Archivi categoria: Normativa e Modulistica

Bonus in R&S, check list in bilancio

di Emanuele Reich e Franco Vernassa

Il credito d’imposta per l’attività di ricerca e sviluppo, di cui all’articolo 3, Dl 145/2013, oggetto di attuazione con il Dm 27 maggio 2015, deve trovare opportuna collocazione contabile nel bilancio 2017, dopo che sono state individuate le attività agevolabili dell’esercizio e sono stati tracciati i relativi costi eleggibili, che consentono la fruizione del beneficio qualora siano eccedenti rispetto alla media (fissa) del triennio 2012-2014.

In sintesi, una volta conteggiato l’ammontare del credito 2017, la società dovrà imputarlo a conto economico e commentarlo nella nota integrativa, mentre nella relazione sulla gestione dovrà illustrare le attività di ricerca e sviluppo nel loro complesso (si veda la scheda in pagina).

Per quanto riguarda quest’ultimo punto, si consiglia alle società di spiegare in misura sufficientemente dettagliata i progetti di ricerca e sviluppo iniziati o continuati dagli esercizi precedenti, sia in misura qualitativa sia quantitativa, pur mantenendo la dovuta riservatezza.

In tale modo vi sarà coerenza informativa tra quanto indicato nella relazione sulla gestione e quanto inserito nell’apposito dossier di supporto al credito d’imposta.

In nota integrativa dovrà invece essere indicato e commentato sia l’importo iscritto nel conto economico quale contributo in conto esercizio (voceA5), come si verifica nella maggior parte dei casi, sia il credito verso l’erario quale contropartita patrimoniale CII5-bis «crediti tributari». Il credito sarà oggetto di utilizzo a partire dall’esercizio 2018, attraverso l’istituto della compensazione, che costituisce l’esclusiva modalità di utilizzo (anche nell’ambito del consolidato fiscale – quadro GN), tramite il modello F24 (codice tributo 6857). Il credito non è invece cedibile o rimborsabile.

Contabilmente, è invece necessario distinguere tra il trattamento dei costi di ricerca e sviluppo e la rilevazione del credito d’imposta. Per quanto riguarda il primo punto, l’agenzia delle Entrate ha chiarito che i costi sono agevolabili indipendentemente dal trattamento contabile e, quindi, dalla loro eventuale capitalizzazione, come previsto dall’Oic 24, paragrafo 49, secondo il quale i costi di sviluppo sono capitalizzabili solo in presenza di tre caratteristiche: essere relativi ad un prodotto o processo chiaramente definito, essere riferiti ad un progetto realizzabile ed essere recuperabili.

Oltre che tra i contributi in conto esercizio, il credito d’imposta può essere contabilizzato anche tra i contributi in conto capitale, se i costi sono stati contabilizzati tra le immobilizzazioni immateriali (dal 2016 in poi, come anticipato, ciò vale solo per i costi di sviluppo ed alle descritte condizioni).

Per quanto concerne la determinazione delle imposte Ires e Irap, si ricorda che il credito d’imposta non concorre a formare la base imponibile e quindi, se contabilizzato a conto economico, costituisce una variazione in diminuzione.

Gli obblighi documentali del credito per le attività di ricerca e sviluppo (articolo 7, Dm 27 maggio 2015 e prassi dell’agenzia delle Entrate) sono sostanzialmente i seguenti:

per le spese relative al personale, fogli di presenza nominativi, riportanti per ciascun giorno le ore impiegate nell’attività agevolabili, firmati dal legale rappresentante dell’impresa beneficiaria, ovvero dal responsabile dell’attività di ricerca e sviluppo, con possibilità di firma digitale;

per i costi per strumenti e attrezzature di laboratorio, una dichiarazione del legale rappresentante dell’impresa, ovvero del responsabile dell’attività di ricerca e sviluppo;

per i costi della ricerca extra-muros, i relativi contratti, con una relazione sottoscritta dai commissionari;

per le spese per privative industriali acquisite da terzi, i relativi contratti ed una relazione, firmata dal legale rappresentante dell’impresa beneficiaria ovvero dal responsabile dell’attività di ricerca e sviluppo, concernente le attività svolte nel periodo di imposta cui il costo sostenuto si riferisce.

Si ricorda anche che nell’ipotesi di produzione interna, nonché in relazione alle attività di sviluppo, mantenimento e accrescimento del bene immateriale, l’impresa avrà cura di predisporre un adeguato sistema di rilevazione dei costi sostenuti.

La documentazione sopra indicata, idonea a dimostrare in sede di controllo l’ammissibilità e l’effettività dei costi sulla base dei quali è stato determinato il credito d’imposta, deve essere conservata per il periodo previsto dall’articolo 43 del Dpr 29 settembre 1973, n. 600, e cioè fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione relativa al periodo di imposta nel corso del quale si conclude l’utilizzo del credito.

Fonte “Il sole 24 ore”

Concordato preventivo, la riduzione delle obbligazioni comporta la rettifica della detrazione Iva

di Luca Gaiani

La riduzione delle obbligazioni del debitore in caso di concordato preventivo omologato costituisce mutamento degli elementi presi in considerazione per la detrazione dell’Iva e comporta una rettifica della detrazione stessa ai sensi dell’articolo 185, paragrafo 1 della direttiva 2006/112/Ce. Lo ha affermato la Corte di giustizia Ue nella sentenza del 22 febbraio 2018, causa C-396/16 . Secondo la Corte, inoltre, laddove il concordato omologato comporti, secondo la legislazione nazionale, una riduzione definitiva delle obbligazioni del debitore, e dunque impedisca alla parte creditrice di recuperare in altro modo il credito stralciato, non troveranno applicazione le deroghe alla rettifica della detrazione previste dall’articolo 185, paragrafo 2, della direttiva per i casi di operazioni totalmente o parzialmente non pagate. Quest’ultima disposizione prevede che l’obbligo di rettifica stabilito dal paragrafo 1 non si estende in caso di «operazioni totalmente o parzialmente non pagate», consentendo peraltro agli Stati membri di prevedere la rettifica in via facoltativa.

La sentenza, riferita a un caso riguardante la Repubblica di Slovenia, potrebbe avere ricadute anche nel nostro ordinamento rendendo di fatto obbligatoria, a seguito della omologazione del concordato e della conseguente esdebitazione (articolo 184, legge fallimentare), la rettifica della detrazione relativamente alla quota parte di debito verso fornitori stralciata in forza della procedura, non configurandosi un caso di «operazioni totalmente o parzialmente non pagate».

Fonte “Il sole 24 ore”

Quell’«adeguata verifica» del fornitore che può escludere la frode Iva

di Antonio Zappi

Quando il Fisco accerta l’indebita detrazione Iva per operazioni soggettivamente inesistenti e rileva che l’operazione fatturata non è stata posta in essere dal soggetto indicato nella fattura come fornitore, iniziano i problemi del cessionario/committente che si vede contestare la natura tendenzialmente fraudolenta della controparte delle operazioni economiche. A Telefisco 2018 è stato chiesto alla Guardia di Finanza se fosse possibile, in concreto, esemplificare qualche ipotesi di possibile prova della buona fede di un contribuente per dimostrare la legittimità della detrazione del tributo e la mancanza di consapevolezza di partecipare ad un’operazione fraudolenta.

Esemplificando un caso di possibile esimente nell’ambito di una frode nel settore del commercio degli autoveicoli usati, le Fiamme gialle, pur non indicando un percorso risolutivo per ogni evenienza, hanno fornito alcuni spunti operativi per orientare i contribuenti che vorranno mettersi al riparo da contestazioni fiscali (e penali) per comportamenti fraudolenti altrui.

È stato, infatti, affermato che risulta provata la buona fede di un contribuente che provvede, nei limiti delle sue possibilità, ad acquisire informazioni eventualmente integrate da elementi di agevole e rapida reperibilità e che gli abbiano consentito di escludere, sia pure solo in via presuntiva, una frode nella catena di fornitura.
In altri termini, come nella disciplina antiriciclaggio è necessario fare un’adeguata verifica del cliente, in campo Iva è ormai fondamentale effettuare un’adeguata verifica del fornitore.

Provando, allora, a costruire un possibile vademecum per replicare ad eventuali contestazioni, all’atto dell’instaurazione di ogni rapporto commerciale occorrerà effettuare, sul piano soggettivo, una verifica dell’iscrizione camerale (visura Camera di commercio), nonché una scheda anagrafica di chi rappresenta la controparte commerciale/professionale, accertandone idoneità di poteri e di ruolo per porre in essere ciò che verrà descritto nelle fatture ricevute. Sotto il profilo oggettivo, invece, occorrerà acquisire documentazione (anche fotografica) per comprovare l’idoneità strutturale a porre in essere quanto viene fatturato e che il prezzo delle transazioni ivi indicato non induca a lasciar immaginare un incauto acquisto.

Decisiva, infine, potrebbe essere l’acquisizione concordata con il fornitore, da aggiornare periodicamente in costanza di rapporto commerciale, di un certificato di assenza dei carichi pendenti tributari. Tale documento è ordinariamente previsto per altri fini, ma potrebbe risultare determinante anche per fornire prova di aver fatto tutto il possibile per accertare che la controparte dell’operazione commerciale non fosse un frodatore seriale già noto al Fisco. Forse si rischierà di urtare la suscettibilità del fornitore, ma in questo modo sarà assai complicato contestare il coinvolgimento in una frode di un contribuente che non ha accettato caramelle dagli sconosciuti ed al quale, se si volessero pretendere maggiori controlli, bisognerebbe conferire i poteri di polizia giudiziaria.

Fonte “Il sole 24 ore”

Rottamazione bollo auto e superbollo 2018:

Rottamazione cartelle bis bolli auto superbollo come funziona la domanda condono bolli non pagati, requisiti e da quando invio modulo nuova sanatoria 2018.

La rottamazione cartelle bis bollo auto e superbollo, è la nuova misura contenuta nel decreto fiscale collegato alla Legge di Bilancio 2018.

Entro il 15 maggio 2018, i cittadini, possono aderire alla nuova definizione agevolata, inviando l’apposita domanda di rottamazione cartelle bis 2018 mediante la compilazione del modello DA-2017 dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione.

Solo presentando la richiesta di rottamazione bis, il contribuente, può fruire dello sconto degli interessi di mora e sanzioni sulle vecchie cartelle esattoriali, fatta eccezione dell’aggio di riscossione, che sarà però calcolato solo sul capitale.

Vediamo quindi cos’è la rottamazione cartelle bis bollo auto e superbollo, come funziona il condono Equitalia bolli e da quando è possibile iniziare a presentare il modulo domanda di adesione rottamazione dei ruoli.

 

Rottamazione cartelle bollo auto e superbollo: cos’è?

Che cos’è la Rottamazione cartelle bollo auto e superbollo? La rottamazione bis 2018 è la nuova possibilità concessa ai contribuenti con il decreto legge collegato alla legge di Bilancio 2018.

In base a tale decreto, con la nuova rottamazione cartelle 2018, i cittadini che hanno ricevuto una cartella di pagamento per bollo auto non pagato, tra il 1° gennaio 2017 ed il 30 settembre 2017, che non hanno provveduto a saldare entro il termine dei consueti 60 giorni, possono presentare la domanda di adesione rottamazione dei ruoli all’Agenzia delle Entrate-Riscossione, al fine di ottenere un considerevole sconto sull’importo della cartella o di più cartelle.

Oltre alle cartelle bollo auto non pagato, possono essere rottamate, e quindi ottenere il condono cartelle Equitalia 2018, tutte le seguenti cartelle:

Condono imposte, compresa l’IVA, tributi, per cui su tutte le cartelle Agenzia delle Entrate e quelle relative a contributi Inps Inail;

Condono multe stradali;

Condono ruoli emessi da Regioni, Province, Città Metropolitane e Comuni: come ad esempio ICI, Tassa sui rifiuti.

Possibilità di condono anche per chi ha già una rateizzazione in corso ma con delle limitazioni che vedremo più avanti.

Escluse dalla rottamazione cartelle 2018, invece:

IVA riscossa all’importazione;

Multe Ue;

Crediti da danno erariale per sentenze di condanna della Corte dei Conti;

Ammende e sanzioni pecuniarie dovute a seguito di provvedimenti e sentenze penali di condanna.

 

Rottamazione cartelle bollo auto e superbollo 2018: come funziona?

Come funziona la rottamazione di bolli auto e superbollo? La Rottamazione cartelle bis 2018 bollo auto e superbollo funziona in questo modo:

Il cittadino o l’impresa può richiedere di condonare le NUOVE cartelle di bolli auto e superbollo non pagate, notificate tra il 1° gennaio 2017 ed il 30 settembre 2017, fruendo della definizione agevolata, tramite la rottamazione cartelle bis 2018, ossia, sottraendo dall’importo gli interessi e le sanzioni.

Il nuovo decreto prevede, pertanto, che entro il 15 maggio 2018, i contribuenti, possano inviare le domande, utilizzando l’apposita modulistica.

Si ricorda che la Rottamazione cartelle bis 2018 bollo auto e superbollo, rende possibile lo sconto solo per la parte relativa agli interessi e alle sanzioni, in quanto l’aggio di riscossione è sempre previsto ma si applica solo al capitale.

Rottamazione VECCHIE cartelle bollo auto e superbollo: sono riammesse al beneficio quelle per cui:

il contribuente non ha versato la rata di luglio e settembre 2017: in questo caso, per essere riammessi occorre pagare le rate omesse entro il 30 novembre 2017.

è stata rifiutata la domanda, poiché non in regola con i pagamenti della rateazione: possibilità di rientro nel beneficio se il contribuente presenta l’apposita domanda entro il 31 dicembre 2017, paga le rate scadute entro il 31 maggio 2018 e versa il totale condonato entro il 31 luglio 2018.

Condono bollo auto 2018 e superbollo a chi spetta?

A chi spetta il condono bollo auto Equitalia 2018 e superbollo?

Il condono bolli auto e superbollo con la rottamazione cartelle Equitalia spetta su:

Tutte cartelle di pagamento notificate tra il 1° gennaio 2017 ed il 30 settembre;

Tutte le cartelle bollo auto che sono oggetto di rateizzazione in corso;

Tutte le cartelle di cui al paragrafo sopra.

Modulo domanda rottamazione cartelle bolli auto: da quando?

Come si richiede il condono bolli auto Equitalia? Tramite l’invio di un apposito modulo di adesione rottamazione dei ruoli pubblicato sul sito dell’AdER, Agenzia delle Entrate Riscossione.

Modulo domanda rottamazione cartelle bolli auto e superbollo: da quando? I cittadini interessati a fruire del condono Equitalia 2018 bolli auto e superbollo auto di grossa cilindrata, possono inviare le domande entro il 15 maggio 2018 utilizzando il seguente modulo domanda rottamazione cartelle 2018.

Ricordiamo che nel modulo, oltre alle proprie generalità, va indicato anche il tipo di cartella oggetto di sanatoria, e la modalità di pagamento scelto: a rate, oppure, in un’unica soluzione.

Come si paga la cartella bollo auto rottamata? Una volta inviata la domanda, l’AdER, comunica entro il 30 giugno 2018, l’importo della nuova cartella scontata ed il cittadino, a seconda della modalità di pagamento scelta in sede di domanda, pagherà l’importo rateizzato in massimo 5 rate.

In ogni modo, il versamento della cartella, può avvenire tramite: bollettini precompilati, domiciliazione bancaria o pagamento diretto allo sportello AdER.

Rottamazione bis cartelle 2018 Equitalia: requisiti domanda e scadenza

Rottamazione cartelle 2018 Equitalia notificate dal 1° gennaio 2000 al 30 settembre 2017 cos’è e come funziona nuovo condono, modulo domanda e scadenza

Rottamazione bis 2018 per le cartelle di pagamento notificate dal 1° gennaio al 30 settembre 2017 e riapertura dei termini della sanatoria anche alle vecchi cartelle ma solo in alcuni casi, sono queste alcune delle importanti novità contenute all’articolo 1 del Decreto fiscale collegato alla Legge di Bilancio 2018, Dl 148/2017 in merito all’estensione della definizione agevolata dei carichi.

Vediamo quindi cos’è e come funziona la rottamazione bis 2018, cosa prevede, quali sono i requisiti e le nuove scadenze da tenere in mente, come funziona il pagamento rateizzato dell’importo condonato e le modalità con cui il cittadino o l’impresa, può presentare la domanda rottamazione bis cartelle Equitalia 2018.

Rottamazione bis 2018: cos’è?

Che cos’è la rottamazione bis 2018? La rottamazione bis, non è altro che il proseguimento anche nel 2018 del beneficio fiscale introdotto l’anno scorso con l’articolo 6 del Dl 193/2017, convertito con modificazioni nella legge 225/2017, che ha riconosciuto la possibilità per i contribuenti di optare, previa apposita domanda, della definizione agevolata dei carichi affidati all’Agenzia della Riscossione e notificati dal 1° gennaio 2000 e il 31 dicembre 2016.

Aderendo alla cd. sanatoria Equitalia o Condono Equitalia, il contribuente, ha potuto ottenere un forte sconto sul debito con l’azzeramento delle sanzioni e degli interessi di mora e pagando solo il tributo, gli interessi affidati all’agente della riscossione e l’aggio, spese per notifica delle cartelle ed eventuali procedure esecutive.

Ora, con il nuovo decreto fiscale 2018 collegato alla Legge di Bilancio e ai sensi del nuovo decreto legge n. 148/2017 convertito con modificazioni dalla Legge n. 172/2017, è stata prevista la nuova Definizione agevolata, cd. rottamazione cartelle, per le somme affidate all’Agente della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 30 settembre 2017 previa domanda entro il 15 maggio 2018.

Vediamo quindi come funziona la rottamazione cartelle 2018.

 

 

 

Rottamazione bis decreto collegato alla Legge di Bilancio 2018: novità per tutte le cartelle

Ecco le ultime novità introdotte al decreto collegato alla Legge di Bilancio 2018, alla nuova rottamazione bis 2018:

Alla rottamazione bis 2018, potranno aderire tutti, anche chi non ha presentato la domanda di adesione alla prima edizione della definizione agevolata prevista dal D.L. n. 193/2016.

1) I contribuenti che non hanno aderito al primo condono delle cartelle notificate dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2016, possono farlo ora, entro il 15 maggio 2018.

Ciò significa che i contribuenti possono aderire alla definizione agevolate delle cartelle notificate dal 2000 al 30 settembre 2017.

In caso di rateizzazione dell’importo condonato, il numero di rate massimo è 5, aventi le seguenti scadenze:

Luglio 2018;

Settembre 2018;

Ottobre 2018;

Novembre 2018;

Febbraio 2019.

2) i contribuenti che hanno aderito alla prima edizione della rottamazione ma non hanno provveduto al pagamento delle rate di luglio e di settembre, possono rientrare nella rottamazione se provvedono a pagare le rate omesse  entro il 7 dicembre 2017 e non più entro il 30 novembre.

3) Per coloro che hanno partecipato alla prima rottamazione ma ne sono stati esclusi perché non hanno pagato le rate successive, possono rientrare nella nuova rottamazione bis se:

  • entro il 31 marzo 2018, pagano le rate scadute in un’unica soluzione;
  • entro il 31 luglio 2018: pagano l’importo condonato + interessi di mora.

Per tutti la scadenza per aderire alla rottamazione è il 15 maggio 2018.

Rottamazione cartelle 2018: come funziona?

Come funziona la Rottamazione bis cartelle Equitalia 2018? La nuova rottamazione bis 2018 funziona così: il cittadino o l’impresa che ha visto notificarsi tra il 1° gennaio 2000 ed il 30 settembre 2017, una o più cartelle di pagamento, può accedere, previa apposita domanda, alla nuova definizione agevolata dei carichi affidati all’agente di riscossione, ottenendo così il condono di sanzioni ed interessi.

In base a quanto previsto dal decreto legge collegato alla Legge di Bilancio 2018, il cui testo sta per incassare la fiducia dal Senato, la rottamazione bis funziona così:

Tutti i contribuenti, per cui sia gli esclusi ed i decaduti dalla prima rottamazione nonché chi non ha partecipato alla prima edizione della definizione agevolata dei ruoli.

 

Come vedremo meglio nel prossimo paragrafo, per tutti la scadenza domanda rottamazione bis è il 15 maggio 2018 ma a seconda della condizione in cui si trovano i contribuenti, hanno delle modalità e un iter da seguire ben diverso.

Detto ciò andiamo a vedere la domanda rottamazione cartelle bis 2018 e la scadenza.

Rottamazione cartelle Equitalia 2018: chi può fare domanda? Requisiti:

Chi può fare domanda di rottamazione bis 2018? La domanda rottamazione cartelle bis nel 2018, secondo quanto previsto dal decreto collegato alla legge di bilancio 2018, si può presentare in presenza dei seguenti requisiti:

  1. A) Chi non ha pagato le rate condonate di luglio e settembre: i contribuenti ammessi alla prima rottamazione che non hanno provveduto a pagare le rate scadute a luglio e settembre, possono essere riammessi se versano le suddette rate entro il 7 dicembre.

In questo modo i cittadini ed imprese che per errore disguidi o mancanza di liquidità non hanno effettuato i versamenti sono riammessi alla rottamazione senza ulteriore addebito.

Per cui per chi non ha pagato le precedenti rate condonate deve:

entro il 7 dicembre: pagare tutte le rate scadute e non versate.

  1. B) Chi si è visto rigettare l’istanza in quanto non in regola con il pagamento delle rate con scadenza 31 dicembre 2016 rientranti in piani di dilazione in essere al 24 ottobre 2016. L’accesso alla rottamazione, può essere esercitato presentando l’apposita domanda per via telematica all’agente della riscossione entro il 31 dicembre 2017, indicando le modalità scelta per il pagamento, e pagare le rate scadute entro il 31 maggio 2018. Successivamente sarà possibile versare con al massimo 3 rate, con scadenza settembre, ottobre e novembre 2018, le somme condonate e gli interessi di mora pari al 4,5% e da calcolare a partire dal 1° agosto 2017. In caso di mancato versamento delle rate scadute, l’istanza non può essere accettata. Per cui:

entro il 31 marzo 2018: si dovrà versare per intero l’importo delle rate scadute e non pagate;

entro il 31 luglio 2018, si dovrà versare l’ammontare complessivo delle somme condonate + gli interessi.

  1. C) Chi ha ricevuto la notifica di una cartella di pagamento dal 1° gennaio 2000 al 30 settembre 2017: può accedere alla nuova rottamazione bis, se presenta l’apposita domanda entro il 15 maggio 2018 e versa l’importo condonato al massimo in 5 rate di pari importo nei mesi di: luglio, settembre, ottobre e novembre 2018 e febbraio 2019.

Per cui occorre:

entro il 15 maggio 2018: inviare la domanda rottamazione cartelle bis 2018;

entro febbraio 2019: versare le 5 rate della rottamazione 2018 aventi scadenza:

luglio 2018;

settembre 2018;

ottobre 2018

novembre 2018;

febbraio 2019.

Rottamazione bis 2018 domanda: modulo e scadenza

Avendo spiegato la rottamazione cartelle bis 2018 cos’è e come funziona, quali sono i requisiti per accedere, andiamo ora a vedere come fare domanda di rottamazione cartelle bis 2018 dei debiti iscritti a ruolo dal 1° gennaio 2010 al 30 settembre 2017.

Rottamazione bis 2018 scadenza domanda: i contribuenti che hanno visto notificarsi una cartella di pagamento Equitalia, ora Agenzia Entrate-Riscossione, o di un altro agente, hanno la possibilità di accedere al condono cartelle esattoriali, se entro il 15 maggio 2018, trasmetteranno l’apposita domanda.

Rottamazione cartelle 2018 domanda modulo: La domanda per richiedere il condono di sanzioni ed interessi su debiti iscritti a ruolo notificati dal primo gennaio al 30 settembre 2017, deve essere redatta sul nuovo modulo dell’Agenzia Entrate Riscossione.

Il modulo domanda rottamazione 2018, è reperibile sul sito dell’Agenza delle Entrate-Riscossione e si chiama Modulo rottamazione cartelle 2018.

Coloro i quali intendono aderire alla nuova definizione agevolata al fine di ottenere uno sconto sulle sanzioni e gli interessi di mora, fatta eccezione per la rottamazione cartelle multe stradali con la quale sono condonati invece gli interessi di mora e le maggiorazioni previste dalla legge, devono inviare la domanda di adesione e poi attendere la comunicazione dell’Agenzia delle entrate-Riscossione entro il 31 marzo 2018 ossia una lettera in posta ordinaria, indicante i carichi affidati dagli Enti entro il 30 settembre 2017 e per i quali non risulta ancora notificata la relativa cartella.

Rottamazione bis Fai DA Te: Vi ricordiamo inoltre che al fine d agevolare i contribuenti nelle domande rottamazione bis, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, ha messo a disposizione un nuovo servizio online che si chiama Fai DA Te Rottamazione bis, e consente, senza bisogno di Pin e password, di compilare il modello domanda rottamazione bis DA-2017 indicando semplicemente i propri dati anagrafici, i contatti telefonici ed elettronici, gli identificativi della cartella da rottamare ed esprimere al volontà di pagare l’importo condonato in un’unica soluzione o in 5 rate.

Rottamazione cartelle 2018: come si presenta la domanda?

Abbiamo detto finora che i contribuenti interessati a richiedere la definizione agevolata, devono inviare apposita domanda entro il 15 maggio 2018.

Come si presenta la domanda di rottamazione cartelle 2018?

Il contribuente può scegliere se inviare la domanda:

via PEC: alla casella PEC della Direzione Regionale di Agenzia delle entrate-Riscossione, inviando il Modello DA-2017, debitamente compilato in ogni sua parte, unitamente alla copia del documento di identità.

Sportelli di Agenzia delle entrate-Riscossione utilizzando il Modello DA-2017 debitamente compilato, stampato e firmato.

Una volta inviata la domanda rottamazione cartelle 2018 all’Agenzia delle entrate-Riscossione, il contribuente, riceverà entro il 30 giugno 2018 l’importo delle cartelle a suo nome che possono essere oggetto di condono, la scadenza delle rate e i relativi bollettini di pagamento o l’eventuale diniego.

È possibile effettuare il pagamento in un’unica soluzione, oppure, fruire della rateizzazione in massimo di 5 rate di pari importo aventi scadenza inziale 31 luglio 2018 e finale il 28 febbraio 2019.

Rottamazione cartelle bis 2018 scadenze:

Alla luce delle novità introdotte dal nuovo decreto fiscale collegato alla Legge di Bilancio 2018, ecco le nuove scadenze rottamazione cartelle bis 2018:

Per chi non è in regola con la prima rottamazione ancora in corso, occorre versare le rate omesse di luglio e/o di settembre in un’unica soluzione entro il 7 dicembre, nuova scadenza fissata dal Senato con il decreto fiscale collegato che però deve essere ancora approvato in vi definitiva. La scadenza originaria, è il 30 novembre).

Per chi ha già presentato domanda della prima rottamazione ma non ha pagato le restanti rate:

Entro il 2 gennaio 2018: l’Agenzia delle Entrate-Riscossione aggiorna il modello di domanda;

Entro il 15 maggio 2018: deve essere presentata la domanda di adesione alla rottamazione delle cartelle per i contribuenti esclusi dalla prima rottamazione perché non in regola con i pagamenti a fine 2016;

Entro il 30 giugno 2018: L’AdER comunica l’importo totale delle rate scadute al 31 dicembre 2016 che devono essere pagate dal contribuente se intende rientrare nel beneficio;

Entro il 31 luglio 2018: occorre versare in un’unica soluzione le rate non saldate entro il 2016, il cui importo è stato comunicato entro il 30 giugno dall’AdER. Il mancato, insufficiente o tardivo versamento comporta l’ammissione al beneficio;

Entro il 1° ottobre 2018: l’AdER comunica ai contribuenti riammessi, la somma dovuta con la rottamazione, le rate ed il giorno e il mese di scadenza di ciascuna;

Entro il 31 ottobre 2018: Il contribuente è tenuto a pagare la prima rata pari al 40% dell’importo dovuto;

Entro il 30 novembre 2018: si deve pagare la seconda rata con l’altro 40%;

Entro il 28 febbraio 2019: si paga la terza ed ultima rata pari al 20% delle somme dovute.

Ecco le scadenze nuove adesioni per i carichi dal 2000 a settembre 2017:

Per la rottamazione cartelle notificate dal 1° gennaio al 30 settembre 2017 e quelle relative agli anni 2000-2016 che non hanno presentato la domanda di adesione alla prima rottamazione, le nuove scadenze sono:

2 gennaio 2018: nuovo modello di adesione alla rottamazione per i carichi relativi al 2000-2016 e dal 1° gennaio al 30 dicembre 2017;

15 maggio 2018: è la scadenza per inviare la domanda rottamazione cartelle bis;

31 marzo 2018: l’AdER comunica al contribuente quali sono le cartelle affidate ma per le quali non risulta ancora la notifica;

30 giugno 2018: è il termine entro il quale l’AdER comunica l’importo totale condonato da pagare, le rate, gli importi e le scadenze;

31 luglio 2018: Scade il termine per il versamento della prima o unica rata;

1° ottobre 2018: è la scadenza per pagare la seconda rata, visto che il 30 settembre è domenica;

31 ottobre 2018: termine per il versamento della 3° rata;

30 novembre 2018: scade la quarta rata;

28 febbraio 2019: Scade la quinta rata.

Bonus solo per le eco-caldaie

Dal 1° gennaio 2018, l’ecobonus al 65% per l’installazione di caldaie a condensazione (almeno di classe A) in sostituzione di impianti di climatizzazione invernale, riguarda solo gli interventi accompagnati dall’installazione di termostati “evoluti”. Negli altri casi la detrazione è scesa al 50 per cento.

Sono queste le nuove regole introdotte dalla legge di Bilancio per il 2018 (la 205/2017), con l’obiettivo di incentivare gli interventi che consentono un maggiore risparmio energetico. Le modifiche (che riguardano sia le singole unità immobiliari, che i condomìni) hanno toccato soprattutto le percentuali detraibili, mentre nulla è cambiato per gli adempimenti che permettono di fruire dello sconto, così come per il recupero della spesa in 10 rate uguali.

Riduzione al 50%

La novità di maggior rilievo consiste nel passaggio dal 65% al 50% della detrazione relativa alla sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di caldaie a condensazione con efficienza almeno pari alla classe A.

Per caldaie con classe inferiore alla A non è invece più possibile godere dell’ecobonus ma l’intervento di sostituzione può comunque beneficiare della detrazione Irpef del 50% prevista per le ristrutturazioni edilizie (articolo 16-bis del Tuir ), con spesa massima di 96mila euro, destinata a scendere al 36% su 48mila euro dal 2019.

Maxi sconto con il termostato

L’ecobonus resta invece al 65% fino al 31 dicembre 2018 se la sostituzione con impianti dotati di caldaie a condensazione (almeno classe A) viene accompagnata dalla contestuale installazione di sistemi di termoregolazione evoluti, appartenenti alle classi V (termostato d’ambiente modulante che varia la temperatura del flusso dell’acqua), VI (con centralina di termoregolazione e sensore ambientale che consente un controllo della temperatura in uscita dall’apparecchio che varia secondo la temperatura esterna) oppure VIII (con controllo elettronico della temperatura ambientale).

Gli impianti ibridi

La detrazione del 65% si applica inoltre agli interventi di sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di apparecchi ibridi, cioè impianti costituiti da pompa di calore integrata con caldaia a condensazione, assemblati in fabbrica ed espressamente concepiti dal fabbricante per funzionare in abbinamento tra loro.

Micro-cogeneratori al debutto

Da quest’anno la detrazione del 65% è stata estesa all’ acquisto e posa in opera di micro-cogeneratori per la produzione combinata di elettricità e di calore in sostituzione di impianti esistenti, con il limite massimo di 100mila euro.

Condomini

Per gli interventi relativi alle parti comuni dei condomini (non solo caldaie ma anche coibentazione dei tetti, cappotti termici, ecc) rimane confermato l’utilizzo dell’ecobonus al 65% con la possibilità di incrementare lo sconto fino al 70% delle spese sostenute (con il tetto di 40mila euro per unità immobiliare) se l’intervento riguarda più del 25% del superficie disperdente e fino al 75% se, grazie al miglioramento del la prestazione energetica invernale ed estiva, si consegue almeno la qualità media prevista dal Dm 26 giugno 2015.

Cessione del credito

Anche per gli interventi di sostituzione di caldaia è possibile utilizzare la formula della “cessione del credito” a tutti i contribuenti (compresi i soggetti “incapienti” – pensionati con reddito sino a 7.500 euro o lavoratori dipendenti con reddito sino a 8mila euro). Una possibilità che riguarda tutti gli interventi di riqualificazione energetica che beneficiano delle detrazioni fiscali e quindi sia gli interventi su parti comuni condominiali che quelli sulle singole unità immobiliari. Confermata la possibilità per gli “incapienti” di cedere il credito alle banche ed intermediari finanziari. Per tutti gli altri (cosiddetti capienti), la cessione è invece possibile solo nei confronti dell’impresa esecutrice dei lavori e di soggetti diversi da banche e intermediari finanziari.

Entro il 2 marzo 2018 un decreto del ministero dell’Economia (di concerto Infrastrutture, Sviluppo economico e Ambiente) dovrà stabilire i massimali di costo per ogni tipologia di intervento (compresa la sostituzione di caldaia) e definire procedure e modalità dei controlli a campione con cui l’Enea dovrà accertare il rispetto dei requisiti di accesso alle detrazioni per gli interventi di riqualificazione energetica sia dei condomini che delle singole unità immobiliari.

Fonte “Il sole 24 ore”

Iperammortamento, agevolati anche i beni sostituiti

Staffetta” agevolata sui beni iperammortizzabili, con le modalità di recupero del beneficio che sono chiarite operativamente dall’agenzia delle Entrate nel corso di Telefisco.

Ai sensi del comma 35 dell’articolo 1 della legge di Bilancio 2018, in caso di sostituzione del bene imperammortizzabile con altro cespite agevolato si potrà continuare a fruire del beneficio, evitando così che la perdita dell’agevolazione finisca per penalizzare i nuovi investimenti favorendo l’obsolescenza tecnologica. Diversamente, come suggerisce la Relazione illustrativa, si sarebbe rischiato, nel prossimo futuro, di influire negativamente sulle scelte imprenditoriali più opportune per mantenere il livello di competitività raggiunto dalle imprese.

La disposizione introdotta dalla legge 205/2017 prevede che, se nel periodo di fruizione della maggiorazione del costo (ai fini della deducibilità di ammortamenti e canoni leasing), si verifica il realizzo a titolo oneroso del bene oggetto dell’agevolazione, “non viene meno la fruizione delle residue quote di beneficio così come originariamente determinate”. Ciò, essenzialmente, a due condizioni:

venga acquisito ed interconnesso, nello stesso periodo della cessione, un bene sostitutivo dell’originario investimento aventi caratteristiche analoghe o superiori a quelle previste per l’iperammortamento (allegato A alla legge di Bilancio di 2017);

siano attestate, secondo le regole già in vigore per i beni iperammortizzabili (dichiarazione del legale rappresentante, perizia giurata o attestazione di conformità), sia l’effettuazione dell’investimento sostitutivo e la sua interconnessione, sia le caratteristiche “industria 4.0” di quest’ultimo.

Nel corso di Telefisco è stato chiarito che se la sostituzione o l’interconnessione avvengono nel periodo di imposta successivo a quello di realizzo del bene originario, non si potrà più fruire delle residue quote della maggiorazione del 150%, né di quelle sul bene nuovo. Nell’ipotesi in cui il cespite sostitutivo abbia un costo di acquisizione inferiore a quello originario, la fruizione del beneficio prosegue fino a concorrenza del costo del nuovo investimento.

Operativamente, il primo aspetto da esaminare è quello delle ipotesi in cui scatta la nuova disposizione. In primo luogo, dal testo normativo è chiaro (e le Entrate hanno confermato) che la “staffetta” negli investimenti mantiene l’agevolazione solo in caso di iperammortamento, escludendo sia il superammortamento che la maggiorazione sui beni immateriali per i beni iperammortizzabili: il richiamo al “bene materiale strumentale nuovo”, operato dal legislatore, chiude la porta anche a quest’ultima fattispecie.

Tuttavia, sotto l’aspetto temporale, la nuova disciplina si applica anche ai beni iperammortizzabili acquisiti nel 2017 (o nel 2018 per effetto della proroga) e non solo a quelli che beneficiano della riapertura al 2018 (ovvero, a certe condizioni, al 2019), sostituiti a partire dal 2019/2020. In tal senso il richiamo all’articolo 1, comma 9, della legge 232/2016 è conclusivo, come l’Agenzia ha confermato.

Concretamente, potrà capitare che il nuovo investimento sostitutivo abbia un costo di acquisizione:

uguale oppure superiore a quello precedente;

inferiore a quello precedente.

Nel primo caso, l’impresa manterrà il beneficio, nei limiti delle quote residue che avrebbe stanziato se non ci fosse stata la sostituzione (e quindi senza poter maggiorare l’eventuale eccedenza di costo). Nel secondo caso, il costo del nuovo investimento costituisce un limite alla maggiorazione, per cui le quote residue saranno penalizzate.

A seguito dei chiarimenti di Telefisco si può affermare che:

non vi è penalizzazione nel primo anno (quello di sostituzione), atteso che il dimezzamento del coefficiente riguarderà solo l’ammortamento ordinario e non quello maggiorato, che procedere secondo “le residue quote del beneficio”;

in caso di costo di acquisto del nuovo cespite inferiore al precedente, la “scansione” delle quote rimane quella originaria e non viene rallentata (ma solo “stoppata”) dal nuovo limite.

Aggiungiamo che, a quanto sembra, la discontinuità nel possesso (es. cessione a marzo, nuovo acquisto a settembre) non dovrebbe aver effetto sui calcoli, almeno con riferimento all’iperammortamento. Se sul bene ceduto la quota di ammortamento va stanziata anche nell’anno di cessione, pro quota mesi (Oic 16, paragrafo 81), e così occorrerebbe fare per la maggiorazione legata all’iper se non vi fosse il riacquisto (circolare n. 4/E/2017, paragrafo 5.4), realizzando la “staffetta” la quota di iperammortamento dovrebbe restare invariata, con la sola differenza che, in caso di costo inferiore rispetto al cespite originario, ci si ferma prima, in quanto il totale da stanziare viene riproporzionato sul nuovo costo.

Fonte “Il sole 24 ore”

La dichiarazione «ultratardiva» può evitare il reato tributario

La dichiarazione dei redditi in scadenza il 31 ottobre, non inviata e ravveduta entro il 29 gennaio, è considerata irrimediabilmente omessa, non è tecnicamente oggetto di ravvedimento operoso e consente l’accertamento induttivo del Fisco (ex articolo 41, Dpr n. 600/1973), fondato su presunzioni anche non qualificate. Infatti, l’articolo 13 comma 1 lettera c) del Dlgs n. 472/97 ammette il ravvedimento operoso del mancato invio della dichiarazione dei redditi, a condizione che avvenga entro 90 giorni dal termine ultimo per detto invio e che sia versata la sanzione per la dichiarazione omessa ridotta a 1/10 del minimo.

Tuttavia, nonostante sia ormai spirato il termine entro il quale era sanabile la tardività della dichiarazione originaria se, già a partire da oggi, ci si accorge dell’omissione è utile velocemente attivarsi ed inviare comunque il modello dichiarativo che costituirà titolo per la riscossione, poiché la filosofia che ormai ammanta tutto il sistema assegna una rilevanza sempre più premiale all’utilizzo di rimedi volontari per emendare errori, con forme di resipiscenza che, sebbene non siano ravvedimento in senso proprio, attenuano le conseguenze dell’inadempimento omissivo.

Cosicché, sebbene “ultratardiva”, la presentazione della dichiarazione dimezza le sanzioni tributarie che, dal 120% al 240% delle imposte dovute, sono ridotte al 60% al 120% (articolo 1, comma 1 del Dlgs n. 471/97), se la dichiarazione è presentata entro il termine per l’invio di quella per l’anno successivo e, comunque, prima dell’inizio di un controllo fiscale o di natura penale.

Ma, a ben vedere, vi è molto di più. Infatti, una presentazione “ultratardiva” può rendere non punibile l’eventuale reato di omessa dichiarazione (articolo 5 del Dlgs n. 74/2000) e, se il contribuente versa anche le imposte che alle scadenze ordinarie avrebbe dovuto corrispondere con ravvedimento operoso, le sanzioni irrogabili per l’omissione dichiarativa saranno applicate in misura fissa e non più proporzionale.

Fonte “Il sole 24 ore”

In sostanza, se il contribuente omette la dichiarazione e ravvede il mancato versamento delle imposte risultanti dalla medesima, la sanzione per l’omessa dichiarazione dei redditi/Irap va da 250 a mille euro, come sostenuto nella circolare n. 54/2002, paragrafo 17.1, ove si afferma che tale sia la sanzione «qualora l’imposta accertata sia stata completamente versata dal contribuente» e che «per imposta dovuta si ritiene che debba intendersi la differenza tra l’imposta accertata e quella versata a qualsiasi titolo».

In definitiva, se la dichiarazione è omessa e le imposte non sono versate, la sanzione va dal 120% al 240% del tributo dovuto (sanzione dimezzabile con invio entro i termini dell’anno successivo), mentre se la dichiarazione è omessa ma, ante controlli, le imposte sono versate/ravvedute la sanzione è da 250 a mille euro. Peraltro, in quest’ultima fattispecie, la sanzione sarà ancor più ridotta (da 150 a 500 euro) se la dichiarazione e il pagamento delle imposte avvengono, sempre prima dei controlli, entro il termine per la presentazione della dichiarazione successiva (articoli 1 e 5 del Dlgs n. 471/97).

Successione a due vie, istruzioni per l’uso

Anche le pratiche ereditarie si “allineano” al dominio del web e la dichiarazione di successione diventa telematica, per ora in modo volontario e alternativo alla carta, dal 2019 come unica modalità ammessa. Lo ha stabilito il provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate del 28 dicembre 2017 (prot. n. 305134) , con il quale è stata approvata anche la modulistica in formato digitale.

Partendo da questa novità di rilievo, in queste pagine approfondiamo gli adempimenti e la tassazione (e relativi “sconti”) che scattano in caso di decesso di una persona.

L’obbligo dichiarativo

Il primo è proprio l’obbligo di presentare la dichiarazione di successione, ovvero di registrare all’agenzia delle Entrate la modulistica con la quale si dichiarano al fisco i beneficiari della successione, la consistenza del patrimonio oggetto di successione e del suo valore imponibile ai fini dei tributi da pagare in caso di trasmissione a causa di morte e cioè l’imposta di successione nonché, se vi sono beni immobili, l’imposta ipotecaria e quella catastale.

Come detto, dal 1° gennaio 2019 scatterà l’obbligo di dichiarazione online: si dovrà trattare comunque di successioni apertesi dal 3 ottobre 2006 in avanti, in quanto, per quelle aperte in precedenza, si continuerà a utilizzare il modulo cartaceo (il “modello 4”, approvato con Dm 10 gennaio 1992). Sempre con modello cartaceo si continueranno a registrare le dichiarazioni di successioni integrative, sostitutive o modificative di tutte le dichiarazioni di successione registrate con il modello 4.

Le regole per quest’anno

Per tutto il 2018, comunque, chi opterà per la dichiarazione in via telematica dovrà seguire queste modalità:

fino al 14 marzo 2018 si dovrà usare il modello informatico approvato con il provvedimento del direttore delle Entrate del 15 giugno 2017;

dal 15 marzo 2018 al 31 dicembre 2018 si potrà usare, in alternativa al modello approvato nel giugno scorso, quello approvato con il provvedimento 305134.

Quest’ultimo provvedimento contiene anche le istruzioni per compilare il nuovo modello informatico: due fascicoli di complessive 85 pagine che, per il numero e il rigaggio assai fitto, assomigliano più a un manuale dell’imposta di successione che a un vademecum per districarsi nei numerosissimi campi in cui sono suddivisi i 17 quadri (da EA a ES) che compongono le 19 pagine del modello in questione. Una complicazione inevitabile date le innumerevoli sfaccettature normative di cui si deve tener conto per fronteggiare le infinite situazioni concrete di una successione.

I tempi di presentazione

Per presentare la dichiarazione la legge concede un anno di tempo dalla data di apertura della successione, e cioè dal giorno del decesso. Vi sono però alcuni casi particolari: ad esempio, nel caso di accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, il termine annuale decorre dal giorno in cui scade il termine per redigere l’inventario; in caso di rinuncia all’eredità, il termine decorre dal giorno in cui il chiamato ulteriore viene a conoscenza della rinuncia. Quest’ultima regola vale anche nel caso in cui si verifichino eventi che mutino il quadro ereditario: ad esempio, la scoperta di un testamento di cui non si conosceva l’esistenza.

La dichiarazione di successione non deve però essere presentata se ricorrono entrambe le seguenti condizioni: l’eredità è devoluta al coniuge e ai parenti in linea retta del defunto e l’attivo ereditario ha un valore non superiore a 100mila euro e non comprende beni immobili.

Fonte “Il sole 24 ore”

Le scadenze del saldo Iva al test del calendario

I pagamenti del saldo annuale Iva per il 2017, in unica soluzione o a rate, possono beneficiare di più spostamenti se cadono di sabato o nel periodo dal 1° al 20 agosto. Ad esempio, il saldo Iva per il 2017, in scadenza ordinaria al 16 marzo 2018, può essere versato, con lo 0,40% in più per ogni mese o frazione di mese successivo al 16 marzo, entro il termine ordinario per il saldo delle imposte sui redditi, cioè entro il 30 giugno 2018, che, essendo sabato, slitta a lunedì 2 luglio. I contribuenti potranno anche versare il saldo Iva entro i 30 giorni successivi alla scadenza del 2 luglio 2018. In questo caso, sulle somme dovute fino al 2 luglio 2018, al netto delle compensazioni dei crediti, si dovrà applicare una ulteriore maggiorazione dello 0,40 per cento. Con il differimento del termine al 2 luglio 2018, i 30 giorni successivi, a partire dal 3 luglio 2018, scadono il 1° agosto 2018. La scadenza del 1° agosto slitta poi al 20 agosto in quanto beneficia della proroga estiva. È infatti stabilito che gli adempimenti fiscali e i versamenti da fare con il modello F24 in scadenza dal 1° al 20 agosto possono essere eseguiti fino al 20 agosto senza maggiorazioni.

Le diverse modalità per pagare il saldo Iva
In conclusione, il saldo Iva per il 2017 potrà essere versato:
– in un’unica soluzione entro il 16 marzo 2018, oppure a rate, maggiorando dello 0,33% l’importo mensile di ogni rata successiva alla prima;
– in un’unica soluzione entro il 30 giugno 2018, che, essendo sabato, slitta a lunedì 2 luglio 2018, o entro i 30 giorni successivi al 2 luglio 2018, che, a partire dal 3 luglio 2018, scadono il 1° agosto 2018, che a sua volta slitta al 20 agosto.

Nei predetti casi, l’importo dovuto deve essere maggiorato dello 0,40 per cento, per ogni mese o frazione di mese successivi al 16 marzo (escludendo però il periodo feriale dal primo al 20 agosto); chi paga a rate deve maggiorare prima l’importo da versare dello 0,40% per ogni mese o frazione di mese successivi al 16 marzo, e poi aumentare dello 0,33% l’importo mensile di ogni rata successiva alla prima.

Il calcolo dello 0,40 per cento
L’esempio che segue riguarda un contribuente, che chiude la dichiarazione annuale Iva per il 2017 con un debito Iva di 20 mila euro. Se il contribuente effettua il pagamento dopo il 16 giugno ed entro il 30 giugno 2018, che slitta al 2 luglio 2018, il versamento dell’Iva relativa al saldo annuale 2017 è pari a:

– debito Iva 20.000 euro; maggiorazione totale 1,60% (0,40% dal 17 marzo al 16 aprile, più 0,40% dal 17 aprile al 16 maggio, più 0,40% dal 17 maggio al 16 giugno, più 0,40% dal 17 giugno al 30 giugno); 20 mila euro per 1,60% è uguale a 320 euro; importo dovuto 20.320 euro.

Il debito di 20.320 euro può essere:
– pagato a rate, unitamente ai versamenti dei Redditi 2018;
– versato in unica soluzione, insieme agli altri versamenti dei Redditi 2018.
Il contribuente può anche pagare il saldo Iva maggiorato dello 0,40%, dal 3 luglio al 1° agosto 2018, che slitta al 20 agosto 2018. In questo caso, deve aggiungere però un ulteriore 0,40% al saldo dell’Iva aumentato della maggiorazione dovuta dal 16 marzo al 2 luglio 2018. Nel caso del contribuente, che sposta il pagamento del saldo Iva 2017 di 20 mila euro, tenuto conto che la maggiorazione fino al 2 luglio è uguale a 320 euro, lo 0,40 per cento in più, per l’ulteriore spostamento dal 3 luglio al 20 agosto 2018, deve essere calcolato sull’importo di 20.320 euro. Perciò, lo 0,40% su 20.320 euro è uguale a 81,28 euro; in totale 20.401,28 euro.

Fonte “Il sole 24 ore”

Iva con diritto a detrazione posticipato

Dichiarazioni e adempimenti

Iva con diritto a detrazione posticipato

di Matteo Ravera e Benedetto Santacroce

Il coordinamento tra l’articolo 19 (diritto a detrazione Iva) e 25 (registrazione delle fatture d’acquisto) operato dalla circolare 1/E/2018 rischia di mettere fuori gioco una prassi contabile di gestione delle liquidazioni periodiche. L’Agenzia, aderendo ai principi comunitari, così come declinati dalla Corte Ue (sentenza C-152/02), indica che l’esercizio del diritto alla detrazione è subordinato alla contemporanea sussistenza di un duplice requisito:

•il presupposto sostanziale dell’effettuazione dell’operazione;

•il presupposto formale del possesso di valida fattura d’acquisto.

Un’impostazione operativamente innovativa, in considerazione anche del fatto che la prassi (e l’Agenzia) ha sempre ritenuto prevalente la disposizione di natura sostanziale recata dall’articolo 19 del Dpr 633/1972 sul dato letterale dell’articolo 25, imponendo solo l’obbligo della registrazione prima dell’effettuazione della liquidazione periodica.

L’applicazione dei principi Ue ha come diretta conseguenza, in sede di coordinamento delle norme interne, che il dies a quo da cui decorre il termine per l’esercizio della detrazione deve essere oggi individuato nel momento in cui si verifica la duplice condizione: 1) dell’avvenuta esigibilità dell’imposta e 2) del possesso di una valida fattura. In altri termini, l’imposta diventerà detraibile solo a seguito dell’avvenuta ricezione della fattura. Pertanto, sul piano operativo, avendo acquistato beni nel 2017 si potrà esercitare il diritto alla detrazione nel 2018 per le fatture ricevute dal 1° gennaio 2018, ovvero nella dichiarazione annuale Iva relativa all’anno 2017 per le fatture ricevute entro il 31 dicembre 2017. Pertanto, la data di ricezione della fattura assurge a elemento sostanziale per determinare il periodo a partire dal quale l’imposta diventa detraibile.

Se, da un lato, è vero che tale impostazione parrebbe ridurre le problematiche gestionali (e finanziarie) delle “fatture a cavallo d’anno”, dall’altro lato devono essere attentamente valutati gli impatti potenziali sulla determinazione delle liquidazioni periodiche che sembrano emergere da tale nuova interpretazione.

Più in dettaglio, come dovrà essere gestita, ad esempio, una fattura relativa a un’operazione effettuata a marzo 2018 (data fattura 31/3/2018) ricevuta il 5 aprile 2018? Vale la pena ricordare che il Dpr 100/1998 prevede che si possa portare in detrazione l’Iva sulle fatture di cui si è in possesso nel giorno in cui si esegue la liquidazione (previa annotazione delle stesse nel registro degli acquisti). È inoltre prassi operativa consolidata da parte delle imprese quella di proseguire le registrazioni contabili di un determinato mese (ad esempio marzo 2018) per alcuni giorni del periodo successivo al fine di ricondurre le fatture ricevute nei primi giorni del mese successivo al corretto periodo di competenza (cioè mese di effettuazione dell’operazione) e farle concorrere alla relativa liquidazione periodica. Ebbene, applicando le indicazioni della circolare 1/2018, l’Iva relativa a tali fatture non può più essere detratta nel mese di effettuazione dell’operazione pur avendo ricevuto e registrato il documento entro il termine per la relativa liquidazione periodica, posticipando quindi l’esercizio del diritto al periodo successivo.

In tal senso si spiega il passaggio della circolare in cui l’Agenzia ritiene non sanzionabili solo i comportamenti adottati dai contribuenti in sede di liquidazione Iva relativa al mese di dicembre 2017 difformi rispetto alle indicazioni fornite nel documento di prassi. Il riferimento è, infatti, ai soggetti passivi che, avendo ricevuto entro il 16 gennaio 2018 fatture relative a operazioni la cui imposta sia divenuta esigibile nel 2017, abbiano fatto concorrere l’imposta a credito, esposta nei predetti documenti contabili, alla liquidazione relativa al mese di dicembre 2017. Parrebbe potersi concludere pertanto che, già a partire dalla liquidazione relativa a gennaio (16 febbraio 2018), sarà necessario adeguarsi alle nuove indicazioni per non incorrere in sanzioni.

Fonte “Il sole 24 ore”

Lo spesometro diventa più leggero e guadagna la proroga

Lo spesometro imbocca la strada della semplificazione in attesa di scomparire con il debutto della fattura elettronica obbligatoria. E per la prima volta dopo 18 anni arriva l’applicazione delle norme dello Statuto del contribuente che prevedono un intervallo di 60 giorni tra l’emanazione di nuove regole e la scadenza del relativo adempimento. In questo modo il termine del 28 febbraio per l’invio dei dati delle fatture del secondo semestre 2017 e delle integrazioni senza sanzioni di quelle del primo semestre è destinato a slittare tra la fine di marzo e il mese di aprile. Aspetti su cui esprime «soddisfazione» il viceministro dell’Economia, Luigi Casero, nel commentare la bozza di provvedimento delle Entrate messa ieri in consultazione pubblica sul sito istituzionale . «Sono state accolte le istanze di grande semplificazione», continua Casero, emerse nel corso dei tavoli di confronto con operatori e professionisti istituiti all’indomani del caos che ha accompagnato tra settembre e ottobre la trasmissione delle informazioni relative a fatture emesse e ricevute nei primi sei mesi dello scorso anno. Parla di «fatto molto positivo» il presidente dei commercialisti, Massimo Miani, in relazione alla proroga e apprezza il metodo del confronto: «Molto probabilmente nel merito del provvedimento sul quale si aprirà ora il confronto resteranno le nostre distanze rispetto a quanto previsto da Entrate e Mef, ma non possiamo che accogliere positivamente questa novità per il metodo adottato, che ci auguriamo diventi la norma nei rapporti tra amministrazione fiscale e professionisti».

Il restyling recepisce le indicazioni formulate dal direttore dell’Agenzia, Ernesto Maria Ruffini, in commissione Finanze alla Camera in cui annunciava l’addio ai dati superflui (si veda Il Quotidiano del Fisco del 18 ottobre ). Un addio che si riscontra soprattutto nelle «specifiche tecniche e regole per la compilazione dei dati delle fatture» che accompagnano la bozza di provvedimento. Ad esempio se si guarda alle fatture emesse restano obbligatori solo i dati relativi alla partita Iva e del Paese del cedente o prestatore mentre diventano opzionali tutta una serie di informazioni che avevano complicato la vita di intermediari e contribuenti nel primo invio, tra questi la denominazione delle ditte o delle società, gli indirizzi, il numero civico e il Cap .

Tra le novità spicca senza dubbio la possibilità concessa a imprese e autonomi di optare per un invio semestrale dei dati in luogo di quello trimestrale. Ritorna poi il documento riepilogativo per le micro-fatture sotto i 300 euro. Una novità che consente ai soggetti di inviare i seguenti dati del documento riepilogativo: partita Iva del cedente o del prestatore per il documento riepilogativo delle fatture attive, partita Iva del cessionario o committente per il documento riepilogativo delle fatture passive, data e numero del documento riepilogativo, l’imponibile complessivo e l’imposta complessiva distinti secondo l’aliquota applicata.

La semplificazione, spiegano dall’Agenzia, avrà effetto retroattivo sulle comunicazioni integrative che i contribuenti vorranno inviare entro la prossima scadenza per correggere errori del primo invio. E per venire incontro agli intermediari arriva anche la «retro-compatibilità» dei software di mercato utilizzati da imprese e studi professionali per la comunicazione del primo semestre 2017. Per chi vorrà invece utilizzare software ufficiali delle Entrate, l’amministrazione renderà disponibili due nuovi programmi di controllo e di compilazione.

Fonte “Il sole 24 ore”

Finisce l’era della scheda carburante

L’addio alla scheda carburante si accompagna a una serie di previsioni in materia di contrasto all’evasione fiscale nel settore della commercializzazione e distribuzione dei carburanti, attuate anche mediante l’introduzione della fatturazione elettronica.
Dal 1° luglio, infatti, è prevista l’emissione della fattura elettronica per le cessioni di benzina o di gasolio destinati a essere utilizzati come carburanti per motori. Così, per effetto del comma 917 della legge di Bilancio 2018 , la fatturazione elettronica B2B viene anticipata rispetto all’obbligo generalizzato che scatterà dal 2019.
La norma non individua chiaramente i soggetti destinatari dell’obbligo, visto che si riferisce solo alla tipologia di beni ceduti e al loro utilizzo. Tuttavia, le schede di lettura alla manovra, commentando il successivo comma 918 – relativo all’utilizzo dei dati delle predette fatture elettroniche da parte del Fisco – si riferiscono ai documenti emessi da parte dei gestori dei distributori di carburanti, così potendo ipotizzare che l’obbligo possa riguardare solo questi ultimi.
Al contempo, viene implementato il terzo comma dell’articolo 22 del Dpr 633/1972, prevedendo che gli acquisti di carburante da autotrazione effettuati presso gli impianti stradali di distribuzione da parte di soggetti passivi Iva devono essere documentati con fattura elettronica.
È stato poi previsto (comma 921) che per i gestori di impianti di distribuzione resta fermo l’esonero della certificazione dei corrispettivi (articolo 2, comma 1, lettera b), Dpr 696/1996), ma solo nel caso di clienti che acquistano al di fuori dell’esercizio d’impresa, arte e professione.
Alla fattura elettronica verso soggetti passivi si accompagna la soppressione della scheda carburante (comma 926).
Ma non è finita qui. Infatti, in coda alla lettera d) dell’articolo 19-bis.1 del decreto Iva, che stabilisce le regole di detrazione dell’imposta relativa agli acquisti afferenti aeromobili, natanti da diporto e veicoli stradali a motore, è stato previsto che le operazioni devono essere provate mediante pagamenti tracciati. Nella sostanza, la detrazione dell’Iva in relazione a detti acquisti dipende dall’adozione di un determinato metodo di pagamento, non tenendo conto che la predetta lettera d) non si riferisce solo ai carburanti, ma anche ai lubrificanti e alle prestazioni relative ai predetti mezzi. Nonostante la formulazione infelice, parrebbe di poter affermare che il pagamento tracciato, come condizione per la detraibilità, è riferibile solo ai carburanti, come specificato anche nelle schede di lettura della legge di Bilancio, e anche in funzione della collocazione della disposizione normativa, ossia tra i commi dedicati al contrasto all’evasione fiscale nella distribuzione di carburanti.
Per pagamenti tracciati si intendono quelli effettuati tramite carte di credito, di debito o prepagate, emesse dagli intermediari soggetti agli obblighi di cui all’articolo 7 del Dpr 605/1973, o da altro mezzo che potrà essere ritenuto idoneo mediante provvedimento del Direttore delle Entrate.
Analoga disposizione è stata introdotta nell’articolo 164 del Tuir, in relazione alla deducibilità del costo. Va qui però segnalato il mancato richiamo a ulteriori provvedimenti. Sul punto ci si attende tuttavia che l’Agenzia delle entrate offra un’interpretazione estensiva, consentendo l’adozione di altri mezzi di pagamento, come per l’Iva.
Ma restano sullo sfondo anche altre questioni sulle quali sarebbe opportuno un intervento ufficiale. Tra queste, sicuramente, anche quella di comprendere se i rifornimenti effettuati tramite la procedura del netting siano soggetti all’obbligo di fatturazione elettronica “anticipata” e quella relativa alla possibilità, o meno, di certificare mediante un’unica fattura riepilogativa i rifornimenti del mese e le relative modalità.
Agli esercenti di impianti di distribuzione di carburante è attribuito un credito d’imposta pari al 50 per cento delle commissioni addebitate per le transazioni effettuate, a partire dal 1° luglio 2018, tramite sistemi di pagamento elettronico, utilizzabile in compensazione.

Fonte “Il sole 24 ore”

Nel 770 i canoni per gli affitti brevi

Via libera definitiva ai modelli CU 2018 e 770 2018, che sono stati aggiornati, tra l’altro, con la nuova ritenuta del 21% sulle locazioni brevi. L’agenzia delle Entrate, infatti, con il provvedimento del 15 gennaio 2018, ha approvato sia la Certificazione unica che il modello 770.

La prima (si veda articolo in basso) va utilizzata dai sostituti d’imposta, per comunicare in via telematica alle Entrate i dati fiscali delle ritenute operate nel 2017, oltre che gli altri dati contributivi e assicurativi richiesti. In essa sono riportati i dati dei redditi di lavoro dipendente, i Tfr, le prestazioni in forma di capitale erogate da fondi pensione, i redditi di lavoro autonomo, le provvigioni e i redditi diversi, oltre che i dati contributivi. L’invio telematico del modello CU 2018 alle Entrate dovrà essere effettuato entro il 7 marzo 2018. Una copia del modello CU, poi, andrà consegnato ai sostituiti entro il 31 marzo 2018.

Il modello 770 2018, invece, dovrà essere trasmesso alle Entrate entro il 31 ottobre 2018, con la stessa scadenza dei modelli Redditi 2018 e Irap 2018.

Quest’anno, nel modello 770 2018, vi è l’obbligo per i soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, nonché di quelli che gestiscono i portali telematici, e che contemporaneamente incassano o intervengono nella riscossione del canone di contratti di locazione breve (cioè quelli «ad uso abitativo», «non superiori a 30 giorni» e «stipulati dal 1° giugno 2017» tra persone fisiche), di indicare la ritenuta d’acconto o d’imposta («a seconda che sia stata effettuata o meno, da parte del locatore, l’opzione per la cedolare secca») del 21% su questi canoni ricevuti dal conduttore, nel momento in cui pagano questi importi ai locatori (codice tributo 1919).

Inoltre, il quadro SK è stato adeguato alle modifiche attuate dal decreto del 26 maggio 2017 agli utili distribuiti da partecipazione qualificata in soggetti Ires, formati con utili prodotti a partire dal primo gennaio 2017. Questi, infatti, concorrono a formare il reddito complessivo nella misura del 58,14% e non più al 49,72 per cento.

L’invio del 770 2018 potrà avvenire con un massimo di tre flussi, che dovranno ricomprendere complessivamente le 5 tipologie di ritenute individuate (dipendente, autonomo, capitale, locazioni brevi e altre ritenute). Se si opterà per l’invio separato dei dati, si dovrà barrare le caselle del flusso inviato nella sezione «Quadri compilati e ritenute operate», indicando nella sezione «Gestione separata» il codice fiscale del soggetto incaricato che invia separatamente il flusso o i flussi inerenti alle altre tipologie reddituali, barrando anche la casella o le caselle inerenti alle tipologie reddituali che saranno trasmesse dall’altro soggetto incaricato. Attenzione, però, che in caso di invio separato del modello, in presenza del flusso «autonomo» (cioè relativo alle ritenute operate su redditi di lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi), il flusso «locazioni» dovrà essere necessariamente unito a quello «autonomo».

Fonte “Il sole 24 ore”

Detrazione Iva con margini più ampi

Regole più chiare per la liquidazione Iva di oggi e in generale per l’esercizio del diritto a detrazione dell’Iva sugli acquisti del 2017. L’agenzia delle Entrate, infatti, con il provvedimento di ieri con cui ha approvato i modelli di dichiarazione Iva 2018 concernenti l’anno 2017 e le relative istruzioni, ha modificato la bozza precedentemente diramata in cui era ancora previsto – come per le annualità precedenti – in modo non coerente con l’attuale assetto normativo, un legame al termine del 31 dicembre dell’anno relativo al periodo in cui si esercita il diritto a detrazione. Infatti, per la compilazione del quadro VF, era stabilito che nel quadro dovevano essere indicati l’imponibile e l’imposta relativi ai beni e servizi acquistati e importati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione, risultanti da fatture e bollette doganali di importazione annotate nell’anno 2017 sul registro degli acquisti di cui all’articolo 25 ovvero su altri registri previsti da disposizioni riguardanti particolari regimi, tenendo conto delle variazioni di cui all’articolo 26 registrate nello stesso anno.

Nella versione definitiva delle istruzioni non c’è più il riferimento all’anno 2017. Ciò significa che nel quadro VF vanno indicati l’imponibile e l’imposta relativi ai beni e servizi acquistati e importati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione, risultanti da fatture e bollette doganali di importazione annotate sul registro degli acquisti.

Per esercitare il diritto a detrazione, quindi, è necessario che i relativi documenti siano annotati nel registro anteriormente all’esercizio del diritto a detrazione che deve avvenire entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale relativa all’anno in cui l’imposta è divenuta esigibile.

Le nuove regole sulla detrazione Iva, introdotte dal Dl 50/2017 hanno, infatti, sul piano operativo e, se non ben gestite, sul piano finanziario un effetto di notevole importanza sulle operazioni di fine anno e, in particolar modo, relativamente a tutte le fatture passive del 2017 che il cessionario/committente riceve nel corso del 2018.

Non essendo più possibile esercitare il diritto alla detrazione in un periodo di imposta diverso da quello nel quale si è verificata l’esigibilità dell’imposta, per le operazioni relative al periodo di imposta 2017, la cui Iva risulta esigibile in detto anno, il diritto a detrazione viene esercitato nelle liquidazioni di ciascun periodo e comunque al più tardi con la dichiarazione annuale relativa al periodo di imposta in cui l’imposta è divenuta esigibile. Le fatture relative alle operazioni realizzate nel 2017 e ricevute nei primi 16 giorni del mese di gennaio 2018, quindi, potranno essere annotate nel registro di cui all’articolo 25 con riferimento al 2017 e la relativa imposta potrà essere portata in detrazione con la liquidazione in scadenza oggi, termine entro cui i contribuenti mensili sono tenuti alla liquidazione e al versamento dell’Iva relativa al mese di dicembre 2017.

È chiaro che le fatture ricevute nel medesimo periodo, ma relative a operazioni divenute esigibili nel corso del 2018, concorreranno alla liquidazione del prossimo mese di febbraio e la relativa imposta sarà liquidata con riferimento all’Iva 2018.

Le aziende e i professionisti che si trovano a dover gestire contemporaneamente la registrazione delle fatture relative al 2017 e quelle del 2018, potrebbero procedere alla creazione di un registro sezionale, da cui estrapolare le fatture registrate nel 2018 ma divenute esigibili nel 2017.

Pertanto, l’imposta relativa alle fatture esigibili nel 2017 e ricevute entro oggi, potrà essere portata in detrazione con il versamento effettuato in data odierna, mentre l’imposta relativa alle fatture esigibili nel 2017, ma ricevute da domani e sino al prossimo 30 aprile (qualora si attenda detto termine ultimo per la presentazione della dichiarazione Iva annuale), potrà essere portata in detrazione direttamente in dichiarazione. Tutto rinviato al 16 marzo, invece, per i contribuenti trimestrali che liquidano entro quella data il quarto trimestre 2017.

Fonte “Il sole 24 ore”

Clausole a favore dell’exit strategy

Quando un’impresa in forma societaria viene programmata sulla base di un accordo tra un socio di maggioranza e un socio di minoranza, la prassi professionale immancabilmente suggerisce che nello statuto della società in questione vi siano, tra le altre:

– clausole anti-stallo, vale a dire clausole che scongiurino l’evenienza del disaccordo dei soci e che esso provochi una paralisi dell’attività societaria (che può addirittura condurre, nei casi più gravi, allo scioglimento della società stessa);

– clausole che tutelino il socio di minoranza, nell’ipotesi in cui il socio di maggioranza intenda uscire dalla società, alienando la sua quota di partecipazione;

– clausole che tutelino il socio di maggioranza nel caso in cui egli voglia vendere la sua quota di partecipazione ma il potenziale acquirente ponga la condizione di acquisire tutto il capitale sociale (e, quindi, non solo la quota del socio di maggioranza).

I tipi di clausole

Le clausole anti-stallo, di solito, prevedono la reiterazione dei tentativi di arrivare a una decisione concordata (ad esempio, disponendo che si svolgano altre riunioni, dopo quella andata in fumo per il mancato formarsi del quorum decisionale occorrente) e, in caso di fallimento di questi tentativi di accordo, impongono una escalation del livello decisionale: vale a dire, ad esempio, che se gli amministratori non si mettono d’accordo, la decisione venga rimessa all’assemblea dei soci; e che, se anche qui, non si raggiunge l’accordo, se si tratta di una società-veicolo, la questione venga rimessa ai capi-azienda delle rispettive case-madri. Oltre a questi rimedi, o in connessione con essi, si può poi ricorrere ad altre soluzioni più “vigorose”, come, ad esempio, quella della russian roulette, illustrata nell’articolo qui a fianco.

La clausola che tipicamente si utilizza per tutelare il socio di minoranza nel caso in cui questi tema di avere svantaggi qualora il socio di maggioranza venga la propria quota prende il nome (mutuato dalla contrattualistica anglo-americana) di clausola di tag-along (diritto di co-vendita): con essa, in sostanza, il socio di minoranza ottiene il diritto di “appiccicarsi” (tag significa infatti “etichetta”) al socio di maggioranza e, cioè, di vendere la propria quota alle stesse condizioni concordate dal socio di maggioranza con il terzo acquirente.

Il socio di maggioranza, dal canto suo, ha il problema contrario: e cioè quello di tutelarsi nel caso in cui il potenziale acquirente sia disposto a comprare la quota del socio di maggioranza solo se anche il socio di minoranza venda la propria partecipazione. Due sono, di solito, le clausole con le quali questo problema viene gestito:

– la clausola di drag along, recante il diritto del socio di maggioranza di trascinare con sé nella vendita l’altro socio;

– la clausola di bring along, simile alla precedente, ma con la variante che il diritto di trascinamento spetta non al socio di maggioranza ma al terzo acquirente.

Le clausole di tag, drag e bring along sono di solito strutturate come opzioni (call o put): vale a dire, ad esempio, con riguardo al tag, che il socio di minoranza ha un’opzione put, e cioè di pretendere dal socio di maggioranza la vendita della propria quota a favore del terzo potenziale acquirente; e, con riguardo al drag, che il socio di maggioranza ha un’opzione call, e cioè di pretendere l’acquisto, a favore del terzo, della quota del socio di minoranza.

Il Notariato del Triveneto

Così strutturate, le clausole in questione si possono introdurre nello statuto (e, poi, modificare o rimuovere) solo con il consenso del socio che da esse ritrae il diritto di vendita o di acquisto. Secondo un recente orientamento del Notariato triveneto , peraltro, una decisione a maggioranza sarebbe legittima se la clausola sia strutturata come diritto del socio di maggioranza di terminare l’esistenza della società e di metterla in liquidazione (massima H.I.19).

Caratteristica comune di queste clausole è che esse (specie in base a una nota sentenza del Tribunale di Milano, datata 31 marzo 2008) devono assicurare al socio di minoranza una valorizzazione della sua quota almeno pari a quella che egli otterrebbe in caso di recesso dalla società. Ma si tratta di una tesi che appare discutibile, specialmente in base all’argomento secondo il quale queste clausole vengono introdotte in statuto con il consenso di tutti i soci. Essi – a tacere del fatto che sono tutti imprenditori dotati di assistenza professionale – ben sanno quel che firmano quando approvano lo statuto che contiene queste clausole, dalle quali evidentemente non si sentono vessati.

Fonte “Il sole 24 ore”

Nuovi soggetti per lo slit payment

Dal 2018 scatta lo split payment anche per le fondazioni partecipate da amministrazioni pubbliche, per una percentuale complessiva del fondo di dotazione non inferiore al 70 %.

È questa una delle categoria di “nuovi” soggetti destinatari, dal primo gennaio di quest’anno, del particolare meccanismo della scissione dei pagamenti, disciplinato dall’articolo 17-ter della legge Iva, Dpr 633/1972.

È il Dl 148 /2017 , convertito in legge 172/2017, ad aver ampliato la platea dei soggetti nei confronti dei quali si deve applicare il meccanismo in commento, che comprende, sempre dalla medesima data appena indicata, anche «gli enti pubblici economici nazionali, regionali e locali, comprese le aziende speciali e le aziende pubbliche di servizi alla persona».

Per individuare con esattezza i clienti nei confronti dei quali si deve applicare lo split payment, tre sono i “canali” a disposizione del fornitore: l’indice dell’Amministrazione pubblica, così detto Ipa, già ben noto perché individua i destinatari della fattura elettronica obbligatoria, il sito del Mef che in una pagina dedicata al meccanismo in commento pubblica gli elenchi delle società controllate di fatto, direttamente o indirettamente, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dai Ministeri, degli enti o società controllate, direttamente o indirettamente, dalle Amministrazioni centrali, degli enti o società controllate, direttamente o indirettamente, dalle Amministrazioni locali, degli enti o società controllate, direttamente o indirettamente, dagli Enti nazionali di previdenza e assistenza, degli enti, fondazioni o società partecipate, direttamente o indirettamente, per una percentuale complessiva del capitale non inferiore al 70%, dalle Pa, nonché, infine, delle società quotate inserite nell’indice Ftse Mib della Borsa italiana.

Il terzo canale a disposizione del fornitore, ove esso ritenesse dubbia l’inclusione o la esclusione di un cliente dai predetti elenchi, è richiedere allo stesso una dichiarazione in cui venga attestato se egli rientra o meno nel meccanismo della scissione dei pagamenti.

Tale ultima possibilità è offerta direttamente dalla norma introdotta dal Dl 50/2017, che letteralmente prevede che « A richiesta dei cedenti o prestatori, i cessionari o i committenti … devono rilasciare un documento attestante la loro riconducibilità a soggetti per i quali si applicano le disposizioni del presente articolo».

Con decreto del 9 gennaio 2018, il Mef ha disposto che per il 2018 valgono, per l’individuazione dei soggetti coinvolti dalla scissione dei pagamenti, gli elenchi pubblicati sul proprio sito in data 19 dicembre 2017.

In merito allo split payment è bene ricordare, viste anche le novità in tema di detrazione Iva introdotte sempre dal Dl 50, che il cliente che rientra nel meccanismo può optare anche in questo caso per tre diverse soluzioni per quanto concerne l’esercizio della detrazione dell’imposta.

Viene, infatti, stabilito dall’articolo 3 del Dm 23 gennaio 2015, come successivamente modificato, che l’imposta relativa alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi a cui si applica lo split payment, diviene esigibile al momento del pagamento dei corrispettivi ovvero, su opzione dellePa e delle società o altri soggetti coinvolti nel meccanismo, tale esigibilità può essere anticipata al momento della ricezione della fattura o, ancora, al momento della registrazione del medesimo documento.

Fonte “Il sole 24 ore”

 

La data decide il bonus investimenti

La proroga del superammortamento per gli investimenti eseguiti nel 2018 prevede regole diverse da quelle stabilite per l’agevolazione degli scorsi anni, e segnatamente una aliquota di incremento del valore fiscale del bene strumentale ridotta al 30% contro il 40% dei periodi d’imposta 2015/2017. Vediamo i casi che possono presentarsi a seconda della modalità dell’investimento e dei tempi di consegna.

Bene acquisito entro il 30 giugno 2018

In primo luogo analizziamo il caso del bene già ultimato acquisito tra il 1° gennaio 2018 e il 30 giugno 2018. Sarà necessario distinguere l’ipotesi del bene per il quale sia stato versato acconto sul prezzo almeno del 20% entro il 2017 con ordine accettato dal venditore entro la medesima data, rispetto al bene acquisito nel 2018 senza aver versato alcun acconto. Nel primo caso l’investimento si intende eseguito nel 2017, quindi con variazione diminutiva calcolata sul 40% del costo del bene (ancorchè l’agevolazione verrà fruita nel 2018 al momento di consegna del bene con avvio del processo di ammortamento) . Nel secondo caso, a parità di data di consegna del bene, esso si intende acquisito nel 2018 con calcolo dell’agevolazione con l’aliquota del 30% .

Appalto con consegna entro il 30 giugno 2018

Nell’ipotesi di beni costruiti da terzi tramite contratto di appalto, l’investimento si intende eseguito o al momento della ultimazione della prestazione dell’appaltatore, oppure nel momento in cui risultano accettati definitivamente gli stati di avanzamento lavori (Sal) e limitatamente ai corrispettivi liquidati tramite gli stessi Sal. In tale ipotesi la circolare 4/E/2017 (paragrafo 5.3) ha affermato che la condizione dell’acconto sul prezzo pari almeno al 20% si intende avverata qualora il contratto di appalto risulti sottoscritto entro il 31 dicembre 2017 e sia avvenuto il pagamento di acconti all’appaltatore nella misura di almeno il 20% del costo complessivo indicato nel contratto. In assenza di Sal liquidati entro il 31 dicembre 2017 il bene consegnato entro il 30 giugno 2018 sarà agevolato con l’aliquota del 40%. Anche se vi saranno Sal liquidati entro il 31 dimbre 2017 non sembra diversa la situazione ( quindi agevolazione calcolata con aliquota unica del 40%), purchè siano presenti le condizioni sopra indicate.

Appalto con consegna oltre il 30 giugno 2018

Valutiamo ora l’ipotesi più complessa rappresentata dal bene la cui costruzione è iniziata nel 2017 ma con consegna oltre il 30 giugno 2018, oppure con consegna entro il 30 giugno ma senza aver corrisposto entro il 31 dicembre 2017 l’acconto all’appaltatore di almeno il 20% del costo complessivo. In presenza di Sal liquidati definitamente entro il 31 dicembre 2017 l’investimento è realizzato in parte nel 2017 e in parte nel 2018, con la complicazione che cambia l’aliquota dell’agevolazione con riferimento al medesimo bene. Sembra corretto affermare che la variazione diminutiva verrà calcolata con l’aliquota del 40% per la parte di costo sostenuto nel 2017 e con l’aliquota del 30% per quella realizzata nel 2018. Vediamo questo esempio. Il costo complessivo del bene costruito tramite appalto ammonta a 100.000 €. Nel 2017 sono stati liquidati Sal per 50.000 € e nel 2018 la restante parte con consegna al 30.novembre 2018. L’aliquota di ammortamento è del 15%. La variazione diminutiva annuale dovrebbe essere pari a 3.000 € (100.000/2 = 50.000 x 15% = 7.500 x 40% = 3.000) più 2.250 (100.000/2 = 50.000 x 15% = 7.500 x 30% = 2.250) per un totale complessivo pari a 5.250 €, senza calcolare, per semplicità dell’esempio, la quota dimezzata nel primo anno di utilizzo del bene.

Medesime considerazione valgono per il bene realizzato in economia, dove la possibilità di ritenere eseguito l’investimento interamente nel 2017 è condizionata dal fatto che nel 2017 steso siano stati sostenuti costi pari almeno al 20% del costo complessivo.

Fonte “Il sole 24 ore”

Cessioni, vale il passivo «inerente»

Nel calcolo del valore imponibile del contratto di cessione d’azienda, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, è consentito diminuire il valore dell’attivo aziendale in misura pari al valore delle passività che il cedente non tiene in capo a sé (e che, quindi, il cessionario si accolla), ma solo se si tratta di passività “inerenti” all’azienda ceduta. Lo ribadisce una nota della Dre Lombardia recentemente indirizzata ai Consigli notarili lombardi nell’ambito del rapporto di collaborazione che si concretizza nel “tavolo regionale” attorno al quale si riuniscono esponenti dell’amministrazione finanziaria e notai.

Che le passività, per essere deducibili, debbano essere anche “inerenti” (lo si afferma, ad esempio, nelle sentenze di Cassazione 11167/2013, 10218/2016, 2048/2017) è concetto così scontato che la legge nemmeno ne accenna, evidentemente presupponendolo. Deve però anche essere ovvio che la passività accollata (definendola come una passività “aziendale”) al cessionario dell’azienda si deve presumere, fino a prova contraria (prova che è a carico dell’amministrazione, la quale intenda disconoscerla, al fine di incrementare, corrispondentemente, l’imponibile: in tal senso la sentenza di Cassazione 10218/2016), afferente all’azienda ceduta.

Un altro concetto da sottolineare è che la possibilità di diminuire l’imponibile del contratto di cessione d’azienda esponendo voci di passivo aziendale è una facoltà che compete al contribuente, prima di essere un criterio-guida dell’attività di accertamento da parte dell’Ufficio: se questo ragionamento appare anch’esso banale, meno ovvio diventa se si pensa che lo scomputo delle passività è maldestramente contemplato dalla legge (l’articolo 51, comma 4, Dpr 131/1986) dettata nel contesto di una locuzione che il legislatore scrive con riguardo all’attività di accertamento dell’Ufficio ma che, evidentemente, non può non essere ritenuta quale espressione del principio in base al quale si deve compiere la valutazione dell’azienda; e ciò in base alla esigenza sistematica di una rigorosa corrispondenza tra presupposto e base imponibile e tra criteri valutativi da adottare sia in fase iniziale che in sede di controllo.

Inspiegabile è, dunque, il costante contrario avviso della Cassazione sul punto (sentenze 22223/2011, 8912/2014, 23873/2015) e da interpretare, probabilmente, come frutto di un equivoco, a sua volta causato da imperizia nella redazione di questi contratti,

L’ultimo tema caldo è quello delle aliquote applicabili alla base imponibile: dovrebbe essere scontato (ma nel rapporto tra utenti e Uffici non sempre lo è) che se ci sono crediti separatamente valorizzati, a tale valore si applica l’aliquota specifica dello 0,5% e non quella generica del 3% (quest’ultima è la tesi errata sostenuta in Ctr Firenze, 8 novembre 2016); e che se nel patrimonio aziendale siano compresi contratti soggetti a Iva e quote di partecipazione al capitale sociale di società, il loro valore (sempre se individualmente esplicitato) va sottratto dall’imposizione proporzionale per essere assoggettato all’imposta di registro in misura fissa.

Fonte “Il sole 24 ore”

Rivalutazioni al 30 giugno

La legge di Bilancio 2018 ha previsto l’ennesima riapertura dei termini per la rideterminazione del valore delle partecipazioni e dei terreni.

Si tratta di una agevolazione prevista per la prima volta nella legge Finanziaria 2002 (la 448/2001, articoli 5 e 7) e poi riproposta, pressoché continuamente, con numerosi interventi legislativi, l’ultimo dei quali ai commi 997 e 998 della legge 205/2017.

Si tratta di una agevolazione che consente di rideterminare il costo fiscale dei beni che, in caso di cessione, possono generare plusvalenza ai sensi dell’articolo 67 del Dpr 917/1986. La rivalutazione consente, infatti, di assumere, in luogo del costo o valore iniziale del bene oggetto della rivalutazione, quello indicato nella perizia di stima con la conseguenza di far emergere, in caso di cessione, una minor plusvalenza e quindi di ridurre la tassazione.

Non ci sono novità rispetto alle precedenti versioni.

La rideterminazione riguarda il valore dei terreni a destinazione agricola ed edificatoria e il valore delle partecipazioni detenute in società non quotate posseduti dalle persone fisiche per operazioni estranee all’attività di impresa, società semplici, società ed enti ad esse equiparate di cui all’articolo 5 del Tuir, nonché enti non commerciali.

Il termine entro cui porre in essere gli adempimenti previsti dalla norma è il 30 giugno 2018; in particolare, entro questa data, è necessario:

redigere e giurare la perizia di stima a cura di un professionista abilitato ovvero iscritti all’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e gli iscritti nell’elenco dei revisori legali dei conti (per la redazione delle perizie di stima delle partecipazioni societarie), iscritti agli albi degli ingegneri, degli architetti, dei geometri, dei dottori agronomi, degli agrotecnici, dei periti agrari e dei periti industriali edili (per la redazione di perizia di stima dei terreni);

versare l’imposta sostitutiva dell’8% in un’unica soluzione o oppure rateizzare in un massimo di tre rate di pari importo. In caso di versamento rateale le altre rate devono essere versate entro il 30 giugno degli anni successivi maggiorate del 3% annuo a titolo di interessi.

Al fine di decidere se aderire o meno alla rideterminazione è necessario confrontare con gli importi che sarebbero dovuti in caso di tassazione ordinaria.

Con riferimento alle partecipazioni in società, si deve tener conto del fatto che le plusvalenze derivanti dalle cessioni di partecipazioni qualificate realizzate nel 2018 concorrono a formare il reddito per 58,14% (non più 49,72%) mentre quelle non qualificate sono soggette ad imposta sostitutiva del 26%. Inoltre, va tenuto conto che, a partire dal 1° gennaio 2019, in virtù di quanto previsto dai commi 999 e seguenti della legge di Bilancio, su tutte le plusvalenze da cessione quote, indipendentemente dalla percentuale di possesso (qualificate o meno) troverà applicazione la tassazione mediante imposta sostitutiva del 26 per cento.

Occorre quindi confrontare l’ammontare che deriverebbe dall’applicazione dell’imposta sostitutiva dell’8% sul valore di perizia con quello che deriverebbe dalla tassazione della plusvalenza con le regole ordinarie prima viste. Tenuto conto dell’aliquota di rideterminazione dell’imposta nella misura dell’8%, se la plusvalenza è di lieve entità conviene generalmente applicare la tassazione ordinaria pari al 26% della plusvalenza stessa.

Con riferimento ai terreni, si ricorda che la cessione di un terreno edificabile da parte di una persona fisica, società semplice o soggetti ad essi equiparati genera sempre plusvalenza tassata mentre la cessione di un terreno agricolo genera plusvalenza solo se posseduto da meno di cinque anni.

Fonte “Il sole 24 ore”

Prima chiamata per le detrazioni Iva

Il diritto alla detrazione Iva scatta, in riferimento alle fatture esigibili nel 2017, entro il 16 gennaio 2018 ovvero, se il documento è ricevuto dopo tale termine, deve essere esercitato al massimo entro il 30 aprile 2018 ovvero il termine di presentazione della dichiarazione Iva relativa al 2017.

Il registro Iva sezionale

Per l’esercizio della detrazione, come specificano le bozze delle istruzioni della dichiarazione di quest’anno, è necessario che le fatture vengano preventivamente registrate. Ovviamente, nell’ipotesi in cui le fatture relative alle operazioni realizzate nel 2017 siano ricevute dopo il 16 gennaio 2018 si rende necessario escludere queste operazioni dalla liquidazione Iva del mese di registrazione che, inevitabilmente, sarà il 2018.

Per gestire tali operazioni le imprese dovranno scegliere se predisporre o meno un apposito registro Iva sezionale, quanto mai opportuno, ad avviso di chi scrive, nella convinzione che tale soluzione presenti maggiori garanzie per la corretta liquidazione periodica dell’Iva e dei connessi riscontri da parte degli organi preposti al controllo, grazie ai meccanismi automatici di registrazione e gestione delle fatture interessate dal cambio normativo che solo tale soluzione può garantire, nonché per ridurre in maniera significativa il rischio fiscale collegato agli errori materiali intrinsecamente connessi a qualsiasi procedura manuale.

Le annotazioni

Questa modalità operativa consente, tra l’altro, di individuare agevolmente le fatture da inserire nella comunicazione dati fatture prevista con cadenza trimestrale (e in particolare da riferire all’ultimo trimestre del 2017), nonché di determinare l’Iva da indicare nella liquidazione periodica del trimestre di riferimento; consente peraltro di ottemperare al combinato disposto degli articoli 25 e 39 del Dpr 633/1972, anche considerando le norme generali e le formalità intrinseche in tema di ordinata tenuta delle scritture e dei libri contabili (articolo 2219 del Codice civile, espressamente richiamato dall’articolo 39 citato).

Ciò in quanto le annotazioni nei registri Iva devono essere effettuate rispettando un ordine cronologico di registrazione attribuendo una numerazione progressiva alle singole annotazioni effettuate in ciascun anno solare.

La chiave primaria

Più in dettaglio, scegliendo di adottare un registro Iva sezionale, il sistema contabile pilota i documenti in base a una chiave primaria e univoca (data fattura anno “n”; data di registrazione contabile anno “n+1”) che indirizza correttamente le fatture al registro creato ad hoc per la gestione delle operazioni effettuate nel 2017.

Una volta identificata tramite la chiave primaria, il sistema contabile in sede di registrazione assegna alla fattura un tipo documento con un protocollo dedicato, utilizzato esclusivamente per il registro sezionale creato ad hoc, e la indirizza in automatico nel registro Iva corretto.

L’alternativa

Sarebbe possibile, in alternativa, registrare le fatture di competenza del 2017 nell’ambito delle registrazioni mensili relative al mese di ricevimento (2018), escludendo i relativi importi dalle liquidazioni mensili e tenendone memoria ai fini dell’inserimento nella dichiarazione Iva nella quale si esercita il diritto alla detrazione (2017). Questa soluzione più pratica, presenta i rischi sopra evidenziati, oltre a non essere in grado di monitorare le fatture differite che saranno riferite al 2017, ma saranno datate 2018.

Fonte “Il sole 24 ore”

Nuovo termine di decadenza a prova di Corte Ue

Imprese e professionisti in fibrillazione per la corretta applicazione del nuovo primo comma dell’articolo 19 della legge Iva, in base al quale il diritto di detrazione deve essere esercitato «al più tardi con la dichiarazione relativa all’ anno in cui il diritto alla detrazione è sorto», specie in relazione al disposto dell’articolo 25 in base al quale la registrazione della fattura di acquisto è condizione per l’esercizio della detrazione. La registrazione si configura come un evento successivo e mai antecedente alla ricezione della fattura. L’articolo 25 individua come termine ultimo quello di presentazione della dichiarazione annuale relativa all’anno di ricezione della fattura e con riferimento al medesimo anno.

Il termine di decadenza per l’esercizio del diritto di detrazione viene quindi declinato in due modi: l’articolo 19 parla della dichiarazione dell’anno in cui l’imposta è diventata esigibile per il fornitore e il 25 dell’anno in cui la fattura è stata ricevuta. Il contrasto è solo apparente, e ha già formato oggetto di una significativa sentenza della Corte Ue sin dal 29 aprile 2004 (causa C-152/02). La lite era sorta perché il fisco tedesco aveva contestato la detrazione nel 1999 dell’Iva su fatture di acquisto datate entro tale anno ma pervenute nel gennaio del 2000. La sentenza pone a raffronto le tre versioni linguistiche fondamentali della Ue (francese, inglese e tedesco) relative all’articolo 18 della sesta direttiva, ritenendole sostanzialmente compatibili. Nel testo italiano della direttiva vigente, la 2006/112/Ce, l’articolo 19, primo comma, è allineato all’articolo 167: il diritto a detrazione sorge quando l’imposta detraibile diventa esigibile (per il fornitore); così come l’articolo 25 è in linea con gli articoli 178 e 179, in base ai quali il presupposto procedimentale per l’esercizio del diritto di detrazione è dato dal possesso della fattura di acquisto.

Nel caso di specie, la Corte ha dato ragione all’amministrazione finanziaria – detrazione nel 2000, anno di ricezione della fattura, e non 1999 anno di competenza – con una osservazione operativa (punto 29 della sentenza): «Riconoscere sistematicamente che il diritto di detrazione possa ricollegarsi al periodo di imposta in cui è sorto, indipendentemente dalla data in cui il soggetto di imposta entri effettivamente in possesso della fattura, comporterebbe un rischio rilevante quanto al controllo, da parte di ogni Stato membro, degli elementi presenti nelle dichiarazioni dell’Iva».In altri termini, non si può pretendere che il fisco debba controllare e che correlativamente i contribuenti debbano tenere aperte le registrazioni sino a quando sono in possesso di tutte le fatture con l’Iva esigibile dell’anno precedente.

Il dispositivo della sentenza è chiaro: non esiste incompatibilità tra la detrazione nell’esercizio di esigibilità e l’effettivo esercizio di tale diritto nell’anno (successivo) in cui le fatture sono pervenute al cliente, in quanto occorre che si siano verificati entrambi i requisiti, quello sostanziale (detraibilità ed esigibilità per il fornitore) e quello procedimentale (il possesso della fattura e la sua registrazione).

Siamo tutti in attesa della circolare su questo punto, ma in base alle linee guida della Corte Ue la soluzione è semplice: visto l’articolo 1 del Dpr 100/98, le fatture pervenute sino al 16 gennaio dell’anno dopo vanno in detrazione nell’anno di competenza; quelle che arrivano dopo sono detraibili soltanto nell’anno di ricezione. Non è pertanto il caso di prevedere la prosecuzione delle registrazioni con sezionali, che dovrebbero essere comunque ignorati nell’ultima liquidazione periodica ed inseriti nella dichiarazione annuale. Se la fatturazione elettronica sarà in vigore dal 1° gennaio 2019 questo problema non esisterà più, in quanto la data di ricezione coinciderà con la data di emissione.

Fonte “Il sole 24 ore”

Clausole vessatorie sempre annullabili

La legge di Bilancio 2018 è intervenuta anche sull’equo compenso, introdotto dal collegato fiscale che era uscito in Gazzetta poche settimane prima. La legge 205/2017, per lo più, ha irrigidito la disciplina, con modifiche mirate sulla quantificazione dei compensi, sulla possibilità di negoziare clausole vessatorie e sul regime dell’azione di nullità delle clausole contrarie alla legge. Ma vediamo il quadro d’insieme che ne è venuto fuori.

I rapporti disciplinati

Le norme riguardano i rapporti tra, da un lato, banche, assicurazioni e in generale le grandi imprese e, dall’altro lato, i professionisti, iscritti o meno a ordini professionali. L’obiettivo principale sono gli affidamenti di servizi professionali standardizzati e ripetitivi, come il recupero dei crediti, per i quali spesso la concorrenza sui prezzi diviene molto agguerrita. Le norme entrano in gioco quando i servizi sono regolati da convenzioni predisposte unilateralmente dai clienti, con la presunzione legale che siano tali salvo prova contraria.

La doppia tutela

Le tutele per i professionisti sono due: il diritto all’equo compenso e il divieto di clausole vessatorie. Non sono propriamente una novità perché, in parte, si sovrappongono a quelle della legge 81/2017 sulle «clausole abusive» e sugli abusi di dipendenza economica nei confronti dei lavoratori autonomi.

Come regola generale, l’equo compenso va stabilito in relazione alla quantità e qualità della prestazione, al tipo di servizio da svolgere. In pratica, quello che peserà di più è il rinvio ai decreti ministeriali con i parametri per i compensi professionali. La legge forense ne prevede uno specifico per gli avvocati, per le altre professioni regolamentate si fa riferimento ai parametri per la determinazione giudiziale dei compensi. Qui la legge di Bilancio ha introdotto una modifica importante, precisando che l’equo compenso deve essere «conforme» a questi parametri, mentre in precedenza era sufficiente che ne «tenesse conto». Per i rapporti disciplinati dalla legge, equivale a un ritorno alle tariffe minime.

Le clausole vessatorie

Il divieto di clausole vessatorie è costruito sulla falsariga del codice del consumo. C’è anche qui un criterio generale, per il quale sono vessatorie le clausole che generano un «significativo squilibrio» contrattuale a carico del professionista.

La norma elenca poi alcuni casi tipici di clausole vietate. Ad esempio, le convenzioni non possono riservare al cliente il potere di modificare unilateralmente il contratto, né prevedere prestazioni gratuite a carico del professionista. Il testo originario della norma consentiva di salvare alcuni tipi di clausole vessatorie se era dimostrato che fossero il frutto di una trattativa. La legge di Bilancio ha eliminato questa possibilità, per cui clausole del genere potrebbe essere applicate solo quando la convenzione nel suo insieme sia stata negoziata.

L’azione di nullità

La legge considera nulle le clausole che riconoscono compensi non equi o che hanno carattere vessatorio. La nullità è del genere cosiddetto di protezione, va soltanto a vantaggio del professionista e non si estende al resto del contratto. Il professionista potrà così chiedere in giudizio che il compenso sia rideterminato o che le clausole vessatorie non siano applicate.

Nel testo iniziale, la norma prevedeva per l’azione di nullità un termine di decadenza di ventiquattro mesi. Questa limitazione, che era singolare rispetto alla ordinaria imprescrittibilità della nullità, è venuta meno con la legge di Bilancio. Possono sempre prescriversi, però, le altre azioni che derivano dalla nullità. Le azioni per ottenere i compensi professionali e i rimborsi spese, ad esempio, si prescrivono in tre anni.

Le pubbliche amministrazioni

Sullo sfondo di tutto c’è il settore pubblico. Anche le pubbliche amministrazioni devono garantire il principio dell’equo compenso, per gli incarichi conferiti dopo l’entrata in vigore della legge. L’impatto è ancora tutto da appurare.

Qualche preoccupazione deve essere però sorta da subito, perché la legge di bilancio ha stabilito un regime speciale per gli agenti della riscossione, i cui aggi pesano in definitiva sulle entrate fiscali. Per loro la normativa non si applica, occorre solo che garantiscano compensi «adeguati» all’importanza dell’opera da prestare, tenendo anche conto della sua eventuale ripetitività.

Fonte “Il sole 24 ore”

Successioni, slitta il modello telematico

Slitta dal 1° gennaio 2018 al 1° gennaio 2019 l’obbligo di presentare – per le successioni aperte dal 3 ottobre 2006 – la dichiarazione di successione in via esclusivamente telematica. Lo stabilisce il provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate del 28 dicembre 2017 (prot. n. 305134) . Di conseguenza, viene stabilito che:
• il 31 dicembre 2018 (e non più il 31 dicembre 2017) è il termine fino al quale si può utilizzare il modello cartaceo per presentare la dichiarazione di successione;
• per le successioni aperte prima del 3 ottobre 2006 (e per le successioni integrative, sostitutive o modificative di tutte le dichiarazioni presentate in cartaceo) si dovrà sempre usare la carta, anche dopo il 31 dicembre 2018;
• dal 1° gennaio 2019 si dovrà utilizzare il nuovo modello di dichiarazione approvato ora (e qui c’è un rinvio di un anno);
• per tutto il 2018, in alternativa al cartaceo, si potrà spedire telematicamente, ma fino al 14 marzo 2018 si dovrà usare il modello informatico approvato col provvedimento del 15 giugno 2017, dal 15 marzo al 31 dicembre 2018 si potrà usare, in alternativa ad esso, quello approvato ora.

Quest’ultimo contiene anche le istruzioni per compilare il nuovo modello informatico. La loro mole e il ricorso a esempi pratici comportano che spesso le istruzioni evolvono fino a diventare quasi una circolare interpretativa della legge sull’imposta di successione, a quasi trent’anni dalla sua entrata in vigore (1991).

Ad esempio, dalle istruzioni si apprende che le Entrate, sul valore delle quote di partecipazione al capitale di società oggetto di successione ereditaria, si fondano (in mancanza di un bilancio pubblicato) su un «inventario vidimato regolarmente redatto», essendo invece noto che la vidimazione annuale del libro inventari non è più prevista da quando il Dl 357/1994 l’ha depennata dall’articolo 2216 del Codice civile.

Ancora, si apprende che l’amministrazione ritiene ancora vigente la normativa sul coacervo tra massa ereditaria e donazioni stipulate in vita dal de cuius a eredi e legatari, che invece la Cassazione (sentenza n. 24940/2016) considera abrogata fin dal 10 dicembre 2000 (entrata in vigore della legge 342/2000, che soppresse la tassazione delle successioni con aliquote progressive): le istruzioni al modello telematico affermano che nel quadro ES «vanno indicati i beni oggetto delle donazioni e di ogni altro atto a titolo gratuito nonché quelli oggetto di vincoli di destinazione, effettuati dal defunto a favore degli eredi e legatari» e che tale indicazione è fatta ai «fini della determinazione delle franchigie applicabili sulla quota devoluta all’erede o al legatario».

Fonte “Il sole 24 ore”

Bollatura Registri contabili – Scadenze e termini

Entro il prossimo 30 Dicembre  scade il termine per procedere alla stampa dei libri contabili meccanografici riferiti all’esercizio precedente  da parte delle imprese e lavoratori autonomi. L’obbligo di stampa riguarda sia i registri fiscali (registri Iva) che quelli tenuti ed imposti da disposizioni civilistiche (libro giornale e il libro inventari). L’unica eccezione riguarda il registro dei beni ammortizzabili, il cui termine per la stampa è scaduto lo scorso 30 Settembre.

Gli stessi termini sopraindicati valgono anche per i soggetti che intendono conservare le scritture contabili in modo elettronico, ai sensi del DM 17/06/2014 (conservazione sostitutiva).

Come si applica l’imposta di bollo?

L’imposta di bollo è determinata con criteri diversi a seconda che la contabilità sia tenuta in modalità cartacea o informatica: si applica limitatamente al libro giornale e libro inventari, mentre ne restando esclusi i registri Iva e gli altri registri (beni ammortizzabili, schede partitari…).

Se la contabilità è tenuta in modo cartaceo, l’imposta di bollo è dovuta nella seguenti misure:

  • SOCIETÀ DI CAPITALI tenute al versamento della Tassa di Concessione Governativa: euro 16,00 per ogni 100 pagine o frazione;
  • PERSONE FISICHE SOCIETÀ DI PERSONE: euro 32,00 ogni 100 pagine o frazioni.

L’imposta di bollo va assolta solo sulle pagine effettivamente utilizzate. In pratica, chi utilizza i libri o i registri assolve l’imposta di bollo ogni 100 pagine (o frazione) effettivamente utilizzate, indipendentemente dall’anno cui si riferisce la numerazione progressiva. Solo dopo aver utilizzato il primo blocco di 100 pagine si deve riassolvere l’obbligo tributario per l’uso delle successive cento (RM 85/2002 e CM 64/2002).

Esempio: se per esempio il libro giornale relativo al periodo d’imposta 2014 termina alla pagina numero 2014/65, l’imposta di bollo, versata a mezzo contrassegno applicato sulla pagina 2014/1, si ritiene assolta anche per le prime 35 pagine del 2015. Il nuovo contrassegno va apposto sulla pagina 2015/36, cioè la 101′ pagina del registro. Si ricorda che, l’imposta di bollo va assolta prima di effettuare le annotazioni sulla prima pagina o sulle successive cento, alternativamente o con i contrassegni telematici applicando le marche da bollo o in modo virtuale mediante versamento con il modello F23, codice tributo. 458T. In entrambi i casi le marche da bollo o gli estremi di versamento (se si è optato per l’assolvimento “virtuale”) vanno apposti, alternativamente:

  1. sulla prima pagina numerata del libro (o sulla prima pagina numerata di ogni blocco di 100);
  2. o sull’ultima pagina, purché prima che il libro sia posto in uso (RM 85/2002).


Ravvedimento operoso

I contrassegni telematici (cioè le care vecchie marche da bollo) riportano la data di loro emissione che coincide con l’acquisto. Nel caso di versamento tardivo dell’imposta di bollo (i.e. acquisto tardivo della marca) è possibile regolarizzare la propria posizione mediante il ricorso all’istituto del ravvedimento operoso.

In tal caso, la sanzione del 100 % sarà ridotta a: 1/10 (10%) nel caso in cui si procede alla regolarizzazione entro i 30 giorni dalla scadenza ordinaria (su € 16 è di € 1,60) o a 1/8 (12,5%) in caso di ravvedimento successivo i 30 giorni ma entro 1 anno dalla scadenza ordinaria (su €. 16 è € 2) La sanzione si versa con il modello F23 con il codice tributo 675T. L’imposta, invece, viene assolta con l’apposizione della marca. Si ricorda che, entro il medesimo termine, dovranno essere versati anche gli interessi calcolati “per giorno” nella misura del tasso legale con il codice tributo 731T.

Contabilità con sistemi informatici

Ai sensi dell’art. 6 DM 17/06/2014, l’imposta di bollo sui documenti informatici fiscalmente rilevanti è dovuta ogni 2.500 registrazioni (o frazioni) nelle misure su indicate (ossia € 16 o € 32). Per registrazione si intende ogni singolo accadimento contabile, a prescindere dalle righe di dettaglio. Il concetto di registrazione va riferito ad ogni singola operazione rilevata in partita doppia, a prescindere dalle righe di dettaglio interessate (RM 161/2007).

LIBRI GIORNALI SEZIONALI

Con la RM 371/2008 l’Agenzia ha fornito chiarimenti in merito al calcolo dell’imposta di bollo su un particolare caso di tenuta del libro giornale su supporto informatico. Qualora il libro giornale sia tenuto mediante utilizzazione di più sezionali, ai fini della determinazione dell’imposta di bollo, rilevano sia le registrazioni effettuate nel libro giornale sia quelle effettuate nei sezionali che siano parte integrante del libro giornale. L’imposta di bollo in tal caso può essere pagata solo con modalità telematica, mediante F24 on line in unica soluzione  entro 120 gg dalla chiusura dell’esercizio (entro il 30 aprile).

Dati antiriciclaggio utilizzabili dal Fisco

Le informazioni “sensibili” raccolte per l’antiriciclaggio e il contrasto al finanziamento del terrorismo passano agli archivi del fisco e si possono/devono scambiare automaticamente tra i Paesi membri dell’Ue.

Dal 1° gennaio sono infatti entrate in vigore le nuove regole europee che obbligano gli Stati membri a fornire alle autorità fiscali competenti (quelle cioè del Paese di residenza della persona fisica interessata) l’accesso ai dati raccolti sul riciclaggio del denaro proveniente da business illeciti. È questo l’effetto della direttiva Ue 2016/2258 recepita dalla legge di delegazione europea 2016-2017 (legge 25 ottobre 2017, n. 163) entrata in vigore il 21 novembre scorso e che prevede – come stabilito tassativamente dalla direttiva – l’avvio dello scambio automatico di informazioni dal 2018.

L’ambito normativo in cui si inserisce questo strumento di lotta all’evasione internazionale è quello tradizionale dello scambio obbligatorio automatico di informazioni previsto dalla direttiva 2014/107/Ue, che modificava la direttiva 2011/16/Ue già esecutiva dal 1° gennaio 2016 agli Stati membri e dal 1° gennaio 2017 all’Austria. Tale normativa dà attuazione allo standard globale per lo scambio automatico di informazioni fiscali all’interno dell’Unione, garantendo così che le informazioni sui titolari dei conti finanziari siano trasmesse allo Stato membro in cui risiede il titolare del conto.

La direttiva prevede che in alcuni casi, tutt’altro che infrequenti nelle transazioni internazionali, se il titolare di un conto è una struttura intermediaria, le istituzioni finanziarie debbano individuare e segnalare alle autorità fiscali nazionali competenti i beneficiari effettivi (cosiddetti “Bo”, beneficial owner). Questo step si aggancia alle informazioni in materia di antiriciclaggio ottenute sulla base della direttiva 2015/849 (comunemente nota come IV Direttiva antiriciclaggio, recepita dal decreto legislativo 90 del 2017) per l’identificazione dei titolari effettivi.

Le autorità nazionali hanno accesso diretto alle informazioni sui proprietari di imprese, beneficiari, trust e altre entità e sul loro ruolo di clienti. La nuova direttiva Ue permette in linea teorica alle autorità fiscali degli Stati Ue di reagire rapidamente nei casi di evasione e aggiramento delle norme fiscali.

È evidente il cambio di passo nella lotta internazionale – almeno su scala europea – all’evasione fiscale, attività di contrasto che dal 2018 potrà utilizzare gli strumenti molto più incisivi dell’Anti-money laundering. Il trasferimento diretto delle informazioni sui titolari effettivi di enti schermati alle agenzie nazionali, e la loro diretta utilizzabilità nelle procedure di accertamento, consentirà un’efficacia molto più diretta e tempestiva dell’azione di contrasto all’elusione e all’evasione tributaria . Con un solo rischio applicativo, legato al fatto che non sempre la disciplina fiscale che individua i contribuenti nelle normative nazionali corrisponde con i criteri internazionali di individuazione del titolare effettivo.

Fonte “Il sole 24 ore”

Il calendario fiscale del 2018

Dal 1° gennaio 2018 viene concesso un credito d’imposta del 40 % a tutte quelle imprese che effettuano spese di attività di formazione mentre dal 1° febbraio 2018 verrà riconosciuto il ristoro dello 0,15% delle spese sostenute per il rilascio della garanzia richiesta per legge. Queste alcune delle novità entrate in vigore con il 2018.

Dal 1° gennaio 2018 è possibile esercitare l’opzione per il così detto gruppo Iva. Si tratta di un nuovo istituto destinato sia ad esercenti attività d’impresa che arti e professioni, per i quali ricorrano congiuntamente i vincoli finanziario, economico e organizzativo previsti dall’articolo 70-ter del Dpr 633 del 1972. Il gruppo Iva diviene un unico soggetto passivo mentre i soggetti ad esso partecipanti perdono la loro soggettività passiva ai fini dell’imposta sul valore aggiunto.

Dal 1° gennaio 2018 semplificata la presentazione dei modelli Instrastat. Per gli acquisti di beni essi vanno presentati solo ai fini statistici, con riferimento a periodi mensili, qualora l’ammontare totale trimestrale di detti acquisti sia, per almeno uno dei quattro trimestri precedenti, uguale o superiore a 200 mila euro. Per quanto riguarda i servizi ricevuti i modelli vanno presentati solo a livello statistico, con riferimento a periodi mensili, qualora l’ammontare totale trimestrale di detti acquisti sia, per almeno uno dei quattro trimestri precedenti, uguale o superiore a 100 mila euro.

Per gli atti impugnabili notificati a partire dal 1° gennaio 2018, è necessario presentare reclamo e mediazione per tutte le controversie di valore non superiore a 50 mila euro. Il reclamo e la mediazione sono obbligatori e non facoltativi. Dl 50/2017, articolo 10, comma 1.

Dal 1° gennaio 2018 nelle fatture elettroniche emesse nei confronti del servizio sanitario nazionale (Ssn), per gli acquisti di prodotti farmaceutici, è necessaria l’indicazione delle indicazioni sul “codice di autorizzazione all’immissione in commercio” (Aic) e il corrispondente quantitativo. sempre dalla medesima data le predette fatture sono rese disponibili all’agenzia italiana del farmaco.

Dal 1° gennaio 2018 è possibile rivalutare il valore delle partecipazioni di controllo, iscritto in bilancio a titolo di avviamento, marchi d’impresa e altre attività immateriali, versando un’imposta sostitutiva del 16%, non solo in società residenti nel territorio dello Stato ma anche in società non residenti e senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato stesso. Ciò vale anche se le partecipazioni predette sono acquisite a seguito di operazioni di cessione d’azienda o di partecipazioni. La norma si applica agli acquisti di partecipazioni avvenute nel periodo d’imposta antecedente a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di bilancio (per i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, acquisite dal 2017).

Dal 1° gennaio 2018 concesso un credito d’imposta a tutte quelle imprese che effettuano spese di attività di formazione. Il credito d’imposta è del 40% da calcolare sulle spese relative al solo costo aziendale sostenuto per le spese del personale nel periodo in cui lo stesso è occupato in attività di formazione finalizzata ad acquisire o consolidare conoscenze riferite alle tecnologie previste dal Piano nazionale Industria 4.0.

Dal 1° gennaio 2018 le indennità, i rimborsi forfettari, i premi e i compensi erogati ai direttori artistici ed ai collaboratori tecnici per prestazioni di natura non professionale da parte di cori, bande musicali e filodrammatiche che perseguono finalità dilettantistiche, e quelli erogati nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche dal Coni, dalle Federazioni sportive nazionali, dall’Unire, dagli enti di promozione sportiva e da qualunque organismo, comunque denominato, che persegua finalità sportive dilettantistiche e che da essi sia riconosciuto, non concorrono a formare il reddito per un im porto non superiore, complessivamente nel periodo d’imposta, a 10 mila euro (fino al 2017 era 7.500).

Dal 1° gennaio passa dal 26% al 30% la detrazione Irpef per le donazioni in denaro o in natura a enti del terzo settore, per un importo totale non superiore in ciascun periodo d’imposta a 30 mila euro. La detrazione sale al 35% se l’ente beneficiario è una organizzazione di volontariato. Debutta sempre dal 1° gennaio 2018 la nuova versione della norma «Più dai, meno versi»: le donazioni in denaro o in natura a enti del terzo settore effettuate da persone fisiche, enti e società sono deducibili nel limite del 10% del reddito complessivo dichiarato.

Dal 1° febbraio 2018 per coloro che richiedono il rimborso Iva annuale o infrannuale, è riconosciuto il ristoro di una parte delle spese sostenute per il rilascio della garanzia richiesta per legge. Il ristoro, pari allo 0,15% dell’importo garantito e per ogni anno di garanzia, riguarda i rimborsi Iva a partire da quello fatto con la dichiarazione Iva annuale relativa al 2017 e per i rimborsi infrannuali a partire da quelli relativi al primo trimestre 2018.

Si possono trasmettere entro il 28 febbraio 2018 alle Entrate i dati relativi al primo semestre 2017 di fatture emesse e ricevute, ma anche di bollette doganali e note di variazione ed evitare così l’applicazione di sanzioni per le comunicazioni omesse, erronee o incomplete effettuate entro il 16 ottobre 2017.

Il 7 marzo debutta la consegna alle Entrate dei dati sulle ritenute del 21% operate sulle locazioni brevi (e relativo Cud agli interessati al 31 marzo) da parte degli intermediari immobiliari (agenzie ma anche portali, salvo ripensamenti da parte del Tar Lazio). Entro il 31 marzo gli intermediari immobiliari devono inviare il Cud ai clienti ai quali abbiano effettuato la ritenuta (a titolo di acconto o di imposta) del 21% sui canoni di locazioni brevi.

Dal 30 giugno, per la prima volta dall’entrata in vigore delle norme speciali sulle locazioni brevi (la cosiddetta «tassa Airbnb») gli intermediari immobiliari hanno l’obbligo di comunicazione telematica alle Entrate dei dati di ogni contratto di locazione breve stipulato dal 1° giugno 2017 al 31 dicembre 2017. Nel nuovo modello 730 è stato aggiornato anche il rigo F8, in modo da poter indicare l’importo delle ritenute sulle locazioni brevi riportato nel quadro Certificazione Redditi.

Sempre dal 1° luglio 2018 ai soggetti passivi d’imposta che acquistano carburanti per autotrazione presso gli impianti stradali di distribuzione, il cedente deve emettere fattura elettronica. È inoltre ammesso in deduzione, con le regole e i limiti previsti dall’articolo 164 del Tuir, l’acquisto di carburante per autotrazione solo se il pagamento è effettuato mediante carte di credito, carte di debito o carte prepagate emesse da operatori finanziari soggetti all’obbligo di comunicazione all’Anagrafe tributaria. Ai soggetti esercenti attività di distribuzione di carburante spetta un credito d’imposta pari al 50% del totale delle commissioni loro addebitate, a partire dal primo luiglio 2018, per le transazioni il cui pagamento viene effettuato tramite carte di credito. Il credito d’imposta può essere utilizzato in compensazione solo dal periodo d’imposta successivo a quello di maturazione. Dal 1° luglio 2018 scompare infine la scheda carburanti.

 

 

Auto ai manager, più sconto per l’azienda

Il sole 24 ore

 L’aumento del 3% dei costi chilometrici Aci per il calcolo del fringe benefit da tassare nel 2018 in capo a dipendenti e amministratori per le auto aziendali in uso promiscuo, anche per pochi giorni (si veda il Quotidiano del Fisco di ieri), non aumenterà la deduzione, per l’impresa, del 70% dei costi delle vetture dei dipendenti per la «maggior parte del periodo d’imposta». Ma aumenterà la deduzione dei costi delle auto date agli amministratori (anche per pochi giorni): in questo caso, i costi si deducono al 100%, nel limite del fringe benefit tassato, mentre l’eccedenza è deducibile al 20% se l’utilizzo è promiscuo o è indeducibile se l’uso è solo personale.

Auto ai dipendenti

Le spese e gli altri componenti negativi dei «veicoli dati in uso promiscuo ai dipendenti per la maggior parte del periodo d’imposta» (più di 183 giorni l’anno), cioè per scopi sia aziendali (ad esempio, visita a clienti) sia personali (ad esempio, tragitto casa-lavoro o viaggi nel weekend o in ferie), sono deducibili al 70% dall’impresa (90% fino al 2012), senza considerare alcun limite di costo del veicolo, come quello dei 18.075,99 euro applicabile agli acquisti di vetture. Non occorre né che tale utilizzo avvenga in modo continuativo né che il veicolo sia utilizzato da uno stesso dipendente. Se l’autovettura è acquistata nel corso dell’anno e viene data in uso promiscuo ai dipendenti, la maggior parte del periodo si calcola dal momento dell’acquisto fino al termine del periodo d’imposta.

La deduzione del 70% è su tutti i costi effettivi di bilancio (come ammortamento, canoni di leasing o noleggio, manutenzione, bollo auto, assicurazione, custodia, carburante) del veicolo, cioè non solo a quelli che eccedono il fringe benefit tassato al lavoratore.

Auto agli amministratori

Le regole di tassazione del fringe benefit in capo al dipendente si applicano «anche con riferimento ai redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente», come quelli degli amministratori delle società: l’articolo 34 della legge 342/2000 ha assimilato il trattamento fiscale dei redditi da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa con quello dei redditi di lavoro dipendente. Ma l’assimilazione non vale per «tutti gli effetti di legge», come ad esempio capita per la deduzione del costo dal reddito di impresa (circolare 1/E/2007, paragrafo 17.1): l’articolo 164, comma 1, lettera b-bis, Tuir continua a consentire la deduzione agevolata al 70% solo per i veicoli «dati in uso promiscuo ai dipendenti» (circolare 5/E/2001).

Quindi, per gli amministratori i costi da bilancio delle vetture loro assegnate (anche per pochi giorni) si deducono al 100%, nel limite del fringe benefit tassato (che è al netto dell’eventuale rimborso pagato dall’amministratore, comprensivo di Iva); l’eccedenza è deducibile al 20% se l’uso è promiscuo o è indeducibile se l’uso è solo personale.

Iva

La detrazione Iva sui costi delle autovetture rimane al 40% anche in caso di uso promiscuo da parte dei dipendenti, tranne quando l’azienda addebita a questi ultimi un corrispettivo (naturalmente, fatturato con Iva, circolare 326/E/1997, paragrafo 2.3.2.1 e risoluzione 25/E/2000) per l’uso personale (si ritiene almeno pari al fringe benefit tassato). Quindi, l’Iva pagata per il loro acquisto e utilizzo è integralmente detraibile (risoluzione 6/DPF/2008). Ciò, però, vale solo per le assegnazioni ai dipendenti e non per quelle agli amministratori, per le quali la detrazione è sempre del 40% (Direzione regionale Entrate della Lombardia, n. 904-472/2014).

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Acquisto di carburante con soli mezzi tracciabili

 

Nell’ambito delle misure relative al contrasto alle frodi IVA su idrocarburi e carburanti, un emendamento approvato dalla Commissione Bilancio della Camera al Ddl. di bilancio 2018 prevede, a decorrere dal 1° luglio 2018, l’obbligo, ai fini della detraibilità IVA e della deduzione del costo, di acquistare il carburante esclusivamente con mezzi di pagamento tracciabili, abrogando contestualmente la disciplina relativa alla scheda carburante.

In particolare, sarebbe prevista l’introduzione all’art. 164 del TUIR del nuovo comma 1-bis, in base al quale le spese per carburante per autotrazione sarebbero deducibili, nella misura di cui al comma 1, se effettuate esclusivamente mediante carte di credito, carte di debito o carte prepagate emesse da operatori finanziari soggetti all’obbligo di comunicazione previsto dall’art. 7, sesto comma, del DPR 29 settembre 1973 n. 605.

Parallelamente, ai fini IVA, sarebbe prevista l’introduzione all’art. 19-bis1 comma 1 lett. d) del DPR 633/72 – in base al quale l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di carburanti e lubrificanti destinati ad aeromobili, natanti da diporto e veicoli stradali a motore (…) è ammessa in detrazione nella stessa misura in cui è ammessa in detrazione l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di detti aeromobili, natanti e veicoli stradali a motore – del seguente periodo: “L’avvenuta effettuazione dell’operazione deve essere provata dal pagamento mediante carte di credito, carte di debito o carte prepagate emesse da operatori finanziari soggetti all’obbligo di comunicazione previsto dall’articolo 7, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605, o da altro mezzo ritenuto parimenti idoneo individuato con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate”.
In altri termini, ai fini della detraibilità dell’IVA e della deducibilità del costo, l’acquisto di carburante dovrà avvenire esclusivamente mediante carte di creditobancomat o carte prepagate.

Sulla base delle suddette disposizioni, sembrerebbe quindi che i soggetti passivi IVA che effettuano i pagamenti mediante mezzi diversi (es. contanti) non potranno più detrarre l’IVA né dedurre il costo relativo all’acquisto del carburante.
Viene altresì disposta l’abrogazione del DPR 444/97, recante l’attuale regolamento per gli acquisti di carburante e del correlato obbligo di tenuta della scheda carburante (sostitutiva della fattura); dal 1° luglio 2018 sarebbe quindi abrogata la scheda carburante.

Del resto, già attualmente il comma 3-bis all’art. 1 del DPR 444/97 (introdotto dall’art. 7 comma 2 lett. p) del DL 70/2011), in deroga all’ordinaria disciplina, prevede l’esonero dalla tenuta della scheda carburante per i soggetti passivi IVA che acquistano carburante per autotrazione esclusivamente mediante carte di credito, bancomat e carte prepagate emesse da operatori finanziari soggetti all’obbligo di comunicazione all’Anagrafe tributaria previsto dall’art. 7 comma 6 del DPR 605/73.

Fonte: Eutekne

La Svizzera rilancia il segreto bancario

Non sarà ancora un vento di restaurazione, ma il raffreddamento di sensibilità sulla trasparenza fiscale internazionale – mantra degli ultimi 5 anni – è ormai un dato di fatto difficile da ignorare.
Dopo l’allerta dell’Ocse, che nel suo “Implementation report” di novembre segnalava il ritardo di decine di Paesi nell’adeguamento agli standard per il futuro scambio di informazioni, ora la cronaca porta dritto in Svizzera. Domani il plenum dei due rami del Parlamento di Berna voterà un’interpretazione molto restrittiva del rilascio delle informazioni riguardanti cittadini stranieri con conti e investimenti nei suoi istituti finanziari, tornando in sostanza a rilanciare lo storico brand di cassaforte alpina di “segreti&riservatezza”. Le banche e gli altri intermediari dovranno avvisare in anticipo i correntisti/risparmiatori/investitori stranieri circa i dati che si accingono a inviare automaticamente alle loro autorità fiscali. Non a caso avvocati e professionisti stanno già mettendo a punto la strategia di rallentamento per via giudiziaria (ricorsi e opposizioni) del rilascio delle info, soprattutto in direzione Sud.
L’inversione di orientamento sul tema “trasparenza” non è comunque un’esclusiva d’oltralpe. Come si vede nella cartina mappamondo pubblicata a lato, dall’incrocio dei 148 Paesi che hanno siglato accordi multilaterali o bilaterali per lo scambio di informazioni fiscali, ben più della metà (90) mantengono una forma più o meno intensa di segreto bancario, e 37 di questi addirittura conservano il totale segreto bancario. Ancora più esplicita la posizione di altri 22 Paesi che non hanno siglato alcun tipo di accordo per lo scambio di informazioni fiscali.
Questa fotografia spiega meglio di ogni altra considerazione l’ultimo rapporto dell’Ocse (Implementation report on automatic exchange of information) secondo cui tra l’essere compliant nella legislazione e l’attivare gli scambi con le altre giurisdizioni c’è un saltum non da poco. L’atteggiamento temporeggiante è variegato, tra Paesi che non stanno raccogliendo i dati che poi dovrebbero trasmettere ai 100 e più partner «in quanto non interessati a ricevere informazioni», e altre giurisdizioni che stanno impiegando «tempi eccessivamente lunghi per mettere in opera le basi legali per il funzionamento dello scambio automatico e per gli accordi multilaterali» necessari a far “scorrere” le informazioni. Il 15 % della platea degli Stati, narra il rapporto, non ha neppure terminato l’allineamento con la legislazione internazionale, tra questi un buon numero dei paesi del Golfo (a cominciare da Quatar, Emirati, Kuwait, Brunei) e la Turchia che per varie ragioni non hanno ancora ratificato la Convenzione per lo scambio automatico. Altri paesi caraibici e “oceanici” sono ancora più indietro nei processi di risalita verso l’emersione, tanto che il Report conclude che «un certo numero di giurisdizioni ha mancato pietre miliari» sul percorso e ora ha timeline sfidanti, per usare un eufemismo.
Intanto però l’Europa, molto attiva in queste settimane sul piano del rilancio della fiscalità, ha approvato ieri le raccomandazioni sui reati fiscali. Si tratta di misure ispirate dai 211 suggerimenti formulati dalla Commissione speciale d’inchiesta del Parlamento europeo sul riciclaggio di denaro, l’elusione fiscale e l’evasione fiscale, che i deputati hanno approvato con 492 voti in favore, 50 contrari e 136 astensioni. Tra i piani d’azione spicca la creazione di registri pubblici dei titolari effettivi delle aziende, le sanzioni contro gli intermediari che favoriscono la pianificazione fiscale aggressiva e la richiesta di costituire una commissione permanente per indagare sulla fiscalità.
Fonte “Il sole 24 ore”

Rottamazione bis, ammessi i morosi delle vecchie rate

La rottamazione bis è aperta solo per i carichi che non sono già stati inclusi nella precedente domanda di definizione agevolata, con la sola eccezione delle posizioni scartate
a causa della morosità sulle vecchie dilazioni.
Per questi ultimi contribuenti, invece, l’unica possibilità di accesso ai benefici di legge consiste nel pagare in un’unica soluzione, entro il 31 luglio 2018, l’importo delle rate
scadute alla fine dell’anno scorso, previa presentazione della domanda entro il 15 maggio 2018.
Una volta decaduti dalla definizione, non è più possibile dilazionare il debito residuo.
Infine, se si abbandona la definizione ma si aveva in essere piani di dilazione precedenti, il carico residuo verrà automaticamente “spalmato” sul numero delle rate non pagate del piano originario.
Sono le prime risposte dell’Ader (agenzia delle Entrate-Riscossione) ai quesiti formulati dall’Odcec di Roma, riferiti sia alla prima procedura agevolata che alla riapertura disposta
nell’articolo 1 del decreto legge 148/17.
L’Ader ribadisce innanzitutto che la seconda chiamata, disposta con il Dl 148, non vale per i debitori che hanno già presentato la domanda entro il 21 aprile scorso e non hanno pagato le rate dovute.
Tale esclusione opera limitatamente ai carichi inclusi nell’istanza trasmessa in precedenza.
Nessun ostacolo, invece, se il debitore intende definire delle partite esistenti al 31 dicembre 2016 che non erano indicate nella vecchia domanda.
Con riferimento ai contribuenti esclusi dalla precedente definizione per non aver pagato tutte le rate scadute, relative a un piano di rientro esistente al 24 ottobre 2016, la riammissione è prevista alla precisa condizione che il debitore provveda a versare il pregresso, in un’unica soluzione, entro la fine di luglio dell’anno prossimo.
L’importo dovuto a tale titolo sarà comunicato dall’agenzia delle Entrate entro la fine di giugno 2018.
Una volta effettuato l’accesso alla nuova procedura, gli importi della definizione dovranno essere versati in tre rate, scadenti a ottobre e novembre 2018 e febbraio 2019.
Le stesse regole valgono per tutti i contribuenti che intendono definire per la prima volta carichi esistenti a fine 2016 e che sono morosi per dilazioni pendenti al 24 ottobre 2016.
L’Ader ricorda altresì che se si abbandona la rottamazione, il debito residuo non può essere nuovamente dilazionato.
Fanno eccezione, peraltro, le partite incluse in cartelle per le quali alla data di presentazione della domanda non erano ancora decorsi 60 giorni dalla notifica.
Questo vale, a maggior ragione, anche per i carichi per i quali, alla data della definizione, non è stata ancora notificata la cartella.
In tali casi, in qualsiasi momento si decada dalla rottamazione è sempre possibile dilazionare il debito che rimane.
Tale previsione trova peraltro applicazione per tutte le definizioni, sia vecchie che nuove.
L’ultimo chiarimento riguarda la riattivazione di precedenti piani di rientro, qualora il debitore abbandoni la procedura agevolata. Sul punto, l’Ader ribadisce che in tale eventualità si procederà d’ufficio a ripartire il carico residuo per il numero di rate non versate della dilazione originaria.
In proposito, si evidenza che in tale numero devono essere comprese anche le rate sospese per effetto della presentazione della domanda di rottamazione e non solo quelle che scadono dopo il periodo di sospensione.
Fonte “il sole 24 ore”

Nuove rottamazioni è possibile far precedere l’istanza da una richiesta di dilazione

Con le nuove rottamazioni stabilizzate dalla conversione del Dl 148/2017 è possibile far precedere l’istanza da una richiesta di dilazione, in modo da conservare una via d’uscita futura, nel caso in cui non si fosse in condizioni di pagare il costo della sanatoria. Ai sensi dell’articolo 6, comma 8, lettera c), del Dl 193/2016, se il debitore non paga la prima rata della definizione, può riprendere la rateazione pregressa. Tale disposizione non risulta incompatibile con le nuove procedure e deve quindi ritenersi ad esse pienamente applicabile.
L’articolo 1 del Dl 148/2017 prevede una disciplina unitaria sulla possibilità di riprendere eventuali rateazioni precedenti, applicabile sia alla definizione dei carichi 2017, sia a quella riferita ai carichi ante 2017. Si stabilisce con chiarezza, infatti, che se è pendente un piano di rientro alla data di presentazione della domanda di definizione, le rate in scadenza successivamente a tale data sono sospese sino al termine della prima rata della rottamazione. Il riferimento temporale dunque è la situazione esistente al momento della trasmissione della nuova istanza. Sul punto, vale ricordare come la formulazione originaria dell’articolo 6 del Dl 193/2016, avesse dato origine a interpretazioni contrastanti in ordine alla individuazione dei piani di rientro rilevanti ai fini della definizione agevolata. Secondo le Faq di Equitalia, la normativa in esame si rivolgeva alle rateazioni esistenti alla data di presentazione della domanda. Nell’opinione dell’agenzia delle Entrate invece (circolare n. 2 del 2017 ), le disposizioni avrebbero dovuto riferirsi alle dilazioni esistenti al 24 ottobre 2016. Le due tesi avevano dei riflessi inevitabili anche ai fini della facoltà, innanzi ricordata, di riattivare i piani di rientro, non pagando la prima rata. Secondo la posizione delle Entrate, infatti, detta facoltà sarebbe stata esercitabile limitatamente alle dilazioni esistenti per l’appunto al 24 ottobre dell’anno scorso.
Nella seconda edizione delle rottamazioni, invece, questo problema è risolto direttamente dalla legge. Questo significa, quindi, che il debitore può avere interesse a far precedere la domanda di definizione da una istanza di rateazione. Una volta ottenuto il piano di rientro, con la trasmissione del modulo all’Ader si ottiene innanzitutto la sospensione ope legis nel pagamento di tutte le rate in scadenza, a seconda dei casi, fino a luglio 2018 (rottamazione 2017) oppure a ottobre 2018 (rottamazione 2016). In questo modo, inoltre, si evita di pagare somme che, in tutto o in parte, non sono deducibili dal quantum della sanatoria. L’importo versato a titolo di sanzione, interessi di mora e interessi da dilazione non è infatti deducibile dalla definizione.
Al momento della scadenza della prima rata, il debitore sarà a un bivio: a) se paga, la dilazione precedente sarà revocata e il debito residuo, in linea di principio, non potrà essere ulteriormente rateizzato; b) se non paga, potrà riprendere il precedente piano di rientro. A quest’ultimo proposito, si ricorda che il manuale interno dell’Ader prevede che l’importo complessivo del debito debba essere “spalmato” d’ufficio su tutte le rate non pagate del piano originario.
Non tutti potranno tuttavia avvalersi della facoltà di chiedere preventivamente la dilazione del carico che si vuole rottamare. In presenza di vecchie rateazioni non onorate da tempo, per ottenere un nuovo piano è necessario pagare tutto lo scaduto. Ne deriva che in tal caso al debitore tale opportunità risulterà di fatto preclusa.
Fonte “Il sole 24 ore”

Split payment esteso dal 2018 alle controllate

Dal 1° gennaio 2018 si estende ulteriormente l’ambito soggettivo di applicazione del meccanismo di riscossione Iva dello split payment (o scissione dei pagamenti). La conversione del decreto legge 148/2017 da parte della Camera ha reso, quindi, definitivo il nuovo restyling dell’articolo 17-ter del Dpr 633/72 .
Le nuove regole ricomprendono nell’adempimento anche gli enti pubblici economici nazionali, regionali e locali, le fondazioni partecipate da amministrazioni pubbliche, le società controllate direttamente o indirettamente da qualsiasi tipo di amministrazione pubblica e quelle partecipate per una quota non inferiore al 70% da qualsiasi amministrazione pubblica o società assoggettata allo split payment.
Più in dettaglio, la nuova versione dell’articolo 17-ter, comma 1-bis, del Dpr 633/72 ricomprenderà, nel perimetro soggettivo, anche:
enti pubblici economici nazionali, regionali e locali, comprese le aziende speciali e le aziende pubbliche di servizi alla persona (lettera 0a) ;
fondazioni partecipate da amministrazioni pubbliche per una percentuale complessiva del fondo di dotazione non inferiore al 70% (lettera ob);
società controllate direttamente, ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, n. 2), del Codice civile, dalla presidenza del Consiglio dei ministri e dai ministeri (lettera a). Di fatto, la modifica ha mera finalità di coordinamento. Si ricorda che ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, n. 2) del Codice civile sono considerate società controllate quelle in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria;
società controllate direttamente ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, n. 1), del Codice civile, o indirettamente da qualsiasi tipo di amministrazione pubblica (lettera b). Ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, n. 1) del Codice civile sono considerate società controllate quelle in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;
società partecipate per una quota non inferiore al 70% da amministrazioni pubbliche o da società assoggettate allo split payment (lettera c). Quindi non rientrano nella estensione le società la cui percentuale di partecipazione complessiva del capitale è inferiore al 70 per cento;
società quotate inserite nell’indice Ftse Mib della Borsa italiana così come identificate agli effetti Iva. In questo modo viene specificato che vi rientrano le società quotate così come identificate agli effetti Iva (lettera d). Per le società quotate ora limitate all’indice Ftse Mib il ministro dell’economia e delle finanze può con proprio decreto individuare un altro indice di riferimento del mercato azionario.
La disposizione e quindi il nuovo perimetro soggettivo dello split payment chiudono, almeno sotto tale profilo, le regole soggettive e la validità degli elenchi in vigore fino al 31 dicembre di quest’anno, posto che la nuova impostazione avrà efficacia solo dalle fatture emesse a partire dal 1° gennaio 2018.
Per la completa operatività di questa disposizione bisognerà, comunque, attendere l’emanazione di un decreto del Mef che integrerà il precedente decreto del 23 gennaio 2015, a sua volta modificato dai decreti Mef 27 giugno 2017 e 13 luglio 2017.
Fonte “Il sole 24 ore”

Spesometro errato, primo semestre 2017 senza sanzioni

Sanzioni abolite per la comunicazione relativa al primo semestre 2017, facoltà di trasmettere i dati con cadenza semestrale e semplificazioni nelle informazioni da comunicare. Queste le principali novità sulla comunicazione dei dati delle fatture (spesometro) introdotte dalla legge di conversione del decreto fiscale 148/2017 , che deve essere ora pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. Il dato letterale della norma non comprende però l’ipotesi di omessa comunicazione dei dati delle fatture che quindi ricadrebbe nella sanzione ordinaria sanabile mediante ravvedimento operoso.
L’articolo 1-ter, inserito nel decreto dalla legge di conversione, prevede anzitutto la non applicazione delle sanzioni per l’invio dei dati relativi al primo semestre a condizione che entro il 28 febbraio 2018 (termine per la trasmissione relativa al secondo semestre) vengano inviati i dati esatti.
Per l’errata o incompleta trasmissione dello spesometro, l’articolo 11, comma 2-bis, del Dlgs 471/1997, prevede una sanzione pari a 2 euro per ogni fattura errata con un massimo di mille euro per ogni trimestre, ridotta alla metà per le correzioni effettuate nei primi 15 giorni.
La sanatoria sulle sanzioni riguarda anche i contribuenti che hanno esercitato l’opzione di cui al Dlgs 127/2015 (spesometro volontario) ai quali veniva applicata la sanzione fissa da 250 a 2000 euro (comma 1 dell’articolo 11 del Dlgs 471/1997) ora sostituita dalla legge di conversione con quella prevista dal comma 2-bis dell’articolo 11 per l’adempimento obbligatorio (quindi 2 euro a fattura con un massimo di 1.000 euro a trimestre).
I contribuenti potranno, inoltre, scegliere di inviare i dati con cadenza semestrale anziché trimestrale. L’articolo 21 del Dl 78/2010, come modificato dall’articolo 4 del Dl 193/2016, aveva inizialmente previsto la trasmissione dei dati con cadenza trimestrale, entro l’ultimo giorno del secondo mese successivo al trimestre di riferimento, con eccezione del secondo trimestre il cui invio è previsto per il 16 settembre. Successivamente, l’articolo 14-ter del Dl 244/2016 (il Milleproroghe) ha previsto l’invio dei dati con cadenza semestrale esclusivamente per il 2017. Pertanto, dal 2018, la trasmissione torna ad avere cadenza trimestrale, salvo la facoltà, introdotta ora con la conversione del decreto di continuare ad inviare i dati due volte l’anno. Circa le modalità di esercizio di tale facoltà, ci sarà un provvedimento della agenzia delle Entrate.
Ridotta anche la mole di dati da comunicare; i contribuenti potranno limitarsi a trasmettere solo i dati essenziali quali la partita Iva o il codice fiscale dei soggetti coinvolti nella operazione, la data e il numero della fattura, la base imponibile, l’aliquota applicata, l’imposta o, qualora questa non sia applicata in fattura, la tipologia di operazione (esente, non imponibile, eccetera).
Inoltre, con riferimento alle fatture di importo inferiore a 300 euro, registrate mediante documento riepilogativo ai sensi dell’articolo 6 del Dpr 695/1996, serve comunicare la data ed il numero del documento, l’ammontare complessivo delle operazioni e dell’Iva distinto per aliquota.
Queste semplificazioni non vengono estese ai soggetti che, in ordine alla trasmissione dei dati delle fatture, hanno optato su base volontaria (Dlgs 127/2015), per i quali pertanto l’obbligo rimarrebbe trimestrale.
Infine, la legge di conversione ripete che sono esonerati dall’adempimento gli agricoltori in regime di esonero Iva situati in montagna (fatturato inferiore a 7mila euro nell’anno precedente) e lo estende alle amministrazioni pubbliche di cui al comma 2 dell’articolo 1 del Dlgs 165/2011 con riferimento alle fatture emesse nei confronti dei consumatori finali.
Fonte “Il sole 24 ore”

Quattro regimi per le nuove attività

Le alternative per chi intende aprire la partita Iva dal prossimo mese di gennaio 2018 sono quattro, ognuna rappresentativa di un diverso regime contabile e, conseguentemente, di un differente imponibile fiscale.
Non è possibile anticipare a priori, con certezza, quale sia il regime più conveniente per ciascuna categoria di contribuenti, ma occorre, di volta in volta, analizzare le diverse variabili adattandole al caso concreto, peraltro mettendo in conto possibili sorprese (il rinvio dell’Iri al 2018 fa scuola e non si può escludere a priori un nuovo slittamento).
Attualmente, in considerazione del fatto che il regime dei cosiddetti “minimi” (o “regime di vantaggio”, di cui all’articolo 27 del Dl 98/2011 ) è un regime a esaurimento – per il quale non sono più previsti ingressi dal 1° gennaio 2016 – le scelte possibili in sede di inizio attività sono le seguenti:
– regime forfettario (disciplinato dall’articolo 1, commi da 54 a 89 , della legge 190/2014);
– regime di contabilità semplificata (articolo 66 del Tuir e articolo 18 Dpr 600/1973 );
– regime ordinario “non Iri”, disciplinato dal Tuir;
– regime ordinario “Iri” di cui all’articolo 55-bis del Tuir.
Il primo è un regime naturale – possedendone i requisiti si applica di default – mentre gli altri sono regimi obbligati in presenza di determinati parametri (ordinaria “non Iri”) o, comunque, regimi che possono essere scelti su opzione.
In genere la scelta avviene per comportamento concludente e comunicazione “ex post” nella dichiarazione relativa al primo anno di opzione (Dpr 442/1997). Tuttavia, determinati adempimenti impongono scelte precoci: è il caso dell’implementazione dei libri contabili per il regime ordinario, o dei registri incassi e pagamenti per la “modalità di base” del regime semplificato. Lo stesso vale per l’omissione degli adempimenti, come gli obblighi Iva per i forfettari.
Le variabili in gioco sono tante. In primo luogo è opportuno chiedersi quali siano i clienti del futuro imprenditore/professionista. Se si opera quasi esclusivamente con soggetti privati, un “regime di cassa” non serve a posticipare la tassazione sugli insoluti, ma la scelta per il regime forfettario può portare a incamerare la “rendita Iva” come differenza tra quella incorporata nei corrispettivi e quella assolta (senza detrazione) sugli acquisti. In presenza di cessioni a rischio insoluto o con tempi di incasso piuttosto lunghi – si pensi a chi opera stabilmente con enti pubblici – un regime di competenza può rivelarsi penalizzante.
Anche l’aspetto dei costi da sostenere entra prepotentemente in gioco: nel regime forfettario, sono astrattamente attribuiti in percentuale sui ricavi, mentre negli altri regime la deduzione è analitica, anche se può avvenire per competenza (regime ordinario) o in modo “misto” (regime semplificato).
Altro aspetto da considerare è la complessiva situazione reddituale del contribuente. In presenza di carichi familiari, oneri deducibili o detraibili rilevanti, una imposizione sostitutiva (quale quella forfettaria o quella prevista dal regime Iri) può rivelarsi controproducente, sottraendo capienza a tali benefici.
Un regime “a due livelli” come l’Iri conviene solo se si hanno redditi d’impresa piuttosto elevati che possono essere non prelevati per un certo periodo di tempo, altrimenti le complessità conseguenti all’opzione rendono inefficiente la scelta.
Spesso una decisione non basta. È il caso di chi adotta la contabilità semplificata, per la quale il legislatore ha previsto tre diverse modalità concrete di applicazione, che portano talvolta a un differente imponibile fiscale. In alcuni casi la scelta è quasi obbligata dal tipo di attività svolta (si veda la casistica relativa ai dettaglianti riportata dalla circolare 11/E/2017 ), in altri può essere il frutto di un calcolo di convenienza dell’imprenditore, senza dimenticare che il peccato originale di questo regime (ossia l’addebito integrale delle rimanenze iniziali nel primo anno senza il correttivo del riporto a nuovo delle perdite) non è ancora stato eliminato dal legislatore, contribuendo a penalizzare chi si trova o vuole fare ingresso nella contabilità semplificata provenendo dall’ordinaria.
Il peso delle rimanenze, in assenza di aggiustamenti, diviene a volte decisivo, non solo per chi proviene dall’ordinaria ma anche per chi è abituato a riempire il magazzino alla fine dell’anno.
Non sarà estraneo alla scelta anche l’onere amministrativo richiesto, che cresce al crescere della complessità del regime, pur nella considerazione che non sempre il disporre di pochi dati rappresenta la scelta migliore (si pensi ai rapporti con gli istituti di credito, con il Fisco, alle analisi di redditività e così via).
Fonte “Il sole 24 ore”

L’accollante non può utilizzare propri crediti per i debiti dell’accollato

Niente compensazione tra crediti dell’accollante e debiti dell’accollato, ma sono salvi i comportamenti difformi posti in essere fino al 15 novembre 2017.
L’agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 140/E del 15 novembre 2017 , entrando nel merito dell’accollo di debiti tributari altrui con utilizzo in compensazione di crediti tributari dell’accollante, fa innanzitutto presente che, in base a quanto disposto dall’articolo 8 della legge 212/2000, cosiddetto «Statuto dei diritti del contribuente», il debitore originario non è mai liberato dall’obbligazione e risponde, quindi, in solido con il terzo accollante, come anche evidenziato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 28162 del 2008, ove è stato affermato che accollarsi un debito altrui non significa «assumere la posizione di contribuente o di soggetto passivo del rapporto tributario, ma la qualità di obbligato (o coobbligato) in forza di titolo negoziale».
Pertanto, fatte tali premesse in tema di compensazione, l’agenzia delle Entrate esprime parere negativo in merito, appunto, alla compensazione con crediti dell’accollante, di debiti tributari dell’accollato. Le compensazioni, infatti, possono avvenire solo tra crediti e debiti «in essere tra i medesimi soggetti e non tra soggetti diversi».
Tra le varie sentenze richiamate nella risoluzione in commento, è il caso di citare anche quelle nn. 14874 e 18788, entrambe del 2016, attraverso le quali la Suprema Corte ha chiarito che l’eventuale compensazione è possibile «in sede di versamenti unitari delle imposte (oltre che dei contributi dovuti all’INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali) soltanto in ipotesi di crediti (a) dello stesso periodo, (b) nei confronti dei medesimi soggetti e (c) risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data» di entrata in vigore del Dlgs 241/1997.
Vista l’obbiettiva incertezza sull’argomento, dichiara l’agenzia delle Entrate, eventuali compensazioni tra crediti dell’accollante e debiti dell’accollato posti in essere prima dell’emanazione della risoluzione in commento, non sono punibili e sono da considerarsi validi. Nel caso in cui, però, il credito utilizzato in compensazione sia inesistente, resta in capo al soggetto accollato il debito tributario non assolto, con applicazione, in questo caso, delle relative sanzioni.
Per le situazioni di compensazioni tra crediti dell’accollante e debiti dell’accollato, sorte successivamente all’emanazione della risoluzione n. 140/E/2017, ancorché in virtù di patti contrattuali stipulati antecedentemente, le compensazioni in commento non sono ritenute valide e viene distinta la posizione dell’uno e dell’altro soggetto:
-l’accollato, ossia il debitore originario, resta debitore del tributo e nei suoi confronti viene recuperato il singolo tributo nonché le relative sanzioni per omesso versamento, oltre che gli interessi, con possibilità di adire all’istituto del ravvedimento operoso;
-l’accollante, che risulta aver utilizzato un credito in violazione delle norme vigenti, sarà destinatario della sanzione di cui all’articolo 13, comma 4, del Dlgs 471/1997, pari al 30 per cento del credito utilizzato, se esso è effettivamente esistente e il credito stesso ritornerà utilizzabile; ovvero della sanzione dal 100 al 200 per cento del credito utilizzato in compensazione, in base a quanto disposto dall’articolo 13, comma 5, sempre del Dlgs 471/1997, se il credito utilizzato risulta invece inesistente.
Fonte “Il sole 24 ore”

Liquidazioni Iva, in arrivo le pec sulla non conformità

In arrivo le comunicazioni di non conformità (compliance) delle comunicazioni delle fatture emesse e registrate con la liquidazione periodica Iva; ciò al fine di favorire l’adempimento spontaneo degli obblighi tributari. Infatti l’agenzia delle Entrate metterà a disposizioni le informazioni derivanti dal confronto tra i dati delle fatture acquisiti con lo spesometro e quelli delle comunicazioni delle liquidazioni Iva; in questo modo, i contribuenti che hanno omesso la comunicazione della liquidazione potranno sanare la loro posizione spontaneamente.
L’agenzia delle Entrate ha pubblicato ieri, sul proprio sito internet, il provvedimento n. 275294 con cui da attuazione ai commi 634 -636 della legge 190/2014 i quali prevedono l’adozione di un nuovo modello di cooperazione tra l’amministrazione finanziaria e i contribuenti, finalizzato a stimolare l’assolvimento degli obblighi tributari e a favorire l’emersione spontanea delle basi imponibili.
Nello specifico, l’Agenzia metterà a disposizione le informazioni dalle quali risulta che, nel trimestre di riferimento, sono state emesse fatture, e quindi comunicati telematicamente i relativi dati ai sensi dell’articolo 21 del Dl 78/2010, mentre manca la comunicazione della liquidazione Iva (articolo 21-bis dello stesso Dl 78/2010).
Le informazioni saranno trasmesse dall’agenzia delle Entrate a mezzo pec al contribuente e riguarderanno i dati fiscali e gli elementi utili per individuare la violazione commessa; inoltre, i contribuenti potranno trovare la medesima comunicazione nell’area riservata del portale dell’agenzia delle Entrate denominata “La mia scrivania”. Nell’area riservata del sito saranno, inoltre, disponibili ulteriori dati rispetto a quelli comunicati a mezzo pec, tra cui, il dettaglio dei documenti emessi e ricevuti (tipo e numero documento, data di emissione e registrazione, imponibile/importo, aliquota Iva e imposta, natura operazione e stato documento).
Come precisato nel provvedimento, le informazioni, oltre che al contribuente, sono rese note anche alla Guardia di Finanza tramite strumenti informatici.
A seguito del ricevimento della comunicazione, i contribuenti possono richiedere informazioni o fare segnalazioni direttamente o avvalendosi di intermediari abilitati. Qualora, invece, si riconosca la validità della comunicazione, è possibile procedere alla regolarizzazione di errori o omissioni secondo le modalità previste dall’articolo 13 del Dlgs 472/1997 ovvero con ravvedimento operoso. Infatti la comunicazione ricevuta a mezzo Pec non ha le caratteristiche di alcun provvedimento che impediscano il ravvedimento.
Si ricorda che ai sensi del comma 2-ter dell’articolo 11 del Dlgs 471/1997 l’omessa, incompleta o infedele comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche, è punita con la sanzione amministrativa da euro 500 a euro 2.000 e che sanzione è ridotta alla metà se la trasmissione è effettuata entro i quindici giorni successivi alla scadenza prevista o se, nel medesimo termine, è effettuata la trasmissione corretta dei dati.
Quindi nella ipotesi in cui sia stata omessa la comunicazione della liquidazione il contribuente deve provvedere alla trasmissione e versare la sanzione nella misura di un nono di 500 euro se non sono trascorsi 90 giorni (esempio liquidazione del secondo trimestre 2017) dalla scadenza originaria oppure un ottavo se il ritardo è superiore come ad esempio per la liquidazione del primo trimestre.
Fonte il sole 24 ore

Proroga pagamenti nuova rottamazione

I termini per il pagamento delle rate per la rottamazione delle cartelle scaduti nei mesi di luglio e settembre, nonché il termine della terza rata in scadenza il prossimo 30 novembre, saranno tutti posticipati al 7 dicembre. In tal senso dispone la legge di conversione del Dl 148/2017, approvata dal Senato lo scorso 16 novembre e ora in attessa del via libera definitivo della Camera . Come si ricorderà, la disciplina sulla rottamazione delle cartelle introdotta con il Dl 193/2016 ha consentito la definizione agevolata dei ruoli affidati all’ente della riscossione dal 2000 al 2016, con il pagamento delle sole somme dovute a titolo di imposta, interessi ed aggio, senza quindi sanzioni ed interessi di mora. La norma ha consentito di optare per il pagamento rateale delle somme dovute sino ad un massimo di cinque rate. In caso di rateazione, l’articolo 6, comma 3, del Dl 193/2016 ha previsto che le rate siano versate a luglio, settembre e novembre 2017 (lettera a), e ad aprile e settembre 2018 (lettera b).
Successivamente è intervenuto il Dl 148/2017 che ha posticipato i termini di versamento delle rate di luglio e settembre al 30 novembre 2017, stabilendo che: «1. I termini per il pagamento delle rate di cui all’articolo 6, comma 3, lettera a), del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225, in scadenza nei mesi di luglio e settembre 2017 sono fissati al 30 novembre 2017».
Infine, come sopra anticipato, il testo finale della legge di conversione del Dl 148/2017, approvato in via definitiva dal Senato lo scorso 16 novembre, prevede che: «All’articolo 1: al comma 1, [n.d.a.: del Dl 148/2017] le parole: “in scadenza nei mesi di luglio e settembre 2017 sono fissati al 30 novembre 2017”, sono sostituite dalle seguenti: “sono fissati al 7 dicembre 2017 e il termine per il pagamento della rata di cui alla lettera b) dello stesso articolo 6, comma 3, del decreto-legge n. 193 del 2016 in scadenza nel mese di aprile 2018 è fissato nel mese di luglio 2018”».
Pertanto, il testo finale post conversione del Dl 148/2017 stabilisce che: «1. I termini per il pagamento delle rate di cui all’articolo 6, comma 3, lettera a), del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225, sono fissati al 7 dicembre 2017».
Ciò significa che tutte e tre le rate della rottamazione in scadenza nel 2017, compresa quella fissata al 30 novembre, sono posticipate al 7 dicembre 2017. Si segnala infine che la stessa legge di conversione ha posticipato la rata in scadenza ad aprile 2018 al mese di luglio 2018; resta invece confermato il termine dell’ultima rata in scadenza a settembre 2018.
Fonte “Il sole 24 ore”

Credito d’imposta a sostegno degli investimenti pubblicitari incrementali

Con l’articolo 57-bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito con modificazioni dalla
legge 21 giugno 2017, n. 96, è stata introdotta una importante agevolazione di natura fiscale, nella
forma del credito d’imposta, sugli investimenti pubblicitari incrementali programmati ed effettuati
sulla stampa (giornali quotidiani e periodici, locali e nazionali) e sulle emittenti radio-televisive a diffusione locale.
Con l’articolo 4 del decreto-legge16 ottobre 2017, n. 148, è stato anche definito lo stanziamento
delle risorse finalizzate a questa misura: per il 2018 sono dedicati 62,5 milioni di euro, di cui:
– 50 milioni per gli investimenti sulla stampa (20 per gli investimenti effettuati nel secondo
semestre del 2017, più 30 per quelli da effettuare nel 2018);
– 12,5 milioni per gli investimenti da effettuare nel 2018 sulle emittenti radio-televisive.
La legge ha demandato ad un Regolamento di attuazione il compito di disciplinare tutti gli aspetti
della misura non direttamente regolati dalla legge, comprese le procedure operative che sono state
definite con l’Agenzia delle Entrate; il Regolamento è in corso di adozione.
Nella consapevolezza che le imprese destinatarie attendono di conoscere i contenuti caratterizzanti
di questo nuovo incentivo per pianificare i loro investimenti pubblicitari, il Dipartimento ha deciso
di pubblicare delle informazioni essenziali che seguono.
I chiarimenti che vengono illustrati qui di seguito anticipano, quindi, i contenuti principali del
Regolamento di prossima adozione.
1. Soggetti beneficiari
Possono beneficiare del credito d’imposta i soggetti titolari di reddito d’impresa o di lavoro autonomo che effettuano investimenti in campagne pubblicitarie, il cui valore superi di almeno l’1 per cento gli analoghi investimenti effettuati nell’anno precedente sugli stessi mezzi dl informazione.
2. Misura del beneficio

Il credito d’imposta è pari al 75 per cento del valore incrementale degli investimenti effettuati,
elevato al 90 per cento nel caso di microimprese, piccole e medie imprese e start-up innovative;
per microimprese, piccole e medie imprese si intendono quelle definite dalla raccomandazione
n.2003/361/CE della Commissione, del 6 maggio 2003, e dal decreto del Ministro delle attività
produttive 18 aprile 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 238 del 12 ottobre 2005; per start-
up innovative si intendono quelle definite dall’articolo 25 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179,
convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221.

Il credito d’imposta liquidato potrà essere inferiore a quello richiesto nel caso in cui l’ammontare
complessivo dei crediti richiesti con le domande superi l’ammontare delle risorse stanziate. In tal
caso, si provvede ad una ripartizione percentuale delle risorse tra tutti i richiedenti aventi diritto.

Al riguardo, è importante ricordare che i limiti di spesa sono distinti per gli investimenti sulla
stampa e per quelli sulle emittenti radio-televisive, in coerenza con il fatto che gli stessi stanziamenti delle risorse sono stati distinti dalla legge per i due tipi di media. Questo significa che, in presenza di investimenti su entrambi i media, il soggetto richiedente può vedersi riconosciute due diversi di crediti d’imposta, in percentuali differenziate a seconda delle condizioni della ripartizione su ognuna delle due platee di beneficiari.
Nel caso in cui sia accertato che l’ammontare complessivo del credito richiesto non esaurisca le
risorse stanziate, tali risorse, secondo il generale funzionamento di tali incentivi, andranno ad
incrementare la dotazione finanziaria dell’anno successivo.

3. Investimenti ammissibili

Sono ammissibili al credito d’imposta gli investimenti riferiti all’acquisto di spazi pubblicitari e
inserzioni commerciali su giornali quotidiani e periodici, nazionali e locali, ovvero nell’ambito della programmazione di emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali.
In sede di prima attuazione, il beneficio è applicabile anche agli investimenti effettuati dal 24
giugno al 31 dicembre 2017 sempre con la stessa soglia incrementale riferita all’anno precedente.
ATTENZIONE: l’estensione al secondo semestre del 2017 riguarda tuttavia i soli investimenti effettuati sulla stampa, ed in questo caso sono ammessi anche gli investimenti effettuati sui giornali on-line.

In ogni caso, gli investimenti pubblicitari devono essere effettuati su giornali ed emittenti editi da imprese titolari di testata giornalistica iscritta presso il competente Tribunale, ai sensi dell’articolo 5 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, ovvero presso il Registro degli operatori di comunicazione di cui all’articolo 1, comma 6, lettera a), numero 5, della legge 31 luglio 1997, n. 249, e dotate in ogni caso della figura del direttore responsabile.
Sono escluse dal credito d’imposta le spese sostenute per l’acquisto di spazi destinati a servizi
particolari; ad esempio: televendite, servizi di pronostici, giochi o scommesse con vincite di denaro,
di messaggeria vocale o chat-line con servizi a sovraprezzo.
Le spese per l’acquisto di pubblicità sono ammissibili al netto delle spese accessorie, dei costi di
intermediazione e di ogni altra spesa diversa dall’acquisto dello spazio pubblicitario, anche se ad
esso funzionale o connesso.

4. Limiti e condizioni di ammissibilità

Le spese per gli investimenti si considerano sostenute secondo le regole generali in materia fiscale
previste dall’art. 109 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, recante
il Testo unico delle imposte sui redditi.

L’effettività del sostenimento delle spese deve poi risultare da apposita attestazione rilasciata dai
soggetti legittimati a rilasciare il visto di conformità dei dati esposti nelle dichiarazioni fiscali, ovvero dai soggetti che esercitano la revisione legale dei conti.

ATTENZIONE: qualora il credito d’imposta richiesto sia superiore alla soglia di 150.000 euro, e richieda, pertanto, ai fini della liquidazione, l’accertamento preventivo di regolarità presso la Banca Dati Nazionale Antimafia del Ministero dell’interno, il richiedente potrà beneficiare del credito richiesto a condizione che sia iscritto (o abbia inoltrato alla Prefettura competente la richiesta di iscrizione) agli elenchi dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa, di cui all’articolo 1, comma 52, della legge 6 novembre 2012, n. 190. A questo fine, le attività svolte dai soggetti richiedenti il beneficio si considerano comunque equiparate a quelle indicate dall’articolo 1, comma 53, della stessa legge n. 190.

La soluzione di ricorrere al meccanismo delle “white list” per la fruizione del beneficio, ove
superiore alla soglia dei 150.000 euro, consentirà un decisivo snellimento della procedura di liquidazione, che diversamente sarebbe sottoposta ad una complessa verifica, presso la Banca Dati, di tutti i soggetti coinvolti nella gestione ed amministrazione delle società richiedenti.
Naturalmente, l’Amministrazione effettuerà ogni dovuto controllo sull’esito delle richieste di iscrizione, come per tutti gli altri requisiti.
Il credito d’imposta è alternativo e non cumulabile, in relazione a medesime voci di spesa, con ogni
altra agevolazione prevista da normativa nazionale, regionale o comunitaria.
Il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione, tramite il modello F24, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni.

5. Domanda di ammissione al beneficio

I soggetti interessati presentano la domanda di fruizione del beneficio nella forma di una comunicazione telematica (una “prenotazione”) su apposita piattaforma dell’Agenzia delle Entrate,
secondo il modello che ha definito la medesima Agenzia, usufruendo di una “finestra temporale”
ampia (potrebbe essere dal 1° marzo al 31 marzo di ciascun anno).

La comunicazione dovrà contenere:
– i dati identificativi dell’azienda (o del lavoratore autonomo);
-il costo complessivo degli investimenti pubblicitari effettuati, o da effettuare, nel corso
dell’anno; ove gli investimenti riguardino sia la stampa che le emittenti radio-televisive, i
costi andranno esposti distintamente per le due tipologia di media;
– il costo complessivo degli investimenti effettuati sugli analoghi media nell’anno precedente;
(per “media analoghi” si intendono la stampa, da una parte, e le emittenti radio-televisive
dall’altra; non il singolo giornale o la singola emittente);
– l’indicazione dell’incremento degli investimenti su ognuno dei due media, in percentuale ed
in valore assoluto;
– l’ammontare del credito d’imposta richiesto per ognuno dei due media;
– dichiarazione sostitutiva di atto notorio, redatta ai sensi degli articoli 46 e 47 del decreto del
presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, concernente il possesso del requisito
consistente nell’assenza delle condizioni ostative ed interdittive previste dalle disposizioni
antimafia ai fini della fruizione di contributi e finanziamenti pubblici.

6. Controlli

L’Agenzia delle Entrate e l’Amministrazione effettueranno i controlli di rispettiva competenza, in
ordine all’effettivo possesso dei requisiti che condizionano l’ammissione al beneficio fiscale; ove
sia accertata la carenza di taluno dei requisiti, e quindi l’indebita fruizione, totale o parziale, del beneficio, l’Amministrazione provvederà al recupero delle somme con le procedure coattive di
legge.
In ogni caso il Dipartimento è a disposizione per fornire ogni ulteriore chiarimento, che potrà essere richiesto con una semplice mail invia al seguente indirizzo segreteriacapodie@governo.it
Naturalmente, le risposte a quesiti che abbiano un rilievo generale saranno comunque pubblicate a
vantaggio di tutti i possibili interessati.

Bonus pubblicità, escluse le televendite

Sul bonus pubblicità per le imprese e i lavoratori autonomi che investono in campagne
pubblicitarie su quotidiani, periodici, emittenti tv e radio locali, arriva la certezza delle
regole operative. Questo è il primo e più evidente risultato della pubblicazione, sul sito
della presidenza del Consiglio dei ministri, delle procedure per permettere ad aziende e
lavoratori autonomi di richiedere il credito d’imposta sulla pubblicità incrementale per
2017 e 2018.

Una misura, questa, molto attesa dal settore editoriale nel tentativo di dare nuovo slancio
alla raccolta pubblicitaria. L’agevolazione, introdotta dalla manovra correttiva 2017 e
fortemente richiesta dalla Fieg al Tavolo Editoria, è prevista per chi farà investimenti
superiori, nel periodo interessato, dell’1% al valore degli investimenti, di analoga natura,
effettuati nell’anno precedente.
I chiarimenti che sono stati pubblicati sulla pagina web del Dipartimento per l’infomazione e l’Editoria della Presidenza del Consiglio anticipano così i contenuti del Dpcm di prossima
adozione. Nelle more del parere del Consiglio di Stato, che dovrà precedere l’adozione del
Dpcm, la pubblicazione online di questi chiarimenti operativi dà copertura all’operazione.
Mettendo anche punti fermi. Il primo: i limiti di spesa andranno distinti fra stampa, da una
parte, e radio e tv locali dall’altra. E la domanda dovrà contenere l’ammontare del credito
d’imposta richiesto per ognuno dei due media. In questo senso tutti gli investimenti dal 24
giugno al 31 dicembre sono ammissibili al credito d’imposta solo se fatti sulla stampa
(edizioni cartacee o edizioni online per tutte le testate iscritte presso il Tribunale ai sensi
della legge 47 del 1948 o presso il Registro operatori di comunicazione). Per radio e tv
locali se ne parlerà nel 2018. Sono escluse le spese per televendite, servizi di pronostici,giochi o scommesse con vincite in denaro, di messaggeria vocale o chat-line con servizi a
sovrapprezzo.

Il credito d’imposta è pari al 75% del valore incrementale degli investimenti effettuati,
elevato al 90% nel caso di microimprese piccole e medie imprese e startup innovative.
Questo bonus andrà calcolato sulla parte eccedente l’1% di incremento delle spese avute
l’anno prima. La dote a disposizione è di 62,5 milioni. Si parla di 50 milioni per gli
investimenti sulla stampa (20 per quelli effettuati nel secondo semestre 2017 più 30 da
effettuare nel 2018) e 12,5 milioni per gli investimenti da effettuare sulle emittenti radio-
televisive nel 2018. Guardando agli importi, il credito d’imposta liquidato potrà essere
inferiore a quello richiesto qualora venisse superato l’ammontare delle risorse stanziate. In
tal caso gli aventi diritto avrebbero una ripartizione percentuale delle risorse. Nel caso in
cui, invece, la dotazione finanziaria dovesse essere superiore alle richieste, le risorse
andranno a valere sulla dote dell’anno successivo. Per la fruizione del beneficio, dove
fosse superiore alla soglia dei 150mila euro, è stata scelta la soluzione del meccanismo
delle “white list”.

Voucher digitale per PMI

Il voucher digitale per PMI è una misura agevolativa per le micro, piccole e medie imprese che prevede un contributo, tramite concessione di un “voucher”, di importo non superiore a 10 mila euro, finalizzato all’adozione di interventi di digitalizzazione dei processi aziendali e di ammodernamento tecnologico.
Con Decreto direttoriale 24 ottobre 2017 sono state definite le modalità e i termini di presentazione delle domande di accesso alle agevolazioni. Le domande potranno essere presentate dalle imprese, esclusivamente tramite la procedura informatica, a partire dalle ore 10.00 del 30 gennaio 2018 e fino alle ore 17.00 del 9 febbraio 2018. Già dal 15 gennaio 2018 sarà possibile accedere alla procedura informatica e compilare la domanda.
Le spese ammissibili devono essere riferite all’acquisto di software, hardware o servizi che consentano il raggiungimento delle seguenti finalità: miglioramento dell’efficienza aziendale; modernizzazione dell’organizzazione del lavoro; sviluppo di soluzioni di e-commerce.
Gli acquisti devono essere effettuati successivamente alla prenotazione del Voucher. Ciascuna impresa può beneficiare di un unico voucher di importo non superiore a 10 mila euro, nella misura massima del 50% del totale delle spese ammissibili.
Il Voucher può essere concesso in favore di:  micro, piccole e medie imprese (MPMI),  costituite in qualsiasi forma giuridica, che risultano possedere, alla data della presentazione della domanda, i requisiti previsti all’art. 5 del Decreto 23 settembre 2014.
 con sede legale/unità locale attiva in Italia, iscritte al Registro delle Imprese;
 non sottoposte a procedura concorsuale, che non si trovano in stato di fallimento/liquidazione anche volontaria/amministrazione controllata/concordato preventivo/altra situazione equivalente.
Possono beneficiare del voucher le imprese operanti in tutti i settori di attività economica ad eccezione di quelli esclusi dall’articolo 1 del regolamento (UE) n. 1407/2013 (aiuti “de minimis”) quali il settore della produzione primaria di prodotti agricoli e della pesca e acquacoltura. Tuttavia, qualora le imprese che operano in tali settori svolgano anche attività economiche ammissibili, le stesse possono beneficiare del Voucher a condizione che siano in possesso di un adeguato sistema di separazione delle attività o di un sistema contabile che assicuri la distinzione dei costi.
Ai fini dell’accesso alle agevolazioni, le imprese sono tenute al rispetto di tutti i requisiti individuati all’articolo 5 del Decreto 23 settembre 2014, tra cui è previsto l’obbligo, alla data di presentazione dell’istanza di Voucher, di essere iscritti al Registro delle imprese. Pertanto, gli studi professionali e, più in generale, i liberi professionisti possono accedere alle agevolazioni solo qualora svolgano la propria attività in forma di impresa e siano iscritti, alla data di presentazione della domanda, al Registro delle imprese.
Spese ammissibili:
Come stabilito dall’articolo 2 del Decreto 23 settembre 2014, le spese ammissibili devono essere riferite all’acquisto di software, hardware o servizi che consentano il raggiungimento delle seguenti finalità:
 miglioramento dell’efficienza aziendale;
 modernizzazione dell’organizzazione del lavoro;
 sviluppo di soluzioni di e-commerce;
 connettività a banda larga e ultralarga;
 collegamento alla rete internet mediante la tecnologia satellitare;
 formazione qualificata nel campo ICT del personale.
Riferimenti normativi:
– Decreto 23 settembre 2014;
– Decreto-Legge n. 145/201
Fonte “Fiscalfocus”

La lettera d’intento batte lo split payment

Il reverse charge e la non imponibilità Iva, anche da lettera d’intento, hanno la precedenza rispetto allo split payment. Tra inversione contabile e non imponibilità, secondo le Entrate, non è invece possibile fissare una regola generale di prevalenza. Queste sono le conclusioni cui si può pervenire confrontando l’interpretazione fornita dall’Agenzia con la circolare 27/E/2017 e i precedenti orientamenti.
Il reverse charge
Il meccanismo della scissione dei pagamenti trova un primo arresto, per espressa previsione normativa, nel caso in cui l’operazione rientri nell’ambito del reverse charge. Infatti, è lo stesso articolo 17-ter del Dpr 633/1972 a stabilire che lo split payment scatta per le prestazioni di servizi e le cessioni di beni per i quali i committenti/cessionari non sono debitori dell’imposta in base alle disposizioni in materia d’imposta sul valore aggiunto.
Pertanto, se una società che ricade nel regime effettua degli acquisti nell’esercizio dell’impresa per i quali è prevista l’inversione contabile, non si applicherà lo split payment. È questo il caso delle operazioni elencate negli articoli 17 , commi 5 e 6, e 74, commi 7 e 8, del Dpr 633/1972, e, ovviamente, quello degli acquisti di beni (anche intracomunitari) e di servizi rilevanti in Italia da fornitori non residenti.
Per gli acquisti effettuati dalla Pa è necessario distinguere. Il reverse charge trova applicazione per:
• gli acquisti interni afferenti la sfera commerciale;
• gli acquisti intracomunitari di beni, se l’ente è un soggetto passivo;
• gli acquisti intracomunitari di beni, se l’ente non è soggetto passivo, ma si è identificato ai fini Iva in conseguenza del superamento della soglia di 10mila euro o per opzione;
• i servizi acquisiti, rilevanti in Italia, se l’ente è dotato di partita Iva.
La lettera d’intento
Allo stesso modo, lo split payment non si applica se l’acquirente, in possesso dello status di esportatore abituale, invia la dichiarazione d’intento al proprio fornitore. Infatti, come condivisibilmente affermato dall’agenzia delle Entrate, in questi casi l’operazione risulta non imponibile. Il chiarimento è in linea con quanto affermato nella circolare 1/E/2015 , dato che lo split payment riguarda le operazioni documentate mediante fattura che indichi, tra l’altro, l’imposta addebitata.
L’interpretazione ha inoltre il pregio di consentire agli esportatori abituali che oggi rientrano tra i destinatari della scissione dei pagamenti di mantenere inalterato il proprio comportamento con riferimento alla gestione del plafond.
Secondo quanto affermato nella circolare 14/E/2015 , la dichiarazione d’intento non ha invece alcun effetto sulle operazioni assoggettabili al meccanismo del reverse charge che, viste le finalità antifrode, costituisce la regola prioritaria.
Appare quindi evidente il differente approccio seguito dall’amministrazione finanziaria benché anche la disposizione riguardante lo split payment sia stata fin da subito (circolare 1/E/2015) ricondotta tra quelle volte a innovare il sistema di riscossione dell’imposta, al fine di ridurre il “Vat gap” e contrastare i fenomeni di evasione e le frodi Iva.
Il disorientamento aumenta se consideriamo che con la circolare 37/E/2015 è stata sostenuta la prevalenza della non imponibilità, anche se in questo caso “propria” dell’operazione effettuata (servizi internazionali), rispetto al reverse charge.
Gli altri «incroci»
Coerente con la funzione antifrode della disciplina è invece la previsione dell’applicazione prioritaria dello split payment rispetto al regime per cassa (articolo 32-bis, decreto legge 83/2012 ): sia il reverse charge (circolare 14/E/2015) che lo split payment (circolare 27/E/2017) hanno la precedenza.
Nel paragrafo 6 della circolare 27/E/2017 viene poi ricordato che quando il fornitore emette una nota di variazione in diminuzione che si riferisce a fatture emesse prima dell’entrata in vigore dello split payment, alla stessa si applicano le regole ordinarie.
Nell’ipotesi di variazione di una fattura originaria non imponibile a fronte del ricevimento della lettera d’intento, la nota di variazione dovrebbe recare il titolo di non imponibilità.
Fonte “Il fisco”

Equo compenso già per i contratti in corso

Poco più di un mese fa, il Consiglio di Stato aveva considerato legittimo un appalto pubblico di servizi professionali al compenso simbolico di un euro. Il legislatore idealmente risponde con una modifica alla legge forense, introducendo nel Dl fiscale appena approvato al Senato (si veda questo articolo ) due nuove tutele per i lavoratori autonomi – il diritto a un «equo compenso» e il divieto di «clausole vessatorie». L’obiettivo sono gli affidamenti standardizzati di servizi professionali ripetitivi, come il recupero dei crediti, che ormai molte imprese, e talvolta anche le amministrazioni, fanno a condizioni ridotte all’osso. Le nuove tutele si aggiungono e in parte si sovrappongono a quelle che la legge 81/2017 ha previsto per la «clausole abusive» e gli abusi di dipendenza economica nei confronti dei lavoratori autonomi.
Le norme nascevano per i soli avvocati ma nella redazione finale del testo la loro applicazione è stata estesa a tutti i lavoratori autonomi. Esse riguardano i rapporti, anche in essere, tra i professionisti e i loro clienti grandi imprese, banche e assicurazioni in testa, quando sono regolati da convenzioni predisposte unilateralmente dalle imprese. Negli incarichi conferiti dopo la nuova legge, il diritto all’equo compenso dovrà essere garantito anche dalle pubbliche amministrazioni.
Il parametro per stabilire l’«equità» del compenso è simile a quello dell’articolo 36 della Costituzione sulla retribuzione del dipendente: il compenso deve essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione. Nell’articolo 36 la concretizzazione del criterio è di fatto rimessa ai contratti collettivi, qui la legge rinvia a successivi decreti ministeriali.
Le clausole «vessatorie» sono invece individuate sulla falsariga del codice del consumo, come quelle che creano un «significativo squilibrio» contrattuale a carico del professionista. La norma elenca i casi tipici di vessatorietà, sempre che le clausole non siano frutto di una trattativa e di un’approvazione specifica. Ad esempio, il potere di rifiutare la stipulazione del contratto in forma scritta, l’anticipazione delle spese da parte del professionista, il pagamento a termini superiori a sessanta giorni. C’è poi una lista nera di clausole che sono vessatorie anche se oggetto di trattativa e approvazione: il potere del cliente di modificare unilateralmente il contratto e di esigere prestazioni aggiuntive gratuite.
Le clausole con compensi iniqui o vessatorie sono nulle, secondo un regime speciale. Per le clausole vessatorie la nullità è del genere cosiddetto di protezione, la può far valere solo il professionista e comunque non si estende al resto del contratto. Anche in questo caso, la soluzione è in linea con il codice del consumo. Per il compenso non equo è prevista la sostituzione con il compenso determinato dal giudice. L’azione di nullità non è imprescrittibile, come sarebbe per regola generale, e va proposta a pena di decadenza entro ventiquattro mesi dalla firma delle convenzioni.
Nell’insieme, non si può dire che le nuove norme siano un semplice ritorno al passato, ai tempi delle tariffe professionali minime. La legge prova a correggere alcuni rapporti di forza nei quali il professionista è considerato il contraente debole. Forse questo è anche il limite dell’intervento. Le norme affrontano il problema senza una riflessione più generale sulla natura dei servizi coinvolti e senza domandarsi se, in definitiva, occorra ripensare anche le forme in cui i professionisti si organizzano per svolgerli e la loro disciplina uniforme.
Fonte Il fisco

Registri Iva senza obbligo di stampa cartacea

Stop all’obbligo di stampa cartacea dei registri Iva gestiti in modalità elettronica. Basterà, infatti, tenere aggiornati i registri digitali relativi a fatture emesse ed acquisti per stamparli in sede di accesso, ispezione o verifica a seguito della richiesta avanzata dagli organi procedenti e in loro presenza. È una delle novità introdotte dal maxiemendamento al decreto fiscale collegato alla manovra e approvato dal Senato in prima lettura (il testo ora è passato all’esame della Camera).
Ma vediamo meglio nel dettaglio. L’equiparazione degli effetti della registrazione meccanografica non trascritta a quelli della modalità cartacea viene estesa anche ai fini Iva per la tenuta del registro delle fatture di acquisto e di vendita con sistemi elettronici.
Pertanto, se a seguito di un accesso, ispezione o verifica, i dati memorizzati digitalmente risultano aggiornati e a richiesta viene eseguita la stampa immediata sui registri cartacei, gli organi verificatori dovranno constatare la regolarità della tenuta dei registri.
Con la modifica normativa il legislatore ha previsto, limitatamente ai registri Iva tenuti mediante sistemi elettronici e senza alcun riferimento all’esercizio a cui si riferiscono le registrazioni, che in sede di verifica gli organi di controllo non possono contestare l’irregolarità dell’omessa trascrizione nei registri Iva cartacei a patto che i dati inseriti nel sistema informatico siano aggiornati e prontamente stampati su richiesta.
La possibilità di assolvere agli obblighi fiscali mediante la dematerializzazione dei documenti è stata attutata con l’articolo 7 del Dl 357/1994 . Quest’ultimo provvedimento permette di tenere le scritture contabili con modalità informatiche aventi piena efficacia giuridica, ma non costituisce un’eccezione alle norme della stampa dei dati contabili nei registri cartacei.
Scopo della disposizione è quello di semplificare i processi amministrativi causati dal differimento temporale della registrazione per effetto dell’utilizzo degli strumenti meccanografici. Pertanto, la regolarità della tenuta delle scritture contabili, in assenza di annotazione su carta, è da ritenersi conforme se i dati, che si riferiscono all’esercizio corrente, risultano aggiornati ed immediatamente stampabili su richiesta.
La nuova disposizione introdotta all’interno del decreto fiscale recepisce la proposta che il Cndcec aveva indicato in previsione della legge di Stabilità 2016. E l’intervento normativo in questione potrebbe avere l’effetto di far decadere tutte le contestazioni che basano il disconoscimento del diritto alla detrazione sebbene il contribuente, pur avendo tenuto i registri con sistemi elettronici, non provvede a stamparli su carta.
Quotidiano “Il fisco”

Auto aziendali dedotte al 20%

I costi delle auto aziendali non possono essere dedotti integralmente, ma subiscono il taglio al 20% anche se si tratta di beni utilizzati solo per l’attività dell’imprenditore. Per le Entrate, infatti, la deduzione piena si può avere solo per auto senza le quali «l’attività non può essere esercitata». Lo stupore per questa normativa è contenuta nella mail che un imprenditore ha inviato alla casella ilmiogiornale@ilsole24ore.com . (LA TABELLA )
Per il reddito d’impresa, però, la deduzione di ammortamenti, canoni di leasing o noleggio, spese di manutenzione, assicurazione, custodia, carburanti, tassa di circolazione ecc., è piena (quindi, non ridotta al 20%, al 50% per i minimi e i forfettari o all’80% per gli agenti, con limiti massimi di spesa rilevante fiscalmente) solo per i seguenti veicoli:
autocarri, a patto che abbiano un rapporto tra potenza e portata inferiore al coefficiente 180 (provvedimento Entrate 6 dicembre 2006), autobus, trattori stradali, autotreni, autoarticolati, autosnodati, mezzi di trasporto non a motore (biciclette e gondole) (circolare 1/E/2007), a patto che siano inerenti all’attività d’impresa (circolare 48/E/1998 e risoluzione 244/E/2002);
i veicoli adibiti a uso pubblico, come taxi e Ncc , muniti di licenza comunale (articolo 164, comma 1, lettera a, punto 2, Tuir);
autovetture, autocaravan, aeromobili da turismo, navi e imbarcazioni da diporto (articolo 54, comma 1, lettere a e m, Dlgs 285/1992), ciclomotori e motocicli, utilizzati «esclusivamente come beni strumentali nell’attività propria dell’impresa» (articolo 164, comma 1, lettera a, punto 1, Tuir, regola valida solo per le imprese e non per i professionisti, circolare 48/E/1998), cioè «senza i quali l’attività stessa non può essere esercitata», come le autodelle imprese che effettuano noleggi o leasing (circolari 48/E/1998, 11/E/2007, risposta 8.2, 13 febbraio 1997 n. 37/E e risoluzione 59/E/2007) o quelle utilizzate dalle autoscuole (circolare 11/E/2007).
I costi delle altre autovetture, quindi, non sono deducibili al 100%, ma al 20% (80% per gli agenti e 50% per i minimi e i forfettari), come le auto usate per pubblicizzare i servizi offerti, tramite l’allestimento all’esterno di messaggi pubblicitari e marchi d’impresa (circolari 1/E/2007 e 50/E/2002) o per i mezzi che gli alberghi utilizzano per il trasporto dei clienti verso impianti di risalita, piste da sci, scuole di sci, servizi di noleggio, stazioni ferroviarie, aeroporti. In questi casi, per le Entrate non ricorrono gli elementi per ritenere detti beni utilizzati esclusivamente come beni strumentali nell’attività dell’impresa, in quanto non sono beni senza i quali l’attività non può essere esercitata (interrogazione parlamentare del 3 agosto 2016, n. 5-09338).

 

 

 

Firma digitale per gli atti societari

Con un intervento contenuto nel maxiemendamento al Dl 148/2017 approvato ieri dal Senato, il legislatore apre la strada ai fini fiscali alla sottoscrizione digitale di alcuni atti societari che determinano il trasferimento di azioni o quote societarie la trasformazione e la fusione di società, nonché i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento di imprese soggette a registrazione. In questo modo si vuole rendere più semplice e meno oneroso per le imprese la realizzazione di determinate operazioni sociali che sono caratterizzate da specifici formalismi disciplinati in modo attento dal codice civile. In particolare la norma appena approvata, che introduce all’articolo 36 del Dl 112/2008 il comma 1-ter, consente la sottoscrizione digitale degli atti previsti dagli articoli da 2498 a 2506 del Codice civile (disposizioni che disciplinano le regole per la trasformazione, fusione delle società, nonché l’assegnazione di azioni o quote societarie), l’articolo 2556 del Codice civile (disposizione che disciplina i contratti di trasferimento della proprietà o il godimento delle imprese soggette a registrazione), nonché delle operazioni relative alla successione. L’apposizione della sottoscrizione digitale deve avvenire secondo le disposizioni del Cad (Codice dell’amministrazione digitale, ossia il Dlgs 82/2005) e delle relative regole tecniche. La limitazione, però, degli effetti della sottoscrizione ai soli fini fiscali pone non pochi dubbi sulla sua piena operatività di tali regole, lasciando impregiudicati i più stringenti vincoli civilistici.

Notifica cartelle, aumentano i soggetti abilitati

L’approvazione di ieri al Senato del decreto legge fiscale collegato alla manovra 2018 porta con sé delle novità in materia di modalità di perfezionamento della notifica delle cartelle di pagamento.
In sostanza, la modifica interviene per disciplinare i soggetti, diversi dal notificante, che possono eseguire le formalità necessarie per il perfezionamento del processo notificatorio.
La notifica della cartella, salvo che non si utilizzi la posta elettronica certificata, avviene tramite gli ufficiali della riscossione o può essere eseguita da altri soggetti abilitati dal concessionario ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale.
Ma il compimento delle sole formalità imputabili al notificante ha solo l’effetto di convalidare l’osservanza e il rispetto di un termine (di decadenza e/o prescrizione) e non di anticipare gli effetti sostanziali e processuali che la notificazione produce.
Tali effetti sono condizionati, risolutivamente, al perfezionamento integrale della procedura notificatoria nei confronti del destinatario dell’atto ( es. l’atto giunge a buon fine), ovvero che siano stati effettuati gli altri adempimenti previsti dalla legge affinché l’atto sia comunque entrato nella disponibilità del destinatario (ricezione dell’atto), o che siano state eseguite le procedure affinché il destinatario sia messo a conoscenza dell’atto a lui destinato (es. compiuta giacenza).
Con l’intervento normativo vengono abilitati soggetti diversi da quelli che hanno eseguito la notifica vera e propria, per compiere le formalità che portano al perfezionamento della notifica.

In pratica, se il processo notificatorio non è andato a buon fine in prima battuta tali nuovi soggetti sono abilitati, nel termine di trenta giorni, ad eseguire tutte le formalità necessarie per il perfezionamento della notifica.
Tutte le operazioni fatte devono risultare da un’apposita relazione datata e sottoscritta.

Spesometro semestrale solo su opzione per il 2018

Spesometro semestrale solo su opzione del contribuente. Altrimenti dal 2018 la cadenza di invio tornerà trimestrale, come inizialmente previsto dal Dl fiscale dello scorso anno. È quello che emerge dal maxiemendamento al decreto collegato alla manovra su cui il Governo ha incassato ieri la fiducia al Senato (148 sì, 116 no e nessun astenuto). Quindi – a meno di interventi nell’esame del testo in seconda lettura a Montecitorio o nel Ddl di Bilancio – non si tornerà al vecchio spesometro a cadenza annuale come pure era stato auspicato dalla commissione Finanze della Camera nella risoluzione approvata il 18 ottobre dopo il caos che si era verificato nelle scorse settimane con il blocco dei canali di trasmissione per ragioni di tutela della privacy.
Il meccanismo messo a punto dal maxiemendamento, che ricalca quello votato in commissione Bilancio a Palazzo Madama e proposto dal relatore al Dl, Silvio Lai (Pd), prevede la «facoltà dei contribuenti» di trasmettere i dati «con cadenza semestrale» limitando il tipo di informazioni da inviare a: partita Iva della controparte nell’operazione o al codice fiscale per chi non svolge attività d’impresa o professionale; data e numero della fattura; base imponibile Iva, aliquota, imposta e tipologia dell’operazione qualora l’imposta non sia indicata in fattura. Di fatto anche per i dati delle fatture emesse e ricevute nel 2018 si potranno effettuare solo due invii alle Entrate, così come era stato previsto per i dati relativi al 2017. 

Tradite al momento le richieste di imprese e professionisti sulla cadenza annuale degli invii, arriva comunque una semplificazione molto attesa dagli operatori: la possibilità di trasmettere i dati del documento riepilogativo per le “mini-fatture” ossia quelle (sia emesse che ricevute) di importo inferiore ai 300 euro. In questa circostanza, il testo approvato dal Senato stabilisce che «i dati da trasmettere comprendono almeno la partita Iva del cedente o del prestatore per il documento riepilogativo delle fatture attive, la partita Iva del cessionario o committente per il documento riepilogativo delle fatture passive, la data e il numero del documento riepilogativo nonché l’ammontare imponibile complessivo e l’ammontare dell’imposta complessiva distinti secondo l’aliquota applicata».
Ma non è tutto, perché vengono stabiliti una serie di esoneri. Le pubbliche amministrazioni, infatti, non dovranno più comunicare dati delle fatture emesse nei confronti dei consumatori finali. Mentre non saranno più soggetti all’obbligo dello spesometro i produttori agricoli con un volume d’affari al di sotto dei 7mila euro, costituito per almeno due terzi dalla cessione dei prodotti agricoli.

I ritocchi approvati dal Senato riguardano, però, anche la sterilizzazione delle sanzioni chiesta a più riprese da imprese e professionisti proprio a seguito dei gravi problemi verificatisi in occasione del primo invio semestrale per il 2017 (il cui termine, dopo diverse proroghe, è scaduto il 16 ottobre scorso). Non si applicheranno, quindi, penalità qualora i contribuenti correggeranno omissioni o errori inviando i dati corretti entro il 28 febbraio del 2018. E sempre in tema di sanzioni vengono uniformate quelle applicabili sia a chi ha esercitato l’invio opzionale dei dati fattura (con una serie di vantaggi) sia a chi li trasmette per obbligo: la sanzione amministrativa diventa per tutti di 2 euro per ciascuna fattura (con un limite massimo di mille euro per ciascun trimestre) per l’omissione o l’errata trasmissione. Importi comunque riducibili con il ravvedimento.

Spesometro, torna la possibilità di cumulare le fatture sotto i 300 euro

Il Parlamento mantiene la parola. Dopo aver impegnato il Governo a semplificare lo spesometro e non applicare le sanzioni per il caos informatico che ha caratterizzato il primo invio con la risoluzione Sanga approvata alla Camera, è arrivato ieri il via libera della commissione Bilancio alle diverse richieste delle forze politiche di revisione delle modalità di invio delle comunicazioni dei dati delle fatture per il 2018 (in attesa della soppressione dall’anno successivo con l’introduzione dell’obbligo generalizzato dell’e-fattura nelle operazioni business to business). E lo fa anche riducendo il numero delle informazioni da comunicare all’Agenzia delle Entrate.

A effettuare una sintesi dei correttivi è stato il relatore al Dl fiscale, Silvio Lai (Pd): «Con la norma, viene prevista la possibilità per il contribuente di trasmettere i dati annualmente o semestralmente, semplificando la procedura. Inoltre, si offre la facoltà di riepilogo cumulativo di tutte le fatture di un’impresa inferiori a trecento euro. Per gli errori commessi nell’invio dei dati delle fatture del primo semestre 2017, sono abolite le sanzioni, purché tali errori siano sanati con un nuovo invio da effettuarsi entro febbraio 2018». Intervento che, aggiunge sempre Lai, recepisce le «segnalazioni giunte dal mondo dell’impresa» e dei professionisti.

Ma vediamo nel dettaglio. Il confronto sulla tempistica della trasmissione tra Parlamento, che si spingeva a chiedere un unico adempimento(come per il vecchio spesometro fino alle fatture 2016), e l’amministrazione finanziaria, che al contrario era propensa a concedere anche per il 2018 un doppio invio, si è concluso con una soluzione salomonica: sarà il contribuente a scegliere se trasmettere i dati con cadenza semestrale o annuale.

La vera semplificazione, in realtà, riguarda il numero dei dati da inviare. Ad esempio scompare una delle informazioni del tutto superflue per le comunicazioni Iva, come il codice di avviamento postale (Cap) della controparte commerciale. Secondo il correttivo approvato bisognerà indicare nella comunicazione: la partita Iva dei soggetti coinvolti nelle fatture o il codice fiscale per chi non è impresa o professionista; la data e il numero della fattura; l’imponibile Iva, l’aliquota applicata e l’imposta; il tipo di operazione nel caso in cui l’Iva non sia indicata in fattura.

La riduzione dei dati da inviare passa anche dal numero dei documenti da trasmettere. Le fatture emesse o ricevute di importo inferiore a 300 euro potranno essere registrate cumulativamente (come nel vecchio spesometro) e il contribuente potrà scegliere di “segnalare” solo il documento riepilogativo. Altra novità riguarda, poi, l’esonero delle Pa dall’obligo di inviare i dati delle fatture emesse nei confronti di consumatori finali.

La sterilizzazione delle sanzioni si applica soltanto alle difficoltà che hanno caratterizzato il primo tormentato invio che è arrivato a scadenza, dopo diverse proroghe, lo scorso 16 ottobre. In sostanza, non saranno dovute le sanzioni di 2 euro per ogni fattura trasmessa erroneamente (nel limite di 1.000 euro per trimestre) né tantomeno la penalità da 200 a 2.500 euro per chi ha esercitato l’opzione per la trasmissione facoltativa dei dati fattura.

Disciplina del gruppo Iva (seconda parte)

L’opzione è esercitata mediante dichiarazione telematica contenente le indicazioni previste nel comma 2 dell’art. 70 quater, D.P.R. 633/1972 (cui si rinvia) e vincola i partecipanti per un triennio purchè permangano i requisiti:

  • se la dichiarazione è presentata tra il 1° gennaio ed il 30 settembre l’opzione ha effetto a decorrere dall’anno successivo;

  • se la dichiarazione è presentata tra il 1° ottobre ed il 31 dicembre l’opzione ha effetto a decorrere dal secondo anno successivo.

Al termine del primo triennio l’opzione si rinnova automaticamente per ciascun anno successivo fino a quando non è esercitata la revoca.

La cessazione dell’intero gruppo Iva si verifica in ogni caso se e quando viene meno la pluralità dei soggetti partecipanti.

Effetti dell’opzione

Soggettività

L’esercizio dell’opzione comporta che, durante tutto il periodo di vigenza dell’opzione, i soggetti passivi che partecipano al gruppo Iva perdono la loro autonoma soggettività ai fini Iva: unico soggetto passivo diviene, infatti, il gruppo Iva che si sostituisce interamente ai soggetti partecipanti ed agisce come qualsiasi autonomo soggetto passivo. Il gruppo Iva, quale unico soggetto passivo, è identificato con unica partita Iva.

Il venir meno della soggettività in capo ai singoli partecipanti è ciò che differenzia specificamente il gruppo Iva rispetto alla liquidazione Iva di gruppo disciplinata dall’art. 73, co. 3, D.P.R. 633/1972 : quest’ultimo istituto, infatti, consente la mera compensazione delle posizioni Iva a debito ed a credito ed i soggetti partecipanti mantengono intatta la propria rispettiva soggettività passiva. I soggetti partecipanti ad un gruppo Iva, peraltro, perdendo la loro posizione soggettiva individuale, non possono partecipare ad una procedura di liquidazione Iva di gruppo.

Disciplina

La prima conseguenza dell’opzione è certamente l’irrilevanza ai fini Iva delle cessioni di beni e prestazioni di servizio che intercorrono tra i soggetti partecipanti ad un medesimo gruppo Iva: per effetto dell’opzione, infatti, assumono rilevanza esclusivamente le cessioni e le prestazioni effettuate da un soggetto facente parte del gruppo Iva nei confronti di un terzo non facente parte e, specularmente, quelle effettuate da un terzo non facente parte del gruppo Iva nei confronti di un soggetto facente parte del gruppo Iva che si considerano rispettivamente effettuate e acquistate dal gruppo Iva.

Anche gli obblighi ed i diritti derivanti dall’applicazione delle norme in materia di Iva sono, rispettivamente, a carico ed a favore (soltanto) del gruppo Iva.

La generalizzata irrilevanza delle operazioni intervenute tra i soggetti partecipanti al gruppo Iva determina una complessiva semplificazione: i contribuenti beneficiano dell’abbattimento di oneri legati all’esecuzione di una serie di adempimenti formali mentre l’Agenzia delle Entrate beneficia di uno snellimento dell’attività di controllo a questi relativa.

In via del tutto esemplificativa spetterà al gruppo Iva procedere:

  • all’applicazione dell’Iva sulle operazioni imponibili poste in essere;

  • alla determinazione dell’Iva detraibile;

  • al calcolo dell’eventuale rettifica della detrazione;

  • al pagamento dell’imposta;

  • alle richieste di rimborso;

  • all’assolvimento degli adempimenti formali di fatturazione, annotazione e dichiarazione;

  • all’esercizio delle opzioni che la normativa in materia di Iva accorda ai soggetti passivi.

Rimangono comunque applicabili al gruppo Iva le modalità ed i termini speciali di emissione, numerazione e registrazione delle fatture nonché di esecuzione delle liquidazioni e dei versamenti periodici stabiliti dai decreti di attuazione delle deleghe contenute negli artt. 22, co. 2, e 74, D.P.R. 633/1972 .

Eccedenze detraibili

L’art. 70 sexies, D.P.R. 633/1972 disciplina il regime delle eccedenze detraibili: il passaggio, per i soggetti partecipanti al gruppo Iva, da una soggettività passiva Iva individuale ad una soggettività passiva Iva collettiva in capo al gruppo, infatti, determina alcune conseguenze sui crediti Iva che emergono dalle dichiarazioni Iva dei singoli partecipanti.

Le eccedenze Iva detraibili che emergono dalla dichiarazione annuale del soggetto che entra a far parte di un gruppo Iva non possono essere trasferite al gruppo Iva e restano nella esclusiva disponibilità della singola società cui si riferiscono. Con una disposizione di favore è stato però previsto che tali eccedenze possono essere:

  • chieste a rimborso a prescindere dalla ricorrenza dei requisiti previsti dall’art. 30, D.P.R. 633/1972 ;

  • utilizzate in compensazione  orizzontale ai sensi dell’art. 17, D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241 .

La preclusione al trasferimento al gruppo Iva concerne, però, soltanto la parte del credito eccedente i versamenti dell’Iva effettuati per l’anno precedente a quello di entrata a far parte del gruppo Iva: il divieto, viceversa, non vale per la parte delle eccedenze detraibili pregresse che trova capienza nei versamenti Iva effettuati nell’anno precedente al primo anno di partecipazione al gruppo Iva.

In questo senso, ipotizzando che un soggetto entri a far parte del gruppo Iva a partire dal 2017, che la dichiarazione annuale relativa al 2016 evidenzi un credito pari a 1.000 e che il predetto soggetto abbia effettuato versamenti periodici Iva per il 2016 pari a 500, ne conseguirebbe che l’eccedenza creditoria sarebbe limitatamente trasferibile al gruppo Iva per un importo di 500(6).

L’eccedenza creditoria che risulta dalla dichiarazione del gruppo Iva e che non sia stata chiesta a rimborso all’atto della cessazione del medesimo, per effetto del venir meno della pluralità dei partecipanti, rimane nell’esclusiva disponibilità del rappresentante del gruppo Iva che potrà computarla in detrazione nelle proprie liquidazioni periodiche o nella propria dichiarazione annuale.

Soggetto responsabile

Un ruolo preminente nella disciplina in esame è certamente quello attribuito al rappresentante del gruppo Iva.

Tale soggetto, infatti, è chiamato ad adempiere tutti gli obblighi ed esercitare tutti i diritti derivanti dall’applicazione delle norme in materia di Iva rispettivamente a carico ed a favore del gruppo Iva. Tale soggetto, inoltre, assume una funzione cautelativa delle esigenze dell’Erario: il rappresentante del gruppo Iva, infatti, è solidalmente responsabile con le altre società partecipanti per le somme che risultano dovute a titolo d’imposta, interessi e sanzioni a seguito delle attività di liquidazione e di controllo.

La responsabilità che sussiste sui partecipanti al gruppo Iva, secondo quanto precisato nella Relazione governativa, è una responsabilità solidale paritetica giustificata dalla unitarietà del soggetto passivo costituito dal gruppo Iva.

Tale responsabilità solidale paritetica ha però destato qualche perplessità.

Il modello adottato dal Legislatore, infatti, rispecchia l’assetto sostanzialmente previsto per il consolidato fiscale nazionale: quest’ultimo regime però presenta marcate differenze rispetto al gruppo Iva. Nel consolidato fiscale nazionale, infatti, le singole società consolidate mantengono, a differenza del gruppo Iva, la propria soggettività e procedono alla liquidazione del rispettivo imponibile con l’unica differenza che non procedono, in sede di dichiarazione, alla liquidazione dell’imposta; il soggetto consolidante recepisce i dati che riceve dalle società controllate senza poterne sindacare correttezza o veridicità: è per tale ragione che il Legislatore ha escluso una responsabilità oggettiva ed esclusiva del consolidante. Nel gruppo Iva, viceversa, le singole società partecipanti perdono la loro soggettività e non sono onerate da adempimenti di natura contabile né da obblighi di determinazione dell’imposta che gravano esclusivamente sul rappresentante del gruppo Iva. La responsabilità solidale paritetica imputata ai singoli partecipanti del gruppo Iva non appare pertanto coerente: la scelta del Legislatore è evidentemente motivata dall’esigenza di garantire la riscossione del credito erariale perché i partecipanti al gruppo Iva, pur perdendo la loro soggettività, mantengono una propria autonomia economica e finanziaria.

Il rappresentante del gruppo Iva è individuato ope legis nel soggetto che esercita sugli altri partecipanti al gruppo Iva il controllo di cui all’art. 70 ter , co. 1, D.P.R. 633/1972 (vincolo finanziario) ossia il soggetto che dal 1° luglio dell’anno solare precedente esercita il controllo ai sensi dell’art. 2359, co. 1, n. 1, c.c. Nelle ipotesi in cui nessun soggetto che esercita il controllo di diritto possa esercitare l’opzione (secondo la Relazione governativa il caso più frequente è quello in cui i soggetti stabiliti nel territorio dello Stato siano «sorelle» in quanto controllati da un soggetto che non è stabilito nel territorio dello Stato) il rappresentante del gruppo Iva è individuato nel soggetto partecipante « con volume d’affari o ammontare di ricavi più elevato nel periodo precedente alla costituzione del gruppo medesimo» (art. 70 septies, co. 2, D.P.R. 633/1972): secondo la Relazione governativa è tale il soggetto che «comparando gli importi dei volumi d’affari e dei ricavi dei partecipanti al gruppo, esprima il valore assoluto più elevato» (7).

Nell’ipotesi in cui, in pendenza dell’opzione, il rappresentante del gruppo Iva venga meno o cessi di fare parte del gruppo Iva, non cessano gli effetti dell’opzione in capo agli altri partecipanti: in tal caso dal giorno successivo e senza soluzione di continuità subentra quale rappresentante del gruppo Iva il soggetto individuato in forza del valore assoluto più elevato del relativo volume d’affari o di ricavi (con riferimento all’ultima dichiarazione presentata).

Entrata in vigore

Le disposizioni concernenti il gruppo Iva trovano applicazione a partire dal 1° gennaio 2018 (art. 1, co. 30, L. 232/2016): ciò comporta che per i soggetti passivi la possibilità di costituire gruppi Iva opererà concretamente dal 2019.

Tale lasso temporale dovrebbe consentire al Mef di poter utilmente procedere, come previsto dall’art. 11, Direttiva 2006/112/CE, alla consultazione del Comitato consultivo (art. 1, co. 31, L. 232/2016).

Conclusioni

L’introduzione del gruppo Iva nel sistema italiano deve certamente essere valutato con favore perché, al di là della (solo) apparente semplicità della relativa disciplina (la cui complessità è viceversa testimoniata dalla circostanza che il Legislatore ha dedicato ben 11 nuovi articoli alla fattispecie), comporterà sicuri benefici in termini di imposta e di adempimenti in capo alle società partecipanti nonché, più in generale, una semplificazione per contribuenti ed Erario.

I vantaggi in termini di imposta saranno, ovviamente, ben più evidenti nelle ipotesi in cui tra i soggetti aderenti al gruppo Iva ci siano società con un’alta limitazione al diritto di detrazione; nel sistema vigente ad ogni soggetto passivo corrisponde un differente pro rata di detraibilità: nel nuovo gruppo Iva il pro rata, infatti, dovrà essere individuato in funzione di tutte le operazioni effettuate dai partecipanti del gruppo Iva verso terzi così limitando di fatto gli effetti del pro rata di detrazione che si verificherebbero sulle singole società.

“Gruppo Iva nazionale”

(Sandro Cerato)

La Settimana fiscale n. 6/2017, pag. 16

(2) La Relazione Governativa precisa che in tale ipotesi, in caso di soggetto che eserciti una pluralità di aziende, costituisce evidentemente condizione ostativa alla partecipazione al gruppo Iva anche il sequestro di una sola di esse.

(3) Nella Comunicazione del 2009 della Commissione europea sono altresì riportate le definizioni concernenti il contenuto dei «rapporti finanziari, economici ed organizzativi»: il vincolo finanziario è definito «in relazione ad una percentuale di partecipazione al capitale o ai diritti di voto (oltre il 50%), o con riferimento ad un contratto di franchising, il quale garantisce che un’impresa ha effettivamente il controllo su un’altra»; il vincolo economico è da ritenersi sussistente quando «L’attività principale dei membri del gruppo è dello stesso genere, o le attività dei membri del gruppo sono complementari o interdipendenti, o un membro del gruppo svolge attività che avvantaggiano, pienamente o sostanzialmente, gli altri membri»; il vincolo organizzativo è definito «in relazione all’esistenza di una struttura di gestione almeno parzialmente condivisa».

(4) La Relazione Governativa riporta l’esempio di vincolo finanziario che sussiste qualora il soggetto A controlla sia il soggetto B che, a sua volta, controlla il soggetto C, sia il soggetto D che, a sua volta, controlla il soggetto E.

(5) Il comma 5 dell’art. 70 quater, D.P.R. 633/1972, cui si rinvia, regolamenta l’ipotesi in cui in pendenza dell’opzione venga a sussistere il vincolo finanziario in capo a soggetti passivi in relazione ai quali originariamente non sussisteva sia l’ipotesi in cui, essendo stata riconosciuta dall’Agenzia delle Entrate l’insussistenza del vincolo economico o di quello organizzativo in capo ad un dato soggetto (con conseguente esclusione dal gruppo Iva), successivamente tali vincoli vengano a sussistere.

(6)Esempio riportato nella Relazione governativa.

(7)Nella Relazione governativa sono riportati diversi esempi numerici cui si rinvia concernenti la comparazione degli importi.

(1)La giurisprundenza comunitaria, peraltro, ha riconosciuto la possibilità di aderire ad un gruppo Iva anche a soggetti non passivi di imposta (Corte di Giustizia Ue, 9 aprile 2013, C-85/11).