscrizione di ipoteca sui beni del trasgressore e dei soggetti obbligati in solido, e l’autorizzazione a procedere, a mezzo di ufficiale giudiziario, al sequestro conservativo dei loro beni, compresa l’azienda.

Queste misure cautelari possono essere adottate anche prima dell’emissione dell’atto impositivo per impedire che il trasgressore disperda il patrimonio sottraendo in tal modo garanzie reali allo Stato.

La novità

Con una modifica al decreto legge 119/2018, al fine di rafforzare le misure poste a garanzia del credito erariale e a sostegno delle relative procedure di riscossione, viene previsto che le istanze in questione attualmente di esclusiva pertinenza dell’agenzia delle Entrate per la richiesta di ipoteca o sequestro conservativo, possano essere inoltrate anche dal Comandante provinciale della Guardia di finanza, in relazione ai processi verbali di constatazione rilasciati dai reparti dipendenti.

La GdF dovrà dare tempestiva comunicazione alla direzione provinciale dell’agenzia delle Entrate, la quale esaminerà l’istanza e comunicherà le proprie eventuali osservazioni al presidente della commissione tributaria, nonché al comandante provinciale richiedente.

Decorso il termine di 20 giorni dal ricevimento dell’istanza, si intenderà acquisito il parere dell’Agenzia.

In presenza di tali istanze, le Fiamme Gialle dovranno fornire all’Agenzia, ogni elemento utile ai fini dell’istruttoria e della partecipazione alla procedura.

I requisiti

L’istanza di sequestro e/o ipoteca è subordinata sostanzialmente alla sussistenza di due requisiti: il fumus boni iuris ed il periculum in mora.

Il fumus boni iuris si può riscontrare nell’esistenza di un debito tributario a carico del contribuente derivante da un provvedimento dell’amministrazione (atto di contestazione, irrogazione sanzione, Pvc).

Va da sé che se la richiesta sia fondata solo sul Pvc, come accadrà in futuro in caso di proposta della GdF, al fine di giustificare l’entità della garanzia, fin da subito dovrebbero emergere le imposte dovute che saranno poi successivamente indicate nell’accertamento dell’Agenzia. Analoga evidenza dovrà essere data delle sanzioni tenendo presente che in sede di redazione del Pvc non si tiene conto dei vari istituti applicabili primo fra tutti il cumulo giuridico.

Il secondo requisito è il periculum in mora, ossia il fondato timore, da parte dell’amministrazione, di perdere la garanzia del credito. Deve trattarsi di un timore attuale e non potenziale desumibile sia da dati oggettivi, come la consistenza e le caratteristiche del patrimonio del contribuente, sia da dati soggettivi valutando cioè la condotta del debitore.

Per quest’ultima, occorre considerare i comportamenti che palesano una costante tendenza a non adempiere agli obblighi tributari. Si pensi, ad esempio, a costanti pregresse situazioni di morosità.

Si tratta pertanto di una analisi complessiva fondata su una pluralità di elementi, anche di carattere indiziario, ma che possono far ragionevolmente presupporre la volontà del contribuente di non pagare ovvero di ridurre le garanzie sulle quali l’amministrazione potrebbe rivalersi.

L’iter procedurale

Il presidente della Ctp decide sulla concessione della richiesta cautelare. Sul punto l’emendamento si limita a prevedere che la Gdf fornisca ogni elemento utile ai fini dell’istruttoria e della partecipazione alla procedura. La rappresentanza in giudizio dovrebbe quindi restare in capo all’agenzia delle Entrate.

La circostanza non è di poco conto. Si pensi al caso, non raro, in cui respingendo la richiesta, la Ctp condanni alle spese l’Ufficio. In questi casi l’istanza proviene direttamente dalla GdF e la difesa sarà contro l’istanza della GdF e non avverso un atto dell’Ufficio (come avviene con gli accertamenti a seguito di Pvc della GdF). Sarebbe singolare, a questo punto, che per una decisione del Comandante provinciale delle Fiamme Gialle rivelatasi non fondata, debba poi risarcire le spese l’Agenzia.

Fonte “Il sole 24 ore”

L’unico sezionale non obbliga a conservare in digitale anche i documenti analogici

La contemporanea registrazione di fatture elettroniche e analogiche in un unico registro sezionale Iva (acquisto o vendite) non obbliga a conservare elettronicamente anche i documenti analogici. A chiarirlo sono le Entrate, con una risposta del 15 novembre scorso, formalizzata nelle Faq pubblicate dall’Agenzia.

Dal 2019, si continueranno inevitabilmente a ricevere ancora fatture non elettroniche (su carta, in pdf, in formato immagine, eccetera), ad esempio, dai minimi, dai forfettari, dai soggetti non residenti o non stabiliti ovvero dai soggetti solo identificati. Già oggi (soprattutto con l’avvicinarsi di fine anno), invece, è possibile ricevere qualche fattura elettronica, assieme alle consuete fatture su carta. In questi casi, di ricezione mista (elettronica e analogica), non è necessario istituire diversi sezionali dei registri Iva, al fine di registrare i documenti analogici con una numerazione diversa rispetto alle e-fatture ovvero per evitarne la conservazione sostituiva prevista per queste ultime. Dal 24 ottobre 2018, peraltro, è stata abolita la registrazione “in ordine progressivo” delle fatture passive e delle autofatture nel registro Iva degli acquisti (articolo 25, comma 1, del Dpr 633/1972).

Anche se i documenti elettronici e quelli analitici vengono registrati in un unico sezionale del registro Iva acquisti, infatti, non è necessario effettuare la conservazione elettronica sostitutiva anche delle fatture analogiche.

Questa regola vale anche per il ciclo attivo. Nel 2019, anche se la fattura elettronica attiva sarà in generale obbligatoria, si dovranno ancora emettere su carta le fatture verso i soggetti non residenti o non stabiliti ovvero i soggetti identificati (identificazione diretta o tramite rappresentante fiscale), a meno che non ci si accordi con loro per l’invio della e-fattura tramite lo Sdi, per evitare l’esterometro, previa richiesta al proprio cliente “estero” (ad esempio, una consociata) del suo indirizzo telematico (codice destinatario o pec). Questa modalità di invio della e-fattura al cliente, tramite lo Sdi (allegato A del provvedimento del 30 aprile 2018, paragrafi 2.1.4), è possibile anche per il ciclo passivo (anche se più complicata) ed è diversa da quella, prevista per il solo ciclo attivo e sempre per evitare l’esterometro, di solo «invio allo Sdi» dell’Xml con il codice destinatario «XXXXXX» (si veda Il Quotidiano del Fisco del 15 novembre 2018).

Anche per il ciclo attivo, quindi, in presenza di un unico sezionale con fatture sia elettroniche che analitiche, la modalità di conservazione può essere sia elettronica (obbligatoria per le fatture elettroniche), sia analitica (per quelle cartacee).

Ad esempio, alla fattura analogica con numero 1, possono succedere le fatture elettroniche con numero 2 e 3, l’analogica con numero 4 e così via, senza necessità di ricorrere a separati registri sezionali, fermo restando il rispetto della conservazione sostitutiva solo per quelle elettroniche.

Anche con l’avvento della fattura elettronica, infine, sarà possibile adottare una numerazione progressiva che, partendo dal numero 1, prosegua ininterrottamente per tutti gli anni solari di attività del contribuente, fino alla cessazione dell’attività stessa (risoluzione 10 gennaio 2013, n. 1/E).

Fonte “Il sole 24 ore”

L’e-fattura dei forfettari resta senza obbligo di conservazione

Gli operatori che rientrano nel regime di vantaggio o nel regime forfettario non hanno l’obbligo di conservare elettronicamente le fatture ricevute, se non comunicano al cedente/prestatore la Pec o un codice destinatario con cui ricevere le fatture elettroniche. Lo ha chiarito l’agenzia delle Entrate con una delle Faq pubblicate ieri.

La legge di Bilancio per l’anno 2018 esclude dalle disposizioni in materia di fatturazione elettronica i soggetti che adottano il regime dei minimi (Dl 98/2011) e quelli che adottano il regime forfettario (legge 190/2014). Pertanto, a partire dal 1° gennaio 2019, questi soggetti saranno esonerati dalla emissione della fattura elettronica; tuttavia, lo stesso esonero non si applica ai loro fornitori, che dovranno emettere fattura elettronica rispettando il formato e il contenuto previsto per qualsiasi altro tipo di e-fattura.

La differenza, rispetto alle fatture elettroniche emesse nei confronti di soggetti passivi, riguarda gli elementi necessari per il recapito della stessa. Lo Sdi, infatti, generalmente recapita la fattura elettronica attraverso la Pec, o tramite applicativi o servizi di trasmissione file; queste due ultime modalità necessitano del preventivo processo di accreditamento, che consente di ottenere un codice destinatario di sette cifre. Pertanto, ai fini del recapito, generalmente nella fattura deve essere indicato il codice destinatario oppure un indirizzo Pec. Quando la fattura è emessa nei confronti di un minimo o forfettario, la fattura non deve però contenere né il codice destinatario né la Pec del cliente secondo l’Agenzia, bensì un codice convenzionale di sette zeri da inserire al posto del codice destinatario.

Questa indicazione permette allo Sdi di recapitare la fattura elettronica al minimo/forfettario mettendola a disposizione nella sua area riservata del sito web dell’agenzia delle Entrate, oltre che rendere disponibile al cedente/prestatore un duplicato informatico della fattura (sempre nella sua area riservata). Il cedente/prestatore, inoltre, ha l’obbligo di comunicare tempestivamente al cessionario/committente, per vie diverse dallo Sdi, che l’originale della fattura elettronica è a sua disposizione nella predetta area riservata.

Dunque, seguendo queste modalità, l’agenzia delle Entrate ha chiarito che non sussiste alcun obbligo in capo ai soggetti minimi e forfettari, nemmeno sul fronte del ciclo passivo, non essendo obbligati alla conservazione dei documenti ricevuti. Minimi e forfetari possono però decidere di ricevere le fatture elettroniche emesse dai loro fornitori anche comunicando una Pec o, in alternativa, un codice destinatario. In questa ipotesi, dalla lettura della risposta alla Faq si desume che scatta l’obbligo di conservazione elettronica.

Sintetizzando: il contribuente minimo o forfettario che comunica un indirizzo Pec o un codice destinatario sarà obbligato alla conservazione elettronica dei documenti ricevuti; chi, invece, fa nulla, quindi non comunica né Pec, né codice destinatario non ha neanche l’obbligo di conservare i documenti elettronici ricevuti; ovviamente in questo caso dovrà conservare le fatture cartacee. Anche se la risposta non lo dice, si ritiene che il medesimo metodo riguardi anche le imprese agricole in regime di esonero (volume di affari inferiore a 7mila euro).

Fonte “Il sole 24 ore”

Nel contratto di conservazione attenzione ai subfornitori

La conservazione della fattura elettronica deve essere garantita per almeno dieci anni. Diventa quindi strategica la scelta del conservatore e importante la capacità di sapersi districare tra i contratti di servizio, diffidando di quelli troppo sintetici. La creazione e gestione della fattura e la sua conservazione sono due passaggi distinti e di norma hanno due contratti diversi, anche se il fornitore è lo stesso.
Il conservatore deve essere valutato in base alla struttura (più è solida, anche finanziariamente, e più dovrebbe essere sicura), alle apparecchiature ma anche al processo di gestione dei documenti. Bisogna, inoltre, tutelarsi nel caso in cui il conservatore che abbiamo scelto fallisca o chiuda. Il contratto deve prevedere, quindi, che i nostri documenti digitali siano riversati presso un altro conservatore. Nel caso di fatture della pubblica amministrazione la legge pone come obbligo che il conservatore sia accreditato Agid (Agenzia per l’Italia digitale), ovviamente conviene verificare che il numero di protocollo sia reale. Anche se non è obbligatoria l’accreditazione Agid nel B2B dà certamente garanzie importanti . «Quasi tutti i conservatori sono accreditati Agid – spiega Bonfiglio Mariotti, presidente di Assosoftware – e si tratta di una certificazione che comporta verifiche semestrali da parte dell’Agid per accertare se si è compliance con la certificazione». Il “bollino” Agid non solo è una garanzia per l’utente, ma fornisce anche una serie di agevolazioni al conservatore grazie agli strumenti e alle competenze che mette a disposizione.
Un’altro elemento che è meglio esplicitare nel contratto riguarda eventuali subappaltatori. Il fornitore a cui ci si rivolge per i servizi che riguardano la fatturazione elettronica deve dichiarare se ricorre a sub-fornitori, sia perché è sempre meglio sapere chi gestisce materialmente i nostri documenti sia perché le responsabilità del fornitore devono essere estese anche al sub fornitore. A questo proposito è già stato approvato un emendamento al Dl fiscale che “vieta” a Sogei (quindi all’agenzia delle Entrate) di affidare a terzi esterni la conservazione.
Con internet si è un po’ persa l’abitudine di leggere i contratti ma nel contratto di conservazione conviene fare uno sforzo. «Il contratto – raccomanda Mariotti – deve essere letto, stampato e, per legge, firmato in originale».

Fonte “Il sole 24 ore”

Dai medici al forfait 5 partite Iva su 10 fuori dalla e-fattura

Anche senza proroga, dal 1° gennaio dell’anno prossimo cinque partite Iva su dieci non saranno obbligate a emettere fatture elettroniche. Tra l’allargamento del regime forfettario, i soggetti che fanno solo scontrini e le esclusioni ora in discussione in Parlamento, l’obbligo riguarderà metà dei 5,8 milioni di titolari di partita Iva (imprenditori individuali, professionisti, società ed enti non commerciali). Gli esclusi, comunque, non dovranno disinteressarsi completamente del nuovo obbligo, perché potranno comunque trovarsi a ricevere fatture elettroniche dai propri fornitori.
I primi a evitare la e-fattura sono i contribuenti che hanno aderito al regime forfettario e i vecchi minimi (circa 935mila titolari di partita Iva, in base agli ultimi dati). Ed è un insieme che potrebbe crescere fino a 1,5 milioni con l’innalzamento della soglia d’accesso a 65mila euro di ricavi, previsto nel disegno di legge di Bilancio per il 2019. Del resto, le ultime statistiche fiscali (anno d’imposta 2016) dicono che nella fascia di giro d’affari tra i 30 e i 65mila euro ci sono 909mila contribuenti.
A questi va poi aggiunto il milione e 732mila esercenti o artigiani che operano solo con consumatori ed emettono scontrini e ricevute fiscali. Per loro, di trasmissione telematica non si parlerà prima del prossimo 1° luglio (grandi operatori) o addirittura del 1° gennaio 2020 (tutti gli altri).
Oggi al voto in commissione al Senato
Il terzo fronte di limitazioni arriverà dal Parlamento. Il primo banco di prova è previsto già oggi, quando la commissione Finanze del Senato è chiamata a completare l’esame degli emendamenti accantonati la scorsa settimana.
Si tratta di modifiche al decreto fiscale (Dl 119/2018) finalizzate a restringere la platea dei soggetti obbligati alla trasmissione della e-fattura: in particolare, escludendo medici e farmacisti che inviano al Sistema tessera sanitaria (Sts) i dati relativi alle spese dei propri clienti per permettere alle Entrate di preparare la dichiarazione dei redditi precompilata. In ballo c’è anche l’esclusione delle associazioni sportive dilettantistiche, su cui però il dibattito è più aperto.
Un altro punto importante su cui i senatori prenderanno già oggi una decisione è l’estensione fino a fine settembre della moratoria sulle sanzioni per chi non si adeguerà all’obbligo di fatturazione elettronica tra privati. Al momento, il periodo di salvaguardia introdotto dal decreto fiscale si ferma al 30 giugno.
Ciò che non pare in discussione, almeno per ora, è la data di debutto del nuovo obbligo (1° gennaio 2019). Anche perché alla fattura elettronica sono legati 1,97 miliardi di euro di maggiori entrate da contrasto all’evasione Iva nel 2019.
Meno «big data» per tutelare la privacy
L’altro fronte caldo per la fattura elettronica è quello con la privacy, dopo la bocciatura di dieci giorni fa da parte del Garante. Che ha evidenziato una raccolta «sproporzionata» di informazioni su cittadini e imprese da parte del Fisco, oltre al rischio che i dati vengano usati in modo improprio da soggetti terzi.
D’altra parte, le fatture sono una miniera di informazioni sul business, oltre che sul Fisco: dai clienti alla marginalità, dai tempi di pagamento al dettaglio di molte operazioni. Proprio sul fronte dell’utilizzo dei big data, la commissione Finanze ha già approvato un emendamento che vieta a Sogei di utilizzare soggetti terzi nella conservazione dei dati delle fatture.
Inoltre, come ricordato dal ministro dell’Economia, Giovanni Tria, durante il question time al Senato, è già partito un tavolo di confronto tra Agenzia e Garante per risolvere le criticità evidenziate dall’authority.
Tra le soluzioni allo studio c’è quella di far sì che l’Agenzia memorizzi i soli dati di rilevanza tributaria. Il Fisco rinuncerebbe ad esempio ad acquisire il dettaglio dei consumi inserito nella fattura emessa da una utility a un’impresa, limitandosi a salvare nei propri database gli elementi chiave.

Fonte “Il sole 24 ore”

Pace fiscale, via al tour de force: tutte le date da ricordare

La maratona dell’Aula di Palazzo Madama – anche se il via libera finale arriverà solo oggi – porta con sé la moratoria delle sanzioni fino a settembre per la trasmissione della fattura elettronica dei contribuenti con cadenza mensile. Mentre sbarra la porta alla possibilità per i sindaci di estendere la rottamazione-ter alle ingiunzioni di pagamento con multe e tributi locali, a partire da Imu, Tasi e Tari. Tra le novità arrivate nel corso dell’esame dell’assemblea di Palazzo Madama sono arrivati anche i ritocchi al Codice del Terzo settore. Con un nuovo assetto anche per le ricadute pratiche delle erogazioni liberali, in base al quale la detrazione del 30% verrebbe limitata esclusivamente a quelle effettuate in natura con il conseguente “taglia-fuori” per quelle in denaro. Ma non solo, perché si modifica la definizione di attività «non commerciale» stabilendo che si consideri tale qualora i ricavi non superino del 5% i costi per ciascun periodo d’imposta e per non più di due periodi di imposta consecutivi.
In un decreto che è sempre di più diventato omnibus nel corso dell’esame parlamentare con la presentazione dell’emendamento sulle concessioni autostradali (al voto oggi) con obbligo di manutenzione anche dopo la fine dell’affidamento, l’asse portante restano le misure della pace fiscale. «Misure come la rottamazione-ter delle cartelle, lo stralcio delle mini cartelle, la definizione agevolata delle liti fiscali e la definizione degli errori formali danno una boccata d’ossigeno ai piccoli contribuenti in difficoltà che meritano di essere rimessi in carreggiata» sottolinea il relatore al provvedimento in commissione Finanze, Emiliano Fenu (M5S), che precisa anche come non ci sia «spazio per sconti agli evasori, né ci sono scappatoie per chi ha portato soldi fuori dal Paese, abbiamo quindi marcato una distanza rispetto al recente passato».
Come anticipato, però, oltre alla pace fiscale c’è molto di più. A cominciare dagli ulteriori ritocchi al capitolo della fattura elettronica. L’ultimo in ordine di tempo ha portato l’Aula a recuperare l’estensione sulla moratoria delle sanzioni fino a settembre. Mentre la commissione aveva già dato il via libera all’esonero per medici e farmacisti che inviano i dati al Sistema tessera sanitaria per la precompilata e alle associazioni sportive dilettantistiche con proventi fino a 65mila euro.
Poi il capitolo sulla lotta all’evasione che è diventato più corposo per effetto della possibilità di utilizzo dei dati della Superanagrafe dei conti estesa anche alla Guardia di Finanza, con i dati di sintesi sui principali rapporti finanziari che potranno essere conservati fino a un massimo di dieci anni.
Ancora, il rifinanziamento del bonus bebè per i figli nati o adottati in tutto il 2019 e con la novità della maggiorazione del 20% per i figli successivi al primo. I 444 milioni spalmati in due anni arriveranno dalla sanatoria degli errori formali, che coprirà con altri 525 milioni sempre per il 2019 e il 2020 la dote del fondo per le calamità con cui il Governo prevede di avviare dall’inizio del prossimo anno un piano di investimenti per fronteggiare il dissesto idrogeologico, per garantire la manutenzione delle reti viarie e dell’edilizia.
Nel giorno in cui la Camera ha votato la fiducia sul decreto sicurezza, il Senato ha “risposto” con l’introduzione del prelievo dell’1,5% sulle rimesse in denaro tramite money transfer verso Paesi extracomunitari per importi superiori a 10 euro. I 63 milioni attesi dalla nuova tassazione saranno destinati alla detassazione delle sigarette elettroniche: una misura considerata da Anafe-Confindustria una vittoria storica per il settore con la riduzione delle imposte dell’80% sui liquidi con nicotina e del 90% per quelli senza nicotina.
Nell’omnibus oggi attesi i voti su mobilità in deroga e cassa integrazione. Sempre in tema lavoro dovrà essere esaminato anche il tavolo per il caporalato.
A tener banco in Aula saranno poi le norme su telecomunicazioni, Bcc, proroga della riforma sulle Popolari e sull’introduzione di uno scudo anti-spread per assicurazioni e imprese con principi contabili nazionali.

La pace fiscale resta a nove corsie. Così era partita a metà ottobre scorso e così è uscita ieri dal Senato dopo il primo passaggio in Parlamento del Dl fiscale. Ma se da una parte ha mantenuto la sua struttura a più vie, le sanatorie sono cambiate molto nella sostanza soprattutto rispetto agli annunci e alle attese dei contribuenti. L’accordo politico tra Lega e M5S ha cancellato l’iniziale articolo 9 sul condono che introduceva una dichiarazione integrativa speciale su importi fino a 100mila euro l’anno con una tassa sostitutiva del 20 per cento. Al suo posto arriva la sanatoria sugli errori formali, che potranno essere corretti versando al Fisco 200 euro per ogni singolo anno d’imposta per le violazioni commesse fino al 28 ottobre 2018. Ma non è il solo cambio di rotta. Nulla da fare per il più volte annunciato «saldo e stralcio» con cui la Lega ha ipotizzato di poter consentire ai contribuenti in difficoltà economica, con un Isee fino a 30mila euro, di saldare il proprio debito versando, a seconda del reddito, il 6, il 10 o al massimo il 25% del dovuto.
Tra le assenze nelle file dei condoni gialloverdi anche l’estensione della rottamazione-ter alle ingiunzioni di pagamento con cui i comuni riscuotono tributi locali, come Imu, Tasi e Tari, o le multe. Un’estensione facoltativa per i sindaci, sempre presente nelle due passate edizioni delle rottamazioni e che ieri, invece, è stata bloccata con il no della Ragioneria, almeno secondo quanto sottolineato dal sottosegretario all’Economia, Massimo Bitonci (Lega). Nessuna possibilità, poi, di sanare gli omessi versamenti pur avendo dichiarato tutto al fisco. Anche qui il rischio di una perdita di gettito sul recupero annuale garantito dalla riscossione spontanea ha prevalso sulla possibilità di condonare le singole posizioni dei contribuenti.
Della pace fiscale resta certamente la filosofia di fondo ossia di una “sanatoria di filiera” che parte dai processi verbali di constatazione, passa agli accertamenti, alle dichiarazioni dei redditi con errori formali, alla rottamazione-ter delle cartelle esattoriali, per chiudere con i maxisconti della definizione agevolata delle liti pendenti. Al fianco di queste sanatorie ce ne sono alcune di “settore”, a partire dallo stralcio delle cartelle fino a mille euro, quella per le società sportive dilettantistiche, nonché quella per le sigarette elettroniche, che potranno chiudere i contenziosi aperti versando soltanto il 5% di quanto contestato dalle Dogane e dai Monopoli.
Per le sanatorie fiscali dai Pvc alle liti due sono i criteri di fondo: l’obbligo di dover versare la pretesa erariale al netto di interessi e sanzioni. La sola eccezione sono gli errori formali per i quali, oltre al versamento forfettario di 200 euro si prevedono specifici termini di versamento in due rate: una al 31 maggio 2019 e l’altra al 2 marzo 2020. Per le altre sanatorie (Pvc, accertamenti rottamazione ter e liti pendenti) la propria posizione si definisce con il versamento in unica soluzione o rateizzando gli importi dovuti fino a un massimo di 5 anni.
Tra le novità introdotte al Senato proprio sui versamenti rateizzati vanno segnalati l’alleggerimento delle rate che, pur restando distribuite in 5 anni, si potranno versare due nel 2019 (31 luglio e 30 novembre) e le altre a scadenza trimestrale nell’anno, passando quindi da 2 a 4 rate all’anno. Non ci sarà poi nessuna sanzione per ritardi nei pagamenti contenuti nei 5 giorni dalla scadenza.
Durante l’esame del Senato la modifica di maggior spessore sul fronte delle nove sanatorie ha riguardato la chiusura delle liti pendenti dove maggioranza e Governo hanno rivisto al rialzo gli sconti concessi a chi chiude in via agevolata, senza versare sanzioni e interessi, il contenzioso avviato con il Fisco. È stato introdotto uno sconto del 10% sulla pretesa erariale per chi ha solo presentato ricorso ed è in attesa della “lite”. È stato previsto, poi, un maxi-sconto fino al 95% (è dovuto solo il 5%) per chi ha una doppia conforme e in attesa del giudizio di Cassazione ha già battuto le Entrate in commissione provinciale e regionale. Il Senato ha aumentato anche l’appeal per chi ha vinto in primo grado riducendo la somma dovuta al Fisco dal 50% iniziale al 40%, così come ha ridotto dal 20% ora in vigore al 15% per chi ha vinto in secondo e non vuole attendere il giudizio della Cassazione.

Fonte “Il sole 24 ore”

Reverse charge su pc e console prorogato al 30 giugno 2022

L’approvazione degli emendamenti al Dl 119/2018 estende al 30 giugno 2022 l’obbligo di applicazione del reverse charge per la cessione di cellulari, tablet, laptop, cessione di gas e elettricità con effetti diretti sulla e-fattura obbligatoria. Per l’e-fattura sono confermate: l’esclusione per gli operatori sanitari che trasmettono i dati al sistema tessera sanitaria, limitatamente alle fatture corrispondenti ai dati inviati a detto sistema, nonché per le associazioni sportive dilettantistiche nel caso in cui i proventi relativi alle attività commerciali siano inferiori nel periodo d’imposta precedente a 65mila euro; le previsioni relative ai fornitori di servizi pubblici (come le imprese telefoniche) per i quali verranno emanate delle specifiche tecniche per l’emissione di fatture verso il consumatore finale per i contratti stipulati prima del 2005; le limitazioni delle cause che consentono a una pubblica amministrazione di rifiutare una fattura Pa.

Viene prorogata al 30 giugno 2022 l’applicazione del meccanismo dell’inversione contabile facoltativa (reverse charge) Iva, in linea con quanto previsto dall’articolo 199-bis della direttiva 2006/112 che ha prorogato il termine per l’applicazione facoltativa del reverse charge al 30 giugno 2022.

La misura allinea al nuovo termine Ue la possibilità di avvalersi dell’inversione contabile per le operazioni elencate all’articolo 17, sesto comma del Dpr 633/1972, alle lettere b), c), d-bis), d-ter) e d-quater). Si tratta quindi delle cessioni di telefoni cellulari, ad esclusione dei componenti e accessori per i telefoni cellulari, delle cessioni di dispositivi a circuito integrato, quali microprocessori e unità centrali di elaborazione, effettuate prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale con esclusione dei computer quali beni completi e i loro accessori. Vi rientrano inoltre le cessioni di console da gioco, tablet, pc e laptop oltre ai trasferimenti di quote di emissioni di gas a effetto serra trasferibili, dei certificati relativi al gas e all’energia elettrica e delle cessioni di gas e di energia elettrica a un soggetto passivo-rivenditore.

Tra i soggetti esclusi dall’obbligo di e-fattura sono state ricomprese le associazioni sportive che applicano il regime forfettario (opzionale) e che nel periodo d’imposta precedente hanno conseguito dall’esercizio di attività commerciali proventi per un importo non superiore a 65mila euro. Il regime forfettario opzionale trova applicazione nei riguardi delle associazioni sportive dilettantistiche che conseguono proventi da attività commerciali non superiori a 400mila euro e che sono esonerati dagli obblighi di tenuta delle scritture contabili. In caso di conseguimento dall’esercizio di attività commerciali un importo superiore a 65mila euro, le associazioni sportive devono assicurare che la fattura sia emessa dal cessionario o committente soggetto passivo d’imposta. Altra novità riguarda gli obblighi di fatturazione e registrazione relativi ai contratti di sponsorizzazione e pubblicità: tali obblighi, nei confronti di soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato, dovranno essere adempiuti dagli stessi cessionari.

Fonte “Il sole 24 ore”

La rottamazione delle cartelle ammette ritardi fino a 5 giorni

Aumento del numero delle rate, fermo il limite massimo di 5 anni del periodo di dilazione, introduzione della tolleranza di 5 giorni per tutte le scadenze e rilascio del Durc dopo la presentazione della domanda di sanatoria. Queste sono le modifiche apportate alla rottamazione-ter dalla commissione Finanze del Senato.

Nella versione attualmente in vigore, il pagamento della definizione degli affidamenti all’agente della riscossione può avvenire in un massimo di 10 rate, in scadenza il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno. Il periodo limite di dilazione dunque è di 5 anni.

Con le modifiche apportate in Senato il numero delle rate aumenta da 10 a 18. Mentre per il 2019, inoltre, restano le rate di luglio e novembre, ciascuna pari al 10% del totale, a decorrere dal 2020 le rate diventano quattro, con scadenza a febbraio, maggio, luglio e novembre di ciascun anno. In sostanza, si riduce l’importo unitario della rata di rottamazione ma resta fermo l’arco temporale di cinque anni per concludere i pagamenti.

L’altra importante modifica riguarda l’introduzione di una soglia di tolleranza nel rispetto delle scadenze di legge. Al riguardo, si ricorda che in tutte le versioni precedenti della rottamazione e anche nella vigente formulazione della definizione ter era sufficiente il ritardato pagamento anche di un solo giorno per decadere irreversibilmente dai benefici di legge. Tanto, perché non risultava applicabile l’istituto del lieve inadempimento all’articolo 15-ter del Dpr 602/1973, che consente di far salvi i ritardi di 7 giorni nel versamento della sola prima rata.

Con l’emendamento approvato si stabilisce che in caso di ritardo non superiore a 5 giorni «l’effetto di inefficacia della definizione non si produce e non sono dovuti interessi». Si tratta, in realtà, di una vera e propria soglia di tolleranza che rende del tutto irrilevanti i ritardi non superiori a 5 giorni, atteso che il debitore non subisce alcuna penalizzazione da essi. Tale soglia trova applicazione per la generalità delle rate della rottamazione ter, ivi inclusa quella in scadenza al 7 dicembre, riferita alle rate della rottamazione bis (si veda l’altro pezzo in pagina).

L’ultima modifica colma una lacuna rispetto alle precedenti rottamazioni. Si ricorda in proposito che in entrambe le precedenti versioni era stabilito che una volta presentata l’istanza di definizione il debitore poteva chiedere ed ottenere il Durc positivo. In base all’articolo 3, comma 10, del Dl 119/2018, una volta trasmessa l’istanza, il debitore non si considera inadempiente ai fini degli articoli 28-ter e 48-bis del Dpr 602/1973. La prima norma citata riguarda il potere dell’agente della riscossione di notificare al soggetto moroso destinatario di un rimborso fiscale una proposta di compensazione volontaria del credito in via di erogazione con le somme a ruolo. In caso di rifiuto, agenzia delle Entrate-Riscossione (Ader) provvede a notificare un pignoramento presso terzi. La seconda disposizione prevede il blocco dei pagamenti maggiori di 5mila euro da parte di enti pubblici qualora il beneficiario degli stessi abbia pendenze almeno pari a 5mila euro verso l’Ader. Con l’emendamento in esame il quadro è completato dalla possibilità di rilasciare il Durc qualora i carichi previdenziali risultino inclusi in domande di rottamazione. In caso di successiva decadenza dalla definizione, l’Inps revoca il documento già rilasciato. In questo modo, si consente pertanto la partecipazione a gare da parte del debitore.

Fonte “Il sole 24 ore”

Sanatoria errori formali, fuori il quadro RW

Escluse dalla sanatoria delle irregolarità formali le violazioni commesse nella compilazione del quadro RW. È questo l’effetto del correttivo che ha ricevuto il via libera della commissione Bilancio e che mira a impedire che con la sanatoria i contribuenti possano far emergere attività costituite o detenute all’estero.

Si intende così porre rimedio a un’eccessiva apertura della disposizione che, come segnalato da Dario Deotto (si veda Il Quotidiano del Fisco del 24 novembre ), sterilizzava gli effetti della regolarizzazione solo in relazione agli atti di contestazione o irrogazione delle sanzioni emessi nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria, ma non anche per le violazioni legate al quadro RW. L’emendamento specifica che ciò che è vietato è la bonifica dell’emersione di attività estere, fattispecie che letteralmente sembra diversa rispetto alla correzione di errori nell’indicazione dei valori di attività estere comunque dichiarate nel quadro RW.

La sanatoria desta comunque interesse in un sistema caratterizzato da una gran mole di adempimenti. L’idea di bonificare gli errori formali anche inconsapevolmente commessi pagando 200 euro alletta molti, tanto più che la somma è fissa per ciascun periodo d’imposta e non specifica anche per comparto impositivo. Né rileva la dimensione del contribuente.

La questione centrale resta quella di capire quale sia il perimetro della regolarizzazione, a prescindere dai limiti citati. La bozza fa riferimento a irregolarità, infrazioni e inosservanze di obblighi e adempimenti che abbiano natura formale e che non rilevino sulla determinazione della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi, dell’Iva, dell’Irap e dei pagamenti dei tributi. Si tratta di una definizione molto ampia per cui dovrebbero essere sanate non solo le violazioni formali dichiarative, ma anche quelle tributarie pur se correlate ad adempimenti diversi quali, ad esempio, le violazioni commesse nelle comunicazioni periodiche Iva e nei modelli intrastat.

In merito alle violazioni dichiarative, sono molti gli errori che possono non riflettersi su un maggior imponibile o una maggiore imposta. Si pensi al contenuto dei quadri RS (prospetti vari) e RV (riconciliazione dei dati contabili e fiscali). Va però tenuto conto che gli errori formali possono anche declinare in violazioni sostanziali. Due casi sono paradigmatici: gli errori commessi nella compilazione dei modelli studi di settore o nel prospetto delle società di comodo. Se l’errore non si riverbera sul resoconto di congruità o sulla determinazione del reddito minimo, si è in presenza di una violazione formale. Se, invece, l’errore si riflette sul reddito accertabile, la violazione per infedele dichiarazione assorbe quella formale e, quindi, il pagamento dei 200 euro sarebbe inutile.

Fonte “Il sole 24 ore”

Liti pendenti, la doppia vittoria consente la definizione con il 5%

Definizione delle liti fiscali pendenti con più appeal. Gli emendamenti approvati ieri dalla Commissione Finanze del Senato al Dl 119 prevedono che, in caso di ricorso pendente iscritto in primo grado, la lite può essere definita con il 90% delle imposte dovute nell’atto impugnato. Se, invece, è stata depositata una sentenza favorevole al contribuente la definizione della lite avviene con il pagamento del 40% delle imposte se la pronuncia è di primo grado o del 15% se è di secondo grado. Invece, se la controversia è pendente in Cassazione alla data di entrata in vigore della legge di conversione, e l’Agenzia sia risultata soccombente in tutti i precedenti giudizi, la definizione avviene con il pagamento del 5% del valore della controversia.

Nonostante queste favorevoli modifiche permangono vari dubbi. Innanzitutto il riferimento al «ricorso pendente iscritto» potrebbe comportare che si tratta solo di quei ricorsi in primo grado per i quali è stata fatta la costituzione in giudizio e non anche quelli soltanto notificati alla controparte. Se così fosse, bisogna chiarire se la data di riferimento per la costituzione sia l’entrata in vigore della legge di conversione o il 24 ottobre. Poi, non è stato disciplinato il trattamento per le pronunce della Cassazione con rinvio. Nel decreto legge, nelle ipotesi di rinvio, per la definizione della lite è necessario versare il 100% delle imposte pretese con l’atto impugnato. Ora, considerata la modifica intervenuta per i giudizi pendenti in primo grado, l’importo dovrebbe verosimilmente scendere al 90%. La relazione illustrativa al decreto, infatti, precisava che nel caso di sentenza della Cassazione con rinvio, la controversia si considera pendente in primo grado senza decisione. Poiché dopo l’emendamento, per i ricorsi pendenti in primo grado, la definizione potrà avvenire con il pagamento del 90% dovrebbe conseguire che i rinvii della Cassazione potranno essere analogamente chiusi con il 90%. Si tratta comunque di una circostanza singolare, atteso che il contribuente potrebbe aver avuto una sentenza in un grado di giudizio favorevole e non beneficerebbe di tale circostanza.

Quanto alla nuova previsione, secondo cui per un doppio grado di giudizio favorevole è dovuto il 5%, occorre comprendere se per «controversie pendenti innanzi alla Corte di Cassazione» debbano intendersi i ricorsi già notificati ovvero quelli i cui termini di impugnazione della sentenza di appello non siano ancora spirati. Va da sé che prevalendo la prima interpretazione, più aderente alla norma, il nuovo beneficio del 5% sarebbe legato alla tempestività del ricorso dell’agenzia delle Entrate alla data di conversione della legge, in assenza del quale, il contribuente potrebbe beneficiare solo del pagamento del 15%.

Nei giorni scorsi sono stati poi approvati tre emendamenti sulla rottamazione ter che rendono più interessante il meccanismo di definizione. Anziché 10 rate, viene consentito il pagamento in un numero massimo di 18 rate, consecutive, la prima e la seconda delle quali, di importo pari al 10% ciascuna delle somme complessivamente dovute ai fini della definizione, scadenti rispettivamente il 31 luglio e il 30 novembre 2019. Le restanti, di pari ammontare, scadenti il 28 febbraio, il 31 maggio, il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno a decorrere dal 2020. È stato poi previsto che l’effetto di inefficacia della definizione non si produce nei casi di tardivo versamento delle rate non superiore a 5 giorni e non sono dovuti interessi.

Fonte “Il sole 24 ore”

E-fattura, esonero limitato per medici e farmacisti

Si amplia il numero dei soggetti esclusi dalla e-fattura obbligatoria tra privati, con inclusione tra questi di tutti coloro che trasmettono i dati al sistema della tessera sanitaria e le associazioni sportive dilettantistiche. Inoltre, la moratoria che renderà più soft l’entrata in vigore dell’obbligo si estende da giugno a settembre. Queste sono le ultime novità che sono state inserite tra gli emendamenti approvati nel percorso di conversione del Dl 119/2018. Gli emendamenti sui soggetti esclusi, molto attesi dalle categorie interessate, presentano però delle condizioni che vanno attentamente rispettate per evitare errori e sanzioni.

Operatori sanitari

L’esonero degli operatori sanitari dall’obbligo di emettere fattura elettronica incontra due tipologie di limiti, il primo di ordine temporale in quanto le operazioni che non dovranno essere documentate con tracciato xml attraverso il Sistema di interscambio sono solamente quelle effettuate nel 2019. L’esclusione da un punto di vista oggettivo riguarda inoltre unicamente le fatture i cui dati sono inviati al Sistema tessera sanitaria: tutto ciò che non viene quindi trasmesso tramite questo canale, funzionale alla elaborazione della dichiarazione dei redditi precompilata, va documentato con emissione di una fattura elettronica. L’esonero interessa potenzialmente tutti gli operatori sanitari tenuti all’invio dei dati al Sistema tessera sanitaria ricompresi nell’elenco contenuto all’articolo 3 del Dlgs 175/2014 e, quindi, aziende sanitarie locali, aziende ospedaliere, istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, policlinici universitari, farmacie pubbliche e private, presidi di specialistica ambulatoriale, strutture per l’erogazione delle prestazioni di assistenza protesica e di assistenza integrativa, altri presidi e strutture accreditati per l’erogazione dei servizi sanitari e iscritti all’Albo dei medici chirurghi e degli odontoiatri oltre a professionisti sanitari quali psicologi, veterinari, infermieri, tecnici radiologi, ostetrici, nonché ottici.

Sport dilettanti

Le associazioni sportive senza scopo di lucro affiliate alle federazioni sportive nazionali o agli enti nazionali di promozione sportiva che svolgono attività sportive dilettantistiche che hanno optato per il regime speciale Iva e imposte dirette di cui alla L 398/1991:

sono esonerate dall’obbligo della fattura elettronica a condizione che, nel periodo d’imposta precedente hanno conseguito dall’esercizio di attività commerciali proventi per un importo non superiore a 65mila euro;

devono, nel caso i cui i predetti proventi siano superiori a 65mila euro, assicurare che i loro committenti o cessionari soggetti passivi d’imposta emettano per loro conto la fattura elettronica.

Inoltre, gli obblighi di fatturazione e registrazione dei contratti di sponsorizzazione e pubblicità delle predette associazioni nei confronti di soggetti stabiliti in Italia sono eseguiti per loro conto dai cessionari.

Corrispettivi tessera sanitaria

Altro emendamento approvato riguarda la trasmissione telematica dei corrispettivi giornalieri obbligatoria dal 1° gennaio 2020, e anticipata al 1° luglio 2019 per i soggetti con volume d’affari superiore a 400mila euro. Il testo originario del decreto-legge limitava ai soli operatori sanitari che vendono farmaci la possibilità di assolvere all’obbligo avvalendosi di strumenti e canali già utilizzati per l’invio dei dati al Sistema tessera sanitaria. In sede di conversione sono stati ricompresi tutti i soggetti tenuti all’invio dei dati tessera sanitaria. Con decreto del ministro della Salute, di concerto con i ministri dell’Economia e delle finanze e per la Pubblica amministrazione, sentito il Garante privacy, saranno definiti termini, ambiti di utilizzo di tali dati e modalità tecniche di trasmissione.

Fonte “il sole 24 ore”

Fattura elettronica, codici diversi per operazioni esenti e fuori campo

Anche il prossimo anno, non sarà obbligatoria l’emissione delle fatture con Iva esclusa, ad esempio, per addebitare gli interessi di mora, le penalità o i rimborsi spese anticipati in nome e per conto della controparte, ovvero l’emissione di quelle non soggette a Iva o fuori campo Iva (risposte delle Entrate al videoforum del Sole 24 Ore del 12 novembre 2018 ). Se però si decide di emetterle, deve essere indicato il corretto codice natura dell’operazione senza Iva: N1 per quelle escluse da Iva e N2 per quelle non soggette a Iva (ad esempio, le cessioni in regime monofase, ad esempio, di generi di monopolio tabacchi, di quotidiani, periodici, libri o di schede telefoniche prepagate).

Fatture transfrontaliere
Per le fatture attive verso propri clienti non residenti o non stabiliti in Italia ovvero clienti solo identificati, invece, la fattura va sempre emessa e, per evitare l’esterometro, sarà possibile accordarsi con il proprio cliente (ad esempio, società del gruppo) per l’invio allo stesso della e-fattura, in formato xml, tramite lo Sdi (punto 9.2, provvedimento del 30 aprile 2018, che consente questa procedura anche per le fatture da fornitori esteri). Il cliente estero dovrà dotarsi di una pec ovvero del codice destinatario (ad esempio, di un intermediario). In alternativa a questo metodo, per evitare l’esterometro, la fattura cartacea emessa al cliente estero dovrà essere trasformata in fattura elettronica, per essere inviata allo Sdi, indicando nel campo «CodiceDestinatario» il codice «XXXXXXX».
A differenza della prima esenzione dall’invio, questa è possibile solo per le fatture attive e lo Sdi non invia nulla al cliente estero.

Natura dei servizi Ue o extra-Ue
Sia per le fatture attive emesse attraverso lo Sdi che per quelle solo inviate allo Sdi, va prestata attenzione al fatto che, sia i servizi resi a soggetti extra-Ue che quelli resi a soggetti Ue sono operazioni «non soggette» a Iva «per mancanza del requisito territoriale» previsto dall’articolo 7-ter, del Dpr 633/1972, ma solo per le prestazioni di servizi effettuati nei confronti di un soggetto stabilito fuori dall’Unione europea, in fattura deve essere riportata l’annotazione «operazione non soggetta». Per le prestazioni verso soggetti Iva Ue, invece, va riportata l’annotazione «inversione contabile» (articolo 21, comma 6-bis, lettera a, del Dpr 633/1972). Per questo motivo, le e-fatture emesse per i servizi resi a soggetti extra-Ue dovranno avere natura N2 (non soggetti a Iva) – circolare 1/E/2017, paragrafo 4 – , mentre quelle per servizi resi a soggetti Ue avranno natura N6 (inversione contabile). La risposta è contenuta in una Faq dell’agenzia delle Entrate del 2 ottobre 2017, nel portale Fatture e corrispettivi, riferita allo spesometro, ma è applicabile ora anche per le fatture elettroniche.
Secondo l’agenzia delle Entrate, infatti, in linea generale, vale il principio che nello spesometro vada riportata l’imposta o la sua natura così come è riportata nel documento emesso. Ecco che i servizi resi a soggetti extra-Ue, dove le fatture hanno l’annotazione «operazione non soggetta», vanno classificati con la natura N2 (non soggetti a Iva) – circolare 1/E/2017, paragrafo 4 – mentre i servizi resi a soggetti Ue, dove le fatture hanno l’annotazione «inversione contabile», vanno classificati con la natura N6 (inversione contabile).

Autofattura e natura N6
Si segnala che l’allegato A al provvedimento 30 aprile 2018, commentando la natura N6, inversione contabile, riporta ancora le indicazioni che erano state date per la compilazione della sezione Dtr dello spesometro, relativa alle fatture ricevute (allegato al provvedimento 27 marzo 2017, n. 58793), in quanto dice che questa natura dovrà essere utilizzata non solo per le operazioni attive in reverse charge, ma anche per «l’autofatturazione per acquisti extra Ue di servizi ovvero per importazioni di beni nei soli casi previsti». Si ritiene che questa informazione debba essere eliminata, in quanto vige l’esenzione di inviare allo Sdi gli acquisti e i servizi ricevuti da soggetti non residenti o non stabiliti ovvero solo identificati in Italia, ancorché documentati da autofattura.

Fonte “Il sole 24 ore”

Domande esperti – risposte Agenzia Entrate (Fatturazione Elettronica)

Detrazione indebita

Domanda: Il cedente emette il 21 aprile, in luogo della fattura elettronica, una fattura cartacea. Il cessionario per distrazione pur non avendo la fattura elettronica, sulla base della fattura cartacea detrae l’imposta nella liquidazione del 16 maggio. Nel caso in cui il cessionario riceva la fattura elettronica il 13 maggio e provveda entro il 15 maggio a stornare la registrazione precedente ed annotare la fattura elettronica nel registro dell’articolo 25 sarà sanzionabile?

Risposta:Nel caso di specie si ritiene che avendo ricevuto la fattura elettronica entro il termine della propria liquidazione periodica, la sanzione non sarebbe applicabile.Al contrario,se non riceve la fattura elettronica via Sdi entro la liquidazione periodica in cui ha operato la detrazione la sanzione risulterà applicabile, in quanto ha detratto l’Iva in assenza di una fattura regolare (cioè, la fattura elettronica via Sdl).

Sparisce lo spesometro

Domanda: Le fatture emesse da minimi, forfettari nonché in regime di vantaggio, verso operatori Iva residenti e stabiliti non sono più soggette ad alcuna forma di comunicazione (spesometro)?

Risposta: L’articolo 1,comma 3 bis,del Dlgs 127/15 stabilisce un obbligo di comunicazione dei dati delle sole fatture relative ad operazioni transfrontaliere, cioè quelle da o verso soggetti non residenti o non stabiliti nel territorio dello Stato; inoltre la legge di Bilancio 2018 ha abrogato l’articolo 21 del Dl 78/2010 con riferimento alle operazioni di cessione di beni e prestazioni di servizi effettuate a partire dal 10 gennaio 2019 (il cosiddetto “nuovo spesometro”). Conseguentemente, per le fatture ricevute da un soggetto passivo Iva che rientra nel regime forfettario o di vantaggio a partire dal 10 gennaio 2019 non sussisterà più l’obbligo di comunicazione “spesometro”.

Gli omaggi passano dallo Sdi

Domanda: Le autofatture emesse per omaggi rientrano nella fattispecie dell’obbligo di fatturazione elettronica dal prossimo 1° gennaio 2019? Se sì, sono previsti particolari documenti?

Risposta: Sì, le fatture per omaggi vanno emesse come fatture elettroniche e inviate al Sistema d’interscambio.

Autofatture in reverse charge

Domanda: Le autofatture fatte in caso di reverse charge vanno inviate al Sistema di interscambio? Se le autofatture hanno la stessa numerazione delle fatture attive (che invio allo Sdi) posso conservare le autofatture cartacee e le fatture B2B in modalità digitale?

Risposta: Per quanto riguarda le operazioni in reverse charge bisogna fare una distinzione di base. Per gli acquisti intracomunitari e per gli acquisti di servizi extracomunitari, l’operatore Iva residente o stabilito in Italia sarà tenuto a effettuare l’adempimento della comunicazione dei dati delle fatture d’acquisto ai sensi dell’articolo 1, comma 3 bis, del Dgs 127/15. Per gli acquisti interni peri quali l’operatore Iva italiano riceve una fattura elettronica riportante la natura “N6”, in quanto I’operazione è effettuata in regime di inversione contabile, ai sensi dell’articolo 17 del Dpr 633/72, l’adempimento contabile previsto dalle disposizioni normative in vigore prevede una “integrazione” della fattura ricevuta con l’aliquota e l’imposta dovuta e la conseguente registrazione della stessa ai sensi degli articoli 23 e 25 del Dpr 633/72. Al fine di rispettare il dettato normativo, I’Agenzia ha già chiarito con la circolare 13/E del 2 luglio 2018 che una modalità alternativa all’integrazione della fattura possa essere la predisposizione di un altro documento, da allegare al file della fattura in questione, contenente sia i dati necessari per l’integrazione sia gli estremi della stessa. Al riguardo, si evidenzia che tale documento — che per consuetudine viene chiamato “autofattura” poiché contiene i dati tipici di una fattura e, in particolare, l’identificativo Iva dell’operatore che effettua l’integrazione sia nel campo del cedente/ prestatore che in quello del cessionario/committente – può essere inviato al Sistema di Interscambio e, qualora l’operatore usufruisca del servizio gratuito di conservazione elettronica offerto dall’agenzia delle Entrate, il documento verrà portato automaticamente in conservazione.

Fatture per conto terzi

Domanda:  ln presenza di soggetti che emettono la fattura per conto di altri soggetti come nel caso delle cooperative che la emettono per conto dei propri soci (articolo 34, comma 7, Dpr 633/72), i soggetti emittenti sono anche destinatari della fattura. Si chiede se il cedente possa ricevere la fattura emessa per suo conto nella sua area riservata e l’acquirente-emittente glielo comunica con modalità estranee allo Sdl.

Risposta: Lo Sdl consegna la fattura all’indirizzo telematico (Pec o codice destinatario) riportato nella fattura stessa: pertanto, nel caso di fattura emessa dal cessionario/committente per conto del cedente/prestatore, qualora nella fattura elettronica sia riportato l’indirizzo telematico del cedente/prestatore lo Sdl consegnerà a tale indirizzo la fattura, salvo il caso in cui il cessionario/committente abbia utilizzato il servizio di registrazione presente nel portale Fatture e Corrispettivi.

Passaggi interni dallo Sdi

Domanda:  Le fatture relative ai passaggi interni ai sensi dell’articolo 36 del decreto Iva, seguono le regole ordinarie e quindi vengono trasmessi all’emittente mediante SDI?

Risposta: Sì, le fatture relative a passaggi interni devono essere fatture elettroniche inviate allo Sdl.

Niente e-fatture fuori campo

Domanda:  Sono obbligato ad inviare le fatture fuori campo Iva?

Risposta: Perle operazioni fuoricampo di applicazione dell’Iva (ad esempio, le operazioni “monofase” di cui all’articolo 74 del Dpr 633/72), le disposizioni di legge stabiliscono che l’operatore non è tenuto ad emettere una fattura. Tali disposizioni non sono state modificate con l’introduzione della fatturazione elettronica, pertanto l’operatore non sarà obbligato ad emettere fattura elettronica. Per completezza, tuttavia, si evidenzia che le regole tecniche stabilite dal provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate del 30 aprile 2018 consentono di gestire l’emissione e la ricezione via Sdl anche di fatture elettroniche “fuori campo Iva” con il formato XML: pertanto, qualora l’operatore decida di emettere una fattura per certificare le predette operazioni, dovrà emetterla elettronicamente via Sdl utilizzando il formato XML. In tale ultimo caso, il “codice natura” da utilizzare per rappresentare tali operazioni è “N2”.

Possibile indicare più Pec

Domanda: L’impresa, anziché utilizzare l’indirizzo Pec iscritto al Registro Imprese (che rappresenta l’equivalente “elettronico” dell’indirizzo “fisico” della sede legale) può dotarsi di un altro indirizzo Pec da destinare esclusivamente alla fatturazione elettronica (per tutte le fatture sia da emettere che da ricevere)? E se sì ha lo stesso valore fiscale/legale?

Risposta:  Il provvedimento del 30 aprile 2018 e le relative specifiche tecniche ammettono certamente la possibilità di utilizzare più Indirizzi telematici”, quindi anche più Pec, anche diverse da quella legale registrata in Inipec (indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata www.inipec.gov.it).

Peraltro, l’operatore Iva residente o stabilito può scegliere anche di trasmettere e/o ricevere le sue fatture attraverso l’indirizzo telematico (ad esempio Pec) del suo intermediario o di un soggetto terzo che offre servizi di trasmissione e ricezione delle fatture elettroniche, senza necessità di comunicare alcuna “delega” in tal senso all’Agenzia delle entrate. Il Sistema di interscambio, come un postino, si limita a recapitare le fatture elettroniche all’indirizzo telematico (come la Pec) che troverà riportato nella fattura elettronica salvo che l’operatore Iva che appare in fattura come cessionario/committente non abbia preventivamente “registrato” nel portale “Fatture e Corrispettivi” l’indirizzo telematico (Pec o codice destinatario) dove intende ricevere di default tutte le fatture elettroniche trasmesse dai suoi fornitori. Per maggiori chiarimenti si rimanda alla guida sulla fatturazione elettronica pubblicata nell’area tematica della home page del sito dell’agenzia delle Entrate.

Fattura 2018 in ritardo

Domanda: Come dobbiamo trattare le fatture di acquisto datate 2018 ma ricevute nel 2019, non in formato elettronico, ma cartacee oppure via mail?

Risposta: L’obbligo di fatturazione elettronica scatta, in base all’articolo 1, comma 916, della legge di Bilancio 2018 (legge 27 dicembre 2017 n. 205), per le fatture emesse a partire dal 10 gennaio 2019. Pertanto, il momento da cui decorre l’obbligo è legato all’effettiva emissione della fattura. Nel caso evidenziato nel quesito se la fattura è stata emessa e trasmessa nel 2018 (la data è sicuramente un elemento qualificante) in modalità cartacea ed è stata ricevuta dal cessionario/committente nel 2019, la stessa non sarà soggetta all’obbligo della fatturazione elettronica. Ovviamente, se il contribuente dovesse emettere una nota di variazione nel 2019 di una fattura ricevuta nel 2018, la nota di variazione dovrà essere emessa in via elettronica.

Fattura non trasmessa

Domanda: Dal 2019, se un fornitore non invierà la fattura elettronicamente, il contribuente perderà la possibilità di detrarre l’Iva? Sarà comunque tenuto a pagare l’importo pattuito?

Risposta: Se il fornitore non emette la fattura elettronica, trasmettendola al Sistema di interscambio, la fattura non si considera fiscalmente emessa. Pertanto il cessionario/committente (titolare di partita Iva) non disporrà di un documento fiscalmente corretto e non potrà esercitare il diritto alla detrazione dell’Iva. Questo gli impone di richiedere al fornitore l’emissione della fattura elettronica via Sdl e, se non la riceve, è obbligato ad emettere autofattura ai sensi dell’articolo 6, comma 8, del Dlgs 471/97. Con la regolarizzazione potrà portare in detrazione l’Iva relativa.Le disposizioni di cui all’articolo 1 del Dlgs n. 127/15 in tema di fatturazione elettronica hanno rilevanza fiscale. In relazione ai pagamenti, varranno le regole e gli accordi commerciali stabiliti tra le parti.

Possibile la fattura differita

Domanda: Nell’ambito della fattura elettronica è possibile l’uso della fattura differita?

Risposta: L’introduzione dell’obbligo di fatturazione elettronica non ha modificato le disposizioni di cui all’articolo 21, comma 4,del Dpr 633/72 e quindi è possibile l’emissione di una fattura elettronica “differita”. Secondo la norma si può emettere una fattura entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione dell ‘operazione di cessione di beni o prestazioni di servizi. A titolo d’esempio, quindi, per operazioni di cessione di beni effettuate il 20 gennaio 2019, l’operatore Iva residente o stabilito potrà emettere una fattura elettronica “differita” il 10 febbraio 2019 avendo cura di: e al momento della cessione (20 gennaio), emettere un Ddt o altro documento equipollente (con le caratteristiche determinate dal Dpr 472/1996) che accompagni la merce; e datare la fattura elettronica con la data del 10 febbraio 2019 indicandovi i riferimenti del documento o dei documenti di trasporto (numero e data); e far concorrere l’Iva alla liquidazione del mese di gennaio.

Una copia al condominio

Domanda: Dal 1° gennaio 2019 quali sono gli obblighi in termini di fattura elettronica a carico di amministratore e condomini?

Risposta:  Il condominio non è un soggetto titolare di partita Iva e non emette fattura.

Gli operatori Iva residenti o stabiliti che emetteranno fattura nei confronti di un condominio saranno tenuti ad emettere fattura elettronica via Sdl considerando il condominio alla stregua di un “consumatore finale”. Pertanto, come previsto dal provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate del 30 aprile 2018: e nel compilare la fattura elettronica riporteranno il codice fiscale del condominio nel campo dell’identificativo fiscale CF del cessionario/ committente; e valorizzeranno il campo “codice destinatario” della fattura elettronica con il codice convenzionale “0000000” e invieranno la fattura elettronica al Sdl;

o consegneranno una copia della fattura elettronica trasmessa – in formato analogico o elettronico – al condominio. Nella copia dovrà essere esplicitamente detto che si tratta della copia della fattura trasmessa e che il documento fiscalmente valido sarà esclusivamente quello disponibile nell’area riservata.

L’agenzia delle Entrate metterà a disposizione del condominio la fattura elettronica correttamente elaborata dallo Sdl, in un’apposita area riservata del sito dell’Agenzia.

Si coglie l’occasione per evidenziare che tali regole valgono anche per gli enti non commerciali non titolari di partita Iva.

Privati, documento via mail

Domanda:  I professionisti dal 2019 saranno obbligati ad emettere fatture elettroniche anche ai cittadini senza partita Iva. Il cliente può pretendere di ricevere comunque la versione cartacea o in formato Pdf? Se fornisce la Pec, gli si deve inviare a quell’indirizzo la fattura elettronica oppure è tenuto a scaricarla dallo Sdl?

Risposta: Come stabilito dall’articolo 1 del Dlgs 127/15, l’operatore Iva residente o stabilito è obbligato ad emettere la fattura elettronica anche nei rapporti con i privati consumatori finali (B2C) e a consegnare agli stessi una copia, della fattura elettronica emessa, in formato analogico o elettronico salvo che il cliente non rinunci ad avere tale copia.

La rinuncia della copia analogica o elettronica della fattura potrà più facilmente avvenire se l’operatore Iva ricorderà al cliente che potrà consultare facilmente la fattura elettronica nella sua area riservata del sito dell’agenzia delle Entrate, in una specifica sezione accanto a quella della sua dichiarazione precompilata.

Infine si sottolinea che tanto i consumatori finali persone fisiche quanto gli operatori che rientrano nel regime forfettario o di vantaggio, quanto i condomini e gli enti non commerciali, possono sempre decidere di ricevere le fatture elettroniche emesse dai loro fornitori comunicando a questi ultimi, ad esempio, un indirizzo Pec (sempre per il tramite del Sistema di Interscambio).

Scarto da partita inesistente

Domanda: Nel caso in cui un fornitore invia una fattura verso una partita Iva inesistente o cessata il Sdl scarta questa fattura?

Risposta: Le due ipotesi vanno distinte.

Nel caso in cui la fattura elettronica riporti un numero di partita Iva ovvero un codice fiscale del cessionario/committente inesistente in Anagrafe tributaria, lo Sdl scarta la fattura in quanto la stessa non è conforme alle prescrizioni dell’articolo 21 del Dpr 633/72.

Nel caso in cui la fattura elettronica riporti un numero di partita Iva cessata ovvero un codice fiscale di un soggetto deceduto ma entrambi esistenti in Anagrafe tributaria, lo Sdl non scarta la fattura e la stessa sarà correttamente emessa ai fini fiscali: in tali situazioni l’agenzia delle Entrate potrà eventualmente effettuare controlli successivi per riscontrare la veridicità dell’operazione.

Rifiuto fuori dallo Sdi

Domanda: Nel caso riceva una fattura per merce mai acquistata, cosa devo fare?

Risposta: L’introduzione dell’obbligo di fatturazione elettronica non ha introdotto disposizioni riguardanti il “rifiuto” di una fattura. Pertanto, nel caso in esempio, il cessionario che riceva una fattura per una partita di merce mai ricevuta potrà rifiutarla o contestarla comunicando direttamente con il cedente (via email, telefono eccetera): non è possibile veicolare alcun tipo di comunicazione di rifiuto o contestazione attraverso il canale dello Sdl.

Lo spazio Lettere d’intento

Domanda:  Siamo una società di capitali, fornitrice di un esportatore abituale. Vorremmo sapere dove dobbiamo indicare sulla fatturazione elettronica il numero e la data della dichiarazione d’intento ricevuta.

Risposta: La fattura emessa nei confronti di un esportatore abituale deve contenere, ai fini Iva, il numero della lettera d’intento. Si ritiene che I ‘informazione possa essere inserita nell’XML della fattura elettronica utilizzando uno dei campi facoltativi relativi ai dati generali della fattura (ad esempio, “Causale”) che le specifiche tecniche lasciano a disposizione dei contribuenti.

Il registro delle deleghe

Domanda: Perché e con quali modalità occorre tenere il registro delle deleghe?

Risposta: Il nuovo sistema di comunicazione telematica, direttamente da parte dell’intermediario delegato, dei dati per attivare la delega ricalca sostanzialmente la procedura già in uso per l’accesso alla dichiarazione precompilata da parte degli intermediari, procedura già ritenuta idonea dal Garante della Privacy per la protezione e riservatezza dei dati personali. Anche la tenuta del registro rientra nell’ambito del sistema di garanzie previsto a tutela del delegante: in particolare risponde alla finalità di garantire che la delega sia stata acquisita dall’intermediario prima della sua richiesta di attivazione telematica. Il registro può essere tenuto con qualsiasi modalità, anche in formato elettronico (in forma tabellare o foglio elettronico), e richiede la compilazione dei campi previsti nel provvedimento.

Eventuali moduli già acquisiti dai clienti prima del 5 novembre (data di approvazione dei nuovi modelli) e non ancora presentati possono essere registrati con data g novembre, inserendo nel registro una annotazione sul fatto che l’acquisizione della delega è avvenuta prima della data di emanazione del provvedimento.

Originale all’Agenzia

Domanda: Ho acquisito prima del 5 novembre un modulo contenente il conferimento della delega sia ai servizi di fatturazione elettronica sia alla consultazione del cassetto fiscale. Non potendo comunicare in via telematica con le nuove modalità approvate la delega al cassetto fiscale, in caso di presentazione del modulo in ufficio (per il solo cassetto fiscale) come mi devo comportare in relazione alla conservazione dell’originale?

Risposta:In tal caso, sarà l’ufficio dell’agenzia delle Entrate che conserverà il modulo in originale, rilasciando la relativa ricevuta, e nel registro delle deleghe potrà essere riportata l’annotazione con la quale si evidenzia che il modulo in originale è conservato presso l’ufficio dell’Agenzia dove è stato presentato (riportando il nome dell’ufficio e il numero di protocollo della ricevuta).

Fatture di acquisto senza più numerazione progressiva

Soppressione della numerazione progressiva per le fatture d’acquisto con effetto immediato. L’articolo 13 del Dl 119/2018 ha modificato l’articolo 25 del Dpr 633/1972 con decorrenza già dal 24 ottobre 2018 (data di entrata in vigore del decreto fiscale), sostituendo il primo inciso con la seguente previsione: «Il contribuente deve annotare in un apposito registro le fatture e le bollette doganali relative ai beni e ai servizi acquistati o importati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione, comprese quelle emesse a norma del secondo comma dell’articolo 17».

L’abolizione, di fatto, della prassi della protocollazione delle fatture di acquisto è certamente una semplificazione se si considera l’intangibilità della fattura elettronica e la caratteristica propria del suo formato Xml di per sé immodificabile, nonché considerando l’assegnazione da parte del Sistema di interscambio di un hash univoco quale strumento di identificazione della fattura elettronica.

Tuttavia, la nuova norma recita ancora «comprese quelle emesse a norma del secondo comma dell’articolo 17». E questa formulazione sembrerebbe aprire la porta all’eliminazione della numerazione progressiva sia per le autofatture riferite alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non residenti nei confronti di soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato, per cui gli obblighi Iva devono essere adempiuti dai cessionari o committenti, sia per le autofatture per le operazioni effettuate da un soggetto passivo stabilito in un altro Stato membro dell’Unione europea, per cui lo stesso articolo 17 dispone che il cessionario o committente adempia gli obblighi di fatturazione di registrazione secondo le disposizioni degli articoli 46 e 47 del Dl 331/1993.

Per queste operazioni, che richiederanno la trasmissione al Sistema di interscambio dell’autofattura elettronica identificata dalle specifiche tecniche con codice TD20, l’abolizione della numerazione progressiva genera una lacuna nel registro Iva vendite in cui le stesse dovrebbero essere annotate. Peraltro per quest’ultimo registro la numerazione progressiva è ancora obbligatoria, pertanto l’errore generato dalla dimenticanza del legislatore verrebbe colmato dalla disposizione dell’articolo 23 del Dpr 633/1972 che sancisce la progressività della numerazione per il ciclo attivo.

Per di più se si considera che la norma è già in vigore in pieno corso d’anno d’imposta, non si comprende la scelta di far decorrere la modifica sin da subito e non in concomitanza dell’avvio della fatturazione elettronica dal 1° gennaio 2019 a favore di cui la norma sembrerebbe essere stata concepita, ingenerando, di fatto, una discontinuità nelle modalità di tenuta del registro Iva acquisti, il quale si troverebbe ad essere inevitabilmente disomogeneo, essendo obbligatoria l’annotazione progressiva per le fatture registrate fino al 23 ottobre 2018 mentre non più necessaria per quelle registrate dal 24 ottobre 2018.

Fonte “Il sole 24 ore”

Indirizzo da registrare sul sito delle Entrate

di Alessandro Mastromatteo e Benedetto Santacroce

La gestione elettronica delle fatture passive ricevute dai soggetti Iva, anche alla luce delle problematiche sorte dal 1° luglio ad oggi, impone alle imprese e ai professionisti una serie di scelte necessarie, tra l’altro, per semplificare i rapporti con i fornitori, per avere un monitoraggio completo delle operazioni effettuate e per definire le regole per gli acquisti realizzati dai dipendenti nel corso delle trasferte.

Preregistrazione dell’indirizzo

I cessionari/committenti devono far sì che il processo di ricezione delle fatture sia il più semplice e diretto possibile, allo scopo di evitare che le fatture invece di essere automaticamente recapitate rimangano per un certo tempo a disposizione su l’area riservata del sito dell’agenzia delle Entrate. Questa semplificazione deve però rispettare la struttura organizzativa dell’impresa. In pratica l’impresa si deve interrogare se vuole avere un indirizzo telematico unico ovvero se preferisce mantenere distinti punti di accesso delle fatture. In via generale riteniamo che la scelta migliore sia sempre quella di avere un unico indirizzo telematico. Questo perché, oltre ad essere una sicurezza gestionale, consente di superare eventuali comportamenti non coordinati dei fornitori.

La scelta di un indirizzo telematico unico si opera accedendo al servizio di registrazione delle Entrate (nell’area del sito “fatture e corrispettivi”). Questa registrazione consente al contribuente di ricevere la fattura anche nel caso in cui il cedente/prestatore indichi un indirizzo sbagliato ovvero indichi nel codice destinatario, l’indirizzo convenzionale di “0000000”. In tutti questi casi lo SdI si disinteressa di quanto indicato dal fornitore e abbina l’indirizzamento con la partita Iva registrata. Ovviamente la scelta opposta (e necessariamente alternativa) di avere più indirizzi (si pensi, ad esempio nel mondo della moda a due Pec, una per gli acquisti di abiti e una per gli acquisti di accessori) è una scelta a cui deve corrispondere una distinta responsabilità operativa. Lo stesso risultato si può ottenere attraverso la creazione di una codifica direttamente nel Xml.

Comunicazioni preventive

Il rapporto con il fornitore va semplificato attraverso la tempestiva e completa risposta alle comunicazioni che il cessionario/committente riceverà dal fornitore ovvero inviando direttamente a quest’ultimo una comunicazione preventiva. La comunicazione risulterà particolarmente tranquillizzante quando la stessa riporterà un indirizzo telematico unico (dovuto ad una registrazione preventiva presso l’Agenzia) ovvero quando, anche in caso di separazione fornirà dei criteri distintivi molto netti e chiari.

Al fornitore, però, non va indicato solo il mero codice destinatario, ma va sfruttata la comunicazione per aggiornare le anagrafiche, per fornire punti di contatto e specifiche operative.

Monitoraggio delle fatture passive e autofattura spia

Due temi nuovi che derivano dalla presenza tra fornitore e cliente del sistema d’interscambio sono: la necessità di monitorare sul web le fatture ricevute dall’Agenzia e non presenti presso l’indirizzo del cliente; l’obbligo di gestire con maggiore tempestività, attraverso l’emissione di un’autofattura, i casi in cui l’operazione è effettuata ai fini Iva e il cliente non riceve la fattura nei limiti della tempistica di regolarizzazione normativamente prevista (nelle operazioni nazionali dopo 4 mesi dall’effettuazione dell’operazione).

Per questa necessità sembra importante che il cessionario/committente monitori periodicamente le fatture ricevute dallo SdI e riportate nell’area riservata del contribuente. Inoltre, sembra il caso di predisporre dei presidi che impongano delle attivazioni periodiche: per esempio in caso di merci consegnate, il contribuente dovrà monitorare il successivo invio tramite SdI della relativa fattura. Analogamente per le fatture inserite in contabilità come fatture da ricevere il contribuente si dovrà attivare per monitorare l’arrivo delle fatture, non solo per motivi Iva, ma anche di bilancio.

Spese di trasferta

Ulteriore scelta da fare è se imporre al dipendente il ricevimento della fattura nel caso in cui effettui degli acquisti di beni e servizi durante la trasferta. La predetta scelta di imporre le fatture, che sicuramente è più in linea con la normativa vigente, può essere semplificata fornendo ai dipendenti un QRcode creato attraverso il sito dell’agenzia delle Entrate con cui il dipendente è in grado, in modo tempestivo e senza errori, di fornire tutti i dati identificativi al fornitore.

Fonte “Il sole 24 ore”

Il regime semplificato non esclude passaggi al forfettario

di Salvina Morina e Tonino Morina

L’omessa indicazione dell’opzione nella dichiarazione annuale Iva, per l’applicazione del regime semplificato, anche se non è vincolante per l’efficacia del regime scelto, è comunque una violazione sanzionabile. Il contribuente può, però, avvalersi del ravvedimento operoso, riducendo la sanzione. Vale il comportamento concludente del contribuente, che però non è vincolato alla permanenza triennale nel regime, con la conseguenza che la scelta per la contabilità semplificata non preclude il passaggio al regime forfettario, se in possesso dei requisiti di legge. È questa la risposta fornita dall’agenzia delle Entrate, con la risoluzione 64/E di ieri, a seguito di un’istanza di interpello.

Nell’istanza, il contribuente ha specificato che, pur essendo in possesso dei requisiti per accedere al regime forfettario di cui all’articolo 1, commi da 54 a 89, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, fin dall’anno 2015 ha sempre svolto l’attività di parrucchiera in regime di contabilità semplificata, di cui all’articolo 18 del Dpr 600/1973, determinando l’Iva nei modi ordinari, cosiddetto regime normale Iva da Iva, adottando semplicemente un «comportamento concludente».

Nel 2017, il contribuente ha optato per il nuovo regime semplificato, cosiddetto di cassa, di cui al comma 5 dell’articolo 18 Dpr 600/1973 secondo il quale «previa opzione, vincolante per almeno un triennio, i contribuenti possono tenere i registri ai fini dell’imposta sul valore aggiunto senza operare annotazioni relative a incassi e pagamenti (…). In tal caso, per finalità di semplificazione si presume che la data di registrazione dei documenti coincida con quella in cui è intervenuto il relativo incasso o pagamento».

Per l’agenzia delle Entrate, la scelta per comportamento concludente, effettuata a partire dal 2015, di avvalersi del regime semplificato, invece di quello forfettario, non vincola il contribuente alla permanenza triennale nel regime semplificato in quanto si tratta di regime «naturale» per i contribuenti minori. Non rileva nemmeno il fatto che, dal 2017, il contribuente determina il reddito secondo il «criterio di cassa» poiché si tratta, anche stavolta, del regime «naturale» dei contribuenti in contabilità semplificata in presenza dell’opzione di cui all’articolo 18 comma 5 del Dpr 600/1973.

Per l’agenzia delle Entrate, il vincolo triennale rileva solo per i contribuenti che scelgono di rimanere nel regime semplificato di cui all’articolo 18, comma 5, e non anche per quelli che, in possesso dei requisiti di legge, scelgono di accedere al regime forfettario. Ne consegue che il contribuente, in possesso dei requisiti di legge, può transitare dal regime semplificato al regime forfettario senza vincolo triennale di permanenza nel semplificato e, di conseguenza, avvalersi già per l’anno 2018 del regime forfettario. In definitiva, il nuovo regime di contabilità semplificata si rivela sempre più complicato.

Fonte “Il sole 24 ore”

Il Fisco mette sotto tiro i costi dedotti per accordi transattivi

di Rosanna Acierno

Sempre più spesso gli Uffici recuperano a tassazione i costi che il contribuente, attraverso accordi di transazione, ha sostenuto per prevenire o decretare la cessazione di liti legali sorte nell’esercizio dell’attività. Si tratta, in sostanza, dei casi molto frequenti in cui un’impresa, o anche un professionista o altri titolari di partita Iva, corrispondono somme di denaro ad altri soggetti, in base a un accordo scritto (detto, appunto, «transazione») con cui, mediante reciproche concessioni, pongono fine a una lite già sorta o che sta per cominciare (articolo 1965 del Codice civile).

Sotto un profilo fiscale, colui che corrisponde le somme a titolo di transazione ad un altro soggetto per risarcirlo (in parte), ad esempio, del danno arrecatogli o per indennizzarlo (sempre in parte), ad esempio, per un mancato guadagno, generalmente le deduce integralmente dal proprio reddito nell’esercizio in cui la relativa spesa viene sostenuta, sebbene nel Tuir non si rinvenga una norma che considera sopravvenienze passive le indennità da corrispondere a titolo di risarcimento di danni. Secondo, infatti, quanto previsto dall’articolo 101, comma 4, del Tuir, rappresentano sopravvenienze passive le spese, le perdite o gli altri oneri sostenuti a fronte di ricavi o di altri proventi che hanno concorso a formare il reddito in precedenti esercizi. A sua volta, il soggetto che riceve le somme dovrebbe considerarle come sopravvenienze attive e dovrebbe assoggettarle a tassazione in base al principio di competenza, così come previsto dall’articolo 109, commi 1 e 2, del Tuir.

Tuttavia, in questi casi, nel corso di verifiche e accertamenti nei confronti soprattutto dei soggetti erogatori delle somme il Fisco tende a disconoscerne la deducibilità per diverse ragioni.

A volte accade che la deduzione sia disconosciuta per il presunto carattere di liberalità che sarebbe connesso all’esborso finanziario e/o per difetto di inerenza, laddove gli accertatori ritengano che il sostenimento del costo non sia strettamente funzionale alla produzione dei ricavi.

In altri casi, il disconoscimento della deduzione della spesa sostenuta viene giustificata dagli Uffici per presunta antieconomicità della transazione perché magari ritenuta ingente e poco conveniente o, ancora, per l’assenza di certezza ritenendo che, ai fini della determinazione del reddito d’impresa, i componenti economici relativi a una controversia divengono certi e obiettivamente determinabili quando la loro valutazione estimativa si basa su criteri non soggettivi, ma oggettivi. Pertanto, per gli accertatori, gli oneri relativi a una controversia diventano certi e oggettivamente determinabili soltanto a seguito della chiusura definitiva della controversia mediante una sentenza di condanna.

In altri casi ancora, i costi vengono disconosciuti per non aver il contribuente adottato, secondo il Fisco, un comportamento corretto dato che, in base al principio contabile Oic 19, avrebbe dovuto prudenzialmente accantonare negli anni precedenti delle somme a titolo di fondo per rischi, sulla base di una valutazione previsionale della passività potenziale, e dedurre i relativi accantonamenti annuali.

Come è intuibile, il disconoscimento della deduzione operata, a prescindere dalle ragioni addotte dall’ente accertatore, non viene accettato dal contribuente. E questo soprattutto laddove si vede recuperare somme (a volte, anche di ingente valore) corrisposte mezzi tracciabili, e dunque, in maniera certa e inconfutabile, a soggetti terzi, nell’ambito di una transazione stipulata, magari a seguito di estenuanti trattative a suon di carte bollate, per porre fine o per prevenire una controversia che lo avrebbe oltremodo danneggiato.

 Fonte “Il sole 24 ore”

Appalti, niente più deroghe alla responsabilità solidale del committente

di Aldo Bottini

Le eventuali deroghe al regime della responsabilità solidale del committente, contenute nei contratti collettivi stipulati prima del 17 marzo 2017 e negli appalti collegati, non valgono dopo tale data.

Dal marzo dello scorso anno la responsabilità solidale del committente negli appalti non è più derogabile dalla contrattazione collettiva. Ma allora come vanno interpretati i contratti collettivi che ancora oggi prevedono questa deroga? La risposta è stata fornita dal ministero del Lavoro con l’interpello 5/2018, mediante il quale si fornisce un chiarimento di non poco conto sotto il profilo applicativo riguardo al secondo comma dell’articolo 29 del Dlgs 276/2003, così come modificato dall’articolo 2 del decreto legge 25/2017.

La modifica normativa, adottata sotto la pressione del referendum abrogativo proposto dalla Cgil, ha soppresso la possibilità per i contratti collettivi nazionali sottoscritti dalle associazioni comparativamente più rappresentative di escludere la responsabilità solidale del committente con l’appaltatore, entro il limite dei due anni dalla cessazione dell’appalto, per la corresponsione ai lavoratori dei trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto.

Sino all’entrata in vigore della sopra richiamata modifica dell’articolo 29, qualora il contratto collettivo avesse individuato metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti, era possibile escludere la responsabilità solidale del committente. Oggi non è più così.

È stato quindi chiesto al ministero del Lavoro di chiarire come la soppressione della possibilità per i contratti collettivi di derogare al regime di solidarietà negli appalti possa combinarsi con il fatto che in alcuni contratti siano tuttora previste procedure di verifica della regolarità degli appalti sulla base della disciplina previgente. E ciò, anche alla luce del principio di irretroattività della legge previsto dall’articolo 11 delle disposizioni preliminari del Codice civile.

Il ministero, dopo aver rilevato che per i contratti collettivi di nuova stipulazione è evidentemente esclusa la possibilità di inserire modalità di verifica degli appalti che valgano a derogare al regime della solidarietà, con riguardo ai contratti collettivi in vigore al 17 marzo 2017 ha precisato che eventuali disposizioni derogatorie non possono trovare applicazione ai contratti di appalto sottoscritti successivamente a tale data.

In ogni caso, nessuna deroga al regime di solidarietà può trovare applicazione nei confronti di situazioni e/o fatti che al momento dell’entrata in vigore del decreto legge 25/2017 non erano sorte e non risultavano perfezionate nei loro elementi né nella loro esecuzione. È questo il caso delle obbligazioni retributive derivanti dalla prestazione del lavoratore impiegato nell’appalto successivamente al 17 marzo 2017.

Quindi, se anche il contratto di appalto fosse stato stipulato prima del 17 marzo 2017, per i crediti maturati dal lavoratore nel periodo successivo a tale data non si può comunque derogare al regime della responsabilità solidale eventualmente prevista da disposizioni contrattual-collettive anteriori al 17 marzo 2017 e ancora vigenti.

Tale deroga vale ancora per i crediti maturati nel corso del periodo precedente al 17 marzo 2017, sempre che ricorrano le condizioni previste.

Fonte “Il sole 24 ore”

Omessa dichiarazione, niente sanzioni sul credito compensato

di Antonio Zappi

Un’omissione dichiarativa non preclude il riporto del credito Iva dell’anno precedente e la sua compensazione in F24 non è sanzionabile. Inoltre, senza dover necessariamente attendere la cartella di pagamento, è ammissibile impugnare direttamente anche l’avviso bonario derivante dalla liquidazione automatica e con il quale l’ente impositore contesta l’utilizzo del credito, ex articolo 54-bis del Dpr 633/1972: tale atto, infatti, contiene una specifica pretesa tributaria anche se non è ricompreso nell’elenco dell’articolo 19 del Dlgs 546/1992. A queste conclusioni è giunta la sentenza 14856/46/2018 della Ctp Roma (clicca qui per consultarla ). Nella vicenda in esame, era stata notificata una cartella di pagamento ad un contribuente che, per errore materiale, aveva omesso di “agganciare” al modello Unico 2015 (per il periodo d’imposta 2014) la dichiarazione Iva del medesimo anno, cosicché le Entrate si costituivano in giudizio sostenendo l’inammissibilità dell’impugnazione della comunicazione di irregolarità e, al contempo, contestavano sia il riporto del credito Iva, indicato al rigo VL8 del modello dell’anno successivo, che l’avvenuta compensazione orizzontale del tributo. A parere dell’Ufficio, infatti, il contribuente sarebbe stato intempestivo avendo prodotto la documentazione attestante la spettanza del diritto solo oltre i 30 giorni dalla notifica della comunicazione di irregolarità (circolari 21/E/2013 e 34/E/2012).

Per i giudici romani, invece, non solo il ricorso contro qualsiasi atto portante una pretesa tributaria deve essere ritenuto ammissibile in ragione dei principi costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della Pa (Cassazione 3315/2018), ma che nessuna conseguenza può derivare dalla previsione di un termine di adempimento «fissato non dalla legge, ma dalla stessa Amministrazione mediante circolare amministrativa, che non ha natura perentoria ed ha il solo fine di facilitare l’attività della pubblica amministrazione».

La normativa tributaria, sottolineano i giudici capitolini, «ha da tempo sottolineato il principio secondo cui al mancato rispetto delle formalità deve cedere il passo il dato sostanziale», cosicché, da un lato facendo richiamo all’articolo 10 della legge 212/2000 e, dall’altro lato, osservando come l’Ufficio avrebbe avuto la possibilità di tener conto, ancorché con qualche giorno di ritardo, della natura meramente formale della violazione ascritta alla società ricorrente, avrebbe ben potuto accoglierne i rilievi e non applicare sanzioni, anche in ragione dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia.
Le stesse Sezioni Unite della Cassazione (sentenza 17758/2016) hanno, infatti, sancito che l’omessa dichiarazione non comporta la perdita del credito, potendo questo essere riportato a nuovo e/o compensato, mentre la giurisprudenza di merito ha statuito che dalla compensazione del menzionato credito non possano scaturire neanche le sanzioni pretese dal Fisco, ex articolo 13 del Dlgs 471/1997 (Ctr Sardegna 377/1/2018), ancorché in altro caso, invece, sia stata riconosciuta come corretta solo la sanzione formale per la dichiarazione omessa, ma non quella da indebita compensazione (Ctr Veneto 1093/5/2016).

Fonte “Il sole 24 ore”

Locazioni brevi, entro il 20 agosto l’invio della comunicazione

Il 20 agosto sarà il primo appuntamento per l’invio della comunicazione relativa ai contratti di locazione breve stipulati a partire del 1° giugno 2017. Inizialmente, infatti, l’adempimento doveva concludersi entro lo scorso 30 giugno; tuttavia, le specifiche tecniche per effettuare l’invio sono state pubblicate solo il 12 giugno 2018; pertanto, al fine di consentire agli operatori di recepire la novità, il termine è stato prorogato di 60 giorni dalla pubblicazione delle suddette specifiche (provvedimento del 20 giugno 2018 ), ma cadendo nel periodo di sospensione feriale, la scadenza è slittata, solo per quest’anno, al 20 agosto.
I soggetti tenuti all’adempimento sono gli esercenti l’attività di intermediazione immobiliare e coloro che gestiscono portali telematici che favoriscono l’incontro tra domanda e offerta. Attenzione, però, che non tutti questi soggetti sono obbligati all’invio in quanto, come chiarito dalla circolare 24/E/2017 , la comunicazione deve essere effettuata solo quando «il conduttore ha accettato la proposta di locazione tramite l’intermediario stesso o aderendo alla offerta di locazione tramite la piattaforma on line. Diversamente, nel caso in cui il locatore si avvalga dell’intermediario solo per proporre l’immobile in locazione ma il conduttore comunichi direttamente al locatore l’accettazione della proposta, l’intermediario non è tenuto a comunicare i dati del contratto in quanto ha solo contribuito a mettere in contatto le parti rimanendo estraneo alla fase di conclusione dell’accordo». Di conseguenza, solo nell’ipotesi in cui gli intermediari siano intervenuti direttamente nella conclusione del contratto dovranno effettuare l’invio. Un’altra ipotesi di esclusione si realizza quando gli intermediari abbiano:

• operato, al momento dell’incasso, la ritenuta del 21%, e
• inviato la certificazione unica, attestante l’effettuazione della ritenuta stessa.

Se, invece, il soggetto deve trasmettere la comunicazione, è tenuto ad indicare, per ogni contratto, le seguenti informazioni:
• il nome, cognome e codice fiscale del locatore,
• la durata del contratto,
• l’importo del corrispettivo lordo,
• l’indirizzo dell’immobile.

Qualora, poi, l’intermediario abbia concluso per lo stesso locatore e in riferimento allo stesso immobile più contratti, la comunicazione dei dati può essere effettuata anche in forma aggregata, non dovendo riportare le suddette informazioni per ciascun accordo concluso. Inoltre, va specificata l’ipotesi in cui una delle due parti recede dal contratto, in quanto occorre distinguere a seconda che la comunicazione non sia o sia già stata inviata, poiché nel primo caso, non è necessario trasmettere la dichiarazione, mentre nel secondo caso si deve effettuare un invio rettificativo.
Infine, si fa presente che per effettuare la trasmissione occorre utilizzare i servizi telematici messi a disposizione dell’agenzia delle Entrate, ricordandosi che in caso di omessa, infedele o incompleta comunicazione si applica la sanzione da 250 ad 2.000 euro (articolo 11, comma 1, del Dlgs 471/1997), ridotta alla metà se la trasmissione è effettuata entro i quindici giorni successivi alla scadenza. Se, invece, la comunicazione si riveli errata a causa dal locatore, non si dovrebbero applicare le sanzioni (circolare 24/E/2017 ).

Fonte “Il sole 24 ore”

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Terzo settore, piccoli rimborsi ai volontari con autocertificazione

di Gabriele Sepio

Rimborsi documentati per i volontari con autocertificazione solo per le spese di minore entità previamente individuate dagli organi sociali. Il Codice del Terzo settore (Cts) riprende e rafforza, dunque, le previsioni della legge 266 del 1991, riferendo le nuove disposizioni a tutti gli enti che sceglieranno di iscriversi nell’istituendo Registro unico nazionale del Terzo settore (articolo 17 del Dlgs 117/2017).

Il Codice distingue in maniera netta la figura del volontario da quella del lavoratore. Il primo presta la propria opera a favore della collettività a titolo personale, spontaneo e gratuito, con diritto al rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate e a un’apposita copertura assicurativa. Il secondo, invece, è legato all’ente da un rapporto di lavoro (dipendente o autonomo), percependo quindi la relativa retribuzione. Non è consentito, pertanto, rivestire entrambe le qualità all’interno del medesimo ente (articolo 17, comma 5, del Cts).

Per evitare che dietro alle prestazioni di volontariato possano mascherarsi veri e propri rapporti lavorativi, l’articolo 17 del Codice del Terzo settore vieta la corresponsione ai volontari di rimborsi spese di tipo forfetario. La certificazione del rimborso, pertanto, dovrà essere accompagnata dai documenti idonei a dimostrare l’effettivo sostenimento delle spese da parte del volontario e l’inerenza delle stesse all’attività svolta dall’organizzazione. I limiti massimi e le condizioni del rimborso, inoltre, dovranno essere individuati preventivamente da parte degli dell’ente del Terzo settore. Particolare attenzione andrà prestata al rispetto di queste condizioni: in caso di controlli dell’Amministrazione finanziaria, i rimborsi non documentati o eccedenti i limiti preventivamente stabiliti potrebbero essere qualificati come compensi, con conseguente ripresa a tassazione (si veda, sul punto, l’ordinanza della Cassazione n. 23890 del 2015).

Il Codice del Terzo settore introduce, tuttavia, una semplificazione per le spese di minore entità: se l’importo non supera i 10 euro giornalieri e i 150 euro mensili, è prevista la possibilità di erogare il rimborso a fronte di un’autocertificazione resa dal volontario. In tal caso, l’organo sociale competente (assemblea e/o consiglio di amministrazione) dovrà comunque deliberare in merito all’individuazione delle tipologie di spese e le attività di volontariato per i quali è ammessa questa semplificazione. Il rimborso a fronte di autocertificazione non è consentito, in ogni caso, per le attività di volontariato che hanno ad oggetto la donazione di sangue o di organi (articolo 17, comma 4 del Cts).
L’intento è quello di snellire gli adempimenti per gli acquisti di valore contenuto. Se il volontario spende, ad esempio, per comprare il pranzo, un caffè, o il biglietto del trasporto pubblico, può, in questo modo, evitare di conservare e allegare i relativi scontrini. Resta ferma, in ogni caso, la necessità di indicare nell’autocertificazione il dettaglio delle spese, che dovranno rientrare tra quelle per cui l’ente ha specificamente e preventivamente autorizzato questa tipologia di rimborso.

Fonte “Il sole 24 ore”

Contributo integrativo minimo deducibile ai fini Irpef

di Pierpaolo Ceroli e Luisa Miletta

Un tema spesso ricorrente in occasione della compilazione del modello dichiarativo è quello che riguarda la deducibilità dei contributi erogati alla Cassa di previdenza ed assistenza di categoria da parte dei liberi professionisti.

Ai sensi dell’articolo 10 comma 1 lett. e) del Tuir sono oneri deducibili dal reddito complessivo i contributi previdenziali ed assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge, quindi obbligatori, nonché quelli versati facoltativamente alla gestione della forma pensionistica di appartenenza, tra cui quelli per la ricongiunzione dei differenti periodi assicurativi, per il riscatto degli anni di laurea (sia a fini pensionistici che ai fini della buonuscita) e per la prosecuzione volontaria.

La legge non pone tetti all’importo portato in deduzione dall’imponibile e tali oneri sono deducibili anche se sostenuti per conto di familiari fiscalmente a carico. Un caso particolare riguarda l’impresa familiare in cui il titolare dell’impresa è obbligato al versamento dei contributi previdenziali anche per i familiari che collaborano nell’impresa; tuttavia, poiché per legge il titolare ha diritto di rivalsa sui collaboratori stessi non può mai dedurli, neppure se di fatto non ha esercitato la rivalsa, a meno che il collaboratore non sia anche fiscalmente a carico. I collaboratori, invece, possono dedurre i contributi soltanto se il titolare dell’impresa ha effettivamente esercitato detta rivalsa.

Gli oneri previdenziali che i professionisti devono versare alle rispettive casse professionali sono, invece, di due tipi: il contributo soggettivo, obbligatorio, determinato sulla base di una percentuale del reddito professionale netto prodotto nell’anno precedente, e quello integrativo, pari a una maggiorazione percentuale su tutti i corrispettivi rientranti nel volume annuale di affari ai fini dell’imposta sul valore aggiunto.

Mentre il contributo soggettivo è sempre deducibile, quello integrativo non gode dello stesso trattamento ai fini Irpef, pertanto non è deducibile poiché, essendo assistito dal meccanismo della rivalsa, non concorre, di fatto, alla formazione del reddito di lavoro autonomo, in quanto trattasi di un onere non a carico del professionista bensì del cliente. Sul punto, con la sentenza n. 20784/2016, la stessa Corte aveva affermato che il contributo integrativo non può essere dedotto dal reddito complessivo del professionista nemmeno quando abbia provveduto al pagamento senza riscuoterlo dai propri clienti come previsto dalla norma istitutiva, anche in presenza di situazioni particolari che non hanno consentito di esercitare la rivalsa.

Quello che invece è possibile dedurre dal reddito complessivo è il contributo integrativo minimo, dovuto nell’ipotesi in cui il contribuente abbia realizzato un volume d’affari limitato o pari a zero, qualora questo sia rimasto effettivamente a carico del contribuente, come anche precisato dall’Agenzia nelle risoluzioni 69/2006 e 25/2011.

Il tema della deducibilità dei contributi previdenziali a carico dei professionisti è rilevante ai fini Irap, poiché, soltanto se detti contributi sono qualificabili come costi inerenti all’attività professionale, essi possono concorrere (in diminuzione) alla formazione del valore della produzione netta, ai sensi dell’articolo 8 del Dlgs 446/97.

Fonte “Il sole 24 ore”