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Sì a deduzione del costo e detrazione dell’Iva sugli acquisti di carburante effettuati dal 1° luglio 2018 dal lavoratore dipendente con la propria carta di credito e successivamente rimborsati dalla società, a condizione che il rimborso avvenga con i mezzi di pagamento tracciabili (provvedimento delle Entrate 4 aprile 2018). È quanto emerge dalla circolare 8/E/2018.

La precedente modifica
Ma facciamo un passo indietro. In occasione delle modifiche apportate dal Dl 70/2011 all’articolo 1, comma 3-bis, del Dpr 444/1997, che avevano permesso la deroga all’obbligo di tenuta della scheda carburante a quei soggetti Iva che garantivano i pagamenti delle spese per carburante esclusivamente mediante carte di credito, carte di debito o carte prepagate, la circolare 42/E/2012 aveva precisato che tali modifiche «non possono far venire meno, in toto, l’esigenza di disporre di una serie di elementi, necessari a consentire la verifica dell’esistenza del diritto alla detrazione Iva e della deducibilità del costo nella misura spettante, in capo al soggetto acquirente. Detti elementi, in particolare, sono indispensabili per ricollegare l’acquisto effettuato al soggetto, persona fisica o giuridica, che esercita un’attività d’impresa o un’arte o una professione. Si ritiene, pertanto, necessario che il mezzo di pagamento sia intestato al soggetto che esercita l’attività economica, l’arte o la professione e che dall’estratto conto rilasciato dall’emittente della carta emergano tutti gli elementi necessari per l’individuazione dell’acquisto, quali, ad esempio, la data ed il soggetto presso il quale è effettuato il rifornimento, nonché l’ammontare del relativo corrispettivo».

L’interpretazione di prassi si poteva considerare coerente proprio in virtù del fatto che l’utilizzo della moneta elettronica, permettendo una sorta di documentazione insita consistente nelle risultanze degli estratti conto, rendeva inutile le annotazioni mediante compilazione della scheda carburante.

Oggi, invece, la legge di Bilancio 2018 ha introdotto la fatturazione elettronica obbligatoria nel settore dei carburanti dal 1° luglio, eliminando la vecchia scheda carburante, mediante l’abrogazione in toto del Dpr 444/1997. La circolare 8/E/2018 rende validi i pagamenti effettuati dal soggetto passivo d’imposta in via mediata, come nel caso di rifornimento di benzina di un’autovettura aziendale che il dipendente effettua presso un distributore stradale durante una trasferta di lavoro. L’Agenzia spiega che se «il pagamento avviene con carta di credito/debito/prepagata del dipendente (o altro strumento individuato nel provvedimento direttoriale del 4 aprile 2018 allo stesso riconducibile) ed il relativo ammontare gli sia rimborsato, secondo la legislazione vigente, avvalendosi di una delle modalità individuate dalla legge di bilancio (ad esempio, tramite bonifico bancario unitamente alla retribuzione), non vi è dubbio che la riferibilità della spesa al datore di lavoro ne consentirà la deducibilità (nel rispetto, come ovvio, degli ulteriori criteri previsti dal Tuir)».

Il confronto tra le due interpretazioni
Il meccanismo del rimborso della spesa per carburante anticipata dal dipendente per l’azienda, di fatto, rischia di costringere il dipendente stesso a richiedere la fattura elettronica per documentare un acquisto fatto per conto di un soggetto Iva, la società, obbligato alla ricezione della fattura elettronica in base all’articolo 1, comma 920, della legge 205/2017.

Tale circostanza si sarebbe potuta evitare se fosse rimasta in piedi la “precedente” semplificazione che la moneta elettronica aveva permesso di raggiungere e che ora si perdebbe con l’abrogazione del regolamento. La circolare, richiamando implicitamente il comma 910 dell’articolo 1 della legge 205/2017, rende infatti indifferente l’utilizzo dell’assegno o del bonifico piuttosto che della carta di credito.

Fonte “il sole 24 ore”

Il quadro RS non «decide» il tipo di rettifica sui forfettari

I contribuenti che applicano il regime forfettario devono procedere a indicare nel modello Redditi 2018 specifiche informazioni relative alle attività agevolate, richieste sia per gli esercenti attività d’impresa (da RS374 a RS378) che per i lavoratori autonomi (da RS379 a RS381).

Ora, in quanto nella determinazione del reddito ci si deve preoccupare solo dell’incasso dei componenti attivi ed è possibile disinteressarsi dei costi, mentre uno dei principali vantaggi del regime forfettario è la semplificazione degli adempimenti, risulta particolarmente fastidiosa per questi contribuenti la necessità di raccogliere ed indicare in dichiarazione, oltre che le fatture emesse, anche i dati dei documenti ricevuti, adempimento che fa residuare sul contribuente un indesiderato onere di tenuta e conservazione documentale.

Di conseguenza, in quanto per il forfettario non vi è alcun beneficio (che non sia quello civico) a ricevere documentazione fiscale dei propri costi sostenuti (del tutto irrilevanti nel contesto di una deduzione non analitica dal reddito di costi già predeterminati a forfait) non sono pochi i contribuenti che non dichiarano in RS l’effettività dei costi realmente sostenuti nell’esercizio dell’attività, o che spesso confondono acquisti di beni o servizi effettuati nella propria sfera lavorativa con quella privata, ricevendo per gli stessi ricevute fiscali alternative alle fatture passive per operazioni pur effettuate nell’esercizio dell’attività. Molti clienti, peraltro, neanche consegnano i documenti al professionista che cura gli adempimenti dichiarativi, cosicché la compilazione di questi righi risulta spesso incompleta o approssimativa.

L’omessa od infedele compilazione dei righi RS è sanzionabile ai sensi dell’articolo 8, comma 1, del Dlgs 471/1997, in base al quale, fuori dai casi di dichiarazione omessa o infedele, è applicabile la sanzione da 250 a 2mila euro qualora nella dichiarazione «(…) non è indicato in maniera esatta e completa ogni altro elemento prescritto per il compimento dei controlli». In alcuni casi, però, l’agenzia delle Entrate, in ragione della mancata tenuta delle scritture contabili da parte di questi contribuenti semmai rafforzata da una inattendibile compilazione del quadro RS, potrebbe ritenere di accertare il reddito di impresa/lavoro autonomo dei forfettari tramite un accertamento induttivo puro, ovvero secondo i presupposti e le modalità contenute nell’articolo 39, comma 2 del Dpr 600/1973 ed avvalendosi, quindi, anche di presunzioni semplici sfornite di gravità, precisione e concordanza. Questa, però, non solo sarebbe una iniqua parificazione tra chi, pur obbligato, non ha istituito la contabilità violando obblighi e chi, invece, lo ha fatto legalmente, ma ciò sarebbe anche illegittimo, atteso il fatto che l’articolo 39 consente di accertare esclusivamente redditi determinati in base alle scritture contabili.

Da ciò ne deriva che l’accertamento nei confronti di un forfettario è esperibile, quale persona fisica ed ex articolo 38 del Dpr 600/73, sia con metodo analitico che con quello induttivo, ma, in quest’ultimo caso, mediante ricorso alle presunzioni qualificate, ai sensi del comma 3.

La fedeltà compilativa del quadro RS rimane, allora, importante per evitare sanzioni formali, ma non decide il metodo di accertamento.

Fonte “Il sole 24 ore”

Fattura elettronica con invio in due tempi

di Alessandro Mastromatteo e Benedetto Santacroce

La trasmissione e l’indirizzamento della fattura elettronica impongono, alla luce dei provvedimenti dell’agenzia delle Entrate del 30 aprile (circolare 8/E e provvedimento 89757 ), delle scelte immediate sia da parte dell’emittente che del destinatario. Questi due momenti vanno distinti, perché l’invio della fattura elettronica da parte dell’emittente è indipendente dal canale di ricezione scelto dal destinatario, mentre il recapito è fortemente influenzato dalle scelte del cessionario/committente, anche se è sempre possibile attraverso un codice convenzionale semplificare le procedure.

Trasmissione

In fase di invio della fattura elettronica al Sistema di interscambio (Sdi), attori del processo sono emittente o trasmittente, se diverso dal primo, ed il sistema stesso. Una volta predisposta la fattura elettronica, il file generato può essere trasmesso a Sdi utilizzando, in alternativa, una casella di Pec, i servizi informatici messi a disposizione e cioè una procedura web, un’applicazione utilizzabile da dispositivi mobili o un software da installare su personal computer.

Questi canali non necessitano di alcun accreditamento preventivo a Sdi, a differenza del caso in cui l’emittente intenda avvalersi di un sistema di cooperazione applicativa (Sdicoop) o di sistemi di trasmissione dati tra terminali remoti basati su protocollo ftp. Per questi due canali l’accreditamento permette di impostare le regole tecniche di colloquio tra le infrastrutture informatiche dell’emittente e quelle di Sdi.

Recapito

Il recapito al cessionario/committente avviene con le modalità già descritte per la trasmissione da parte dell’emittente. L’unico canale non utilizzabile in ricezione, ma previsto al contrario per l’invio, è quello che si avvale dei servizi informatici, e quindi la procedura web o l’app da mobile. Mentre anche per la ricezione tramite sistemi di cooperazione applicativa o su protocollo ftp è necessario il preventivo accreditamento a Sdi da parte del destinatario delle fatture.

Indirizzamento

Per individuare su quale canale indirizzare la fattura, il Sistema di interscambio verifica innanzitutto se il ricevente ha provveduto alla preregistrazione, indicando le modalità con cui intende ricevere i documenti. In questo caso, il ricevente elegge di fatto un indirizzo telematico, e cioè una casella di Pec o il codice destinatario attribuitogli a seguito dell’accreditamento derivante dall’utilizzo di servizi di cooperazione o di protocolli ftp.

In caso di utilizzo del servizio di registrazione, il sistema indirizzerà sempre fatture e note di variazione all’indirizzo telematico registrato, prescindendo da quanto indicato nel campo «codice destinatario» dall’emittente. Se la fattura non è recapitabile per cause tecniche non imputabili a Sdi, ad esempio in caso di casella Pec piena o non attiva o di canale telematico non attivo, il documento viene messo a disposizione del cessionario/committente nella sua area riservata del sito web dell’agenzia delle Entrate.

In questa ipotesi, il cedente/prestatore è tenuto a comunicare al suo cliente, per vie diverse da Sdi, che l’originale della fattura è disponibile in tale area. Se al contrario il destinatario non ha utilizzato il servizio di registrazione, l’emittente è tenuto a compilare il campo «codice destinatario» indicando il codice comunicato dal cessionario/committente quando ha accreditato un canale a Sdi oppure il codice convenzionale a sette zeri e compilando il campo Pec destinatario comunicatogli dal destinatario.

Se la Pec non è stata comunicata o la fattura è destinata a contribuenti in regime di vantaggio, forfettari o produttori agricoli va compilato il codice convenzionale a sette zeri e la fattura viene messa a disposizione nella loro area riservata con necessità dell’emittente di comunicare che l’originale del documento è a disposizione in tale area. Se destinatario è invece il consumatore finale, oltre al codice convenzionale l’emittente deve compilare il codice fiscale del cessionario/committente. Il cedente/prestatore dovrà consegnare direttamente al cliente una copia informatica o analogica della fattura, comunicando inoltre la disponibilità della stessa nell’area riservata del sito web dell’agenzia delle Entrate, dove il sistema gli metterà a disposizione un duplicato informatico.

Fonte “Il sole 24 ore”

E-fattura, la lunga strada per arrivare a una vera semplificazione

di Raffaele, Rizzardi

La firma del provvedimento dell’agenzia delle Entrate, che declina le modalità operative di tutti i tipi di fattura elettronica, e della circolare n. 8, relativa alla decorrenza anticipata al 1° luglio della fatturazione dei carburanti, è stata apposta il 30 aprile, allo scopo di rispettare il lasso di 60 giorni previsto dallo statuto dei diritti del contribuente per l’introduzione di nuovi adempimenti. Peccato che i mesi di maggio e giugno non sono i più tranquilli per gli studi professionali: oltre agli adempimenti erariali non dimentichiamo le scadenze per i tributi locali, con i regolamenti Imu e Tasi che sono sempre diversi tra un comune e l’altro e talora da un anno all’altro per lo stesso comune.

Il provvedimento ci fa sapere che esiste una gamma di fatture elettroniche: il documento che merita in assoluto questa definizione è il B2B, quando sia l’emittente della fattura che il destinatario trasmettono e ricevono le fatture nel formato xml, essendo dotati del “codice destinatario” nel sistema di interscambio o di una Pec destinata a ricevere il file. Le procedure informatiche automatizzate generano il tracciato xml al momento di emissione della fattura, così come chi riceve questo file lo prende in carico nella contabilità fornitori, senza fare la consueta “caccia al tesoro” per capire dove i documenti cartacei indicano i dati essenziali della fattura. Ovvio che questa funzionalità sarà tipica delle imprese e degli studi professionali stabili e organizzati e non certo in fase di avvio del mezzo milione di soggetti che ogni anno aprono una nuova partita Iva.

Il provvedimento pone in evidenza che non solo i privati, ma anche i forfetari sono destinatari di una modalità particolare di emissione della fattura: il fornitore inserisce nel file un codice di sette zeri, e il flusso si deve moltiplicare per tre: lo Sdi comunica al cedente o prestatore che la fattura è stata accettata dal sistema; il cliente riceve il file nella sua area riservata dell’Agenzia (ma, soprattutto per i privati, quanti sono registrati nel relativo internet?); il fornitore deve comunque mandare una fattura tradizionale al cliente (oppure verso i forfetari un mero avviso relativo alla disponibilità della fattura nella sua area riservata dell’agenzia delle Entrate).

La sostanziale assimilazione dei forfetari ai privati discende dall’impegno preso con la Commissione europea, secondo cui i soggetti minori devono rimanere estranei a questi obblighi: la legge lo dice solo per l’emissione, giustamente il provvedimento delle Entrate ha dovuto dirlo anche in ricezione. Ma – punto 3.3 del provvedimento – anche nel caso di utilizzo “perfetto” del sistema di interscambio tra due soggetti di imposta iscritti nel sistema, esiste il rischio che la fattura non vada a buon fine (ad esempio perché la casella Pec del cliente è piena), nel qual caso il fornitore viene messo in allarme dal sistema, che lo obbliga ad avvertire il cliente che la fattura è stata collocata nella sua area riservata del sito web dell’Agenzia delle entrate. Questa comunicazione può essere anche fatta mandando una fattura cartacea o in Pdf al cliente.

C’è poi un tracciato per le fatture da e verso l’estero.

Per il momento non si può certo parlare di semplificazione. O, in estrema sintesi, la fatturazione elettronica è soprattutto uno spesometro giornaliero.

Fonte “Il sole 24 ore”

Rottamazione per le sole sanzioni

di Luigi Lovecchio

È possibile rottamare anche le pretese esclusivamente sanzionatorie, a condizione che rientrino tra quelle tributarie o contributive. In tale eventualità, la definizione potrebbe anche perfezionarsi a costo zero. È inoltre ammessa la scelta del carico da condonare, in presenza di una pluralità di debiti. Non è tuttavia possibile scindere la singola partita di ruolo, poiché essa rappresenta una unità indivisibile.

Nell’individuare le entrate definibili con la presentazione dell’istanza entro il prossimo 15 maggio, occorre ricordare che la regola è che tutto è condonabile con le sole eccezioni tassativamente previste nell’articolo 6, comma 10, del Dl 193/16. Ad esse si aggiungono le entrate appartenenti ad altri Stati Ue affidate all’agente della riscossione in forza degli accordi internazionali sul recupero coattivo dei tributi. Una delle eccezioni di maggior rilievo riguarda le sanzioni di natura diversa da quella tributaria e contributiva. Le multe stradali sono un caso a sé. Per esse la definizione comporta l’azzeramento degli interessi moratori e delle maggiorazioni di legge, mentre resta dovuta la sorte capitale.

Per distinguere le sanzioni tributarie da quelle aventi diversa qualificazione, la circolare n. 2 del 2017 dell’agenzia delle Entrate utilizza il criterio della giurisdizione. Si afferma pertanto che se si è in presenza di entrata devoluta alla cognizione delle Commissioni tributarie allora la sanzione è definibile. Si tratta di un criterio sostanzialmente condivisibile, poiché la Corte di cassazione (sentenza 8870/2016) ha più volte affermato la generalità della giurisdizione delle Commissioni tributarie in materia fiscale. Ne consegue che, ad esempio, saranno senz’altro rottamabili i diritti camerali, il contributo unificato per le spese di giustizia e i contributi ai consorzi obbligatori. Non possono tuttavia escludersi casi dubbi, in ragione della complessità della nozione di tributo. Si pensi ad esempio ai contributi dovuti all’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Secondo un recente intervento della Corte costituzionale (sentenza 269/2017) non è implausibile ipotizzarne la natura tributaria, nonostante un isolato arresto apparentemente contrario delle Sezioni unite della Cassazione (sentenza 19678/2016). O ancora agli oneri di urbanizzazione, tradizionalmente in bilico tra la qualifica tributaria e quella patrimoniale (con prevalenza di quest’ultima).

Non possono invece senz’altro definirsi, ad esempio, le sanzioni per utilizzo di lavoro nero o irregolare, né quelle per omesso deposito di atti al Registro delle imprese. Per quanto riguarda le sanzioni comminate agli intermediari abilitati per la trasmissione delle dichiarazioni, a partire dal 1° gennaio 2007 le stesse sono state ricondotte all’ambito tributario e possono dunque essere sanate.

È peraltro possibile scegliere il carico da rottamare, in presenza di una pluralità di debiti. A tale riguardo, va però ricordato che secondo la citata circolare n. 2 delle Entrate la singola partita (e non il codice tributo) affidata all’agente della riscossione costituisce una unità indivisibile. Tale è di regola quella scaturente da ciascun procedimento di accertamento, liquidazione e riscossione. Ne consegue che, secondo l’interpretazione ufficiale, non è possibile decidere di definire, ad esempio, i rilievi Irpef e non quelli Iva del medesimo avviso di accertamento. O si definisce tutto o non si definisce nulla. Lo stesso dicasi con riferimento ad una cartella di pagamento emessa per la liquidazione o il controllo formale della dichiarazione.

Fonte “Il sole 24 ore”

Controlli mirati per le modifiche ai bonus nel 730 precompilato

di Marco Mobili e Giovanni Parente

E adesso si entra nel vivo. Da mercoledì 2 maggio sarà possibile accettare, modificare o integrare e poi trasmettere all’agenzia delle Entrate il modello 730 precompilato. La fase 2 sta per iniziare e i contribuenti si trovano di fronte al bivio se fare tutto da soli oppure andare al Caf, sobbarcandosi i costi dell’assistenza fiscale. Una scelta che comporta conseguenze diverse in termini di eventuali ricadute su omissioni o errori. Già, perché il Caf che appone il “bollino blu” sulla dichiarazione (il visto di conformità), si assume la responsabilità per i dati indicati e per i quali sono stati acquisiti i documenti giustificativi. E spetta a questi ultimi esibire la documentazione successiva al posto dei loro assistiti in caso di eventuale richiesta degli uffici dell’Agenzia. In ogni caso seguendo le istruzioni della circolare 7/E del 27 aprile 2018 dedicata a deduzioni e detrazioni (si veda Il Sole 24 Ore del 28 aprile).

Ma è proprio sui controlli che si consumerà una delle principali novità della precompilata 2018. Nei primi 15 giorni, infatti, i contribuenti hanno potuto verificare quali voci fossero presenti o meno, quali fossero solo “parcheggiate” nel foglio informativo (è il caso della prima rata per i bonus sui lavori in casa, sugli arredi e sul risparmio energetico) e quali invece fossero da rettificare. Ora, invece, bisogna decidere se accettare o integrare. E, come dimostrano anche le schermate pubblicate in alto, si potrà intervenire anche con la modalità di compilazione assistita – ovvero la nuova procedura “guidata” dal software – che dal 7 maggio consentirà di andare ad aggiungere singoli documenti di spesa o intervenire in maniera più chirurgica sulle singole voci già inserite. Naturalmente la modalità di intervento cambierà anche il quadro successivo. Vediamo proprio che cosa cambia per chi procede con il «fai-da-te».

Accettazione integrale

È l’ipotesi più semplice. Chi accetta integralmente il conto dell’Agenzia o apporta modifiche che non incidono né sul calcolo dell’imponibile o dell’imposta si garantisce uno “scudo” dai controlli formali sui documenti relativi alle voci di spesa che danno diritto ai bonus, trasmessi da quelli che si chiamano soggetti «terzi» (dietro questa dizione ci sono banche, enti di previdenza, farmacie e altre strutture sanitarie obbligate alla trasmissione, assicurazioni e così via). Si tratta degli oltre 860 milioni di informazioni con cui è stata costruita la precompilata 2018 (a cui si sommano anche i quasi 59 milioni di informazioni relative ai redditi). Detto in altri termini, il Fisco non chiede più a chi accetta la precompilata scontrini, fatture, bonifici, contratti relativi agli sconti già precaricati. Resta fermo, però, che sui requisiti soggettivi per aver diritto allo sconto fiscale (ad esempio, l’effettiva destinazione nei termini previsti ad abitazione principale dell’immobile acquistato, necessaria per la detrazione degli interessi passivi del mutuo) l’amministrazione finanziaria può sempre accendere un faro e fare controlli.

La modifica tradizionale

La modalità tradizionale di modifica consente di intervenire sui totali delle singole spese. In questo caso, quindi, il focus dei controlli documentali si concentrerà solo sulla tipologia di spesa su cui il contribuente è intervenuto. Proviamo a fare un esempio: se l’integrazione o la correzione riguarda le spese sanitarie (rigo E1 del 730), il diretto interessato dovrà conservare ed eventualmente esibire al Fisco solo gli scontrini e le ricevute relative a farmaci, visite e altri oneri contenuti nel rigo E1. Si potrà, tra l’altro, fare a meno di conservare le carte sugli interessi delle rate del mutuo o sui contributi alla colf se non vengono toccati.

La «compilazione assistita»

Con la compilazione assistita si restringe ancora di più l’area dei documenti da tenere nei cassetti o nei faldoni e dei potenziali controlli. Si potrà, infatti – sotto la guida del sistema – modificare una singola spesa all’interno delle macrovoci presenti nelle sezioni I e II del quadro E del modello (tanto per intenderci sono esclusi i bonus sui lavori in casa). E i controlli documentali potranno riguardare solo quella singola spesa modificata. Se tutto il resto rimane intatto rispetto al dato precaricato, non sarà più necessario conservare ricevute e scontrini. Con un vantaggio tangibile anche in termine di semplificazione.

La seconda chance

Per chi poi trasmettesse subito con il «fai-da-te» il 730 precompilato e poi ci ripensasse, ci sarà la possibilità (a partire dal 28 maggio e fino al 20 giugno) di annullare direttamente il precedente invio e procedere a uno nuovo. L’annullamento sarà possibile una sola volta.

Fonte “Il sole 24 ore”

Bilanci, il creditore iscrive il pagamento differito a valore attualizzato

di Paolo Meneghetti

Nelle politiche commerciali per incentivare le vendite si fa sempre più strada il pagamento differito: consegna immediata a fronte di un pagamento fortemente dilatato nel tempo senza addebito di interessi passivi. Questo ha ricadute in tema di valutazione e iscrizione del debito/credito.

La contabilizzazione della posta bilancistica influenza le scelte del debitore ma anche del creditore. Infatti l’articolo 2426, punto 8, del Codice civile dispone che non solo il debito, ma anche il credito va iscritto in bilancio al costo ammortizzato, tenendo conto del fattore-tempo. Di seguito si analizza la posizione del creditore alla luce del documento Oic 15 e delle conseguenze fiscali della sua adozione al posto del criterio ordinario (importo realizzabile del credito). L’Oic 15, paragrafo 44, stabilisce che se il credito commerciale è stato concesso con pagamento oltre i 12 mesi, senza addebito di interessi, o con addebito di interessi molto inferiori a quelli di mercato, va determinato e iscritto in bilancio al valore attualizzato, imputando la differenza tra valore nominale e valore attuale del credito tra i proventi finanziari, in base alla durata del pagamento convenuto.

L’esempio
Supponiamo che una società di capitali venda un bene per un valore di 100.000 € (per semplicità non si considera l’aspetto Iva, ipotesi che peraltro si verifica realmente ove l’acquirente si qualifichi, ad esempio, come esportatore abituale). Il pagamento avverrà entro 3 anni dalla consegna e il tasso di mercato sarebbe stato il 3 per cento. Il valore attuale del credito risulta determinato in 91.743 €, quindi con un differenziale di 8.259 € da qualificare quale provento finanziario nei tre anni.

A questo punto alla luce dell’Oic 15 possiamo rilevare il ricavo derivante dalla vendita che è pari a 91.743 €, da imputare alla voce A 1 del conto economico. In ipotesi di valutazione ordinaria del credito, invece, il ricavo contabilizzato sarebbe l’intero valore di 100.000 €. La società cedente al 31 dicembre del primo anno deve rilevare anche gli interessi attivi calcolandoli al tasso di mercato del 3% , quindi un dato da collocare alla voce C 16 del conto economico per 2.752 €. Alla fine del triennio si avrà l’intera imputazione della vendita a conto economico ma essa in parte sarà collocata tra i ricavi (91.743) e in parte collocata nell’area finanziaria (8.257).

Le ricadute
Ora si pone il problema del riconoscimento ai fini fiscali di questa impostazione contabile. A Telefisco 2018 l’agenzia delle Entrate ha confermato che vi sono uguali ricadute fiscali sia che il criterio del costo ammortizzato sia assunto per obbligo (società tenute a redigere il bilancio in forma ordinaria) sia per scelta facoltativa (società che possono redigere il bilancio in forma abbreviata). A questo punto entra in gioco il principio di derivazione rafforzata secondo cui i criteri civilistici in tema di qualificazione, classificazione e imputazione temporale prevalgono sulle diverse regole del Tuir. Ma rilevare il credito nel primo esercizio in misura ridotta significa svalutarlo (ipotesi per cui la derivazione rafforzata non avrebbe significato) oppure qualificarlo?

La circolare
La circolare 7/E/2011 , paragrafo 4.1 (relativa ai soggetti Ias ma il problema è il medesimo) afferma che l’iscrizione ridotta del credito deriva da una qualificazione e non da una svalutazione, quindi pienamente riconosciuta fiscalmente. Pertanto, il ricavo tassabile è effettivamente quello ridotto a seguito della attualizzazione, e il differenziale va imputato pro rata temporis quale interesse attivo. Ciò, tra l’altro, significa incrementare il tetto di deducibilità degli interessi passivi per un importo pari a quelli attivi imputati, come affermato dalla circolare 19/09, paragrafo 2.2.1. La disciplina sopra descritta presenta dunque aspetti interessanti anche sotto il profilo fiscale che potranno riguardare tutte le società di capitali fatta eccezione per le micro imprese ex articolo 2435 ter del Codice civile.

Fonte “Il sole 24 ore”

Novanta giorni di tempo per la dichiarazione omessa

di Michele Brusaterra

Dichiarazioni e adempimenti

Per la dichiarazione Iva annuale non presentata entro oggi, presentazione entro 90 giorni con sanzioni ridotte.

La dichiarazione annuale Iva 2018, relativa al 2017, va presentata entro oggi in via telematica all’agenzia delle Entrate, in base a quanto disposto dall’articolo 8 del Dpr 322/1998 . Una volta spirato tale termine, senza che la dichiarazione sia stata inviata, si rendono applicabili le sanzioni di cui all’articolo 5 del Dlgs 471/1997 che prescrive innanzitutto che «Nel caso di omessa presentazione della dichiarazione annuale dell’imposta sul valore aggiunto si applica la sanzione amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell’ammontare del tributo dovuto per il periodo d’imposta o per le operazioni che avrebbero dovuto formare oggetto di dichiarazione».

In ogni caso la sanzione non può essere inferiore a 250 euro e nel caso di presentazione della dichiarazione entro il termine di presentazione della dichiarazione relativo al periodo d’imposta successivo ma, comunque, prima che siano iniziate attività amministrative di accertamento «di cui il soggetto passivo abbia avuto formale conoscenza», la sanzione amministrativa applicabile va dal 60 al 120 per cento dell’ammontare del tributo dovuto per il periodo d’imposta ovvero per le operazioni che avrebbero dovuto formare oggetto di dichiarazione. In questo caso la sanzione minima è di 200 euro.

In tema di omessa presentazione della dichiarazione, si deve altresì tenere conto che nel caso di presentazione della stessa nei novanta giorni successivi alla scadenza, la sanzione di cui si è detto, ossia di 250 euro, è ridotta a un decimo, in base a quanto previsto dalla lettera c, del primo comma dell’articolo 13 del Dlgs 472/1997 , che dispone in merito al ravvedimento operoso. Il termine ultimo per la presentazione della dichiarazione tardiva è fissato al 29 luglio 2018.

Se, naturalmente, oltre alla tardiva presentazione della dichiarazione, vi fossero anche tardivi versamenti, allora per tale violazione trova applicazione la sanzione del 30 per cento di cui all’articolo 13 del Dlgs 471/1997 , sanzione ravvedibile a seconda del momento di eventuale effettuazione del versamento. Più precisamente in caso di ritardo non superiore a 14 giorni dalla scadenza, per ogni giorno di ritardo si applica la sanzione dello 0,1 per cento – c.d. ravvedimento sprint – mentre per i versamenti effettuati entro 30 giorni dalla scadenza si applica la sanzione dell’1,5 per cento, per quelli effettuati entro 90 giorni, la sanzione dell’1,67 per cento e poi la sanzione del 3,75, 4,29 e 5 per cento a seconda che, rispettivamente, il versamento venga effettuato entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale la violazione è commessa, entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo a quello nel corso del quale la violazione è stata commessa ovvero oltre il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo a quello nel corso del quale la violazione è stata commessa.

È il caso infine di evidenziare che, ove la dichiarazione annuale Iva sia presentata entro i termini previsti, ossia entro oggi, in caso di presentazione di successiva dichiarazione integrativa entro i 90 giorni successivi, ferme restando comunque le sanzioni appena indicate in caso di ritardato versamento dell’imposta, si applica la sanzione minima di 250 euro ridotta a un nono, ossia a euro 27,78, in base a quanto disposto questa volta dalla lettera a-bis, sempre dell’articolo 13 del Dlgs 472/1997.

Fonte “Il sole 24 ore”

La rottamazione al test di convenienza

di Rosanna Acierno

Si avvicina la scadenza del 15 maggio entro cui si dovrà resentare la domanda per l’istanza di adesione alla rottamazione-bis. Pertanto, calcolatori alla mano, i contribuenti che hanno carichi affidati ad agenzia Entrate Riscossione dal 1° gennaio 2000 al 30 settembre 2017 sono chiamati a valutare non solo l’opportunità in termini di convenienza ma, soprattutto, la “possibilità” di aderire alla definizione agevolata.

Ovviamente, la convenienza in termini di risparmio su sanzioni e interessi di mora potrebbe essere più ampia sui carichi affidati alla riscossione in periodi antecedenti al 2016 perché, in tal caso, sia le sanzioni che gli interessi di mora hanno importi più elevati. Si ricorda, infatti, che fino al 31 dicembre 2015 le sanzioni irrogate dall’Ufficio per le violazioni di infedele dichiarazione ai fini delle imposte dirette e Iva (articoli 1 e 5, Dlgs 471/1997) oscillavano dal 100% al 200% della maggiore imposta dovuta, mentre dal 2016 (con l’entrata in vigore del Dlgs 158/2015) oscillano dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta e, in caso di lievi infedeltà contenute nel limite del 3% e comunque di 30mila euro, tra il 60 e il 120 per cento.

Inoltre, il conteggio degli interessi di mora, applicati direttamente dall’agente della riscossione (ex articolo 30 del Dpr 602/73), decorre dal primo giorno di notifica della cartella fino al giorno di effettivo pagamento. Pertanto, è evidente che laddove i debiti siano molto “datati”, gli interessi di mora sono più alti. Allo stesso modo, in caso di sanzioni e interessi di mora più alti, anche l’aggio della riscossione cresce, essendo commisurato a queste due poste oltreché all’imposta e agli interessi da ritardata iscrizione a ruolo.

Nonostante, nel caso di carichi affidati prima del 2016 il risparmio sia davvero allettante, la scelta di presentare l’istanza di rottamazione non è però così scontata.

Occorre, infatti, fare i conti con i rigorosi termini di rateazione introdotti dal legislatore: per le nuove istanze di rottamazione dei carichi affidati all’agente della riscossione dal 2000 al 2016 presentate entro il 15 maggio 2018, sarà possibile effettuare il pagamento delle somme dovute in un massimo di tre rate, peraltro molto ravvicinate tra loro. In particolare, per i carichi dal 2000 al 2016, la scelta di massima rateazione effettuata nel modello di istanza consentirà al contribuente di versare gli importi complessivamente dovuti entro:
• il 31 ottobre 2018 per il 40%;
• il 30 novembre 2018 per l’ulteriore 40%;
il 28 febbraio 2019 per il restante 20 per cento.

Pertanto bisognerà disporre della liquidità sufficiente anche perché, qualora il contribuente non dovesse pagare tempestivamente una rata o dovesse versarla in maniera insufficiente, decadrà immediatamente dal beneficio, non essendo prevista l’applicazione del ravvedimento operoso o alcuna tolleranza anche per «lievi tardività». Inoltre, non sarà più possibile chiedere la dilazione del debito ad agenzia Entrate Riscossione ai sensi dell’articolo 19 del Dpr 602/73.

Va detto, comunque, che, al fine di non perdere l’opportunità di questa nuova rottamazione e di trarne i massimi benefici, il contribuente potrà comunque compiere una scelta in merito a quali carichi definire, anche in relazione alla singola cartella di pagamento. Pertanto se, ad esempio, una cartella porta a riscossione ruoli Inps e dell’agenzia delle Entrate, è possibile sanare i soli ruoli Inps. Del pari, se il contribuente ha ricevuto due cartelle di pagamento, ne potrà sanare solo una, presentando solo per questa l’apposita istanza di definizione agevolata.

Fonte “Il sole 24 ore”

Gerico 2018 «distingue» il regime per cassa

di Lorenzo Pegorin

Gerico 2018 al debutto. Quella rilasciata nel primo pomeriggio di ieri è una prima versione del software per gli studi di settore riferiti all’anno d’imposta 2017, peraltro già definitiva, anche se, come accaduto nel recente passato non sono esclusi ulteriori aggiornamenti in corsa dell’applicativo. Questo perché, a maggior ragione, allo stato attuale manca ancora, non solo l’ufficialità del decreto sui correttivi crisi, non essendo lo stesso ancora stato pubblicato in «Gazzetta Ufficiale» (a differenza dei correttivi cassa, si veda il Dm Economia del 23 marzo 2018), ma pure la versione definitiva delle istruzioni e dei modelli studi di settore con riferimento al reddito d’impresa.

Il modello ufficiale ad oggi approvato non riporta, infatti, all’interno del reddito d’impresa, i righi da F41 a F44 destinati ad ospitare i dati relativi ai contribuenti esercenti contabilità d’impresa in regime semplificato; righi che viceversa sono presenti nel modello simulato all’interno di Gerico 2018. Stessa sorte per il quadro Z, destinato quest’anno ad ospitare i dati che serviranno per aggiornare i futuri modelli Isa che risultano presenti solo all’interno dell’applicativo, ma non nel modello ad oggi in vigore e pubblicato nel sito dell’Agenzia delle entrate.

Passando alle prime simulazioni pratiche, i risultati che sono stati elaborati sui primi prototipi tenderebbero a testimoniare, a parità di valori, un innalzamento dei ricavi stimati dal software per effetto dei correttivi cassa, per i contribuenti in contabilità d’impresa.

In buona sostanza i correttivi strutturali di cassa e quelli settoriali che trovano maggiore diffusione pratica fra le imprese, tenderebbero a produrre un generale effetto innalzamento sul ricavo (puntuale e minimo) atteso dalla procedura. Tuttavia, si segnala che non mancano le situazioni contrarie, dove l’effetto cassa, in effetti riduce la stima.

Viceversa è possibile notare, come del resto già annunciato nel decreto di approvazione del 23 marzo scorso, che i correttivi per cassa non operano per i soggetti che hanno optato per il regime del registrato ai fini iva (articolo 18, comma 5, del Dpr 600/1973).

Per costoro a parità di dati contabili, il risultato, al netto dei correttivi crisi, coincide in buona sostanza con la stima dello scorso anno.

Per questa tipologia di contribuenti si fa tuttavia notare che, nonostante per essi non operino i correttivi per cassa, sarà importante compilare ugualmente il dato delle rimanenze finali poiché esso contribuisce a calmierare il risultato stimato dall’applicativo.

Infatti, nonostante il dato delle rimanenze finali, per i contribuenti in contabilità semplificata (siano essi in regime di «cassa pura» o con quello del «registrato ai fini Iva») non abbia, alcuna influenza sul reddito imponibile, quest’ultimo viene comunque elaborato da Gerico e questo come se le giacenze finali effettivamente facessero parte dei dati contabili.

Tale metodologia di trattamento dei dati opera per tutti i semplificati senza distinzione alcuna.

In conclusione, nell’attesa che anche i modelli ufficiali vengano aggiornati, si focalizza l’attenzione sull’importanza di compilare correttamente i righi da F41 a F44 destinati ai contribuenti in semplificata ed in particolar modo del rigo F41 per coloro che hanno optato per il regime del registrato ai fini Iva. Le prime simulazioni effettuate sul nuovo Gerico 2018 sembrerebbero infatti testimoniare come la loro compilazione possa influenzare in maniera significativa il risultato stimato dall’applicativo.

Fonte “Il sole 24 ore”

E-fattura, la data di emissione coincide con la consegna

Dichiarazioni e adempimenti
di Benedetto Santacroce

 Con la pubblicazione del provvedimento di attuazione , delle specifiche tecniche e di una prima circolare l’operazione fattura elettronica entra nel vivo, dando appuntamento al 1° luglio. I documenti dell’Agenzia superano alcune criticità espresse anche nel forum della fattura elettronica del 5 marzo e introducono una serie di semplificazioni.

Indirizzamento

In primo luogo, le nuove regole agevolano il recapito della fattura, ampliando i casi in cui la semplice partita Iva guida la consegna del documento al destinatario.

In particolare, il problema che si pone per l’emittente è individuare in relazione a ciascun cessionario/committente la Pec o un altro indirizzo univoco di comunicazione. Per risolvere il problema il provvedimento introduce un sistema di preregistrazione del cessionario/committente che ricollega le fatture con la relativa partita Iva. Nel caso di preregistrazione la fattura emessa con Pec errata o con codice identificativo incompleto o mancante fa sì che la fattura venga recapitata al cessionario/committente seguendo la semplice partita Iva. In caso di mancata registrazione le opzioni offerte dal provvedimento si basano sempre su due obblighi: il primo per il cessionario/committente di fornire l’indirizzo al fornitore; il secondo è in capo all’emittente. Nel caso di problemi tecnici (si pensi all’indicazione di una Pec non attiva) il Sdi prova a recapitare la fattura; e non riuscendovi mette a disposizione dell’emittente e del destinatario un duplicato informatico in una apposita area del sito delle Entrate e notifica all’emittente il mancato recapito. Quest’ultimo ha l’obbligo di informare il cessionario/committente, anche con l’invio di una copia informatica o analogica, che la fattura è disponibile sul web.

Più semplice il recapito a destinatario consumatore finale ovvero operatore che non è obbligato all’emissione della fattura (soggetti a regimi agevolati o forfettari). In questo caso l’emittente si limiterà ad inserire il codice convenzionale “0000000”.

Data della fattura

Il provvedimento, ai soli fini fiscali, specifica che per l’emittente la data di emissione è quella apposta sulla fattura. Attenzione, però, che l’emissione vera e propria della fattura si ha solo con esito positivo da parte del Sdi con ricezione della ricevuta di consegna. Quindi in caso di scarto della fattura, la stessa si ha per non emessa e bisognerà provvedere con una nota di variazione interna con una nuova spedizione della fattura corretta al Sdi.

Per il destinatario la fattura si ha per ricevuta nello stesso momento in cui viene recapitata. Potrebbe capitare che la fattura non venga, per problemi tecnici, recapitata al cessionario/committente. In questo caso un duplicato viene a messo a disposizione sul sito dell’Agenzia. Il fornitore, per il quale la fattura si considera emessa, deve comunicare al destinatario la messa a disposizione. Per il destinatario, la data di ricezione si sposta, ai soli fini della detraibilità Iva, al momento in cui il cessionario/committente entra nell’area riservata e prende visione della fattura.

Conservazione delle fatture

L’emittente e il destinatario della fattura, aderendo a uno specifico accordo di servizio con l’agenzia delle Entrate, può delegare al Sdi la conservazione della fatture e di tutti i documenti elettronici allegati alla fattura. Come specificano le motivazioni del provvedimento, questa conservazione non ha solo efficacia fiscale, ma anche civilistica. Quindi con l’accordo si assolvono a tutti gli obblighi di conservazione in ossequio alle regole imposte dal Dm 17 giugno 2014 e delle regole tecniche imposte dal Dpcm 3 dicembre 2013.

Fonte “Il sole 24 ore”

I dati sulle liquidazioni Iva chiedono la modalità dell’acconto

di Pierpaolo Ceroli

Con la chiusura il prossimo 16 maggio delle liquidazioni Iva del primo trimestre 2018 da parte dei contribuenti trimestrali, tutti i soggetti passivi Iva saranno pronti per la trasmissione dei dati delle liquidazioni periodiche (Lipe) all’articolo 21-bis del Dl 78/2010, da presentare entro il 31 maggio. Entro la stessa data dovrà essere inviato lo spesometro, sia obbligatorio che opzionale, per coloro che non intendono fruire della trasmissione semestrale dei dati. Si precisa che per le comunicazioni relative alle liquidazioni non si potrà beneficiare della stessa agevolazione, pertanto i dati del primo trimestre dell’anno 2018 dovranno necessariamente essere trasmessi entro il prossimo 31 maggio. Per chi dovesse omettere l’adempimento, si ricorda che qualora la comunicazione fosse inviata entro il 15 giugno 2018 (entro 15 giorni dalla scadenza), è prevista la sanzione da 250 a mille euro, altrimenti raddoppiata per gli invii effettuati in data successiva, ma comunque ravvedibile (si veda la risoluzione 104/E/2017).

La comunicazione relativa al primo trimestre 2018 dovrà essere trasmessa con il nuovo modello approvato dal provvedimento dell’agenzia delle Entrate del 21 marzo (62214/2018), il quale si compone sempre di due parti: il frontespizio e il quadro VP. È proprio quest’ultimo prospetto ad essere stato modificato, al fine di allinearlo sempre più al quadro VH della dichiarazione annuale Iva, la cui funzione è stata mutata a partire dal modello Iva 2018 al fine di consentire ai contribuenti di correggere o comunicare i dati delle Lipe riferite all’anno oggetto di dichiarazioni. Relativamente alle novità che interessano il modello approvato a marzo 2018 si evidenzia che sono state aggiunte le seguenti caselle:
•VP1 («operazioni straordinarie»);
•VP13 («metodo» riferito al criterio prescelto per il calcolo dell’acconto).

La novità del rigo VP13 si ritiene che riguardi esclusivamente la liquidazione dell’ultimo trimestre, considerato che va indicato il codice abbinato al metodo utilizzato per la determinazione dell’acconto («1» storico; «2» previsionale; «3» analitico – effettivo; «4» soggetti operanti nei settori delle telecomunicazioni, somministrazione di acqua, energia elettrica, raccolta e smaltimento rifiuti, eccetera).

La nuova casella del rigo VP1, invece, va barrata in due occasioni:
•quando a seguito di un’operazione straordinaria, il soggetto avente causa (incorporante, beneficiaria, conferitaria, cessionaria e donante) si riporti il credito Iva maturato dal dante causa nell’ultima liquidazione periodica (che si indica nel rigo VP8) o quello indicato nella dichiarazione annuale Iva dello stesso dante causa (da riportare in VP9).
•quando conseguentemente all’interruzione della liquidazione Iva di gruppo nel corso dell’anno, la controllante indichi nella propria comunicazione, nel rigo VP8, le eventuali eccedenze di credito trasferite al gruppo e non compensate utilizzate in detrazione nelle proprie liquidazioni periodiche successive.

Infine, si precisa che il precedente modello Lipe (approvato con il provvedimento del 27 marzo 2017) poteva essere utilizzato fino allo scorso 30 aprile 2018, in quanto per chi dovesse correggere la liquidazione dell’anno 2017 successivamente a tale data, dovrà necessariamente presentare una dichiarazione integrativa del modello Iva 2018.

Fonte “Il sole 24 ore”

Dichiarazione Iva, correzione liquidazioni con effetti su più quadri

di Pierpaolo Ceroli e Luisa Miletta

Il carnet di possibilità per correggere le comunicazioni delle liquidazioni periodiche Iva ci era stato offerto dalla risoluzione 104/E/2017 la quale aveva dato il via libera al contribuente che volesse regolarizzazione i dati contenuti nelle comunicazioni periodiche seguendo una delle seguenti strade: ripresentando il relativo modello; indicando i dati corretti direttamente nella dichiarazione annuale Iva oppure presentando una dichiarazione integrativa.

Tra queste chance quella meritevole di rilievo, in particolare, è l’utilizzabilità della dichiarazione annuale Iva, sulla quale peraltro si sofferma anche Assonime nella circolare 9 diffusa il 19 aprile 2018.

Assonime riflette, infatti, che sostanzialmente l’introduzione delle comunicazioni in parola ha prodotto i seguenti effetti sulla dichiarazione Iva:
•rendere inutile la compilazione del quadro VH, per quei contribuenti che hanno correttamente gestito le comunicazioni delle liquidazioni Iva;
•consentire a quei contribuenti che hanno commesso errori o hanno omesso la trasmissione delle comunicazioni di sanare tali errori o omissioni mediante la compilazione del quadro VH.

Proprio per quest’ultimo scopo tra le novità della modulistica 2018 ai fini Iva vi sono le modifiche al quadro VH «Variazioni delle comunicazioni periodiche» prevedendone la compilazione esclusivamente qualora si intenda inviare, integrare o correggere i dati omessi, incompleti o errati delle suddette comunicazioni Lipe.

Il quadro VH accoglie l’importo del credito o debito Iva, per ciascun mese (per i soggetti che liquidano l’imposta mensilmente) o trimestre (per i soggetti che liquidano l’imposta trimestralmente), qualora si siano commessi errori nella compilazione del modello VP che incidono sulla determinazione della stessa (righi da VP4 a VP14).

Si precisa che vanno indicati tutti i dati richiesti, compresi quelli non oggetto di invio, integrazione o correzione. Nell’ipotesi particolare in cui l’invio, l’integrazione o la correzione comporti la compilazione senza dati del presente quadro (ad esempio, il risultato delle liquidazioni è pari a zero) occorre comunque barrare la casella VH posta in calce al quadro VL nel riquadro «Quadri compilati». Qualora i dati omessi, incompleti o errati non rientrino tra quelli da indicare nel presente quadro, questo non va compilato.

Da ultimo si tengano presente i profili sanzionatori connessi. Infatti, il soggetto passivo per gli errori o le omissioni compiuti è tenuto al pagamento della sanzione amministrativa, da 500 a 2mila euro in base a quanto disposto dall’articolo 11, comma 2-ter, del decreto legislativo 471 del 1997, eventualmente ridotta per effetto del ravvedimento operoso; la sanzione deve essere versata con il modello F24, indicando l’anno della violazione e il codice tributo 8911.

Fonte “Il sole 24 ore”

Modello 730, due vie per comunicare alle Entrate la «sede telematica»

Quella della circolare 4/E/2018 del 12 marzo 2018 sull’assistenza fiscale del modello 730/2018 è una di quelle letture che anche gli addetti ai lavori difficilmente affrontano con piacevole disinvoltura, per cui viene di solito “posticipata” a data da destinarsi, salvo poi ricordarsi che ci può essere d’aiuto al sopraggiungere del primo problema.
Problema che comunque puntualmente si verifica, vista la complessità dell’intero processo dell’assistenza fiscale, quando, per esempio, vi è una variazione del sostituto in corso d’anno, un’operazione straordinaria del sostituto stesso o semplicemente quando al dipendente o al pensionato non arriva il conguaglio tanto atteso.
Un processo che comunque a livello operativo – rispetto a quando i modelli 730-4 venivano recapitati ai sostituti d’imposta in forma cartacea, per posta ordinaria o con raccomandata – ha beneficiato in modo sostanziale della completa informatizzazione, che si è di recente completata con la consegna telematica ai sostituti d’imposta di tutti i modelli 730-4, compresi quelli delle dichiarazioni da loro stessi tramitate nell’ambito dell’assistenza diretta.
Informatizzazione in cui hanno avuto ruolo attivo molte delle aziende associate ad AssoSoftware, produttrici delle procedure e delle infrastrutture informatiche in uso ai Caf e ai professionisti, nonché ai sostituti d’imposta, per l’intera gestione del processo, dalla compilazione del modello 730 effettuata a partire della dichiarazione precompilata, fino alla busta paga.
Proviamo quindi ad esaminare, in modo necessariamente sintetico, alcune delle novità contenute nella circolare sull’assistenza fiscale, in considerazione del fatto che la citata circolare è articolata su ben nove capitoli che trattano molteplici argomenti.
In questo primo appuntamento ci occupiamo di alcuni aspetti di dettaglio relativi alla comunicazione da parte dei sostituti d’imposta all’AdE, della “Sede telematica” per la ricezione dei flussi dei modelli 730-4 di conguaglio, attività di cui di solito è incaricato chi nell’azienda è responsabile della gestione del personale. Nel successivo appuntamento ci occuperemo di alcune situazioni particolari che si possono incontrare durante le operazioni di conguaglio.


Comunicazione della “Sede telematica” per la ricezione dei flussi 730-4

Va ricordato che nell’ambito delle attività di assistenza fiscale, sia i Caf ed i professionisti che prestano assistenza indiretta, che (dallo scorso anno) anche i sostituti d’imposta che prestano assistenza diretta, devono trasmettere in via telematica all’agenzia delle Entrate il risultato finale delle dichiarazioni (730-4), unitamente alle dichiarazioni dei redditi presentate dai contribuenti (730).
A seguire l’agenzia delle Entrate mette a disposizione dei sostituti d’imposta i dati dei modelli 730 4 relativi a tutte le dichiarazioni presentate, indipendentemente dalla modalità di presentazione utilizzata dal contribuente (Caf o professionista, sostituto, FiscOnline).
Affinché la messa a disposizione dei dati dei modelli 730-4 da parte dell’AdE ai sostituti d’imposta possa aver luogo, questi ultimi devono preventivamente comunicare all’AdE la sede telematica (propria o di un intermediario fiscale) dove desiderano ricevere i relativi flussi telematici.
Ciò può avvenire utilizzando:
• il quadro CT presente all’interno della Certificazione Unica (CU), esclusivamente qualora la comunicazione venga effettuata per la prima volta;
• il modello «Comunicazione per la ricezione in via telematica dei dati relativi ai modelli 730-4 resi disponibili dall’Agenzia delle Entrate» (di seguito CSO) per effettuare le variazioni dei dati precedentemente comunicati o per effettuare la comunicazione per la prima volta qualora non si sia utilizzato il quadro CT.
Prima di passare all’illustrazione delle modalità di compilazione del quadro CT e del modello CSO, segnaliamo un interessante passaggio della circolare che riguarda la procedura da mettere in atto per poter esercitare la revoca della delega da parte dell’intermediario (qualora il sostituto d’imposta non vi abbia colposamente provveduto), procedura che illustriamo nell’ultimo paragrafo di questa breve disamina.


Comunicazione effettuata con il quadro CT

Il quadro CT della Certificazione Unica è riservato ai sostituti d’imposta che trasmettono almeno una certificazione di redditi di lavoro dipendente e che non hanno mai presentato, a partire dal 2011, il modello CSO.
Il quadro CT deve essere compilato per ogni fornitura di Certificazioni Uniche, qualora il sostituto d’imposta effettui più invii contenenti almeno una certificazione di redditi di lavoro dipendente. In questo caso, ai fini della messa a disposizione dei risultati contabili dei dipendenti, sono acquisiti la “Sede telematica” e gli altri dati presenti nel quadro CT contenuti nell’ultimo invio effettuato nel periodo ordinario di presentazione delle CU.
Tenuto conto che le CU devono essere presentate entro il 7 marzo e che sono considerate tempestive le CU inviate entro cinque giorni dalla ricevuta di scarto, al fine di gestire i processi relativi all’acquisizione dei dati delle comunicazioni per la ricezione in via telematica dei modelli 730-4, dopo la prima metà del mese di marzo non è consentito inserire all’interno della Certificazione Unica il quadro CT. Pertanto, sono presi in considerazione i dati contenuti nell’ultimo invio effettuato entro la suddetta data.
Comunicazione effettuata con il modello CSO

Il modello CSO, approvato con il provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate del 22/2/2013, deve essere utilizzato dai sostituti d’imposta che:

• non hanno presentato, a partire dal 2011, l’apposito modello CSO e che non hanno trasmesso il quadro CT, quali, ad esempio, i sostituti d’imposta non tenuti alla presentazione delle Certificazioni Uniche;

• intendono variare i dati già comunicati a partire dal 2011 con il modello CSO ovvero con il quadro CT della Certificazione Unica;

• intendono revocare la comunicazione, in caso di cessazione dell’attività con conseguente perdita della qualifica di sostituto d’imposta.

Qualora presentato la prima volta, il modello CSO produce effetti dal giorno successivo a quello di messa a disposizione della ricevuta di accoglimento della comunicazione stessa, con riferimento ai risultati contabili per i quali non risulti già fornita la ricevuta attestante la mancata messa a disposizione dei risultati contabili. Nel modello è richiesta l’indicazione del numero di protocollo del modello 770 presentato dal sostituto d’imposta nell’anno precedente a quello di inoltro della comunicazione CSO.

Il modello CSO deve essere altresì utilizzato dai sostituti d’imposta quando intendono variare i dati già comunicati a partire dal 2011 con il modello CSO o a partire dal 2015 con il quadro CT della Certificazione Unica.
In particolare può essere utilizzato:
• per modificare la sede telematica propria o dell’Intermediario già scelto;
• per modificare l’Intermediario con altro Intermediario;
• per modificare l’utenza telematica da Fisconline a Entratel;
• per modificare l’Intermediario con il sostituto stesso o viceversa.
In caso di comunicazione di variazione dei dati già inviati con il modello CSO, è richiesta l’indicazione del numero di protocollo, composto di 23 cifre, che è stato attribuito all’ultima comunicazione trasmessa dal sostituto d’imposta, e regolarmente acquisita, che si intende variare.
Diversamente, se si intendono variare i dati già trasmessi con il quadro CT è necessario indicare il numero di protocollo telematico dell’ultimo file contenente il predetto quadro, validamente presentato (composto da 17 caratteri e seguito dal numero convenzionale “999999”).
I citati numeri di protocollo sono rilevabili, oltre che dalle relative ricevute di trasmissione, anche dal cassetto fiscale del sostituto d’imposta.
I predetti dati possono anche essere richiesti a un qualunque ufficio dell’agenzia delle Entrate, mediante richiesta sottoscritta dal sostituto d’imposta persona fisica o dal rappresentante legale della società o ente.
A livello temporale è sempre possibile trasmettere il modello CSO per poter ricevere i risultati contabili dei propri percipienti, salvo nel periodo di trasmissione delle CU in cui è sospesa la trasmissione della comunicazione CSO. La sospensione inizia il 23 gennaio e termina il 25 marzo.
Il modello CSO deve essere utilizzato anche qualora il sostituto cessi l’attività, con conseguente perdita della qualifica di sostituto d’imposta e chiusura di tutte le partite IVA a lui intestate. Per indicare questa circostanza deve compilare l’apposita sezione del modello CSO deputata ad accogliere la revoca della comunicazione.
Revoca della delega da parte dell’Intermediario

Qualora l’intermediario delegato cessi dall’incarico e il sostituto d’imposta non comunichi la circostanza con il modello CSO, l’intermediario cessato dall’incarico può comunicare all’agenzia delle Entrate l’avvenuta risoluzione del rapporto di delega seguendo una procedura molto particolare, descritta nella circolare.
In sintesi l’Intermediario deve inviare dal proprio indirizzo di posta elettronica certificata (Pec) una comunicazione all’indirizzo agenziaentratepec@pce.agenziaentrate.it indicando nel campo dell’oggetto del messaggio il testo «Comunicazione di cessazione dall’incarico di ricevere i modelli 730-4».
La comunicazione deve contenere il codice fiscale dell’intermediario e un suo recapito telefonico. Inoltre devono essere indicati il codice fiscale del sostituto d’imposta, il numero di protocollo della comunicazione contenente la delega alla ricezione dei modelli 730-4 (CSO o CT) e la data di cessazione dall’incarico. In allegato alla e-mail deve essere inviata copia della lettera di cessazione dall’incarico indirizzata al sostituto d’imposta da cui si evinca la data certa di trasmissione.
L’agenzia delle Entrate, accertata la regolarità della richiesta pervenuta, contatterà il sostituto d’imposta attraverso messaggio all’indirizzo di posta elettronica certificata rilevabile dall’Ini Pec (Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata, istituito dal ministero dello Sviluppo economico), per invitarlo a presentare la comunicazione di variazione.
Al riguardo, la circolare specifica che quella sopra descritta è l’unica modalità possibile, in quanto, al fine di comunicare all’agenzia delle Entrate la cessazione del rapporto di delega, l’intermediario non può utilizzare la sezione del modello CSO deputata ad accogliere la revoca della comunicazione e non può neppure avvalersi dell’istituto del diniego dei risultati contabili disciplinato dal provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate del 14/4/2017 e relativo alle ipotesi di dipendenti con rapporti mai stati in essere o cessati.

Fonte “Il sole 24 ore”

Dichiarazione Iva, le correzioni nel quadro VH chiamano a versare la sanzione

di Andrea Taglioni

L’avvicinarsi alla scadenza della presentazione della dichiarazione annuale Iva, fissata per il prossimo 30 aprile, è l’occasione per verificare la correttezza dei dati trasmessi con le comunicazione relative alle liquidazioni periodiche Iva e rimediare ad eventuali errori commessi. Ciò in considerazione del fatto che l’invio delle liquidazioni periodiche, pur configurandosi quale adempimento propedeutico alla dichiarazione annuale Iva, rimane in ogni caso un adempimento diverso ed autonomo rispetto a quest’ultima.

Come precisato dall’agenzia delle Entrate con la risoluzione 104/E del 2017, l’omessa presentazione della liquidazione periodica, così come la sua trasmissione con dati errati o inesatti, può essere regolarizzata inviando una nuova comunicazione correttiva, ovvero, direttamente in sede di presentazione della dichiarazione Iva utilizzando il quadro VH. Quindi, qualora la regolarizzazione degli errori o l’invio dei dati omessi avvenisse con la dichiarazione annuale, verrebbe meno l’obbligo comunicativo. A prescindere dalla natura qualitativa o quantitativa della violazione, l’omessa, incompleta o infedele comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche Iva è punita con la sanzione amministrativa da 500 a 2mila euro, con la possibilità di avvalersi del ravvedimento operoso.

Ma le conseguenze in termini sanzionatori potrebbero variare in funzione delle modalità con cui si procede alla regolarizzazione. La possibilità per il contribuente di regolarizzare la mancata o errata ed inesatta comunicazione dei dati periodici direttamente correggendo quest’ultima o in sede di dichiarazione, impatta in maniera diversa sotto l’aspetto sanzionatorio.

Potrebbe accadere, ad esempio, che se il contribuente dovesse correggere direttamente le liquidazioni periodiche verrebbero applicate tante sanzioni quante sono le correzioni effettuate. In questo caso, bisognerebbe capire se l’applicazione di tante sanzioni quante sono le violazioni fosse applicabile anche nel caso in cui l’eventuale errore, pur non incidendo sulla determinazione dell’imposta, renderebbe inesatte le comunicazioni successive. Tipica situazione che si potrebbe verificare se l’indicazione di un credito risultasse sbagliato in una comunicazione; questo inciderebbe, infatti, su tutte le liquidazioni successivamente presentate. La rettifica di un credito periodico, però, potrebbe incidere anche sulla determinazione dell’imposta a debito del periodo successivo laddove questo diminuisse per effetto della correzione.

Ma cosa succede se la regolarizzazione avviene compilando il quadro VH? Innanzitutto il soggetto passivo non deve effettuare l’invio della comunicazione periodica e il ravvedimento si effettua versando la sola sanzione ridotta riportando i dati corretti delle liquidazioni negli appositi righi.

Sarebbe interessante capire, anche optando per la correzione in dichiarazione, se ai fini della regolarizzazione fosse sufficiente pagare un’unica sanzione o tante quante sono le violazioni commesse nelle liquidazioni periodiche e regolarizzate compilando il modello VH.
È auspicabile, nonostante gli importanti chiarimenti contenuti nella risoluzione 104/E, che l’agenzia delle Entrate chiarisse, valutando anche la natura della singola violazione e se la stessa arrechi o meno un pregiudizio all’attività di controllo dell’ufficio, se in simili situazioni occorra versare, a prescindere dalla modalità di sanatoria utilizzata, un’unica sanzione o tante quante sono le comunicazioni corrette.

Fonte “Il sole 24 ore”

Diritto annuale, via libera all’aumento del 20% per altre nove Camere di commercio

Arriva il via libera del ministero dello Sviluppo economico all’aumento del 20% del diritto annuale per gli anni 2018 e 2019 per nove Camere di commercio. È quanto prevede il decreto datato 2 marzo 2018 e pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» di ieri . Sono interessate le Camere di commercio di Arezzo, Lucca, Maremma e Tirreno, Massa Cararra, Palermo-Enna, Pisa, Pistoia, Prato e Siena. Un elenco che si va ad aggiungere alle 79 Camere di commercio già autorizzate da un decreto dello scorso anno ad aumentare i diritti del 20% per il triennio 2017-2019.

I rincari sono finalizzati a finanziare una serie di progetti indicati nelle delibere approvate dai Consigli camerali in questione. Anche per questo il Dm Sviluppo economico stabilisce che i soggetti autorizzati sia nella precedente che in questa tornata siano tenuti a presentare un rapporto dettagliato sui risultati dei singoli progetti, allegando la rendicontazione dei costi sostenuti per la realizzazione degli stessi con il visto del presidente del collegio dei revisori. Qualora, invece, le Camere di commercio affidino alle loro aziende speciali o ad unioni regionali la realizzazione di attività o parte di esse relative ai singoli progetti, la rendicontazione di tali risorse dovrà essere inviata alla Camera di commercio con il visto del presidente del collegio dei revisori della azienda speciale o dell’unione regionale.

Il versamento del conguaglio

L’aspetto probabilmente di maggior interesse operativo per le imprese e i professionisti che le assistono riguardano il conguaglio da versare nel caso in cui si sia già provveduto a “pagare” il diritto annuale. Il Dm Sviluppo economico precisa, infatti, che il termine per saldare la differenza entro il versamento degli acconti in scadenza il 30 novembre (ad eccezione delle società il cui periodo d’imposta non coincide con l’anno solare, che effettuano il versamento della seconda rata d’acconto entro l’ultimo giorno dell’undicesimo mese dello stesso periodo d’imposta).

Fonte “Il sole 24 ore”

Vecchi assegni irregolari: vie d’uscita da rivedere

di Nicola Forte

Sotto tiro i “vecchi” assegni senza clausola di non trasferibilità di importo pari o superiore a 1.000 euro: le prime contestazioni del Mef sono già arrivate nelle scorse settimane ed è probabile che aumenteranno. Chi li ha emessi ha violato l’articolo 49 del Dlgs 231/2007 e ora corre il rischio di subire una sanzione di importo variabile tra 3.000 e 50.000 euro. Anche chi ha disatteso la previsione di legge per mera disattenzione, dovrà valutare le alternative offerte dalla stessa normativa per ridurre al minimo la sanzione da versare. Nei casi migliori potrebbero anche non dovere niente al Mef.

L’origine del problema

L’obbligo di emissione degli assegni con l’indicazione della clausola di non trasferibilità è in vigore da oltre 10 anni risiede, in particolare, nel citato articolo 49 del Dlgs 231/2007. Il limite attuale di 1.000 euro è stato previsto dal Dl 201/2011.

Un assegno trasferibile, quindi privo di tale clausola, è nella sostanza assimilabile a un titolo al portatore. Può essere pagato a vista a colui che lo esibisce per l’incasso, è equiparabile al denaro contante e quindi deve essere sottoposto a limitazioni con finalità di prevenzione e contrasto del riciclaggio.

Le banche dal 30 aprile del 2008 rilasciano i carnet di assegni con l’indicazione prestampata della dicitura «non trasferibile». Di conseguenza, i titoli non possono circolare liberamente mediante girata e potranno soltanto essere presentati in banca per l’incasso dal beneficiario.

Le possibili violazioni

In primo luogo, potrebbe essere stato utilizzato un assegno tratto da un “vecchio” carnet rilasciato dalla banca prima del 30 aprile del 2008. In questa ipotesi è certo che la banca non avrà apposto sul titolo la dicitura «non trasferibile». Pertanto, se anche la clausola non è stata apposta dal traente per mera disattenzione e l’assegno è stato emesso per un importo pari o superiore a 1.000 euro, la violazione è sicuramente commessa.

Il limite attualmente in vigore è però variato nel tempo. In passato era pari a 12.500 euro, poi diminuito, in seguito aumentato per poi diminuire ancora fino a raggiungere la soglia attuale di 1.000 euro. È dunque possibile che sia conservato nel cassetto un vecchio carnet di assegni con l’indicazione dell’obbligo di apporre la clausola «non trasferibile» per i titoli emessi di importo pari o superiore a 12.500 euro.

In questo caso, l’avvertenza rischia ancor di più di trarre in inganno il traente perché si deve fare riferimento al limite in vigore al momento di emissione dell’assegno e non al momento del rilascio del carnet. Il problema, comunque, riguarda solo l’utilizzo dei vecchi assegni. Da molti anni, infatti, i correntisti devono richiedere espressamente alla banca il rilascio di carnet di assegni “liberi”, cioè senza l’indicazione della clausola. In questo caso è necessario pagare un’imposta di bollo pari a 1,50 euro per ogni assegno.

L’oblazione

La possibilità di avvalersi dell’oblazione è indicata nello stesso atto di contestazione. Dal 4 luglio 2017 le sanzioni sono state elevate tra un minimo di 3mila e un massimo di 50mila euro. Prima di allora la sanzione era variabile e commisurata all’importo dell’assegno emesso senza l’apposizione della clausola di non trasferibilità: tra l’1% e il 40% dell’importo pagato con l’assegno trasferibile, con un minimo di 3mila euro.

L’importo della sanzione minima era dunque equivalente a quella applicabile oggi, ma con effetti diversi sul calcolo dell’oblazione. L’oblazione consente di pagare due volte il minimo della sanzione prevista. Tuttavia in passato si riteneva che il computo dell’oblazione fosse pari al 2% dell’importo dell’assegno. La base di partenza era comunque rappresentata dall’importo del titolo e non dal minimo di 3mila euro: ciò in quanto la sanzione – tra l’1% e il 40% – doveva essere comunque parametrata all’importo. Attualmente, invece, la sanzione è completamente scollegata dall’importo dell’assegno e quindi l’oblazione va commisurata all’importo della penalità minima di 3mila euro.

Si consideri ad esempio il caso in cui sia stato emesso un assegno libero per 4mila euro. La sanzione minima, secondo le vecchie regole, era comunque pari a 3mila euro, ma il calcolo dell’oblazione non teneva conto del minimo ed era calcolata in misura pari a 2% dell’assegno: quindi nell’esempio sarebbe risultata pari a 80 euro. Ora, invece, l’importo è di 6mila euro (due volte il minimo) se si vuole evitare il rischio di una sanzione molto elevata, fino ai 50mila euro. L’oblazione, quindi, risulta oggi poco conveniente.

Fonte “Il sole 24 ore”

Detrazione Iva e deducibilità del costo dei carburanti solo con pagamenti tracciabili

Dal primo luglio è necessario utilizzare sistemi di pagamento tracciati per l’acquisto di carburanti, al fine di poter detrarre l’Iva e dedurre il costo, nei limiti consentiti dalla norma.

Dopo che la legge di Bilancio 2018, precisamente l’articolo 1, comma 917 della legge 205/2017 , ha introdotto importanti novità in tema di cessione di carburanti per autotrazione, con provvedimento del 4 aprile scorso , il Direttore dell’agenzia delle Entrate ha individuato i mezzi di pagamento che dal primo luglio prossimo potranno essere utilizzati, dai soggetti passivi d’imposta, al fine di garantire loro la detraibilità Iva e la deducibilità del costo.

Ma andiamo con ordine. La legge di Bilancio 2018 ha apportato notevoli modifiche in tema di fatturazione, prescrivendo l’utilizzo obbligatorio della fatturazione elettronica per tutti i contribuenti, a partire dal primo gennaio 2019. Da tale data, le fatture elettroniche, e relative variazioni, dovranno essere emesse per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate tra soggetti residenti, stabiliti o identificati nel territorio dello Stato e, quindi, anche nei confronti di consumatori finali.

Un’importante anticipazione della fatturazione elettronica, che è probabilmente destinata a subire uno slittamento, riguarda la cessione di benzina e gasolio. Infatti, la legge di Bilancio 2018 prescrive che, a partire dal primo luglio di quest’anno, i soggetti che cedono i beni appena indicati, sono obbligati a emettere fattura elettronica qualora il cessionario sia un soggetto passivo d’imposta.

Nel caso in cui, invece, il cessionario non sia un soggetto passivo d’imposta bensì un consumatore finale, in base a quanto disposto dal Dpr 696/1996, come modificato sempre dalla legge di Bilancio 2018, resta la facoltà da parte del cedente di non emettere alcuna certificazione. In questo caso il cedente ha però l’obbligo di memorizzazione elettronica e trasmissione telematica dei corrispettivi all’agenzia delle Entrate, sempre a decorrere dal primo luglio 2018.

Sul fronte del soggetto passivo d’imposta, cessionario del carburante, la legge di Bilancio 2018 collega, dal primo luglio, la detrazione dell’imposta e la deducibilità del costo, nei limiti concessi dalle rispettive normative, al pagamento del corrispettivo attraverso sistemi tracciabili e, quindi, non più in contanti.

Con il richiamato provvedimento del 4 aprile scorso, sono stati individuati i mezzi di pagamento dei carburanti e lubrificanti per autotrazione, che consentono, ai soggetti passivi d’imposta, la detrazione dell’Iva e la deducibilità del costo, sempre nei limiti concessi dalla norma. I mezzi di pagamento «ammessi» e considerati idonei a provare l’avvenuta effettuazione delle operazioni sono: gli assegni, bancari e postali, circolari e non, i vaglia cambiari e postali, i mezzi di pagamento elettronici tra cui, a titolo esemplificativo, l’addebito diretto, il bonifico bancario o postale, il bollettino postale, le carte di debito, di credito, prepagate ovvero altri strumenti di pagamento elettronico disponibili, che consentano anche l’addebito in conto corrente.

Dalla data del primo luglio 2018 la scheda carburanti non sarà, quindi, più utilizzabile stante l’abrogazione dell’intero Dpr 444/1997 che la disciplinava.

Fonte “Il sole 24 ore”

Crediti da quadro RU senza obbligo del visto di conformità

Visto e compensazioni sono due “concetti” che fiscalmente vanno spesso “a braccetto”, ciò in quanto, in alcuni casi, per compensare crediti e debiti erariali occorre “vistare”.

La normativa in tema sia di compensazioni che di visto di conformità ha subito radicali trasformazioni con l’entrata in vigore della Manovrina, Dl 50/2017, che con l’articolo 3 ha modificato l’articolo 1 comma 574 della legge 27 dicembre 2013 n. 147, prevedendo l’obbligo di richiedere l’apposizione del visto di conformità, ex articolo 35 comma 1 lettera a) del Dlgs 241/1997, da parte di un soggetto abilitato, in caso di utilizzo in compensazione, mediante il modello F24, di crediti di importo superiore a 5.000 euro annui, derivanti da:

•imposte sui redditi (Irpef e Ires) e relative addizionali;

•Irap;

•ritenute alla fonte;

•imposte sostitutive delle imposte sui redditi.

Tra questi non rientrano i crediti dichiarati nel quadro RU, toccati dalla Manovrina solo per quanto riguarda l’obbligo di utilizzo dei servizi telematici messi a disposizione dalle Entrate in caso di compensazione orizzontale, come sancito dal comma 3 dell’articolo 3.

Riguardo al visto, invece, né l’articolo 1 comma 574 della legge 147/2013, né l’articolo 17 Dlgs 241/1997, norme sulla compensazione verticale cui i crediti da RU soggiacciono, li menzionano tra quelli obbligati all’apposizione per importi superiori a 5 mila euro.

Leggendo la circolare 13/E/2017 si può giungere alla stessa conclusione: infatti nel paragrafo 4.8.2 viene ricordato che «Con la circolare 28/E del 25 settembre 2014 è stato, inoltre, chiarito che sono esclusi dall’obbligo di apposizione del visto di conformità i crediti il cui presupposto non sia direttamente riconducibile alle imposte sui redditi e relative addizionali, quali i crediti aventi natura strettamente agevolativa».

Pertanto, crediti come il c.d. “carbon tax” (per i benefici sul gasolio da autotrazione) oppure il più gettonato credito di imposta per attività di ricerca e sviluppo, non dovranno passare al vaglio degli intermediari che appongono i visti di conformità nelle dichiarazioni da cui gli stessi emergono.

Anche i casi di compensazione interna o verticale, cioè quella che consente di recuperare crediti sorti in periodi precedenti con debiti della stessa imposta, non soggiacciono all’obbligo di apposizione del visto di conformità come chiarito da tempo dalla circolare 28/E/2014. A tale considerazione si aggiunga l’ultimo chiarimento dell’Agenzia in tema di compensazioni effettuate con i codici tributo «1627», «1628», «1629», «1669», «1671», «6781», «6782» e «6783».

In merito a tali imposte l’Agenzia, nel corso di Telefisco, aveva spiegato che i crediti utilizzabili in compensazione tramite F24 con i codici tributo «1627», «1628», «1629», «1669» e «1671» sono crediti pur se esposti nel modello F24, possono essere utilizzati in compensazione esclusivamente ai fini del pagamento delle ritenute e nei limiti del relativo importo. Altri utilizzi in compensazione non sono ammessi e di conseguenza, trattandosi di compensazioni di tipo esclusivamente interno, il limite di 700mila euro annui non si applica.

Analogamente, non si applica il limite di compensabilità di 700mila euro ai crediti di cui ai codici tributo 6781, 6782 e 6783 (emergenti dalla dichiarazione), se utilizzati in compensazione ai fini del pagamento di ritenute e imposte sostitutive. Detto limite si applica se, invece, tali crediti sono utilizzati ai fini del pagamento di altri debiti fiscali o contributivi.

Fonte “Il sole 24 ore”

Il modello Redditi limita l’integrativa

L’utilizzo del credito emergente da un’integrativa ultrannuale «a favore», derivante dalla correzione di un errore contabile, non incontra il vincolo temporale alla compensazione prescritto dal comma 8-bis dell’articolo 2 del Dpr n. 322/98, ma sconta comunque una limitazione all’utilizzo «inventata» dalle istruzioni ai modelli dichiarativi.

Questo credito, infatti, può essere liberamente utilizzato con modello F24 sino al termine del periodo d’imposta in cui è presentata la dichiarazione integrativa; successivamente, la parte non utilizzata entra nella liquidazione dell’imposta di periodo e, quindi, si mescola con le risultanze emergenti dalla dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui è stata effettuata la correzione.

Non è facile raccapezzarsi nel mosaico dei possibili comportamenti emergenti dalle dichiarazioni integrative ai fini dei redditi e dell’Irap. Occorre in primo luogo distinguere tra integrative a sfavore del contribuente (da cui emerge un maggior debito o un minor credito d’imposta, accompagnate generalmente dal ravvedimento operoso) e integrative a favore, da cui solitamente emerge un credito per il contribuente (per altre ipotesi, ad esempio in presenza di perdite fiscali, si veda Il Sole 24 Ore del 26 febbraio scorso).

Limitandosi a queste ultime, il legislatore (con il nuovo testo dell’articolo 2, comma 8-bis, del Dpr n. 322/98) ha distinto tre ipotesi, ciascuna caratterizzata da una diversa disciplina (per l’Iva il riferimento è l’articolo 8, comma 6-ter). Vanno quindi tenute logicamente separate le dichiarazioni integrative a favore:

correttive di un errore fiscale e presentate entro il termine previsto per la trasmissione della dichiarazione successiva a quella errata, nel qual caso il credito emergente è liberamente compensabile in F24 (fatti salvi, ovviamente, gli ordinari vincoli alla compensazione), senza che vi sia un effetto sulla ordinaria dichiarazione di periodo (niente quadro DI);

correttive di un errore fiscale e presentate oltre il termine previsto per la trasmissione della dichiarazione successiva a quella errata, nel qual caso il credito emergente è utilizzabile in compensazione solamente con debiti maturati a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in cui è stata presentata l’integrativa. Tale credito deve comparire a quadro DI della ordinaria dichiarazione del periodo in cui avviene la correzione e le istruzioni al modello dichiarativo obbligano ad una prioritaria compensazione di tipo “verticale” nell’ambito della liquidazione dello stesso tributo;

correttive di un “errore contabile”, le quali, in qualunque momento siano presentate (nel rispetto dei termini di accertamento), consentono sempre la compensazione immediata, poiché il comma 8-bis citato disapplica, in questa ipotesi, il vincolo di cui al punto precedente.

Se questo è il quadro, stupisce che le istruzioni al modello Redditi 2018 prevedano che l’utilizzo in compensazione del credito derivante da una integrativa (a favore) che corregge un errore contabile possa avvenire esclusivamente «entro la fine del periodo d’imposta oggetto della presente dichiarazione per compensare importi a debito». Si tratta di una limitazione non prevista dalla norma e che deroga al principio generale che i crediti sono spendibili in F24 sino alla data di presentazione della dichiarazione.

Pertanto, un credito da errore contabile emergente da una integrativa (ultrannuale) presentata nel mese di dicembre 2017 poteva (secondo le istruzioni) essere utilizzato in compensazione solo entro la fine dello scorso anno, mentre l’eventuale residuo, oltre a confluire nel quadro DI del modello Redditi 2018, deve concorrere alla liquidazione dell’imposta di periodo (si veda l’esempio in pagina). Non essendovi un fondamento normativo per questa limitazione, c’è da chiedersi quali siano le conseguenze per chi non si sia comportato in tal modo, ad esempio prima delle istruzioni definitive.

Fonte “Il sole 24 ore”

Imposte anticipate senza indicazione separata nello stato patrimoniale

Eliminata l’area straordinaria del conto economico dalla riforma del Dlgs 139/2015, l’Oic rivede, tra gli altri, il principio contabile Oic 25 dedicato alla rilevazione delle imposte in bilancio. Nella voce 20 del conto economico, titolata «Imposte sul reddito dell’esercizio, correnti, differite e anticipate» (ex 22) confluiscono le poste relative a:
■imposte correnti;
■imposte relative a esercizi precedenti;
■imposte differite e anticipate;

Con riguardo a queste ultime nella voce si ricomprendono:
•con segno positivo, gli accantonamenti al fondo per imposte differite e l’utilizzo delle attività per imposte anticipate;
•con segno negativo, le imposte anticipate e l’utilizzo del fondo imposte differite,
e ciò con riferimento sia alle imposte differite e anticipate dell’esercizio sia a quelle provenienti da esercizi precedenti.

La loro collocazione in bilancio è costituita dalla voce C.II.5-ter (Imposte anticipate) dell’attivo dello Stato patrimoniale per le attività ad esse connesse, mentre le passività relative alla fiscalità differita devono essere iscritte nella voce B.2 (Fondi per imposte, anche differite).

Con riguardo alla rappresentazione delle imposte anticipate nello stato patrimoniale, il paragrafo 19 dell’Oic 25 prevede che «per le imposte anticipate non è fornita l’indicazione separata di quelle esigibili oltre l’esercizio successivo», ciò coerentemente con la relazione al Dlgs 6/2003 che chiarisce che le imposte anticipate non sono dei veri e propri crediti e quindi il concetto di esigibilità non è ad esse applicabile.

Il restyling del principio contabile Oic 25 è stato, però doppio. L’Organismo italiano di contabilità ha emendato in data 29 dicembre 2017 il paragrafo 35 dell’Oic 12 (Composizione e schemi del bilancio d’esercizio) e il paragrafo 30 dell’Oic 25 (Imposte sul reddito) prevedendo che, nell’ambito della voce CII (Crediti) dello stato patrimoniale in forma abbreviata, le società forniscano indicazione separata delle imposte anticipate, al fine di rendere più intellegibile il contenuto della macro voce e dare così un’informazione tecnicamente più appropriata. Infatti, secondo l’Oic, l’iscrizione, nell’ambito del bilancio in forma abbreviata in base all’articolo 2435-bis del codice civile, delle imposte anticipate sotto un’unica voce «Crediti», senza che se ne dia separata evidenza, «determina una commistione di valori di natura eterogenea a nocumento della chiarezza sul contenuto della voce», non essendo le imposte anticipate dei crediti. Questa osservazione ha riflessi anche sul bilancio delle micro imprese che condividono gli schemi con le altre imprese che li redigono secondo l’articolo 2435-bis.

Gli emendamenti in parola si applicano ai bilanci con esercizio avente inizio a partire dal 1° gennaio 2017 o da data successiva. Gli eventuali effetti derivanti dall’applicazione degli emendamenti analizzati devono essere rilevati in bilancio retroattivamente ai sensi dell’Oic 29. Di conseguenza a tali modifiche apportate ai documenti Oic 12 e Oic 25, è stata allineata la nuova tassonomia Xbrl (Pci 2017-07-06) con la distinzione, nello Stato patrimoniale relativo al bilancio abbreviato e nello Stato patrimoniale delle micro imprese, della voce «C.II – Crediti» in tre diverse componenti: crediti entro e oltre l’esercizio successivo, cui si aggiunge la sottovoce «imposte anticipate».

Fonte “Il sole 24 ore”

Così il patent box incontra il credito R&S

di Luigi Ferrajoli

Il credito d’imposta per le attività di ricerca e sviluppo (R&S), come contenuto nel Piano Industria 4.0, e il patent box premiano le imprese che – in senso lato – investono nel settore dell’innovazione. Alla luce di questa finalità “comune”, tuttavia, è necessario analizzare i profili di convivenza, sovrapposizione ed eventuale conflitto delle due agevolazioni.

La circolare 5/E/2016 ha chiarito che il credito d’imposta R&S e il patent box rappresentano distinti strumenti sinergici: il primo opera attraverso il riconoscimento di un’agevolazione ancorata alla misura degli investimenti effettuati; il secondo garantisce la detassazione dei redditi prodotti in ragione dello sfruttamento di beni immateriali derivanti da attività di ricerca, sviluppo e accrescimento degli stessi, da perseguire e mantenere nel tempo.

Il ministero dello Sviluppo economico, con la circolare 59990 del 9 febbraio 2018 , ha fornito chiarimenti sulla disciplina del credito d’imposta R&S, proprio traendo le mosse dagli investimenti effettuati dalle imprese italiane nel settore hi-tech. Secondo il ministero, il software per la cui scoperta o implementazione viene chiesto il credito d’imposta deve essere portatore di un reale progresso scientifico e tecnologico; in particolare, deve essere funzionale alla risoluzione di una problematica su base sistematica. In altri termini, la circolare ministeriale ha escluso dall’agevolazione le attività di tipo ricorrente o di routine, quali ad esempio quelle che possono risolversi nel mero utilizzo di un software per una nuova applicazione o semplicemente per un nuovo scopo.

La locuzione «ricerca e sviluppo» contenuta nell’articolo 8 del Dm 28 novembre 2017 cita alla lettera d) «l’ideazione e la realizzazione del software protetto dal copyright». Il che pare rispondere a requisiti meno stringenti di quelli appena visti per il credito R&S. Di fatto, quando si tratta di stabilire se le innovazioni tecnologiche riferite all’evoluzione di un software possono beneficiare del patent box, il necessario elemento di novità sembra risolversi nelle procedure che portano al riconoscimento del copyright.

D’altra parte, l’Agenzia, con la risoluzione 28/E/2017 , aveva già preso posizione sull’applicazione del patent box in casi di utilizzo indiretto di un nuovo programma applicativo. Le Entrate erano state chiamate a rispondere a un’istanza di interpello presentata da una società che voleva applicare il patent box in un caso di software coperto da copyright concesso in uso in forma di licenza iniziale, con successivi canoni di assistenza e manutenzione. Partendo dal principio Ocse del nexus approach (quale necessario collegamento tra l’agevolazione e l’effettivo svolgimento di un’attività economica che si sostanzi nella ricerca e sviluppo), l’Agenzia ha escluso dal beneficio soltanto il novero delle attività che – profilandosi come mere operazioni di implementazione, aggiornamento e personalizzazione del programma – si risolvono in una forma puramente strumentale di utilizzo del software.

Fonte “Il sole 24 ore”

L’Iva per cassa chiede la conferma nel rigo VO

di Paola Bonsignore e Pierpaolo Ceroli

Il cash accounting, meglio conosciuto come Iva per cassa, introdotto dall’articolo 32-bis Dl 83/2012, determina lo stravolgimento della forma mentis per l’esigibilità e detraibilità dell’Iva con conseguente impatto sulla compilazione della dichiarazione Iva. Con tale opzione, infatti, non si terrà più conto del momento in cui è eseguita l’operazione per determinare l’esigibilità dell’imposta, bensì dovrà essere considerata la data del pagamento o, al più tardi, la decorrenza di un anno dalla cessione del bene o prestazione del servizio.

A partire dal 2012, infatti, i soggetti passivi con volume d’affari non superiore a 2 milioni di euro che cedono beni o prestano servizi verso cessionari o committenti che agiscono nell’esercizio di impresa, arte o professione, possono optare per questo particolare regime Iva, in base al quale, come anticipato, sidetermina l’esigibilità dell’imposta, nonché la sua detraibilità in caso di acquisto, al momento del pagamento dei relativi corrispettivi.

L’opzione, che segue ad un comportamento concludente, è esercitata nella prima dichiarazione Iva successiva all’anno in cui si è seguito questo nuovo modus operandi. Quindi nel caso in cui il contribuente avesse adottato l’Iva per cassa, attraverso comportamenti concludenti nel corso del 2017, dovrà barrare la casella 1 “opzione” del rigo VO 15 “Regime Iva per cassa” del modello Iva 2018. L’opzione sarà vincolante fino a revoca, o comunque per almeno un triennio decorso il quale si rinnova di anno in anno.

Il richiamato art. 32 prevede, però, anche delle cause di esclusione dal regime per tutti quei soggetti che pongono in essere:

•Operazioni con applicazione di regimi speciali di determinazione dell’Iva;

•Operazioni poste in essere nei confronti di cessionari o committenti che assolvono l’imposta mediante l’applicazione dell’inversione contabile.

Al fine della determinazione dell’imposta a credito o a debito il contribuente che ha optato per il cash accounting dovrà compilare i quadri:

•VE «Operazioni attive e determinazione del volume d’affari« indicando nella sezione 2 «Operazioni imponibili agricole e operazioni imponibili commerciali o professionali» l’imponibile (col.1) e l’imposta (col. 2) risultante dalle fatture incassate nel corso del 2017, nel rigo VE37 «Operazioni effettuate nell’anno ma con imposta esigibile in anni successivi» l’eventuale imponibile non ancora incassato (col.1 e 2) e nel rigo VE50 «Volume d’affari» la somma algebrica degli imponibili indicati nel quadro al netto di quelli derIvanti da operazioni effettuate in anni precedenti ma con imposta esigibile nel 2017;

•VF «Operazioni passive e Iva ammessa in detrazione» indicando nella sezione 1 «Ammontare degli acquisti effettuati nel territorio dello Stato, degli acquisti intracomunitari e delle importazioni» l’imponibile (col.1) e l’imposta (col. 2) risultante dalle fatture pagate nel corso del 2017, nel rigo VF21 «Acquisti registrati nell’anno ma con detrazione dell’imposta differita ad anni successivi» l’eventuale imponibile non ancora pagato (col.1 e 2) e nel rigo VF22 «(meno) Acquisti registrati negli anni precedenti ma con imposta esigibile nel 2017» l’ammontare degli acquisti effettuati in anni precedenti ma con imposta esigibile nel 2017. Dalla contrapposizione del totale dell’imposta sulle operazioni passive (VE26) ed attive (VF71) si determinerà l’imposta dovuta (VL3) o l’imposta a credito (VL4).

Fonte “Il sole 24 ore”

Dati liquidazioni Iva, il modello si aggiorna a operazioni straordinarie e acconti

di Fabio Giordano, comitato tecnico AssoSoftware

È durato giusto un anno – o meglio quattro trimestri – il modello «Comunicazione liquidazioni periodiche Iva» approvato lo scorso anno con provvedimento delle Entrate del 27 marzo 2017, con le relative istruzioni, ed eccone pronta e già approvata una versione per il 2018. Con provvedimento delle Entrate del 21 marzo 2018 (protocollo 62214) è stato infatti approvato il modello con le relative istruzioni, che dovrà essere utilizzato a decorrere dalle comunicazioni riferite al 1° trimestre 2018 da presentarsi entro il 31 maggio 2018, e disposto che, per quanto non diversamente indicato nel provvedimento stesso, restano applicabili le disposizioni contenute nel provvedimento del 27 marzo 2017.

Il modello e le relative istruzioni contengono le seguenti novità:
■nel rigo VP1 è stata introdotta la casella 5 denominata «Operazioni straordinarie», tramite la quale il soggetto avente causa in una operazione straordinaria può segnalare che nella liquidazione periodica confluisce il credito del periodo precedente (o il credito dell’anno antecedente l’operazione) maturato dal soggetto dante causa;
■nel rigo VP13, è stata introdotta la casella 1 denominata «Metodo», con cui indicare il metodo utilizzato per la determinazione dell’acconto, analoga a quella già presente nel modello di dichiarazione annuale Iva;
■nelle istruzioni, oltre alle indicazioni relative alle nuove caselle sopra menzionate, sono stati recepiti alcuni chiarimenti forniti con la pubblicazione sul sito internet dell’Agenzia di alcune risposte alle domande più frequenti (Faq).

Di seguito un breve approfondimento di queste novità e qualche considerazione più generale dopo un anno di comunicazioni.

Operazioni straordinarie
La compilazione della nuova casella 5 del rigo VP1 è chiaramente limitata ai casi di operazioni straordinarie, le cui istruzioni sono contenute nel paragrafo «Contribuenti con operazioni straordinarie o altre trasformazioni sostanziali soggettive (fusioni, scissioni, cessioni di azienda, conferimenti, ecc.)».
L’aggiunta di questa casella è significativa in quanto permette di non far scattare i controlli automatici che normalmente si attivano quando il credito indicato nel rigo VP8 di un periodo non coincide con il credito indicato nel rigo VP14, colonna 2, del periodo precedente.
In particolare, nel caso in cui il soggetto avente causa riporti nel rigo VP8 della propria Comunicazione il credito maturato dal soggetto dante causa nell’ultima liquidazione periodica, deve essere barrata la casella «Operazioni straordinarie» nel rigo VP1.
Le istruzioni precisano che tale casella va barrata anche nel caso in cui il soggetto avente causa riporti nel rigo VP9 una quota o l’intero ammontare del credito emergente dalla dichiarazione annuale Iva del soggetto dante causa, relativa all’anno precedente quello indicato nel frontespizio, ceduto, in tutto o in parte, a seguito dell’operazione straordinaria.
La casella va altresì barrata anche nell’ipotesi in cui, a seguito dell’interruzione della liquidazione Iva di gruppo nel corso dell’anno, l’ente o società controllante riporti nel rigo VP8 le eventuali eccedenze di credito trasferite al gruppo e non compensate utilizzate in detrazione nelle proprie liquidazioni periodiche successive.

Acconto dovuto
L’inserimento della nuova casella del rigo VP13, denominata «Metodo», allinea il modello di comunicazione al modello di dichiarazione annuale Iva, che già conteneva la medesima informazione in corrispondenza dell’omologo rigo VH17.
Ci eravamo già chiesti tutti, infatti, come mai nel quadro VH – che va compilato esclusivamente nel caso in cui risulti necessario correggere eventuali errori od omissioni delle comunicazioni periodiche – fosse presente un’informazione che invece non era richiesta nelle stesse comunicazioni da correggere.
Ora abbiamo la risposta. Evidentemente per esigenze di controllo tale informazione, che non era stata inizialmente inserita nella comunicazione, è stata inserita e va ora compilata in caso di acconto dovuto, che a sua volta può essere presente solo se il campo «Trimestre» assume il valore 4 o 5 oppure se il campo «Mese» assume il valore 12.
In relazione all’acconto ricordiamo che fra le precisazioni fornite dalle istruzioni, vi è quella che occorre indicare l’ammontare dell’acconto dovuto, anche se non effettivamente versato, dai contribuenti obbligati al versamento dell’acconto in base all’articolo 6 della legge 405/1990.
Qualora l’ammontare dell’acconto risulti inferiore a 103,29 euro, il versamento non deve essere effettuato e pertanto nel rigo non va indicato alcun importo.
La casella «Metodo» deve essere compilata indicando il codice relativo al metodo utilizzato per la determinazione dell’acconto:
•«1» storico;
•«2» previsionale;
•«3» analitico – effettivo;
•«4» soggetti operanti nei settori delle telecomunicazioni, somministrazione di acqua, energia elettrica, raccolta e smaltimento rifiuti, eccetera.
Si evidenzia che nel caso di ente o società controllato partecipante alla liquidazione Iva di gruppo, uscito dal gruppo dopo la data del 27 dicembre (termine finale stabilito per il versamento dell’acconto Iva) a seguito, ad esempio, di incorporazione da parte di società esterna, deve essere compreso nel presente rigo della comunicazione della società incorporante relativa al mese di dicembre anche il credito derivante dall’importo dell’acconto dovuto dall’ente o società controllante per l’ente o società controllato incorporato.

Aggiornamento delle procedure
La documentazione tecnica è stata resa disponibile la scorsa settimana (in particolare lo schema Xml), per cui le software house stanno già provvedendo ad aggiornare le procedure informatiche, che saranno rilasciate quanto prima.
Con l’occasione gli analisti delle software house, che inizialmente si erano necessariamente dovuti concentrare sulla compilazione e sull’invio del modello di comunicazione, stanno ora cercando di capire quali controlli è possibile e opportuno realizzare – a livello di raffronto – tra le quattro comunicazioni e la dichiarazione annuale Iva, al fine di ridurre il più possibile gli eventuali errori di compilazione da parte degli operatori.
Sulla spinta delle richieste, le software house forniranno – come di consueto – le opportune risposte alle esigenze operative dei propri clienti.

Fonte”Il sole 24 ore”

Modello Iva 2018: nel quadro VH la regolarizzazione delle comunicazioni

di Pierpaolo Ceroli e Agnese Menghi

Nuova veste per il quadro VH del modello Iva 2018, che da quest’anno deve essere compilato non per indicare i risultati delle liquidazioni periodiche, ma per correggere eventualmente le comunicazioni inviate ai sensi dell’articolo 21-bis del Dl 78/2010 (Lipe – comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche Iva).

La risoluzione n. 104/E/2017, infatti, ha precisato che la regolarizzazione delle comunicazioni può avvenire in due modi: o presentando nuovamente il modello Lipe o direttamente nella dichiarazione annuale Iva (anche integrativa), in entrambi i casi, tuttavia, è dovuta la sanzione di cui al comma 2-ter, dell’articolo 11 del Dlgs 471/1997 (sanzione da 500 a 2.000 euro, ridotta della metà in caso di correzione entro quindici giorni dalla scadenza), rimodulata secondo le riduzioni previste dal ravvedimento operoso.

Chi opta per la regolarizzazione attraverso la dichiarazione dovrà quindi: versare la sanzione e compilare il quadro VH, il quale ha subìto un restyling rispetto allo scorso anno, proprio al fine di recepire le novità. Come specificato anche dalle istruzioni, infatti, il quadro «deve essere compilato esclusivamente qualora si intenda inviare, integrare o correggere i dati omessi, incompleti o errati nelle comunicazioni»; di conseguenza, la sua redazione non è richiesta qualora non vi siano errori o omissioni da sanare.

Il quadro in esame, tuttavia, non contiene tutte le informazioni del modello Lipe, ma sostanzialmente solo i dati previsti per:

•l’indicazione del risultato della liquidazione periodica, che nel modello Lipe va indicato nel rigo VP14. In particolare, i contribuenti mensili indicheranno gli importi corretti nel rigo relativo al mese che si intende regolarizzare, mentre i trimestrali dovranno compilare i righi VH4, VH8, VH12 e VH16, appositamente ed esclusivamente dedicati.

•la modifica dell’importo dell’acconto dovuto, indicato nel rigo VP13 della comunicazione periodica.

Si precisa che, qualora si proceda alla correzione del modello Lipe, si devono compilare tutti i righi del quadro VH e non solo quelli relativi al periodo oggetto di regolarizzazione, cosicché nell’ipotesi di un contribuente trimestrale che intende correggere i dati comunicati con il modello Lipe riferito al terzo trimestre, il quadro VH dovrà comunque riportare anche le informazioni relative agli altri trimestri dell’anno di imposta.

Nell’ipotesi particolare in cui la correzione dei dati precedentemente inviati comporti la compilazione senza dati del quadro VH (ad esempio, il risultato delle liquidazioni è pari a zero) occorre comunque barrare la casella VH posta in calce al quadro VL nel riquadro «Quadri compilati».

Da quanto appena detto, ne consegue che qualora gli errori del modello Lipe dovessero riguardare le altre informazioni trasmesse con il modello, come ad esempio l’indicazione del credito riferito al periodo precedente (ma si fa riferimento a tutte le informazioni contenute dal rigo VP1 a VP12 del modello Lipe), il quadro VH della dichiarazione annuale Iva non deve essere compilato.

Tuttavia, sull’esonero dichiarativo, sarebbero opportuna una conferma dall’amministrazione finanziaria, la quale dovrebbe anche chiarire con certezza che la regolarizzazione in Iva 2018 (che riguarda unicamente due righi del modello Lipe), sani le eventuali altre infedeltà o omissioni degli altri dati indicati nella comunicazione periodica.

Fonte “Il sole 24 ore”

L’Iva per cassa chiede la conferma nel rigo VO

di Paola Bonsignore e Pierpaolo Ceroli

Il cash accounting, meglio conosciuto come Iva per cassa, introdotto dall’articolo 32-bis Dl 83/2012, determina lo stravolgimento della forma mentis per l’esigibilità e detraibilità dell’Iva con conseguente impatto sulla compilazione della dichiarazione Iva. Con tale opzione, infatti, non si terrà più conto del momento in cui è eseguita l’operazione per determinare l’esigibilità dell’imposta, bensì dovrà essere considerata la data del pagamento o, al più tardi, la decorrenza di un anno dalla cessione del bene o prestazione del servizio.

A partire dal 2012, infatti, i soggetti passivi con volume d’affari non superiore a 2 milioni di euro che cedono beni o prestano servizi verso cessionari o committenti che agiscono nell’esercizio di impresa, arte o professione, possono optare per questo particolare regime Iva, in base al quale, come anticipato, sidetermina l’esigibilità dell’imposta, nonché la sua detraibilità in caso di acquisto, al momento del pagamento dei relativi corrispettivi.

L’opzione, che segue ad un comportamento concludente, è esercitata nella prima dichiarazione Iva successiva all’anno in cui si è seguito questo nuovo modus operandi. Quindi nel caso in cui il contribuente avesse adottato l’Iva per cassa, attraverso comportamenti concludenti nel corso del 2017, dovrà barrare la casella 1 “opzione” del rigo VO 15 “Regime Iva per cassa” del modello Iva 2018. L’opzione sarà vincolante fino a revoca, o comunque per almeno un triennio decorso il quale si rinnova di anno in anno.

Il richiamato art. 32 prevede, però, anche delle cause di esclusione dal regime per tutti quei soggetti che pongono in essere:

•Operazioni con applicazione di regimi speciali di determinazione dell’Iva;

•Operazioni poste in essere nei confronti di cessionari o committenti che assolvono l’imposta mediante l’applicazione dell’inversione contabile.

Al fine della determinazione dell’imposta a credito o a debito il contribuente che ha optato per il cash accounting dovrà compilare i quadri:

•VE «Operazioni attive e determinazione del volume d’affari« indicando nella sezione 2 «Operazioni imponibili agricole e operazioni imponibili commerciali o professionali» l’imponibile (col.1) e l’imposta (col. 2) risultante dalle fatture incassate nel corso del 2017, nel rigo VE37 «Operazioni effettuate nell’anno ma con imposta esigibile in anni successivi» l’eventuale imponibile non ancora incassato (col.1 e 2) e nel rigo VE50 «Volume d’affari» la somma algebrica degli imponibili indicati nel quadro al netto di quelli derIvanti da operazioni effettuate in anni precedenti ma con imposta esigibile nel 2017;

•VF «Operazioni passive e Iva ammessa in detrazione» indicando nella sezione 1 «Ammontare degli acquisti effettuati nel territorio dello Stato, degli acquisti intracomunitari e delle importazioni» l’imponibile (col.1) e l’imposta (col. 2) risultante dalle fatture pagate nel corso del 2017, nel rigo VF21 «Acquisti registrati nell’anno ma con detrazione dell’imposta differita ad anni successivi» l’eventuale imponibile non ancora pagato (col.1 e 2) e nel rigo VF22 «(meno) Acquisti registrati negli anni precedenti ma con imposta esigibile nel 2017» l’ammontare degli acquisti effettuati in anni precedenti ma con imposta esigibile nel 2017. Dalla contrapposizione del totale dell’imposta sulle operazioni passive (VE26) ed attive (VF71) si determinerà l’imposta dovuta (VL3) o l’imposta a credito (VL4).

Fonjte “Il sole 24 ore”

Redditi PF, le entrate estere vanno indicate nel quadro RC

I contribuenti dipendenti che prestano la propria opera all’estero sono sempre più numerosi e, ai fini di una corretta tassazione e, quindi, compilazione del modello Redditi PF o del 730, occorre domandarsi se il lavoratore si considera ancora residente in Italia e se con il Paese estero sia stata firmata una Convenzione contro le doppie imposizioni, in quanto, in caso di risposta affermativa alla prima domanda, si applica il principio della world wide taxation, secondo cui i soggetti residenti in Italia sono ivi tassati sui redditi ovunque prodotti, mentre per un contribuente non residente sono imponibili i soli redditi prodotti in Italia (articolo 3, Tuir). La presenza della Convenzione, invece, influisce sulla possibilità di recuperare le imposte eventualmente pagate nell’altro Stato tramite il credito d’imposta oppure presentando un’istanza di rimborso.

Stando l’articolo 2 del Tuir, una persona si considera residente quando per almeno 183 giorni dell’anno solare è iscritta nelle anagrafi della popolazione residente o ha nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi dell’articolo 43 del Codice civile. In queste ipotesi, nonostante il lavoro sia prestato all’estero, il contribuente si considera residente nel territorio dello Stato e, pertanto, i redditi esteri saranno tassati in Italia, dovendoli dichiarare nel quadro RC del modello Redditi PF 2018, nei righi da RC1 a RC3. Tuttavia, in presenza di una Convenzione contro le doppie imposizioni con lo Stato estero, occorre, in primis, verificare in che Stato il lavoratore si considera residente, per poi appurare se il reddito da lavoro dipendente sia imponibile in entrambi i Paesi oppure unicamente nello Stato di residenza.

La maggior parte delle Convenzioni stipulate dall’Italia ricalcano il modello Ocse, il quale all’articolo 15, paragrafo 2, prevede la tassazione esclusiva da parte dello Stato di residenza e, quindi, l’Italia quando si verificano congiuntamente le seguenti tre condizioni:

1. il lavoratore soggiorna nello Stato estero per un periodo non superiore a 183 giorni;
2. le remunerazioni sono pagate da o a nome di un datore di lavoro che non è residente del Paese estero;
3. le somme non sono erogate da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nello Stato estero.

Sussistendo tali condizioni, i redditi da lavoro dipendente devono essere tassati esclusivamente in Italia, con la possibilità di richiedere il rimborso delle imposte pagate all’estero alla corrispondente agenzia delle Entrate del Paese estero.

Qualora, invece, la Convenzione preveda l’imponibilità delle remunerazioni in entrambi gli Stati, il contribuente potrà recuperare il versamento delle imposte estere fruendo del credito d’imposta di cui all’articolo 165 del Tuir. A tale fine, dovrà compilare il quadro CE di Redditi PF quando l’imposta estera sarà definitiva, non potendo richiedere le eventuali ritenute a titolo di acconto subite nell’altro Stato. Il credito d’imposta non compete per l’intero importo versato all’estero, ma spetta fino a concorrenza dell’imposta italiana calcolata sul rapporto tra il reddito estero e il reddito complessivo e, comunque, sempre nel limite dell’imposta italiana di competenza del 2017. In assenza di una Convenzione, i fenomeni di doppia imposizione possono essere superati con lo stesso iter appena analizzato.

Infine, si ricorda che ai fini della determinazione del reddito imponibile, le retribuzioni percepite da un lavoratore dipendente che presta il proprio lavoro all’estero per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di un anno, sono determinate sulla base di quelle convenzionali stabilite dal ministero del Lavoro con un decreto annuale e , per il 2017, sono fissate dal Dm 22 dicembre 2016, mentre per l’anno 2018 il decreto di riferimento è stato emanato in data 20 dicembre 2017.

Fonte “Il sole 24 ore”

La precompilata aggiorna le modifiche

Novità in vista per la precompilata 2018: a partire da quest’anno viene infatti introdotta una nuova funzionalità per consentire al contribuente di rettificare i dati delle spese nell’ambito di un servizio per la compilazione agevolata del quadro relativo agli oneri deducibili e detraibili della dichiarazione dei redditi. A prevederlo il provvedimento n. 76048/2018 pubblicato ieri sul sito dell’agenzia delle Entrate che si occupa nello specifico delle modalità tecniche di utilizzo dei dati delle spese sanitarie e delle spese veterinarie.

Secondo quanto ricavabile dal contenuto del provvedimento, a partire dal giorno in cui sarà possibile accettare, modificare o integrare direttamente la dichiarazione (2 maggio), il contribuente potrà modificare, sul sito dell’Agenzia, nell’area autenticata, tramite i servizi in cooperazione applicativa (servizio web service puntuale) esposti dal Sistema tessera sanitaria:

le informazioni di dettaglio relative alle singole spese sanitarie e ai rimborsi, anche in relazione alle spese sostenute per i familiari a carico, a esclusione delle spese e dei rimborsi per i quali l’assistito abbia manifestato l’opposizione. In particolare, il contribuente può eliminare oppure aggiungere o modificare i singoli documenti di spesa;

le informazioni di dettaglio relative alle singole spese veterinarie (e ai rimborsi).

In entrambi i casi, a seguito alle modifiche apportate, il Sistema tessera sanitaria crea una copia dei dati aggiornati delle spese e dei rimborsi e fornisce all’Agenzia, per ogni contribuente, i nuovi totali, che vengono utilizzati, come già anticipato, nell’ambito di un servizio per la compilazione agevolata del quadro della dichiarazione dei redditi relativo agli oneri deducibili e detraibili.

Per il resto, il provvedimento ricalca le stesse disposizioni stabilite dai provvedimenti 29 luglio e 15 settembre 2016. Restano invariati i dati forniti dal Sistema tessera sanitaria e le modalità di accesso ai dati e di consultazione da parte del contribuente dei dati aggregati e di quelli di dettaglio, disponibili sul sito delle Entrate. Restano invariate anche le modalità per l’opposizione a rendere disponibili i dati relativi alle spese sanitarie. Nel caso di scontrino parlante, il diniego può essere esercitato non comunicando il codice fiscale; nelle altre ipotesi, chiedendo esplicitamente al medico o alla struttura sanitaria di annotare l’opposizione nella fattura.

Con un ulteriore provvedimento (numero 76047/2018) sempre di ieri l’Agenzia ha fatto anche il punto sulle regole per l’accesso “fai da te”, o tramite Caf e intermediari abilitati, alla propria dichiarazione dei redditi. Nel provvedimento si ricorda che nella precompilata di quest’anno i contribuenti troveranno anche le spese per la frequenza degli asili nido e le erogazioni liberali destinate a Onlus, associazioni di promozione sociale, fondazioni e associazioni riconosciute aventi come scopo statutario la tutela, la promozione e la valorizzazione dei beni di interesse artistico, storico e paesaggistico e lo svolgimento o la promozione di attività di ricerca scientifica. Nell’area riservata sarà possibile visualizzare dal 16 aprile l’elenco delle informazioni relative al loro 730, in cui sono indicati separatamente i dati inseriti e quelli non inseriti (e le relative fonti informative). Le modalità di accesso alla dichiarazione restano le due ormai note: accesso diretto da parte del contribuente (Fisco on line, Cns o credenziali dispositive rilasciate dall’Inps ecc.) ed accesso da parte del sostituto d’imposta che presta assistenza fiscale, del Caf o del professionista abilitato previa acquisizione da parte di questi ultimi della specifica delega. L’accesso “delegato” alla dichiarazione precompilata è consentito fino al 10 novembre 2018, dopo una specifica richiesta all’Agenzia tramite file ovvero via web. In particolare, nella richiesta tramite file, il provvedimento modifica il riferimento temporale dei dati dichiarativi da indicare per aprire la precompilata su delega del contribuente: da quest’anno, infatti, si fa riferimento ai dati dichiarativi dell’anno che precede quello per cui viene richiesta la dichiarazione precompilata, e non più il “secondo anno precedente”, come riportavano le istruzioni del 2017.

Fonte “Il sole 24 ore”

Spese universitarie non statali a detraibilità variabile

Spesa detraibile per la frequenza di università non statali, variabile a seconda dell’area disciplinare e della zona d’Italia in cui ha sede l’ateneo.

L’articolo 15, comma 1, lett. e), DPR 917/1986, come modificato dall’articolo 1, comma 954, lett. b), della legge di Stabilità per il 2016, n. 208/2015, stabilisce che spetta una detrazione d’imposta Irpef, con riferimento alle spese sostenute per la frequenza di corsi di istruzione universitaria.

Dispone più precisamente la norma, con riferimento al periodo d’imposta 2015, che danno diritto ad una detrazione d’imposta, pari al 19 per cento, le spese sostenute per la frequenza di «corsi di istruzione universitaria presso università statali e non statali». In quest’ultimo caso, però, ossia di università non statali, la spesa su cui viene riconosciuta la detrazione in parola deve essere non superiore «a quella stabilita annualmente per ciascuna facoltà universitaria con decreto del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca», che deve essere emanato entro il 31 dicembre. Nella determinazione di tali importi, il decreto, sempre per disposizione di legge, deve tenere conto degli importi medi delle tasse e contributi dovuti alle università statali.

Con decreto 28 dicembre 2017 , ma pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 64 del 17 marzo 2018, sono state individuate le predette spese per il periodo d’imposta 2017, i cui redditi sono oggetto di dichiarazione nel 2018, attraverso il modello 730 e il modello Redditi PF 2018.

Il decreto individua varie aree disciplinari, e più precisamente quella medica, sanitaria, scientifico-tecnologica e umanistico-sociale, a cui viene abbinato un diverso limite di spesa a seconda che la sede dell’ateneo si trovi al Nord Italia, al Centro ovvero al Sud e nelle Isole.

Allegata al decreto vi è una elencazione dettagliata e analitica dei corsi di laurea che sono collegati alle quattro macro aree disciplinari individuate dall’articolo 1, comma 1, del decreto, nonché l’individuazione delle Regioni che fano parte del Nord, del Centro e del Sud e Isole.

Stabilisce ancora il decreto in commento che la spesa in oggetto e riferita agli studenti iscritti «ai corsi di dottorato, di specializzazione e ai master universitari di primo e secondo livello», viene indicata nell’importo massimo di euro 3.700, per gli atenei con sede al Nord, euro 2.900 per gli atenei con sede al Centro Italia e infine euro 1.800 per quelli del Sud e delle Isole.

Nella dichiarazione Redditi PF 2018, relativa al periodo d’imposta 2017, la detrazione in commento trova posto all’intero della Sezione I, del quadro RP, nei righi da RP8 a RP13 indicando, in colonna 1, il codice “13”. La detrazione va poi naturalmente riportata nel quadro RN, e più precisamente RN13, quadro destinato alla determinazione dell’imposta dovuta o a credito del contribuente.

Fonte “Il sole 24 ore”

Reddito d’impresa Leasing e comodato, iperammortamento al bivio

In fase di chiusura del bilancio relativo all’esercizio 2017 il calcolo della fiscalità assume un ruolo importante ed emerge la delicata questione della variazione diminutiva da iper/super ammortamento, che presenta criticità non risolte in occasione di Telefisco 2018. Nonostante i chiarimenti dell’Agenzia sull’interconnessione, restano aperti altri dubbi che rendono delicato il calcolo della variazione diminutiva, e in particolare:

– se il bonus spetta qualora il bene strumentale sia concesso in comodato d’uso;

– se interventi incrementativi su beni detenuti in leasing possano essere agevolati.

I beni in locazione gratuita

Dal punto di vista dell’impresa comodataria, i beni strumentali nuovi assunti in locazione gratuita non sono oggetto di alcuna agevolazione in quanto non sussiste il presupposto dell’acquisto in proprietà (o della costruzione in economia) che rappresenta il requisito necessario per l’agevolazione, con l’unica eccezione dell’acquisto tramite locazione finanziaria, ipotesi da sempre assimilata, sotto il profilo fiscale, all’acquisto diretto.

Il punto delicato è valutare la questione dal punto di vista del comodante. I beni concessi in comodato non sono classificati tra i beni merce bensì tra quelli strumentali per l’impresa comodante. Per valutare la sussistenza del bonus fiscale bisogna segnalare i precedenti interpretativi dell’Agenzia (da ultima la circolare 23/E/2016 ma in materia di detassazione Tremonti-bis analoghe considerazioni erano presenti nella circolare 90/E/2001) che ha considerato il tema del comodato d’uso. La conclusione a cui è sempre pervenuta l’Agenzia è che il bene, per essere fiscalmente agevolabile pur se concesso in uso a terzi, deve cedere la propria utilità al soggetto comodante e non a quello comodatario.

Tale situazione si manifesta nel caso in cui il cespite nuovo è utilizzato dal comodatario per eseguire certe lavorazioni su un bene merce che poi va restituito al comodatario per le ulteriori lavorazioni. Il caso del bene strumentale locato gratuitamente a terzi manifesta tale caratteristica nella fattispecie, ad esempio, dell’acquisto di un tintometro che viene ceduto in comodato ad una impresa che esegue lavorazioni sul prodotto per poi restituirlo all’impresa comodante che commercializza la vernice. In tal caso, come affermato dalla circolare 23/E/2016 ( che a sua volta richiama la risoluzione 196/E/2008) il bene ceduto in comodato conserva la sua natura di bene strumentale in capo all’impresa comodante , la quale, quindi potrà fruire del superammortamento. Diversa la situazione dei beni locati a titolo oneroso poiché in questo caso la stessa circolare 4/E/2017 , al paragrafo 5.2 ha riconosciuto che il beneficio spetta al locatore a condizione che l’attività di locazione costituisca l’oggetto principale della attività e ciò in linea con la sentenza della Corte di cassazione 16453/2014 in cui è stato affermato il carattere di strumentalità anche per beni che sono concessi in locazione nell’esercizio della propria attività.

Incrementi su beni in leasing

Altro tema delicato, gli interventi incrementativi sostenuti dall’impresa utilizzatrice di un bene in leasing soggetto a iperammortamento. Il costo potrà essere posto a base per il calcolo della variazione diminutiva del 150%?

Genera spesso dubbi tra gli operatori il passaggio della circolare 4/E/2017, (par. 5.2) in cui si afferma che nel bonus (in senso generale posto che il passaggio è inserito nella sezione superammortamento) non rientrano le spese sostenute su beni di terzi che «essendo prive di autonoma funzionalità, sono capitalizzabili nella voce “Altre immobilizzazioni immateriali”». Nell’ambito dell’iperammortamento, un passaggio successivo (par. 6.1.2) fa presente che sono agevolabili anche interventi tesi a rendere beni, già di proprietà dell’impresa, conformi al modello Industria 4.0, tramite ammodernamento o revamping. La circolare precisa in sostanza che tali interventi sono agevolabili, anche se eseguiti su beni non agevolati in quanto già esistenti.

Tale precisazione dovrebbe risultare valida, a maggior ragione, se l’intervento è eseguito sul bene in leasing che è a sua volta oggetto di iperammortamento. Del resto se l’acquisto in leasing è fiscalmente assimilato a quello eseguito tramite compravendita diretta, una discriminazione sulle spese incrementative risulterebbe iniqua. Il punto, per la sua delicatezza, meriterebbe una conferma da parte delle Entrate.

Fonte “Il sole 24 ore”

Spesometro, per il regime del margine l’intero importo indicato in fattura

La fatturazione di alcune tipologie di operazioni rilevanti ai fini Iva richiede l’adempimento di determinati obblighi informativi, nonché di registrazione, da cui derivano specifiche modalità di compilazione della comunicazione dei dati delle fatture emesse e ricevute all’articolo 21 del Dl 78/2010 (spesometro), in scadenza il prossimo 6 aprile. È il caso dell’inversione contabile (reverse charge) all’articolo 17 del Dpr 633/1972 e del regime del margine ex articolo 36 del Dl 41/1995. Nelle operazioni soggette a reverse charge, infatti, il meccanismo dell’assolvimento dell’imposta è capovolto e il relativo versamento compete al cliente, anziché al fornitore. Tale regime è volto al contrasto dell’evasione d’imposta ed è richiesto per determinate transazioni con soggetti esteri e per le operazioni «interne» riguardanti le ipotesi disciplinate dai commi da 5 a 7 dell’articolo 17 del Dpr 633/1972, relativi ai settori delle cessioni di oro industriale e di telefoni cellulari e dell’edilizia. A livello di fatturazione, ne consegue che:
•il cedente/prestatore emette la fattura senza l’addebito d’imposta, indicandovi che si tratta di un’operazione soggetta a reverse charge;
•il cessionario/committente deve integrare il documento ricevuto, indicando l’aliquota e l’imposta; successivamente, registra la fattura sia nel registro delle fatture emesse che in quello degli acquisti.

Al momento dell’invio dello spesometro, pertanto, il cedente compila, nel blocco Dte (dati relativi alle fatture emesse), il campo Natura della sezione Dati Riepilogo – dove si indica la natura dell’operazione o il motivo specifico per il quale il fornitore non addebita l’imposta in fattura – riportando il codice «N6», riservato unicamente alle operazioni in reverse charge. Il cliente, invece, trasmette unicamente i dati relativi alla fattura ricevuta e integrata dallo stesso, indicando nel blocco Dtr (dati relativi alle fatture ricevute), nel campo Natura, il medesimo codice «N6», ma è tenuto anche alla compilazione del campo Dati Iva, che prevede l’indicazione dell’Imposta e dell’Aliquota, entrambi in formato numerico e separando i decimali con il carattere «.» (circolare 1/E/2017).

Il regime del margine, invece, si applica alla cessione dei beni usati e agli oggetti d’arte, antiquariato e da collezione acquistati senza l’applicazione dell’imposta e prevede un diverso modo di determinazione dell’Iva da parte dei cedenti. In particolare, l’imposta è calcolata sulla differenza tra il prezzo di vendita e il costo sostenuto per l’acquisto dei suddetti beni, maggiorato delle spese sostenute per la loro riparazione. Tale regime non è riservato solo a chi abitualmente effettua tali cessioni (ad esempio rivendita di auto usate), ma anche ai soggetti passivi Iva che, invece, realizzano queste operazioni solo occasionalmente.

Il cedente in fattura indica il prezzo di vendita comprensivo dell’imposta e la dicitura che si tratta di un’operazione assoggettata a regime del margine. Ai fini dello spesometro, il fornitore compila il blocco delle fatture emesse (Dte), indicando nel campo Natura il codice «N5», ma attenzione all’ipotesi in cui si tratti di un’esportazione in quanto in questo caso si deve utilizzare il codice «N3», come chiarito dalla risoluzione 87/E/2017. In merito all’importo dell’operazione, le specifiche tecniche precisano, per le transazioni per le quali il fornitore non deve dettagliare l’imposta in fattura, il campo Imponibile Importo della sezione Dati Riepilogo deve riportare l’intero importo indicato in fattura e non solo la parte imponibile, in formato numerico separando i decimali con «.».

Fonte “Il sole 24 ore”

Dichiarazione Iva, per i fornitori il reverse charge passa dal quadro VE

Una volta che sarà archiviato lo spesometro, i professionisti dovranno concentrarsi sulla dichiarazione annuale Iva da trasmettere entro il prossimo 30 aprile. I quadri del modello presentano delle interconnessioni, considerato che spesso i dati dichiarati in un campo della dichiarazione devono essere riportati anche in un altro quadro, come nel caso delle operazioni soggette a reverse charge.

Il meccanismo dell’inversione contabile – applicato al settore edile, dell’oro e agli acquisti di Pc, cellulari e tablet, ma anche a quelli intra e extra Ue – inverte il procedimento di liquidazione dell’imposta, in quanto il debitore Iva è l’acquirente/committente; il fornitore, infatti, emette fattura senza addebitare l’imposta, la quale sarà poi versata dal cliente mediante l’integrazione del documento, che andrà contabilizzato sia nel registro degli acquisti che in quello delle vendite.

Nella dichiarazione Iva i fornitori indicheranno le operazioni attive nel quadro VE, mentre i clienti, nonostante le relative fatture risultino dal registro delle vendite, non compileranno quest’ultimo quadro, bensì i prospetti VF e VJ, in quanto si tratta comunque di operazioni passive. In particolare, la compilazione sarà la seguente:

•il fornitore riporta nel quadro VE, rigo VE35, tra le operazioni attive, unicamente il valore del bene ceduto o del servizio prestato;

•il cliente indica la fattura di acquisto integrata nel quadro VF, in corrispondenza dell’aliquota associata alla transazione posta in essere, mentre la registrazione contabilizzata nel registro delle vendite deve essere riportata nel quadro VJ (appositamente istituito per le operazioni in reverse charge), nel rigo corrispondente alla tipologia di operazione.

Ad esempio, un commerciante che cede ad un altro soggetto passivo (nell’ultima fase distributiva prima della rivendita al dettaglio) un tablet PC per 500 euro, dichiarerà l’operazione nel rigo VE35, nel campo 7, indicando l’importo di 500 euro, mentre nel campo 1 riporterà il totale delle operazioni effettuate in reverse charge, come nell’esempio .

L’acquirente, invece, dopo aver integrato il documento ricevuto con l’Iva al 22%, lo contabilizza nei due registri e la fattura, riportata nel registro degli acquisti, andrà indicata nel quadro VF, mentre la fattura contabilizzata nel registro delle vendite andrà dichiarata nel quadro VJ. In particolare, in quest’ultimo prospetto si compila il rigo VJ15 indicando nella colonna 1, l’importo € 500 a titolo di imponibile, mentre in colonna 2 si riporta l’imposta a debito dovuta a seguito dell’applicazione dell’inversione contabile.

Nell’ipotesi in cui, invece, il fornitore fosse un soggetto passivo residente o stabilito nell’Unione Europea, l’acquisto è comunque soggetto a reverse charge (e, quindi, ad integrazione fattura e a doppia registrazione), tale operazione non andrà indicata nel rigo VJ15, ma nel VJ9 dedicato agli «acquisti intracomunitari di beni».

L’imposta, in entrambi i casi, risulterà anche dal quadro VL, dedicato alla liquidazione complessiva dell’Iva, nella sezione dell’“imposta a debito”

La fattura contabilizzata nel registro degli acquisti va invece riportata nel quadro VF, in corrispondenza del rigo associato all’aliquota utilizzata per l’integrazione. Pertanto, nel nostro esempio, l’imponibile va indicato nella colonna 1 del rigo VF13, mentre l’Iva nella colonna 2. L’imposta dovrà essere riportata anche nel quadro VL, ma in quest’occasione, risulterà tra l’imposta a credito.

Quadro RW alla prova dell’antiriciclaggio

di Renzo Parisotto

Le istruzioni per la compilazione del quadro RW per il 2017 non contengono sostanziali novità rispetto all’anno precedente fatto salvo il rimando per i cosiddetti titolari effettivi – anch’essi indicati tra i soggetti di cui all’articolo 4 del Dl 167/90 tenuti a compilare il quadro RW – alle nuove previsioni contenute nell’articolo 1, comma 2, lettera pp) e nel successivo articolo 20 del Dlgs 21 novembre 2007 n.231 (norme antiriciclaggio) come introdotte dal Dlgs 25 maggio 2017, n. 90 (supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale 140 del 19 giugno 2017) . Nella prima norma sono fornite le definizioni di titolare effettivo quale persona fisica nel cui interesse «in ultima istanza» è istaurato il rapporto continuativo mentre nella seconda sono fornite definizioni di titolarità effettiva in caso di clienti diversi dalle persone fisiche.

La stessa Banca d’Italia nel documento diffuso recentemente sulle novità introdotte dal citato Dlgs 90/2017 afferma che i nuovi articoli «disciplinano in maniera significativamente diversa i criteri per la determinazione della titolarità effettiva ».

Ciò comporta la necessità per i potenziali titolari effettivi secondo le nuove disposizioni di definire il proprio status ed eventualmente quali siano state le rilevazioni che gli intermediari bancari/finanziari residenti o non residenti abbiano di conseguenza effettuato alle rispettive autorità fiscali nell’ambito dell’ormai avviato scambio di informazioni (vedi Crs). Per quanto attiene la normativa italiana si ricorda che l’articolo 1 del Dl 167/90 pone a carico degli intermediari l’obbligo di segnalazione periodica dei trasferimenti da e verso estero di mezzi di pagamento da parte dei soggetti a loro volta interessati dal quadro RW. Anche il citato articolo 1 a sua volta recepisce la modifica alla definizione di mezzi di pagamento introdotta con il Dlgs 90/2017.

In sintesi gli obblighi RW discendono dal Dl 167/90 il quale a sua volta tuttavia rimanda alla normativa antiriciclaggio innovata e non ancora compiutamente assimilata/illustrata. A corollario di ciò si ricorda il provvedimento 299737 del dicembre 2017 del direttore dell’agenzia delle Entrate nel quale sono state illustrate le comunicazioni che stavano per essere inviate ai contribuenti a seguito del mancato incrocio delle segnalazioni Crs e quadro RW – vedi anche Assofiduciaria 201807 sulla apparente erroneità di talune comunicazioni – ed ancora il disposto delle legge 25 ottobre 2017 n. 163 circa l’utilizzabilità da parte del Fisco dei dati antiriciclaggio (si veda Il Sole 24 Ore del 4 gennaio 2018).

Da altro lato il medesimo Dlgs 231/07 rivisto dal Dlgs 90/2017 contiene ora una definizione di valuta virtuale – articolo 1 comma 2 lettera qq) – pure citata nell’articolo 1 del Dl 167/90 da cui derivano obblighi di monitoraggio a carico degli intermediari. Va detto che quest’ultimo adempimento è a sua volta disciplinato da un provvedimento delle Entrate tuttora datato 24 aprile 2014 e recante riferimenti alla normativa antiriciclaggio superata per cui se ne attende una modifica a far tempo dall’anno 2017. Ci si chiede così se le conclusioni raggiunte dall’Agenzia con la risoluzione 72/E/2016 – ante Dlgs 90/2017 – in materia di monete virtuali , vale a dire irrilevanza reddituale delle operazioni a pronti, debbano considerarsi tuttora valide visto il richiamo nella stessa risoluzione al rispetto della 231/2007 «l’istante sarà tenuta agli obblighi». Nella denegata ipotesi di un diverso approccio sarà da chiarire quali siano i cambi/controvalori da esporre ed il codice Paese di riferimento (colonna 4).

Fonte “Il sole 24 ore”

Spesometro, al via lo slalom per la trasmissione dei dati

Gli intermediari incaricati alla trasmissione del cosiddetto spesometro, ex articolo 4 Dl 193/2016, dovranno seguire le modalità e le specifiche tecniche indicate dall’agenzia delle Entrate con provvedimento 28 ottobre 2016 n. 182070, provvedimento 27 marzo 2017 n. 58793, modificati dal provvedimento 5 febbraio 2018 n. 29190 che recepisce le semplificazioni introdotte dall’articolo 1-ter Dl 148/2017 in tema periodicità di comunicazione e di trasmissione di dati riepilogativi relativamente alle fatture emesse/ricevute di importo inferiore a 300 euro.

Nello specifico l’ufficio dispone che il soggetto obbligato, o incaricato alla trasmissione, inoltri un file con estensione Xml contenente in particolare:

•i dati identificativi del soggetto a cui si riferisce la comunicazione (per le fatture emesse il cedente/prestatore, per le fatture ricevute il cessionario/commettente);

•i dati delle controparti;

•i dati delle operazioni effettuate nel periodo di riferimento.

Al fine della corretta predisposizione del suddetto file il professionista/intermediario potrà, alternativamente, utilizzare:

•Il software di compilazione messo a disposizione sul sito dell’agenzia delle Entrate, il quale consente la compilazione della comunicazione mediante una serie di domande che determinano la struttura del file xml che avrà una nomenclatura del tipo «ITpartitaIva _DF_12345.xml»;

•Un software disponibile sul mercato che risponda alle specifiche tecniche previste dall’Amministrazione, tale da generare un file in formato XML con un nome che indichi il codice paese, l’identificativo univoco del responsabile della trasmissione, la tipologia di file (in tale caso sarà “DF”), il progressivo univoco del file.

L’ufficio accetta anche la trasmissione di file compressi contenenti uno o più file relativi a fatture emesse/ricevute purché di estensione «.Zip».

Creato il file o la cartella compressa è necessario apporvi la firma digitale utilizzando, alternativamente, uno dei seguenti sistemi:

•un certificato di firma qualificata rilasciato da una autorità di certificazione riconosciuta;

•il nuovo servizio di firma elettronica basata sui certificati rilasciati dall’agenzia delle Entrate, disponibile sulle piattaforme Desktop Telematico e Entratel Multifile;

•la funzione di sigillo disponibile nell’interfaccia web Fatture e Corrispettivi.

Relativamente alla cartella compressa, l’ufficio ha chiarito nelle «Specifiche tecniche – modalità di trasmissione dati» che «è possibile trasmettere i dati con un file compresso (.zip) non firmato se tutti i file Xml in esso contenuti sono firmati. Se, invece, i file Xml non sono tutti firmati, il file compresso deve essere obbligatoriamente firmato. La sola tipologia di firma che può essere apposta al file compresso è CAdESBES», in tale caso l’estensione del file firmato assume il valore «.zip.p7m».

Dopo la creazione e la firma, sarà necessario verificare attraverso il «software di controllo» che il file sia formalmente corretto, tale applicazione sarà reperibile all’interno della piattaforma Desktop Telematico o all’interno dell’interfaccia web «Fatture e corrispettivi – Funzioni di supporto – Controllo Dati Fattura».

Infine, l’intermediario procederà con il vero e proprio invio del file all’agenzia delle Entrate utilizzando una delle seguenti modalità:

•funzione di trasmissione delle Comunicazioni Dati Fatture disponibile nell’interfaccia web Fatture e Corrispettivi;

•uno dei canali di interazione con il Sistema di interscambio accreditati per la fatturazione elettronica;

•l’accreditamento di un canale di interazione specifico per la trasmissione delle comunicazioni Iva e dei dati fattura.

È, quindi escluso l’utilizzo della piattaforma «Desktop telematico».

Fonte “Il sole 24 ore”

Esportazioni «umanitarie» non imponibili

Le esportazioni per finalità umanitarie, caritative o educative, sono non imponibili in base a quanto disposto dalla lettera b-bis dell’articolo 8 del Dpr 633/1972 , introdotta dalla legge Comunitaria del 2017.

L’articolo 146 della Direttiva Iva di rifusione 112/2006/CE, al primo comma lettera C stabilisce che sono «esenti» da Iva «le cessioni di beni a organismi riconosciuti che li esportano fuori dalla Comunità nell’ambito delle loro attività umanitarie, caritative o educative fuori della Comunità».

Prima dell’intervento dell’articolo 9 della legge 167 del 20 novembre 2017 (Legge Europea 2017), all’interno del nostro ordinamento Iva non era prevista alcuna particolare norma connessa alla cessione extracomunitaria di beni collegata ad attività umanitarie, caritative o educative, come individuate dalla Direttiva Iva sopra richiamata.

La legge 167/2017, quindi, è intervenuta in materia aggiungendo una disposizione all’interno dell’articolo 8 del Dpr 633/1972, che già disciplina le esportazioni, sia dirette che indirette, ossia, per quanto riguarda queste ultime, con trasporto fuori dalla Comunità europea da parte o per conto del cessionario entro novanta giorni, al fine di disciplinare le cessioni sopra indicate e cioè quelle con scopi sostanzialmente umanitari.

La nuova lettera b-bis, del primo comma, dell’articolo 8 del Dpr 633/1972, dispone, infatti, che sono considerate cessioni all’esportazione non imponibili le cessioni nei confronti «delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti della cooperazione allo sviluppo iscritti nell’elenco di cui all’articolo 26, comma 3, della legge 11 agosto 2014, n. 125», ma a determinate condizioni.

Innanzitutto, il cessionario deve trasportare o spedire i beni fuori del territorio dell’Unione europea, anche attraverso un soggetto che lo effettua per suo conto, entra 180 giorni dalla consegna, con delle modalità, stabilisce sempre la norma, che dovranno essere definite dal Ministero dell’economia e delle finanze.

Inoltre, le cessioni dei beni devono avvenire, come già si è detto, in attuazione di finalità «umanitarie, comprese quelle dirette a realizzare programmi di cooperazione allo sviluppo».

Stabilisce altresì la norma che la prova dell’avvenuta esportazione dei beni deve essere data dalla documentazione doganale.

A livello sanzionatorio, attraverso un intervento sul primo comma dell’articolo 7 del Dlgs 471/1997, rubricato «Violazioni relative alle esportazioni», la legge 167/2017 in commento ha stabilito, per chi effettua operazioni non imponibili, una sanzione dal cinquanta al cento per cento dell’imposta, se il trasporto o la spedizione fuori del territorio europeo non avvenga nel termine dei 180 giorni previsti.

Resta fermo quanto disposto dal secondo periodo del medesimo primo comma, dell’articolo 7 appena richiamato, e cioè che, se nei trenta giorni successivi a quelli previsti per l’esportazione viene regolarizzata la fattura e versata l’imposta inizialmente non applicata, la sanzione non è dovuta.

Fonte “Il sole 24 ore”

Software integrati, bonus al 150%

di Luca Gaiani

I principi contabili guidano la qualificazione del software ai fini dell’iperammortamento. Se si tratta di programmi di base necessari al funzionamento del macchinario 4.0, il costo si cumula a quello della macchina su cui spetta la deduzione al 150%. In caso di software «stand alone», spetta invece l’ammortamento 40% purché si tratti di immobilizzazione immateriale secondo l’Oic 24. Per determinare il costo e gli oneri accessori, occhi puntati sull’Oic 16.

Nel calcolo dell’Ires del bilancio 2017, le società fanno i conti per la prima volta con l’iperammortamento. I princìpi contabili sono di ausilio per risolvere diverse questioni, ma restano dubbi su cui si attendono interventi.

Un primo aspetto riguarda il software rientrante nell’allegato B) alla legge 232/16 che, se si è realizzato almeno un investimento «iper», può usufruire della deduzione al 40 per cento. La circolare 4/E/17 ha affermato che l’incentivo riguarda i software «stand alone» anche se acquisiti in licenza d’uso, purché iscrivibili nelle immobilizzazioni immateriali.

L’Oic 24 stabilisce che il software applicativo acquistato a titolo di proprietà, nonché in licenza a tempo indeterminato o determinato si capitalizza quanto alle somme una tantum. Vanno invece a conto economico i canoni periodici o le royalties, che dunque non usufruiscono della agevolazione. Fiscalmente (e dunque anche per il 40%), il software in proprietà oppure in licenza a tempo indeterminato senza limitazioni si deduce in misura non superiore al 50% per ciascun esercizio, mentre la licenza a tempo determinato si ammortizza in base alla durata.

La circolare ha anche previsto che il software integrato acquistato unitamente al macchinario deve considerarsi agevolabile con l’iper del 150 per cento. Poiché il software di base va sempre capitalizzato sul valore del macchinario, il relativo costo si deve ritenere soggetto al 150% anche se acquisito presso un diverso fornitore (Assonime circolare 12/2017).

Rilevano per l’iperammortanento anche gli oneri accessori di diretta imputazione. Per individuarli correttamente sono di aiuto i principi contabili ed in particolare l’Oic 16. A titolo esemplificativo si tratta di: costi di progettazione, trasporti, dazi su importazione, costi di installazione, costi ed onorari di perizie e collaudi, costi di montaggio e posa in opera, costi di messa a punto. Le opere murarie ed edili (ad esempio il basamento di cemento di un macchinario), sono da sommare al costo iper (se sostenute dal 1° gennaio 2017), solo qualora non configurino una autonoma costruzione.

Una questione rilevante riguarda alcuni grandi impianti che, in quanto fissi al suolo, vengono accatastati alla stregua di immobili. La circolare 4/E (parlando di impianti fotovoltaici e eolici) ha chiarito che non sono agevolabili le componenti immobiliari oggetto di stima catastale, mentre rientrano nel bonus le componenti che assolvono a specifiche funzioni nell’ambito del processo produttivo e che non conferiscono all’immobile una utilità comunque apprezzabile (circolare 2/E/16).

È da ritenere che, anche nel caso di «macchinari-immobili», per quantificare il costo iperammortizzabile si debba adottare un criterio funzionale. Dovrebbe usufruire del 150% il costo delle strutture che sono necessarie e specifiche per il processo, come la gabbia metallica dei magazzini verticali, che è parte integrante e insostituibile del meccanismo automatizzato, pur costituendo anche involucro e struttura portante.

Fonte “Il sole 24 ore”

L’avviamento va dedotto per intero

di Primo Ceppellini e Roberto Lugano

 Il conferimento di azienda ha da tempo trovato una disciplina fiscale stabile nell’articolo 176 del Tuir. C’è però una fattispecie sulla quale le istruzioni dell’agenzia delle Entrate portano a conclusioni anomale: si tratta del caso in cui viene conferita una azienda acquistata in precedenza, per la quale è stato contabilizzato un avviamento.

La posizione ufficiale delle Entrate è stata espressa nella circolare 8/E del 4 marzo 2010; in modo abbastanza sorprendente, l’avviamento è stato considerato come un elemento scindibile dal complesso di beni aziendali che non può essere oggetto di conferimento: «Considerato che il valore dell’asset avviamento non è oggetto di trasferimento (ma viene stornato dalla contabilità del soggetto conferente in conseguenza della perdita di valore scaturente dalla dismissione del compendio aziendale di riferimento), si ritiene che tale posta contabile debba essere esclusa dal concetto di azienda conferita».

La dottrina ha ampiamente criticato questa posizione, propendendo per una ipotesi diametralmente opposta: la norma di comportamento Aidc n. 181 del 10 giugno 2011 ha infatti affermato che in caso «di conferimento d’azienda, in relazione alla quale sia già iscritta nella contabilità del conferente una posta a titolo di avviamento, il conferitario acquisisce l’avviamento unitamente agli elementi che compongono l’azienda e subentra nel valore fiscale che l’avviamento aveva in capo al conferente».

In ogni caso, secondo le Entrate, l’ammortamento dell’avviamento prosegue presso il soggetto conferente; trattandosi nel caso di specie di una società che continua a dichiarare reddito di impresa, non vi sono penalizzazioni derivanti da questa impostazione.

Diversa è la situazione in cui il soggetto conferente perde lo status di imprenditore, cosa che avviene nel caso di conferimento dell’impresa individuale. Sul tema è stata interpellata la Dre della Lombardia, che nella sua risposta (interpello n. 904-1573/2017) ha però ritenuto ancora applicabili, nonostante il caso diverso, le conclusioni della circolare 8/E/2010: «La deduzione del valore fiscale residuo dell’avviamento preesistente (che si ribadisce non viene trasferito alla conferitaria, ma resta presso il conferente), deve avvenire per intero, ai sensi dell’articolo 101, comma 5, del Tuir, nell’ultimo periodo d’imposta del conferente, quale ultimo evento fiscale che lo riguarda prima della perdita della qualifica di imprenditore».

L’effetto penalizzante in capo all’impresa, secondo la Dre, è comunque scongiurato grazie alla possibilità di riporto delle perdite: «L’eventuale risultato fiscale negativo (emergente dal quadro RF del modello redditi persone fisiche) cui concorre anche la deduzione del valore fiscale residuo non ammortizzato dell’avviamento, è utilizzabile, ai sensi dell’articolo 8 comma 3 del Tuir, da parte dell’ex imprenditore individuale (nel quadro RH dei successivi periodi d’imposta) in compensazione con altri redditi della stessa natura».

Il risultato sembra simile a quello raggiunto con la circolare del 2010, ma è solo un’apparenza: nel caso generale, le perdite fiscali nel mondo Irpef (articolo 8, comma 3, del Tuir) sono infatti riportabili solo nei cinque periodi di imposta successivi. Il risultato di questa impostazione, chiaramente non condivisibile, è che per cinque anni il reddito di partecipazione nella conferitaria viene abbattuto dal riporto delle perdite, mentre dal sesto anno in poi le perdite residue sono inutilizzabili e quindi perse.

La vicenda diviene paradossale, poi, nel caso di conferimento in società di capitali (non trasparenti): gli unici redditi futuri saranno dividendi, quindi una tipologia non compensabile con le perdite riportate.

Sarebbe auspicabile in futuro un ripensamento dell’amministrazione, volto soprattutto a tenere in considerazione l’aspetto economico-aziendale del tema, e cioè il fatto che l’avviamento non può mai essere scisso dall’azienda a cui si riferisce.

Modello Iva Base 2018: escluse Iva di gruppo e dichiarazioni integrative

Il modello Iva Base 2018 esclude i crediti emergenti da integrative a favore e l’Iva di gruppo. Da quest’anno, infatti, si allarga la platea di soggetti che, pur rientrando nei requisiti per la compilazione del modello Iva versione semplificata, sono obbligati a utilizzare il modello ordinario per la dichiarazione ai fini dell’imposta sul valore aggiunto.

Dettagliando quanto finora detto, l’Iva base non può essere utilizzato dai soggetti che hanno presentato nel 2017 dichiarazioni integrative a favore ai sensi dell’articolo 8, comma 6-bis, del Dpr 322/1998 (comma introdotto dall’articolo 5 del Dl 193/2016) e che, ai sensi del comma 6-quater del citato articolo 8, sono tenuti ad indicare il credito derivante dal minor debito o dal maggiore credito risultante dalle dichiarazioni integrative nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui sono presentate le dichiarazioni integrative. Per tale indicazione deve essere utilizzato, infatti, il quadro VN del modello Iva ordinario.

La modulistica semplificata ai fini Iva è altresì preclusa per l’ente o società commerciale controllante che intende avvalersi, per il 2018, della particolare procedura di compensazione dell’Iva di gruppo, prevista dal Dm 13 dicembre 1979 (aggiornato dal Dm 13 febbraio 2017 alle nuove disposizioni in materia di iva di gruppo), recante le norme di attuazione di cui all’articolo 73, ultimo comma del Dpr 633/1972.

L’opzione per la procedura della liquidazione iva di gruppo va comunicata all’agenzia delle Entrate tramite la compilazione del quadro VG nella dichiarazione Iva 2018. Ciò in quanto, chiaramente, tale quadro non fa parte del modello semplificato in parola (si veda l’articolo del Quotidiano del Fisco del 14 marzo).

Gli altri soggetti esclusi dalla compilazione semplificata sono:

• i soggetti non residenti che hanno istituito nel territorio dello Stato una stabile organizzazione ovvero che si avvalgono dell’istituto della rappresentanza fiscale o dell’identificazione diretta;

• le società di gestione del risparmio che gestiscono fondi immobiliari chiusi;

• i soggetti tenuti ad utilizzare il modello F24 auto UE;

• i curatori fallimentari e dai commissari liquidatori tenuti a presentare la dichiarazione annuale per conto dei soggetti Iva sottoposti a procedura concorsuale.

Con riguardo invece ai soggetti beneficiari della semplificazione modulistica, l’Iva base 2018 può essere utilizzato dai soggetti Iva, sia persone fisiche che soggetti diversi dalle persone fisiche, che nel corso dell’anno hanno:

• determinato l’imposta dovuta o l’imposta ammessa in detrazione secondo le regole generali previste dalla disciplina Iva e, pertanto, non hanno applicato gli specifici criteri dettati dai regimi speciali Iva quali, ad esempio, quelli previsti dall’articolo 34 per gli agricoltori o dall’articolo 74-ter per le agenzie di viaggio;

• effettuato in via occasionale cessioni di beni usati e/o operazioni per le quali è stato applicato il regime per le attività agricole connesse di cui all’articolo 34-bis;

Sono inclusi anche i soggetti che non hanno effettuato operazioni con l’estero (cessioni ed acquisti intracomunitari, cessioni all’esportazione ed importazioni, ecc.), oppure acquisti ed importazioni senza applicazione dell’imposta avvalendosi dell’istituto del plafond di cui all’articolo 2, comma 2, della legge n. 28 del 1997, nonché i soggetti che non hanno partecipato ad operazioni straordinarie o trasformazioni sostanziali soggettive.
Si ricorda che resta invariato il nuovo termine di presentazione del modello base che coincide con quello ordinario ossia il prossimo 30 aprile.

Fonte “Il sole 24 ore”

Turnover nella black list della Ue

Il Consiglio dell’Ecofin tenutosi ieri a Bruxelles è nuovamente intervenuto sulla black list recante l’elenco delle giurisdizioni “non cooperative”, emanata il 5 dicembre scorso.

Alla luce degli impegni di alto livello assunti per riformare le proprie politiche fiscali, Bahrain, Isole Marshall e Santa Lucia sono state tolte dalla lista nera e inserite in quella “grigia” dei Paesi sotto osservazione.

Alla lista grigia si aggiungono anche quattro delle otto giurisdizioni dei Caraibi che, a causa degli uragani del 2017, avevano beneficiato di un termine più lungo per replicare alle osservazioni eccepite dal gruppo “Codice di condotta” nella fase di screening. Si tratta di Anguilla, Antigua e Barbuda, Isole Vergini britanniche e Dominica, che si sono impegnate a rafforzare le carenze individuate nei propri sistemi fiscali.

Entrano invece a popolare la black list Bahamas, Saint Kitts e Nevis e le Isole Vergini statunitensi, mentre l’ottava giurisdizione dei Caraibi, le Isole Turks e Caicos, avrà tempo fino al 31 marzo prossimo per decidere se affrontare o meno le problematiche fiscali riscontrate in sede europea. Si ricorda che la lista era già stata oggetto di un primo correttivo con la decisione varata dall’Ecofin il 23 gennaio scorso, che aveva eliminato dall’elenco dei Paesi non collaborativi ben 8 delle 17 giurisdizioni inizialmente individuate, promuovendo, al contempo, Panama, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti, Barbados, Grenada, Macao, Mongolia e Tunisia nella grey list.

A oggi, quindi, la black list di matrice europea conta 9 giurisdizioni: American Samoa, Bahamas, Guam, Namibia, Palau, Samoa, Saint Kitts e Nevis, Trinidad e Tobago e Us Virgin Islands. Fanno invece parte della lista “grigia” 59 giurisdizioni in luogo delle originarie 47.

La black list avrà un impatto effettivo sui Paesi interessati. Ad esempio, i finanziamenti europei operanti nel contesto del Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile (Efsd), del Fondo europeo per gli investimenti strategici (Feis) e del Mandato di prestito esterno (Elm) non potranno più convogliare attraverso entità localizzate in Paesi “non collaborativi”. Inoltre, la lista è entrata a far parte di talune proposte legislative, quali la Com/2016/0198 final – 2016/0107 sul “Country by Country reporting”.

Nell’obiettivo dichiarato dal Consiglio, l’elenco intende promuovere il buon governo in materia fiscale a livello mondiale, massimizzando gli sforzi per prevenire l’elusione, la frode e l’evasione fiscale. Ciò dovrebbe peraltro favorire l’adozione da parte di tutti gli Stati membri di un elenco comune in grado di superare i limiti di un approccio patchwork alla lotta ai paradisi fiscali.

In questo scenario la scelta adottata dall’Italia di abbandonare il precedente sistema eretto sulla balck list in luogo di un criterio di identificazione dei regimi a fiscalità privilegiata basato esclusivamente sul livello di tassazione nominale del Paese estero, mette in luce la profonda distanza tra l’approccio domestico e quello europeo. E ciò non solo per lo strumento adottato dal Consiglio (per esempio la pubblicazione di una lista nera), quanto per i criteri utilizzati nella fase di screening basati su trasparenza fiscale, equità fiscale e adozione di misure anti-Beps.

Le differenze emergono anche confrontando i Paesi attualmente inseriti nella white list di cui al Dm 4 settembre 1996, posto che delle attuali 9 giurisdizioni contemplate nella black list europea, 3 rientrano nella withe list italiana, mentre delle 59 giurisdizioni facenti parte della grey list, 43 popolano anche la white list. In quest’ottica una rivisitazione dei criteri di individuazione dei Paesi a fiscalità privilegiata coerente con l’approccio europeo consentirebbe di superare l’incertezza che l’articolo 167, comma 4, del Tuir gioco-forza determina, creando al contempo un contesto più chiaro ed equo sia per le imprese, sia per gli stessi Paesi terzi .

 Fonte “Il sole 24 ore”

Scadenzario seconda rottamazione

l primo appuntamento con la rottamazione-bis delle cartelle Equitalia è stato il 31 ottobre quando l’agenzia delle Entrate-Riscossione ha predisposto il modello di adesione per i contribuenti esclusi dalla rottamazione-uno (perché avevano piani di dilazione in corso e non erano in regola con i pagamenti) e ora “ripescati” dalla rottamazione-bis. Da quel momento l’operazione è entrata nel vivo. Anche se ora i modelli dovranno essere aggiornati visto che il decreto fiscale collegato alla manovra è stato sensibilmente modificato nell’esame al Senato e ora è stato approvato definitivamente dalla Camera senza ulteriori modifiche.

Chi non è in regola con la prima rottamazione

Il primo fronte della rottamazione-bis riguarderà chi non è in regola con la rottamazione tuttora in corso. Alla luce delle modifiche apportate dal Senato, il 7 dicembre (rispetto alla versione originaria che prevedeva il 30 novembre) sarà il termine per pagare l’unica rata o le rate non versate alle scadenze del 31 luglio o del 2 ottobre (il termine slittato dal 30 settembre che cadeva di sabato). Scadrà il 7 dicembre anche l’eventuale terza rata del piano di pagamento di rottamazione che era prevista per il 30 novembre.

VENERDÌ IL DECRETO FISCALE 12 ottobre 2017

Cartelle non pagate e liti: nuova chance per chiudere i conti con il Fisco

Il secondo fronte: i «ripescati»

Il secondo fronte riguarda i contribuenti che sono stati esclusi dalla prima rottamazione perché al 24 ottobre 2016 avevano piani di rateazione in corso con l’ex Equitalia e non erano in regola con i pagamenti delle rate scadute entro il 31 dicembre dello scorso anno.

Alla luce delle modifiche apportate dal Parlamento questo è il nuovo calendario.

2 gennaio 2018 -> Agenzia delle Entrate-Riscossione deve aggiornare il modello di adesione alla rottamazione già predisposto a fine ottobre (il termine in realtà è il 31 dicembre ma cade di domenica e anche il 1° gennaio è festivo);

15 maggio 2018 -> Richiesta di adesione alla rottamazione delle cartelle per i contribuenti esclusi dalla prima rottamazione perché al 24 ottobre 2016 avevano piani di dilazione in corso con l’ex Equitalia e non erano in regola con i pagamenti a fine dello scorso anno

30 giugno 2018 -> L’agente della riscossione comunica l’ammontare delle rate scadute al 31 dicembre 2016, non pagate e da versare per mettersi in regola

31 luglio 2018 -> Per essere riammessi alla rottamazione delle cartelle bisogna versare in un’unica soluzione le rate non saldate, i cui importi sono stati comunicati dall’agente della riscossione entro il 30 giugno. Il mancato, insufficiente o tardivo versamento di queste somme determina l’esclusione dalla rottamazione

1° ottobre 2018 -> L’agente della riscossione comunica ai contribuenti riammessi l’ammontare delle somme dovute per la definizione , delle relative rate e il giorno e il mese di scadenza di ciascuna di esse (il termine in realtà è il 30 settembre ma cade di domenica e quindi slitta al giorno successivo)

31 ottobre 2018 -> Il contribuente deve versare una prima tranche del 40 % delle somme complessivamente dovute per la rottamazione

30 novembre 2018 -> Il contribuente deve versare una seconda tranche del 40 % delle somme complessivamente dovute per la rottamazione

28 febbraio 2019 -> Il contribuente deve versare l’ultima tranche del 20 % delle somme complessivamente dovute per la definizione

Il terzo fronte: le nuove adesioni per i carichi da gennaio a settembre 2017

Il terzo profilo della rottamazione-bis riguarda i contribuenti con carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio al 30 settembre 2017.

2 gennaio 2018 -> Agenzia delle Entrate – Riscossione deve predisporre il modello di adesione alla rottamazione dei carichi affidati al concessionario dal 1° gennaio al 30 dicembre 2017

15 maggio 2018 -> Termine per l’adesione alla rottamazione per i carichi affidati alla riscossione dal 2000 fino al 30 settembre 2017

31 marzo 2018 -> Agenzia delle Entrate-Riscossione comunica al contribuente l’affidamento di carichi per i quali non risulta ancora notificata la cartella

30 giugno 2018 -> Agenzia delle Entrate- Riscossione comunica entro questa data gli importi dovuti per la definizione della rottamazione, delle relative rate, il giorno e il mese di scadenza di ciascuna di esse

31 luglio 2018 -> Scade il termine per il versamento della prima o unica rata

1° ottobre 2018 -> Scade il termine per il versamento dell’eventuale seconda rata (il termine in realtà è il 30 settembre ma cade di domenica e quindi slitta al giorno successivo)

31 ottobre 2018 -> Scade il termine per il versamento dell’eventuale terza rata

30 novembre 2018 -> Scade il termine per il versamento dell’eventuale quarta rata

28 febbraio 2019 -> Scade il termine per l’eventuale quinta e ultima rata.

Il quarto fronte: le nuove adesioni per i carichi dal 2000 al 2016

C’è poi un quarto fronte che riguarda i contribuenti con carichi relativi agli anni 2000-2016 (quest’ultima è una novità inserita durante l’iter parlamentare di conversione del decreto fiscale) che non hanno fatto domanda di adesione alla prima rottamazione. Anche per questi ultimi (così come i «ripescati») la rottamazione potrà essere pagata solo in tre rate.

2 gennaio 2018 ->Agenzia delle Entrate – Riscossione deve predisporre il modello di adesione alla rottamazione dei carichi affidati al concessionario dal 2000 al 2016

15 maggio 2018 -> Termine per l’adesione alla rottamazione per i carichi affidati alla riscossione dal 2000 al 2016 ma è necessario non aver già presentato domanda alla prima rottamazione

1° ottobre 2018 -> L’agente della riscossione comunica ai contribuenti ammessi l’ammontare delle somme dovute per la definizione , delle relative rate e il giorno e il mese di scadenza di ciascuna di esse (il termine in realtà è il 30 settembre ma cade di domenica e quindi slitta al giorno successivo)

31 ottobre 2018 -> Il contribuente deve versare in un’unica tranche o in alternativa una prima tranche del 40  % delle somme complessivamente dovute per la rottamazione

30 novembre 2018 -> Il contribuente deve versare la seconda eventuale tranche del 40% delle somme complessivamente dovute per la rottamazione

28 febbraio 2019 -> Il contribuente deve versare l’ultima tranche del 20% delle somme complessivamente dovute per la definizione.

Fonte “Il sole 24 ore”

Usufrutto, gli interessi passivi sui mutui trovano spazio nel modello Redditi Pf

L’articolo 15, comma 1 lettera b) del Tuir prevede la detrazione Irpef, nella misura del 19%, degli interessi passivi ed oneri accessori pagati per mutui ipotecari contratti per l’acquisto di immobili da adibire ad abitazione principale entro un anno dall’acquisto, per un importo non superiore a 4mila euro.

Contrastando con la consolidata prassi dell’agenzia delle Entrate (circolare 95/E/2000, punto 1.2.7 e 108/1996, punto 2.3.1, secondo cui la detrazione «non compete mai all’usufruttuario in quanto lo stesso non acquista l’unità immobiliare»), la Cassazione nella sentenza n. 22191/2016 ha, invece, esteso l’ambito applicativo di detta detrazione, affermando che il riferimento all’«acquisto dell’unità immobiliare», rapportato all’esigenza dell’abitazione, deve intendersi come acquisto di un diritto reale, quale esso sia, compreso quindi il diritto di usufrutto, uso e abitazione, in grado di soddisfare l’esigenza abitativa.

Da tale pronunciamento possono derivare conseguenze operative per eventuali valutazioni sulla scelta del modello da presentare nella imminente campagna dichiarativa. Anche quest’anno, infatti, gli usufruttuari, dipendenti o pensionati, che intendessero aderire all’orientamento giurisprudenziale e detrarre gli interessi passivi in argomento, non potranno rivolgersi ai Caf o ai professionisti abilitati per compilare il modello 730.

Essi, infatti, poiché sono responsabili del visto di conformità sul quadro E, non possono ammettere una detrazione non espressamente prevista dalla norma o dalla prassi dell’agenzia delle Entrate, a pena di assumere conseguenze per infedeltà che traslerebbero su di loro sia la contestazione tributaria che quella sanzionatoria.

La posizione del Fisco, peraltro, non è stata modificata né all’interno del testo unico delle detrazioni fiscali costituito dalla corposa circolare 7/E/2017 né nelle istruzioni delle dichiarazioni relative al periodo d’imposta 2018, del tutto indifferenti al citato pronunciamento.

Conseguentemente, per sostenere la detraibilità degli interessi per acquisto di usufrutto, i contribuenti non potranno che compilare il quadro RP del modello Redditi 2018 ed eventualmente, in caso di controllo 36-ter del Dpr 600/1973 che eccepisse l’indebita detrazione, incardinare un contenzioso tributario.

Parallelamente, peraltro, potrà valutata anche l’opportunità di presentare dichiarazioni integrative a favore, per recuperare il credito di imposta di tutte le annualità pregresse ancora aperte (periodo di imposta 2013 e successivi), compilando, ove previsto, anche il quadro DI.

Allo stato, però, persiste una paradossale situazione nella quale chi acquista l’usufrutto di un immobile per adibirlo ad abitazione principale, da un lato è tenuto ad indicare il reddito fondiario al quadro RB, dall’altro lato non può detrarre al rigo RP7 gli interessi passivi per il mutuo finalizzato al suo acquisto, mentre, al rigo RP8 (codice 17) può usufruire della detrazione per eventuali oneri di intermediazione pagati all’agenzia immobiliare per l’acquisizione di tale diritto reale (circolare n. 34/E/2008, risposta 13)

Redditi Pf 2018: gli affitti brevi arrivano nel nuovo quadro LC

Il nuovo quadro LC del Modello Redditi Pf 2018 accoglie la recente disciplina sulle cosiddette locazioni brevi introdotta dall’articolo 4 del Dl 50/2017. Si ricorda, infatti, che a decorrere dal 1° giugno 2017 ai redditi derivanti da queste locazioni è possibile applicare un’imposta sostitutiva nella forma della cedolare secca del 21%.

L’articolo 4 del Dl 50/2017 individua nelle locazioni brevi quei «contratti di locazione di immobili ad uso abitativo di durata non superiore a 30 giorni, ivi inclusi quelli che prevedono la prestazione dei servizi di fornitura di biancheria e di pulizia dei locali, stipulati da persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, direttamente o tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, ovvero soggetti che gestiscono portali telematici, mettendo in contatto persone in cerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare».

La stessa possibilità è stata estesa anche ai redditi derivanti dai contratti di sublocazione e dai contratti a titolo oneroso conclusi dal comodatario aventi ad oggetto il godimento dell’immobile da parte di terzi.

Alla luce di quanto sopra, da quest’anno, tra i soggetti obbligati alla compilazione del nuovo quadro LC, rientrano anche le persone fisiche non titolari di partita Iva che locano a soggetti, anch’essi persone fisiche che agiscono al di fuori dell’attività di impresa, un’unità immobiliare a destinazione residenziale (classificate nelle categorie catastali da A1 a A11, ad esclusione di A10, e le relative pertinenze, nonché le singole stanze), per una durata inferiore a 30 giorni, e pertanto non soggetta a registrazione obbligatoria.

Sono esclusi da tale disciplina i soggetti che esercitino un’attività commerciale anche se in modo occasionale, ossia quando i canoni di locazione percepiti sono redditi diversi ex articolo 67, comma 1 lettera h) del Tuir, piuttosto che redditi fondiari (o derivanti dalla sublocazione o dal contratto di comodato).

L’opzione per la cedolare secca andrà espressa direttamente nel quadro RB del modello Redditi Pf in colonna 11, così come, nello stesso quadro, andranno indicati i redditi derivanti da detta tipologia di locazione, oltre agli altri (colonna 14). Qualora si proceda alla registrazione del contratto, l’opzione dovrà essere espressa anche in tale sede.

La funzione del nuovo quadro LC, infatti, è proprio quella di liquidare l’imposta dovuta sui corrispettivi incassati dalle locazioni brevi, per i quali si è optato per l’imposta sostitutiva del 21% e dai canoni di locazioni per i quali si è optato per la cedolare secca al 21% o al 10%, ricomprendendo, quindi, tutti quei contratti per i quali il locatore ha scelto la cedolare secca.

Ricordiamo, infine, che la circolare dell’agenzia delle Entrate 24/E/2017, sempre nell’ambito delle locazioni brevi, ha chiarito che:

•la fornitura di biancheria e la pulizia dei locali sono servizi che devono ritenersi strettamente funzionali alle esigenze abitative di breve periodo;

•include tra i servizi di cui all’articolo 4 anche la fornitura di utenze, il wi-fi e l’aria condizionata;

•il servizio di colazione o di fornitura pasti, invece, costituisce un servizio commerciale ed esclude l’applicabilità dell’imposta sostitutiva.

 Fonte “Il sole 24 ore”

Versamenti Redditi 2018 con la doppia rata il 20 agosto

Ogni tanto anche il Fisco ha le sue stravaganze. Per chi non vi si sia ancora imbattuto, suggeriamo di prendere visione della tabella delle rateizzazioni per i contribuenti titolari di partita Iva, contenuta nelle istruzioni del modello Redditi persone fisiche 2018 (fascicolo 1, pagina 9), che devono utilizzare i soggetti che decidono di versare a rate entro il maggior termine previsto per coloro che scelgono di versare con la maggiorazione dello 0,40 per cento.

La tabella riporta la seguente sequenza di date di scadenza delle rate, con i relativi interessi:
•prima rata 20 agosto 2018;
•seconda rata 20 agosto 2018, con interessi dello 0 per cento;
•terza rata 17 settembre 2018, con interessi dello 0,33 per cento;
•quarta rata 16 ottobre 2018, con interessi dello 0,66 per cento;
•quinta rata 16 novembre 2018, con interessi dello 0,99 per cento.

È scritta proprio così, non ci sono errori di digitazione, la prima e la seconda rata si versano entrambe il 20 agosto 2018. Ma come mai la tabella di rateizzazione riporta tale sequenza di date, che sembrerebbe apparentemente non coerente? Il tutto è chiaramente frutto di un’attenta osservanza delle norme, ma forse (almeno questa è la nostra sensazione), ed è questo il nostro sospetto, potrebbe esserci anche qualche piccolo errore.

Proviamo a esaminare, per ciascuna delle scadenze, il termine indicato e a verificare anche il calcolo degli interessi:
•prima rata al 20 agosto 2018. Per la determinazione di tale data, non così intuitiva, si parte dalla scadenza naturale del 30 giugno 2018, che cadendo in un giorno festivo va al 2 luglio 2018, a questa si aggiungono i 30 giorni consentiti dal versamento con maggiorazione dello 0,40 per cento e si arriva così al 1 agosto 2018, termine che fruisce dell’ulteriore differimento al 20 agosto 2018 cui rientra qualsiasi versamento che scada dal 1 agosto al 20 agosto di ogni anno. Chiaramente non sono indicati gli interessi, trattandosi della 1° rata. Per quanto riguarda la 1° rata, quindi, tutto condivisibile, nessuna osservazione da fare.
•seconda rata al 20 agosto 2018. Qui le cose si complicano, perché l’agenzia delle Entrate riparte dal 1 agosto 2018 e da lì determina il termine della 2° rata al 16 agosto 2018, che fruisce anch’esso dell’ulteriore differimento al 20 agosto 2018 cui rientra qualsiasi versamento che scada dal 1 agosto al 20 agosto di ogni anno. Interessi indicati zero per cento. Qui ci permettiamo di avere qualche dubbio: perché si riparte dal 1 agosto 2018? La 1° rata è il 20 agosto 2018, è da qui che chiunque ripartirebbe per determinare la 2° rata, anche perché poi gli interessi indicati nella misura dello 0,00 per cento sono evidentemente calcolati proprio dal 20 agosto 2018 e non dal 1 agosto 2018 (altrimenti avremmo lo 0,22 per cento di interessi). Sembrerebbe una contraddizione piuttosto evidente.
•terza rata 17 settembre 2018, con interessi dello 0,33 per cento. Sul termine nessuna osservazione particolare (se non che saremmo un mese in anticipo), ma sulla percentuale degli interessi i conti non ci tornano. Lo 0,33 per cento è calcolato con riferimento al tasso del 4 per cento annuale per 1/12 (cioè un mese). Ma dal 20 agosto 2018 al 17 settembre 2018 c’è meno di un mese, per cui gli interessi dovrebbero essere solo dello 0,29 per cento. Infatti, ad esempio, nella tabella della pagina precedente dei soggetti privati, per il differimento dal 20 agosto 2018 al 31 agosto 2018 è correttamente indicato l’interesse dello 0,11 per cento, cioè lo 0,33 mensile per 1/3 di mese cui corrispondono gli 11 giorni di differimento.
•quarta rata 16 ottobre 2018, con interessi dello 0,66 per cento e quinta rata 16 novembre 2018, con interessi dello 0,99 per cento. Sembra tutto corretto, nulla da segnalare.

Ebbene, possibili errori a parte, proviamo prima a fare qualche considerazione di “economicità” e poi a ricordare quanto fu fatto in passato, più precisamente nel 2012, in un’analoga situazione.

La prima considerazione, che riteniamo essere di puro buon senso, è la seguente: chi versa con maggiorazione dello 0,40% e anche a rate, non ha probabilmente grandi disponibilità di liquidità, altrimenti avrebbe scelto un’altra modalità di versamento meno onerosa. Ma davvero si vuole chiedere a un contribuente che si trova in questa situazione, proprio nel mese di agosto, laddove notoriamente gli incassi non sono tra i più elevati (tranne forse in qualche settore specifico), di versare due rate insieme? Visto anche che ogni giorno di differimento è coperto dagli interessi?

La seconda considerazione è che questi strani “incroci” di calendario non sono straordinari, ma accadono con una frequenza relativamente elevata. Difatti abbiamo già avuto una situazione molto simile nel 2012, laddove le Entrate in fase di stesura delle istruzioni avevano inizialmente preso una posizione simile a quella odierna, ma poi aveva corretto il tiro con alcuni pronunciamenti ufficiali cui ci si potrebbe riferire anche in questo caso.
Sul punto non possiamo non citare l’articolo scritto da Salvina e Tonino Morina, dal titolo «Per le Entrate la tentazione della doppia rata ad agosto», pubblicato su questa testata lo scorso 21 gennaio, nel quale gli autori – non condividendo la presa di posizione dello scorso anno dall’Agenzia con la circolare 8/E/2017 (paragrafo 11.2) relativa a un caso simile, anche se non proprio uguale – indicano invece la risoluzione 69/E/2012 come il corretto documento di prassi da prendere a riferimento per dirimere la questione (segnaliamo che vengono citati anche analoghi pronunciamenti, quali la circolare 192/E/1998, la circolare 50/E/2002, la risoluzione 128/E/2007).
Dal nostro punto di vista, come AssoSoftware in rappresentanza dei produttori di software associati, pur non essendo direttamente interessati (i diretti interessati sono di fatto esclusivamente i contribuenti), non possiamo non segnalare i disagi e le criticità che prese di posizioni come questa possono creare.

In particolare segnaliamo queste due criticità:
■la prima è di tipo operativo e ci interessa direttamente, laddove la prima reazione degli operatori che utilizzano le procedure sviluppate dai nostri associati è che vi sia un errore di programma («Due rate lo stesso giorno!! Possibile?») e quando ci contattano per chiarimenti, quasi sempre va a finire che sono le software house a non aver capito nulla;
■la seconda, riguarda il rapporto di fiducia tra il fisco e i contribuenti, che sicuramente non beneficia di queste scelte. È vero che è un problema che apparentemente non riguarda le software house, tuttavia essendo noi in qualche modo all’interno della filiera dell’assistenza fiscale, abbiamo il dovere di fare tutto quanto ci è possibile perché tutto il sistema funzioni al meglio.

Ci auguriamo, quindi, che si possa fare un ulteriore sforzo e addivenire a una soluzione interpretativa più equa e giusta. Ricordiamo che proprio la stessa Agenzia, con la circolare 1/E/2018 sulle nuove regole della detrazione Iva, ha dimostrato di poterlo fare con grande saggezza e capacità.

La cosa importante, dal nostro punto di vista, sarebbe intervenire in fretta ovvero confermare in via definitiva la posizione attuale; da scongiurare, invece, qualsiasi modifica dell’ultima ora.

Fonte “Il sole 24 ore”

Modello Redditi Pf 2018, cambiano detrazioni e deduzioni per sanità, scuola e casa

Il quadro RP del modello Redditi Pf 2018 è stato modificato per recepire le novità in materia di oneri deducibili e detraibili previste per il periodo di imposta 2017, tra le quali vi rientra la detrazione, come spesa sanitaria, degli oneri sostenuti per l’acquisto di alimenti a fini medici speciali (Afms), di cui alla sezione A1 del Registro nazionale di cui all’articolo 7 del Dm 8 giugno 2001 (consultabile anche sul sito del ministero della Sanità), con l’esclusione di quelli destinati ai lattanti e celiaci (Dl 148/2017).

Gli Afms, rientrando quindi tra le spese mediche, sono detraibili nella percentuale del 19% per la parte che eccede la franchigia di 129,11 euro, anche se acquistati per le persone fiscalmente a carico. Si ricorda che, per effetto della legge Cirinnà (legge n. 76/2016), i partner dell’unione civile hanno gli stessi diritti dei coniugi, cosicché sono ricompresi nel novero dei familiari a carico. A contrario, in caso di convivenza, le spese sostenute in favore del convivente non sono agevolabili se non per espressa previsione di legge (es. bonus edilizi).

Le altre modifiche riguardano le spese scolastiche e gli studenti universitari. In merito alla prima fattispecie, la legge n. 232/2016 ha modificato i limiti di detrazione delle spese di istruzione non universitaria, prevedendo la possibilità di calcolare il 19% su un limite massimo di 717,00 euro (in luogo di 564 euro); di conseguenza, l’importo detraibile non potrà essere superiore ad 136,23 euro.

Per gli studenti universitari, invece, cambiano le regole di detrazione dei canoni di locazione (legge 205/2017). Infatti, a regime, la riduzione del 19%, calcolata su un importo di spese pari a 2.633 euro (detrazione massima pari ad 500,27 euro), compete se l’università è ubicata in un comune diverso da quello di residenza, distante da almeno 100 chilometri e comunque in una provincia diversa.

Eccezionalmente, per gli anni 2017-2018, il requisito della distanza si intende rispettato anche all’interno della stessa provincia ed è ridotto a 50 chilometri per gli studenti residenti in zone montane o disagiate; il limite massimo detraibile, invece, è invariato.

Anche in tema di investimenti, vi sono alcune novità. Infatti, a chi investe nel capitale sociale di una start-up o PMI innovativa è riconosciuta una detrazione d’imposta del 30%, da calcolare su un importo non eccedente 1 milione.

Come ogni anno, infine, le altre modifiche riguardano le detrazioni “comparto casa”; infatti, per il periodo d’imposta 2017:

•sono state prorogate le detrazioni: del 50% relative agli interventi di ristrutturazione edilizia e all’acquisto di mobili per gli immobili ristrutturati (bonus mobili), del 50% dell’Iva dovuta sull’acquisto di unità immobiliari in classe energetica A o B e del 65% per i lavori di risparmio energetico.

•è stato modificato il Sismabonus, che per le spese sostenute dal 1° gennaio 2017 compete nella misura del 50%, da ripartire in 5 rate annuali ed è fruibile, oltre che per le zone 1 e 2 dell’Opcm 20 marzo 2004, anche per gli immobili situati nella zona 3.

Qualora dagli interventi consegua un passaggio ad una classe di rischio inferiore, la detrazione è pari al 70% o, in caso di condomini, al 75%, mentre è dell’80%, se il rischio diminuisce di due classi ed è innalzata all’85% per i lavori condominiali.

Anche per gli acquisti di case ricostruite allo scopo di ridurre il rischio sismico spetta la detrazione del 75% o dell’85% sul costo di acquisto, se, a seguito dei lavori, il rischio sismico è diminuito rispettivamente di una o due classi.

•è stato introdotto il cd. Ecobonus qualificato, che prevede detrazioni del 70% e del 75% per specifici interventi effettuati sulle parti comuni degli edifici condominiali, finalizzati alla riqualificazione energetica della struttura.

Fonte “Il sole 24 ore”

Saldo Iva 2018

Venerdì 16 marzo scade il termine per l’effettuazione del versamento dell’Iva a debito dovuta in base alla dichiarazione annuale per il periodo d’imposta 2017. Sono previste diverse modalità di versamento del saldo Iva e sull’argomento nel corso di Telefisco 2018 è stato fornito un importante chiarimento: il saldo Iva potrà , a discrezione del soggetto interessato, essere versato il 20 agosto con la maggiorazione dello 0,40%.

Le possibilità previste del versamento del saldo Iva

Come si evince anche dalla istruzioni allegate al modello Iva 2018, approvato con provvedimento del direttore delle Entrate n. 10581 del 15 gennaio 2018, i contribuenti possono versare il saldo Iva in unica soluzione ovvero rateizzare ai sensi dell’articolo 20 del Dlgs 9 luglio 1997, n. 241.

Il versamento può essere differito alla scadenza prevista per il pagamento delle somme dovute in base alla dichiarazione dei redditi, con la maggiorazione dello 0,40% a titolo d’interesse per ogni mese o frazione di mese successivo al 16 marzo. Anche i soggetti con esercizio non coincidente con l’anno solare possono avvalersi del differimento del versamento dell’Iva, versando l’imposta entro il 30 giugno a prescindere dai diversi termini di versamento delle imposte sui redditi.

Le istruzioni precisano che la maggiorazione dello 0,40%, prevista per ogni mese o frazione di mese, si applica sulla parte del debito non compensato con i crediti riportati in F24.

I chiarimenti di Telefisco 2018

Durante Telefisco 2018 è stato posto un quesito ai funzionari dell’agenzia delle Entrate relativo al fatto se il saldo Iva per il 2017 possa essere versato entro i 30 giorni successivi alla scadenza del termine per il saldo delle imposte sui redditi del 30 giugno 2018, che slitta al 2 luglio; poiché i 30 giorni successivi scadono il 1° agosto, è stata chiesta la conferma se questa scadenza slitta poi al 20 agosto in quanto beneficia della proroga di Ferragosto.

I funzionari delle Entrate hanno chiarito che, per effetto di quanto disposto dal comma 11-bis, articolo 37, della legge n.223/2006 (introdotto dall’articolo 3-quater, comma 1. D.L. 2 marzo 2012, n. 16), gli adempimenti fiscali (compresi gli obblighi di versamento) che scadono tra il 1° ed il 20 agosto di ogni anno, possono essere effettuati entro il giorno 20 dello stesso mese, senza alcuna maggiorazione.

Di conseguenza, è stato confermato che il saldo Iva 2017 può essere versato entro:

• il 16 marzo 2018, senza maggiorazione;

• il 2 luglio 2018, maggiorando la somma da versare degli interessi nella misura dello 0,40% per ogni mese o frazione di mese successivi al termine di pagamento del saldo dovuto con riferimento alla dichiarazione dei redditi ;

• il 20 agosto 2018, maggiorando le somme da versare dello 0,40%, a titolo di interesse corrispettivo.

Fonte “Il sole 24 ore”

Utilizzo con meno vincoli per l’integrativa a favore

Detrazione dell’Iva solo in presenza dell’effettuazione dell’operazione e della fattura; dichiarazione integrativa a favore sempre utilizzabile per recuperare la detrazione persa, ma utilizzo del maggior credito con ritmi diversi a seconda del momento di invio della integrativa.

Possono essere così sintetizzati i punti salienti del nuovo meccanismo che coinvolge la detrazione Iva, chiariti dall’agenzia delle Entrate con la circolare 1/E del 17 gennaio di quest’anno, che abilmente e in aderenza ai principi europei, è riuscita a dirimere la questione del “poco” coordinamento tra articoli 19 e 25 del Dpr 633/1972, modificati al Dl 50/2017.

L’agenzia delle Entrate è, quindi, arrivata alla condivisibile conclusione che l’imposta sul valore aggiunto diviene esigibile e, quindi, sorge il diritto alla sua detrazione, solo qualora si manifestino contemporaneamente due condizioni: la prima è che l’operazione si consideri effettuata nei termini previsti dall’articolo 6 della legge Iva, e la seconda è che il contribuente, cessionario o committente, sia in possesso della fattura di acquisto.

Tale regola, naturalmente, non vale solo per le operazioni a cavallo d’anno, ossia con operazione effettuata nel 2017 e fattura consegnata al cliente nel 2018, ma anche per quelle avvenute in corso d’anno.

Si pensi ad un’operazione effettuata a febbraio, ma con fattura fisicamente pervenuta al cliente nel successivo mese di marzo, ancorché datata fine febbraio. Guardando ai chiarimenti forniti dall’Agenzia, la detrazione può avvenire solo a partire dal mese di marzo, nel quale si concretizzano le due già menzionate condizioni.

In ogni caso, l’esercizio al diritto alla detrazione può essere esercitato, una volta individuato l’anno in cui esso sorge, al più tardi con la dichiarazione annuale Iva relativa a tale anno. Nel caso in cui, però, la registrazione della fattura avvenga nell’anno successivo, la registrazione va effettuata in un apposito registro sezionale.

Se addirittura la registrazione avviene dopo la data di presentazione della dichiarazione annuale appena citata, allora, al fine di non perdere la detrazione, il contribuente deve presentare una dichiarazione integrativa a favore.

Si ricorda che in presenza di una integrativa inviata entro la scadenza dei termini per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo a quello integrato, il maggior credito scaturente dalla dichiarazione può trovare utilizzo già nel medesimo anno, mentre in presenza di integrativa che viene presentata oltre tale data, la compensazione, o il rimborso, può avvenire solo dal primo gennaio dell’anno successivo e la compensazione può riguardare solo debiti tributari maturati nel predetto anno successivo.

In occasione di Telefisco 2018, l’agenzia delle Entrate ha confermato che l’utilizzo del maggiore credito, in caso di integrativa ultrannuale, può avvenire già fin dal primo gennaio dell’anno successivo a quello di sua presentazione, ma occorre fare attenzione che tale maggior credito, che deve essere indicato anche all’interno della dichiarazione relativa all’anno in cui l’integrativa è presentata, non sia utilizzato due volte.

È stato anche chiarito che il meccanismo di compensazione dall’anno successivo, per l’integrativa ultrannuale, non può esser superato attraverso la presentazione di una serie di integrative a catena.

Fonte “Il sole 24 ore”

Regime per cassa, rimanenze finali da monitorare in Redditi SP

Il regime di cassa debutta in dichiarazione. Il quadro RG del modello Redditi SP 2018, infatti, recepisce il nuovo regime di determinazione del reddito delle imprese minori all’articolo 66 del Tuir, come modificato dalla legge di Bilancio 2017. Il nuovo criterio è il regime naturale per coloro che adottano la contabilità semplificata e, quindi, non è necessario comunicarne l’adesione.

Ai fini dichiarativi, la società compilerà l’usuale quadro RG ponendo particolare attenzione ai principi di imputazione temporale delle componenti reddituali, considerato che il regime in commento è un “misto” di cassa e competenza. A tal fine, è possibile consultare la circolare 11/E/2017, nella quale l’agenzia delle Entrate individua i corretti criteri per imputare correttamente le principali voci di reddito. Per le operazioni che seguono il criterio di cassa potrebbero emergere alcune criticità qualora vengano eseguite a fine anno, soprattutto nell’individuare correttamente il periodo d’imposta di rilevanza reddituale.

In queste ipotesi, si deve far riferimento allo strumento di pagamento utilizzato; infatti, nel caso di assegno e di carte di credito/debito, i ricavi si considerano percepiti e le spese sostenute nel momento in cui avviene, rispettivamente, la materiale consegna dell’assegno e l’utilizzo della carta di pagamento. Qualora, invece, si ricorra al bonifico bisogna individuare, per i ricavi, la data in cui la somma di denaro può essere utilizzata e, per le spese, il giorno dal quale tale somma non è più nella disponibilità dell’acquirente.

Infine, sono previste delle regole particolari per chi ha optato per il criterio delle “registrazioni Iva” al comma 5 dell’articolo 18 del Dpr 600/1973, considerata la presunzione secondo cui la data di registrazione del documento coincide con quella in cui è avvenuto il relativo pagamento, cosicché la contabilizzazione nell’anno 2018 di un’operazione avvenuta nell’anno precedente, comporta la deducibilità del costo o l’imponibilità del provento nell’anno 2018, come chiarito dall’agenzia delle Entrate in occasione di Telefisco. Per quelle operazioni fuori campo Iva che devono essere rilevate secondo il criterio di cassa, invece, si deve far comunque riferimento alla data di pagamento, considerato che, ai fini della deducibilità del costo, l’operazione deve essere registrata entro 60 giorni dalla suddetta data.

Le modifiche sostanziali del quadro RG, tuttavia, riguardano la gestione delle rimanenze. Innanzitutto, con il nuovo regime, tali componenti non assumo più rilevanza fiscale, tranne nei casi di prima applicazione del nuovo criterio, anche in riferimento al passaggio dalla contabilità ordinaria a quella semplificata. In questi casi, il comma 18, dell’articolo 1 della legge di Bilancio 2017 sancisce l’integrale deduzione delle rimanenze – già imponibili nell’esercizio precedente per competenza – nel primo periodo di applicazione del regime di cassa.

Per tale motivo il rigo RG13 è stato modificato per accogliere le rimanenze finali del periodo di imposta precedente, così da dedurle dal reddito prodotto nel periodo d’imposta 2017. Infine, si segnala che, rispetto al modello pubblicato in bozza, è stato inserito il rigo RG38, nel quale vanno indicate le rimanenze finali dell’anno 2017, avendo cura di segnalare la loro eventuale insussistenza in colonna 1, le quali tuttavia non concorrono alla formazione del reddito, pertanto, si ritiene che il rigo abbia la mera funzione di monitoraggio della movimentazione delle rimanenze.

Fonte “Il sole 24 ore”

Intrastat: sanzioni fino a mille euro ma resta l’opzione del ravvedimento operoso

A seguito delle semplificazioni introdotte agli elenchi Intra, i modelli relativi agli acquisti di beni e alle prestazioni di servizi ricevute, riferite al mese di gennaio 2018, dovranno essere inviati con la compilazione delle sole colonne statistiche entro il 26 febbraio. A partire dai dati di gennaio 2018, dunque, tutte le informazioni contenute negli elenchi degli acquisti sono rese per finalità statistiche e devono essere obbligatoriamente fornite, su base mensile, dai soggetti per i quali l’ammontare totale trimestrale degli acquisti intraunionali di beni sia stato, per almeno uno dei quattro trimestri precedenti, uguale o superiore a 200mila euro per i beni e a 100mila euro per i servizi.

Secondo quanto chiarito nella nota dell’agenzia delle Dogane e dei Monopoli n. 18558/RU dello scorso 20 febbraio, considerato l’interesse statistico del dato raccolto, gli acquisti intraunionali di beni vanno riepilogati nel periodo in cui essi arrivano nel territorio italiano. Sono, pertanto, escluse tutte le operazioni commerciali di acquisto di beni che non entrano fisicamente in Italia come, ad esempio, un’operazione triangolare in cui il soggetto italiano èil promotore dell’operazione.

Sempre entro il 26 febbraio devono essere presentati gli elenchi relativi alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi rese, riferite al mese di gennaio, dai soggetti per i quali l’ammontare totale trimestrale delle operazioni attive intraunionali sia stato, per almeno uno dei quattro trimestri precedenti, uguale o superiore a 50mila euro. Nel caso in cui il valore delle cessioni di beni nel periodo di riferimento abbia superato la soglia di 100mila euro o di 50mila euro per i servizi, nell’elenco dovrà essere compilata anche la parte statistica.

In occasione della prima applicazione delle nuove regole per gli invii degli elenchi Intra è utile riepilogare il regime sanzionatorio previsto per l’omesso invio di tali modelli.

Il mancato invio degli elenchi

Per quanto riguarda l’omessa presentazione degli elenchi Intra, l’articolo 11, comma 4 del Dlgs 471/1997 prevede una sanzione da euro 500 a euro mille euro per ciascuno modello. La sanzione è ridotta alla metà nel caso in cui l’elenco sia presentato entro trenta giorni dalla richiesta inviata dagli uffici abilitati. La sanzione prevista per l’omessa presentazione è applicabile anche al caso di invio tardivo dell’elenco secondo quanto chiarito nella risoluzione 20/2005.

Il ravvedimento operoso

Per sanare in maniera rapida la violazione ottenendo agevolazioni in termini di riduzione delle sanzioni, si può ricorrere al ravvedimento. L’omessa presentazione, infatti, può essere regolarizzata, versando un importo della sanzione ridotto da 1/9 a 1/5 del minimo secondo quanto previsto dall’articolo 13, comma 1 del Dlgs 472/1997.

Operativamente, occorre presentare gli elenchi omessi e versare con il modello F24 (indicando il codice tributo 8911 e l’anno al quale la violazione si riferisce) le sanzioni ridotte entro 90 giorni dalla scadenza di presentazione dell’elenco (per la riduzione a 1/9) oppure entro il termine di presentazione della dichiarazione Iva relativa all’anno in cui la violazione è commessa o agli anni successivi (per le riduzioni da 1/8 a 1/5).

Il termine iniziale per computare i 90 giorni sopra citati coincide con il termine entro il quale si sarebbe dovuto inviare l’elenco Intra, quindi con lo spirare del giorno 25 del mese o del trimestre successivo al periodo di riferimento. Non risulta applicabile la lettera c) dell’articolo 13 del Dlgs 472/97, che prevede la riduzione ad un decimo del minimo, poiché nel caso in esame non si tratta dell’omissione di una dichiarazione.

 Fonte “Il sole 24 ore”

Doppio «bonus» per formazione 4.0: sì ai tutor interni

Si profila un doppio “bonus” sulle spese di formazione per attività 4.0. Il decreto attuativo della misura inserita nella legge di bilancio prevederà la possibilità di utilizzare il credito d’imposta sia sulle spese relative al personale dipendente che partecipa come “allievo” nella formazione, sia sulle spese relative a dipendenti esperti impiegati come “docenti/tutor” dei loro colleghi.

È l’elemento centrale del regolamento preparato in queste settimane dal ministero dello Sviluppo economico, un rafforzamento inatteso che magari piacerà meno alle società di formazione ma moltiplica il vantaggio per l’impresa che investe in aggiornamento sulle tecnologie produttive digitali. Il decreto deve ottenere il concerto dei ministeri dell’Economia e del Lavoro e il visto della Corte dei conti prima di essere pubblicato sulla Gazzetta ufficiale.

La manovra, che ha stanziato complessivamente 250 milioni, ha indicato tra i beneficiari tutte le imprese, indipendentemente dalla forma giuridica, dal settore economico in cui operano nonché dal regime contabile adottato. Il credito di imposta, nella misura del 40% per spese effettuate nel solo 2018 ed entro un massimo di 300mila euro per beneficiario, scatta limitatamente al costo aziendale riferito alle ore o alle giornate di formazione. Si intenderà nello specifico, a quanto si apprende, la retribuzione al lordo di ritenute e contributi, comprensiva dei ratei Tfr, di mensilità aggiuntive, ferie e permessi, maturati in relazione a ore o giornate di formazione. Incluse anche eventuali indennità di trasferta in caso ad esempio di corsi effettuati in diverse sedi dell’azienda o all’interno di gruppi societari.

Il credito di imposta sulle spese per gli allievi e quello sulle spese per i “docenti” sono tra loro cumulabili, ma chiaramente lo stesso dipendente non può ricoprire contemporaneamente entrambi i ruoli. Inoltre, le spese ammissibili per il personale “tutor” avranno un tetto: si parla del 30% della retribuzione complessiva annua del dipendente. L’impresa può comunque scegliere di far svolgere l’attività di formazione a soggetti esterni accreditati presso la Regione di competenza oppure a università, soggetti accreditati presso i fondi interprofessionali e soggetti in possesso della certificazione di qualità del settore.

Il decreto dovrebbe poi specificare che la definizione di personale dipendente include i rapporti di lavoro subordinato, tempo determinato incluso, e – solo per il ruolo di “allievi” e per l’acquisizione di prime competenze – anche i contratti di apprendistato. Tra le condizioni per accedere al beneficio, come tra l’altro già indicato nella norma primaria, c’è l’inquadramento dell’attività di formazione in contratti collettivi aziendali o territoriali depositati presso la direzione del lavoro competente per territorio. Oltretutto l’impresa ha l’obbligo di consegnare un attestato ufficiale al dipendente, una sorta di certificato “portabile” anche in eventuali successive esperienze di lavoro secondo la logica del diritto soggettivo alla formazione.

I corsi e l’aggiornamento, per acquisire o consolidare competenze, dovranno ovviamente restare nel perimetro delle tecnologie definite dal piano Impresa 4.0 e dei 106 ambiti previsti dalla manovra relativi a vendita e marketing, informatica e tecniche e tecnologie di produzione. La lista delle tecnologie, successivamente integrabile, comprende per ora undici grandi voci: big data e analisi dei dati; cloud e fog computing; cybersecurity; simulazione e sistemi cyberfisici; prototipazione rapida; sistemi di visualizzazione, realtà virtuale e realtà aumentata; robotica avanzata e collaborativa; interfaccia uomo-macchina; manifattura additiva; internet delle cose e delle macchine; integrazione digitale dei processi aziendali.

Fonte “Il sole 24 ore”

Pa, decisivo l’ordine di pagamento

I soggetti pubblici dovranno rivedere le loro procedure di pagamento a decorrere da giovedì 1° marzo, in quanto la verifica preventiva telematica stabilita dall’articolo 48-bis del Dpr 602/1972 prevede soglie più basse.

Le modifiche, introdotte dai commi da 986 a 989 dell’articolo 1 della legge di Bilancio 2018, comportano la verifica preventiva sui pagamenti:

ante 1° marzo, d’importo oltre 10mila euro;

dal 1° marzo, d’importo oltre 5mila euro.

L’applicazione delle nuove regole è collegata al momento di emissione dell’ordinativo di pagamento da parte del soggetto pubblico e non della sua esecuzione dell’istituto cassiere/tesoriere. Quindi, gli ordinativi di pagamento emessi dal 1° marzo dovranno tenere conto del limite ridotto e rientreranno nella sospensiva dei 60 giorni, invece dei 30 giorni.

Se il soggetto pubblico riceve comunicazione da parte di Entrate-Riscossione, entro i cinque giorni feriali successivi alla verifica della presenza di un inadempimento a carico del beneficiario blocca il pagamento per consentire la notifica dell’atto di pignoramento. In questo caso, il blocco resterà per 60 giorni dalla comunicazione se l’ordinativo di pagamento a cui si riferisce è stato emesso a partire dal 1° marzo 2018, ma anche per ordinativi emessi precedentemente se i trenta giorni non sono ancora decorsi alla medesima data del 1° marzo.

Quindi, i procedimenti pendenti al 1° marzo, perché avviati prima dell’entrata in vigore delle modifiche, si possono concludere con le nuove regole. Quindi, se la verifica per un pagamento di 15mila euro è stata effettuata il 20 febbraio e il 23 febbraio è giunta la comunicazione di esistenza dell’inadempimento, la sospensione opererà per 60 giorni dal 23 febbraio dal momento che la sospensione di 30 giorni è ancora in corso al 1° marzo 2018. È chiaro che se si ritenesse invece applicabile la decorrenza della nuova regola di 60 giorni solo sulle verifiche effettuate dal 1° marzo 2018, nell’esempio di cui sopra, trascorsi i 30 giorni delle precedenti regole, il soggetto pubblico dovrebbe procedere al pagamento. Sarebbero, però, importanti chiarimenti.

Resta ferma tutta la disciplina ulteriore dell’adempimento così come applicabile dai soggetti pubblici nelle modalità ed impostazione in vigore fino al 28 febbraio 2018, ma dal 1° marzo dovranno coordinarsi le prassi in uso con le modifiche introdotte. Ad esempio i soggetti pubblici, tutti ammessi al regime della scissione dei pagamenti, non dovranno tenere conto delle indicazioni della circolare n. 22/2008/Rgs quando afferma che, per i pagamenti di prestazioni e cessioni soggette ad Iva, la soglia di 10mila / 5mila euro per la verifica va considerata al lordo dell’Iva. In quei casi, come nelle ipotesi di acquisti in regime di reverse charge, la verifica dovrà essere fatta sull’imponibile.

Non si applica la disciplina per le società a prevalente partecipazione pubblica contemplate dall’articolo 48-bis, ma prive della relativa disciplina transitoria come previsto dall’articolo 6 del decreto 40/2008, che, all’articolo 1, ricomprende espressamente fra i soggetti pubblici solo le società a totale partecipazione pubblica.

Fonte “Il sole 24 ore”