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Per il redditometro si profila una revisione condivisa con associazioni di categoria e Istat

di Marco Mobili e Giorgio Pogliotti

Non è un vero e proprio addio al redditometro, piuttosto un’ampia revisione dello strumento, condivisa con associazioni di categoria e Istat.

È una delle novità contenute nell’ultima bozza del decreto legge su occupazione, ludopatia e anti delocalizzazione delle imprese, che verrà portato lunedì al preconsiglio per approdare al primo consiglio dei ministri utile, il giorno stesso o martedì, una volta superato il nodo delle coperture, soprattutto per la norma che vieta il gioco pubblico. Nel pacchetto lavoro, dopo il coro di critiche che si è levato dal mondo produttivo contro la stretta sui contratti a termine e la somministrazione, è arrivata la frenata della Lega: «Capisco la voglia del collega Di Maio di limitare il precariato – ha detto il vicepremier Matteo Salvini – ma faremo attenzione che con la lotta al precariato, sacrosanta, non si danneggino gli interessi dei lavoratori e delle imprese costringendoli al nero». Intervenendo al festival del lavoro in corso a Milano, Salvini ha citato i voucher: «Sono stati ipocritamente cancellati, sono fondamentali in alcuni settori, vanno reintrodotti». Il ministro delle Politiche Agricole, Gian Marco Centinaio, ha aggiunto: «Il datore di lavoro potrà beneficiare di prestazioni lavorative in piena legalità e con coperture assicurative in caso di incidenti, il lavoratore riceverà un compenso esentasse e con i contributi pensionistici».

Il testo del Dl è oggetto di limature, ad esempio sembra verrà cancellata l’abolizione dello staff leasing. Fa discutere anche la norma che assoggetta al limite del 20% attualmente previsto per l’assunzione di lavoratori con contratto a tempo determinato, anche i lavoratori somministrati. Così come l’incremento del costo contributivo crescente di 0,5 punti per ogni rinnovo a partire dal secondo, che si applica al contratto a tempo determinato anche in somministrazione. Vengono reintodotte le causali dal primo rinnovo di un contratto a termine, senza che venga previsto alcun periodo transitorio.

Tornando al contrasto alla ludopatia, è previsto lo stop ad ogni forma di pubblicità e sponsorizzazione di giochi e scommesse che potrebbe arrivare a costare per le casse dello Stato 700 milioni in tre anni. La ricerca della copertura sarebbe indirizzata verso il ministero della Salute, mettendo nel mirino il costo che oggi il sistema sanitario nazionale deve affrontare per curare le patologie da gioco compulsivo. Tra gli ultimi ritocchi, c’è la deroga al divieto di pubblicità per le lotterie nazionali a estrazione differita, che salva la lotteria della Befana. Altra deroga riguarda gli stessi spot dei Monopoli che predicano il gioco responsabile e sono fatti salvi i contratti di sponsorizzazione e pubblicitari in essere.

Tornando all’intervento mirato sul redditometro per calibrare meglio la determinazioni sintetica dei redditi verso la cosiddetta economia “non osservata”; viene abolita l’efficacia dell’attuale decreto ministeriale del 2015 che fissa i valori del redditometro e disposta la messa a punto di un nuovo Dm dell’Economia che si applicherà agli accertamenti per l’anno d’imposta 2016 ,la cui prescrizione scade nel 2022. Ancora da stimare, anche se per un valore già noto pari a qualche decina di milioni di euro, l’abolizione dello split payment per i professionisti.

Fonte “Il sole 24 ore”

Formazione 4.0 agevolata solo se i costi sono certificati

di Giuseppe Carucci e Barbara Zanardi

Le imprese che intendono usufruire del credito d’imposta per la formazione 4.0 dei propri dipendenti devono organizzarsi in fretta per soddisfare entro il 31 dicembre 2018 i requisiti previsti dal decreto attuativo pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» del 22 giugno.

L’agevolazione

La legge di Bilancio 2018 attribuisce infatti a tutte le imprese, indipendentemente dalla forma giuridica, dal settore economico nonché dal regime contabile adottato, un credito d’imposta nella misura del 40% del costo aziendale del personale dipendente per il periodo in cui si è occupato di attività di formazione nell’ambito delle tecnologie previste dal piano nazionale Industria 4.0 (ad esempio, big data e cyber security), a condizione che siano applicate negli ambiti vendita, marketing, informatica, tecniche e tecnologie di produzione.

Il credito d’imposta è riconosciuto, fino ad un importo massimo annuale di 300mila euro in modo “automatico”. L’impresa, dunque, matura il beneficio con il sostenimento delle spese ammesse all’agevolazione senza che sia necessario presentare un’istanza di accesso all’incentivo. Vediamo, quindi, quali sono le azioni da porre in essere per poter usufruire di questa agevolazione in scadenza al 31 dicembre 2018, con riferimento alla quale sono state messe in campo risorse per 250 milioni di euro.

Cosa fare per garantirsi il credito

La prima azione riguarda l’individuazione di un piano di formazione compatibile con l’ambito oggettivo previsto dalla norma, dei soggetti interni od esterni da incaricare, dei dipendenti con contratto di lavoro subordinato – anche a tempo determinato – destinatari delle attività, del loro costo azienda nonché della possibile durata di queste attività formative. Con queste informazioni le imprese dovrebbero essere in grado di stimare il possibile beneficio: un’attività di formazione, ad esempio, in tema di robotica avanzata utilizzata nell’ambito delle tecniche di produzione, da erogare a 50 dipendenti per dieci giorni lavorativi con un costo azienda medio giornaliero di 200 euro, genererebbe un credito di 40mila euro.

Terminata la prima analisi di fattibilità, è necessario avviare le trattative con le organizzazioni sindacali. La legge di Bilancio, infatti, prevede come condizione che le attività di formazione negli ambiti richiamati debbano essere pattuite attraverso contratti collettivi aziendali o territoriali mentre il decreto Mise/Mef ricorda che tali contratti devono essere depositati in via telematica presso l’Ispettorato territoriale del lavoro competente. Inoltre deve essere rilasciata a ciascun dipendente una dichiarazione del rappresentante legale dell’impresa nella quale sia attestata l’effettiva partecipazione alle attività formative agevolabili, con indicazione degli ambiti aziendali nei quali sono applicate le conoscenze e le competenze acquisite o consolidate.

Un altro passo necessario è ottenere la certificazione dei costi di formazione dal soggetto incaricato della revisione legale, o da un professionista iscritto nel Registro dei revisori legali per le imprese non soggette a revisione. Tale certificazione va allegata al bilancio e deve attestare l’effettivo sostenimento delle spese ammissibili nonché la corrispondenza delle stesse alla documentazione contabile predisposta dall’impresa.

Completa il quadro delle azioni da compiere per garantirsi l’agevolazione la redazione di una relazione, prevista dal decreto attuativo, che illustri le modalità organizzative e i contenuti delle attività di formazione svolte. Tale relazione va predisposta a cura del dipendente partecipante alle attività in veste di docente o tutor nel caso di formazione organizzata internamente oppure dal soggetto formatore nel caso in cui l’attività sia stata esternalizzata (a soggetti accreditati o ad Università). Sempre dal punto di vista documentale, l’impresa deve conservare anche i registri nominativi di svolgimento delle attività formative sottoscritti congiuntamente dal personale discente e docente o dal soggetto formatore esterno all’impresa.

Altri adempimenti attengono inoltre la compilazione della dichiarazione dei redditi relativi al periodo d’imposta 2018.

Fonte “Il sole 24 ore”

Delega ampia agli intermediari per la consultazione e l’acquisizione dei documenti digitali

di Michele Brusaterra

Rinvio a gennaio 2019 per l’obbligo di emissione delle fatture elettroniche per la cessione di benzina e gasolio per autotrazione e possibilità di delegare l’intermediario anche per la consultazione e acquisizione delle fatture elettroniche o dei loro duplicati informatici, nonché per la registrazione dell’indirizzo telematico.

Mentre il Dl 79/2018 ha varato il rinvio al 1° gennaio 2019 dell’obbligo di fatturazione elettronica per benzina e gasolio, previsto originariamente per il primo luglio 2018 dalla legge 205/2017, facendo così tirare un sospiro di sollievo ai gestori di impianti di distribuzione, per quanto riguarda gli intermediari il provvedimento 13 giugno scorso ne ha ampliato i «poteri».

È bene ricordare che il provvedimento 30 aprile 2018 , in tema di fattura elettronica e di intermediari, dispone, tra le altre, che il cedente e prestatore può decidere di trasmettere le fatture elettroniche allo Sdi, attraverso un intermediario, così come il cessionario e committente può decidere di ricevere le fatture elettroniche, recapitate dallo Sdi, sempre attraverso un intermediario. In tale ultimo caso deve essere comunicato al cedente e prestatore «l’indirizzo telematico», ossia il codice destinatario o l’indirizzo di posta certificata (Pec) dell’intermediario stesso.

La delega all’intermediario di cui si è detto, può essere conferita e revocata direttamente attraverso le funzionalità rese disponibili nel sito web dell’agenzia delle Entrate ovvero attraverso la presentazione dell’apposito modulo presso un qualsiasi ufficio territoriale della stessa Agenzia.

Con il provvedimento del 13 giugno scorso si prevede che ai soggetti di cui al comma 3, dell’articolo 3 del Dpr 322/1998, può essere delegata anche la «Consultazione e acquisizione delle fatture elettroniche o dei loro duplicati informatici», nonché la «Registrazione dell’indirizzo telematico» del delegante.

Per quanto concerne la consultazione, il provvedimento in commento elenca tutta una serie di azioni che l’intermediario può porre in essere tra cui vale la pena di ricordare la ricerca, consultazione e acquisizione di tutte le fatture elettroniche emesse e ricevute dal delegante utilizzando lo Sdi – che rende disponibili i file fino al 31.12 dell’anno successivo a quello di ricezione – e di tutte le ricevute, la consultazione dei dati delle operazioni transfrontaliere, la consultazione delle comunicazioni delle liquidazioni periodiche Iva, la consultazione degli elementi di riscontro «fra quanto comunicato con i prospetti di liquidazione trimestrale dell’Iva e i dati delle fatture emesse e ricevute dal soggetto delegante» e, ancora, la consultazione delle opzioni, per conto del soggetto delegante di cui al Dlgs 127/2015.

Per quanto riguarda la registrazione dell’indirizzo telematico, l’intermediario può individuare pec o codice destinatario del delegante, nonché generare il codice a barre bidimensionale (QR-Code).

La delega, la cui durata può essere fissata dal delegante all’atto del suo conferimento e ove non indicata ha durata di 4 anni, può essere conferita direttamente attraverso apposite funzionalità che si trovano all’interno dell’area riservata del delegante, Entratel o Fisconline, ovvero tramite delega da presentare all’ufficio competente dell’agenzia delle Entrate. Con tali modalità le deleghe possono anche essere revocate, in qualsiasi momento.

Fonte “Il sole 24 ore”

Acconti e fatture Iva: detrazioni al riparo anche se la data della vendita è incerta

di Matteo Balzanelli, Massimo Sirri e Riccardo Zavatta

È salva la detrazione dell’Iva riguardante il versamento di un acconto eseguito dal potenziale acquirente dei beni se, al momento del versamento, tutti gli elementi relativi alla futura vendita risultano certi, anche se la data della cessione è ancora incerta. È questo in estrema sintesi il principio che emerge dalla recente giurisprudenza, europea e italiana, intervenuta sul tema. Ma vediamo, con ordine, quali sono le indicazioni normative relative all’esigibilità dell’imposta sul valore aggiunto.

La disciplina
La possibilità di riscuotere l’Iva e il correlato diritto di detrazione sono ancorati al momento in cui è effettuata la cessione dei beni o la prestazione del servizio (fatto generatore). Nel caso del pagamento di un acconto opera una deroga rispetto a questa regola generale e l’imposta diviene esigibile (e detraibile) al momento del pagamento, come prevede in linea generale l’articolo 6, comma 4 del Dpr 633/1972 . Affinché operi la deroga, tuttavia, è necessario che tutti gli elementi che qualificano la futura cessione o prestazione siano già noti all’atto del versamento e, in particolare, che i beni e i servizi oggetto dell’operazione siano già specificamente individuati.

La pronuncia europea
Questo principio, già fatto proprio dalla giurisprudenza comunitaria (sentenza C-419/02 ), si arricchisce ora di qualche elemento di dettaglio, grazie a ulteriori indicazioni della stessa Corte di giustizia Ue espresse con la sentenza dello scorso 31 maggio (cause C-660/16 e C-661/16 ).

Secondo la pronuncia europea, occorre porsi nella prospettiva dell’operatore al momento in cui è pagato l’acconto. Se a tale data sono già definite le caratteristiche e il prezzo dei beni, ancorché non sia nota con precisione la data della futura vendita, il diritto di detrazione è salvo, a meno che il cessionario (o committente, per i servizi) sapesse o non potesse ragionevolmente ignorare che l’operazione era incerta.

L’esigenza di provare che, nel momento del pagamento dell’acconto (ma lo stesso potrebbe dirsi in caso di emissione anticipata della fattura), l’operazione è già individuata nei suoi elementi costitutivi e che, pertanto, non sussistono ragionevoli dubbi sulla sua esecuzione nei termini concordati, assume una valenza generale nel meccanismo applicativo del tributo. Non soltanto, quindi, agli effetti dell’esigibilità dell’imposta e del diritto di detrazione, ma anche sulla stessa qualificazione dell’operazione in termini d’imponibilità, non imponibilità, esenzione, eccetera.

L’esempio
Si pensi al caso di un acconto percepito in vista di una successiva cessione all’esportazione. Per emettere fattura non imponibile ai sensi dell’articolo 8 del decreto Iva, è necessario provare non solo che il bene oggetto della vendita è specificamente individuato, ma altresì che è destinato all’esportazione (Cassazione 10606/2015 ).

In assenza di precise indicazioni di fonte ufficiale, si ritiene che l’effettiva destinazione del bene sia comprovabile sulla base di idonea documentazione di corredo e, quindi, innanzitutto, esibendo il contratto di fornitura contenente le indicazioni su termini e modalità di consegna.

In aggiunta, potrebbero essere di aiuto gli accordi con lo spedizioniere incaricato e le pattuizioni relative all’esecuzione delle formalità doganali, così come lo scambio di corrispondenza commerciale fra le parti e, in generale, tutta la documentazione che illustri in modo coerente lo svolgimento dell’operazione.

Le operazioni con l’estero
Analoghe considerazioni valgono in caso di cessioni intracomunitarie, laddove rileva il trasferimento dei beni in altro Stato Ue (fermo restando che l’emissione della fattura su acconto ricevuto rappresenta ora una mera facoltà per il cedente). Nel caso di operazioni con l’estero, del resto, la cautela è più che giustificata, considerato che l’acquisizione dello status di esportatore abituale e il diritto di utilizzare il plafond per eseguire acquisti senza applicazione dell’imposta, si collegano alla registrazione delle fatture, comprese quelle d’acconto (nella prospettiva che l’operazione sia destinata a perfezionarsi), e non più alla materiale esecuzione dell’operazione (circolare 145/1998).

Gli obblighi formali
Infine, è bene fare attenzione anche alla redazione della fattura d’acconto. Innanzitutto va ricordato, come ribadito recentemente dalla Cassazione (ordinanza 13882/2018) allineata alla giurisprudenza Ue (sentenza C-516/14 ), che l’inosservanza di taluni obblighi formali nella compilazione delle fatture non comporta l’automatica indetraibilità dell’imposta (o il diniego del regime di non imponibilità), dovendosi tenere conto anche delle informazioni e degli elementi integrativi e succedanei rispetto alla fattura. Tuttavia, non v’è dubbio che una puntuale descrizione dei beni/servizi sia assai opportuna per far ulteriormente constare la volontà di eseguire la prospettata operazione.

Fonte “Il sole 24 ore”

Noleggio, l’iperammortamento si sdoppia

di Giacomo Albano e Gianluca De Candia

Iperammortamento anche per i beni concessi in leasing operativo o noleggio. È quanto emerge da una lettura sistematica della disciplina dell’iperammortamento e dai chiarimenti finora forniti sulle modalità di fruizione del beneficio.

Va ricordato preliminarmente che, mentre in caso di leasing finanziario la maggiorazione degli ammortamenti (super ed iper) è riconosciuta esclusivamente in capo al locatario, in caso di locazione operativa o noleggio l’agevolazione è fruita dal locatore (circolare 4/E/2017).

A chi spetta il beneficio

La spettanza del beneficio in capo al locatore (non finanziario) in caso di iperammortamento è stata espressamente confermata dalle Faq del ministero dello Sviluppo economico (aggiornamento del 12 luglio 2017), dove è stato chiarito che, in caso di noleggio, i requisiti necessari per la maggiorazione del 150% potranno essere soddisfatti sia internamente che esternamente; pertanto la società di noleggio che acquista un bene iperammortizzabile per locarlo a un terzo potrà garantire l’integrazione/interconnessione del bene, alternativamente, sia con i propri sistemi o con la propria catena del valore che con i sistemi di fabbrica e la catena del valore dell’utilizzatore finale.

In entrambi questi casi il soggetto che ha diritto all’agevolazione fiscale resta il locatore, che dovrà dimostrare il soddisfacimento dei requisiti, anche quelli verificati in capo al locatario.

Le modalità di calcolo

Appurate le condizioni per la fruizione dell’agevolazione per i beni in leasing operativo, non è tuttavia chiaro se le modalità di soddisfacimento del requisito dell’interconnessione (interno o esterno) possano avere impatti sul meccanismo di calcolo.

Va ricordato che la maggiorazione si concretizza in una deduzione extracontabile che deve avvenire in base alle regole fiscali (coefficienti tabellari di ammortamento), a prescindere dai comportamenti di bilancio. Le società di locazione generalmente ammortizzano in bilancio i beni concessi in locazione sulla base della durata del contratto di locazione, scorporando dal costo ammortizzabile il valore residuo al termine del contratto. Questa tecnica di ammortamento non è riconosciuta fiscalmente e, pertanto, l’ammortamento imputato a conto economico è deducibile nei limiti dei coefficienti tabellari (ridotti a metà nel primo esercizio).

Interconnessione interna

Fatte queste premesse, si ritiene che le modalità – interne o esterne – attraverso cui è soddisfatto il requisito dell’interconnessione possano avere effetti solo indiretti sul calcolo dell’agevolazione, considerato che in caso di interconnessione interna il locatore ha maggiori possibilità di locare il bene, anche a locatari diversi, per un periodo pari alla sua vita utile.

Infatti, qualora il bene sia concesso in locazione (anche a soggetti diversi) per un periodo almeno pari alla durata dell’ammortamento fiscale, la società di locazione operativa avrà diritto al beneficio sull’intero costo del bene, in un numero di anni pari al periodo di ammortamento (ovvero alla metà del periodo di ammortamento se la società di locazione acquisisce il bene in leasing finanziario).

Al contrario, se il bene è concesso in locazione per un periodo inferiore alla durata dell’ammortamento fiscale (come è più probabile in caso di interconnessione esterna) il diritto all’agevolazione sarà proporzionale al periodo di durata del noleggio. Anche in tal caso, peraltro, il beneficio spetterà nei limiti dei coefficienti di ammortamento fiscale, a prescindere dalla quota di ammortamento imputata a conto economico.

Va da ultimo ricordato che la circolare 4/E/2017 ha chiarito che l’agevolazione spetta solo se la locazione/noleggio rappresenta l’oggetto principale dell’attività del locatore. Al contrario, qualora l’attività di noleggio sia effettuata «in maniera occasionale e non abituale con società estere del gruppo», è negata la spettanza della maggiorazione.

Il calcolo dell’iperammortamento in funzione delle modalità con cui è soddisfatto il requisito dell’interconnessione

1. L’interconnessione interna

• Alfa Spa ha acquistato un macchinario per la produzione di contenitori in plastica. Il macchinario ha un costo pari a 100 ed un coefficiente di ammortamento fiscale del 25%.

• Il macchinario viene interconnesso ai sistemi di fabbrica di Alfa e concesso in locazione operativa a Beta, che lo utilizza per il packaging dei propri prodotti, pagando un canone composto da una componente fissa ed una variabile (in funzione dei pezzi prodotti).

• Il contratto di noleggio prevede una durata di 36 mesi (dal 1.7.2018 al 30.06. 2021), al termine dei quali si assume che il bene sia concesso in locazione ad un terzo soggetto Gamma per un periodo di 18 mesi.

• L’ammortamento deducibile, considerando la riduzione alla metà del coefficiente di ammortamento per il primo anno, è pari a Euro 12,5 per il 2018, 25 per 2019, 2020 e 2021 e 12,5 per il 2022 (si assume una pari imputazione a conto economico).

• La maggiorazione su cui applicare il beneficio dell’iper-ammortamento, è quantificata in Euro 150 (pari al 150% di 100) e le quote di ammortamento annue incrementali sono pari a 37,5 (25% di 150), ridotte a metà al primo esercizio..

2. L’interconnessione esterna

• Alfa Spa ha acquistato un macchinario per la produzione di laminati. Il macchinario ha un costo pari a 100 ed un coefficiente di ammortamento fiscale del 25%.

• Il macchinario viene concesso in locazione operativa a Beta ed interconnesso ai sistemi di fabbrica del locatario, a fronte di un canone di noleggio.

• Il contratto di noleggio prevede una durata di 36 mesi al termine dei quali il contratto terminerà ed il bene tornerà nella disponibilità di Alfa che lo rivenderà al produttore (in virtù di una clausola di buy-back).

• Il valore residuo del bene al termine del periodo di noleggio è stimato pari a 28; l’ammortamento contabile è parametrato alla durata del contratto di noleggio e tiene conto del valore residuo ottenendo così quote di ammortamento annue pari 24 [(100-28):3], parametrate alla durata della locazione.

• Il coefficiente massimo tabellare è pari al 25% (che corrisponde ad un ammortamento massimo di Euro 25)

• La maggiorazione su cui applicare il beneficio dell’iper-ammortamento, è quantificata in Euro 112,5.

Fonte “Il sole 24 ore”

Perdite su crediti deducibili nell’anno del fallimento

di Luca Gaiani

Bonus variabili a dipendenti o a intermediari di competenza del 2017 deducibili già nel modello Redditi 2018, anche se gli obiettivi a cui sono condizionati vengono riscontrati nei primi mesi del 2018. In presenza di crediti verso debitori in sofferenza al 31 dicembre, con sentenza di fallimento dichiarata nell’anno successivo, la deduzione deve invece essere rinviata a quest’ultimo esercizio. È questa la posizione di Assonime, espressa nella circolare 15 di ieri, relativa alla dichiarazione dei redditi delle società di capitali, sul problema della rilevanza fiscale dei fatti intervenuti dopo la chiusura dell’esercizio.

La circolare Assonime dedicata alla scadenza del versamento dell’Ires e dell’Irap si sofferma sul tema dei costi di competenza che assumono certezza a seguito di eventi verificatisi dopo il 31 dicembre, ma prima della data di redazione del bilancio. L’associazione dichiara di condividere i chiarimenti forniti, prima dall’Oic e poi dalle Entrate nel corso del videoforum del Sole 24 Ore del 24 maggio, secondo cui gli importi per rischi ed oneri di un anno, che diventano costi certi nei primi mesi di quello successivo, mantengono nel bilancio la natura di accantonamenti (e non di debiti) e, anche se già quantificati in modo puntuale in base all’evento post 31 dicembre, diventano deducibili solo nell’anno seguente.

In presenza di una causa legale del 2017, che si definisce con sentenza o transazione nel febbraio di quest’anno, od anche nel caso di un rinnovo contrattuale dei primi mesi del 2018 che riconosce una somma una tantum sull’anno precedente, la deduzione va rinviata al periodo di imposta 2018.

Questi chiarimenti delle Entrate risolvono anche, secondo Assonime, l’ulteriore interrogativo, più volte posto in queste settimane, riguardante la deducibilità di perdite subite su crediti vantati verso debitori falliti dopo il 31 dicembre 2017, ma prima dell’approvazione del relativo bilancio. Trattandosi di perdita che deriva da un atto valutativo, la deduzione fiscale rimane legata ai requisiti sanciti dall’articolo 101, comma 5 del Tuir (non intervenendo la derivazione rafforzata) e dunque può operarsi solo nell’anno di apertura della procedura (2018).

Per contro, rientrano in una casistica del tutto diversa le ipotesi di oneri di competenza di un anno per i quali, dopo il 31dicembre, viene solo riscontrata o confermata la spettanza, oppure quantificato esattamente l’ammontare. Non si tratta, come indicato nel corso del videoforum con l’agenzia delle Entrate, di oneri che nascono come accantonamenti per poi trasformarsi in costi a seguito di fatti sorti nel nuovo anno, ma di componenti che, sin dall’esercizio di competenza, sono veri e propri costi.

Pertanto, nel bilancio di competenza, l’onere deve essere rilevato tenendo conto non solo dell’importo quantificato post 31 dicembre, ma anche della sua natura certa (debito). Sono quindi immediatamente deducibili nel modello Redditi 2018, conferma la circolare Assonime, i costi di competenza del 2017, che vengono quantificati con fatture pervenute solo nel nuovo esercizio, oppure gli Mbo riconosciuti a dipendenti o manager o ancora i bonus riconosciuti ad agenti, con riferimento a un certo esercizio, la cui spettanza venga riscontrata e il cui importo sia quantificato solo all’inizio dell’anno seguente.

Fonte “Il sole 24 ore”

Compensazione orizzontale con F24 telematico per i titolari di partita Iva

di Pierpaolo Ceroli e Luisa Miletta

Chance compensazione per il versamento degli acconti di imposta in scadenza il prossimo 2 luglio. Ma con limitazioni da rispettare. Le regole da seguire per effettuare correttamente la compensazione si fondano su due norme cardine.

•Articolo 17 del Dlgs 241/1997, modificato da ultimo dalla manovrina dello scorso anno (decreto legge 50/2017), che disciplina la compensazione orizzontale, consistente nella possibilità di compensare debiti e crediti di natura diversa sorti nei confronti di differenti Enti (Erario, Inps, Inail, enti locali).
•Articolo 34 comma 1 della legge 388/2000 che fissa il limite massimo dei crediti di imposta e dei contributi compensabili in base all’articolo 17 del Dlgs 241/1997, ovvero rimborsabili ai soggetti intestatari di conto fiscale, in 5mila euro per ciascun anno solare.

L’articolo 17 del Dlgs 241/1997 stabilisce che i debiti tributari possono essere saldati con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, emergenti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche. Tale compensazione deve essere effettuata entro la data di presentazione della dichiarazione successiva.

In tema di compensazione l’Iva presenta delle peculiarità in quanto la compensazione del credito annuale o relativo a periodi inferiori all’anno di tale imposta, per importi superiori a 5mila euro annui, può essere effettuata a partire dal decimo giorno successivo a quello di presentazione della dichiarazione o dell’istanza da cui il credito emerge.

Inoltre, a seguito delle disposizioni contenute nel decreto legge 50/2017, le aziende e i professionisti sono obbligati a presentare il modello F24 tramite la procedura Entratel o Fisconline, in caso di utilizzo in compensazione di credito con un debito di natura fiscale. Ciò scaturisce della modifica apportata dall’articolo 3, comma 3, del Dl 50/2017, all’articolo 37, comma 49-bis, del Dl 223/2006, che estende l’obbligo di presentazione telematica della delega a tutti i titolari di partita Iva che utilizzano in F24 un credito relativo a Iva, ritenute alla fonte, imposte sui redditi, imposte sostitutive, addizionali, Irap e crediti d’imposta esposti nel quadro RU del modello Redditi. A differenza del passato, questo avviene indipendentemente dal saldo finale della delega stessa, che può pertanto essere anche positivo, mentre prima della modifica l’obbligo era limitato al caso di importo finale pari a zero.

Resta escluso dalle nuove regole l’utilizzo in compensazione dei crediti di natura non erariale (per esempio Inps e Inail), per i quali non vi è l’obbligo del canale telematico dell’agenzia delle Entrate. L’esclusione dai nuovi obblighi sussiste anche per i crediti rimborsati dai sostituti a seguito di liquidazione del modello 730 e le somme erogate in base all’articolo 1 del Dl 66/2014 e dell’articolo 1, commi 12 e successivi, della legge 190/2014 («bonus 80 euro»). Tuttavia, nell’ipotesi in cui la medesima delega di pagamento accolga anche altri crediti utilizzati in compensazione «orizzontale», allora risulta necessario ricorrere ai servizi telematici dell’Agenzia. Si possono utilizzare i servizi di internet banking messi a disposizione dagli intermediari della riscossione convenzionati con le Entrate quando nello stesso F24 vi è una compensazione verticale parziale, con chiusura a debito.
Si segnala a tal fine la risoluzione 68/E/2017 che individua i codici tributo da utilizzare in sede di compensazione di crediti tributari (allegati 1, 2 e 3).

Fonte “Il sole 24 ore”

Quello spiraglio per il ravvedimento sulle operazioni soggettivamente inesistenti

di Antonio Zappi

Se un cessionario/committente assume consapevolezza che un’operazione economica è stata posta in essere da una controparte diversa da quella indicata in fattura come fornitore, ma se ne accorge solo dopo aver presentato la dichiarazione, incappa in una operazione accertabile come soggettivamente inesistente e rischia di vedersi contestare la falsità documentale.

Molto spesso, allora, il contribuente, nella difficoltà di provare con elementi oggettivi la propria buona fede, preferirebbe rinunciare a difendere la detrazione del tributo ed a ravvedere un’indebita detrazione dell’Iva, ante-accertamento, per evitare ogni contaminazione da illecito altrui e non subire conseguenze penali, nonché anche per evitare il rischio della sanzione per infedele dichiarazione (aumentabile anche della metà per violazioni da falsa fatturazione, ex articolo 5, comma 4-bis, del Dlgs 471/1997, ovvero dal 135% al 270% dell’imposta). Detta sanzione, peraltro, assorbe anche quella per l’utilizzo in compensazione del credito illecito, giusto quanto chiarito con la risoluzione 36/E/2018, con la quale le Entrate hanno illustrato il trattamento sanzionatorio da adottare nei casi di detrazione e/o di utilizzo di crediti Iva derivanti da falsa fatturazione, ma nella quale, per ovvie ragioni, non hanno fatto alcun cenno all’ipotesi di poter anche ravvedere infrazioni alla normativa tributaria suscettibili di fraudolenza, in quanto è ben nota la netta chiusura espressa sul tema nel corso del Telefisco 2018, sia dalle Entrate che dalla Guardia di finanza.

Tuttavia, se già l’impossibilità di ravvedere gli effetti delle fatture false inserite in dichiarazione è alquanto controversa, poiché la posizione del Fisco (circolare 180/E/98) non per tutti coincide né con la formulazione dell’articolo 13 del Dlgs 472/1997, né con quella dell’articolo 13-bis del Dlgs 74/2000 (Cassazione, sentenza 5448/2018), in un caso come quello prospettato, anche a voler aderire alla tesi erariale secondo cui il concetto di «errore od omissione» va escluso per le violazioni connotate dalla fraudolenza, un ravvedimento operoso sarebbe difficilmente sindacabile anche dal Fisco, perché l’erronea identificazione in buona fede della controparte di una operazione economica realmente avvenuta integra un errore qualificabile come colposo, ovvero, mutuando le stesse parole espresse dalle Entrate per giustificare le inibizioni dal ravvedimento, un’infrazione non considerabile come “caratterizzata da un grado di intrinseca antigiuridicità”, al punto che, in assenza di ravvedimento, per il contribuente estraneo alla frode la detrazione del tributo sarebbe anche ammessa.

Proponendo, quindi, una resipiscenza dall’errore originario con una dichiarazione a sfavore non appena si assume consapevolezza della diversità anagrafica del reale fornitore, un ravvedimento operoso per escludere fatture includenti un elemento antigiuridico, ma avente origine in un errore/omissione, appare perfezionabile, mentre risulterebbe illegittimo far derivare solo da una non adeguata verifica della controparte di un’operazione economica (oggettivamente esistita) un’ipotesi preclusiva del ravvedimento operoso di un’indebita detrazione ed infedele dichiarazione (sanzione base 90%): perché finché c’è inconsapevolezza non può esserci frode.

Fonte “Il sole 24 ore”

Integrativa sprint per usare il credito in F24

di Giorgio Gavelli e Riccardo Giorgetti

 

Termini ristretti per presentare una dichiarazione integrativa “a favore” sul periodo d’imposta 2016, almeno se si vuole usare subito il credito emergente da tale modello. L’approssimarsi delle scadenze dei versamenti (2 luglio per le imposte sui redditi e l’Irap senza maggiorazione, oggi – 18 giugno – per Imu e Tasi) rende opportuno affrettarsi nelle correzioni di eventuali errori commessi nelle dichiarazioni presentate nel 2017 (dal modello 730 al modello Redditi, sino a quello Irap), nel caso in cui la rettifica consenta di maturare un credito compensabile. Infatti, come affermato dalle Entrate a Telefisco 2018 , «il credito derivante dalla dichiarazione integrativa a favore presentata entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno d’imposta successivo, può essere utilizzato in compensazione già a partire dal giorno successivo all’integrazione».

L’ESEMPIO

Quindi, ad esempio, trasmettendo l’integrativa entro il prossimo 30 giugno, si può “monetizzare” il 2 luglio in F24 il credito così maturato (e non chiesto a rimborso con l’integrativa), utilizzandolo in compensazione. Si tratterà di integrative “entro l’anno”. Quindi nel compilare il modello 2018 per il periodo d’imposta 2017:
• non va compilato il quadro DI;
• occorre inserire, quale «eccedenza di imposta risultante dalla precedente dichiarazione», l’importo che emerge tenendo conto anche dell’integrativa (l’importo influirà sul risultato della dichiarazione e potrà anche essere rimborsato dal sostituto per chi presenta il 730 o chiesto a rimborso per chi presenta Redditi);
• se al momento di presentazione della dichiarazione 2018 tale credito è già stato utilizzato, anche solo in parte, in F24 (indicando come anno di riferimento il 2016), andrà compilato anche il rigo successivo, che ha lo scopo di impedire che il credito già compensato venga fruito anche in dichiarazione.

Le limitazioni
Una procedura solo in parte simile è riservata ai soggetti tenuti alla contabilità, nel caso in cui la correzione tramite integrativa abbia riguardato un errore commesso a proprio danno nell’ambito delle rilevazioni contabili.

Facciamo l’ipotesi del contribuente che si è dimenticato di annotare un costo di competenza o ha sbagliato per eccesso nel riportare un ricavo. In questo caso, la compensazione immediata in F24 (indicando come anno di riferimento quello dell’errore commesso) del credito emergente dalla dichiarazione integrativa “a favore” può riguardare due tipi di correzioni:
• le integrative “entro l’anno” (ad esempio per il periodo d’imposta 2016 entro il prossimo 31 ottobre);
• le integrative “ultrannuali”, cioè gli aggiustamenti pro contribuente nei modelli presentati oltre il termine di invio della dichiarazione relativa all’anno d’imposta successivo.

Tuttavia, nella seconda delle situazioni appena menzionate, va compilato il quadro DI del modello Redditi (o del quadro IS, sezione XVII, del modello Irap), attraverso il quale il credito viene automaticamente riportato come «eccedenza» della dichiarazione precedente ed è possibile inserire l’utilizzo nel frattempo avvenuto in compensazione. Il modello da usare è quello relativo al periodo in cui è stata presentata l’integrativa (perciò, ad esempio, dopo la presentazione nel 2017 di un Unico 2016 integrativo per l’anno d’imposta 2015, va compilato il quadro DI di Redditi 2018).

Inoltre, per i soggetti tenuti alla contabilità, va rilevata una limitazione in più. Le istruzioni ai modelli, infatti, affermano che il credito così maturato «può essere utilizzato dal giorno successivo a quello di presentazione della dichiarazione integrativa ed entro la fine del periodo d’imposta oggetto della presente dichiarazione per compensare importi a debito». Si delineano perciò due situazioni:
1. se l’integrativa è presentata quest’anno, la compensazione può subito avvenire, ma non può andare oltre il 31 dicembre, e verrà formalizzata con il modello Redditi (o Irap) 2019;
2. se la correzione è stata effettuata lo scorso anno (2017), in base alle istruzioni – che in ogni caso non risultano in linea con il dettato normativo del legislatore (si veda l’altro articolo) – l’importo a credito poteva essere utilizzato liberamente entro il 31 dicembre 2017, mentre l’eventuale eccedenza non ancora compensata entro questa data, di fatto non può essere utilizzata prima di cumularsi al saldo di periodo, configurando una compensazione che è prima di tutto “verticale” (si veda Il Sole 24 Ore del 26 febbraio ).

Nell’ipotesi di errore contabile “ultrannuale” corretto nel 2017, il contribuente dovrà far transitare il credito emergente dall’integrativa, al lordo delle compensazioni eventualmente già effettuate, nel quadro DI del modello Redditi 2018. In particolare, l’ammontare del credito da errori contabili va indicato nella colonna 4 e non nella colonna 5 destinata, invece, ad accogliere i crediti derivanti da errori diversi da quelli contabili.

Fonte “Il sole 24 ore”

Il mancato versamento del saldo mette a rischio il superammortamento

di Pierpaolo Ceroli e Luisa Miletta

Calcolo degli acconti influenzati dai maxi-ammortamenti sui beni materiali strumentali nuovi. Le norme che regolano le proroghe del super e dell’iper ammortamento infatti risultano disallineate sotto molti punti di vista e quando si tratta di calcolare gli acconti da versare entro il prossimo 2 luglio (il 30 giugno cade di sabato) gli operatori economici incontrano non poche difficoltà.

Nel calcolo degli acconti un difetto di coordinamento per il mancato richiamo del comma 94 della legge di stabilità 2016 nell’analoga disposizione della legge di bilancio 2017, creava come conseguenza che l’acconto 2018 va determinato senza tenere conto delle norme sulla proroga del super ammortamento, sull’iperammortamento e sulla maggiorazione relativa ai beni immateriali, diversamente dalla regola generale prevista dalla legge che impone di non considerare gli effetti delle agevolazioni (si veda Il Quotidiano del Fisco dell’8 maggio 2018 ).

Ebbene i problemi di disallineamento normativo non terminano qui. Occorre prestare attenzione anche al caso in cui per lo stesso bene si voglia beneficiare sia dell’iper che del super ammortamento. In tale ipotesi l’articolo 1, comma 8, della legge 232/2016 sancisce, per quanto riguarda il super ammortamento, che «le disposizioni dell’articolo 1, comma 91, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, si applicano anche agli investimenti in beni materiali strumentali nuovi, esclusi i veicoli e gli altri mezzi di trasporto di cui all’articolo 164, comma 1, lettere b) e b-bis), del Tuir, effettuati entro il 31 dicembre 2017, ovvero entro il 30 giugno 2018 a condizione che entro la data del 31 dicembre 2017 il relativo ordine risulti accettato dal venditore e sia avvenuto il pagamento di acconti in misura almeno pari al 20 per cento del costo di acquisizione».

Il comma 9 stabilisce per l’iperammortamento che «la disposizione … si applica agli investimenti effettuati entro il 30 settembre 2018, a condizione che entro la data del 31 dicembre 2017 il relativo ordine risulti accettato dal venditore e sia avvenuto il pagamento di acconti in misura almeno pari al 20 per cento del costo di acquisizione».

Lo slittamento del termine ultimo, ad opera del Dl 91/2017, non è stato esteso anche al super ammortamento, cosicché la data del 30 settembre 2018 quale termine di ultimazione degli investimenti opera solo con riferimento a quelli iperammortizzabili. Infatti, un bene iperammortizzabile è sempre anche soggetto al super ammortamento, crescendo di livello nella deduzione (da 40% a 150%) solo per via della interconnessione (che può avvenire anche in anni successivi). Ciò significa, permanendo questa doppia data limite, che un bene, ordinato entro il 2017 con il versamento del 20% del costo di acquisizione, ultimato oltre il 30 giugno 2018, ma entro il 30 settembre, non sarà mai super ammortizzabile, ma potrebbe godere dell’iper-ammortamento se e in quanto diverrà interconnesso.

Pertanto, si suggerisce di ultimare gli acquisti dei beni materiali strumentali nuovi di cui all’allegato A della legge di bilancio 2018 entro la data del 30 giugno 2018, altrimenti non sarà possibile tener conto dell’agevolazione al 40% ma soltanto di quella al 150 per cento.

Fonte “Il sole 24 ore”

Concordato, resta il nodo della falcidia dell’Iva

di Paolo Moretti

La crescita economica del nostro Paese dipende, soprattutto, dalla “buona salute” delle imprese, le quali, in una economia ormai completamente globalizzata, si trovano spesso in difficoltà a fronteggiare una concorrenza “senza frontiere”.

Non a caso, il legislatore è intervenuto più volte per aiutare le imprese in crisi, con provvedimenti volti ad a far superare le difficoltà economiche derivanti dalla crisi che ha investito il nostro Paese, con sostanziali modifiche alla legge fallimentare (regio decreto 267/42), al fine di permettere alle stesse la continuazione dell’attività oppure liquidare il patrimonio mettendolo a disposizione dei creditori, evitando così il fallimento.

Tra i vari provvedimenti, il legislatore, con la legge di stabilità 2017, è intervenuto sostituendo l’articolo 182-ter sulla «Transazione fiscale» con una nuova versione e denominazione «Trattamento dei crediti tributari e contributivi» (articolo 1, comma 81, legge 232/2016 ). L’intento è quello di chiarire le numerose incertezze interpretative che la precedente disposizione aveva determinato per gli operatori e la stessa amministrazione finanziaria.

Sono stati rafforzati gli strumenti riguardanti il concordato preventivo (articolo 160, legge fallimentare), l’accordo di ristrutturazione dei debiti (articolo 182-bis) e le crisi da sovraindebitamento (legge 3/2012).

La nuova disposizione rappresenta una particolare procedura transattiva tra Fisco e contribuente, avente ad oggetto la possibilità di pagamento, in misura ridotta e/o dilazionata, il credito tributario privilegiato, oltre di quello chirografario.

Contenuto principale del nuovo articolo 182-ter è la possibilità, per il debitore, di proporre nel concordato preventivo e, negli accodi di ristrutturazione, il pagamento e la dilazione dei debiti privilegiati (Iva, ritenute, contributi previdenziali).

La nuova disciplina ha, tra l’altro, recepito i principi espressi dalla Corte di giustizia europea in tema di falcidia dell’Iva nonché di ritenute operate e non versate.

La Corte di giustizia ha definitivamente chiarito che la procedura di concordato preventivo costituisce una rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione dell’Iva. Inoltre, secondo la Corte Ue, tale procedura è compatibile con il sistema comune dell’Iva.

Pertanto, sulla base del nuovo comma 1 dell’articolo 182-ter così come modificato dalla legge 232/2016, l’Iva è ora falcidiabile nell’ambito del concordato preventivo e degli accordi, oltre alle ritenute operate e non versate.

Di parere opposto è, però, attualmente l’amministrazione finanziaria e, pertanto, sono iniziati i contenziosi.

Al riguardo, proprio in merito all’infalcidiabilità dell’Iva, si è espresso il tribunale di Udine con ordinanza del 14 maggio 2018. Il Tribunale ritiene che, la non falcidiabilità dell’Iva comporterebbe la violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione, oltre al non rispetto dei principi della Corte di giustizia Ue.

A parere dei giudici del tribunale di Udine, l’articolo 7 della legge 3/2012 contempla un’eccezione ingiustificata alla regola della generale falcidiabilità dei crediti privilegiati nel settore concorsuale e, in particolare, nell’omologo comparto del concordato preventivo. Da ciò deriva che il tutto è rimesso al parere della Consulta.

Fonte “Il sole 24 ore”

Commesse pluriennali, derivazione rafforzata solo in casi limitati

di Luca Miele

In caso di commesse pluriennali, la rilevazione nel bilancio redatto secondo gli standard nazionali dei relativi componenti positivi con il sistema delle rimanenze comporta l’applicazione delle norme fiscali relative alle valutazioni e, nello specifico, dell’articolo 93 del Tuir. Non trova, quindi, riconoscimento il principio di derivazione rafforzata che riguarda le qualificazioni, classificazioni e l’imputazione temporale ma non, in linea generale, le valutazioni.

Il documento della Fondazione nazionale commercialisti (Fnc) di ieri fa il punto della situazione sulla disciplina contabile e fiscale delle opere ultrannuali,sia per i soggetti Ias adopter che per quelli Oic adopter.

Secondo l’articolo93 del Tuir, le rimanenze finali delle opere con tempo di esecuzione ultrannuale concorrono alla formazione del reddito, non al momento della loro definitiva ultimazione,bensì in misura proporzionale alla percentuale di avanzamento dei lavori misurabile al termine di ciascuno degli esercizi interessati. In sostanza, trovano applicazione il criterio della competenza economica e il principio della correlazione costi-ricavi. Questa previsione normativa trova applicazione anche quando le commesse pluriennali sono rilevate contabilmente secondo il criterio della commessa completata che riconosce i ricavi e i margini di commessa solo quando il contratto è completato, ossia alla data in cui avviene il trasferimento dei rischi e benefici connessi al bene realizzato o i servizi sono resi. Tale modalità di rilevazione contabile non trova riconoscimento fiscale, non applicandosi il principio di derivazione rafforzata, e quindi si genera un doppio binario civile e fiscale, in quanto contabilmente ricavi e margini di commessa sono riconosciuti quando il contratto è completato mentre fiscalmente rilevano gli stati di avanzamento al termine di ciascun esercizio.

Campo ristretto

Il documento della Fondazione pone in evidenza come, invece, il principio di derivazione rafforzata all’articolo 83 del Tuir trova applicazione in caso di adozione del combining/segmenting nella contabilizzazione della commessa, modalità contabile che influenza la determinazione del margine economico attribuibile ad ogni attività per la durata della commessa stessa.

Le microimprese

L’Oic 23, al ricorrere di determinate condizioni, consente infatti di segmentare la contabilizzazione di una commessa in più fasi o di raggruppare più commesse trattandole come un’unica commessa. In tali fattispecie si verte in tema di qualificazioni e non di valutazioni e quindi l’articolo 93 del Tuir troverà naturale applicazione alla commessa così come contabilizzata. Ciò, tuttavia, non è vero per le micro imprese ex articolo 2435-ter del Codice civile per le quali non valgono le diverse qualificazioni (classificazioni e imputazioni temporali) previste dagli standard nazionali. Ciò determina, per queste imprese e con riferimento alle commesse ultrannuali, il mancato riconoscimento fiscale dei criteri di individuazione della commessa indicati dall’Oic 23 diversi da quelli previsti dall’articolo 93 del Tuir.

I soggetti Ias

Il documento della Fondazione evidenzia altresì che il principio di derivazione rafforzata trova invece diretta applicazione per i soggetti Ias adopter in quanto, in tal caso, le commesse ultrannuali sono rilevate con una modalità di contabilizzazione fondata sulla immediata e diretta rilevazione dei ricavi al conto economico degli esercizi in cui il lavoro è svolto, abbandonando la logica propria della valutazione delle rimanenze. Pertanto, la contabilizzazione secondo lo Ias 11 e, dal 2018, secondo l’Ifrs 15 assume rilievo ai fini Ires, salvo deroghe specifiche, e non trova applicazione l’articolo 93 del Tuir.

Fonte “Il sole 24 ore”

Iper e superammortamento 2017 costringono ad acconti più pesanti

di Giorgio Gavelli

Verifica di quanto versato, calcolo con possibile rideterminazione dell’imposta, indicazione in dichiarazione: sono diverse le problematiche che riguardano la corretta determinazione degli acconti d’imposta delle imposte sui redditi, in vista della prima scadenza fissata per il 2 luglio.

Le scadenze

La scadenza ordinaria per gli acconti (come per i saldi d’imposta) per le persone fisiche e i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare è il 30 giugno che, essendo sabato, slitta a lunedì 2 luglio.

Per i soggetti Ires tale scadenza è valida se l’approvazione del bilancio è avvenuta nei termini ordinari; in caso di slittamento ai 180 giorni (articolo 2364, comma 2 del Codice civile), se l’assemblea ha positivamente deliberato entro il 31 maggio. In alternativa, è possibile versare entro i 30 giorni successivi maggiorando le somme dovute dello 0,40%; in questo caso, essendo la scadenza compresa nel periodo dal 1° al 20 agosto, per effetto dell’articolo 37, comma 11-bis del Dl 223/2006, il termine diviene il 20 agosto.

Secondo le istruzioni, per chi, fruendo della maggiorazione, sceglie anche la rateizzazione, se in possesso di partita Iva, entro tale data deve versare tanto la prima quanto la seconda rata, conclusione che è stata criticata in dottrina.

Il ricalcolo

Per gli acconti 2018 il problema principale è la rideterminazione della base di calcolo. Per imprese e lavoratori autonomi, infatti, se – come nella stragrande maggioranza dei casi – il metodo scelto è quello “storico”, è facile trovarsi in una delle ipotesi riportate dalla grafica a lato, che costringono a versare un acconto ricalcolato partendo da una base imponibile 2017 rideterminata.

La situazione più frequente è senza dubbio quella di chi ha fruito nel 2017 della variazione in diminuzione dovuta a super e iperammortamenti. Infatti, l’articolo 1, comma 12 della legge 232/2016 prevede che «la determinazione degli acconti dovuti per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2017 e per quello successivo è effettuata considerando quale imposta del periodo precedente quella che si sarebbe determinata in assenza delle disposizioni di cui ai commi 8, 9 e 10». Il mancato richiamo all’articolo 1, commi 91 e seguenti, della legge 208/2015 dovrebbe comportare, anche in virtù di quanto chiarito con circolare 4/E/2017, che l’agevolazione del superammortamento per i beni acquistati (in proprietà o in leasing) negli ultimi mesi del 2015 e nel 2016 non dovrebbe essere interessata dal ricalcolo, che è limitato agli effetti positivi sull’imponibile determinati dai beni (super o iperammortizzabili) acquisiti successivamente, in virtù della proroga dell’agevolazione.

In buona sostanza, la complessiva variazione in diminuzione operata dalle imprese nel modello Redditi a questo titolo dovrebbe essere scomposta a seconda dell’anno di acquisizione dei cespiti, dovendo eliminare in sede di rideterminazione degli acconti Irpef ed Ires 2018 (no Irap) solo la quota relativa ai beni per cui il 2017 è stato il primo anno di super o iperammortamento. Stesso esercizio dovrebbero effettuare i lavoratori autonomi.

Fonte “Il sole 24 ore”

Studi di settore, correttivi per cassa più severi con il commercio al dettaglio

di Lorenzo Pegorin e Gian Paolo Ranocchi

Correttivi cassa ad effetto variabile sugli studi di settore del periodo d’imposta 2017 per le imprese in contabilità semplificata. Il ricavo stimato dal software Gerico 2018 tendenzialmente cresce nei settori che operano nel commercio al dettaglio e nei servizi alla persona. Viceversa si registra una diminuzione nella stima per le manifatture, il commercio all’ingrosso e i servizi alle imprese. È lo scenario che emerge dall’applicazione dei correttivi per cassa sulle imprese in contabilità semplificata che dal 1° gennaio 2017 sono alle prese con il nuovo regime previsto dall’articolo 66 del Tuir .

L’approvazione di questi correttivi si è resa necessariaper normalizzare il risultato di Gerico. L’applicativo, infatti, da sempre opera secondo logiche prettamente di competenza. Il passaggio (dal 1° gennaio 2017) a un regime contabile misto di competenza/cassa per i semplificati ha scardinato parte degli automatismi tipici che contraddistinguono il funzionamento del software. Si è reso, infatti, necessario prevedere delle opportune correzioni al fine di salvaguardare l’impianto generale con l’obiettivo di ricavarne un risultato stimato credibile. Il tutto in vista del passaggio agli Isa (indicatori sintetici di affidabilità fiscale) che è stato rinviato all’anno prossimo. Per tale ragione si assiste quest’anno ai risultati differenti a seconda del singolo studio di settore. Inoltre i correttivi per cassa si applicano potenzialmente a tutte le imprese in contabilità semplificata, ad esclusione di chi ha optato per il regime del «registrato» (articolo 18, comma 5, del Dpr 600/1973).

Gli esempi a lato mettono in luce uno spaccato di quella che è la tendenza generale: nei settori B2C (business to consumer), come commercio al dettaglio e servizi alla persona (si vedano i casi del parrucchiere e del fruttivendolo), i correttivi di «cassa» sposteranno in alto l’asticella dei ricavi. In tali circostanze, il risultato finale stimato da Gerico, quest’anno (2017), sarà quindi più elevato rispetto all’analisi tradizionale, a parità di condizioni, sull’anno d’imposta 2016. A pesare potrebbe essere il gap tra incassi immediati rispetto alla cessione dei beni e le fatture di acquisto datate 2017 ma saldate nel 2018.

Invece nel B2B (business to business) , e quindi essenzialmente manifatture, commercio all’ingrosso, e servizi alle imprese (nell’esempio in pagina vengono propposti la fabbricazione di gioielli e l’impresa che opera con la pubblica amministrazione), i correttivi di «cassa» potranno risultare più vantaggiosi per i diretti interessati. E il risultato finale stimato da Gerico quest’anno sarà minore (e perciò più favorevole al contribuente) rispetto all’analisi tradizionale, a parità di condizioni, sull’anno d’imposta 2016.

La compilazione dei modelli

Per applicare correttamente i correttivi di cassa tutte le imprese in contabilità semplificata devono compilare il dato relativo alle rimanenze finali. Infatti, nonostante quest’ultimo valore per i contribuenti in contabilità semplificata (siano essi in regime di cassa «pura» o con quello del «registrato»), non abbia alcuna influenza sul reddito imponibile, deve essere comunque elaborato da Gerico per la corretta applicazione degli studi di settore.

I contribuenti dovranno prestare attenzione a compilare correttamente i campi da F42 a F44 del modello studi. Tradizionalmente la compilazione di questi righi ha l’effetto di diminuire il risultato stimato dall’applicativo favorendo un esito migliore per il contribuente. In particolare si tratta delle operazioni imponibili verso soggetti Iva(campo F42), di quelle con reverse charge (campo F43) e di quelle in split payment (campo F44). In questo senso, infatti, maggiore sarà la quota di vendite B2B, più elevata sarà anche la durata dei crediti stimata dal software e quindi maggiore sarà la riduzione della stima dei ricavi di «cassa».

Fonte “Il sole 24 ore”

Da acquisto a cessione, così la Ue cerca il cambio di passo sull’evasione Iva

di Benedetto Santacroce

In quattro mosse l’Unione europea cerca di semplificare l’applicazione delle regole Iva che disciplinano gli scambi intraUe rafforzando le misure antifrode.

In particolare, il regime delle transazioni tra Stati membri proposto dalla Commissione supera l’impianto «dell’acquisto intracomunitario» e lo sostituisce con la disciplina della «cessione intraunionale». Il nuovo regime si baserà sul principio dell’imposizione nello Stato di destinazione della cessione di beni, con luogo di tassazione nello Stato di arrivo dei beni stessi. Il fornitore sarà tenuto al versamento dell’Iva sulla «cessione intraunionale» a meno che l’acquirente non sia un soggetto certificato e, in quanto tale, affidabile. Qualora l’operatore obbligato al pagamento dell’imposta non sia stabilito nello Stato in cui l’imposta è dovuta, potrà assolvere agli obblighi di dichiarazione e versamento con il sistema dello sportello unico (one shop stop, Oss). Con ogni probabilità, il nuovo regime consentirà l’abolizione dell’elenco Intrastat.

La cessione intraunionale potrà rimanere esente da imposta solo nel caso in cui il cessionario sia un soggetto certificato dall’amministrazione quale soggetto affidabile Iva (Ctp, certified taxable person). Inoltre, in caso di consignment stock intraunionale, l’operazione sarà considerata unica nel caso in cui sia il cedente che il cessionario siano Ctp. Infine, le nuove regole prevedono che per l’esenzione delle cessioni unionali il codice identificativo attribuito dallo Stato membro di arrivo delle merci sia considerato un elemento essenziale.

Fonte “Il sole 24 ore”

Tre strade differenti per gli affitti brevi in dichiarazione

di Mario Cerofolini, Lorenzo Pegorin e Gian Paolo Ranocchi

Le locazioni brevi entrano a pieno regime nei modelli dichiarativi 2018 con tutte le novità approvate nel 2017. Di fatto, i contribuenti si trovano di fronte a tre possibili percorsi dichiarativi:

le locazioni stipulate prima del 1° giugno 2017, che seguono le vecchie regole;

le locazioni brevi stipulate dal 1° giugno 2017 sottoposte a ritenuta da parte dell’intermediario;

le locazioni brevi non sottoposte a ritenuta.

La nuova disciplina è contenuta nell’articolo 4 del Dl 50/2017 , che ha ridisegnato l’intero regime fiscale delle locazioni brevi, con modifiche che interessano i proprietari, gli inquilini e anche le agenzie immobiliari. I chiarimenti dell’agenzia delle Entrate su questo tema sono stati forniti con la circolare 24/E/2017.

I contratti e la tassazione

A partire dal 1° giugno 2017 è stata introdotta una disciplina fiscale ad hoc che permette l’esercizio dell’opzione relativa alla cedolare secca (con aliquota al 21%) per i contratti, stipulati da persone fisiche, di locazione, sublocazione e le concessioni in godimento oneroso a terzi da parte del comodatario, che hanno a oggetto immobili a uso abitativo, situati in Italia. Si tratta dei contratti di durata complessiva non superiore a 30 giorni, il cui limite si determina computando tutti i rapporti di locazione – di durata inferiore a 30 giorni – intercorsi nell’anno con lo stesso conduttore (circolare 12/E/1998 ).

Peraltro, nel caso delle locazioni di durata non superiore a 30 giorni la cedolare era già applicabile fin dal 2011: l’innovazione del Dl 50 sta nella possibilità di applicarla anche quando, insieme alla messa a disposizione della casa, vengano rese altre prestazioni.

Resta inteso che, in caso di mancato esercizio dell’opzione per la cedolare secca, il contribuente dovrà assoggettare ordinariamente a Irpef i relativi redditi.

Le nuove regole si applicano sia nel caso in cui i contratti siano stipulati direttamente tra chi detiene l’immobile (proprietario o titolare di altro diritto reale, sublocatore o comodatario) e il conduttore, sia quando intervengono i soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare (anche attraverso portali online). In quest’ultimo caso, l’ulteriore novità (si veda l’altro articolo) è costituita dall’introduzione di una ritenuta del 21% da applicare a cura dell’intermediario.

Il contratto di locazione breve può avere a oggetto, unitamente alla messa a disposizione dell’immobile abitativo, anche la fornitura di biancheria e la pulizia dei locali e di altri servizi che corredano la messa a disposizione dell’immobile, come ad esempio, la fornitura di utenze, wi-fi, aria condizionata.

La disciplina delle locazioni brevi non è invece applicabile se insieme alla messa a disposizione dell’abitazione sono forniti servizi aggiuntivi che non presentano una necessaria connessione con la finalità residenziale dell’immobile, quali ad esempio, la fornitura della colazione, la somministrazione di pasti, la messa a disposizione di auto a noleggio o di guide turistiche o di interpreti.

La natura del canone

Il reddito conseguito dalle locazioni brevi può assumere una diversa natura, in relazione al soggetto titolare dello stesso.

Se l’immobile è concesso in locazione da parte del proprietario o dal titolare dell’usufrutto si dovrà compilare nel modello Redditi il quadro RB, tassando il corrispettivo pattuito per competenza (secondo le logiche che governano i redditi fondiari), anche se questo non è stato interamente percepito nell’anno.

Laddove il canone di locazione sia assoggettato a Irpef (in assenza di opzione per la cedolare), questo risulterà imponibile nella misura del 95%, ovvero con abbattimento del 35% per gli immobili di interesse storico, o del 25% per Venezia centro e isole limitrofe.

In caso di opzione per la cedolare secca sarà invece l’intero canone di locazione a essere assoggettato all’imposta sostitutiva nella misura del 21%, che andrà poi successivamente liquidata nel nuovo quadro LC. L’opzione per la tassazione piatta, non essendoci l’obbligo di registrare il contratto, va fatta direttamente in dichiarazione dei redditi e si esercita singolarmente per ciascuno dei contratti stipulati nell’anno. Per lo stesso immobile è, infatti possibile nei singoli periodi, con i diversi conduttori “brevi” optare o meno per la tassa piatta.

Nel caso in cui il contratto venga volontariamente registrato, la scelta viene fatta in sede di registrazione.

In caso, invece, di locazione breve dell’immobile da parte del comodatario (o sublocatore), il reddito sarà tassato in capo a quest’ultimo come reddito diverso e dovrà essere indicato obbligatoriamente nel quadro RL (rigo RL10).

In questa ipotesi il reddito da dichiarare sarà quello riferibile ai soli canoni incassati nell’anno (principio di cassa), senza tenere conto di quando effettivamente il soggiorno ha avuto luogo. Le istruzioni opportunamente segnalano che, laddove si sia optato per la tassazione in cedolare secca non sarà possibile compilare la colonna 5 «Spese» (rigo RL10) poiché dovrà essere tassato l’intero canone da contratto.

In questo caso, il proprietario dell’immobile dovrà indicare nel quadro RB solamente la rendita catastale dell’immobile concesso in comodato gratuito.

Fonte “Il sole 24 ore”

Spese fuori bilancio da recuperare

di Giorgio Gavelli

Le spese di pubblicità e di ricerca eliminate nello scorso esercizio dal bilancio in applicazione delle nuove regole contabili vanno anche quest’anno fiscalmente recuperate in dichiarazione, tanto ai fini Ires quanto ai fini Irap.

L’eliminazione contabile intervenuta nello scorso esercizio per effetto del Dlgs 139/2015 non deve far dimenticare la deduzione del costo ammessa in ambito fiscale, anche per dare continuità ai comportamenti dichiarativi assunti nello scorso periodo d’imposta.

La modifica contabile

A partire dai bilanci 2016, per effetto del nuovo testo dell’articolo 2426, comma 1, numero 5), Codice civile , non è più consentita la capitalizzazione delle spese di ricerca e di pubblicità, che vanno quindi spesate a conto economico nell’esercizio di competenza. Poiché tali regole si applicavano retroattivamente, le spese in corso di capitalizzazione alla chiusura del bilancio precedente a quello di prima applicazione andavano eliminate contabilmente, con contropartita preferibile sugli utili portati a nuovo o ad una riserva libera di utili presente nel patrimonio netto. Tutto ciò a meno che:

i costi di pubblicità precedentemente capitalizzati non soddisfacessero i requisiti stabiliti per i costi di impianto e ampliamento (paragrafi 41-43 del principio Oic 24), nel qual caso la riclassificazione evitava l’eliminazione (ipotesi non ricorrente);

i costi di ricerca precedentemente capitalizzati non soddisfacessero i criteri per essere riclassificati tra i costi di sviluppo (paragrafo 49), mantenendo, quindi, la propria iscrizione tra le immobilizzazioni immateriali (caso piuttosto frequente).

Le ricadute tributarie

Fiscalmente, i costi cancellati contabilmente non cessano di essere deducibili, in quanto l’articolo 13-bis, comma 7, del Dl 244/2016 prevede che per i costi imputati a conto economico in precedenti esercizi e non più capitalizzabili «resta ferma… la deducibilità sulla base dei criteri applicabili negli esercizi precedenti». Ciò significa che, per le poste in questione, la deduzione fiscale prosegue secondo la ripartizione temporale precedente. Quindi, in presenza delle condizioni richieste dal principio contabile Oic 25 (ragionevole previsione di redditi imponibili capienti), all’eliminazione dei costi non più capitalizzabili si affianca l’iscrizione delle relative imposte anticipate.

Tuttavia, la cancellazione in bilancio rende necessario, ai fini della deducibilità, il “ripescaggio” delle quote di ammortamento di queste spese in dichiarazione dei redditi, tramite variazione in diminuzione da effettuarsi sia ai fini delle imposte sui redditi che ai fini Irap.

Dove fare le variazioni

Diversamente dallo scorso anno, quest’anno i modelli dichiarativi sono più chiari nell’indicare dove effettuare le variazioni in esame:

rigo RF55 (codice 22) per la dichiarazione Ires;

rigo IC56, colonna 2, per il modello Irap.

Inoltre, le istruzioni richiedono (già dallo scorso periodo d’imposta) che si proceda, nel caso di specie, alla compilazione del quadro RV, per monitorare il disallineamento tra valore contabile e valore fiscale dell’elemento patrimoniale.

La colonna 3 dei vari righi, che sino al 2015 era riservata ai soggetti Ias, dal modello 2016 è riferita anche ai soggetti cui si applica il Dlgs 139/2015 (va riportato il codice 3), e le istruzioni avvertono che «l’eliminazione nell’attivo patrimoniale di costi iscritti e non più capitalizzabili, genera un disallineamento tra il valore civile (non più esistente a seguito dell’eliminazione) e quello fiscale». In questa ipotesi, proseguono le istruzioni, «in colonna 1, va indicata la descrizione della posta eliminata dal bilancio a seguito dell’applicazione dei principi contabili; in colonna 4, va indicato il corrispondente valore contabile risultante dal bilancio prima della transizione ai principi contabili» (2015).

Nella colonna 10, va, invece, indicato il valore fiscale esistente alla data di apertura del primo bilancio di esercizio redatto secondo i principi contabili della voce di bilancio eliminata (2016). Nelle colonne 11 e 12, vanno indicati gli incrementi/decrementi rilevanti ai fini fiscal, mentre, nella colonna 13, va indicato il valore fiscale esistente alla data di chiusura dell’esercizio.

Invece, il modello Irap – piuttosto curiosamente – chiede di monitorare i disallineamenti solo in caso di operazioni straordinarie e non di modifiche ai principi contabili.

Fonte “Il sole 24 ore “

Detrazione dell’Iva erroneamente assolta in cerca di punti fermi

di Benedetto Santacroce

Ancora aspetti da puntualizzare sulle disposizioni che permettono al cessionario/committente di detrarre l’Iva che il cedente/prestatore ha erroneamente assolto, in una situazione che è comunque da definirsi di irregolarità. I commenti della prassi – si fa riferimento in particolare alla circolare 12 di Assonime di ieri – pur offrendo una propria linea interpretativa, sottolineano la necessità di chiarimenti ufficiali su alcuni punti della recente disciplina.

Dopo l’introduzione della possibilità per il fornitore di chiedere il rimborso dell’imposta non dovuta entro 2 anni dall’avvenuta restituzione al cliente dell’importo pagato a titolo di rivalsa (articolo 8 della legge europea 2017), specularmente è stato previsto (articolo 1, comma 935, della legge di bilancio 2018) che, se il cliente ha detratto un’imposta superiore a quella effettiva, il diritto alla detrazione viene comunque conservato con un’unica penalità, ovvero l’applicazione di una sanzione in misura fissa. Se la norma (articolo 6, comma 6, del Dlgs 471/1997) è stata accolta giustamente in un clima di entusiasmo generale, in quanto permette di garantire la neutralità dell’Iva nelle ipotesi di applicazione indebita dell’imposta senza passare per i vari step previsti dalla precedente procedura (il cessionario/committente chiedeva al fornitore la restituzione dell’imposta a lui pagata a titolo di rivalsa, il fornitore dopo aver restituito la somma al cliente, chiedeva il rimborso all’Erario), ciò non significa che essa sia completamente scevra da criticità.

Innanzitutto, sembrerebbe da escludere la sua interpretazione letterale, secondo la quale l’ambito di applicazione della norma sarebbe limitato solamente ai casi in cui l’imposta è dovuta, ma ne è errata la quantificazione, come nel caso in cui il fornitore abbia applicato erroneamente un’aliquota maggiore a quella effettivamente dovuta. Escludendo la detraibilità dell’Iva non dovuta ogniqualvolta l’operazione non è soggetta ad Iva poiché esente, non imponibile od esclusa, si creerebbe una forte disparità rispetto ad un comportamento (l’applicazione di un’aliquota superiore a quella corretta) del tutto analogo, andando contro la ratio stessa della riforma.

Un’altra questione è il dubbio sulla compatibilità dell’articolo 6, comma 6 con la giurisprudenza unionale (in particolare sentenza del 15 dicembre 2011, C-427/10). In quel caso la Corte aveva affermato che l’imposta non dovuta non sarebbe comunque detraibile, affermazione che – secondo la circolare di Assonime – non creerebbe un contrasto tra la norma domestica e la direttiva Iva, così come interpretata dai giudici unionali: il motivo è che, per garantire a tutti gli effetti il principio di neutralità, se l’ordinamento italiano richiede che l’imposta erroneamente esposta in fattura è comunque dovuta (articolo 21, comma 7, del Dpr 633/1972), dall’altro lato, per coerenza, ed in quanto non c’è danno per l’Erario, deve consentire al debitore di portare in detrazione l’imposta, evitando il giro di restituzioni tra cliente, fornitore, Erario sopra descritto. Naturalmente, deve trattarsi di un contesto in cui non vi sia frode fiscale.

Fonte “Il sole 24 ore”

Dati liquidazioni Iva, correzione degli errori a due vie

di Paola Bonsignore e Pierpaolo Ceroli

Passata la scadenza del 31 maggio per la comunicazione dei dati delle liquidazioni Iva relativi al primo trimestre, gli operatori del settore iniziano ad avere le prime preoccupazioni circa la possibilità di ricevere dal sistema uno scarto della comunicazione inoltrata o la rilevazione a posteriori della commissione di errori nella compilazione della stessa.

Diventa, quindi, necessario ricercare i possibili rimedi e valutare le eventuali sanzioni cui si sarà soggetti. In linea generale entrambe le problematiche sono sanabili attraverso:
•un nuovo invio nel caso di scarto;
•la predisposizione ed inoltro di una nuova comunicazione liquidazioni periodiche Iva, o la corretta indicazione dei dati errati in sede di dichiarazione Iva, in caso di omissioni/errori nella compilazione della comunicazione;
•il pagamento, se ne è il caso, della sanzione amministrativa da 500 a 2mila euro, riducibile alla metà nel caso in cui la corretta trasmissione avviene entro 15 giorni successivi la scadenza stabilita, ex articolo 11, comma 2-ter, del Dlgs 471/1997 ravvedibile in base all’articolo 13 del Dlgs 472/1997 (risoluzione 104/E/2017).

Il nuovo invio in caso di scarto
In caso di scarto da parte del sistema delle Entrate per la presenza di anomalie nella liquidazione inoltrata, sarà possibile ritrasmettere il file attraverso un nuovo invio telematico, il quale se viene posto in essere:
•entro 5 giorni lavorativi successivi (esclusi quindi il sabato, domenica e le festività) alla data contenuta nella comunicazione che attesta il motivo dello scarto ed accettato dal sistema informatico dell’Ufficio sarà considerato tempestivo, anche se è scaduto il termine ordinario di presentazione (circolare 195/1999 e risoluzione 5/E/2003), e di conseguenza non sarà soggetto a sanzione (ad esempio qualora la data della comunicazione di scarto sia 31 maggio il termine per la ritrasmissione “tempestiva” sarà il 7 giugno: si veda Il Quotodiano del Fisco del 29 maggio ). In tale caso sembra opportuno conservare, ai fini probatori, sia la comunicazione originale di scarto, sia la comunicazione “rettificativa” con le relative ricevute emesse dall’Amministrazione a riprova dell’avvenuta presentazione nei termini;
•oltre 5 giorni lavorativi successivi alla data contenuta nella comunicazione che attesta il motivo dello scarto sarà considerato fuori termine e, quindi, sarà necessario versare la sanzione amministrativa minima prevista dal citato articolo 11 ridotta a seguito di ravvedimento in base alla data dell’adempimento (ulteriormente ridotta alla metà nel caso in cui la corretta trasmissione avviene entro 15 giorni successivi la scadenza stabilita).

La correzione degli errori
Viceversa, nel caso di errore, come anticipato, saranno possibili due soluzioni ai fini della correzione dei dati trasmessi:
■compilazione di una nuova comunicazione delle liquidazioni periodiche e nuova trasmissione tramite il servizio online dell’agenzia delle Entrate;
■indicazione dei dati corretti relativi alla liquidazione errata in sede di dichiarazione Iva.

Qualunque sia la scelta del contribuente sarà necessario versare la sanzione amministrativa minima di cui all’articolo 11 del Dlgs 471/1997 (500 euro), riducibile alla metà se la corretta trasmissione avviene entro 15 giorni successivi la scadenza stabilita (250 euro) oltre alla riduzione derivante dall’applicazione del ravvedimento operoso.

A titolo esemplificativo, si ipotizzi che in data 15 giugno sia trasmessa la correzione della liquidazione periodica relativa al primo trimestre 2018 con scadenza 31 maggio, e la sanzione sia versata nella medesima data la sanzione da pagare, tenendo conto anche della riduzione a 1/9 a seguito di ravvedimento operoso, sarà pari a 27,78 euro [(500/2)/9=27,78].

Fonte “Il sole 24 ore”

Il professionista deduce il leasing immobiliare

di Gian Paolo Tosoni

I professionisti possono dedurre i canoni di leasing immobiliare ma non l’ammortamento del fabbricato strumentale. La conferma da parte dell’Agenzia in occasione dello speciale L’esperto risponde era scontata, ma ha consentito di aprire il dibattito su una delle tante anomalie del nostro sistema tributario, sottolineata nell’occasione dal consigliere delegato alla fiscalità del Cndcec Gilberto Gelosa.

L’articolo 54, comma 2, del Tuir in tema di deducibilità del costo dei beni ammortizzabili prevede fra l’altro che la deduzione dei canoni di locazione finanziaria è ammessa per un periodo non inferiore alla metà del periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente stabilito dall’apposito decreto; in caso di beni immobili la deduzione è ammessa per un periodo non inferiore a dodici anni. Tale modifica è stata introdotta dal dall’articolo 1, comma 162, della legge 147/2013 con effetto dai contratti di locazione finanziaria stipulati a decorrere dal 1° gennaio 2014. In quella occasione il legislatore aveva fissato il limite minimo di deducibilità per i canoni di leasing immobiliare nella misura di dodici anni prevedendo la modifica anche per il reddito di lavoro autonomo, senza considerare che per tali soggetti la deducibilità non era ammessa. Però introducendo una norma che stabiliva il nuovo limite di deducibilità temporale, ha legittimato la rilevanza fiscale del costo anche per i professionisti.

Mentre la deducibilità dell’ammortamento dei fabbricati strumentali per l’esercizio di arti e professioni si è fermata agli acquisti effettuati fino al 31 dicembre 2009 relativamente agli immobili acquistati nel periodo dal 2007 al 2009.

Quindi durante il forum, l’Agenzia ha ricordato che in mancanza di una espressa previsione normativa, resta invece a tutt’oggi preclusa la possibilità di dedurre gli ammortamenti relativi ai beni immobili strumentali acquistati dal professionista a partire dal 1° gennaio 2010.

Per questi immobili si applica la disposizione contenuta nell’articolo 43 del Tuir la quale afferma che il fabbricato strumentale posseduto e utilizzato esclusivamente per l’esercizio della professione, non produce reddito fondiario e quindi non deve essere assolta l’Irpef sulla rendita catastale.

Inoltre la risposta dell’Agenzia ricorda che la indeducibilità del costo sostenuto dal professionista per l’acquisto diretto dell’immobile strumentale è contemperata dalla irrilevanza delle eventuali plusvalenze prodotte dal medesimo bene (risoluzione 13/E/2010) le quali sono imponibili solamente per gli immobili acquistati nel periodo 2007/2009 per i quali sono state dedotte le quote di ammortamento. Nella fattispecie la vendita non genera plusvalenza, anche se il fabbricato viene ceduto entro cinque anni in quanto l’articolo 67 del Tuir, in materia di redditi diversi colpisce le plusvalenze realizzate al di fuori dell’esercizio di arti e professioni e di impresa.

Per gli immobili acquisiti mediante contratti di leasing, con canoni dedotti, si porrà il problema della plusvalenza quando saranno ceduti tenuto conto che l’articolo 54 del Tuir contempla anche per i professionisti la tassazione delle plusvalenze e deduzione delle minusvalenze dei beni strumentali. Verosimilmente il fabbricato strumentale riscattato dal professionista e poi ceduto o destinato all’uso personale, rientrerà in questa fattispecie.

Invece l’articolo 54 del Tuir per i professionisti non contempla la rilevanza fiscale della sopravvenienza attiva costituita dal valore normale del bene che si verifica in presenza di cessione del contratto (articolo 88 del Tuir). Non convince la tesi che la sopravvenienza venga inquadrata fra gli elementi immateriali riferibili alla attività professionale e quindi tassabili analogamente alla cessione della clientela (comma 1-quater, articolo 54 del Tuir).

Fonte “Il sole 24 ore”

L’Iva per cassa «separa» le comunicazioni dei dati sulle liquidazioni

di Pierpaolo Ceroli e Agnese Menghi

Entro il prossimo 31 maggio i contribuenti devono comunicare, tramite il modello Lipe, il risultato della liquidazione periodica e, a tal fine, devono indicare l’ammontare delle transazioni che hanno concorso alla determinazione dell’imposta. Come regola generale, nel modello vanno dichiarate tutte le operazioni per le quali è richiesta la fatturazione, a prescindere, quindi, dall’effettiva imposta. A tal proposito, nel quadro VP, al rigo VP2, si riportano le operazioni attive rilevanti nel periodo di riferimento (mese o trimestre) – annotate nel registro delle fatture emesse o in quello dei corrispettivi o comunque soggette a registrazione – al netto dell’imposta. Pertanto, devono essere indicate le operazioni:

•imponibili;
•non imponibili;
•esenti;
•non soggette per carenza del presupposto territoriale, per le quali però è richiesta la fatturazione.

Sono, invece, escluse dalla comunicazione le operazioni esenti effettuate dai soggetti che si sono avvalsi della dispensa dagli adempimenti all’articolo 36-bis del Dpr 633/1972, come anche rilevato dalle istruzioni al modello.

Stessa compilazione per le operazioni passive in quanto nel rigo VP3 deve essere indicato l’ammontare complessivo delle transazioni registrate nel registro degli acquisti (fatture e bollette doganali). Di conseguenza, vanno dichiarati, anche se la relativa Iva è indetraibile:
■gli acquisti interni ed intracomunitari di beni e servizi;
■le importazioni di beni.

In merito alle operazioni con Iva ad esigibilità differita, come nel caso del regime Iva per cassa, il modello deve essere compilato riportando, per quanto riguarda le operazioni attive, l’imponibile nel rigo VP2 relativo al mese/trimestre di effettuazione dell’operazione, mentre l’imposta deve essere compresa nel rigo VP4 del periodo nel quale se ne verifica l’esigibilità. Di conseguenza, l’imponibile risulterà in un modello, mentre la relativa imposta sarà dichiarata in un altro. Allo stesso modo le operazioni passive ad esigibilità differita, le quali devono essere dichiarate riportando l’imponibile nel rigo VP3 nel periodo in cui l’acquisto è registrato, mentre l’imposta va nel rigo VP5 del modello riferito al periodo in cui si è verificato il diritto alla detrazione.

Un’altra ipotesi particolare di compilazione del modello Lipe riguarda le operazioni per le quali l’imposta è dovuta da parte del cessionario. Nell’ipotesi di applicazione del meccanismo dell’inversione contabile il cedente o prestatore indica esclusivamente l’imponibile tra le operazioni attive nel rigo VP2, mentre il cessionario/committente:
■indica la base imponibile solo nel rigo VP3 (e non anche in VP2);
■riporta l’imposta sia nel rigo VP4 «Iva esigibile» che nel rigo VP5 «Iva detratta» (purché l’Iva sia detraibile).

Qualora, invece, l’operazione rientrasse nel regime di split payment, il cedente/prestatore deve indicare solo l’imponibile nel rigo VP2, mentre l’imposta non va riportata nel rigo VP4, in quanto il debitore è la Pa in qualità di cessionario/committente.

Fonte “Il sole 24 ore”

Professionisti, sgravio sulle spese «separate» per alberghi e ristoranti

di Nicola Forte

Approdano in dichiarazione le agevolazioni fiscali per le spese alberghiere e di ristorazione dei professionisti, contenute nella legge 81/2017 (il cosiddetto Jobs act dei lavoratori autonomi).

Dal 2017, è infatti possibile superare i limiti alla deducibilità di queste spese stabiliti dal Tuir (articolo 54, comma 5 ) e, al verificarsi di determinate condizioni, le spese saranno integralmente deducibili.

La novità è stata inserita nell’articolo 54, comma 5 del Tuir (dall’articolo 8 della legge 81/2017). La nuova disposizione prevede la possibilità per il professionista di fornire la prova dell’inerenza delle spese. In buona sostanza, è ammessa la possibilità di dimostrare che le spese alberghiere e dei ristoranti siano state sostenute nell’esercizio dell’attività di lavoro autonomo. La prova può essere fornita esclusivamente con le modalità indicate dal comma 5, cioè addebitando analiticamente al committente gli oneri anticipati tramite l’esposizione distinta degli stessi nella fattura emessa.

Il legislatore ha di fatto spostato l’onere del controllo sulla riconducibilità degli oneri così sostenuti nell’attività professionale, in capo al committente dell’incarico professionale. Infatti, si parte dal presupposto che laddove le spese in questione fossero sostenute a titolo personale (al di fuori dell’attività), il committente rifiuterebbe il pagamento delle stesse unitamente ai compensi relativi all’incarico. Viceversa, in mancanza di una formale contestazione, resa possibile in seguito all’esposizione analitica degli oneri nella fattura emessa, gli stessi non potranno che essere considerati inerenti e quindi integralmente deducibili. Per questa ragione non si applicherà il limite generale alla deduzione delle spese alberghiere e di ristorazione, fissato al 75% degli importi, e, in ogni caso, per un ammontare non superiore al 2% dei compensi incassati nel periodo d’imposta.

La regola generale
In base alla regola generale, se un professionista fa una trasferta per seguire il contenzioso di un cliente, le spese alberghiere e per i ristoranti non sono completamente deducibili: se le spese ammontano a 1.000 euro la quota deducibile è di 750 euro (il 75%). L’importo così determinato deve essere capiente rispetto al 2 per cento dei compensi incassati nell’anno. L’importo eventualmente eccedente risulterà comunque indeducibile. Se i compensi incassati nell’anno sono di modesta entità, è possibile che anche una parte della spesa, pari nell’esempio a 750 euro (dopo aver applicato la prima limitazione), sia indeducibile.

La deroga
Nel nuovo assetto normativo, che consente la deduzione integrale delle spese, «addebito analitico» vuol dire che queste spese devono essere indicate distintamente nella fattura rispetto ai compensi. Se questi oneri fossero compresi nell’unica voce «compensi», il committente non sarebbe infatti in grado di riscontrarne l’inerenza rispetto all’espletamento del mandato professionale. Senza una preventiva attività di controllo, si rischierebbe dunque di consentire al professionista di considerare illegittimamente in deduzione anche gli eventuali costi sostenuti a titolo personale.

La novità è in vigore dal periodo di imposta 2017. È stato dunque modificato il modello «Redditi» 2018. Il professionista deve indicare separatamente, a seconda dei casi, le spese non addebitate rispetto a quelle “ribaltate” sul cliente. Ciò per consentire all’agenzia delle Entrate di controllare la spettanza o meno del beneficio integrale della deduzione in sede di determinazione del reddito.

Se paga il committente
È possibile poi che le spese solitamente a carico del professionista per l’esecuzione dell’incarico siano sostenute direttamente dal committente. In questa ipotesi, l’articolo 54 del Tuir prevede che questi oneri non costituiscano compensi in natura per il lavoratore autonomo.

Si consideri ad esempio il caso in cui una società che organizza un master in diritto tributario paghi direttamente le spese alberghiere e di viaggio del professionista che interviene come docente. L’operazione è perfettamente neutrale per il professionista, dal momento che questi oneri, che rimangono esclusivamente a carico della società, non hanno natura di compensi. È un’opportunità prevista dall’articolo 54 che consente, anche questa, di evitare le limitazioni della deducibilità delle spese alberghiere e di ristorazione.

Le spese di viaggio
La previsione del Tuir (articolo 54, comma 5 ) ha una portata molto ampia ed è riferibile anche alle spese di viaggio e più in generale alla trasferta effettuata dal professionista. Nello specifico, si prevede che «tutte le spese relative all’esecuzione di un incarico conferito e sostenute direttamente dal committente non costituiscono compensi in natura per il professionista».

Per le spese di viaggio, a parte il requisito dell’inerenza, l’articolo 54 non ha previsto specifici limiti quantitativi alla deducibilità. Pertanto, anche se questi oneri fossero sostenuti direttamente dal professionista, concorrerebbero integralmente alla deduzione in sede di determinazione del reddito di lavoro autonomo. Tuttavia, se anche tali spese fossero anticipate dal committente, non costituirebbero mai compensi in natura per il soggetto che ne beneficia. In questo caso, sarà il committente che potrà considerare in deduzione i costi sostenuti per conto del professionista relativi al mandato a lui conferito. La deducibilità spetta. L’inerenza, infatti, sussiste in ogni caso, trattandosi di spese funzionali all’espletamento del mandato professionale. Se è legittimamente deducibile il compenso professionale, anche le spese sostenute dall’impresa committente per conto del lavoratore autonomo possono essere considerate in deduzione.

Fonte “Il sole 24 ore”

Eccedenza Ace da convertire con aliquota uguale tra i soci

di Gian Paolo Tosoni

La conversione in credito Irap dell’eccedenza Ace si fa con le aliquote progressive Irpef stabilite dall’articolo 11 del Tuir a prescindere dall’effettiva incidenza del reddito dei soci. Lo precisa l’agenzia delle Entrate nel videoforum che viene trasmesso oggi.

Il Dm Economia del 3 agosto 2017, articolo 8, prevede per imprese individuali e società di persone in regime di contabilità ordinaria che la deduzione Ace eccedente il reddito d’impresa del periodo d’imposta possa avere utilizzo ampio. Tale eccedenza si può rinviare ai periodi di imposta successivi sia dall’impresa individuale sia dai collaboratori dell’impresa familiare; le società di persone possono attribuire il residuo Ace a ciascun socio in proporzione alla loro quota di partecipazione agli utili. Il socio può dedurre la quota di sua competenza dal proprio reddito d’impresa.

Sia la società di persone sia l’imprenditore individuale sia il socio singolarmente possono scegliere di convertire l’eccedenza Ace in credito Irap applicandovi le aliquote Irpef di cui all’articolo 11 del Tuir e tale credito va ripartito in cinque anni. Ad esempio, se la deduzione Ace eccedente per una persona fisica è di 10.000 euro, assumendo la prima aliquota Irpef del 23%, si può fruire di un credito Irap di 2.300 euro da ripartire in cinque anni. Infatti, se il beneficiario è una sola persona fisica il credito Irap si calcola con le aliquote Irpef corrispondenti agli scaglioni di reddito di cui all’articolo 11.

Ma, qualora la società di persone scelga di tramutare l’eccedenza della deduzione Ace in credito Irap, si pone il problema di quali scaglioni di reddito e relative aliquote Irpef applicare, tenuto conto che i soci, essendo più di uno, possono, avere una progressività Irpef diversa tra loro.

L’Agenzia risolve bene il problema precisando che si devono adottare gli scaglioni e aliquote indicate dall’articolo 11 in modo oggettivo senza tener conto del numero dei soci e delle eventuali aliquote marginali di ciascuno.

L’Agenzia fa anche un esempio: se una società con due o più soci ha una eccedenza Ace di 20.000 euro, avrà diritto ad un credito Irap di 4.800 euro determinato applicando il 23% su 15.000 euro (3.450 euro) ed il 27% sul residuo 5.000 (1.350 euro), a prescindere dai scaglioni di reddito dei singoli soci.

In sintesi, quindi, l’eccedenza Ace può essere utilizzata direttamente dalla società o attribuita al socio. Qualora sia attribuita ai soci, questi possono utilizzarla per ridurre i propri redditi di impresa, riportarla nei periodi successivi o tramutarla in credito IRAP; qualora resti alla società, questa potrà tramutarla in credito IRAP utilizzando, per determinare l’ammontare, le aliquote Irpef progressive.

Fonte “Il sole 24 ore”

Fattura elettronica, ok alla copia in pdf

di Benedetto Santacroce

 I contribuenti potranno continuare a portare in conservazione il pdf della fattura e non saranno obbligati a conservare l’xml, questo a condizione ovviamente che il contenuto dei documenti sia identico. Questa è una delle prime risposte dell’agenzia delle Entrate al videoforum dell’Esperto risponde che sarà visibile gratuitamente online da oggi dalle ore 12 sul sito del Sole 24 Ore. L’Agenzia, dando prevalenza alla sostanza e non alla forma consente la conservazione della copia della fattura elettronica che in originale rimarrà custodita presso lo SdI.

La posizione delle Entrate, che va accolta con pieno favore perché risponde alle esigenze operative manifestate da imprese e professionisti, consente di gestire in modo semplificato i due momenti: quello della formazione del documento e della gestione dello stesso presso l’impresa emittente e presso il cliente e quello di trasmissione e gestione del documento presso il sistema d’interscambio.

Più in dettaglio, ad esempio, un’impresa che si avvale di un intermediario potrebbe continuare ad operare all’interno con le proprie modalità e con i formati più consoni al gestionale utilizzato, inviando un flusso informativo all’intermediario. A sua volta l’intermediario potrebbe elaborare il flusso ricevuto, trasformandolo in xml e provvedendo alla trasmissione dello stesso tramite il sistema d’interscambio e inviando in allegato la fattura in formato pdf. Il destinatario potrebbe acquisire sia il formato xml che il pdf e conservare solo quest’ultimo formato.

Ovviamente, per dare esatta corrispondenza tra il primo e secondo file è necessario gestire e conservare gli esiti o le ricevute che vengono inviate dallo SdI al momento della presa in carica del file ovvero al momento della consegna al destinatario. In queste ricevute lo SdI inserisce un codice alfanumerico che caratterizza univocamente il documento (vale a dire l’impronta del documento stesso attraverso un hash calcolato con algoritmo SHA-256) per ogni file fattura elaborato.

L’Agenzia sottolinea che il documento conservato in pdf è una copia informatica dell’originale che resta pur sempre il file xml trasmesso allo SdI.

La conformità normativa della copia è garantita dalle regole imposte dall’art. 23bis del Codice dell’amministrazione digitale (Dlgs 82/2005 e successive modifiche) che al comma 2 prevede espressamente che «le copie e gli estratti informatici del documento informatico, se prodotti in conformità alle vigenti regole tecniche di cui all’art. 71 (dello stesso Cad), hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale, in tutte le sue componenti , è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato o se la conformità non è espressamente disconosciuta. Resta ferma, ove previsto, l’obbligo di conservazione dell’originale informatico».

Nel caso della fattura elettronica, per il quale non si evidenziano particolari regole di obbligo di conservazione dell’originale, è chiaro che l’adozione da parte dell’emittente del documento o del ricevente che è in possesso dell’originale di un processo di conservazione a norma della copia di tale originale che rispetti tutte le regole imposte ai fini civilistici dal Dpcm 3 dicembre 2013 e, ai fini fiscali, dal Dm 17 giugno 2014 soddisfa pienamente gli adempimenti di conservazione della fattura nel tempo.

Proprio per questo l’Agenzia conclude affermando che l’operatore potrà decidere di portare in conservazione anche la copia in pdf, formato considerato idoneo dal citato Dpcm 3 dicembre 2013.

Fonte “Il sole 24 ore”

Tassazione dei dividendi, soci qualificati penalizzati dal nuovo regime

di Giorgio Gavelli

In queste settimane le società presentano i bilanci ai soci riuniti in assemblea e, quando i risultati sono positivi, viene spesso assunta la delibera di distribuzione dei dividendi. Quest’anno, tuttavia, alcune questioni di natura fiscale e contabile meritano un approfondimento.

Sul piano tributario, l’attenzione è puntata sulle controverse disposizioni contenute nella legge di Bilancio 2018 e, in particolare, sulla norma transitoria di cui all’articolo 1, comma 1006 della legge n. 205/2017. Se, in linea generale, l’intento delle nuove disposizioni è quello di assimilare il trattamento dei soci (persone fisiche) qualificati e non, prevedendo in entrambi i casi l’applicazione della ritenuta secca del 26%, viene contestualmente statuito che alle distribuzioni di utili derivanti da partecipazioni qualificate in società ed enti soggetti Ires formatesi con utili prodotti fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2017, deliberate dal 1° gennaio 2018 al 31 dicembre 2022, continuano ad applicarsi le regole previgenti.

È facile verificare che, nella stragrande maggioranza dei casi, il socio qualificato è penalizzato dal nuovo regime, anche per il fatto che la ritenuta alla fonte (o l’imposta sostitutiva) non permette di sfruttare deduzioni e detrazioni per abbattere l’imponibile. Ne consegue che, in prima approssimazione, si potrebbe pensare di risolvere subito il problema deliberando in questi giorni la distribuzione di tutte le riserve divisibili ante 2018 presenti in bilancio, lasciando poi alle possibilità finanziarie della società la materiale liquidazione di quanto deliberato.

Tuttavia, a ben vedere, un simile comportamento appare del tutto sconsigliabile, per più di un motivo. In effetti, la scrittura contabile conseguente ad una simile delibera (dare Riserve avere Debiti verso soci per dividendi) ridurrebbe drasticamente il patrimonio netto, con effetti pressoché immediati su rating e rapporti bancari. Inoltre, qualora successivamente la società realizzasse perdite di esercizio, l’assenza di un patrimonio netto capiente indurrebbe i soci a rinunciare al proprio credito per dividendi, innescando così il rischio di vedersi imputare dall’amministrazione finanziaria il cosiddetto incasso giuridico, atteso che il dividendo è un reddito tassato per cassa come il compenso amministratore, il Tfm, gli interessi attivi e via dicendo (risoluzione n. 124/E/2017, circolare n. 73/1994, Cassazione n. 1335/2016 e n. 26842/2014).

Ma gli effetti negativi non finiscono qui, se si pensa che una scrittura quale quella sopra riportata ha anche l’effetto di ridurre per un pari importo la base Ace sin dall’inizio del periodo d’imposta (circolare n. 12/E/2014) e con analogo impatto sui periodi successivi, nonostante la liquidità permanga in società, anche se non più nell’ambito del netto patrimoniale.

Delicate conseguenze potrebbe anche avere la permanenza del debito verso i soci per un lungo periodo. Infatti, da un lato i diritti che derivano dai rapporti sociali si prescrivono in cinque anni (articolo 2949 Cc), dall’altro non si può escludere che, sulla scorta di alcune discutibili sentenze della Cassazione (10030/2009 e 17839/2016), qualche verificatore trasformi questi importi in finanziamenti fruttiferi da socio a società, inventando interessi e (omesse) ritenute.

A ben vedere, considerato anche l’evidente errore commesso nei confronti di chi aveva già deliberato ma non distribuito, alla data di entrata in vigore della legge n. 205/2017, gli utili realizzati (si veda Il Sole 24 Ore del 14 aprile scorso), la norma transitoria andrebbe riscritta completamente, prima che si concretizzino tutte le situazioni negative a cui può portare. Perché appare scontato che l’erario non vedrà applicato il 26% sugli utili ante 2018 dei soci qualificati, tanto vale stabilire sin d’ora che l’assimilazione con la disciplina dei soci non qualificati (ove ritenuta necessaria) entri in vigore direttamente con la distribuzione degli utili realizzati dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2017.

Fonte “Il sole 24 ore”

Patent box, plusvalenza agevolabile con applicazione del «nexus ratio»

di Michele Brusaterra

In caso di cessione di un bene immateriale per cui risulta applicabile il «patent box», la plusvalenza è esclusa da tassazione, per la parte del 50 per cento del valore risultante dall’applicazione alla stessa del «nexus ratio».

Questa, in sintesi, la regola da tenere a mente per sfruttare la detassazione stabilita dalle norme sul patent box e che riguarda la cessione di uno di quegli «Intellectual property» individuati dalle disposizioni stesse.

Viene stabilito, più precisamente, che tale plusvalenza è esclusa dal reddito complessivo, a condizione che almeno il 90 per cento del corrispettivo che deriva da tale cessione venga reinvestito in attività di ricerca e sviluppo che servono per lo «sviluppo, mantenimento e accrescimento di altri beni immateriali», diversi da quelli già posseduti dall’impresa, e con esclusione dell’importo sostenuto per il loro acquisto, come chiarito dalla circolare dell’agenzia delle Entrate n. 11/E/2016 .

Tale somma va reinvestita, prima della chiusura del secondo periodo d’imposta successivo a quello di cessione, nelle attività di ricerca e sviluppo svolte direttamente dal soggetto che beneficia dell’agevolazione, ovvero in contratti di ricerca stipulati con università, enti di ricerca od organismi equiparati, con società, anche start up innovative, sia che esse appartengano o non appartengano al gruppo del beneficiario dell’agevolazione.

Sostiene, inoltre, sempre la citata circolare n. 11/E/2016, che la plusvalenza costituisce reddito agevolabile nei limiti scaturenti dall’adozione della stessa regola valida per la determinazione del reddito agevolabile derivante dallo sfruttamento degli asset, applicando, quindi, il «nexus ratio», ossia il rapporto fra costi qualificati e costi complessivi, sostenuti dall’azienda.

Più precisamente il «nexus ratio» è dato dal rapporto tra i costi sostenuti per le attività di ricerca e sviluppo, sia svolte direttamente dal soggetto beneficiario dell’agevolazione, sia da università o enti di ricerca e organismi equiparati, da società, anche se start up innovative, diverse da quelle che controllano, direttamente o indirettamente, l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, costi, tutti, che vanno indicati al numeratore del rapporto.
Sempre al numeratore possono anche essere inseriti i costi relativi ad attività di ricerca e sviluppo, che sono addebitati da soggetti facenti parte dello stesso gruppo societario, ma solo per la quota di tali costi che rappresentano «un mero riaddebito di costi sostenuti da tali società del gruppo nei confronti di soggetti terzi per l’effettuazione delle medesime attività di ricerca e sviluppo».

Dopo l’intervento del Dl 3/2015, il numeratore può essere anche aumentato di un importo pari alla differenza tra quanto indicato al denominatore e quanto indicato al numeratore, ma nel limite, comunque, del 30 per cento di quest’ultimo valore.

Al denominatore si devono indicare, invece, tutti i costi indicati al numeratore, a cui vanno sommati il costo di acquisizione, anche tramite licenza di concessione in uso, del bene immateriale e i costi per operazioni intercorse con le società che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa.

Una volta determinato il «nexus ratio», esso va applicato alla plusvalenza realizzata, e il risultato costituisce reddito agevolabile nella misura del suo 50 per cento, percentuale stabilita nel 30 per cento per il 2015 e nel 40 per cento nel 2016.

Fonte “Il sole 24 ore”

E-fattura, tax free shopping con visto digitale

di Alessandro Mastromatteo e Benedetto Santacroce

Definite le modalità tecniche e operative per l’attuazione dell’obbligo di emissione di fattura elettronica per il tax free shopping dal 1° settembre 2018: con determinazione direttoriale prot. nr. 54088/RU , diramata ieri, l’agenzia delle Dogane e dei monopoli, di concerto con l’agenzia delle Entrate, ha diramato le disposizioni necessarie sia al rilascio del visto digitale sia alla interoperabilità con il Sistema di interscambio per la trasmissione dei dati delle fatture.

Nel dettaglio, in caso di apposizione del visto in un punto di uscita nazionale, la prova dell’uscita delle merci non è più fornita dal timbro apposto sul documento fiscale da parte della dogana di uscita, ma dal codice di visto digitale univoco generato da Otello 2.0. Mentre in caso di uscita dal territorio doganale dell’Unione europea attraverso un altro Stato membro, la prova di uscita delle merci è fornita dalla dogana estera secondo le modalità vigenti in tale Stato membro.

Di assoluta rilevanza la possibilità di utilizzare, prima della data di avvio dell’obbligo, la procedura che digitalizza l’intero processo e cioè Otello 2.0. – Online Tax Refund at Exit. Le istruzioni operative, contenute nella nota protocollo 54505/2018 pubblicata anch’essa ieri, chiariscono infatti come i relativi servizi informatizzati risultano disponibili già dalla giornata di oggi, assicurando comunque la gestione presso tutti i punti di uscita non solo delle fatture tax free emesse in modalità elettronica, ma anche di quelle cartacee emesse sino al 31 agosto 2018. Le fatture tax free possono infatti essere presentate in Dogana per l’apposizione del visto entro il terzo mese successivo alla data di acquisto. Di conseguenza, le fatture cartacee potranno essere vistate sino al 30 novembre 2018 con la precedente versione di Otello in caso di uscita dagli aeroporti di Malpensa e Fiumicino oppure con le modalità cartacee, mediante apposizione del timbro “conalbi” presso tutti gli altri punti di uscita. Dal 1° dicembre 2018, invece, tali procedure non saranno più accettate in quanto decorsi i tre mesi dall’avvio dell’obbligo: il cedente è infatti tenuto dal prossimo 30 settembre a trasmettere ad Otello 2.0 il messaggio contenente i dati della fattura per il tax free shopping al momento dell’emissione. Al cessionario dovrà essere messo a disposizione il documento, in forma analogica o elettronica, contenente il codice ricevuto in risposta che ne certifica l’avvenuta acquisizione da parte del sistema. Il messaggio contenente i dati dell’eventuale variazione effettuata ai sensi dell’articolo 26 del Dpr 633/1972, è trasmesso inoltre dal cedente al momento dell’effettuazione della variazione. I dati di competenza dell’agenzia delle Entrate trasmessi ad Otello 2.0 sono automaticamente messi a disposizione in apposita area riservata così da consentire al cedente, con un solo invio, di assolvere anche gli adempimenti comunicativi di natura fiscale. All’agenzia delle Entrate sono inoltre trasmesse le informazioni di competenza sullo stato di apposizione del visto digitale sulle fatture per il tax free shopping.

Il provvedimento si occupa di disciplinare anche il caso di impossibilità temporanea di trasmissione dei messaggi, richiedendo al cedente di trasmetterli non appena il sistema ritorna ad essere disponibile. Va infine ricordato che per usufruire del servizio Otello 2.0. occorre accreditarsi utilizzando le credenziali Spid (Sistema pubblico identità digitale) ovvero la Cns (Carta nazionale dei servizi).

Fonte “Il sole 24 ore”

Scambio dati esteso per l’antiriciclaggio

di Valerio Vallefuoco

Scambio di informazioni a raggio più ampio. Il 16 maggio scorso il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legislativo che recepisce anche in Italia l’attuazione della direttiva Ue 2258 del 2016 di modifica della precedente direttiva 16/2011 sullo scambio di informazioni tra amministrazioni finanziarie, introducendo la facoltà di accesso da parte delle autorità fiscali alle informazioni raccolte da tutti i soggetti obbligati dalla disciplina antiriciclaggio.

Assistiamo quindi anche nel nostro paese al recepimento della normativa dell’Unione europea meglio conosciuta come Dac 5 (acronimo per Directive on adminstrative cooperation). Questa regolamentazione prevede appunto che gli Stati membri Ue, attraverso normative nazionali, consentano l’accesso alle rispettive amministrazioni fiscali anche a tutti i documenti, le informazioni e le procedure effettuate in materia di antiriciclaggio. Quindi, sono coinvolti tutti gli intermediari bancari, finanziari, assicurativi, le fiduciarie, i professionisti e in genere tutti i soggetti obbligati dalla normativa antiriciclaggio.

In particolare, le amministrazioni finanziarie dell’Unione europea possono già dal 2018 avere libero accesso alle informazioni raccolte per adempiere agli obblighi di adeguata verifica della clientela, alle informazioni e ai dati individuati sulla titolarità effettiva di società e altre entità giuridiche, alle informazioni sulla titolarità effettiva dei trust, dei dati individuati e comunicati ai rispettivi Registri centrali sui titolari effettivi ed in generale a tutti i dati e alle informazioni soggetti agli obblighi di conservazione e raccolta dai soggetti obbligati dalla materia antiriciclaggio.

L’intervento normativo è stato effettuato attraverso la modifica del decreto legislativo 29/2014, relativo alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale, modificando l’articolo 3 comma 3 e prevendo quindi espressamente che i servizi di collegamento che sono stati nominati dai rispettivi Stati membri (in Italia, l’agenzia delle Entrate), quando devono prestare assistenza ma in generale quando devono raccogliere elementi utili per lo scambio di informazioni, oltre alla consolidata facoltà di accedere alle informazioni ed ai dati contenuti nell’anagrafe tributaria o attraverso i tradizionali poteri di accertamento, potranno liberamente avere accesso anche alle notizie raccolte dai soggetti obbligati alla normativa antiriciclaggio, così come previsto nella direttiva europea Dac 5.

In particolare, l’amministrazione finanziaria italiana potrà accedere al registro centrale dei titolari effettivi (sezione speciale del Registro delle imprese che dovrà essere istituito entro il mese di luglio 2018), dove tutte le società e gli amministratori di enti o trust o fiduciarie dovranno comunicare i rispettivi titolari effettivi. I soggetti individuati per avere accesso a questi dati particolari saranno l’agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza: in particolare, la prima potrà accedere ai dati antiriciclaggio degli intermediari finanziari.

Per soggetti diversi dagli intermediari, come ad esempio i professionisti, l’agenzia delle Entrate potrà avvalersi della Guardia di Finanza ed in questo senso è previsto dal decreto appena approvato che le due amministrazioni stipulino un’apposita convenzione entro trenta giorni dalla pubblicazione della norma sulla Gazzetta ufficiale. Infine, di particolare rilievo la norma di chiusura che prevede che l’accesso ai dati ed alle informazioni antiriciclaggio verrà utilizzato dall’amministrazione finanziaria italiana anche per verificare il corretto adempimento degli obblighi e delle procedure di adeguata verifica ai fini fiscali.

Fonte “Il sole 24 ore”

Carburanti, credito d’imposta agli esercenti solo per i pagamenti tracciabili

di Paola Bonsignore e Pierpaolo Ceroli

La legge di Bilancio 2018 al fine di incentivare e, in un certo qual modo, di risarcire i contribuenti operanti nella distribuzione di carburanti, che dal prossimo primo luglio, a seguito delle novità in tema di fatturazione elettronica e deducibilità del costo e detraibilità dell’Iva, saranno soggetti a maggiori oneri per la riscossione dei pagamenti tramite mezzi tracciabili (carte di credito, bancomat, carte prepagate), ha previsto l’istituzione a regime di un credito d’imposta.

Tale credito, istituito in un’ottica di contrasto alle irregolarità fiscali e condotte fraudolente legate al settore delle cessioni di carburante, da un punto di vista soggettivo è attribuito a tutti gli esercenti impianti di distribuzione che, come chiarito dall’agenzia delle Entrate nella circolare 8/E/2018, sono da intendersi come «chiunque, in base ad un legittimo titolo (proprietà, affitto, eccetera), svolge tale attività e sostiene il costo di commissione».

Da un punto di vista sostanziale, invece, tale beneficio, ai sensi dell’articolo 1, comma 924, della legge 205/2017, è pari al «al 50 per cento del totale delle commissioni addebitate per le transazioni effettuate, a partire dal 1° luglio 2018, tramite sistemi di pagamento elettronico mediante carte di credito, emesse da operatori finanziari soggetti all’obbligo di comunicazione previsto dall’articolo 7, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605».

In altri termini, nel caso di compravendita di carburante l’emissione della fattura elettronica non rappresenta un documento necessario e sufficiente affinché l’esercente tale attività possa beneficiare del credito d’imposta in commento, ma a tal fine dovrà esigere il pagamento tramite mezzi tracciabili individuati nel dettaglio dal provvedimento del 4 aprile 2018, come ad esempio carte di credito, bancomat e/o carte prepagate, e dovrà sostenere il costo di commissione della transazione bancaria, rappresentando, quest’ultimo, la base di partenza per la determinazione del credito stesso.

Nel caso in cui siano rispettati tutti i sopra richiamati requisiti, allora il contribuente potrà utilizzare in compensazione il credito maturato, esclusivamente, in compensazione mediante F24, ai sensi dell’articolo 17 del Dlgs 241/97, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello di maturazione.

Ad ogni modo, dovrà essere assicurato il rispetto del regolamento Ue 1407/2013 relativo al regime de minimis, in base al quale gli aiuti di Stato (tra i quali vi rientrano oltre ai prestiti a fondo perduto, ai finanziamenti agevolati, alle agevolazioni fiscali, anche i crediti d’imposta) concessi a favore di un’unica azienda non devono superare, nell’arco di tre esercizi finanziari, i 200mila euro.

Al fine del suo effettivo riconoscimento, in attesa del decreto attuativo si può ritenere che il credito, essendo utilizzabile dal periodo d’imposta successivo alla maturazione, sia da indicarsi nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di maturazione e al contempo non sia utilizzabile come compensazione “interna” alla dichiarazione stessa essendo previsto un utilizzo esclusivo tramite F24.

Fonte “Il sole 24 ore”

 

Per i carburanti debutto a doppio regime

di Marco Mobili

Depositati al Senato gli emendamenti al decreto legge Alitalia che introducono il doppio binario per il debutto della fatturazione elettronica dal 1° luglio 2018 per i carburanti. Le due proposte di modifica depositate da Stefano Borghesi della Lega e da Gilberto Pichetto Fratin (Fi-Bp),saranno da oggi all’esame della commissione speciale di Palazzo Madama.

Oltre a prevedere la validità della scheda carburanti fino al termine del 2018 con altre due proposte di modifica viene precisato che il credito d’imposta maturato dagli esercenti dei distributori che accettano i pagamenti con moneta elettronica potrà essere utilizzato solo successivamente al periodo d’imposta della sua maturazione. Nel pacchetto di emendamenti (in tutto sono 17) compaiono anche alcuni correttivi per gestire meglio gli investimenti degli enti locali.

Nella mattinata di oggi si saprà se gli emendamenti, comunque concordati con il Governo uscente e che di fatto recepiscono le richieste delle associazioni di categoria, supereranno lo scoglio delle ammissibilità. Solo in caso di esito positivo saranno messi al voto della commissione e poi dell’Aula del Senato per poi andare in seconda lettura a Montecitorio.

Come anticipato la scorsa settimana su queste pagina (si veda Il Sole 24 Ore del 15 maggio) il debutto della fatturazione elettronica fissato dalla legge di bilancio per il 1° luglio prossimo sarà accompagnato dalla permanenza “in vita” della scheda carburanti almeno fino al 31 dicembre 2018. L’emendamento del bresciano Borghesi, oltre a prevedere che gli acquisti di carburante debbano essere documentati dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali, dalle università, da ospedali ed enti di assistenza e beneficenza (già previsto come obbligo dal 2015), estende l’e-fattura anche agli autotrasportatori che operano in conto terzi o in proprio con apposite licenze.

Con lo stesso emendamento vengono rinviate al 1° gennaio 2019 le abrogazioni della disciplina delle schede carburanti. Un emendamento che nella sostanza è in linea con quello di Pichetto Fratin che prevede espressamente la possibilità fino al 31 dicembre 2018 di documentare la cessione di carburante per autotrazione anche attraverso la scheda carburanti. Entrambe gli emendamenti, ve detto, non modificano l’articolo 1, comma 917, della legge di bilancio che introduce dal 1° luglio 2018 l’obbligo generalizzato dell’e-fattura per i carburanti.

Sia Lega che Forza Italia chiedono, poi, con altri due emendamenti sostanzialmente identici (1.0.9, 1.0.10) che il credito d’imposta riconosciuto agli esercenti dei distributori sulle commissioni per i pagamenti effettuati con moneta elettronica può essere utilizzato dal periodo d’imposta successivo a quello di maturazione. Per gli oneri, stimati in 5 milioni di euro per l’anno 2018, si pesca dai Fondi di riserva speciali.

Negli emendamenti depositati ieri arriva anche un nuovo riparto degli spazi finanziari per investimenti da 500 milioni di euro destinati alle Regioni. La distribuzione dei “bonus”, che servono ad attivare le intese fra gli enti locali di ogni regione, si porta con sé anche la riapertura dei termini fino al 30 settembre, come accaduto lo scorso anno.

Fonte “Il sole 24 ore”

La fattura differita non sposta il momento di esigibilità dell’Iva

di Giuseppe Carucci e Barbara Zanardi

Per chi eroga servizi nei confronti di clienti abituali può risultare operativamente più efficiente emettere una sola fattura differita mensile in luogo di tante fatture immediate quante sono le prestazioni effettuate. È il caso, ad esempio, delle imprese che svolgono attività di car sharing, di noleggio auto con conducente o dei soggetti che effettuano attività di intermediazione. Tale facoltà è prevista dall’articolo 21, comma 4, terzo periodo, lettera a), del Dpr 633/1972.

La facoltà
Per comprendere appieno i benefici di tale facoltà, giova ricordare che le prestazioni di servizi si considerano effettuate, ai fini dell’Iva, all’atto del pagamento del corrispettivo (articolo 6, comma 3, del Dpr 633/1972) e, quindi, in tale momento l’imposta diviene esigibile e scatta il conseguente obbligo di fatturazione. Tuttavia, in alcuni casi, in deroga a tale previsione, è possibile emettere nei confronti del medesimo cliente una fattura riepilogativa in un momento successivo a quello di effettuazione delle operazioni.

In particolare, l’articolo 21 prevede che, in luogo delle singole fatture immediate, si possa emettere, entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione delle operazioni, una sola fattura cumulativa, recante il dettaglio delle operazioni poste in essere nello stesso mese solare nei confronti del medesimo soggetto.

Si consideri, ad esempio, che un’impresa di car sharing abbia erogato e incassato nel mese di maggio dieci prestazioni nei confronti del medesimo cliente. In base alla regola generale, il prestatore dovrebbe emettere dieci fatture immediate al momento dei relativi incassi. Se, invece, l’impresa si avvale della facoltà in esame, in luogo di dieci fatture immediate, l’operatore può emettere e registrare entro il 15 giugno una fattura riepilogativa recante il dettaglio delle operazioni poste in essere a maggio. Inoltre è possibile emettere la fattura differita anche in caso di effettuazione di una sola operazione.

Le condizioni
Tuttavia, per poter ricorrere alla fattura differita e riepilogativa, è necessario che le prestazioni di servizi siano individuabili attraverso «idonea documentazione». La norma, però, non specifica né vincola il tipo di «documentazione» che può considerarsi «idonea» a tale scopo. Al riguardo, secondo quanto chiarito dalla circolare 18/E/2014, il contribuente, al fine di rendere individuabile la prestazione di servizio, può utilizzare la documentazione commerciale prodotta e conservata in base alla peculiarità dell’attività svolta, purché dalla stessa sia possibile individuare con certezza la prestazione eseguita, la data di effettuazione e le parti contraenti. Può trattarsi, ad esempio, del documento attestante l’avvenuto incasso del corrispettivo, del contratto o della lettera d’incarico.

Liquidazione Iva
Tale disciplina rappresenta soltanto una semplificazione operativa, in quanto il differimento concerne il solo termine di fatturazione, e non anche il momento di esigibilità dell’imposta, che continua a coincidere con il momento di effettuazione delle operazioni.
Tornando al precedente esempio, pertanto, l’Iva a debito derivante dalle fatture emesse in modalità differita e riepilogativa è computata nella liquidazione di maggio (e non in quella di giugno in cui la fattura è stata emessa e registrata).

Fonte “Il sole 24 ore”

Gli utili 2016 accantonati cercano spazio in Redditi

di Giorgio Gavelli

Gli utili 2016 troveranno spazio nel nuovo rigo del prospetto contenuto nel quadro RS del modello Redditi SC 2018 , ma con diverse incognite legate alla compilazione. Il «Prospetto del capitale e delle riserve» deve essere utilizzato con lo scopo di monitorare la struttura del patrimonio netto, così come riclassificato agli effetti fiscali, per la corretta applicazione delle norme riguardanti il trattamento, sia in capo ai partecipanti, sia in capo alla società o ente, della distribuzione o dell’utilizzo per altre finalità del capitale e delle riserve.

Ciò trova conferma all’articolo 1, comma 5 del decreto del 26 maggio 2017 (vale a dire del provvedimento che ha modificato la disciplina dei dividendi e delle plusvalenze su partecipazioni societarie), in base al quale, sulla scorta di quanto già previsto dal precedente decreto 2 aprile 2008, l’ammontare complessivo delle riserve formate con utili prodotti dalla società o dall’ente partecipato, nel periodo compreso dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007 all’esercizio in corso al 31 dicembre 2016 e i decrementi di tale ammontare conseguenti alle delibere di distribuzione, sono indicati nel «Prospetto del capitale e delle riserve» del quadro RS del modello di dichiarazione dei redditi delle società di capitali. Questo adempimento deriva dalla diversa imposizione ai fini Irpef dovuta all’adeguamento delle percentuali di imponibilità per alcune tipologie di dividendi, proventi equiparati e plusvalenze, conseguente alla riduzione dell’aliquota Ires dal 27,5% al 24%, in base all’articolo 1, comma 61, della legge (208/2015).

La tassazione dei dividendi

Per effetto delle modifiche subite nel tempo dall’aliquota Irpeg/Ires, la quota imponibile del dividendo che il socio persona fisica qualificata è chiamata a dichiarare (al di là delle novità della legge di Bilancio 2018 e della relativa norma transitoria, che non hanno effetto sulla compilazione del modello redditi 2017) è in misura pari:

– al 40% per le riserve formate con utili prodotti dalla società o ente partecipato fino all’esercizio in corso al 31dicembre 2007;

– al 49,72% per le riserve formate con utili prodotti successivamente e fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2016;

– al 58,14% per quelli prodotti nell’esercizio successivo.

La criticità

Era, quindi, inevitabile che l’esigenza di monitorare separatamente gli utili prodotti dal 2017 in poi da quelli precedenti portasse alla comparsa di un rigo in più nel prospetto (si veda Il Sole 24 Ore dell’11 settembre 2017). Ciò che, tuttavia, non si poteva immaginare è che questo rigo (RS136) venisse proposto dalla modulistica senza alcuna possibilità di inserire incrementi di riserve ma solo decrementi. È pur vero, infatti, che gli utili prodotti dalle società nel 2017 non vanno confusi con quelli pregressi (e, quindi, troveranno allocazione nel totale delle riserve di utili ma non nei righi specifici in cui si opera la distinzione temporale), ma è altrettanto vero che gli utili 2016, deliberati nel 2017, ove accantonati a riserva, non hanno ancora trovato collocazione tra le riserve di utili riportate dal prospetto, e devono essere rilevate in questo modello, andando a incrementare le riserve prodotte dal 2008 al 2016.

La possibile soluzione

L’assenza della colonna «incrementi» impedisce una compilazione naturale del prospetto, rendendo obbligatoria una forzatura nella casella finale del rigo oppure in quella iniziale. È quest’ultima la via seguita nell’esempio in pagina, nella consapevolezza, peraltro, che in questo modo si creano disallineamenti rispetto al prospetto presentato l’anno precedente e a livello di totali verticali. Ma in attesa di chiarimenti ufficiali si tratta probabilmente della soluzione con meno controindicazioni.

Infatti, inserire tali utili solo a livello di riserve di utili complessive e non nel rigo delle riserve create fino al 2016 creerebbe un problema maggiore, dato che rischierebbe di rendere applicabile ad essi la maggiore imposizione prevista per i soci qualificati dal 2017 rispetto a quella prevista per il 2016.

Se meno problematica è la distribuzione degli utili a soci soggetti Ires (l’esclusione del 95% dei dividendi citati all’articolo 89, comma 2 del Tuir non è, infatti, variata), o a soci persone fisiche non qualificate (anche la ritenuta “secca” del 26% non è mutata), problemi analoghi a quello ora ricordato riguardano i soci costituiti da imprese non Ires e da enti non commerciali.

È evidente, in ogni caso, che sarebbe opportuno confermare la soluzione proposta (o indicarne un’altra) prima dell’invio dei modelli. Il tempo da qui al 31 ottobre non manca. La speranza è non arrivare sul filo di lana.

Fonte “Il sole 24 ore”

Calcoli certi per il bonus ricerca & sviluppo nelle operazioni straordinarie

di Emanuele Reich e Franco Vernassa

Le attese istruzioni sull’applicazione del credito d’imposta sulla Ricerca e sviluppo in presenza di operazioni straordinarie sono arrivate con la circolare n. 10/E del 16 maggio 2018, elaborata congiuntamente dall’agenzia delle Entrate e dal ministero dello Sviluppo economico. Trasformazioni, fusioni, scissioni e conferimenti posseggono ora i criteri di applicazione per la determinazione del credito per le operazioni da realizzare o che trovano compimento d’ora in poi.

Nessuna preoccupazione per il pregresso, cioè gli esercizi 2015, 2016 e 2017, quando esistevano condizioni di incertezza della normativa di riferimento (articolo 3, del Dl 145/2013 e Dm 27 maggio 2015) che non tratta specificatamente le operazioni straordinarie. Infatti, come già avvenuto con la precedente circolare n. 13/2017, l’Agenzia tutelerà le imprese che – avendo applicato criteri interpretativi diversi da quelli ora indicati – hanno ottenuto un beneficio maggiore o minore di quello spettante alla luce della nuova circolare, in quanto:

nessuna sanzione sarà applicata nell’ipotesi in cui una parte del credito sia stato indebitamente utilizzato in compensazione, fatto salvo il versamento del credito e dei relativi interessi;

sarà invece possibile presentare una dichiarazione integrativa a favore per i periodi d’imposta 2015 e 2016, se il credito effettivamente spettante risulterà maggiore di quanto in precedenza calcolato, con conseguente utilizzo in compensazione.

La circolare individua tre principi di carattere generale alla base delle regole di calcolo: l’autonomia della disciplina agevolativa rispetto all’ordinaria disciplina di determinazione del reddito d’impresa (e dell’imposta); l’autonomia dei singoli periodi d’imposta; il ragguaglio alla durata dei periodi di imposta dei parametri rilevanti ai fini del calcolo del bonus (importo minimo degli investimenti; tetto massimo annuale; media storica di riferimento).

Sul primo principio la circolare 10/E distingue tre profili:

individuazione, determinazione ed imputazione temporale dei costi ammissibili, potendo accadere che in un determinato periodo d’imposta i costi ammissibili al credito Ricerca e sviluppo non coincidano con i costi rilevanti per la determinazione del reddito d’impresa, al fine di uniformare il trattamento dei soggetti beneficiari dell’incentivo a prescindere da regole contabili (costo o capitalizzazione), criteri di determinazione del reddito (Ias, Oic adopter, micro-imprese, forfetizzazione);

clausola di territorialità con riferimento al caso della ricerca contrattuale (extra-muros);

ricerca infragruppo con riqualificazione di fatto da ricerca extra-muros a ricerca intra-muros.

Il secondo e terzo principio generale rilevano se vengono a specificarsi periodi di imposta di durata diversa da quella ordinaria di 12 mesi, che è anche il caso tipico delle operazioni straordinarie.

In proposito, premesso che i sei periodi di imposta di durata dell’agevolazione (2015-2020) corrispondono a 72 mesi, si chiarisce che «è necessario adeguare la tempistica per la determinazione del credito spettante in modo da garantire la possibilità di accedere al beneficio per un arco temporale complessivamente non superiore e non inferiore a settantadue mesi». Di conseguenza nel caso di un periodo agevolato di durata inferiore o superiore a quello standard di 12 mesi diventa necessario operare il ragguaglio dei parametri rilevanti per il calcolo del credito (ammontare minimo di investimenti, importo massimo del credito d’imposta riconosciuto annualmente a ciascun beneficiario e media di riferimento).

Fonte “Il sole 24 ore”

Carburanti, più vie per i pagamenti tracciabili

di Pierpaolo Ceroli e Agnese Menghi

Dal 1° luglio 2018, benché sembra preannunciarsi delle proroghe o meglio un doppio binario sino a fine 2018 (si veda Il Quotidiano del Fisco del 15 maggio ), i soggetti passivi Iva che vorranno dedurre le spese per l’acquisto di carburanti, ma anche detrarre la relativa Iva, dovranno regolare gli acquisti esclusivamente mediante strumenti di pagamento tracciabili, a seguito delle modifiche apportate dalla legge di Bilancio 2018 (legge 205/2017) agli articoli 164 Tuir e articolo 19-bis.1 del Dpr Iva. Anche questa volta, le norme introdotte difettano di coordinamento, parzialmente risolto dall’agenzia delle Entrate con il provvedimento 4 aprile 2018 e la circolare 8/E/2018 . In particolare, dal tenore letterale della norma, la deducibilità dei costi per l’acquisto di carburante è ammessa solo se effettuate mediante carte di credito, di debito o prepagate emesse dagli operatori finanziari soggetti all’obbligo di comunicazione all’Anagrafe tributaria all’articolo 7 del Dpr 605/1972. Per quanto riguarda, invece, l’Iva, la sua detrazione è possibile, oltre che nell’ipotesi precedente, anche quando si ricorre agli altri strumenti individuati dal provvedimento dell’agenzia delle Entrate. Pertanto, vi era un disallineamento tra Irpef/Ires e Iva, risolto dal provvedimento del 4 aprile 2018, il quale individuando gli altri mezzi di pagamento ammessi, ha anche chiarito che l’acquisto di carburanti con uno di questi strumenti consente la deducibilità del relativo costo, nelle misure previste per il veicolo associato.

I mezzi di pagamento che si dovranno utilizzare dal prossimo luglio sono:
•le carte di credito, di debito e prepagate emesse da soggetti all’articolo 7 del Dpr 605/72;
•le carte elettroniche emesse da altri operatori, anche non residenti (a differenza della circolare 42/E/2012 relativamente al sistema dei pagamenti tracciati all’articolo 1 del Dpr 444/97);
•gli assegni, bancari e postali, circolari e non, nonché i vaglia cambiari e postali , rispettivamente, al Rd 1736/1933 e al Dpr 144/2001;
•addebito diretto;
•bonifico bancario o postale;
•bollettino postale;
•altri strumenti di pagamento elettronico disponibili, che consentano anche l’addebito in conto corrente, come ad esempio le applicazioni su smartphone (circolare Guardia di Finanza del 13 aprile 2018).

Nel tempo, però, sono stati introdotti particolari metodi di pagamento, quali le carte magnetiche, come nel caso del contratto netting. In queste ipotesi, il costo è deducibile e l’Iva detraibile se i rapporti tra gestore dell’impianto e società petrolifera, nonché tra quest’ultima e l’utente, siano regolati con uno degli strumenti tracciabili. Stesso principio vale per le spese anticipate dal dipendente, cosicché è necessario che il lavoratore abbia pagato con una carta elettronica e sia stato rimborsato con un metodo tracciabile (si ricorda il nuovo obbligo di tracciabilità delle retribuzioni dal 1° luglio 2018) oppure per tutte le ipotesi in cui il pagamento avviene in un momento diverso dalla cessione.

Per quanto riguarda i mezzi di trasporto interessati, occorre rilevare una particolarità relativa alle imbarcazioni e agli aeromobili, per i quali la normativa Iva richiede espressamente l’utilizzo di «moneta elettronica», mentre ai fini delle imposte dirette, l’articolo 164 del Tuir fa riferimento ai veicoli stradali, cosicché i costi relativi agli acquisti di carburanti potrebbero essere dedotti anche se sostenuti in contanti.

I mezzi di pagamento di tracciabili devono essere utilizzati a prescindere dalla fattura elettronica, in quanto si applica a tutti i carburanti per autotrazione, non solo quindi alla benzina e al gasolio. Pertanto, dal 1° luglio 2018 al 31 dicembre 2018, a seguito dei chiarimenti forniti nella circolare 8/E/2018, chi acquista metano e Gpl dovrà ricorrere alle carte elettroniche, ma anche alla scheda carburante (ma sono necessari ulteriori chiarimenti in merito); mentre coloro che acquistano benzina e gasolio riceveranno l’e-fattura (dalla quale dovrebbe risultare anche la targa del (veicolo), ma dovranno utilizzare comunque gli strumenti di pagamento tracciabili. Infine, si segnala che con la citata circolare 42/E/2012 in caso di più acquisti contestuali rispetto al carburante, sarebbe opportuno effettuare il pagamento in due pagamenti diversi.

Fonte “Il sole 24 ore”

Precompilata, la tessera sanitaria consente le correzioni

di Marcello Tarabusi e Giovanni Trombetta

Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 110 del 14 maggio scorso il Dm 27 aprile 2018, che integra le regole per la compilazione agevolata delle spese sanitarie e veterinarie nella precompilata. Già per i dati dell’anno d’imposta 2017 sarà possibile interagire con il sistema della tessera sanitaria per consultare e rettificare i dati delle spese sanitarie, anche per familiari a carico, e dei relativi rimborsi, nonché delle spese veterinarie e relativi rimborsi.

Per accedere alle nuove funzioni di interrogazione e modifica dei dati della tessera sanitaria il cittadino deve attivare le funzionalità di compilazione agevolata; dopodiché il sistema rende disponibili all’agenzia delle Entrate una serie di funzionalità in cooperazione applicativa.

In particolare, il contribuente può (si veda il punto 4.3 il Disciplinare tecnico allegato B al Dm 31 luglio 2015, come modificato dal Dm 27 aprile 2018):

• richiedere la lista dei documenti di spesa e di rimborso acquisiti dal Sistema Ts, riferiti per sé e per eventuali familiari a carico (escluse le spese per cui è stata esercitata la facoltà di opposizione all’utilizzo);

• integrare la lista dei documenti risultanti al Sistema TS con ulteriori documenti di spesa o di rimborso non presenti nell’elenco;

• eliminare i documenti di spesa o di rimborso precedentemente inseriti dal contribuente;

• apportare modifiche ai documenti di spesa o di rimborso proposti nell’elenco, variando l’importo o la percentuale di sostenimento delle spese per familiari a carico, oppure escludendo del tutto il documento;

• richiedere il calcolo dell’importo complessivamente detraibile;

• ripristinare la situazione iniziale dei documenti di spesa e di rimborso proposti in elenco al contribuente.

Se il contribuente dichiarante desidera inserire un nuovo documento fiscale o un rimborso, deve indicare la data di pagamento (o di rimborso), il soggetto che ha emesso il documento fiscale e l’importo della spesa (o del rimborso). È facoltativa l’indicazione della partita Iva dell’emittente e del numero del documento fiscale. Se la spesa sanitaria è riferita a un familiare a carico, il contribuente deve inserire la relativa percentuale di sostenimento della spesa.

L’esito dell’elaborazione dopo le rettifiche inserite dal contribuente viene memorizzato in una base dati apposita e reso disponibile alle Entrate.

Per prevenire abusi si prevede espressamente che le informazioni di dettaglio rettificate dal contribuente siano consultabili dai dipendenti dell’Agenzia esclusivamente se autorizzati ed attraverso l’applicativo dedicato ai controlli formali della dichiarazione (articolo 36-ter, Dpr 600/73). Per tale finalità il Sistema Ts mette a disposizione delle Entrate un servizio di consultazione dei dati integrati o rettificati dal contribuente nell’ambito della Compilazione agevolata, tenendo traccia dell’operazione effettuata.

In corso d’anno, e sino al 31 gennaio dell’anno successivo, il contribuente può segnalare eventuali errori al Sistema Ts, il quale informa il soggetto che ha trasmesso i dati per consentire la correzione.

Fonte “Il sole 24 ore”

GDPR- Raccolta dati clienti in negozio: Privacy

Cosa inserire nei moduli cartacei per la raccolta dati clienti in negozio?

Cosa fare per l’iscrizione alla newsletter tramite il sito? Perché per legge bisogna usare uno strumento d’invio newsletter professionale e non mandarle semplicemente da gmail o servizi gratuiti? La normativa sui cookie cosa diavolo è?

Se ti stai ponendo queste domande, troverai una risposta in questa lezione.

Iniziamo con il toglierti immediatamente un dubbio:

#1 Il consenso cartaceo per inviare materiale promozionale

Se vuoi inviare materiale promozionale ad un cliente devi avere il consenso scritto e firmato.

Non basta chiederlo a voce.

Se un cliente, ad esempio, ti lascia il numero per essere avvisato dell’arrivo di un prodotto, non puoi usare il suo numero per inviare promozioni o avvisi. Questo perché “lui” non ti ha lasciato l’autorizzazione scritta.

La raccolta dati va fatta usando dei moduli che i clienti devono compilare e che tu devi conservare.

Ma cosa bisogna inserire nei moduli per fare una raccolta dati dei clienti in negozio che rispetti le regole?!

Iniziamo:

  1. a) Per i semplici moduli di raccolta dati dovrai inserire:

I campi da far compilare con i dati che occorrono e-mail, sms, data di nascita etc…

L’Informativa sulla Privacy, dove spieghi come verranno usati esattamente i dati e che NON verranno ceduti a terzi.

Una frase per l’Accettazione al trattamento dei dati personali, con sotto due caselle da spuntare (checkbox) con scritto “Do il consenso” e “ Nego il consenso”.

Una frase come Acconsento al trattamento dei dati personali, per finalità legate ad attività di marketing diretto (invio di materiale formativo e promozionale specificando anche i vari strumenti)” con sotto altre due caselle da spuntare (checkbox) con scritto “Do il consenso” e “ Nego il consenso”.

Lo spazio per la firma del cliente.

La maggior parte dei moduli che si vedono in giro hanno solo riportato la dicitura riguardante la privacy, ma con la riforma è obbligatorio mettere le checkbox ed è assolutamente vietato farle trovare già flaggate, questo mi sembra ovvio ma lo scrivo perché ogni tanto lo vedo fare.

Cosa importante è scrivere il testo in modo che sia facilmente comprensibile, senza usare termini complessi. Inoltre bisogna scrivere esattamente cosa farai nello specifico con i dati richiesti.

  1. B) Per l’iscrizione alla Fidelity Card in negozio:

Dovrai inserire anche:

Il regolamento completo sull’utilizzo della fidelity card.

Le Fidelity Card sono comunque sempre accompagnate da un foglio, con tanto di regolamento e con la nota sulla privacy.

I programmi di fidelizzazione rientrano nelle “manifestazioni a premio”, e dal punto di vista legale si chiamano proprio “operazioni a premio”. Informati bene per sapere quando sono da considerarsi operazioni a premio escluse, perché queste ultime si possono realizzare in maniera più semplice.

Scopri concorsi e operazioni, in modo più specifico, di manifestazioni a premio >>

Leggi tutti i dettagli per fare le operazioni a premio nel tuo negozio >>

Inoltre i moduli vanno conservati ed è vietato raccogliere i dati dei minorenni.

#2 Regole per il Sito Web

  1. a) Per l’iscrizione alla newsletter o sms marketing dal Sito Internet

Se la raccolta dati dei clienti di un negozio avviene dal tuo sito, allora sotto i campi da compilare (email, sms, ecc…)  dovrai inserire:

Un chekbox da flaggare, con la frase che deve portare (linkare) alla pagina completa della tua Policy Privacy.

Potrebbe essere necessario anche un chekbox da flaggare, con a fianco il consenso per ricevere il materiale promozionale.

Molto spesso vediamo negozianti che, per inviare newsletter, non usano strumenti professionali a pagamento come MailChimp, ma le inviano direttamente da gmail, libero, yahoo o altri servizi inadatti.

Questo è un errore grave.

Non solo dal punto di vista marketing ma anche dal punto di vista legge.

Infatti per legge se un cliente si iscrive alla tua newsletter deve:

  • Deve potersi cancellare dalla tua newsletter con un click. Quindi in ogni newsletter deve esserci il bottone o la scritta di cancellazione.
  • Deve poter modificare i suoi dati nel suo pannello personale.
  • Nel footer di ogni email deve esserci un link che porta al documento esteso della tua privacy.
  • Sarebbe meglio far Confermare la sua iscrizione. Quindi una volta che lascia la sua email deve ricevere una prima email del tipo: “Sei stato tu ad iscriverti?” E deve dare il suo assenso cliccando su un bottone di “Conferma”. (termine tecnico ->Double Optin).
  • Ecco qui un esempio di cosa deve ricevere, in automatico, il lettore subito dopo aver effettuato la sua iscrizione alla tua newsletter.
    1. B) Legge sui Cookie e cosa fare.

    Questa legge vale solo se hai un sito Internet. Iniziamo con il capire cosa sono questi Cookie:

    I Cookie sono piccoli file di testo che vengono creati in automatico, che servono per tracciare le sessioni di navigazione e per memorizzare informazioni specifiche riguardanti gli utenti che accedono al server.

     Ad esempio, se ti arrivano i reports sull’andamento del tuo sito (come quelli di Google Analytics), puoi leggere una serie di statistiche dettagliate che vengono rilevate anche grazie ai cookie. Questo senza che nemmeno tu te ne accorga.

    Non ti serve sapere ulteriori tecnicismi, ma se vuoi saperne di più riguardo alla legge ecco un link di approfondimento del Garante della Privacy >>.

    Accertati che il tuo “sitologo” o la società a cui ti sei appoggiato per la creazione del sito, ti aiutino a sistemare tutto.

    In linea di massima per rispettare questa normativa è necessario:

    Inserire un banner “BEN VISIBILE” che compaia appena l’utente arriva sul sito in modo che, l’utente, possa dare il suo consenso al rilascio dei vari cookie e registrarne l’accettazione.

    Che questo banner sia linkato al documento esteso della “Cookie Policy”.

    Che questo link appaia anche nel footer sotto la dicitura “Cookie Policy”, riportando alla versione completa (come per la Policy Privacy) dove viene spiegato cosa bisogna fare se si vuole negare il rilascio dei cookie.

    Inserire una dicitura sull’utilizzo dei Cookie anche a fondo newsletter.

    Visto che parliamo di siti web vediamo anche…

    Ringrazio Marco dalla UP Informatica, per averci suggerito di aggiungere questi obblighi legali che sono importanti per tutti i titolari di un sito web:

    Partita IVA: Va inserita in home page, o nel footer del sito, per qualsiasi soggetto in possesso di partita IVA. Attenzione perché in caso di omissione, la sanzione varia da € 258,00 fino a 2.065,00. L’obbligo d’indicazione della Partita Iva vale anche per i siti che si limitano a pubblicizzare servizi o prodotti, senza svolgere commercio elettronico. Quindi per te che hai un Negozio è certamente importante inserirla.

    Denominazione della società.

    Indirizzo completo della sede legale della società.

    Iscrizione al registro delle imprese: Sede ufficio e relativo numero d’iscrizione con l’indicazione di eventuale stato di liquidazione in seguito a scioglimento.

    Capitale sociale. (non sempre necessario)

    Il link alla Policy Privacy (politica sulla privacy) deve essere visibile in TUTTE le pagine del sito. Quindi scrivi questa frase “Informativa sulla Privacy” nel footer (ossia a piè di pagina) del sito, e fai in modo che abbia un collegamento tramite link alla pagina completa della tua Policy Privacy.

    Il link alla Cookie Policy sempre nel footer.

    Se hai un e-commerce dovrai aggiungere nel footer anche il link alle condizioni di vendita.

    C) Ulteriori obblighi legali da inserire in ogni Sito Web.

GDPR, a quanto ammontano le sanzioni

di Studio Legale Associato Fioriglio-Croari 4 Aprile 2018, 14:00

Le sanzioni amministrative pecuniarie previste dal GDPR dovranno essere disposte in modo tale da poter dare un’adeguata risposta in base alla natura, alla gravità e alle conseguenze della violazione che è stata realizzata.

Volendo scendere nel merito delle singole sanzioni pecuniarie previste dal GDPR, emerge anzitutto il fatto che il Regolamento, indicando due diversi massimali (€ 10.000.000 e € 20.000.000), riconosce il fatto che la violazione di alcune disposizioni sarà nettamente più grave rispetto alla violazione di altre.

In particolare, come previsto dall’art. 83, paragrafo 4, sarà soggetta all’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie fino ad un massimo di € 10.000.000 oppure, per le imprese, fino al 2% del fatturato mondiale totale annuo riferito all’esercizio precedente (se si tratta di un importo superiore ai 10 milioni di euro) la violazione, anzitutto, di una serie di obblighi che il Regolamento pone in capo al titolare e al responsabile del trattamento dei dati, tra cui, ad esempio:

Gli obblighi sanciti per il trattamento dei dati personali riguardanti soggetti minori di 16 anni (art. 8);

Gli obblighi previsti per il trattamento di dati senza necessaria identificazione dell’interessato (art. 11);

Gli obblighi relativi alla protezione dei dati personali fin dalla progettazione e per impostazione predefinita (ovvero il rispetto dei principi di privacy by design e privacy by default), alla tenuta dei registri delle attività di trattamento, alla cooperazione con l’autorità di controllo, nonché quelli previsti in materia di sicurezza del trattamento dei dati, di notifica delle violazioni dei dati all’autorità di controllo e all’interessato, così come gli obblighi riguardanti la valutazione d’impatto sulla protezione dei dati e la designazione del responsabile della protezione dei dati (artt. da 25 a 39);

Gli obblighi relativi ai meccanismi di certificazione della protezione dei dati (artt. 42 e 43).

Questa stessa sanzione potrà essere applicata poi, come previsto dall’art. 83, paragrafo 4, lett. b) e c), anche nel caso di violazione degli obblighi sanciti in capo all’organismo di certificazione della protezione dei dati dagli artt. 42 e 43 e degli obblighi dell’organismo di controllo per quanto concerne il monitoraggio della conformità dei codici di condotta approvati, di cui all’art. 41, paragrafo 4.

Darà luogo, invece, all’applicazione di una sanzione pecuniaria fino ad un massimo di € 20.000.000 oppure, per le imprese, fino al 4% del fatturato mondiale totale annuo riferito all’esercizio precedente (se si tratta di un importo superiore a 20 milioni di euro) la violazione di:

Principi fondamentali che stanno alla base di un legittimo trattamento dei dati personali, ossia:

In base all’art. 5, i principi di correttezza, liceità e trasparenza del trattamento, il principio di limitazione della finalità del trattamento, il principio di minimizzazione, di esattezza, di limitazione della conservazione, di integrità e riservatezza dei dati personali e, infine, di responsabilizzazione del titolare del trattamento;

Il principio di liceità del trattamento dei dati espresso dall’art. 6, in forza del quale un trattamento sarà lecito se fondato sul consenso dell’interessato, se necessario per l’esecuzione di un contratto o di misure precontrattuali di cui l’interessato sia parte, o ancora per adempiere ad un obbligo di legge da parte del titolare del trattamento o per la tutela di interessi vitali dell’interessato o di un soggetto terzo, come per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento, oppure per il perseguimento del legittimo interesse del titolare del trattamento o di terzi;

I principi che, in base all’art. 7, assicurano che la prestazione del consenso, da parte dell’interessato, al trattamento dei dati personali possa essere considerato legittimo; e infine

I principi a fondamento del legittimo trattamento di categorie particolari di dati personali, quali dati sensibili e dati relativi a condanne penali, come previsto dall’art. 9.

Diritti sanciti in capo ai soggetti interessati a norma degli artt. da 12 a 22 del GDPR, quali:

Il diritto di ricevere adeguate informazioni in ordine al trattamento dei propri dati personali (artt. da 12 a 14);

Il diritto di accesso (art. 15);

Il diritto di rettifica (art. 16);

Il diritto all’oblio (art. 17);

Il diritto alla limitazione del trattamento dei dati (art. 18);

Il diritto alla portabilità dei dati (art. 20);

Il diritto di opposizione al trattamento (art. 21); e, infine

Il diritto di non essere sottoposto a una decisione fondata unicamente su di un trattamento automatizzato, compresa la profilazione, e produttiva di effetti giuridici a suo carico (art. 22).

Disposizioni riguardanti il trasferimento di dati personali a un destinatario situato in un paese terzo o un’organizzazione internazionale (in base agli artt. da 44 a 49);

Obblighi sanciti dagli ordinamenti giuridici dei singoli stati membri e aventi ad oggetto specifiche situazioni di trattamento dei dati, come previsto ai sensi degli artt. da 85 a 91; e infine

Ordini o limitazioni provvisorie o definitive di trattamento stabilite dall’autorità di controllo, come previsto dall’art. 58, paragrafo 2.

Da quanto riportato emerge che, a differenza di quanto previsto dall’attuale normativa interna, il GDPR introduce delle sanzioni effettive e particolarmente elevate per far fronte alla violazione dei principi fondamentali in materia di protezione dei dati personali. Per quanto sia vero che la concreta determinazione delle sanzioni andrà stabilita in stretto rapporto al contesto ed alla gravità della violazione, non può lasciare indifferenti il fatto che da un’informativa inadeguata resa agli interessati possano derivare sanzioni di un valore pari a 2 milioni di euro. È evidente che nell’ottica del GDPR al rispetto dei principi essenziali è riconosciuta un’importanza estrema; è altrettanto evidente, però, l’enorme portata potenziale di simili previsioni normative e la massima attenzione che i titolari dovranno porre per garantirne il rispetto.

GDPR, quali sono i rischi per chi non si mette a norma

di Studio Legale Associato Fioriglio-Croari 23 Febbraio 2018, 14:00

 I rischi cui si va incontro in caso di violazione del Regolamento sono alquanto rilevanti e sottovalutare gli obblighi previsti dal GDPR potrebbe costare ben caro alle imprese inadempienti.

Eventuali violazioni delle disposizioni del Regolamento, così come una sua applicazione inesatta o parziale, comportano infatti rilevanti conseguenze, sia sul piano economico sia su quello delle attività effettuate.

Intanto, si deve partire dal presupposto che il Regolamento rafforza i diritti degli interessati e cerca di rendere più efficace gli strumenti a loro disposizione per la tutela di tali diritti nella realtà quotidiana. I titolari, da questo punto di vista, devono attenersi a principi di trasparenza e di semplificazione e rendere ogni informazione attinente ai dati personali oggetto di trattamento disponibile agli interessati, anche agevolando loro l’accesso a tali informazioni (in primo luogo, ponendo la massima attenzione ad una corretta informativa e alla corretta gestione dei dati).

Dalle maggiori garanzie e dalla efficace tutela che il GDPR vuole riconoscere ai diritti degli interessati, consegue, sul piano dei rischi concreti per i titolari, in caso di violazioni del Regolamento, innanzitutto, la possibilità che gli interessati, che ritengano di aver subito una lesione del proprio diritto alla protezione dei dati personali, facciano valere il diritto ad ottenere il risarcimento integrale dei danni subiti (ai sensi dell’art. 82 GDPR). Ciascun titolare infatti è direttamente responsabile civilmente per i pregiudizi, materiali e immateriali, causati agli interessati da un trattamento illecito o scorretto di dati personali dallo stesso effettuato.

In secondo luogo, viene in rilievo l’attività di controllo del Garante per la protezione dei dati personali e i poteri sanzionatori ad essi attribuiti. Tale Autorità, singolarmente e in sinergia con le altre Autorità interne di ciascuno Stato membro, è incaricata di vigilare sulla corretta applicazione del Regolamento e di assicurarne la piena attuazione. Per svolgere correttamente e con efficacia tali compiti, il Garante può intervenire nei confronti dei titolari e dei responsabili dei trattamenti ogni qualvolta sospetti la presenza o riscontri delle concrete violazioni della normativa. A tal fine, l’Autorità Garante è dotata, in forza del Regolamento, del potere di effettuare indagini e di quello di infliggere sanzioni, di tipo inibitorio, correttivo e pecuniario nei confronti dei titolari che abbiano posto in essere violazioni delle disposizioni del GDPR o ne abbiano applicato parzialmente o in modo inesatto la disciplina.

Si tratta di sanzioni che il GDPR pretende debbano essere sempre effettive, proporzionate e dissuasive, richiedendo pertanto a ciascuno Stato membro di valutare le soluzioni più efficaci per assicurare e garantire concretamente tale risultato.

Vero è che le sanzioni applicabili dai Garanti possono variare enormemente, passando da semplici ammonimenti, a ordini di sospensione di flussi di dati o di attività di trattamento, fino all’inflizione di sanzioni pecuniarie del valore anche di 20.000.000 di euro e pari al 4% del fatturato mondiale totale annuo dell’esercizio precedente.

La scelta delle misure appropriate da applicare caso per caso è rimessa alle Autorità di controllo con lo scopo primario di garantire, appunto, una reazione effettiva, dissuasiva e proporzionata alle violazioni effettuate dai titolari. Dovranno sicuramente avere rilevanza la natura, la gravità e la durata delle violazioni, nonché la quantità dei dati personali coinvolti, le finalità di utilizzo dei dati, il carattere intenzionale o colposo della condotta, e così via. Inoltre, ciascuno di tali elementi andrà rapportato con il particolare ambito di riferimento, ad esempio, al numero di utenti di un servizio o alla popolazione di uno Stato, oppure, ancora alla tipologia di dati trattati. È evidente, però, che alcuni interventi chiarificatori al riguardo, da parte dei legislatori interni e delle stesse Autorità Garanti, sono indispensabili per determinare come verranno realmente gestiti tali poteri sanzionatori a seconda di ciascuno specifico contesto di riferimento.

A prescindere dalle indicazioni pratiche che saranno fornite, peraltro, va considerato che su questi aspetti il GDPR prevede una disciplina molto più stringenti rispetto a quella del Codice della Privacy e che non potrà essere trascurata o elusa dalla regolamentazione di dettaglio. Si pensi, a titolo esemplificativo (approfondiremo poi in apposita sede tali aspetti), che la sanzione massima pecuniaria sopra citata può essere applicata anche in caso di violazione dei principi base del trattamento, tra cui quelli di liceità, correttezza, trasparenza, limitazione delle finalità, e quelli relativi alle condizioni per il rilascio del consenso.

GDPR, quali responsabilità hanno il titolare e il responsabile del trattamento

di Studio Legale Associato Fioriglio-Croari 14 Marzo 2018, 14:00

Come stabilito dall’art. 82, comma 1 del GDPR: “Chiunque subisca un danno materiale o immateriale causato da una violazione del presente regolamento ha il diritto di ottenere il risarcimento del danno dal titolare del trattamento o dal responsabile del trattamento”.

È previsto quindi il diritto dell’interessato (in quanto danneggiato) di ottenere il risarcimento del danno, sia patrimoniale sia non patrimoniale, nel caso in cui sia stata posta in essere una condotta, attiva o omissiva, che integri una violazione del Regolamento. E sono tenuti al risarcimento del danno sia il titolare che il responsabile del trattamento.

In particolare, il titolare del trattamento risponderà per il danno cagionato dal trattamento dei dati personali realizzato in violazione del regolamento.

Il responsabile del trattamento risponderà, invece, per il danno causato dal trattamento solo se non ha adempiuto correttamente agli obblighi sanciti nel GDPR in capo ai responsabili del trattamento, oppure se ha agito in modo difforme o contrario rispetto alle legittime istruzioni del titolare del trattamento.

È stato osservato che questa norma sembra configurare profili di responsabilità molto ristretti in capo al titolare ed al responsabile del trattamento. Questa considerazione non è tuttavia corretta se si pensa che deve essere interpretata anche alla luce del Considerando n. 146, per quanto riguarda la figura del titolare del trattamento e dell’art. 28, comma 3, per quanto riguarda invece il responsabile del trattamento.

In sostanza, in questo modo si stabilisce che il titolare sarà responsabile non solo in caso di violazione delle disposizioni del GDPR, ma anche nel caso di inosservanza delle altre disposizioni previste dalle norme attuative, dagli atti delegati, dagli atti di esecuzione del Regolamento e dalle altre disposizioni dei singoli stati membri.

Quanto al responsabile del trattamento, la sua responsabilità sembrerebbe essere circoscritta alle sole azioni od omissioni in relazione all’osservanza delle disposizioni del GDPR, nonché al rispetto delle indicazioni e delle direttive del titolare del trattamento. In realtà, il responsabile del trattamento ha anche un dovere generale, nel senso che è suo compito anche quello di avvisare il titolare del trattamento delle eventuali condotte che risultano non correttamente disciplinate dallo stesso titolare. Sarà quindi possibile configurare a suo carico una responsabilità per omessa informazione nei confronti del titolare del trattamento.

Il titolare del trattamento o il responsabile del trattamento saranno, però, esonerati dalla responsabilità se riescono a dimostrare che l’evento dannoso non è in alcun modo imputabile alla loro condotta, e quindi che il danno è scaturito da una fonte “estranea” al loro raggio d’azione, oppure se dimostrano di aver adottato tutte le misure idonee al fine di evitare il danno stesso.

Qualora più titolari o responsabili del trattamento siano coinvolti nello stesso trattamento e siano responsabili dell’eventuale danno causato per effetto del trattamento, ogni titolare o responsabile sarà responsabile in solido per l’intero ammontare del danno, al fine di garantire il risarcimento integrale del danno subito dall’interessato. L’art. 82, comma 4 prevede, a questo proposito, che “Qualora più titolari del trattamento o responsabili del trattamento oppure entrambi il titolare del trattamento e il responsabile del trattamento siano coinvolti nello stesso trattamento e siano, ai sensi dei paragrafi 2 e 3, responsabili dell’eventuale danno causato dal trattamento, ogni titolare del trattamento o responsabile del trattamento è responsabile in solido per l’intero ammontare del danno, al fine di garantire il risarcimento effettivo dell’interessato”.

Nel caso in cui, poi, un titolare o un responsabile abbia pagato l’intero risarcimento del danno, avrà il diritto di reclamare dagli altri titolari o responsabili -coinvolti nello stesso trattamento- la parte del risarcimento corrispondente alla loro parte di responsabilità.

La norma è interessante in quanto disciplina le conseguenze patrimoniali derivanti dal danno, nei rapporti interni tra titolare/i e responsabile/i del trattamento dei dati: una responsabilità che si configura “per quote”, ossia sulla base delle diverse “porzioni” di responsabilità che possono essere delineate in capo alle diverse figure coinvolte.

Questo è quanto è stabilito dall’art. 82, comma 5 che dispone: “Qualora un titolare del trattamento o un responsabile del trattamento abbia pagato, conformemente al paragrafo 4, l’intero risarcimento del danno, tale titolare del trattamento o responsabile del trattamento ha il diritto di reclamare dagli altri titolari del trattamento o responsabili del trattamento coinvolti nello stesso trattamento la parte del risarcimento corrispondente alla loro parte di responsabilità per il danno conformemente alle condizioni di cui al paragrafo 2”.

GDPR, chi è il Responsabile del trattamento

di Studio Legale Associato Fioriglio-Croari 13 Marzo 2018, 14:00

Come nel caso del titolare del trattamento, anche la figura del responsabile del trattamento -sotto il profilo delle sue caratteristiche soggettive e delle sue responsabilità- è definito dal GDPR negli stessi termini già previsti dalla Direttiva 95/46/CE e dal Codice Privacy.

In particolare, con il termine “responsabile del trattamento” il GDPR si riferisce alla “persona fisica o giuridica, l’autorità pubblica, il servizio o altro organismo che tratta dati personali per conto del titolare del trattamento” (art. 4, paragrafo 1, n. 8). Si tratta quindi di quel soggetto che è preposto e al quale viene affidato, da parte del titolare, il trattamento dei dati personali.

Per quanto riguarda i requisiti soggettivi che il responsabile del trattamento deve possedere, il GDPR prevede che si tratti di una figura in grado di fornire garanzie al fine di assicurare il pieno rispetto delle disposizioni in materia di trattamento dei dati personali, nonché di garantire la tutela dei diritti dell’interessato.

A questo proposito, come specificato dal Considerando 81, le garanzie che il responsabile del trattamento deve essere in grado di fornire si sostanziano in: una conoscenza specialistica della materia, affidabilità e possesso di risorse che permettano di attuare misure tecniche e organizzative in grado di soddisfare tutti i requisiti stabiliti dal Regolamento per il trattamento dei dati personali, anche sotto il profilo della sicurezza.

Il Responsabile del trattamento dovrà quindi avere una competenza qualificata, che potrà essere comprovata da apposita documentazione (rilasciata, ad esempio, in seguito alla frequentazione di corsi qualificati, benché non esistano attualmente particolari abilitazioni o il possesso di specifiche certificazioni). Per quanto riguarda invece il profilo dell’affidabilità, questo requisito dovrà essere fondato su aspetti etico-deontologici, che potrebbero essere dimostrati, ad esempio, con semplici autocertificazioni, anche per escludere eventuali condanne che possano essere rilevanti al riguardo.

A questo proposito, si ricorda che già il Codice della Privacy prevede, all’art. 29, comma 2, che “Se designato, il responsabile è individuato tra soggetti che per esperienza, capacità ed affidabilità forniscano idonea garanzia del pieno rispetto delle vigenti disposizioni in materia di trattamento, ivi compreso il profilo relativo alla sicurezza”.

Non si ravvisano quindi particolari novità nel GDPR, se non per il fatto che il Responsabile deve disporre di sufficienti risorse per mettere in atto le misure tecniche ed organizzative che soddisfino quanto richiesto dal Regolamento. Il Responsabile deve, pertanto, avere a disposizione sufficienti disponibilità sia economiche, sia di personale, e più in generale deve poter disporre di tutti i mezzi necessari allo svolgimento dei compiti affidati dal Titolare. Nel caso in cui il Responsabile del trattamento dei dati sia un soggetto interno all’organizzazione, sarà lo stesso Titolare del trattamento a dover fornire tali risorse; se invece il servizio viene affidato all’esterno, sarà autonomamente il Responsabile nominato a prevedere adeguate risorse per lo svolgimento dell’incarico nel rispetto del GDPR.

Il Responsabile del trattamento dei dati potrebbe, come anticipato, essere tanto una figura interna all’azienda, quanto esterna. A questo proposito, il Garante della Privacy, alla luce della disciplina interna aveva precisato che: “è necessario precisare chi svolgerà l’eventuale ruolo di “responsabile del trattamento”. Conseguentemente, l’Amministrazione deve decidere se prevedere tale figura ed attribuirne la responsabilità o alla struttura esterna cui è affidata l’attività in concessione, oppure ad un dipendente di quest’ultima, o a un proprio ufficio o dipendente dell’Amministrazione stessa (quest’ultima opzione presuppone che l’ufficio o il funzionario pubblico abbiano poteri effettivi di ingerenza sulle attività e sull’organizzazione dell’impresa concessionaria: cosa, in realtà, poco frequente). In concreto, la nomina del responsabile, che deve essere effettuata in forma scritta, potrebbe essere inserita in un apposito articolo della convenzione, oppure essere oggetto di un distinto provvedimento amministrativo o atto di diritto privato”.

In realtà, altri Stati membri hanno sempre individuato questo ruolo come spettante a soggetti esterni rispetto al titolare del trattamento e l’assenza di specificazioni all’interno del GDPR sta dando luogo ad alcune divergenti interpretazioni al riguardo. D’altra parte, in assenza di ulteriori precisazioni, è opportuno ritenere che rimanga valida la facoltà di scelta, come fino ad oggi prevista dal nostro ordinamento.

Il Responsabile del trattamento è obbligato, in forza del contratto stipulato con il titolare, a:

  1. trattare i dati personali solo sulla base di un’istruzione documentata del titolare del trattamento, anche nel caso di trasferimento di dati personali verso un paese terzo o un’organizzazione internazionale a meno che lo richieda il diritto dell’Unione Europea o nazionale cui è soggetto il responsabile del trattamento. In quest’ultimo caso, il responsabile del trattamento dovrà informare il titolare dell’esistenza di un tale obbligo giuridico prima del trattamento, a meno che ciò sia giuridicamente vietato per rilevanti motivi di interesse pubblico;
  2. garantire che le persone autorizzate al trattamento dei dati personali si siano impegnate alla riservatezza o abbiano un adeguato obbligo legale di riservatezza;
  3. adottare tutte le misure richieste dall’art. 32 GDPR, ovvero le misure tecniche e organizzative necessarie al fine di garantire un livello di sicurezza adeguato al rischio (ad esempio, la pseudomizzazione dei dati o la cifratura)
  4. rispettare tutte le condizioni previste per l’eventuale nomina di un sub-responsabile;
  5. assistere il titolare del trattamento con misure tecniche e organizzative adeguate, e tenuto conto della natura del trattamento, al fine di soddisfare l’obbligo di dare seguito alle richieste per l’esercizio dei diritti dell’interessato (quali il diritto di accesso ai dati personali, il diritto di rettifica, il diritto all’oblio, il diritto alla limitazione del trattamento, il diritto alla portabilità dei dati, il diritto di opposizione);
  6. assistere il titolare del trattamento nel garantire il rispetto degli obblighi in materia di tutela della sicurezza dei dati, tenendo conto della natura del trattamento e delle informazioni a disposizione del responsabile del trattamento;
  7. cancellare o restituire tutti i dati personali dopo che è terminata la prestazione dei servizi relativi al trattamento (su indicazione del titolare del trattamento), nonché cancellarne le eventuali copie esistenti; e infine
  8. mettere a disposizione del titolare del trattamento tutte le informazioni necessarie per dimostrare il rispetto dei suoi obblighi, nonché contribuire alle attività di revisione, comprese le ispezioni, realizzate dal titolare del trattamento o da un altro soggetto da lui incaricato. Il responsabile deve, inoltre, informare immediatamente il titolare del trattamento ritenga che un’istruzione violi il Regolamento o altre disposizioni nazionali o di diritto europeo relative alla protezione dei dati.

Anche in capo al Responsabile del trattamento il GDPR pone l’obbligo di tenere il registro dei trattamenti svolti per conto del titolare del trattamento, nel quale vanno riportate dettagliatamente una serie di indicazioni relative ai trattamenti di dati effettuati.

Chi deve nominare il Responsabile del trattamento e quando

Il Responsabile del trattamento è nominato, come previsto dall’art. 28, comma 3 del GDPR, dal Titolare del trattamento attraverso un contratto di nomina (o altro atto giuridico idoneo a norma del diritto dell’Unione Europea o degli Stati membri) che dovrà essere redatto in forma scritta, anche in formato elettronico, e dovrà disciplinare i seguenti elementi:

  1. oggetto, durata, natura e finalità del trattamento;
  2. le categorie di soggetti interessati e il tipo di dati personali oggetto del trattamento;
  3. gli obblighi e i diritti del titolare del trattamento.

Come precisato nel Parere n. 01/2010 del “Gruppo di lavoro ex art. 29”, la nomina di un Responsabile del trattamento dei dati dipende da una decisione presa direttamente dal Titolare del trattamento. Questi può infatti decidere di trattare i dati all’interno della propria organizzazione, oppure delegare tutte o una parte delle attività di trattamento a un soggetto esterno.

Per poter agire come Responsabile del trattamento occorrono quindi due requisiti: da un lato, essere un soggetto distinto dal Titolare del trattamento e, dall’altro lato, la capacità di elaborare i dati personali per conto di quest’ultimo. Questa attività di trattamento può essere limitata a un compito o a un contesto molto specifico, oppure può lasciare al responsabile un certo margine di discrezionalità sul modo di servire gli interessi del Titolare del trattamento, permettendogli, ad esempio, di scegliere autonomamente i mezzi tecnici e organizzativi più adeguati.

Si ricorda, inoltre, che, come previsto per il titolare (sul punto si veda l’articolo dedicato all’argomento) anche il responsabile non stabilito nell’Unione Europea dovrà designare un suo rappresentante all’interno di uno degli Stati membri. L’art. 27, paragrafo 3 del GDPR si applica infatti nel caso in cui il Titolare o il Responsabile del trattamento siano stabiliti in territorio extraeuropeo.

Anche per il responsabile, peraltro, l’individuazione di un rappresentante situato nel territorio europeo viene meno in alcune ipotesi particolari, che non richiedono livelli così elevati di tutela. In particolare, ciò si verifica quando: il trattamento è occasionale, non coinvolge dati “sensibili” (ad esempio dati personali che rivelano l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, dati genetici, biometrici o relativi allo stato di salute o all’orientamento sessuale della persona), o dati personali relativi a condanne penali o a reati consistenti nell’illiceità del trattamento dei dati, ed è improbabile che comporti un rischio per i diritti e le libertà delle persone in considerazione della natura, del contesto, dell’ambito di applicazione e delle finalità del trattamento stesso; oppure quando il titolare del trattamento è un’autorità pubblica o comunque un organismo pubblico.

Se presente, comunque, il rappresentante del Responsabile del trattamento stabilito in un paese extra-europeo dovrà essere stabilito in uno degli Stati membri in cui si trovano i soggetti interessati i cui dati personali sono trattati nel contesto di un’offerta di beni o servizi o il cui comportamento è monitorato.

Per agevolare la comunicazione con i soggetti interessati e con le autorità è poi previsto che il rappresentante possa porsi quale interlocutore nei rapporti con le autorità di controllo nazionali e anche con gli interessati per tutte le questioni relative al trattamento dei dati personali.

Una novità importante rispetto alla disciplina del Codice della Privacy è quella che riguarda la possibilità per il Responsabile di nominare dei sub-responsabili del trattamento per l’esecuzione di specifiche attività di trattamento per conto del titolare.

A questo proposito, è previsto che il Responsabile del trattamento possa ricorrere ad un altro responsabile solo previa autorizzazione scritta (che può essere, però, sia specifica che generale) del Titolare del trattamento. L’eventuale nomina di uno o più sub-responsabili del trattamento (attraverso un contratto o altro atto giuridico previsto a norma del diritto dell’Unione europea o dei singoli stati membri) dovrà avvenire nel rispetto degli stessi obblighi in materia di protezione dei dati sanciti in capo al Responsabile “primario” del trattamento. In particolare, dovranno essere previste sufficienti garanzie che consentano di attuare le misure tecniche e organizzative più adeguate al fine di soddisfare i requisiti previsti dal Regolamento.

Il Responsabile del trattamento, nel caso in cui vi sia un’autorizzazione scritta generale da parte del titolare, dovrà sempre informare quest’ultimo di eventuali modifiche relative all’aggiunta o alla sostituzione degli eventuali sub-responsabili, dandogli in questo modo l’opportunità di opporsi alle modifiche. Tale comunicazione è importante per lo stesso responsabile che intende nominare altri soggetti, in quanto è sempre il Responsabile “primario” che risponde dinanzi al Titolare dell’eventuale inadempimento del sub-responsabile, anche ai fini del risarcimento di eventuali danni causati dal trattamento, a meno che riesca a dimostrare che l’evento dannoso “non gli è in alcun modo imputabile”.

GDPR, procedure obbligatorie e quando applicare i nuovi istituti

di Studio Legale Associato Fioriglio-Croari 26 Marzo 2018, 14:00

 Il GDPR introduce una serie di obblighi, che derivano essenzialmente dal più generale principio di responsabilizzazione (accountability) posto a fondamento della struttura del Regolamento europeo.

In particolare, come si è avuto modo di precisare in più occasioni in questo Speciale di approfondimento, il titolare e il responsabile del trattamento sono sotto diversi aspetti incentivati ad adottare una serie di provvedimenti finalizzati a dare concreta ottemperanza alle disposizioni del GDPR.

Si ricorda infatti che l’approccio che viene incoraggiato dal nuovo Regolamento europeo è focalizzato principalmente sulla concreta protezione dei dati ed è fondato su una valutazione preliminare del rischio (si parla per questo di sistema risk-based) a una volta basata su un’opportuna considerazione della natura, della portata, del contesto e delle finalità del trattamento, sulla probabilità e sulla gravità dei rischi per i diritti e libertà degli utenti. In relazione a tale complessa e globale valutazione si determinerà poi la misura della eventuale responsabilità del titolare e del responsabile del trattamento.

Un approccio incentrato sul rischio ha sicuramente, da un lato, il vantaggio di pretendere l’ottemperanza di una serie di obblighi più generali che possono andare al di là di una mera e superficiale conformità al dettato normativo.

Dall’altro lato, si tratta sicuramente di un sistema che si presta ad una maggiore flessibilità ed elasticità, essendo in grado di adattarsi al mutamento delle esigenze e degli strumenti tecnologici. Infine, non di può ignorare che il fatto che un simile approccio deleghi sostanzialmente ai titolari ogni valutazione, si presenta come un’arma a doppio taglio: maggiore libertà di scelta, ma maggiore impegno da parte dei titolari e più difficile contestare eventuali provvedimenti sanzionatori da parte del Garante.

In conseguenza di ciò, per poter essere in linea con le prescrizioni e gli obblighi sanciti dal GDPR, è necessario che le aziende realizzino una revisione completa dei dati e delle informazioni che raccolgono e che gestiscono, verificando anche quelle che sono le basi normative a giustificazione di tali trattamenti nonché le conseguenze che il trattamento dei dati effettuato può comportare per gli interessati.

Tra gli adempimenti che dovranno quindi essere realizzati troviamo:

la verifica dei dati che saranno oggetto di trattamento, con identificazione delle varie tipologie di dati e delle categorie di appartenenza e la verifica della finalità di ogni trattamento e della base giuridica sul quale ciascuno di essi si fonda, anche al fine di rendere adeguata informativa ai soggetti interessati, come previsto dagli artt. 13 e 14 del GDPR;

la predisposizione dell’informativa (o il suo aggiornamento) che deve essere fornita agli interessati nel rispetto di tutti gli elementi indicati agli artt. 13 e 14 del GDPR, in particolare gli interessati dovranno essere messi a conoscenza dei diritti che il Regolamento riconosce loro (diritto di accesso, diritto all’oblio, diritto di rettifica, diritto di limitazione e di opposizione al trattamento, diritto alla portabilità dei dati – sul punto si vedano le apposite sezioni dedicate dello Speciale);

la predisposizione del registro delle attività di trattamento dei dati personali, qualora esso risulti necessario in base al disposto dell’art. 30 del GDPR, ossia nel caso in cui l’impresa o l’organizzazione che effettua il trattamento dei dati abbia più di 250 dipendenti. Tale registro dovrà, del resto, essere redatto anche nel caso in cui l’impresa od organizzazione abbia meno di 250 dipendenti, ma ponga in essere un trattamento dei dati che presenta un potenziale rischio per i diritti e libertà degli interessati;

l’instaurazione di una procedura da adottare in caso di eventuali violazioni dei dati (c.d. Data Breach), ad esempio al verificarsi di una divulgazione (intenzionale o meno), della distruzione, della perdita, della modifica o dell’accesso non autorizzato ai dati personali oggetto di trattamento. Il GDPR prevede infatti degli specifici adempimenti nel caso in cui si verifichi una violazione di tal genere, a causa di un attacco informatico, di un accesso abusivo o di un incidente. In questi casi il GDPR impone, come previsto dall’art. 33, in capo al titolare del trattamento l’obbligo di comunicare all’autorità di controllo l’avvenuta violazione entro 72 ore (o comunque senza ritardo). Nel caso in cui la violazione verificatasi faccia presumere che vi sia anche un elevato e attuale pericolo per i diritti e le libertà degli interessati, anche questi ultimi dovranno essere direttamente informati senza ritardo di quanto successo.

inoltre, come previsto poi dall’art. 35 del GDPR, si configura, in capo al titolare del trattamento (e con la possibilità di consultare il Responsabile della protezione dei dati se presente), l’obbligo di procedere ad una valutazione d’impatto sulla protezione dei dati nel caso in cui un tipo di trattamento, anche in considerazione della natura, dell’oggetto, del contesto e delle finalità del trattamento stesso, presenti un rischio elevato per i diritti e le libertà delle persone fisiche. Del resto, il GDPR non sancisce un vero e proprio obbligo di svolgimento della valutazione d’impatto, ma si ricorda che il regolamento prevede un generale obbligo, in capo al titolare del trattamento, di attuare le misure idonee al fine di gestire adeguatamente i rischi per i diritti e le libertà degli interessati che possono derivare dal trattamento dei loro dati. Sarà quindi opportuno procedere all’effettuazione della valutazione d’impatto anche quando sul titolare non incombe l’obbligo normativo in tale senso.

un altro adempimento che viene richiesto al titolare del trattamento consiste nella designazione del Responsabile della protezione dei dati (per un approfondimento su tale sfigura vi invitiamo a leggere l’articolo ad esso dedicato del presente Speciale). Tale nomina è, come previsto dall’art. 37 del GDPR, obbligatoria soltanto in una serie di ipotesi, in particolare, nel caso in cui il trattamento dei dati sia effettuato da un’autorità pubblica o da un organismo pubblico (ad eccezione per le autorità giurisdizionali quando esercitano le loro funzioni); quando le attività principali svolte del titolare o del responsabile del trattamento consistono in operazioni che, per la loro natura, l’ambito di applicazione o le finalità, richiedono un monitoraggio regolare e sistematico degli interessati su larga scala; e infine nel caso in cui le attività principali effettuate consistano nel trattamento, su larga scala, di dati sensibili o di dati relativi a condanne penali e a reati consistenti nell’illecito trattamento dei dati personali.

In tutti i restanti casi, quando il regolamento non impone specificamente la nomina di un DPO, questa figura potrà comunque essere designata dal titolare o dal responsabile del trattamento su base volontaria.

GDPR, come mettersi a norma e scadenze

di Studio Legale Associato Fioriglio-Croari 22 Febbraio 2018, 14:00

 La tutela offerta dal Regolamento riguarda tutte le informazioni relative alle persone fisiche identificate o identificabili che si trovano nel territorio europeo, mentre non tocca i trattamenti di informazioni relative alle persone decedute né alle persone giuridiche.

Restano, inoltre, esclusi dalla disciplina prevista dal Regolamento i trattamenti di dati effettuati in forma anonima, anche se svolti per scopi statistici o di ricerca.

A tale riguardo, il GDPR precisa che i principi di protezione dei dati personali così introdotti non riguardano nemmeno quei “dati personali resi sufficientemente anonimi da impedire o da non consentire più l’identificazione dell’interessato” (Considerando n. 26). In tal senso, va quindi attribuito particolare rilievo alla pseudo minimizzazione dei dati, alla quale i titolari vengono invitati a fare ricorso ove possibile, quale generale forma precauzionale.

Tale procedura (elencata tra le misure di sicurezza dall’art. 32 del GDPR) è definita dal Regolamento come quella modalità di trattamento con la quale “i dati personali non possano più essere attribuiti a un interessato specifico senza l’utilizzo di informazioni aggiuntive, a condizione che tali informazioni aggiuntive siano conservate separatamente e soggette a misure tecniche e organizzative intese a garantire che tali dati personali non siano attribuiti a una persona fisica identificata o identificabile”. Essa permette quindi di ridurre il rischio di pregiudizi per i diritti degli interessati e, al tempo stesso, di favorire il rispetto della normativa limitandolo a quelle attività aziendali che riguardano informazioni relative a persone fisiche identificate o identificabili.

D’altra parte, non può essere sottovalutata la portata del concetto di “identificabilità” di una persona fisica: in tal senso, infatti, vanno considerati tutti i mezzi di cui i terzi potrebbero avvalersi per identificare, anche indirettamente, una persona, valutando complessivamente una serie di elementi oggettivi, come i costi, il tempo e le tecnologie disponibili per l’identificazione. Ciò, oltre alla puntualizzazione che il Regolamento afferma espressamente che l’utilizzo della pseudo minimizzazione non può escludere a priori la necessità di adottare particolari misure di sicurezza. Nemmeno va tralasciata l’importanza dei numerosi rimandi che il GDPR fa alla legislazione nazionale e alla introduzione da parte dei singoli Stati di regole di dettaglio. È esemplificativa, al riguardo, la formulazione delle disposizioni di cui alla Sezione IX, dedicata a specifiche situazioni di trattamento: per disciplinare alcune circostanze particolari, infatti, si fa esplicitamente rinvio a quanto verrà previsto dagli Stati membri, in rapporto, tra gli altri, a trattamenti effettuati a scopi giornalistici o di espressione accademica, artistica o letteraria (art. 85 GDPR) oppure all’utilizzo di dati personali dei dipendenti nell’ambito dei rapporti di lavoro, ad esempio, per finalità di assunzione (art. 88 GDPR).

Peraltro, nonostante l’autonomia riconosciuta ai legislatori nazionali in queste ipotesi, nell’ottica di uniformità di disciplina che contraddistingue il GDPR, i singoli Stati saranno tenuti sempre a coordinarsi tra loro. Al riguardo, per il momento, non resta che attendere gli interventi dei legislatori nazionali e le eventuali indicazioni delle Autorità Garanti.

In generale, poi, si deve partire dall’idea che l’approccio corretto alla nuova disciplina è di tipo preventivo. Vale a dire che, prima di porre in essere qualsiasi attività di trattamento di dati personali, i titolari devono:

  • analizzare le singole operazioni che andranno ad effettuare;
  • valutare i rischi specifici che esse comportano per la privacy;
  • eseguire tutti gli adempimenti richiesti dalla normativa europea e nazionale;
  • predisporre tutte le misure di tutela necessarie per garantire un livello di sicurezza adeguato al rischio.

La protezione dei dati personali deve, quindi, essere attuata in via anticipata rispetto ad ogni attività di trattamento che sarà o che potrebbe essere svolta. Il GDPR richiede, infatti, ai titolari del trattamento un’attenta analisi progettuale che dovrà tenere conto, complessivamente, di tutti gli elementi coinvolti e che dovrà fondarsi, necessariamente, su una conoscenza specifica del settore di competenza.

 

Non sarà possibile, in altre parole, applicare correttamente la disciplina normativa in oggetto, se non si sarà in grado di distinguere e descrivere analiticamente tutte le caratteristiche dei trattamenti effettuati e dei dati che ne sono oggetto in riferimento ad ogni specifica attività.

Per tale motivo, i titolari dovranno sforzarsi di procedere con ordine e in stretto rapporto al contesto di riferimento, non fermandosi all’applicazione aprioristica delle più comuni misure di sicurezza (che potrebbero risultare inadeguate e/o inappropriate rispetto ai reali trattamenti effettuati).

GDPR: cosa cambia per gli hotel e le strutture ricettive (seconda parte)

GDPR: cosa fare se gestisci un hotel o una struttura ricettiva

Cosa cambia per un hotel o un qualsiasi tipo di struttura ricettiva con il GDPR 2018? Ecco 4 cose da fare subito per adeguarti al nuovo regolamento ed evitare sanzioni. Gli interventi da adottare cambiano a seconda del tipo e della quantità di dati che raccogli. Per farti un esempio: non tutte le strutture ricettive hanno un sistema di videosorveglianza. Più informazioni e tecnologie utilizzi, più sarà complessa la loro gestione.

 

  1. Dai al cliente il modo di esprimere il suo consenso

Ogni cliente che ti invia i dati personali deve avere la possibilità di darti il consenso esplicitamente, deve capire come verranno usati i suoi dati ed essere attivo nel darti il consenso. Ad esempio, nel caso del form di iscrizione alla newsletter della tua struttura ricettiva deve poter spuntare la casella appositamente, non trovarla già selezionata. È una tua responsabilità utilizzare un linguaggio chiaro e comprensibile a tutti.

 

  1. Richiedi l’autorizzazione all’uso dei cookie

Informa l’utente che utilizzi cookie che raccolgono dati non in forma anonima ma personale (come le e-mail, i numeri di telefono, etc.) Probabilmente sul tuo sito già compare la barra sui cookie. In caso contrario, inseriscila.

 

  1. Scrivi un’informativa dettagliata sulla privacy

Sul tuo sito deve essere presente un’informativa dettagliata sulla privacy. Spiega bene nel documento quali dati raccogli, perché e come. Includi tutte queste informazioni: quelle che l’utente invia spontaneamente, quelle memorizzate dai cookie e quelle raccolte da altre tecnologie utilizzate. Devi indicare il periodo di conservazione dei dati e i criteri in base ai quali hai stabilito questo periodo di tempo.

 

  1. Identifica il data controller e il data processor

Per ogni dato raccolto deve essere chiaro chi è il data controller e il data processor. Per quanto riguarda il DPO (Data Protection Officer) non deve essere necessariamente interno (come per enti pubblici, attività che trattano dati giudiziari o operano su larga scala). Nel caso degli hotel e delle strutture ricettive, può essere una professionista esterno, un’associazione, un ufficio. Il DPO deve avere competenze informatiche, sulla sicurezza e la normativa europea per la protezione dei dati. Inoltre deve conoscere il settore e il modo in cui opera il titolare del trattamento.

 

Infine, un suggerimento. Se gestisci una piccola struttura ricettiva, questi 4 semplici accorgimenti dovrebbero bastare a proteggerti da eventuali sanzioni. Ma se hai un hotel o sei un property manager con decine di case vacanza, richiedi una consulenza a un professionista specializzato in privacy.

 

Dal 25 maggio la comunicazione di aziende e professionisti in Italia e in Europa cambierà totalmente con l’entrata in vigore del GDPR – General Data Protection Regulation, cioè l’aggiornamento della normativa sulla Privacy che prevede multe salate per chi non la rispetterà.

 

Il cambiamento riguarda sia le aziende sia i professionisti che si promuovono online, ma anche il consumatore finale che lascia i propri dati per ricevere un servizio.

 

Premetto di non essere un “tecnico” tanto meno un legale e non è mia intenzione dispensare consigli, visto che la normativa per certi aspetti è ancora poco chiara. Tuttavia, di seguito ho raccolto alcune informazioni sul Regolamento che credo aiutino a chiarire cos’è e come muovere i primi passi per mettersi in regola.

 

 COS’È LA GDPR E CHI RIGUARDA

Il Regolamento Privacy Europeo è un aggiornamento dell’attuale vigente decreto legislativo 196/2003 “Il Codice Privacy”, redatto prima dell’avvento di Internet e quindi obsoleto.

 

Riguarda i dati sensibili delle persone come nome, cognome, età, sesso ma anche email, numero di telefono e simili, che in ambito digitale hanno un valore altissimo, in quanto considerati “moneta di scambio” per accedere a prodotti e servizi.

Il Regolamento si integra con la norma Cookie law introdotta alcuni anni fa.

 

Il GDPR riguarda le persone fisiche e non le aziende, ma non c’è distinzione tra B2B e B2C. Nel momento in cui la nostra attività richiede di raccogliere una o più di queste informazioni ne diventiamo titolari e quindi responsabili.

 

GDPR PRINCIPI FONDAMENTALI INTRODOTTI

privacy by design, cioè il sistema di trattamento dei dati deve essere concepito sia a livello strutturale sia a livello concettuale alla base (by default) del progetto che si vuole mettere online. Dovrà quindi essere strutturato per prevenire e non per correggere eventuali falle nella riservatezza e protezione dei dati, potendo adottare liberamente le misure tecnologiche per farlo.

accountability, indica che l’intera responsabilità del dato ricade su chi lo richiede che pertanto dovrà progettare il sistema di trattamento in modo da garantire la conservazione dei dati, evitandone perdite, furti e altro.

 

GDPR FIGURE PRINCIPALI INTRODOTTE:

titolare del dato, colui che richiede i dati

DPO – Data Protection Officer, colui che sovraintende il trattamento nel rispetto delle normative

incaricato, colui o coloro che “metteranno le mani” sul database.

 

TRATTAMENTO DEL CONSENSO

Rispetto ad oggi, quando andiamo a chiedere questi dati concernenti la privacy delle persone tramite form online, dobbiamo fornire:

  • consenso informato
  • specifico
  • libero
  • revocabile
  • documentato per iscritto.
  • Vediamo uno alla volta questi aspetti.

 

La richiesta del consenso è obbligatoria per poter trattare i dati e deve essere espressa, dichiarata e non sottintesa. Quindi non solo andranno chiariti gli scopi della raccolta, consenso informato appunto, ma non saranno validi check box già spuntati nel caso in cui ci fossero più finalità.

In effetti, il consenso deve essere anche specifico, cioè non allargato ad altri consensi ma presentare una finalità alla volta.

 

Specifico che l’invio di DEM, quindi di comunicazione di marketing diretto è già legiferata dalle norme antispam per cui non è possibile inviare messaggi pubblicitari a chi non ne ha fatto richiesta.

 

Il consenso deve essere revocabile quindi l’iscritto non solo deve essere in grado di potersi cancellare ma, addirittura, di poter cancellare i propri dati in modo definitivo ricorrendo al diritto all’oblio in presenza di motivazioni “forti”. Anche se per motivi di legge, ad esempio amministrativi, sarà possibile continuare a gestire il dato fino all’estinzione dell’obbligo che ne vietava la cancellazione.

 

Il GDPR prevede che l’utente possa procedere alla consultazione e/o alla cancellazione del dato. Non è previsto però un obbligo di accesso diretto a queste informazioni. Tuttavia, il titolare non dovrà disattendere la richiesta dell’interessato e quindi dovrà munirsi di strumenti atti ad accoglierla.

 

Il consenso deve essere documentato, cioè il titolare deve essere in grado di provare che ha raccolto il consenso attraverso la tecnologia quindi, ove possibile, fornendo tramite un supporto digitale la chiamata al server con il consenso. In ogni caso, deve essere fornito in una forma leggibile e organizzata.

 

CHI È ESONERATO DAL CHIEDERE IL CONSENSO

Sono esonerati da queste procedure i titolari che trattano i dati ai fini del “legittimo interesse“. Ad esempio, per il normale svolgimento di attività di lavoro per cui devo comunicare con dipendenti, clienti e fornitori o nel caso in cui si debba emettere fatturazione o stipulare un contratto. In questo caso, i titolari sono esonerati dalla richiesta del consenso esplicito.

Ovviamente le comunicazioni commerciali, anche se saltuarie, non rientrano mai nel legittimo interesse. Di conseguenza è necessario ottenere il consenso per inviarle.

 

DIRITTI DEL TITOLARE

La modifica alla Privacy prevede il diritto di portabilità quindi se cambiamo piattaforma siamo autorizzati a trasferire i dati da un gestore a un altro e continuarne l’uso.

 

Il GDPR consente, ad esempio alle aziende, di assegnare il ruolo del responsabile (DPO – Data Protection Officer) anche a una persona fisica o giuridica. La scelta non è vincolante e può ricadere anche su un individuo esterno all’azienda.

 

ONERI IN BREVE

in tutti i casi di raccolta dati va chiesto il consenso, il consenso va documentato indipendentemente dai fini del trattamento dei dati, non vanno bene caselle precompilate, non vanno bene consensi poco chiari, non si devono chiedere più dati del necessario.

Tra i vari oneri, rientra il dovere di dichiarare eventuali fughe di dati. La notifica va fatta entro le 72 ore dalla violazione del database.

 

 DA DOVE PARTIRE

Un buon punto per iniziare a mettersi in regola con il GDPR è rediggere il documento di attestato di rischio del proprio sistema. Il Risk Assessment dovrà definire che tipo di dati trattiamo, per quanto tempo, con quale finalità, con quali mezzi (elettronici o cartacei) e altro. In base a quanto raccolto, si stabiliscono le misure di sicurezza da adottare.

 

LINEE GUIDA DEL GDPR PER ESSERE COMPLIANT

Posso dimostrare di essere in grado di gestire la privacy in modo adeguato utilizzando i dati anonimi e tramite la criptografia del database con la possibilità di risalire al dato, in modo da non essere soggetto a eventuali fughe di dati o furti. Inoltre, l’uso della criptografia eviterebbe l’obbligo di notifica di violazione.

 

Un altro modo è tenere il Registro delle attività del trattamento, obbligatorio per realtà aziendali superiori ai duecentocinquanta dipendenti e gli enti pubblici, ma anche per professionisti e PMI che trattano i dati in modo continuativo.

 

Ovvero, se conservi i dati dei tuoi clienti per analisi statistiche e/o per fatturare, sei tenuto ad avere un Registro del Trattamento, cioè un giornale fisico o virtuale dove annotare il tipo di dati raccolti, le finalità e, se comunicati a terzi parti, la loro destinazione.

 

 

 

GDPR SE SEI UN BLOGGER

Se fai blogging e tramite il tuo blog o sito fai raccolta di email per la newsletter il regolamento prevede che tu rispetti le stesse norme delle aziende anche se probabilmente non avrai bisogno di eleggere un DPO, che è facoltativo, né di iscriverti al registro del trattamento. Ma dovrai fornire la possibilità alle persone di accedere ai dati e cancellarsi secondo i punti descritti nel Trattamento del consenso.

 

GDPR SE SEI UN’AGENZIA WEB

Nel caso di una web agency o professionista che gestisce il sito di un cliente, l’ente esterno è quello che tratta i dati. Quindi anche in questo caso il cliente resta il titolare del trattamento ma dovrà formalizzare tramite un contratto la modalità del trattamento dei dati. Il contratto di fornitura incarica il responsabile esterno, cioè l’agenzia web, del trattamento delimitando i confini di responsabilità e/o inserendo delle manleve.

 

CONCLUSIONI

In generale, credo che la GDPR sarà un’occasione per fare pulizia dei database e per rendere più chiari i messaggi sulle finalità del trattamento dei dati. Immagino che ulteriori chiarimenti sulla corretta gestione e le responsabilità dei diversi ruoli arriveranno nelle prossime settimane.

 

Tuttavia, molte piattaforme di email marketing hanno già iniziato a rilasciare il “pacchetto GDPR“, utile per mettersi in regola in tempo, come ad esempio MailChimp una delle prime a dare indicazioni precise su cosa fare.

 

E’ chiaro che per ottenere la fiducia e le preziose informazioni dai consumatori, le aziende e i professionisti devono mostrarsi generosi e disponibili. Offrire supporto, risposte in tempo reale e un’esperienza piacevole. Ed in questo rientra anche la possibilità di conoscere, modificare e cancellare i dati in modo agevole da parte degli utenti.

 

Ho parlato di come recuperare il consenso di parte dei nostri contatti in questo articolo mentre in questo video spiego come ripulire quelli non più attivi nel caso in cui usi MailChimp come piattaforma di email marketing.

 

GDPR: cosa cambia per gli hotel e le strutture ricettive (prima parte)

GDPR: cosa cambia per gli hotel e le strutture ricettive dal 25 maggio 2018? Non passare oltre e leggi l’articolo, perché questa novità abbastanza noiosa coinvolge anche te, certamente più a tuo agio a occuparti di camere, colazioni e prenotazioni alberghiere.

Affinché ti riguardi, basta che tu abbia archiviato i dati anagrafici anche di un solo cliente, attraverso un qualsiasi software. Non spaventarti! Ma dovrai intervenire sulla tecnologia che utilizzi ed eventualmente fare delle modifiche legali e organizzative.

Continua a leggere per capire meglio cosa significa GDPR. A fine articolo trovi 4 cose da fare subito per adeguarti alla novità ed evitare le sanzioni.

GDPR significa General Data Protection Regulation, di cui è l’acronimo. Il GDPR è il regolamento europeo sulla privacy e stabilisce in che modo gli enti pubblici e le attività commerciali, compresi hotel e strutture ricettive, devono utilizzare:

  1. i dati sensibili delle persone (nome, cognome, indirizzo, ecc.)
  2. gli indirizzi IP
  3. i cookie

Perché abbiamo pubblicato proprio ora questa news su un argomento così impegnativo, soprattutto per chi non ama il linguaggio giuridico? Perché il GDPR, esattamente il Regolamento UE 679/2016 (puoi scaricare qua il pdf in italiano del GDPR), entrerà in vigore il 25 maggio 2018. Entro questa data la tua attività dovrà essere in regola con le nuove norme. Con una complicazione: il regolamento riguarda anche i dati raccolti ed elaborati prima di maggio 2018.

GDPR cosa cambia

Fino ad oggi la tutela della privacy e il trattamento dei dati degli italiani erano regolamentati dal D.lgs 196/2003. Dal 25 maggio 2018 il regolamento europeo sulla privacy prevarrà sul codice italiano in materia di protezione dei dati personali. Come sempre accade in ambito giuridico, sicuramente il legislatore italiano e gli organi competenti dovranno intervenire nei prossimi mesi per fornire dei chiarimenti. Dubbi e incompatibilità sono inevitabili nel passaggio da una legge italiana a una europea.

Novità e principi del GDPR 2018

Vediamo le novità più importanti del regolamento europeo sulla privacy, senza entrare nel dettaglio dei tecnicismi giuridici. Se può consolarti: non cambierà proprio tutto. Alcune norme sono invariate, altre sono state modificate. Ma ci sono anche delle novità assolute e quindi degli obblighi che non puoi ignorare per evitare le sanzioni.

Diritto all’oblio

La persona interessata avrà il diritto di chiedere all’attività commerciale la cancellazione dei dati personali. L’attività dovrà eliminarli se esiste almeno uno dei seguenti motivi, come si legge nell’art. 17:

“i dati personali non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati;

l’interessato revoca il consenso e se non sussiste altro fondamento giuridico per il trattamento;

l’interessato si oppone al trattamento e non sussiste alcun motivo legittimo prevalente per procedere al trattamento;

i dati personali sono stati trattati illecitamente;

le informazioni personali devono essere cancellate per adempiere un obbligo legale previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento;

i dati personali sono stati raccolti relativamente all’offerta di servizi della società dell’informazione.”

Data controller e data processor

 

Il GDPR 2018 introduce due figure, Data Controller e Data Processor, che in realtà esistono già nel Codice della Privacy italiano:

il Data Controller è il titolare del trattamento dei dati, ovvero qualunque organizzazione in possesso dei dai personali dei cittadini europei;

il Data Processor è il responsabile del trattamento dei dati, ovvero l’organizzazione che tratta i dati per conto del titolare.

A questi bisogna aggiungere il DPO, data protection officer, il responsabile della protezione dei dati.

La notifica della violazione dei dati

Il regolamento europeo stabilisce che in caso di violazione nella procedura di sicurezza che comporti un pericolo per la libertà o i diritti dei cittadini, il titolare del trattamento ha 72 ore per avvisare l’Autorità di Controllo.

Il registro dei trattamenti

Il registro non è sempre obbligatorio, ma è preferibile adottarlo. Al suo interno devono essere descritti i trattamenti effettuati e le procedure di sicurezza messe in atto.

I principi del GDPR privacy

Il regolamento europeo sulla privacy si basa su alcuni principi. Conoscerne i principali, può aiutarti a capire meglio come gestire i dati dei tuoi clienti.

Responsabilizzazione. La nuova norma europea responsabilizza le attività in materia di trattamento dei dati. Abbiamo appena visto che il GDPR introduce due figure. Entrambe devono seguire le norme e sono soggette a sanzioni. Pertanto non puoi scaricare la responsabilità sul titolare del tuo booking engine.

Extraterritorialità. Il GDPR protegge la privacy dei cittadini europei e vincola qualsiasi attività che tratta o gestisce queste informazioni. Spostare i dati fuori dall’UE non è quindi una soluzione.

Protezione dei dati fin dalla progettazione. Con le nuove norme sulla privacy, vale il principio per cui non devi correggere ma prevenire. Ovvero organizzare il trattamento dei dati in modo che non ci siano violazioni prima che queste si verifichino. Il processo di gestione deve essere sicuro dall’inizio alla fine. In termini tecnici si dice privacy by design.

Privacy by default. La privacy e l’utente sono al centro del regolamento. I dati vanno trattati solo secondo modi e tempi sufficienti al raggiungimento dello scopo dell’attività che li raccoglie.

 

Le nuove norme sulla privacy introducono delle sanzioni amministrative più salate. Le multe possono arrivare a 20 milioni di euro o al 4 % del fatturato annuo globale. Tuttavia, gli addetti ai lavori pensano sia quasi impossibile che una piccola struttura ricettiva sia costretta a pagare cifre simili. Non pensare che per questo non sia necessario adeguarti al nuovo regolamento. Potresti rovinare l’immagine del tuo hotel e avere una perdita di clienti altrettanto costosa in termini di ricavi. Se vuoi approfondire, leggi questo articolo sulle sanzioni previste dal GDPR 2018.

 

Termini ridotti sui crediti inesistenti in dichiarazione

Per i crediti non spettanti e per quelli inesistenti indicati in dichiarazione termini ridotti per accertamento. È quanto sembra emergere dallarisoluzione 36/2018 dell’agenzia delle Entrate (si veda il Sole 24 Ore di ieri). Il documento, che individua la corretta sanzione applicabile per l’ipotesi di recupero di un credito considerato inesistente, ove sia già stato oggetto di specifico avviso di accertamento, fornisce chiarimenti anche sulla procedura che gli uffici devono osservare per tali contestazioni.

L’articolo 27 del Dl 185/2008, al fine di contrastare l’utilizzo di crediti inesistenti, ha introdotto un più ampio termine di decadenza del potere di accertamento (8 anni), inoltre il suddetto termine decorre non dalla data di presentazione della dichiarazione relativa all’anno in cui il credito inesistente è sorto, ma dalla data dell’illegittima compensazione.

Con la riforma del sistema sanzionatorio è stato poi previsto che il credito è inesistente qualora tale violazione non sia riscontrabile mediante controlli automatizzati e formali.

Nonostante il trattamento particolarmente gravoso riguardasse, fin dall’origine, solo i crediti inesistenti, gli Uffici hanno sempre utilizzato il maggior termine di 8 anni anche per indebite compensazioni di crediti non spettanti.

In proposito la risoluzione n. 36/2018 ha ora precisato che solo quando il credito fruito non può essere “intercettato” mediante controlli automatizzati, la violazione può essere sanzionata più gravemente. Ne consegue che in tutte le ipotesi di crediti non spettanti (e non inesistenti), gli Uffici non possono beneficiare del più ampio termine di decadenza dovendo notificare gli atti entro gli ordinari termini.

Nel documento sono inoltre individuate due tipologie di credito inesistente da cui scaturiscono differenti tempi di decadenza e di tipologia di atti impositivi:

• derivante da «eccedenze di imposta», che transitano in dichiarazione, per il quale è necessaria la notifica di un avviso di accertamento entro gli ordinari termini di decadenza;

• derivante da «agevolazioni», per il quale occorre l’atto di recupero, che può beneficiare degli 8 anni.

Il «credito derivante da eccedenza di imposta» transita in dichiarazione e pertanto è verosimile che si possa classificare inesistente se discendente da imponibili presumibilmente falsi (ad esempio, il credito Iva derivante dall’indicazione di operazioni passive contenenti fatture false o simili).

Il credito da “agevolazioni”, transita nel quadro RU della dichiarazione, ma rappresenta un valore indicato dal contribuente senza alcuna indicazione sulla sua formazione, con la conseguenza che l’Ufficio non potrebbe scoprirne la falsità attraverso un controllo automatizzato.

Secondo quanto emerge dalla risoluzione solo nel primo caso si applicherebbero gli ordinari termini di decadenza. Tuttavia sostenendo, come ad un certo punto evidenzia la risoluzione, che il termine ordinario si applica a tutti i crediti che transitano in dichiarazione, si potrebbe concludere che anche per i crediti da agevolazione non troverebbe applicazione la decadenza lunga proprio perché anch’essi transitano in dichiarazione (quadro RU). Attesa la delicatezza della questione, sarebbe auspicabile un intervento chiarificatore.

 Fonte “Il sole 24 ore”

Rottamazione-bis, adesione revocabile entro il 15 maggio

La scadenza del 15 maggio prossimo non riguarda solo la facoltà di presentare l’istanza di rottamazione ma anche la possibilità di revocare o modificare la stessa, senza subire pregiudizi di sorta. Come confermato infatti da agenzia Entrate-Riscossione (Ader) nelle risposte a Telefisco 2018, anche nella seconda versione della definizione agevolata degli affidamenti all’agente della riscossione è possibile correggere o ripensare integralmente alla scelta fatta.

Secondo i chiarimenti offerti da Equitalia in occasione della prima “tornata” di domande di sanatoria, l’accesso alla disciplina agevolata si verifica con la mera presentazione dell’istanza, senza che rilevi a tale scopo il pagamento della prima rata. A parziale rimedio di tale rigida interpretazione, tuttavia, è espressamente consentito che il debitore possa liberamente intervenire sulle istanze già presentate, purché entro la scadenza di legge (15 maggio prossimo). Poiché non è previsto un modulo particolare per comunicare la revoca di una domanda già presentata, si ritiene che sia sufficiente allo scopo una Pec contenente gli estremi del modello trasmesso e la volontà di porre nel nulla la scelta di aderire al condono. Allo stesso modo, sarà possibile sostituire o integrare liberamente le istanze presentate, purchè tale decisione sia chiaramente desumibile dal contenuto documentale dei moduli. Così, ad esempio, se i nuovi modelli riportano cartelle o avvisi diversi da quelli indicati nel modulo precedente è evidente che vi è stata una integrazione da parte del debitore. Se invece il nuovo modello riporta la precedente elencazione di partite affidate, depurata di alcune di esse, vi sarà stata una sostituzione di istanze, che tuttavia è bene sia evidenziata quantomeno nella pec di trasmissione.

A tale riguardo, si ricorda che il debitore ben può decidere di compilare più modelli, con riferimento ad affidamenti distinti. Tanto, qualora si avesse il dubbio sulla complessiva sostenibilità della pretesa. In tale eventualità, infatti, si potrà far decadere la procedura riferita ad una o più istanze, lasciando in vita le altre. L’eventuale omesso o insufficiente pagamento di una rata, infatti, potrebbe determinare la caducazione dell’intera definizione agevolata. Se invece si parcellizzano gli affidamenti in una pluralità di domande, si potrà decidere per quale comunicazione dell’Ader effettuare tempestivamente i pagamenti dovuti.

Al contrario, è possibile utilizzare un unico modulo per rottamare carichi ante e post primo gennaio 2017. In questa ipotesi, se si sceglie la massima dilazione possibile, l’agente della riscossione procede d’ufficio a ripartire in tre ovvero cinque rate i pagamenti, a seconda dei carichi cui essi di riferiscono.

Adeguata attenzione va posta sulla scelta del numero delle rate della rottamazione. Nel modulo DA 2000/17 è per la prima volta riportato che in caso di omessa indicazione da parte del debitore l’intero importo sarà dovuto in una unica soluzione. Nel corso di Telefisco 2018 è stato chiesto se fosse possibile rimediare ad una eventuale dimenticanza da parte del contribuente dopo aver ricevuto la comunicazione dell’agente della riscossione contenente la liquidazione delle somme dovute. L’Ader ha risposto che scaduto il termine del 15 maggio non è più possibile apportare nessuna correzione al modello, anche con riferimento al numero delle rate.

Fonte “Il sole 24 ore”

Il mutuo alza la soglia detassabile

Chiarire subito il quadro normativo in materia di privacy, tirando fuori dai cassetti il decreto legislativo varato in prima lettura lo scorso 21 marzo e, poi, uscito dai radar. E tradurre in un impegno formale le parole con le quali il Garante ha aperto la strada a un approccio «equilibrato e pragmatico» nella fase di transizione dei primi mesi.

Sono le due richieste chiave contenute nelle missive con le quali il mondo produttivo italiano, a pochi giorni dall’entrata in vigore (il prossimo 25 maggio) delle nuove regole in materia di trattamento dei dati personali, ieri mattina ha fatto blocco per rappresentare la sua preoccupazione. Confindustria, Abi, Ania, Assonime e Confcommercio hanno così indirizzato due lettere al Garante per la protezione dei dati personali e al Governo (destinatari: Dipartimento affari legislativi di Palazzo Chigi e ministero della Giustizia), con l’obiettivo di ottenere a beneficio delle imprese «le necessarie certezze applicative». Qualche prima risposta, in attesa di indicazioni compiute, potrebbe arrivare già oggi, nel corso del convegno che proprio Confindustria ospiterà a Roma per parlare della «Gdpr ai nastri di partenza».

Le missive esordiscono entrambe sottolineando un dato, relativo al Regolamento Ue sulla protezione dei dati personali: «La preoccupazione del mondo produttivo». Nonostante la sua «imminente operatività» (l’entrata in vigore è fissata il 25 maggio), infatti, il quadro normativo al quale le imprese dovranno fare riferimento è ancora caratterizzato da «incertezze». Soprattutto, pesa il «notevole ritardo registrato nell’attuazione della delega per l’adeguamento della disciplina nazionale». Il termine per approvare il decreto che dovrà integrare le regole europee nel sistema italiano è, infatti, il 21 maggio. Nonostante manchino solo dieci giorni alla scadenza, il testo non è ancora stato ufficializzato.

La sostanza, cioè, è che gli operatori si trovano davanti un perimetro di regole ancora in via di assestamento. E le difficoltà vengono accentuate «dall’ampiezza dell’intervento del Regolamento, che modifica radicalmente l’approccio richiesto ai titolari di trattamenti di dati personali». I dubbi rallentano le attività di compliance, già parecchio articolate, «con il rischio molto concreto di arrivare al prossimo 25 maggio senza averle ultimate o, comunque, senza avere le necessarie certezze applicative». Quindi, anche se c’è soddisfazione «per le attività di sensibilizzazione e di indirizzo che gli uffici» del Garante stanno portando avanti «per informare e orientare» gli operatori, serve uno sforzo ulteriore.

Le lettere esplicitano, allora, due richieste. La prima è diretta al Governo, pur «consapevoli delle difficoltà dovute alla particolare situazione politica del nostro paese». Considerando la prossima scadenza del 25 maggio, è necessario che «l’iter di attuazione della citata delega sia il più rapido possibile in modo da consentire a tutti gli operatori di adeguarsi pienamente alla nuova disciplina».

La seconda richiesta è diretta, invece, al Garante. E parte dalle dichiarazioni rilasciate proprio da Antonello Soro il 3 maggio scorso al Sole 24 Ore in merito «all’approccio equilibrato e pragmatico che l’Autorità intende adottare nell’accompagnare le imprese italiane in questa fase di transizione». Quelle parole, molto apprezzate, vanno tradotte in un atto più concreto: le associazioni auspicano, infatti, «un impegno formale, volto a improntare a criteri di gradualità e progressività l’esercizio del potere sanzionatorio e i controlli che l’Autorità svolgerà sull’osservanza di nuovi adempimenti».

Fonte “Il sole 24 ore”

In arrivo una nuova riduzione degli interessi di mora per chi paga in ritardo le cartelle di pagamento. La misura del 3,50% fissata lo scorso anno, con effetto dal 15 maggio 2017, sarà infatti ridotta al 3,01% con effetto dal 15 maggio 2018. La nuova misura è stata fissata da un provvedimento di ieri del direttore dell’agenzia delle Entrate , Ernesto Maria Ruffini. Dopo l’altalena degli anni precedenti, con gli interessi di mora, un anno ridotti, un altro anno aumentati, è dal 1° ottobre 2013, con la misura fissata al 5,2233% annuo, che gli interessi sono stati sempre ridotti, passando al 5,14% dal primo maggio 2014, al 4,88% dal 15 maggio 2015, al 4,13% dal 15 maggio 2016, al 3,50% dal 15 maggio 2017, per ridursi al 3,01% a partire dal 15 maggio 2018. Il nuovo tasso è dovuto da chi paga in ritardo le somme chieste con le cartelle di pagamento, che, così, diventeranno più “leggere”. Il provvedimento è previsto dall’articolo 30 del decreto sulla riscossione (Dpr 602/1973). Esso stabilisce che, decorso inutilmente il termine di 60 giorni dalla notifica della cartella, sulle somme iscritte a ruolo si applicano, a partire dalla data della notifica della cartella e fino alla data del pagamento, gli interessi di mora al tasso determinato annualmente con riguardo alla media dei tassi bancari attivi.

Va segnalato però che, in materia di interessi, non è stata mai fissata una misura unica per i versamenti e per i rimborsi. Infatti, nonostante i vari annunci, si è ancora in attesa di un allineamento per evitare che gli interessi applicati dal Fisco su quanto gli è dovuto siano più alti di quelli riconosciuti al contribuente in caso di rimborso. In verità, si sarebbe dovuto mettere la parola “fine” su queste disparità. Infatti, se il contribuente deve avere il rimborso, l’interesse riconosciuto dal Fisco per il ritardo è, di norma, il 2% annuo, mentre se il contribuente versa dopo la scadenza, l’interesse che deve pagare è il doppio.

Inoltre, scatta pure la sanzione del 30%, riducibile al 15% se il contribuente paga entro 90 giorni, mentre nessuna sanzione è prevista a carico del Fisco, anche se esegue i rimborsi in ritardo. La disparità doveva essere eliminata da un decreto che si sarebbe dovuto approvare nel mese di gennaio del 2016. Si tratta del decreto previsto dall’articolo 13 del decreto legislativo 159/2015 (uno dei decreti attuativi della delega fiscale), in vigore dal 22 ottobre 2015. Il decreto di competenza del ministero dell’Economia che doveva fissare una misura unica di interessi per versamenti, riscossione e rimborsi di ogni tributo, doveva essere emanato entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo 159/2015. Considerato che questo decreto è entrato in vigore il 22 ottobre 2015, il provvedimento doveva essere emanato entro il 20 gennaio 2016.

Per il momento, visto che il decreto è rimasto solo una promessa, si devono applicare le misure vigenti, che sono di diversa misura e, di norma, favoriscono il Fisco, penalizzando i contribuenti. Ad esempio, per i contribuenti che pagano a rate le imposte risultanti dalle dichiarazioni annuali dei redditi, dell’Iva e dell’Irap, gli interessi sono dovuti nella misura dello 0,33% mensile, cioè pari al 4% annuo.

Fonte “Il sole 24 ore”

di Benedetto Santacroce Rosario Farina

 I provvedimenti dell’agenzia delle Entrate del 30 aprile sono andati nella direzione della semplificazione del processo che però al momento riguarda solo la fatturazione elettronica obbligatoria tra privati e non quella emessa nei confronti delle pubbliche amministrazioni; per questa restano valide le disposizioni di cui al decreto ministeriale 3 aprile 2013, n. 55. In attesa di un’armonizzazione tra le due discipline, è importante evidenziare le differenze ad oggi esistenti che comportano diverse modalità di gestione del ciclo attivo da parte dell’impresa.

Nella fatturazione verso la pubblica amministrazione vengono mantenute, a differenza dei privati, le “notifiche d’esito committente”. Infatti per ogni fattura elettronica ricevuta la Pa, entro il termine di 15 giorni dalla ricezione, può inviare una notifica di accettazione/rifiuto. Se entro questi 15 giorni lo Sdi (sistema di interscambio) non riceve alcuna comunicazione, provvede ad inoltrare la notifica di decorrenza dei termini sia al soggetto trasmittente sia al soggetto ricevente. Tali notifiche devono essere gestite e conservate dal soggetto emittente in quanto una fattura rifiutata entro 15 giorni deve essere corretta e rinviata alla Pa sempre tramite lo Sdi.

Relativamente all’indirizzamento, la trasmissione della fattura elettronica nei confronti della Pa è vincolata dalla presenza del codice identificativo univoco dell’ufficio destinatario della fattura riportato nell’indice delle pubbliche amministrazioni, mentre per i privati la trasmissione è possibile anche in assenza del codice destinatario in quanto il provvedimento consente al soggetto passivo Iva attraverso la funzione di registrazione di scegliere la modalità di ricezione delle fatture elettroniche.

Nei confronti dei clienti privati che non si sono registrati e non hanno fornito nessun dato per l’indirizzamento (Pec o codice destinatario) il cedente/prestatore può utilizzare il solo codice convenzionale “0000000” e in questo caso la fattura viene messa a disposizione dallo Sdi nella loro area riservata del sito web dell’agenzia delle Entrate con necessità dell’emittente di comunicare che l’originale del documento è a disposizione in tale area.

A differenza della fattura elettronica verso privati, nei confronti della Pa l’analogo codice fittizio “999999” può essere utilizzato solo se a fronte del codice fiscale del destinatario non esiste alcun codice destinatario nell’indice della pubblica amministrazione. Da quanto sopra si evince che devono essere gestite nell’anagrafica cliente dei soggetti emittenti anche due codici destinatario di lunghezza diversa (6 caratteri per la Pa e 7 per i privati).

Diverso è anche il comportamento in caso di impossibilità di recapito da parte dello Sdi. Nel caso di privati il documento viene messo a disposizione del cessionario/committente nella sua area riservata del sito web dell’agenzia delle Entrate e il cedente/prestatore, a cui è notificato dallo Sdi un file XML firmato quale ricevuta di impossibilità di recapito, è tenuto a comunicare al suo cliente che l’originale della fattura è disponibile in tale area. Nel caso in cui il cliente è la Pa, trascorsi dieci giorni dall’ invio della notifica di mancata consegna, lo Sdi invece invia al mittente un’attestazione di avvenuta trasmissione della fattura con impossibilità di recapito. L’attestazione è composta da un file zippato contenente la fattura originale e un file XML di notifica sottoscritto elettronicamente che deve essere inoltrato telematicamente dal cedente all’amministrazione destinataria utilizzando altri canali (ad esempio e-mail o Pec). Si ricorda che le fatture verso le Pa devono riportare sempre il Cig e/o Cup mentre nel caso dei privati sono obbligatori solo nel caso di quelle emesse dai sub-contraenti e sub-appaltatori di un contratto stipulato con un Pa, limitatamente al primo passaggio e non a quelli successivi (come da circolare 8/E del 30 Aprile) .

Fonte “Il sole 24 ore”