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Disciplina del gruppo Iva (prima parte)

La Legge di Bilancio 2017 (L. 11 dicembre 2016, n. 232) ha introdotto in Italia l’istituto del gruppo Iva, così come previsto in via facoltativa dall’art. 11, Direttiva 2006/112/CE: con l’intervento legislativo, più specificamente, è stato inserito il titolo V bis nel D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 composto da 11 nuovi articoli (art. 70 bis – art. 70 duodecies).
La novità rappresenta un’importante opzione per i soggetti passivi ed allinea il sistema italiano a quelli già vigenti in diversi Paesi dell’Unione Europea colmando, sotto questo profilo, il gap competitivo con i soggetti passivi che ivi operano.
La relativa disciplina presenta diversi profili di particolarità e merita approfondimento per alcune sue specifiche peculiarità.
Premessa
L’art. 11, par. 1, Direttiva 2006/112/CE prevede che nei rispettivi ordinamenti nazionali è possibile, previa consultazione del comitato Iva, «considerare come un unico soggetto passivo le persone   stabilite nel territorio dello stesso Stato membro che siano giuridicamente indipendenti, ma strettamente vincolate fra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi»; la norma replica l’originaria disposizione già prevista nell’art. 4, par. 4, co. 2, Direttiva 77/388/CEE.
La Direttiva Iva, pertanto, concedela facoltà agli Stati membri di riconoscere la soggettività di un gruppo Iva ove sussistano tra più soggetti passivi «rapporti finanziari, economici ed organizzativi »: la disciplina comunitaria non individua la definizione di tali «rapporti» per i quali, pertanto, occorre rinviare alla normativa domestica. Sotto questo profilo, tra l’altro, il par. 2 dell’art. 11 Direttiva 2006/112/CE prevede che qualora sia stata esercitata tale facoltà lo Stato membro «può adottare le misure necessarie a prevenire l’elusione o l’evasione fiscale».
Il Legislatore domestico ha regolamentato in ben 11 articoli (art. 70 bis – art. 70 duodecies,  D.P.R. 633/1972) la disciplina del gruppo Iva.
Presupposti per la costituzione del gruppo Iva
Requisiti soggettivi
L’art. 70 bis, co. 1, D.P.R. 633/1972 dispone che il gruppo Iva possa essere costituito (esclusivamente) da soggetti passivi di imposta esercenti attività di impresa o di arti e professioni, stabiliti nel territorio dello Stato, per i quali sussistano congiuntamente determinati vincoli di natura finanziaria, economica ed organizzativa.(1)
Il successivo art. 70 quater, D.P.R. 633/1972, peraltro, stabilisce che, per quanto la costituzione del gruppo Iva sia opzionale, una volta esercitata l’opzione essa vincola tutti i soggetti passivi rispetto ai quali sussistano congiuntamente i predetti vincoli.
Dal combinato disposto delle due norme consegue che il Legislatore ha inteso adottare la regola dell’all in all out secondo cui l’esercizio dell’opzione obbliga tutti i soggetti passivi, per i quali sussistano i predetti vincoli, a partecipare necessariamente alla disciplina Iva di gruppo: in linea di principio, quindi, i gruppi societari che ritengano opportuno costituire un gruppo Iva hanno l’obbligo di far optare in tal senso tutti i soggetti passivi tra i quali ricorrano i tre vincoli. In altre parole, i soggetti passivi tra cui sussistono i tre vincoli hanno un’alternativa secca: possono scegliere se partecipare tutti a un gruppo Iva ovvero se non costituire affatto un gruppo Iva.
La partecipazione al gruppo Iva, in ogni caso, è esclusa dall’art. 70 bis, co. 2, D.P.R. 633/1972 per:
1) le sedi e le stabili organizzazioni all’estero di società italiane;
2) i soggetti la cui azienda sia sottoposta a sequestro giudiziario ex art. 670, c.p.c.(2);
3) i soggetti sottoposti a procedura concorsuale;
4) i soggetti posti in liquidazione ordinaria.
Qualche perplessità è stata avanzata quanto all’esclusione dal gruppo Iva delle sedi e stabili organizzazioni all’estero di società italiane. Tale esclusione, infatti, comporta che se un operatore parte di un gruppo Iva in Italia si avvale di una stabile organizzazione all’estero, tale stabile organizzazione resta esclusa dal gruppo Iva cui fa parte la casa madre; per l’effetto, le prestazioni tra casa madre e stabile organizzazione non sono considerate come effettuate nell’ambito del gruppo Iva e non possono avvalersi della relativa esclusione dall’applicazione dell’imposta che, viceversa, opera per i soggetti passivi che fanno parte del medesimo gruppo Iva (come si dirà infra): tali operazioni restano, pertanto, assoggettate ad imposta.
Requisiti oggettivi
Il Legislatore domestico ha previsto che il gruppo Iva possa sussistere tra soggetti passivi per i quali ricorrono congiuntamente «vincoli» di natura finanziaria, economica ed organizzativa: i tre vincoli rappresentano requisiti cumulativi e l’assenza (anche) soltanto di uno dei tre preclude la possibilità di costituire il gruppo Iva. L’art. 11, par. 1, Direttiva 2006/112/CE, in realtà, non impone espressamente la contemporanea sussistenza di tali vincoli: tale requisito, però, è stato posto quale ulteriore condizione per l’attivabilità del regime nella Comunicazione del 2009 della Commissione europea.
Il contenuto dei tre vincoli non è specificato nella Direttiva 2006/112/CE ed il loro contorno è talmente vago che l’individuazione di una loro definizione da parte del Legislatore domestico avrebbe potuto lasciare margini di opinabilità(3): per tale ragione il Legislatore domestico ha definito nell’art. 70 ter, D.P.R. 633/1972 il vincolo finanziario ancorandolo a criteri obiettivi e gli ha attribuito una ben determinata «preminenza» introducendo una presunzione secondo cui la presenza del vincolo finanziario fa ritenere sussistenti anche gli altri due vincoli economico ed organizzativo (art. 70 ter, co. 4, D.P.R. 633/1972).
Il vincolo finanziario è definito con un parametro oggettivo determinato sulla base della nozione di controllo cd. di diritto, diretto o indiretto, di tipo assembleare di cui all’art. 2359, co. 1 n. 1), c.c.: il controllo deve sussistere fin dal 1° luglio dell’anno precedente a quello di esercizio dell’opzione.
Sulla base di tale definizione, pertanto, sussiste un vincolo finanziario quando:
  • tra i soggetti passivi esiste, direttamente o indirettamente, un rapporto di controllo;
  • i soggetti passivi sono controllati, direttamente o indirettamente, dal medesimo soggetto, purchè residente nel territorio dello Stato oppure in uno Stato appartenente all’Unione europea ovvero aderente all’Accordo sullo Spazio economico europeo ovvero con il quale comunque l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni(4).
Il vincolo economico, viceversa, sussiste laddove tra determinati soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato sussista almeno una delle forme di cooperazione economica identificate nello svolgimento:
  • di un’attività dello stesso genere;
  • di attività complementari o interdipendenti;
  • di attività che avvantaggiano pienamente o sostanzialmente uno o più di essi.
Da ultimo, il vincolo organizzativo sussiste quando tra gli organi decisionali di determinati soggetti ricorre un coordinamento, operato in via di diritto (ai sensi del capo nono del libro V, c.c.) o di fatto, ancorché svolto da un altro soggetto.
L’art. 70 ter, co. 4, D.P.R. 633/1972, come anticipato, definisce in che misura il vincolo finanziario assuma preminenza rispetto agli altri attraverso una presunzione di carattere relativo: se tra determinati soggetti passivi ricorre il vincolo finanziario, si presumono sussistenti fra gli stessi anche i vincoli economico ed organizzativo. La preminenza assegnata al vincolo finanziario, peraltro, come affermato nella Relazione governativa, deriva non soltanto dalla più agevole accertabilità dello stesso ma anche dalla circostanza che quando un soggetto è vincolato finanziariamente ad un altro, in via generale lo è anche dal punto di vista economico ed organizzativo.
È una presunzione relativa che è comunque superabile dal contribuente ove fornisca prova contraria; a tal fine occorre presentare preventivamene apposito interpello probatorio, ai sensi dell’art. 11, co. 1, lett. b), L. 27 luglio 2000, n. 212 : si tratta di un interpello finalizzato ad ottenere l’avallo dell’Agenzia delle Entrate circa l’esclusione dal perimetro del gruppo Iva di soggetti che, in linea di principio, dovrebbero esservi inclusi per la sussistenza del vincolo finanziario.
La presunzione, peraltro, opera soltanto a favore del contribuente nel senso che l’Agenzia delle Entrate in presenza del vincolo finanziario non può contestare la sussistenza degli altri due requisiti né fornire la prova della loro mancata ricorrenza: è solo il contribuente che, in presenza del vincolo finanziario, può provare l’assenza di uno degli (o di entrambi gli) altri vincoli.
Con un’ulteriore presunzione è stabilito che il vincolo economico si considera in ogni caso insussistente per i soggetti per i quali il vincolo finanziario ricorra in dipendenza di partecipazioni acquisite nell’ambito degli interventi finalizzati al recupero di crediti o derivanti dalla conversione in azioni di nuova emissione di crediti verso imprese in temporanea difficoltà finanziarie di cui all’art. 113, Tuir .
Tale presunzione ha, in sostanza, la finalità di mitigare la rigidità dell’all in all out principle ed escludere il vincolo economico rispetto a partecipazioni che sono state acquisite in modo occasionale o al di fuori di precise scelte imprenditoriali. I contribuenti, peraltro, qualora il vincolo economico venga ad esistenza in relazione a tali soggetti, ed abbiano interesse ad inserirli nel gruppo Iva, possono presentare all’Agenzia delle Entrate apposito interpello probatorio, ai sensi dell’art. 11, co. 1 lett. b), L. 212/2000: si tratta di un interpello avente una funzione diametralmente opposta all’interpello indicato in precedenza. Anche tale presunzione opera soltanto a favore del contribuente e, per l’effetto, l’Agenzia delle Entrate non può contestare la sussistenza del vincolo economico nei confronti di soggetti il cui vincolo finanziario sia stato acquisito tramite le menzionate procedure.
Esercizio dell’opzione
L’art. 70 quater, D.P.R. 633/1972 disciplina, come anticipato, il criterio dell’all in all out secondo cui, ove l’opzione sia esercitata, tutti i soggetti passivi tra cui ricorrono i tre vincoli indicati devono obbligatoriamente partecipare al gruppo Iva: l’opzione riveste pertanto carattere onnicomprensivo. La scelta del Legislatore, probabilmente dovuta alla preoccupazione di prevenire possibili utilizzi abusivi del nuovo istituto, rischia, però, di rappresentare un impedimento alla creazione di un gruppo Iva con specifico riferimento ai gruppi societari di più grandi dimensioni e formati da un elevato numero di società.
La rigidità di tale previsione è stata, peraltro, delimitata attenuando le conseguenze derivanti alla mancata inclusione nel gruppo Iva di soggetti passivi, invece, titolati a parteciparvi. Nell’ipotesi di mancato esercizio dell’opzione da parte di uno o più dei soggetti per cui ricorrano i tre vincoli è infatti previsto:
  • da un lato il recupero in capo al gruppo Iva dell’effettivo vantaggio fiscale conseguito;
  • dall’altro la cessazione del gruppo Iva ma soltanto dall’anno successivo rispetto a quello in cui è accertato il mancato esercizio dell’opzione e soltanto se tali soggetti non esercitino l’opzione.
In altre parole, l’avvio del gruppo Iva senza la presenza di tutti i soggetti che ne dovrebbero far parte non inficia ex tunc l’opzione a suo tempo esercitata: la mancata inclusione nel gruppo Iva di uno o più soggetti non travolge l’opzione ma rende possibile, in caso di contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, esclusivamente il recupero del vantaggio fiscale eventualmente conseguito; anche la cessazione del gruppo Iva è eventuale e ricorre soltanto ove i soggetti all’epoca non inclusi non esercitino l’opzione per partecipare al gruppo Iva(5).

Bonus pubblicità dal 2017

Come si preparano le imprese a usufruire del credito d’imposta per gli investimenti pubblicitari introdotto dal Dl 50/2017 ? Quali saranno i costi agevolabili? Solo quelli di pubblicazione su stampa quotidiana e/o di acquisto degli spazi televisivi oppure anche i costi di preparazione? Come si conteggerà l’incremento? Per massa oppure distinguendo tra i vari mezzi di comunicazione prescelti per gli investimenti pubblicitari?

Queste le principali domande che imprese e consulenti si pongono per dare concretezza alla norma contenuta nell’articolo 57-bis del Dl 50/2017, che non ha ancora avuto attuazione pratica a causa della mancanza del decreto attuativo (da pubblicare entro il 22 ottobre e ad oggi non ancora noto), e che già è oggetto di modifica tramite l’articolo 4 del Dl 148/2017 , in corso di conversione.

Con il comma 3-bis, il Dl 148/2017 ha infatti integrato la disciplina del credito d’imposta sugli investimenti pubblicitari, anticipandone in parte gli effetti, con estensione agli investimenti effettuati nel periodo dal 24 giugno 2017 e fino al 31 dicembre 2017, ma solo per la stampa quotidiana e periodica, anche online, escludendo quindi per tale periodo gli investimenti sulle emittenti televisive e radiofoniche locali, sia analogiche sia digitali. Il valore degli investimenti deve superare almeno dell’1% l’ammontare degli analoghi investimenti pubblicitari effettuati dai medesimi soggetti sugli stessi mezzi di informazione nel corrispondente periodo dell’anno 2016 (ossia dal 24 giugno 2016 al 31 dicembre 2016).

Soggetti interessati e coperture

Il credito è rivolto ad imprese e lavoratori autonomi e spetta nella misura:

  • del 75% del valore incrementale per imprese e lavoratori autonomi;
  • del 90% del valore incrementale per piccole e medie imprese, microimprese e startup innovative.

Per il 2017 e il 2018 il Dl 148/2017 fornisce già le coperture finanziarie del beneficio, al fine di dare un grado di certezza alle imprese che intendono pianificare gli investimenti in tali anni. Per gli anni seguenti il limite massimo di spesa sarà stabilito annualmente mediante decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

L’applicazione

Il credito di imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione, ai sensi del Dlgs 241/1997, previa istanza diretta al Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri.

Poiché l’articolo 57-bis del Dl 50/217 prevede che la concessione del credito d’imposta sia sottoposta agli «eventuali adempimenti europei», il decreto di attuazione dovrà anche chiarire la compatibilità dell’agevolazione con la normativa europea degli aiuti di Stato.

Da un punto di vista contabile, se i costi di pubblicità sono spesati nella voce B7 del conto economico, il credito d’imposta costituisce un contributo in conto esercizio spettante a norma di legge, da imputare nella voce A5. I costi possono ancora essere capitalizzati, se non ricorrenti ed aventi beneficio futuro (paragrafi 41-43 dell’Oic 24). In tale caso il contributo dovrà essere portato a loro riduzione.

Superammortamento, per gli incapienti bonus riportabile

L’incapienza del reddito dell’impresa rispetto a super e iper ammortamento non comporta la perdita del beneficio, ma solamente il suo rinvio temporale. Le società che risultano incapienti rispetto agli incentivi per gli investimenti genereranno una perdita fiscale che potrà essere riportata a nuovo e compensata con futuri redditi nei limiti temporali o quantitativi previsti, rispettivamente, per i soggetti Irpef e per le società di capitali.

Il meccanismo agevolativo per gli investimenti che il Ddl di bilancio 2018 proroga al prossimo anno comporta una maggiorazione del costo ai fini del calcolo degli ammortamenti e dei canoni di leasing deducibili: 40% per super-ammortamento, ridotto al 30% nel 2018, e 150% per iper-ammortamento, misura confermata anche il prossimo anno.

La deduzione di queste maggiorazioni (che si cumulano gli ammortamenti iscritti in bilancio e quantificati sul 100% del costo) avviene mediante una rettifica in diminuzione al reddito di impresa (Irpef o Ires) nella dichiarazione.

Le imprese che chiudono l’esercizio in perdita fiscale o con un reddito inferiore alla deduzione maggiorata, non riescono immediatamente a fruire della agevolazione la quale non genera un immediato risparmio fiscale. Il super-ammortamento (e ancor più l’iper-ammortamento) si traducono cioè in una maggior perdita fiscale che, per le imprese in contabilità ordinaria, può essere riportata a nuovo. In questo modo, l’incentivo non viene perso ma semplicemente rinviato sotto forma di perdita o di maggior perdita compensabile. L’effettiva fruizione del super-ammortamento per gli incapienti è dunque condizionata, quanto a tempi e importi, dai vincoli previsti per la compensazione delle perdite. Per le imprese Irpef (ditte individuali e società di persone) la perdita, compresa quella generata dal super o iper-ammortamento, può essere utilizzata entro il quinquennio successivo senza alcun limite di importo. Per le società di capitali, invece, manca un limite temporale, ma il recupero non può mai superare l’80% del reddito di ciascun esercizio. Senza limiti temporali o quantitativi, è invece la compensazione delle perdite prodotte nei primi tre esercizi di vita dell’impresa.

La situazione di incapienza, causata dalla carenza di utili rispetto agli investimenti realizzati, non può essere evitata neppure rallentando lo stanziamento delle quote di ammortamento, dato che la misura delle deduzioni si rapporta sempre alle quote massime calcolate secondo i coefficienti tabellari a prescindere dalle percentuali (eventualmente ridotte) impiegate in bilancio. Lo stesso per i leasing: la super deduzione si spalma sulla metà del periodo di ammortamento a prescindere dalla durata effettiva del contratto che può essere anche più lunga. Una via di uscita, per le imprese che operano nei gruppi, può invece trarsi dalla attivazione del consolidato fiscale. La quota di super ammortamento non assorbita (perdita fiscale) viene trasferita al gruppo e compensata immediatamente con redditi di altre società.

Sì definitivo alla legge europea: indennizzo per la garanzia sui rimborsi Iva

La Legge europea, approvata definitivamente ieri alla Camera, porta con sé una serie di novità fiscali sia in materia di Iva che di imposte dirette, novità introdotte per evitare l’applicazione di specifiche infrazioni da parte della Ue.

Rimborsi Iva

L’articolo 7 della Legge europea riconosce una somma a titolo di ristoro per i costi sostenuti da quanti sono tenuti a prestare una garanzia all’Erario in relazione alle richieste di rimborso Iva. Tale somma è fissata nella misura dello 0,15% dell’importo garantito per ogni anno di durata della garanzia. Ciò significa che tutti quei soggetti che non rientrano tra i cosiddetti “contribuenti virtuosi” e continuano a essere tenuti a prestare una garanzia a tutela delle somme erogate, non sono rimborsati integralmente delle spese sostenute per il rilascio della garanzia, ma piuttosto ricevono una somma forfettaria che copre solo parzialmente gli oneri sopportati dal contribuente. Inoltre, tale somma spetta solo dal momento in cui è stato definitivamente accertato il diritto al rimborso, il che avviene alla scadenza del termine per l’emissione dell’avviso di accertamento/rettifica, se questo non sia stato emesso.

La nuova disciplina di favore non produce effetti per il passato. Nello specifico, si prevede che le disposizioni si applichino a partire dal nuovo anno, ovvero dalle richieste di rimborso fatte con la dichiarazione Iva annuale per 2017 e con l’istanza infrannuale relativa al primo trimestre 2018.

Restituzione Iva non dovuta

La seconda modifica riguarda la presentazione della domanda di restituzione dell’Iva non dovuta. La stessa, in via ordinaria e a pena di decadenza, deve essere presentata nel termine di 2 anni dal versamento dell’imposta o dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.

Se da un lato tale termine permane, dall’altro, è ora disciplinata la possibilità del superamento dello stesso, qualora sia applicata un’Iva non dovuta a una cessione di beni/prestazione di servizi e ciò sia accertato in via definitiva dall’amministrazione finanziaria. In questi casi, i due anni per la presentazione della domanda di restituzione del cedente/prestatore decorrono dall’avvenuta restituzione al cessionario/committente dell’importo precedentemente pagato a titolo di rivalsa. La restituzione dell’imposta resta in ogni caso esclusa se il versamento sia avvenuto in un contesto di frode.

Iva esportazioni umanitarie

La terza novità introduce nel testo del Dpr 633/72 la disciplina circa la non imponibilità ai fini Iva delle cessioni di beni effettuate nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti della cooperazione allo sviluppo, destinati a essere trasportati o spediti fuori dal territorio Ue, in attuazione di scopi umanitari.

L’onere della prova dell’avvenuta esportazione è adempiuto dalla bolletta doganale e grava sul cedente, così come ricade su quest’ultimo la sanzione amministrativa nel caso in cui, in frode alla legge, il trasporto del beni fuori dal territorio Ue non avvenga entro il termine di 180 giorni. La sanzione, tuttavia, non si applica se nei 30 giorni successivi la fattura viene regolarizzata e l’Iva versata.

Agevolazioni fiscali marittime

La legge europea estende la portata di una serie di agevolazioni alle imprese marittime, attualmente limitate solo alle navi iscritte al registro internazionale italiano, anche alle navi iscritte nei registri di Paesi Ue o dello Spazio economico europeo. Si tratta in particolare: del credito d’imposta riconosciuto agli armatori in misura corrispondente all’imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta sulle retribuzioni corrisposte al personale di bordo imbarcato a valere ai fini del versamento delle ritenute alla fonte relative a tali redditi (credito d’imposta Irpef marittimi); della irrilevanza dell’80% dei redditi, derivanti dall’utilizzazione delle navi iscritte nel Registro internazionale, nonché del relativo valore della produzione Irap e del regime della Tonnage tax.

Per effetto della modifica tali regimi risultano quindi applicabili ai soggetti residenti e soggetti non residenti aventi stabile organizzazione nel territorio dello Stato con riferimento alle navi iscritte nei registri Ue o See, adibite «esclusivamente» ai traffici internazionali, ovvero, più propriamente, che rispettino le limitazioni ai viaggi di cabotaggio previste dall’articolo 1, comma 5, del Dl 30 dicembre 1997 n. 457, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1998, n. 30, espressamente richiamate dal provvedimento.

Split payment, sanatoria con doppio termine

L’incertezza normativa che ha caratterizzato dal 1° luglio scorso l’estensione dello split payment esclude che eventuali errori commessi dai fornitori possano essere sanzionati o modificati a condizione che l’imposta sia stata assolta, ancorchè in modo irregolare. Tale copertura opera in relazione ai comportamenti irregolari commessi fino a lunedì 6
novembre 2017, vale a dire fino al giorno precedente l’emanazione della circolare 27/E/2017 di ieri. Questo chiarimento è indicato proprio nel documento di prassi che
contiene tra l’altro una serie di precisazioni sia in relazione all’ambito soggettivo che all’ambito applicativo del particolare adempimento.

Il doppio termine

Tornando alla sanatoria si sottolinea che qualora dopo il 1° luglio 2017 ma entro il 6 novembre siano state emesse fatture in regime ordinario (invece che in regime di scissione dei pagamenti) nei confronti di soggetti inclusi negli elenchi pubblicati dal dipartimento delle Finanze , il fornitore non dovrà effettuare alcuna variazione. Allo stesso modo, non è sanzionabile il caso in cui il fornitore abbia emesso una fattura in scissione dei pagamenti nei confronti di un soggetto non incluso negli elenchi, prima, però, in questo caso, dell’emanazione degli elenchi definitivi, vale a dire entro il 31 ottobre 2017.

Il tutto fermo restando l’assolvimento sostanziale dell’Iva a favore dell’Erario da parte rispettivamente dell’emittente la fattura o del cessionario ancorché non realmente soggetto a split payment.

Se tali errori vengono commessi dopo le date indicate il fornitore dovrà procedere a regolarizzare il comportamento irregolare con l’emissione di una nota di variazione all’articolo 26 del Dpr 633/1972, con l’emissione corretta di un nuovo documento contabile. La circolare specifica che la regolarizzazione può avvenire anche attraverso l’emissione di un’unica nota di variazione che, facendo riferimento puntuale a tutte le fatture erroneamente emesse le integri, segnalando all’acquirente/committente il corretto trattamento da riservare all’imposta indicata in fattura.

Le note di variazione

A proposito delle note di variazione la circolare, richiamando e confermando la circolare 15/E/2015, ribadisce che in caso di emissione di una nota di variazione in aumento, anche facendo riferimento a una fattura emessa prima del 1° luglio 2017, torna sempre applicabile il meccanismo della scissione dei pagamenti e ragioni di semplificazione rendono utilizzabile la stessa modalità anche nel caso di note di variazione in diminuzione relative a fatture emesse, in regime ordinario, anteriormente al 1° luglio 2017. Inoltre, la circolare precisa che nel caso in cui il fornitore abbia emesso una nota di variazione in diminuzione la Pa e le società, soggetti allo split payment, che abbiano già eseguito il versamento diretto all’erario dell’Iva indicata nella fattura originaria, potranno scomputare il maggior versamento eseguito dai successivi versamenti da effettuare sempre in riferimento allo specifico adempimento.

La cessione in reverse charge

In materia di sanzioni una precisazione di particolare interesse riguarda la non sanzionabilità del fornitore nel caso in cui lo stesso abbia fatturato non correttamente una cessione di beni e una prestazioni di servizi soggetta a reverse charge, quando tale comportamento sia dovuto a una espressa comunicazione della Pa. In particolare, il problema si pone, nel caso in cui l’acquisto della Pa sia promiscuo, vale dire, in parte destinato all’attività commerciale, in parte all’attività istituzionale. In effetti, in caso di operazione soggetta a reverse charge – come sottolinea l’Agenzia – il fornitore sarebbe sempre obbligato ad acquisire dalla Pa una specifica informazione da cui possa desumere se la cessione del bene ovvero la prestazione di servizio è ricevuta nell’ambito istituzionale, commerciale o promiscuo.

730: DETRAZIONE SPESE PER RISTRUTTURAZIONE

La detrazione fiscale delle spese per interventi di ristrutturazione edilizia è disciplinata dall’art. 16 -bis del DPR 917/86 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi). Dal 1° gennaio 2012 l’agevolazione è stata resa permanente dal Decreto Legge n. 201/2011 e inserita tra gli oneri detraibili dall’IRPEF. La detrazione è pari al 36 % delle spese sostenute, fino ad un ammontare complessivo delle stesse non superiore a 48.000 euro per unità immobiliare. Il Decreto Legge n. 83/2012 ha elevato al 50 % la misura della detrazione e a 96.000 euro l’importo massimo di spesa ammessa al beneficio. Questi maggiori benefici sono poi stati prorogati più volte da provvedimenti successivi. La Legge di Stabilità 2016 (Legge n. 208 del 28 dicembre 2015) ha prorogato al 31 dicembre 2016 la possibilità di usufruire del beneficio in misura maggiore (50%), confermando il limite massimo di spesa di 96.000 euro per unità immobiliare. La detrazione viene ripartita in 10 rate annuali di pari importo.

Interventi agevolabili – Il beneficio spetta in relazione alle spese sostenute per i seguenti interventi di recupero del patrimonio edilizio:

  • interventi di manutenzione straordinaria sulle singole unità immobiliari residenziali di qualsiasi categoria catastale, anche rurali e sulle loro pertinenze;
  • interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria sulle parti comuni di edifici residenziali;
  • interventi di restauro e risanamento conservativo;
  • interventi necessari alla ricostruzione o al ripristino dell’immobile danneggiato a seguito di eventi calamitosi, a condizione che sia stato dichiarato lo stato di emergenza;
  • interventi finalizzati alla cablatura degli edifici, al contenimento dell’inquinamento acustico, all’adozione di misure di sicurezza statica e antisismica degli edifici, all’esecuzione di opere interne;
  • interventi relativi alla realizzazione di autorimesse o posti auto pertinenziali, anche a proprietà comune;
  • ulteriori interventi quali, ad esempio, quelli di bonifica dall’amianto o quelli finalizzati alla prevenzione di atti illeciti da parte di terzi o all’eliminazione delle barriere architettoniche, oppure interventi di esecuzione di opere volte ad evitare gli infortuni domestici.

Altri interventi – La detrazione spetta anche in relazione alle spese sostenute per gli interventi finalizzati al conseguimento di risparmi energetici, compresa l’installazione d’ impianti basati sull’impiego delle fonti rinnovabili di energia, tra i quali rientrano gli impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica. Può fruire della detrazione chi possiede o detiene l’immobile sul quale sono stati effettuati gli interventi di recupero edilizio sulla base di un titolo idoneo (ad esempio proprietà, altro diritto reale, concessione demaniale, locazione o comodato). Ha diritto alla detrazione anche il familiare convivente del possessore o detentore dell’immobile oggetto dell’intervento, purché abbia sostenuto le spese e le fatture e i bonifici siano a lui intestati. È ammessa la detrazione anche nei casi in cui le fatture e i bonifici non siano intestati al familiare convivente, purché la percentuale della spesa sostenuta dallo stesso sia indicata nella fattura (Circolare 11/E del 21 maggio 2014).

Ciascun contribuente ha diritto a detrarre annualmente la quota spettante nei limiti dell’IRPEF dovuta per l’anno in questione. Non è ammesso il rimborso di somme eccedenti l’imposta.
Documenti da conservare – Ai fini dell’ottenimento del beneficio è necessario che i pagamenti siano effettuati con bonifico bancario o postale dal quale devono risultare :

  • causale del versamento (per le spese sostenute dal 1° gennaio 2012 va indicato l’art. 16-bis del TUIR);
  • codice fiscale del soggetto che effettua il pagamento;
  • codice fiscale o numero di partita Iva del beneficiario del pagamento.

Il contribuente deve, inoltre, conservare ed esibire, a richiesta dell’Ufficio, i documenti individuati dal Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 2 novembre 2011quali ad esempio le fatture e le ricevute fiscali relative alle spese sostenute.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

 

 

730: ONLINE SPECIFICHE E ISTRUZIONI PER SOSTITUTI, CAF E PROFESSIONISTI

In data 15 febbraio l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato sul proprio sito il provvedimento con cui sono comunicate le specifiche tecniche per la trasmissione in via telematica all’Agenzia dei dati contenuti nei modelli di dichiarazione 730/2016, da parte dei sostituti d’imposta, dei Caf, dei professionisti e degli intermediari abilitati che hanno assunto tale incarico, nonché le specifiche tecniche per la trasmissione dei modelli 730-4/2016 e 730-4/2016 integrativo. Sono presenti tre allegati al provvedimento di cui sopra:

allegato A- Nell’allegato A sono riportati i tracciati per la trasmissione telematica all’Amministrazione finanziaria – da parte dei sostituti d’imposta, dei Caf e dei professionisti e intermediari abilitati – dei dati contenuti nelle dichiarazioni dei redditi 2015, e quelli per l’invio – da parte di Caf e professionisti abilitati – dei modelli 730-4 e 730-4 integrativo, con i risultati contabili; Le modifiche normative apportate al D.M. n. 164 del 1999, prevedono che i soggetti che prestano l’assistenza fiscale trasmettano i risultati finali delle dichiarazioni relative al mod. 730 (mod. 730-4) non più direttamente ai sostituti d’imposta ma all’Agenzia delle Entrate la quale provvederà successivamente ad inviarli telematicamente al sostituto d’imposta. Pertanto, in sede di trasmissione telematica delle dichiarazioni relative al modello 730/2016, qualora l’assistenza fiscale sia prestata da un CAF, da un professionista abilitato o da una associazione i dati relativi al suddetto mod. 730-4 dovranno essere allegati ai dati della dichiarazione mod. 730/2016 da trasmettere in via telematica. In sede di accoglimento delle dichiarazioni trasmesse in via telematica, costituisce oggetto di controllo sia la presenza dei dati relativi al mod. 730-4 che la coerenza dei dati contenuti nel mod. 730-4 con quelli presenti nel modello 730/2016. Eventuali anomalie riscontrate determinano lo scarto della dichiarazione. Ai sostituti d’imposta i dati relativi al mod. 730-4 saranno resi disponibili presso la sede telematica comunicata con l’apposito modello di comunicazione trasmesso all’Agenzia delle Entrate; Nel caso in cui dalla liquidazione della dichiarazione (mod. 730 ordinario ovvero mod. 730 integrativo), risulti che non ci sia alcun importo da trattenere o da rimborsare a cura del sostituto d’imposta, i dati relativi al mod. 730-4 non devono essere riportati nel tracciato telematico della dichiarazione 730 2016 e deve essere impostato ad “1” l’apposito campo (Flag Assenza Dati730-4) previsto nelle presenti specifiche tecniche del modello 730/2016. La non corretta impostazione della suddetta casella determina lo scarto della dichiarazione 730/2016.

allegato B – Nell’allegato B sono riportate le istruzioni tecniche per la trasmissione telematica dei modelli 730-4 e 730-4 integrativo, da parte di Caf e professionisti abilitati che comunicano i dati all’Inps, in qualità di sostituto d’imposta, mediante supporti informatici.

allegato C – In tale allegato sono invece illustrate le istruzioni per lo svolgimento degli adempimenti previsti per l’assistenza fiscale da parte di sostituti d’imposta, professionisti abilitati e Caf.

Le specifiche tecniche per la trasmissione dei dati relativi alla scelta dell’otto, del cinque e del due per mille dell’Irpef da parte dei CAF e dei professionisti abilitati saranno approvate con successivo provvedimento.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

AGEVOLAZIONE PRIMA CASA: TRASFERIMENTO DI RESIDENZA CON TEMPI LUNGHI

Con la Legge di Stabilità 2016, e più di preciso con il co. 55, il Legislatore ha ampliato la possibilità di fruire dell’agevolazione prima casa, prevedendo che si possa ottenere l’aliquota ridotta anche nel caso in cui l’acquirente detenga un immobile acquisto con l’agevolazione prima casa a patto che si provveda alla sua cessione entro un anno dalla data di stipula dell’atto con il quale viene acquistato il “nuovo” immobile.

L’intento del Legislatore, come si evince dalla Relazione tecnica alla Legge di Stabilità 2016, è quello di rendere più elastica la fruizione dell’agevolazione in parola senza determinare variazioni nel numero dei soggetti beneficiari, tenendo evidentemente conto delle attuali esigenze del mercato immobiliare e dei conseguenti tempi e modi della contrattazione, considerato che spesso il contribuente, intenzionato ad alienare la propria “prima casa” per acquistarne un’altra, può trovarsi nella difficoltà di riuscire a concludere la vendita prima del nuovo acquisto.

Nel formulare l’agevolazione “ampliata” il Legislatore ha introdotto il nuovo punto 4-bis, della nota II bis, dell’art. 1, della parte prima della Tariffa allegata al D.P.R.131/1986, la quale prevede che:

  • 4-bis. L’aliquota del 2 per cento si applica anche agli atti di acquisto per i quali l’acquirente non soddisfa il requisito di cui alla lettera c) del comma 1 e per i quali i requisiti di cui alle lettere a) e b) del medesimo comma si verificano senza tener conto dell’immobile acquistato con le agevolazioni elencate nella lettera c), a condizione che quest’ultimo immobile sia alienato entro un anno dalla data dell’atto. In mancanza di detta alienazione, all’atto di cui al periodo precedente si applica quanto previsto dal comma 4”.

Per comprendere appieno la nuova formulazione normativa, pare necessario indicare i requisiti necessari per fruire dell’agevolazione prima casa, dettati dalla nota II-bis) all’articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. 131/1986:

  1. immobile ubicato nelterritoriodelcomuneincui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquistolapropria residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirentesvolgelapropria attività ovvero, se trasferito all’estero per ragioni di lavoro, inquello in cui ha sede o esercita l’attività il soggetto da cui dipende ovvero, nel caso in cui l’acquirente sia cittadino italianoemigratoall’estero,che l’immobile sia acquisito come prima casa sul territorioitaliano.La dichiarazione di voler stabilire la residenza nel comune ove è ubicato l’immobile acquistatodeveessereresa,apenadidecadenza, dall’acquirente nell’atto di acquisto;
  2. nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare;
  3. nell’atto di acquisto l’acquirente dichiara di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni prima casa;
  4. l’agevolazione è subordinata al fatto che la casa acquistata con il beneficio fiscale non sia ceduta per almeno un quinquennio oppure che, se ceduta prima del decorso del quinquennio, entro un anno sia acquista altra prima casa.

La condizione per l’applicazione dell’aliquota del 2 per cento è che il precedente immobile acquistato con le agevolazioni di cui alla lettera c) venga alienato entro un anno dal nuovo acquisto.

In merito al requisito di cui alla lettera a), va evidenziato che la nuova formulazione normativa prevede che il requisito stesso va verificato “senza tener conto dell’immobile acquistato con le agevolazioni elencate nella lettera c).

Secondo il Consiglio Nazionale del Notariato (Studio n. 5-2016/T) il suddetto inciso potrebbe essere inteso quale mera precisazione che, quanto alla residenza dell’acquirente, rilevi quella riferibile al Comune in cui è ubicato il nuovo immobile, con obbligo pertanto di trasferirvi la stessa anche laddove il precedente immobile agevolato fosse situato in un altro Comune.

A parere di chi scrive, la precisazione del Legislatore potrebbe indicare che non rileva la residenza detenuta nel Comune in cui è ubicato l’immobile preposseduto acquistato con le agevolazione prima casa. In sostanza, se si ha la residenza in un Comune diverso da quello nel quale è effettuato l’acquisto del nuovo immobile e dove è ubicato l’immobile preposseduto con le agevolazioni prima casa, non è necessario effettuare il trasferimento di residenza nel perentorio termine di 18 mesi dall’acquisto del nuovo immobile.

Tenuto conto però che l’immobile preposseduto va ceduto entro 12 mesi dall’acquisto del nuovo immobile, da questa data decorreranno i 18 mesi per effettuare il trasferimento di residenza.

In merito al requisito di cui alla lettera b), si evidenzia che nell’atto di acquisto l’acquirente deve dichiarare di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del Comune in cui è situato l’immobile da acquistare, salva l’ipotesi in cui si tratti dell’abitazione già acquistata con le agevolazioni “prima casa” di cui alla lett. c), che si intende alienare entro l’anno successivo.

In sostanza, l’agevolazione prima casa viene concessa anche se si acquista il “nuovo” immobile nel Comune ove è ubicato l’immobile preposseduto acquistato con l’agevolazione prima casa. Diversamente, qualora l’immobile preposseduto sia stato acquistato senza agevolazioni prima casa, se si acquista il “nuovo” immobile nel Comune ove è ubicato l’immobile preposseduto non si potrà fruire dell’agevolazione.

Altra questione poco chiara è l’applicabilità della nuova previsione normativa ai fini IVA.

Nell’ipotesi in cui l’acquisto di una nuova abitazione da parte di un contribuente ancora titolare di un altro immobile acquistato usufruendo delle agevolazioni “prima casa” di cui alla lettera c) della nota II-bis, sia imponibile agli effetti dell’iva, è da valutare se, in presenza degli altri requisiti e condizioni di cui alla nota II-bis, sia applicabile l’aliquota iva del 4%.

Il n. 21 tabella, parte II, allegata al D.P.R. n. 633/1972 dispone l’applicazione dell’aliquota nella misura del 4% alle cessioni «case di abitazione ad eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9, ancorché non ultimate, purché permanga l’originaria destinazione, in presenza delle condizioni di cui alla nota II-bis) all’articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131. In caso di dichiarazione mendace nell’atto di acquisto, ovvero di rivendita nel quinquennio dalla data dell’atto, si applicano le disposizioni indicate nella predetta nota».

Il rinvio alle condizioni di cui alla nota II-bis dovrebbe essere idoneo a ricomprendere anche l’acquisto per il quale la condizione di cui alla lettera c) non sussista al momento della cessione, purché entro l’anno l’immobile preposseduto venga alienato, secondo quanto disposto dal comma 4-bis della nota II-bis.

In sostanza, l’ampliamento dell’agevolazione dovrebbe trovare applicazione anche ai fini IVA.

AUTORE: GIOACCHINO DE PASQUALE

 

Affitti nuove regole per la registrazione contratti

L’articolo 1, comma 59, della Legge 28 dicembre 2015 n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (Legge di Stabilità 2016), entrato in vigore il 1° gennaio 2016, ha sostituito l’articolo 13 della Legge 9 dicembre 1998 n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili ad uso abitativo).

Il nuovo articolo 13 della Legge 431/1998, prevede per il locatore l’obbligo di registrare il contratto di locazione entro 30 giorni, a pena di nullità.

Il locatore deve, poi, dare “documentata comunicazione” della citata  registrazione,  nei  successivi  60  giorni, sia al conduttore che all’amministratore del condominio, anche ai fini degli obblighi di tenuta dell’anagrafe condominiale, prevista dall’articolo 1130, numero 6), Codice    civile.

 

Registrazione contratti di locazione

I contratti di locazione e di affitto di beni immobili (qualunque sia l’ammontare del canone pattuito) sono soggetti a registrazione secondo quanto disposto dal D.P.R. n. 131/1986, con modalità:

·telematica (modalità obbligatoria per gli agenti immobiliari e i possessori di almeno 10 immobili) direttamente o tramite un intermediario abilitato;

·“cartacea”, presso gli uffici dell’Agenzia delle Entrate.

L’unica eccezione a tale regola è rappresentata dai contratti di locazione di durata inferiore a 30 giorni nel corso dell’anno (tipicamente contratti turistici), per i quali non c’è obbligo di  registrazione.

 

 

 

 

 

 

Legge di Stabilità

2016

Fino al 2015, inoltre, la registrazione poteva essere effettuata, oltre che dal proprietario dell’immobile e dal mediatore del contratto, anche dall’inquilino stesso.

La Legge di Stabilità 2016 propone, sotto il profilo giuridico,  la  riscrittura  dell’art. 13 della Legge 9 dicembre 1998, n. 431, che contiene la disciplina dettata per le locazioni  abitative

In particolare la Legge di Stabilità 2016, dal 2016 prevede che:

· la registrazione del contratto di locazione deve essere effettuata dal locatore entro il termine perentorio di 30 giorni;

·  il locatore deve dare “documentata comunicazione” della citata registrazione, nei successivi 60 giorni, sia al conduttore che all’amministratore del condominio, anche ai fini  degli  obblighi  di tenuta dell’anagrafe condominiale, prevista dall’articolo 1130, numero 6),  Codice civile.

Si noti che dalla lettura del disposto normativo sembrerebbe che il conduttore non possa più provvedere anche se “parte interessata” alla registrazione del contratto di locazione.

Nullità del contratto

Il “nuovo” art. 13 dispone, inoltre, i seguenti principi:

·         sono da considerarsi nulli i patti tra locatore e conduttore  che prevedano un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato; in caso di nullità  il conduttore può, entro 6 mesi dalla riconsegna dell’immobile locato, chiedere la restituzione delle somme versate in misura superiore al canone risultante dal contratto scritto e  registrato;

·         sono altresì nulli i patti volti a derogare ai limiti di durata del contratto stabiliti  dalla legge.

Per quanto attiene alla nullità dei patti di contenuto contrario a norme imperative, pare non vi sia nulla di nuovo rispetto al testo precedentemente in vigore: si tratta, invero, di un principio che il Legislatore ha “cristallizzato” nella riforma del 1998, ma che trae le proprie origini nella normativa sull’equo  canone.

Già nella versione dell’art. 13 della Legge n. 431/1998 vigente fino al 31 dicembre 2015, infatti, si ritenevano nulli:

·         qualsiasi patto o clausola attraverso i quali veniva determinato un canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto, scritto    e registrato;

  • i patti o le clausole contenenti una deroga ai limiti di durata del contratto stabiliti  dall’art.  2  della  medesima  Legge  431/1998;
  • relativamente ai contratti rientranti nel canale “assistito” o “concordato”, i patti e le clausole con le quali viene attribuito al locatore un canone superiore a quello massimo previsto dagli accordi stabiliti in sede locale, per gli immobili aventi le stesse caratteristiche ed appartenenti alle medesime tipologie;

per i contratti rientranti nel canale “libero”, qualsiasi obbligo del conduttore ed ogni clausola o altro vantaggio, sia economico sia normativo, finalizzati ad attribuire al locatore un canone superiore a quello stabilito a livello contrattuale. Al riguardo, si pensi, ad esempio, alle clausole che impongono a carico del conduttore l’obbligo di sopportare gli oneri di manutenzione straordinaria   dell’immobile.

Azioni da parte del conduttore

La norma entrata in  vigore  il 1°  gennaio 2016 prevede  – come  anticipato –  che in caso di nullità dei patti diretti ad aumentare la misura  del  canone  rispetto a quella indicata nel contratto, il conduttore possa, entro 6 mesi dalla riconsegna dell’immobile locato, chiedere la restituzione delle somme versate in misura superiore. Anche sotto questo profilo, peraltro, non si ravvisano novità rispetto al regime  previgente.

Ne consegue che il giudice adito, accertata l’esistenza di un contratto di locazione, determinerà l’ammontare del canone dovuto, che non potrà mai superare quello definito ai sensi dell’art. 2, comma 3, della Legge n. 431/1998 oppure – qualora il conduttore abiti stabilmente l’immobile per motivi di    studio

– la misura fissata secondo le modalità di cui all’art. 5, commi 2 e 3, della medesima   Legge.

La precedente formulazione del comma 6 dell’art. 13 della Legge n. 431/1998 ammetteva la possibilità per il conduttore di chiedere al giudice  che  la  locazione venisse ricondotta entro i  limiti  previsti  dalla  legge  anche  nell’ipotesi in cui il locatore “ha preteso l’instaurazione di un rapporto di locazione di fatto”: tale possibilità, ora, è prevista indistintamente per  le  ipotesi in cui il locatore “non abbia provveduto alla prescritta registrazione del contratto” entro il prescritto termine di 30 giorni.

Canone dovuto

in caso di mancata registrazione

Come noto, il D.Lgs. n. 23/2011, all’articolo 3, commi 8 e 9 aveva introdotto  un particolare regime sanzionatorio applicabile ai contratti di locazione degli immobili ad uso  abitativo:

8. Ai contratti di locazione degli immobili ad uso abitativo,  comunque stipulati, che, ricorrendone i presupposti, non sono registrati entro il termine stabilito dalla legge, si applica la seguente disciplina:

  1. la durata della locazione è stabilita in quattro anni a decorrere dalla data della registrazione, volontaria o d’ufficio;
  2. al rinnovo si applica la disciplina di cui all’articolo 2, comma 1, della citata legge 431 del 1998;
  3. a decorrere dalla registrazione il canone annuo di locazione è fissato in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l’adeguamento, dal secondo anno, in base al 75 per cento dell’aumento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed

Se il contratto prevede un canone inferiore, si applica comunque il canone stabilito dalle parti. 9. Le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 346, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, ed al comma 8 del presente articolo si applicano anche ai casi in cui:

  1. nel contratto di locazione registrato sia stato indicato un importo inferiore a quello effettivo;
  2. sia stato registrato un contratto di comodato fittizio”.

In pratica, era previsto che nel caso in cui fosse stata accertata l’omessa registrazione del contratto di locazione di un immobile ad uso abitativo, a decorrere dalla data di registrazione dello stesso, volontaria o d’ufficio:

  • la durata della locazione era stabilita in quattro anni;
  • per il rinnovo del contratto si applicava quanto disposto dall’art. 2, comma 1, Legge n. 431/1998 (rinnovo automatico per altri quattro anni in mancanza di espressa rinuncia entro 6 mesi dalla scadenza, ecc.);
  • il canone annuo era stabilito in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l’adeguamento, dal secondo anno, in base al 75% dell’aumento dell’indice ISTAT (salvo che il canone stabilito dal contratto fosse addirittura  inferiore).

La Corte Costituzionale, con Sentenza 14 marzo 2014, n. 50, accogliendo le richieste formulate da alcuni Tribunali, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del regime sanzionatorio sopra citato. Successivamente, tuttavia:

  • l’art. 5, comma 1-ter, L. n. 47/2014, ha disposto che le previsioni di cui all’art. 3, commi 8 e 9, D.Lgs. n. 23/2011 sono “fatte salve” fino al 31 dicembre 2015;
  • con Sentenza 16 luglio 2015, n. 169, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima anche tale disposizione, in quanto è fatto divieto al Legislatore di emanare un nuovo atto diretto soltanto a prolungare nel tempo, anche in via indiretta, l’efficacia di norme già dichiarate illegittime.

A seguito della conferma dell’illegittimità costituzionale del citato regime sanzionatorio, da più parti era stato evidenziato come i proprietari “denunciati” ora avessero la possibilità di richiedere agli inquilini il pagamento dei canoni dovuti dal 7 aprile 2011 in misura superiore a quella che era stata disposta  normativamente.

Per evitare l’insorgere di dette problematiche, la Legge di Stabilità 2016 interviene nuovamente sulla questione in esame stabilendo l’ammontare del canone dovuto dai conduttori in applicazione del regime sanzionatorio di cui all’articolo 3, commi 8 e 9, D.Lgs. n.   23/2011.

In particolare, è espressamente previsto che i conduttori che hanno versato, nel periodo compreso tra:

  • il 7 aprile 2011  (data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 23/2011);

ed:

  • il 16 luglio 2015 (data del deposito della Sentenza 119/2015);

il canone annuo di locazione nella misura rideterminata normativamente (triplo della rendita catastale con adeguamento, dal secondo anno, in base al 75% dell’indice ISTAT), sono tenuti a corrispondere il citato canone (o l’indennità di occupazione maturata, su  base  annua)  con  riferimento  al periodo considerato, nella misura del triplo della rendita  catastale  dell’immobile.

REGIME FORFETTARIO E RETTIFICA DELLA DETRAZIONE IVA

Con il passaggio dal regime IVA ordinario al regime forfettario, scatta la rettifica della detrazione IVA di cui all’art. 19 bis-2 DPR 633/72.
In particolare, il comma 3 della norma succitata così recita:
“Se mutamenti nel regime fiscale delle operazioni attive, nel regime di detrazione dell’imposta sugli acquisti o nell’attività comportano la detrazione dell’imposta in misura diversa da quella già operata, la rettifica è eseguita limitatamente ai beni e ai servizi non ancora ceduti o non ancora utilizzati e, per i beni ammortizzabili, è eseguita se non sono trascorsi quattro anni da quello della loro entrata in funzione.”
Dunque, il passaggio dal regime iva ordinario al regime forfettario, comporta la rettifica dell’iva già detratta sui “beni e servizi” non ancora “ceduti” e/o “utilizzati” e sui “beni ammortizzabili”.
La rettifica dell’IVA inizialmente detratta va operata considerando che:

  • le disposizioni di cui all’art. 19 bis-2 DPR 633/72, relative ai beni ammortizzabili, devono intendersi riferite anche ai beni immateriali di cui all’articolo 68 del TUIR;
  • per i beni ammortizzabili materiali ed immateriali la rettifica va eseguita solo se non sono ancora trascorsi cinque anni dalla loro entrata in funzione. Limitatamente alla norma in esame non si considerano ammortizzabili i beni di costo unitario non superiore a 516,46 €, ne’ quelli il cui coefficiente di ammortamento stabilito ai fini delle imposte sul reddito è superiore al 25%;
  • agli effetti del presente articolo i fabbricati o porzioni di fabbricati sono comunque considerati beni ammortizzabili ed il periodo di rettifica è stabilito in dieci anni, decorrenti da quello di acquisto o di ultimazione;
  • fra i beni non ancora ceduti o non ancora utilizzati rientra certamente il valore delle rimanenze finali ed i contratti di leasing in essere. Riguardo al valore delle rimanenze finali, l’IVA va rettificata integralmente, mentre nel caso dei contratti di leasing, la rettifica dell’iva, originariamente assolta con il maxi canone iniziale, va effettuata proporzionalmente al tempo che residua alla conclusione del contratto;

Le rettifiche delle detrazioni iva andranno effettuate nella Dichiarazione annuale IVA relativa all’anno in cui si verificano gli eventi che le determinano, sulla base delle risultanze delle scritture contabili obbligatorie.
Pertanto, l’ex contribuente ordinario nell’ultima Dichiarazione Iva, che nel nostro caso corrisponderà alla Dichiarazione Iva 2016 per l’anno 2015, al rigo VA14 dovrà barrare la casella 1, al fine di indicare che trattasi dell’ultimo anno (il 2015) in cui verranno applicate le regole ordinarie in materia di iva.
Sulla scorta dell’art. 19 bis-2 DP.R. 633/72 dovrà quindi procedere alla rettifica della detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti, riportando nel rigo VF56 il valore complessivo delle rettifiche iva operate.
L’IVA eventualmente da versare corrisponderà:

  • al 100% dell’IVA detratta per le rimanenze finali e i servizi non ancora utilizzati;
  • ai quinti residui per i beni strumentali;
  • ai decimi rimanenti per i beni immobili.

L’IVA dovuta a seguito della rettifica confluirà all’interno della dichiarazione IVA e concorrerà alla determinazione dell’importo a debito/credito risultante dalla dichiarazione annuale.
Relativamente all’IVA dovuta a seguito di rettifica della detrazione a sfavore, a differenza del regime dei minimi, l’imposta non dovrà essere più versata autonomamente: l’importo indicato al rigo VF56 confluirà infatti nel rigo VL, all’interno dell’imposta complessiva a debito o a credito, e l’eventuale debito dovrà essere versato in un’unica soluzione con il codice tributo 6099 anno di riferimento 2015.
L’eventuale credito iva, che emergerà dall’ultimo anno in cui l’iva è applicata nei modi ordinari, potrà essere chiesto a rimborso oppure compensato con il modello F24.
La rettifica alla detrazione iva vale anche in senso opposto, ossia nel caso di passaggio dal regime forfettario al regime ordinario (per opzione o per obbligo). In tal caso l’iva non detratta diviene detraibile. Quindi i contribuenti non più forfettari devono determinare l’Iva assolta sulle merci in rimanenza, sui beni strumentali di importo superiore a 516,46 euro o con percentuale di ammortamento inferiori al 25% e sui servizi non utilizzati.
Infine, con il passaggio dal regime iva ordinario al regime forfettario, può esserci il caso dell’esigibilità differita dell’iva o dell’iva in sospensione per via dell’adozione da parte del contribuente del meccanismo della liquidazione dell’iva “per cassa”. Anche in tal caso va data notizia nella prima Dichiarazione Iva Annuale utile e potrebbe emergere un debito che andrà versato con le modalità su esposte.

AUTORE: MASSIMILIANO BELLINI

INTERVENTI DI EFFICIENTAMENTO ENERGETICO: DETRAZIONE DELLE SPESE

L’agevolazione è confermata anche per il 2016

L’art. 14 del D.L. 14 giugno 2013 n° 63, ai fini di un miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici esistenti, ha previsto una detrazione del 65% delle spese sostenute con riferimento a :
  • miglioramento termico dell’edificio (coibentazioni – pavimenti – finestre, comprensive di infissi);
  • installazione di pannelli solari;
  • sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale.

Dal 1 gennaio 2017 il beneficio sarà del 36%, cioè quello ordinariamente previsto per i lavori di ristrutturazione edilizia.
Soggetti beneficiari– Rientrano tra i soggetti che possono richiedere l’agevolazione: le persone fisiche, comprese gli esercenti arti e professioni; i contribuenti che conseguono reddito d’impresa; le associazioni tra professionisti; gli enti pubblici e privati che non svolgono attività commerciale purché siano soggetti al pagamento dell’Ires (dunque non i Comuni ad esempio). Possono fruire dell’agevolazione anche i titolari di un diritto reale sull’immobile; i condomini, per gli interventi sulle parti comuni condominiali; gli inquilini; i familiari del possessore. Dal 1° gennaio 2016 sono ammessi anche gli Istituti autonomi per le case popolari.
Immobili interessati – Gli interventi devono essere eseguiti su unità immobiliari e su edifici (o su parti di edifici) esistenti, di qualunque categoria catastale, anche se rurali, compresi quelli strumentali (per l’attività d’impresa o professionale). Non sono agevolabili, quindi, le spese effettuate in corso di costruzione.
La Legge di stabilità 2016 al comma 74 ( Legge n° 208 del 28 dicembre 2015) ha confermato la detrazione anche per il 2016 e al comma 88 ammette all’agevolazione anche le spese per l’acquisto, l’installazione e la messa in opera di dispositivi multimediali per il controllo da remoto degli impianti di riscaldamento o produzione di acqua calda o di climatizzazione delle unita’ abitative, volti ad aumentare la consapevolezza dei consumi energetici da parte degli utenti e a garantire un funzionamento efficiente degli impianti. Questi dispositivi devono mostrare attraverso canali multimediali i consumi energetici, mediante la fornitura periodica dei dati, le condizioni di funzionamento correnti e la temperatura di regolazione degli impianti e consentire l’accensione, lo spegnimento e la programmazione settimanale degli impianti da remoto.
In particolare le spese agevolabili fanno riferimento a :

  • interventi di riqualificazione energetica di edifici esistenti, che ottengono un valore limite di fabbisogno di energia primaria annuo per la climatizzazione invernale inferiore di almeno il 20% rispetto ai valori riportati in un’apposita tabella (i parametri cui far riferimento sono quelli definiti con decreto del ministro dello Sviluppo economico dell’11 marzo 2008, così come modificato dal decreto 26 gennaio 2010). Il valore massimo della detrazione è pari a 100.000 euro
  • interventi su edifici esistenti, parti di edifici esistenti o unità immobiliari, riguardanti strutture opache verticali, strutture opache orizzontali (coperture e pavimenti), finestre comprensive di infissi, fino a un valore massimo della detrazione di 60.000 euro. La condizione per fruire dell’agevolazione è che siano rispettati i requisiti di trasmittanza termica U, espressa in W/m2K, in un’apposita tabella (i valori di trasmittanza, validi dal 2008, sono stati definiti con il decreto del ministro dello Sviluppo economico dell’11 marzo 2008, così come modificato dal decreto 26 gennaio 2010). In questo gruppo rientra anche la sostituzione dei portoni d’ingresso, a condizione che si tratti di serramenti che delimitano l’involucro riscaldato dell’edificio verso l’esterno o verso locali non riscaldati e risultino rispettati gli indici di trasmittanza termica richiesti per la sostituzione delle finestre
  • l’installazione di pannelli solari per la produzione di acqua calda per usi domestici o industriali e per la copertura del fabbisogno di acqua calda in piscine, strutture sportive, case di ricovero e cura, istituti scolastici e università. Il valore massimo della detrazione è di 60.000 euro
  • interventi di sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di caldaie a condensazione e contestuale messa a punto del sistema di distribuzione. La detrazione spetta fino a un valore massimo di 30.000 euro;
  • sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con pompe di calore ad alta efficienza e con impianti geotermici a bassa entalpia, con un limite massimo della detrazione pari a 30.000 euro;
  • interventi di sostituzione di scaldacqua tradizionali con scaldacqua a pompa di calore dedicati alla produzione di acqua calda sanitaria, con un limite massimo della detrazione pari a 30.000 euro.
  • Non è agevolabile, invece, l’installazione di sistemi di climatizzazione invernale in edifici che ne erano sprovvisti.

La detrazione del 65% si applica anche alle spese documentate e rimaste a carico del contribuente:

  • per interventi relativi a parti comuni degli edifici condominiali o che interessino tutte le unità immobiliari di cui si compone il singolo condominio, sostenute dal 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2016;
  • per l’acquisto e la posa in opera delle schermature solari di cui all’allegato M al Dlgs 311/2006, sostenute dal 1 gennaio al 31 dicembre 2016, fino a un valore massimo della detrazione di 60.000 euro;
  • per l’acquisto e la posa in opera di impianti di climatizzazione invernale dotati di generatori di calore alimentati da biomasse combustibili, sostenute dal 1 gennaio 2015 al 31 dicembre 2016, fino a un valore massimo della detrazione di 30.000 euro.

Altra novità prevista dalla Legge 208 del 28 dicembre 2015 (Legge di stabilità 2016) è la possibilità per gli interventi su parti comuni dei condomini di cedere l’ecobonus alle aziende che fanno i lavori in cambio di uno sconto. In questo modo si permette anche agli inquilini incapienti di sfruttare le detrazioni. Le modalità operative della cessione dovranno essere chiarite dall’Agenzia delle Entrate, con un provvedimento da emanarsi entro il 1° marzo 2016, probabilmente il credito si potrà cedere non solo alle imprese ma anche ai professionisti tecnici.
La detrazione deve essere ripartita in dieci rate annuali di pari importo, non è cumulabile – per i medesimi interventi con la detrazione del 50% per le ristrutturazioni o con altri incentivi come il conto termico (cui hanno diritto, in alternativa alla detrazione, pannelli solari termici e pompe di calore).

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

TELEFISCO 2016: QUADRO RW E IVAFE

Nel corso di Telefisco 2016 l’Amministrazione Finanziaria ha chiarito come deve essere compilato il quadro RW e come si calcolano le sanzioni in presenza di un dossier titoli intrattenuto dal contribuente con un intermediario estero.

I casi prospettati all’Amministrazione Finanziaria sono stati i seguenti.

Un contribuente deteneva un dossier titoli al 1° gennaio del 2015 il cui valore complessivo era 1.000.000 euro al 1° gennaio 2015 e di 1.100.000,00 al 31 dicembre 2015. Il questo caso il capitale iniziale è sempre stato investito in un solo titolo che si è rivalutato.

Nella fattispecie prospettata il contribuente compilerà un solo rigo del quadro RW, indicando come valore inziale 1.000.000 e come valore finale 1.100.000 e come giorni di possesso 365.

Nelle ipotesi di omessa compilazione del modello RW, la sanzione è determinata applicando la percentuale prevista dall’art. 5, Dl 167/90 al valore al termine del periodo di detenzione, rappresentato dall’intero anno, pari a euro 1.100.000.

CASO 2 – Un contribuente deteneva un dossier titoli al 1° gennaio del 2015 il cui valore complessivo era 1.000.000 euro, che è stato investito e reinvestito più volte nel corso dell’anno con i seguenti valori rispettivamente iniziali e finali con questo stesso ordine:

  • Valore iniziale, 1.000.000, valore finale, 1.015.323; giorni, 31.
  • Valore iniziale, 1.015.323; valore finale, 1.030.647; 28 giorni.
  • Valore iniziale, 1.030.647, valore finale, 1.045.970, giorni 31;
  • Valore iniziale, 1.045.970, valore finale, 1.061.293, giorni 30;
  • Valore iniziale, 1.061.293, valore finale, 1.076.616, giorni 31;
  • Valore iniziale, 1.076.616, valore finale, 1.091.940, giorni 30;
  • Valore iniziale, 1.091.940, valore finale, 1.107.263, giorni 31;
  • Valore iniziale, 1.107.263, valore finale, 1.122.586, giorni 31;
  • Valore iniziale, 1.122.586, valore finale, 1.137.909, giorni 30;
  • Valore iniziale, 1.137.909, valore finale, 1.153.233, giorni 31;
  • Valore iniziale, 1.153.233, valore finale, 1.168.556, giorni 30;
  • Valore iniziale, 1.168.556, valore finale, 1.183.879, giorni 31.

Il tale caso il calcolo della sanzione deve avvenire moltiplicando ciascun importo valore finale per i relativi giorni di possesso. La somma dei valori così determinati deve essere divisa per 365.

A titolo esemplificativo, la sanzione per l’omessa dichiarazione del titolo ceduto nel mese di gennaio sarà pari al 3% (6%) di (1.015.323*31)/365 e cosi via. La somma delle sanzioni riferibili a ciascun periodo di detenzione determinerà la sanzione complessiva dovuta per le violazioni della normativa sul monitoraggio fiscale.

Questo è un importante chiarimento. Infatti la sanzione dal 3 al 15 per cento (o dal 6 al 30 percento in caso di detenzione degli investimenti in Stati non collaborativi) si applica sulla media ponderata delle giacenze in luogo della somma degli investimenti indicati in colonna 8 (valore finale) che nel caso di specie sarebbe stata pari ad euro 13.195.214.

Viene altresì chiarito che dal punto di vista della temporalità delle operazioni di investimento e disinvestimento rientranti all’interno di un unitario rapporto finanziario, l’individuazione del termine si riferisce al rapporto finanziario nel suo complesso. Pertanto, gli adempimenti dichiarativi previsti dovranno prevedere l’indicazione del valore iniziale e del valore finale di detenzione della relazione finanziaria, non rilevando le eventuali singole variazioni della composizione di quest’ultima.

In termini pratici questo significa che in caso di possesso di un dossier titoli con valore iniziale 2.000.000,00 di euro e valore finale 3.000.000,00 di euro, estinto a novembre 2015, visto che le operazioni di investimento e disinvestimento rientrano all’interno di un unitario rapporto finanziario si dovrà compilare un solo rigo della dichiarazione, indicando come valore finale 3.000.000,00 di euro.

Altro chiarimento sul quadro RW riguarda il soggetto delegato. SU tale aspetto viene chiarito, compatibilmente con le indicazioni fornite nella C.M. 28/E/2012, che l’Ivafe è dovuta dalle persone fisiche residenti che detengono all’estero attività finanziarie a titolo di proprietà o di altro diritto reale, indipendentemente dalle modalità della loro acquisizione e, quindi, anche se pervengono da eredità o donazioni.
Pertanto, i soggetti delegati su un conto estero, comunque obbligati alla compilazione del modulo RW, non sono tenuti al versamento dell’Ivafe.

AUTORE: GIOACCHINO DE PASQUALE

 

 

LA FATTURA ELETTRONICA PUÒ ESSERE ANCHE “DIFFERITA”

Premessa – A decorrere dal 31 marzo 2015 (Dl n. 66/2014), tutti gli enti nazionali e le amministrazioni locali non possono più accettare le fatture in formato cartaceo ma sono obbligate alla fatturazione elettronica (per Ministeri, Agenzie fiscali ed enti nazionali di previdenza, l’obbligo già decorreva dal 6 giugno 2014).
Inoltre, a oggi, le pubbliche amministrazioni non potranno procedere al pagamento del fornitore del bene o del servizio, neppure parziale, fino all’invio del documento in forma elettronica.
Si ricorda che, l’obbligo di fatturazione in forma elettronica nei confronti delle Amministrazioni dello Stato è stato introdotto dalla Finanziaria 2008 (Legge n. 244/2007) cui sono succeduti due decreti attuativi:

  • decreto 7 marzo 2008 (Gazzetta Ufficiale n.103 del 03/05/2008) con cui il legislatore ha individuato nell’Agenzia delle Entrate il Gestore del Sistema di Interscambio (SDI) per l’invio e la ricezione delle fatture elettroniche verso la PA, definendone compiti e responsabilità. Con lo stesso decreto è stata Individuata nella SOGEI Spa la struttura dedicata ai servizi strumentali e alla conduzione tecnica dell’SDI;
  • decreto Ministro Economia e Finanze n. 55 del 3 aprile 2013 (Gazzetta Ufficiale n.118 del 22/05/2013) che rende operative le regole tecniche per la gestione dei processi di fatturazione elettronica verso la pubblica amministrazione.

Quando la fattura è elettronica – La fattura elettronica, sostituisce in tutto e per tutto la fatturazione cartacea ma restano tuttavia ferme le regole di fatturazione. Secondo il precedente chiarimento dell’Agenzia delle Entrate, fornito con la circolare n. 18/E/2014, affinché una fattura possa essere definita elettronica e non cartacea, non è rilevante il formato utilizzato per la sua creazione (elettronico o cartaceo), bensì il solo fatto che la stessa sia in formato elettronico quando è emessa o messa a disposizione, ricevuta e accettata dal destinatario.
In particolare, secondo l’amministrazione finanziaria, è elettronica anche la fattura cartacea trasformata in documento informatico per essere spedita e ricevuta dal destinatario via posta elettronica. Non può, invece, essere considerata elettronica la fattura che seppur generata tramite un software di contabilità, è comunque inviata all’ente in formato cartaceo.

La fattura elettronica differita – A oggi, la possibilità di emettere fattura differita cartacea, è prevista sia per le cessioni di beni che per le prestazioni di servizi. Ciò è espressamente previsto dall’articolo 21, comma 4, lettera a), del D.P.R. n. 633 del 1972, in cui è disposto che “per le cessioni di beni la cui consegna o spedizione risulta da documento di trasporto o da altro documento idoneo a identificare i soggetti tra i quali è effettuata l’operazione ed avente le caratteristiche determinate con decreto del Presidente della Repubblica 14 agosto 1996, n. 472, nonché per le prestazioni di servizi individuabili attraverso idonea documentazione, effettuate nello stesso mese solare nei confronti del medesimo soggetto, può essere emessa una sola fattura, recante il dettaglio delle operazioni, entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione delle medesime”.
Per quanto riguarda le prestazioni di servizi individuabili attraverso “idonea documentazione”, l’Agenzia delle Entrate, con la stessa circolare n. 18/E/2014 ha chiarito che per “idonea documentazione” potrebbe intendersi, ad esempio, oltre del documento attestante l’avvenuto incasso del corrispettivo, del contratto, della nota di consegna lavori, della lettera d’incarico, della relazione professionale, purché risultino in modo chiaro e puntuale la prestazione eseguita, la data di effettuazione e le parti contraenti.
Anche la fattura elettronica, così come quella cartacea può essere emessa in modalità “differita” entro il 15 del mese successivo alla consegna del bene oggetto di compravendita o dall’avvenuto incasso della prestazione resa.
Quindi, ciò ad esempio, sta significando che il fornitore potrebbe consegnare all’ente pubblico (esempio Comune) i beni acquistati ed emettere la preventiva bolla di consegna (o DDT) per poi emettere la fattura elettronica (per la quale sussiste l’obbligo) entro il 15 del mese successivo alla consegna con la possibilità di fatturare tutti i beni acquistati e consegnati il mese precedente a condizione che nella fattura siano comunque richiamati il numero e la data della bolla.

AUTORE: PASQUALE PIRONE

 

TELEFISCO 2016 – CONTANTI: NON APPLICABILE IL “FAVOR REI”

Il limite per la circolazione del contante è stato innalzato dal 1° gennaio 2016: prima di questa data, però, le sanzioni troveranno applicazione secondo la disciplina previgente, senza alcuno sconto.

È questo uno degli importanti chiarimenti forniti dal Dipartimento delle Finanze del Mef in occasione del consueto appuntamento annuale con Telefisco.

Il chiarimento

Come noto, dal 1°gennaio 2016 il limite per la circolazione del contante è stato portato ad euro 3.000, in luogo dei 1.000 euro in passato previsti.

Ipotizziamo ora che un soggetto, negli ultimi mesi del 2015, abbia effettuato una transazione in contanti di euro 2.500 con un altro privato.

Nel caso di specie deve ritenersi che, in virtù del principio del favor rei, non trovino applicazione le sanzioni? Possiamo applicare la nuova soglia dei 3.000 euro anche alle transazioni avvenute prima del 1° gennaio 2016 ma ancora non sanzionate a quella data?

Ebbene, il Dipartimento delle Finanze del Mef è intervenuto sul punto chiarendo espressamente che le sanzioni devono comunque essere applicate se la soglia prevista dalla normativa in vigore al momento del pagamento è stata violata.

Più precisamente, è stato chiarito che, come ritenuto ormai da pacifica giurisprudenza, in materia di sanzioni amministrative non trova applicazione il principio del favor rei, salvi i casi in cui non sia la normativa stessa a prevederlo.

È infatti necessario far riferimento, in questi casi, all’art. 1 della Legge 24 novembre 1981, n. 689, in forza della quale “nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione”.

La succitata norma, come ricorda il Mef, ha superato anche il vaglio di legittimità costituzionale e si pone, oggi, come principio generale in forza del quale la sanzione amministrativa da applicare è quella in vigore al tempo della violazione, mentre nessuna rilevanza può essere attribuita alla normativa successiva, anche se più favorevole.

Il Legislatore, sulla base della sua valutazione discrezionale potrà tuttavia prevedere la specifica applicazione delle norme successive più favorevoli, a seconda dell’oggetto. In ogni caso, non si potrà mai parlare di obbligo in tal senso.

Conformi a questo orientamento possono inoltre essere richiamate anche numerose sentenze della Cassazione (n.1789/2008, n.21584/2007, n.12858/2001, n.5554/2007, n.1693/2007) e la sentenza n. 34897/2010 del 3 giugno 2010 del Consiglio di Stato.

Il trasferimento dei libretti

Un altro importante aspetto analizzato in occasione dell’appuntamento con Telefisco ha riguardato il limite previsto per il saldo dei libretti al portatore, nonché i limiti entro i quali gli stessi possono essere trasferiti.

La Legge di stabilità 2016, nel modificare la disciplina di cui al D.Lgs. n. 231/2007 aveva infatti introdotto regole che sembravano essere poco coerenti in materia di detenzione e circolazione dei libretti a risparmio.

In virtù delle modifiche introdotte, infatti:

  • Il saldo del libretto al portatore continua a non poter essere superiore a 999,99 euro;
  • Il limite per la circolazione dei libretti al portatore è stata innalzata (solo questa!) a 2.999,99 euro.

In occasione dell’appuntamento con Telefisco, il Mef ha avuto modo di confermare che, effettivamente, nessuna variazione è intervenuta in tema di libretti al portatore, i quali, pertanto, continuano a non poter presentare un saldo pari o superiore alla soglia dei 1.000 euro.

A seguito delle novità introdotte con la Legge di stabilità, però, la soglia massima per il trasferimento dei libretti al portatore è stata innalzata ad euro 2.999,99 euro.

Pertanto, non risulteranno violate le disposizioni in tema di circolazione del contante se due soggetti effettuano un trasferimento di 3 libretti al portatore, ognuno con saldo pari a 900 euro: in questo caso, infatti, il valore oggetto della transazione è pari a 2.700 euro, inferiore alla soglia prevista.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

ELIMINATA L’IMU SUGLI IMBULLONATI

Con la circolare n. 2 le Entrate dettano le istruzioni

Premessa – Escono dal calcolo della rendita catastale i macchinari, i congegni, le attrezzature ed altri impianti funzionali ad uno specifico processo produttivo, ovvero i cosiddetti “imbullonati”. È questa l’innovazione che la Legge di Stabilità 2016 ha introdotto in tema di determinazione della rendita catastale dei fabbricati di categoria D ed E, ovvero le unità immobiliari urbane a destinazione speciale e particolare.

Circolare n. 2/E/2016 – Dal 1° gennaio 2016, come chiarisce la circolare 2/E di ieri, nel processo estimativo, per esempio, di industrie, centrali o stazioni elettriche, non saranno più inclusi le turbine, gli aerogeneratori, i grandi trasformatori, gli altiforni, così come tutti gli impianti che costituiscono le linee produttive presenti nell’unità immobiliare, indipendentemente dalle loro tipologia, rilevanza dimensionale o modalità di connessione. Del pari, sono esclusi dalla stima i pannelli fotovoltaici, ad eccezione di quelli integrati sui tetti e nelle pareti della struttura che non possono essere smontati senza rendere inutilizzabile la copertura o la parete cui sono connessi.

Aggiornamento – Per le unità già censite è possibile presentare atti di aggiornamento, non connessi alla realizzazione di interventi edilizi sul bene, solo per rideterminare la rendita catastale, escludendo dalla stessa eventuali componenti impiantistiche che, secondo i nuovi criteri, non sono più oggetto di stima diretta.

Modalità per il calcolo della rendita catastale – In pratica, d’ora in avanti, per gli immobili a destinazione speciale e particolare, la stima diretta si effettuerà tenendo conto del suolo, delle costruzioni e degli elementi strutturalmente connessi (come impianti elettrici e di areazione, ma anche ascensori, montacarichi, scale mobili), senza più considerare i macchinari, i congegni, le attrezzature e gli altri impianti funzionali al processo produttivo, che non conferiscono all’immobile un’utilità apprezzabile anche in caso di modifica dell’attività al suo interno. Con la nuova norma vengono quindi meno le criticità interpretative talora riscontrate nel processo tecnico-estimativo di determinazione della rendita dei fabbricati produttivi, grazie alla definizione univoca delle tipologie di macchinari e impianti escluse dalla stima diretta.

Aggiornamento scatta entro il 15 giugno – La circolare specifica che la nuova disposizione non ha valore di interpretazione autentica ed esplica, pertanto, i suoi effetti solo a decorrere dal 1° gennaio 2016. È però possibile presentare atti di aggiornamento catastale per escludere eventuali componenti impiantistiche che, secondo i nuovi criteri, non fanno più parte della stima diretta. Se la dichiarazione di variazione viene presentata correttamente in catasto entro il 15 giugno 2016, la nuova rendita catastale avrà valore fiscale fin dal 1° gennaio 2016 per il calcolo dell’imposta municipale propria.

Online la nuova versione Docfa – Da ieri viene resa disponibile sul sito internet dell’Agenzia la nuova versione 4.00.3 della procedura Docfa, con le relative istruzioni operative, seguendo il percorso Home > Cosa devi fare > Aggiornare dati catastali e ipotecari > Aggiornamento Catasto fabbricati – Docfa. La nuova versione deve essere obbligatoriamente utilizzata, a partire dal 1° febbraio 2016, per gli atti di aggiornamento del Catasto Edilizio Urbano finalizzati alla rideterminazione della rendita catastale per scorporo degli impianti. Per tutte le altre dichiarazioni, in via transitoria, è consentito utilizzare anche la versione precedente (4.00.2) del software Docfa, fino alla fine del mese di marzo 2016.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

TELEFISCO 2016 – AGEVOLAZIONE PRIMA CASA: I CHIARIMENTI

Nel corso di Telefisco 2016 è stata affrontata la recente novità legislativa introdotta con la Legge di Stabilità 2016 concernente l’ottenimentodell’agevolazione prima casa. Con la Legge di Stabilità 2016 si è ampliata la possibilità di fruire dell’agevolazione in questione, prevedendo che si possa ottenere l’aliquota ridotta anche nel caso in cui l’acquirente detenga un immobile acquisto con l’agevolazione prima casa a patto che si provveda alla sua cessione entro un anno dalla data di stipula dell’atto con il quale viene acquistato il “nuovo” immobile.

I requisiti prima casa ante e post Legge di Stabilità 2016 – Per usufruire dell’agevolazione prima casa, devono essere rispettati i seguenti requisiti:

  • non deve trattarsi di immobile di lusso;
  • devono essere soddisfatti i requisiti di cui alla nota II-bis) all’articolo 1, della tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. 131/1986.

Tali ultimi requisiti sono:

  1. Immobile ubicato nelterritoriodelcomuneincui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquistolapropria residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirentesvolgelapropria attività ovvero, se trasferito all’estero per ragioni di lavoro, inquello in cui ha sede o esercita l’attività il soggetto da cui dipende ovvero, nel caso in cui l’acquirente sia cittadino italianoemigratoall’estero,che l’immobile sia acquisito come prima casa sul territorioitaliano.La dichiarazione di voler stabilire la residenza nel comune ove è ubicato l’immobile acquistatodeveessereresa,apenadidecadenza, dall’acquirente nell’atto di acquisto;
  2. Nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare;
  3. L’acquirente non deve essere titolare di un’altra abitazione, ovunque ubicata, che sia stata acquistata con l’agevolazione prima casa;
  4. L’agevolazione è subordinata al fatto che la casa acquistata con il beneficio fiscale non sia ceduta per almeno un quinquennio oppure che, se ceduta prima del decorso del quinquennio, entro un anno sia acquista altra prima casa.

Come si evince dall’elencazione riportata, la lettera b) preclude l’agevolazione prima casa se si è titolare del diritto di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare, mentre la lettera c) preclude l’agevolazione prima casa nel caso di possesso di altro immobile acquisto con l’abitazione prima casa in tutto il territorio nazionale.

La Legge di Stabilità 2016 introduce un nuovo punto 4-bis, alla nota II bis, dell’art. 1, della parte prima della Tariffa allegata al D.P.R.131/1986, la quale prevede che ove l’acquirente detenga un immobile acquisto con l’abitazione prima casa per fruire dell’agevolazione deve provvedere alla sua cessione entro un anno dalla data di stipula dell’atto con il quale viene acquistato il “nuovo” immobile.

I chiarimenti di Telefisco 2016 – Non era chiaro se l’estensione dell’agevolazione prima casa riguardasse soltanto gli atti soggetti a imposta proporzionale di registro o anche gli atti soggetti ad IVA. Su tale questione l’Amministrazione Finanziaria ha chiarito che le novità inserite nel corpo della disciplina prima casa, nell’ambito della Nota II-bis richiamata si applicano anche nell’ipotesi in cui il nuovo acquisto sia imponibile Iva.
La modifica delle condizioni stabilite dalla Nota II-bis esplica, quindi effetti anche ai fini dell’applicazione dell’aliquota agevolata Iva del 4 per cento.

E’ stato altresì chiarito che la modifica delle condizioni stabilite dalla Nota II-bis esplica, effetti anche ai fini dell’applicazione delle agevolazioni “prima casa” in sede di successione o donazione.
Resta inteso che, nell’atto di donazione o nella dichiarazione di successione con cui si acquista il nuovo immobile in regime agevolato, dovrà risultare l’impegno a trasferire entro un anno l’immobile preposseduto.

E’ stato infine chiarito che per gli atti conclusi prima del 31.12.2015 non può essere richiesto il rimborso delle eventuali maggiori imposte versate rispetto a quelle che sarebbero state dovute in applicazione delle nuove disposizioni né spetta un credito d’imposta.

Il credito d’imposta per il riacquisto della prima casa – Altra questione sulla quale l’Amministrazione Finanziaria ha offerto dei chiarimenti riguarda il credito d’imposta per il riacquisto della prima casa.

L’articolo 7, commi 1 e 2, della Legge 23 dicembre 1998, n. 448 stabilisce l’attribuzione di un credito d’imposta a favore dei contribuenti che, entro un anno dalla vendita dell’immobile, acquistato con i benefici ‘prima casa’, provvedano ad acquisire un’altra casa di abitazione, per la quale ricorrono le condizioni di cui alla nota II bis all’articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al Testo unico dell’imposta di registro, approvato con il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (TUR).

Alla luce delle modifiche introdotte alle agevolazioni “prima casa”, il dubbio era se si potesse fruire di detto credito d’imposta nel caso in cui il contribuente effettui il nuovo acquisto prima di vendere la casa preposseduta.

A parere dell’Amministrazione Finanziaria, alla luce delle modifiche che hanno interessato la normativa in materia di “prima casa” deve ritenersi che il credito di imposta in questione spetti al contribuente anche nell’ipotesi in cui proceda all’acquisto della nuova abitazione prima della vendita dell’immobile preposseduto. Una diversa interpretazione – afferma l’Agenzia – non risulterebbe, infatti, coerente con la ratio della riforma che ha inteso agevolare la sostituzione della “prima casa”, introducendo una maggiore flessibilità nei tempi previsti per la dismissione dell’immobile preposseduto.
All’atto di acquisto del nuovo immobile con le agevolazioni ‘prima casa’ il contribuente potrà, quindi, fruire del credito di imposta per l’imposta dovuta in relazione al nuovo acquisto nel limite, in ogni caso, dell’imposta di registro o dell’imposta sul valore aggiunto corrisposte in occasione dell’acquisizione dell’immobile preposseduto.

AUTORE: GIOACCHINO DE PASQUALE

TELEFISCO 2016 – STOP AGLI STUDI DI SETTORE PER CHI CESSA L’ATTIVITÀ

Premessa – Non saranno più necessari sia i modelli Ine sia quelli di comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore per i contribuenti che hanno cessato l’attività nel corso del periodo d’imposta o che si trovano in liquidazione ordinaria. Questo perché l’obiettivo di rilevare la presenza di ricavi o compensi non dichiarati, o di rapporti di lavoro irregolare, potrà essere comunque raggiunto con l’integrazione e l’analisi delle diverse banche dati, a cui accede l’Agenzia delle Entrate.

Modelli studi di settore – In anticipo di quattro mesi rispetto allo scorso anno, arrivano sul sito dell’Agenzia, dopo la fase di test, i 204 modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, da utilizzare per la dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta 2015. Con il provvedimento di approvazione del 29 gennaio sono definite, inoltre, le caratteristiche tecniche di stampa. I modelli, in particolare, riguardano: 51 studi relativi ad attività economiche del settore delle manifatture; 60 studi relativi ad attività economiche del settore dei servizi; 24 studi relativi ad attività professionali; 69 studi relativi ad attività economiche del settore del commercio. I contribuenti che nel periodo d’imposta 2015 hanno esercitato le attività “altre creazioni artistiche e letterarie” (codice 90.03.09) e “fabbricazione di bigiotteria e articoli simili n.c.a.” (codice 32.13.09), devono compilare i relativi modelli, VK28U e WD33U, per la sola acquisizione di dati.

Cessazione attività – La novità più importante è data dall’eliminazione dell’obbligo di presentare i modelli Ine (Indicatori di normalità economica) e il modello di comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore per i contribuenti che hanno cessato l’attività nel corso del periodo d’imposta o che si trovano in liquidazione ordinaria. Con riferimento all’anno d’imposta 2015, questi due adempimenti, infatti, risultano non più necessari poiché eventuali ricavi/compensi non dichiarati o rapporti di lavoro irregolare potranno essere efficacemente rilevati attraverso l’integrazione e l’analisi delle diverse banche dati a disposizione dell’Agenzia delle Entrate.

Super ammortamento – I modelli risultano inoltre aggiornati con le informazioni relative ai correttivi, individuate sulla base della metodologia presentata alla Commissione degli esperti lo scorso 2 dicembre e con le informazioni necessarie per gestire i “super-ammortamenti” introdotti dalla Stabilità 2016 (Legge 208/2015). In particolare sono stati introdotti nei righi F18 e F20 del modello imprese e nei righi G11 e G12 del modello per i professionisti i campi destinati a ospitare la quota parte degli ammortamenti imputabili al maggior costo ammortizzabile (40%) dei beni strumentali nuovi acquistati a partire dal 15 ottobre scorso.

Altre novità – Gli stessi quadri tengono inoltre conto dell’applicazione del regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità. Struttura semplificata, inoltre, per il quadro “F”: per gli studi evoluti per il periodo d’imposta 2015 è stato infatti accorpato il contenuto dei righi F14 e F15, come già fatto per gli studi evoluti per l’anno 2014, mentre nel quadro “X” è possibile rettificare il peso di alcune variabili.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

 

I FORFETTARI E “L’AUTOCONSUMO”

Fra i vari requisiti richiesti dall’art. 1 commi 54-89 Legge 190/2014 (c.d. Legge di Stabilità 2015) e successive modifiche apportate dalla Legge di Stabilità 2016, uno dei casi più critici riguarda la valutazione dei ricavi e/o compensi rilevati nel periodo di imposta precedente.
In particolare, occorre valutare se nel periodo di imposta 2015 il contribuente, corrispondentemente al proprio codice Atecofin, ha superato o meno la soglia massima dei ricavi previsti come tetto massimo.
La verifica dei requisiti di accesso di cui al comma 54 va effettuata avuto riguardo all’anno precedente quello di riferimento.
Pertanto con riferimento al 2016, le condizioni di accesso vanno verificate nel 2015 e, analogamente al regime dei minimi, andranno successivamente verificate anno per anno.
Fra i vari aspetti da considerare nel determinare i ricavi e compensi rilevati nel periodo di imposta 2015, va valutato il valore normale dei beni destinati al consumo personale o familiare del contribuente.
La Legge 190/2014, che ha introdotto nel nostro ordinamento il regime forfettario, nulla dispone in merito alla destinazione dei beni al consumo personale o familiare dell’esercente attività d’impresa, arte o professione.
Per analizzare la questione, occorre fare riferimento alla Circolare A.E. del 28 gennaio 2008, n.7/E, la quale ha fornito gli ulteriori chiarimenti in merito al funzionamento del regime fiscale dei contribuenti minimi. In particolare al punto 6.6 (autoconsumo) della succitata Circolare, l’Agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti in merito al quesito seguente:
“Si richiedono chiarimenti in merito al trattamento da riservare alle operazioni di destinazione al consumo personale o familiare di beni dell’impresa che potrebbero avvenire in costanza di applicazione del regime dei minimi.”
Risposta
Ai fini dell’imposta sul valore aggiunto le operazioni di destinazione al consumo personale o familiare di beni dell’impresa, che ordinariamente ai sensi dell’articolo 2, secondo comma, n. 5, del d.P.R. n. 633 del 1972, costituiscono operazioni rilevanti agli effetti del tributo qualora la relativa imposta assolta all’atto dell’acquisto sia stata detratta, nell’ambito del regime dei minimi sono effettuate senza applicazione dell’Iva, in conformità al disposto del comma 100, secondo cui i contribuenti minimi non addebitano l’imposta sul valore aggiunto a titolo di rivalsa.
Per converso, ai fini della determinazione del reddito, l’autoconsumo da parte di un soggetto che applica il regime dei contribuenti minimi trova disciplina nell’articolo 4 del decreto ministeriale del 2 gennaio 2008, secondo cui ai fini della determinazione della base imponibile “si applicano le disposizioni di cui agli articoli 54, comma 1-bis, lettera c), 57 e 58, comma 3, del citato testo unico, concernenti la destinazione dei beni al consumo personale o familiare dell’imprenditore o dell’esercente l’arte o la professione.”
L’Agenzia delle Entrate, nelle conclusioni al quesito, ha ribadito che “i ricavi e le plusvalenze relativi a beni destinati al consumo personale o familiare dell’esercente impresa, arte o professione concorreranno come componenti positive del reddito imponibile dei contribuenti minimi, anche se per tale destinazione non risultano percepiti ricavi o compensi”.
Per analogia, così come nel caso dei contribuenti minimi, occorre rifugiarsi nell’art. 4 del Decreto Ministeriale del 02 Gennaio 2008, in base al quale ai fini della determinazione della base imponibile assumono rilievo i contenuti di cui al Testo Unico delle imposte sui redditi art. 54, comma 1, lettera c) e articoli 57 e 58, comma 3.
Il contribuente che destina beni o servizi al consumo personale o dei suoi familiari, dovrà sommare il valore normale di tali beni o servizi, determinato in base all’art. 9 T.U.I.R, ai ricavi e compensi complessivamente conseguiti nel periodo di imposta.
Pertanto, l’autoconsumo rileva indipendentemente dalla percezione di un corrispettivo e va preso in considerazione ai fini della determinazione dei ricavi complessivi originati in un periodo di imposta, da confrontarsi con la soglia massima di ricavi prevista per quel determinato contribuente corrispondentemente al codice Atecofin che identifica l’attività esercitata.
Si può concludere che, in deroga al principio di cassa allargato, concorrono a formare il reddito anche i ricavi relativi ai beni destinati al consumo personale o familiare dell’esercente impresa arte o professione, ancorché sia assente la manifestazione finanziaria.
AUTORE: MASSIMILIANO BELLINI

 

COMUNICAZIONE ANNUALE DATI IVA: CONTABILITÀ SEPARATE

I soggetti che nel corso del 2015 hanno svolto più attività e che, per obbligo o per opzione, hanno adottato la contabilità separata ai sensi dell’art. 36, D.P.R. 633/1972 devono presentare un’unica Comunicazione, riportando i dati relativi a tutte le attività esercitate.

Se per una delle attività è previsto l’esonero dalla presentazione della Dichiarazione IVA annuale e, conseguentemente, della Comunicazione IVA,nella stessa vanno esposti soltanto i dati delle attività per le quali vige l’obbligo di presentazione del modello.

Compilazione Comunicazione – Innanzitutto è da sottolineare che l’esercizio di due attività separate nell’anno cui si riferisce la comunicazione verrà evidenziato barrando l’apposita casella “Contabilità separata” presente nella Sezioni I “Dati Generali”.

Inoltre, per quanto riguarda il codice di attività, in caso di svolgimento di più attività, andrà indicato il codice dell’attività prevalente, che ha realizzato un maggior volume d’affari nel periodo d’imposta.

Persone fisiche e limite volume d’affari – Un tema di particolare interesse per le persone fisiche che svolgono più attività gestite in contabilità separata, riguarda l’obbligo o l’esonero dalla presentazione della Comunicazione annuale dati IVA.

Si ricorda, infatti, che tra i soggettiesonerati dalla presentazione della Comunicazione annuale dati IVA vi rientrano le persone fisiche che hanno realizzato nel 2015 un volume d’affari inferiore o uguale ad € 25.000 ancorché tenuti a presentare la dichiarazione annuale.

Sul tema, le istruzioni alla compilazione della comunicazione annuale Iva, precisano che “ai fini della determinazione del volume d’affari realizzato nell’anno in cui la comunicazione dati si riferisce, il contribuente, come precisato con circolare n. 113 del 31 maggio 2000, deve fare riferimento al volume d’affari complessivo relativo a tutte le attività esercitate ancorché gestite con contabilità separate, comprendendo nel calcolo anche l’ammontare complessivo delle operazioni effettuate, registrate o soggette a registrazione nell’ambito dell’attività per la quale è previsto l’esonero dalla dichiarazione annuale Iva e, conseguentemente, dalla comunicazione dati“.

Di conseguenza, per stabilire se il soggetto è obbligato o meno alla presentazione della Comunicazione annuale dati IVA, dovrà far riferimento al volume d’affari complessivo.

Nel caso in cui una delle attività non superi il suddetto limite, inoltre, poiché entrambe le attività sono considerate nel computo del limite di euro 25.000, nella comunicazioneIva deve essere ricompresa la sommatoria delle risultanze contabili di entrambe le attività.

Produttori agricoli in regime di esonero – Un caso particolare è rappresentato dal produttore agricolo in regime di esonero che svolge anche attività commerciali.

In base all’art. 34, co. 6, D.P.R. 633/1972, tali soggetti se nell’anno solare precedente hanno realizzato o, in caso di inizio di attività prevedono di realizzare, un volume d’affari non superiore a 7.000 euro, costituito per almeno due terzi da cessioni di prodotti agricoli e ittici, sono esonerati dal versamento dell’imposta e da tutti gli obblighi documentali e contabili, (compresa la comunicazione annuale), fermo restando l’obbligo di numerare e conservare le fatture e le bollette doganali.

Da tenere in debita considerazione che nel caso in cui tali soggetti (persone fisiche) svolgono contemporaneamente anche altre attività commerciali,per stabilire se il soggetto è obbligato o meno alla presentazione della Comunicazione annuale dati IVA si dovrà tener conto del volume d’affari derivante dall’attività agricola anche se inferiore ad euro 7.000,00.

Ad esempio, se un contribuente svolge attività agricola con volume d’affari pari a Euro 5.000,00 e attività commerciale con volume d’affari pari a euro 21.000,00, lo stesso sarà obbligato alla presentazione della Comunicazione annuale dati IVA (volume d’affari superiore ad euro 25.000,00). I dati da inserire nella Comunicazione annuale riguardano però solo l’attività commerciale.

Nel caso di specie, se il volume d’affari è superiore a euro 7.000,00, non solo tale volume d’affari concorrerà alla formazione del volume d’affari per stabilire se il soggetto è obbligato o meno alla presentazione della Comunicazione annuale dati IVA ma anche tali dati dovranno essere inclusi nella Comunicazione annuale.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Modello Unico 2016

Il Modello Unico (di dichiarazione unificato compensativo, da cui l’abbreviazione Uni.Co.) viene utilizzato per presentare più dichiarazioni fiscali di soggetti che percepiscono redditi di terreni e fabbricati, di partecipazione, di lavoro autonomo (occasionale o continuativo), di lavoro dipendente, di impresa e di pensione.

Documentazione

Qui potete trovare i modelli da scaricare e compilare: Unico Persone Fisiche e PF Mini 2014 e Unico 2014 SC (Società di Capitali). In base alla tipologia del contribuente, di distinguono diversi modelli:

  • Unico Persone Fisiche.

Questo modulo va compilato da parte di coloro che devono presentare sia la dichiarazione dei redditi (in alternativa al Modello 730) sia la dichiarazione Iva. In particolare, i soggetti che hanno l’obbligo di consegnare questo modello sono i contribuenti che:

  • nell’anno precedente oggetto di dichiarazione hanno posseduto redditi d’impresa, redditi di lavoro autonomo per i quali è richiesta la partita Iva, redditi diversi non compresi fra quelli dichiarabili con il modello 730;
  • nell’anno precedente e/o in quello di presentazione della dichiarazione non risultano residenti in Italia;
  • nell’anno di presentazione della dichiarazione hanno percepito redditi di lavoro dipendente erogati solo da datori di lavoro non obbligati ad effettuare le ritenute d’acconto;
  • devono presentare anche una delle dichiarazioni IVA, IRAP, Modello 770 ordinario e semplificato;
  • devono presentare la dichiarazione per conto di deceduti;
  • sono lavoratori con contratto a tempo indeterminato, il cui rapporto di lavoro è cessato al momento della presentazione della dichiarazione.

Tutti quei contribuenti che, invece, si trovano in situazioni meno complesse (non hanno cambiato il domicilio fiscale dal 1° novembre dell’anno precedente a quello di presentazione della dichiarazione;  non sono titolari di partita IVA;  hanno percepito uno o più redditi da terreni, fabbricati, lavoro dipendente, attività commerciali;  vogliono fruire di deduzioni e detrazioni  per le spese sostenute; non devono presentare il modulo per conto di altri) possono tranquillamente compilare un modello Unico per Persone Fisiche Mini.

  • Unico Società di Capitali.

Anche questo modello consente di presentare sia la dichiarazione dei redditi che quella IVA. Nello specifico, deve essere presentato da parte dei cosiddetti soggetti IRES, ovvero:

  • le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative, comprese le società cooperative che abbiano acquisito la qualifica di Onlus e le cooperative sociali, le società di mutua assicurazione, nonché le società europee residenti nel territorio dello Stato;
  • gli enti commerciali (enti pubblici e privati e i trust);
  • le società di ogni tipo, tranne le società semplici, le società e le associazioni equiparate e gli enti commerciali non residenti nel territorio.
  • Unico Società di Persone.

Questo ulteriore modulo va compilato da parte di tutti i contribuenti che devono presentare, anche in tal caso, dichiarazione dei redditi e Iva e, più precisamente:

  • le società semplici;
  • le società in nome collettivo e accomandita semplice;
  • le società di armamento;
  • le società di fatto o irregolari;
  • le associazioni prive di personalità giuridica;
  • le aziende coniugali;
  • i gruppi europei di interesse economico.
  • Unico Enti Non Commerciali.

I contribuenti che, in questo ultimo caso, devono presentare Modello 730 e Iva sono quegli enti che si caratterizzano per non avere come oggetto principale lo svolgimento di una attività di natura economica. Ovvero:

  • Soggetti pubblici e privati diversi dalle società;
  • I trust che non hanno per oggetto esclusivo lo svolgimento di attività commerciali;
  • Gli organismi di investimento collettivo del risparmio, esclusi gli organi di amministrazione dello Stato, dei Comuni, delle Province e delle Regioni;
  • Le società e gli enti di qualsiasi tipo, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio italiano.

Istruzioni: che cosa si deve fare

Nella maggior parte dei casi, la presentazione del Modello Unico per tutte le tipologie sin qui viste avviene per via telematica:

  • Diretta, consegnandola personalmente in qualsiasi ufficio o avvalendosi dei servizi online messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate. In questo ultimo caso, il contribuente può scegliere se utilizzare il servizio telematico Fisconline, a meno che non sia tenuto a presentare  il Modello 770 per un numero di soggetti superiore a 20 e al quale si accede tramite un  codice Pin che va preventivamente richiesto all’Agenzia; il servizio Entratel, se è tenuto a presentare il modello 770 in relazione a più di 20 soggetti.
  • Tramite intermediari abilitati (professionisti, associati di categoria, Caf o altri), al quale si può chiedere supporto anche per la compilazione del modello stesso. Questi soggetti sono tenuti a rilasciare una dichiarazione di impegno, datata e sottoscritta e, entro trenta giorni dal termine previsto per la presentazione, l’originale del modello firmato dai contribuenti e la comunicazione di avvenuta ricezione da parte dell’Agenzia delle Entrate.

In alcuni casi particolari, si potrà consegnare il modello anche in formato cartaceo presso un qualunque Ufficio Postale. Si tratta di quei contribuenti che, nel caso dell’Unico per Persone Fisiche, pur possedendo redditi dichiarabili con il 730, non hanno un datore di lavoro, non sono titolari di una pensione, devono presentare la dichiarazione per conto di deceduti, sono privi di sostituti di imposta o semplicemente devono comunicare alcuni dati tramite dei quadri del Modello. Nel caso di Unico per Enti Non Commerciali, sono quei contribuenti che non sono tenuti a presentare la dichiarazione Iva o dei sostituti d’imposta o ai fini Irap.

Scadenze

Il Modello Unico, per  tutte le tipologie di contribuenti, va presentato entro 9 mesi dalla chiusura del periodo di imposta. Per l’Unico Società di Capitali e per quelle società o enti il cui esercizio coincide con l’anno solare la scadenza è fissata per il 30 settembre. Tutti coloro che possono seguire la procedura cartacea di presentazione, hanno tempo dal 2 maggio al 30 giugno per recarsi presso un qualsiasi Ufficio Postale. È bene, tuttavia, tenere sempre sott’occhio lo scadenzario dell’Agenzia delle Entrate in caso di proroghe e variazioni.

Cooperative di tipo B: la fine di un modello?

Le cooperative sociali nascono con la finalità di perseguire l’interesse generale della comunità, garantendo la promozione umana e l’integrazione sociale dei cittadini. Proprio questa “vocazione collettiva” le distingue dagli altri tipi di cooperative che mirano esclusivamente a rispondere agli interessi “individuali” dei singoli soci.
Le cooperative sociali, nell’espletamento delle proprie funzioni, operano bilanciando il legittimo interesse economico al profitto con l’altrettanto fondamentale obiettivo a perseguire questo attraverso l’inserimento di soggetti svantaggiati che devono essere almeno il 30% sul totale della forza lavoro impiegata.
La Legge 381/1991 che disciplina le cooperative sociali distingue tra:
• Cooperative sociali di tipo A che si occupano della gestione dei servizi socio sanitari ed educativi rivolte a persone che per svariate ragioni (età, salute, condizione personale e sociale) si trovino in una condizione di svantaggio;
• Cooperative sociali di tipo B che si rivolgono ai medesimi destinatari ma svolgono attività diverse: agricole, industriali, commerciali o servizi.
Per favorire l’inserimento lavorativo delle categorie più svantaggiate, la Legge prevedeva per le cooperative di tipo B la possibilità di stipulare convenzioni con gli Enti Pubblici finalizzate alla fornitura di beni e servizi (ad esclusione di quelli di natura socio sanitaria ed educativa, di competenza delle cooperative di tipo A) in deroga alla normativa del Codice dei contratti, purché gli affidamenti riservati fossero di importi inferiori alla soglia di rilevanza comunitaria fissata a 40.000 euro.
Il comma 610 dell’art.1 Testo Unico della Legge di Stabilità 2015 ha de facto eliminato l’affidamento diretto aggiungendo all’art.5 della Legge 381/1991 quanto di seguito:
“Le convenzioni di cui al presente comma sono stipulate previo svolgimento di procedure di selezione idonee ad assicurare il rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di efficienza”.
Tre righe che cambiano tutto e che rischiano di svuotare di senso il ruolo della cooperazione nel panorama politico-economico italiano.
Il disposto in oggetto va a smantellare un sistema efficiente che ha garantito fino a questo momento la tutela di categorie di lavoratori altrimenti esclusi dal mercato del lavoro, snaturando di fatto lo spirito insito nella Legge 381/91.
La scelta politica che sembra emergere, alla luce dei recenti scandali di Mafia Capitale, è quella di andare a “punire” quegli esempi virtuosi che costituiscono la stragrande maggioranza del panorama delle cooperative.
Più che la trasparenza e la non discriminazione l’unico obiettivo che sembra volersi perseguire è quella dell’efficienza economica tout court. L’aspetto sociale rischia di passare in secondo piano alla luce di criteri ispirati esclusivamente alla logica del vantaggio economico totale.
La norma, inoltre, va nella direzione opposta a quanto stabilito dalla nuova Direttiva Europea sugli appalti pubblici 2014/24/UE la quale al comma 1 dell’articolo 20 stabilisce che: Gli Stati membri possono riservare il diritto di partecipazione alle procedure di appalto a laboratori protetti e ad operatori economici il cui scopo principale sia l’integrazione sociale e professionale delle persone con disabilità o svantaggiate o possono riservarne l’esecuzione nel contesto di programmi di lavoro protetti quando almeno il 30% dei lavoratori, operatori economici o programmi sia composto da lavoratori con disabilità o da lavoratori svantaggiati.
Tale orientamento viene riaffermato dalla Risoluzione Legislativa del Parlamento Europeo del 15 gennaio 2014 sulla proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio riguardante la modifica della Direttiva 18/2004 sugli appalti pubblici. L’articolo 36 sottolinea come porre sullo stesso piano le imprese sociali con le altre sul mercato costituirebbe di fatto una distorsione delle regole. Il disposto, in questo senso, è chiarissimo: “Lavoro e occupazione contribuiscono all’integrazione nella società e sono elementi chiave per garantire pari opportunità a tutti. In questo contesto, i laboratori protetti possono svolgere un ruolo significativo. Lo stesso vale per altre imprese sociali il cui scopo principale è l’integrazione o reintegrazione sociale e professionale delle persone con disabilità e delle persone svantaggiate, quali i disoccupati, le persone appartenenti a minoranze svantaggiate o comunque a categorie socialmente emarginate. Tuttavia, detti laboratori o imprese potrebbero non essere in grado di ottenere degli appalti in condizioni di concorrenza normali. Appare pertanto opportuno prevedere che gli Stati membri possano avere la facoltà di riservare la partecipazione alle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici o di determinati lotti di appalti a tali laboratori o imprese o riservarne l’esecuzione nel contesto di programmi di lavoro protetti”.
L’Europa prende ad esempio il nostro sistema di tutele ma l’Italia prosegue in “direzione ostinata e contraria” e in tutto ciò viene da chiedersi se l’obiettivo finale sia il superamento del sistema cooperativo, relegando nuovamente ai margini quelle categorie “svantaggiate” a cui fino ad oggi le cooperative hanno dato la possibilità di essere cittadini attivi.

Fonte UNSIC

Alla Consulta il contraddittorio «a macchia di leopardo»

Con la sentenza n. 24823 del dicembre scorso, le Sezioni Unite hanno sancito che non esiste, nell’ordinamento nazionale, un principio generale che impone all’Amministrazione finanziaria un obbligo circa l’instaurazione del preventivo contraddittorio con il contribuente.

La convenienza del nuovo forfettario

La convenienza del nuovo forfettario – Agevolato l’avvio di nuove iniziative produttive

Premessa – A seguito dell’abrogazione del regime dei minimi il legislatore ha previsto nel nuovo regime forfettario la riduzione dell’aliquota dell’imposta sostituiva dal 15% al 5% per le start up con l’intento di continuare ad agevolare l’avvio di nuove iniziative produttive. Nel calcolo della convenienza del regime tale riduzione di aliquota va aggiunta alla forfetizzazione dei costi e al regime previdenziale agevolato per artigiani e commercianti.

Start up – La legge di stabilità 2016 prevede per i contribuenti forfettari la riduzione dell’aliquota d’imposta dal 15 % al 5 % per i primi cinque anni, solo nell’ipotesi di inizio di una nuova attività. I soggetti che al termine del quinquennio agevolato con tassazione al 5% possederanno ancora i requisiti richiesti dalla Legge 190/2014 (art. 1 commi da 54 a 89) potranno continuare ad avvalersi del regime di favore transitando attraverso la tassazione al 15%.

Abrogazione – Contemporaneamente viene definitivamente abrogato il regime previsto per l’imprenditoria giovanile ex D.L. 98/2011 per le nuove attività (c.d. “regime dei minimi”), poiché si prevede all’interno del forfettario (L. 190/2014) la suddetta possibilità di tassare in maniera più favorevole le start up ed inoltre viene cancellato il comma 65, art. 1 L. 190/2014 nella parte in cui ammetteva l’agevolazione prevista per i primi tre anni di attività consistente nella riduzione del reddito imponibile per 1/3.

Avvio nuove attività – La norma, dunque, persegue in maniera evidente la finalità di favorire l’avvio di nuove iniziative produttive. Si può infatti ben affermare che il vantaggio potrà essere ancora maggiore rispetto al passato poiché chi parte con una nuova attività dal 01.01.2016 oltre al beneficio legato all’aliquota 5% (già presente nei precedenti minimi) potrà ora aggiungere anche la forfettizzazione dei costi.

Reddito forfettario – Circa la determinazione del reddito forfetario bisogna sottolineare il fatto che la percentuale di costi forfetariamente riconosciuta è variabile in relazione all’attività economica, quindi per ciascuna posizione va verificata l’incidenza dei costi effettivi e confrontata con la percentuale forfetaria.

Carico fiscale – In relazione all’applicazione dell’imposta sostitutiva, invece, va considerato che l’aliquota irpef effettiva non corrisponde a quella nominale applicata in quanto l’imposta netta è influenzata dalla specifica detrazione d’imposta spettante per i possessori di redditi d’impresa/lavoro autonomo. In virtù di ciò l’aliquota al 5% è certamente più conveniente del regime ordinario irpef, al contrario l’applicazione dell’aliquota del 15% deve essere confrontata con l’Irpef ordinaria gravante sul contribuente sulla base del reddito effettivamente conseguito e delle detrazioni a lui spettanti.

Soglie dei ricavi – Anche l’aumento delle soglie dei ricavi avrà una convenienza tangibile per chi è già operativo e sarebbe stato tagliato fuori dalle condizioni più stringenti fissate lo scorso anno per accedere al forfetizzato.

Regime previdenziale – Per i soli imprenditori iscritti alla Gestione IVS va anche valutata la possibilità, in caso di applicazione del regime forfetario, di usufruire, in via facoltativa, di un regime previdenziale di favore consistente nel pagamento dei contributi previdenziali sul reddito in misura ridotta.

Autore: redazione fiscal focus

 

Stabilità 2016: note di variazione e procedure concorsuali

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Con la Legge di Stabilità 2016 è stata ridisegnata la normativa che disciplina l’emissione delle note di variazione in diminuzione (art. 26, D.P.R. 633/1972), prevedendo in primo luogo una distinzione delle cause che legittimano l’emissione della nota di variazione e anticipando di termini di emissione della nota di variazione nei casi di cessionari e/o committenti assoggettati a procedure concorsuali. E’ proprio su quest’ultimo caso vogliamo concentrare l’attenzione in questo intervento.

Nella precedente normativa, ante Legge di Stabilità 2016, si prevedeva che nei casi di cessionari e/o committenti assoggettati a procedure concorsuali la nota di variazione potesse essere emessa esclusivamente alla conclusione infruttuosa di una procedura concorsuale o esecutiva.

La nuova formulazione normativa prevede importanti novità circa la data a partire dalla quale può essere emessa la nota di variazione.

Si prevede infatti che la nota di variazione in diminuzione può essere emessa anche in caso di mancato pagamento, in tutto o in parte, da parte del cessionario o committente:

  • a partire dalla data in cui quest’ultimo è assoggettato a una procedura concorsuale;
  • dalla data del decreto che omologa un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’articolo 182-bis del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267;
  • dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267;
  • a causa di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose.

Nella sostanza la nuova norma autorizza l’emissione della nota di accredito in relazione all’Iva addebitata e mai incassata dal creditore, senza dover attendere i lunghi tempi necessari per la conclusione dell’iter concorsuale. In più vi è un allineamento con la normativa prevista ai fini delle imposte sui redditi (art. 101, co. 5, D.P.R. 917/1986), la quale prevede la deduzione dalle imposte sui redditi delle perdite su crediti vantati nei confronti di soggetti assoggettati a procedure concorsuali già alla data di apertura alle stesse.

Per ciò che riguarda l’assoggettamento a procedure concorsuali, viene precisato che:

  • il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento o del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa o del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo o del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.

Inoltre, vengono individuate tre fattispecie al verificarsi delle quali una procedura esecutiva può definirsi infruttuosa:

  • nell’ipotesi di pignoramento presso terzi, quando dal verbale di pignoramento redatto dall’ufficiale giudiziario risulti che presso il terzo pignorato non vi sono beni o crediti da pignorare;
  • nell’ipotesi di pignoramento di beni mobili, quando dal verbale di pignoramento redatto dall’ufficiale giudiziario risulti la mancanza di beni da pignorare ovvero l’impossibilità di accesso al domicilio del debitore ovvero la sua irreperibilità;
  • nell’ipotesi in cui, dopo che per tre volte l’asta per la vendita del bene pignorato sia andata deserta, si decida di interrompere la procedura esecutiva per eccessiva onerosità.
Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

IMU e TASI immobili in comodato: entro il 20 gennaio la registrazione del contratto per lo sconto pieno

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – Ci siamo! E’ scattato l’anno 2016 ed è scattata la corsa, da parte dei possessori di immobili, verso gli studi commerciali e CAF per chiedere informazioni e capire come agire alla luce delle novità IMU e TASI introdotte dalla legge di stabilità 2016.

Certamente tra tutti, quelle che vogliono capirci qualcosina in più sono i genitori che hanno, oltre alla propria abitazione principale, altri immobili a disposizione che potrebbero essere concessi (o che sono già concessi) in comodato gratuito ai figli (o anche i figli che vorrebbero concederli ai genitori).

La motivazione di quanto appena affermato è data dal comma 10 della legge di stabilità 2016, con il quale il legislatore stabilisce, per IMU e TASI, che “la base imponibile per il calcolo dell’imposta è ridotta del 50% per le unità immobiliari, fatta eccezione per quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, concesse in comodato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come abitazione principale”.

Per alcuni, la predetta disposizione potrebbe essere considerata un passo indietro rispetto agli anni passati, poiché prima della manovra 2016, la possibilità di assimilazione dell’immobile concesso in comodato a parenti in linea retta era si prevista ma era lasciata alla completa autonomia comune (il quale poteva o no porre come condizione fondamentale l’obbligo di registrazione del contratto di comodato) ed inoltre era prevista solo ai fini IMU (e non TASI). L’assimilazione, tuttavia, consentiva l’esenzione totale dal tributo (sempre se l’immobile era non di lusso).

Quindi ad esempio, nel caso di un comune che nel 2015 aveva previsto tale possibilità, per il genitore che aveva provveduto a concedere l’immobile in comodato al figlio e da questi adibito ad abitazione principale, l’agevolazione prevista dal comma 10 della legge di stabilità 2016, potrebbe essere considerata un passo indietro, poiché se lo scorso anno l’immobile in questione era completamente esente da IMU (se non di lusso), nel 2016, invece, sarà soggetto ad IMU anche se con l’agevolazione del 50%. Tuttavia, per la TASI, la misura ha dei risvolti positivi, poiché se nel 2015 il tributo è stato assolto in misura piena, quest’anno godrà della riduzione del 50%.

Le condizioni – Con lo stesso comma 10 della manovra 2016, sono fissate altresì le condizioni per godere dell’agevolazione. In particolare, oltre al fatto che l’immobile (non di lusso) deve essere concesso in comodato al parente in linea retta entro il primo grado (quindi tra genitori e figli o viceversa) ed essere da questi adibito ad abitazione principale, è altresì necessario che:

  • il contratto di comodato sia registrato;
  • il comodante possieda un solo immobile in Italia e risieda anagraficamente nonché dimori abitualmente nello stesso comune in cui è situato l’immobile concesso in comodato.

Tuttavia, il beneficio si applica altresì nel caso in cui il comodante oltre all’immobile concesso in comodato possieda nello stesso comune (in cui è ubicato l’immobile concesso in comodato) un altro immobile adibito a propria abitazione principale, ad eccezione delle unità abitative classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9.

L’agevolazione spetterà anche alle pertinenze, ma al riguardo c’è da capire se resta ferma la regola che prevede il limite di tre pertinenze ciascuna appartenente a categoria catastale C/2, C/6 e C/7 (la legge di stabilità nulla dispone in tal senso).

La registrazione del contratto entro il 20 gennaio – La condizione da rispettare per godere dell’agevolazione che più di tutte sta facendo sorgere quesiti e richiesta di informazioni in questi giorni è quella della registrazione del contratto di comodato.

E ciò non solo per i costi da sostenere (200 euro d’imposta di registro e la marca da bollo da 16 euro, per ogni copia da registrare, ogni quattro facciate e comunque ogni 100 righi) ma soprattutto per la data di stipula e decorrenza.

Infatti, considerando che la registrazione di un contratto di comodato deve avvenire entro 20 giorni dalla data di stipula e dato che la data di stipula deve essere anteriore a quella di decorrenza, ne consegue che al fine di godere dell’agevolazione in esame per tutto l’anno 2016 (da gennaio a dicembre), le parti devono far si che la data di stipula e quella di decorrenza decadano entro i primi 15 giorni di gennaio. Infatti, vale sempre la regola che è considerato per intero il mese in cui il possesso si è protratto per più di 15 giorni.

Quindi, per un contratto di comodato con data di stipula e decorrenza 1 gennaio 2016, occorrerà procedere alla registrazione entro il 20 gennaio e l’agevolazione potrà essere applicata per tutto i mesi del 2016.

Così come, ad esempio, un contratto di comodato stipulato il 10 gennaio 2016, con decorrenza 14 gennaio 2016, andrà registrato entro il 30 gennaio (20 giorni dalla stipula), e consentirà l’agevolazione per tutti i mesi del 2016, poiché anche per gennaio, il possesso in capo al comodatario si protrae per più di 15 giorni (dal 14 gennaio) e quindi il mese va computato per intero.

Stessa cosa non si può, invece, dire ad esempio nel caso di un contratto di comodato stipulato il 1° febbraio 2016, con decorrenza 18 febbraio, il quale deve, comunque, essere registrato entro il 20 febbraio, ma consentirà l’agevolazione solo per 10 mesi (marzo – dicembre), mentre per due mesi (gennaio – febbraio) l’agevolazione non potrà essere applicata e ciò poiché per il mese di febbraio, il possesso in capo al comodatario si è protratto per meno di 15 giorni (dal 18 febbraio).

Infatti, considerando che la registrazione di un contratto di comodato deve avvenire entro 20 giorni dalla data di stipula, ne consegue che al fine di godere dell’agevolazione in esame per tutto l’anno 2016 (da gennaio a dicembre), le parti devono stipulare e far decorrere il comodato dal 1° gennaio 2016 e provvedere quindi alla registrazione entro il 20 gennaio. Inoltre, vale sempre la regola che è considerato per intero il mese in cui il possesso si è protratto per più di 15 giorni.

Quindi, ad esempio, un contratto di comodato stipulato il 1° febbraio 2016, con decorrenza 18 febbraio, deve, comunque, essere registrato entro il 20 febbraio, ma consentirà l’agevolazione solo per 10 mesi (marzo – dicembre), mentre per due mesi (gennaio – febbraio) l’agevolazione non potrà essere applicata.

Chi, invece, ad inizio 2016, ha già un contratto di comodato registrato (perché già fatto nel 2015 o in precedenza ed ancora in essere) potrà godere sicuramente dell’agevolazione per tutto il 2016.

E utile, infine, ricordare che, il comodante liquiderà IMU e TASI 2016 applicando le aliquote previste per le seconde case e che deve attestare i requisiti fissati dal comma 10 della legge di stabilità 2016, nella dichiarazione IMU (da presentarsi entro il 30/06/2017 in riferimento agli immobili concessi in comodato nel 2016).

Autore: Pasquale Pirone

Confronto tra POS e scontrini: presunzione di cessioni “in nero”

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

E’ noto come l’Amministrazione finanziaria nel corso di un’attività ispettiva, in presenza di una contabilità esistente e regolare, possa comunque procedere alla ricostruzione indiretta del volume d’affari del contribuente verificato, sulla base di elementi probatori di carattere, appunto, indiretto – presuntivo.

Sovente, nell’ambito di verifiche eseguite nei confronti di esercenti attività di commercio al minuto, soggetti all’obbligo di emissione dello scontrino o della ricevuta fiscale, le prove indirette – presuntive vengono acquisite dai verbalizzanti attraverso il confronto tra gli scontrini fiscali emessi (dati rilevabili dalle matrici delle ricevute fiscali e dal giornale di fondo del registratore di cassa) e gli accrediti sul conto dell’esercente, mediante utilizzo di carte di debito (bancomat), ovvero di carte di credito.

Il regime sanzionatorio dell’omessa certificazione dei corrispettivi. Il regime sanzionatorio concernente la mancata emissione dello scontrino o ricevuta fiscale è disciplinato dal combinato disposto dagli artt. art. 6, comma 3 e 12, commi da 2 a 2-quater del D.Lgs n. 471/1997.

In base alla prima disposizione richiamata, la mancata emissione dello scontrino o ricevuta fiscale è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria pari al 100% dell’imposta corrispondente all’importo non documentato. La stessa sanzione si applica in caso di omesse annotazioni su apposito registro dei corrispettivi relativi a ciascuna operazione in caso di mancato o irregolare funzionamento degli apparecchi misuratori fiscali.

Le sanzioni accessorie. L’art. 12, di contro, disciplina le sanzioni accessorie connesse alla violazione sopra citata; in particolare, a mente del comma 2, in caso di contestazione, nel corso di un quinquennio, di quattro distinte mancate emissioni del documento certificativo dei corrispettivi, commesse in giorni diversi, viene disposta la sospensione della licenza o dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività, ovvero dell’esercizio dell’attività medesima per un periodo da tre giorni ad un mese.

Peraltro, trattasi di un provvedimento immediatamente esecutivo, in deroga al principio sancito dall’art. 19, comma 7 del D.Lgs n. 472/1997, per il quale l’esecutività della sanzione accessoria tributaria interviene con la definitività del provvedimento di irrogazione.

L’art. 12, comma 2 in commento prevede inoltre un’aggravante speciale, per cui, se l’importo complessivo dei corrispettivi oggetto di contestazione eccede l’importo di 50 mila euro, la sospensione è disposta per un periodo da uno a sei mesi.

La ricostruzione indiretta dei corrispettivi. Sovente l’Amministrazione finanziaria, nel corso delle verifiche fiscali nei confronti di aziende obbligate alla certificazione dei corrispettivi tramite scontrino o ricevuta fiscale, procede alla ricostruzione indiretta del ciclo d’affari, confrontando i singoli documenti certificativi emessi (dati rilevati dalle matrici delle ricevute fiscali conservate, ovvero dal giornale di fondo del registratore di cassa) con i singoli pagamenti effettuati dal cliente tramite carte di debito o di credito.

Tale riscontro, oltre ad interessare masse di operazioni, viene anche eseguito per singola operazione di cessione o prestazione, nel senso che il personale ispettivo cerca tendenzialmente di rilevare la precisa corrispondenza tra la somma indicata nel documento certificativo emesso e l’importo accreditato sul conto aziendale mediante strumenti elettronici di pagamento.

La mancanza di tale corrispondenza può indurre i verificatori a ricostruire (in modo appunto indiretto) il volume d’affari imputando in aumento a quanto dichiarato dal contribuente le differenze positive tra gli accrediti operati con strumenti di pagamento elettronico e i singoli documenti dal medesimo emessi.

Indicazioni di prassi. La stessa Guardia di Finanza, nell’istruzione operativa n. 1/2008 in tema di verifiche fiscali, segnala ai propri Reparti la possibilità di esperire tale tipologia di riscontro, associandola di norma ad altre tipologie di verificazioni esperibili in locali aperti al pubblico (quali, bar, ristoranti, pub, pizzerie, discoteche, stabilimenti balneari, etc.); in particolare vengono evidenziate, quali attività utili per acquisire elementi di fatto su cui impostare un procedimento di ricostruzione del reale volume d’affari dell’azienda, la rilevazione delle presenze giornaliere della clientela mediante rilevamenti diretti da parte del personale ispettivo (anche in forma riservata), ovvero mediante rilevamenti fotografici.

Trattasi di rilevamenti (quelli delle presenze) che difficilmente possono, per se stessi, validamente supportare una ricostruzione di tipo indiretto e le conseguenti proposte di recupero a tassazione; tuttavia, qualora siano corroborati da altre circostanze, tra le quali, appunto, la discordanza tra importi certificati e importi risultanti dai pagamenti elettronici, ben possono fornire un quadro generale di carattere fortemente indiziario, su cui impostare proficuamente la ricostruzione del reale ciclo d’affari.

Lo stesso documento di prassi osserva, con specifico riferimento al confronto fra documenti fiscali emessi e risultanze degli strumenti di pagamento elettronico, come la stessa giurisprudenza di legittimità abbia, tra l’altro, “riconosciuto fondata, ex art. 54, comma 2, del D.P.R. n. 633/72, la presunzione di occultamento di maggiori ricavi ove dalla documentazione contabile risulti un divario tra la somma degli importi coperti da scontrini fiscali e la somma, superiore, degli importi incassati tramite carte di credito, in relazione all’obbligo del contribuente, ex art. 24 del medesimo decreto, di indicare, nell’apposito registro, l’ammontare complessivo dei corrispettivi giornalieri, ivi compresi quelli relativi a pagamenti parziali e nel giornale di fondo tutti i corrispettivi, anche se non riscossi”.

La difesa del contribuente. E’ evidente, tuttavia, come non esista alcuna norma positiva che imponga al contribuente una perfetta coincidenza tra importo certificato con scontrino o ricevuta fiscale e importo risultante dal pagamento elettronico.

Si pensi, a titolo esemplificativo, ai casi in cui la prestazione del ristorante sia stata fornita ad una comitiva di persone le quali, al termine della stessa, abbiano pagato separatamente le proprie consumazioni, alcuni con bancomat, altri con carta di credito, altri infine in contanti, a fronte dell’emissione di un unico scontrino fiscale per l’importo complessivo: l’organo verificatore, riscontrando in tal caso una serie di pagamenti elettronici a fronte dei quali non esistono documenti certificativi per ogni singolo importo, potrebbe contestare la mancata documentazione della sommatoria dei corrispettivi risultanti da tali pagamenti, nonché la mancata emissione di tanti scontrini, quanti sono numericamente gli accrediti bancari privi di riscontro.

E’ vero che in numerose occasioni la giurisprudenza di merito ha affermato che la mancata corrispondenza tra le risultanze del Pos e gli scontrini fiscali, rientrando nell’ambito delle ccdd. “presunzioni semplici”, non è, da sola, significativa della mancata emissione degli scontrini stessi (cfr, ad esempio sentenza CTR dell’Aquila, sezione distaccata Pescara, n. 188/2013); è anche vero che il contribuente, in sede di contraddittorio, potrebbe riuscire a giustificare le incongruenze evidenziate dai verbalizzanti utilizzando, ad esempio, documenti extracontabili normalmente emessi per la gestione dei tavoli; ma è altrettanto vero che, a distanza di tempo, tale ricostruzione analitica potrebbe risultare di fatto impossibile al contribuente che, di conseguenza, potrebbe trovarsi a gestire un contenzioso dall’esito incerto.

Il rischio connesso alla verbalizzazione di tali violazioni, soprattutto con riferimento alla possibilità per l’Amministrazione finanziaria di irrogare, dopo aver accertato quattro mancate emissioni in giorni diversi, la sanzione accessoria della chiusura dell’esercizio, dovrebbe suggerire al contribuente l’opportunità di uniformare le proprie procedure di certificazione dei corrispettivi, facendo sì che ad ogni accredito elettronico corrisponda necessariamente uno scontrino o una ricevuta fiscale per l’esatto importo, ancorché tale modus operandi si possa rivelare particolarmente oneroso.

Autore: Marco Brugnolo

Anno nuovo ravvedimento nuovo

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – Il D.lgs. 158/2015 ha modificato l’art. 13 del D.lgs. 472/1997, dimezzando la sanzione base prevista per gli omessi o insufficienti versamenti delle imposta.

Si passa così da una sanzione del 30% ad una sanzione del 15%. Tuttavia, tale riduzione si applica solo per i ritardi fino a 90 giorni. Dal 91° giorno la sanzione torna ad essere del 30%.

Inoltre, è dimezzata, altresì la sanzione base per i ritardi nei versamenti entro 14 giorni dalla violazione, passando così dal 2% all’1%.

La riforma del sistema sanzionatoria entra il vigore dal 1° gennaio 2016, con l’applicazione del favor rei.

Come cambia il ravvedimento dal 2016 – Il 31 dicembre 2015, dunque, va in pensione la sanzione del 30% per i ritardi di versamento entro i 90 giorni e del 2% per i ritardi entro i 14 giorni e ciò avrà dei riflessi anche per l’istituto del ravvedimento operoso, con la conseguenza che a decorre dal 1° gennaio 2016, le nuove sanzioni saranno:

  • Ravvedimento sprint: con sanzione, per ogni giorno di ritardo, pari a 1/10 della sanzione prevista per i pagamenti eseguiti entro 14 giorni dalla violazione (quindi 1/10 dell’1% cioè 0,1% per ogni giorno di ritardo fino al 14° giorno). In tal caso, dunque, la sanzione massima applicabile sarà del 1,4% (0,1 per 14 giorni di ritardo) a fronte del 2,8% ante-riforma (0,2% x 14 giorni di ritardo).
  • Ravvedimento breve: con sanzione pari ad 1/10 della sanzione base se il versamento è eseguito entro 30 giorni dalla violazione (quindi 1/10 del 15% e cioè 1,5%);
  • Ravvedimento intermedio: con sanzione pari ad 1/9 della sanzione base se il versamento è eseguito entro 90 giorni dalla violazione (quindi 1/9 del 15% e cioè 1,67%);
  • Ravvedimento lungo: con sanzione pari ad 1/8 della sanzione base (quindi 1/8 del 30% e cioè 3,75%) se il versamento è eseguito dal 91° giorno successivo la violazione ma entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale è stata commessa la violazione, ovvero, se non è prevista dichiarazione periodica, entro un anno dall’omissione o dall’errore;
  • Ravvedimento ultrannuale (solo per i tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate) con sanzione pari al 4,29%, a condizione che il versamento sia eseguito entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo a quello nel corso del quale è stata commessa la violazione, ovvero, se non è prevista dichiarazione periodica, entro 2 anni dall’omissione o dall’errore;
  • Ravvedimento “lunghissimo (solo per i tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate) con sanzione pari al 5% se il versamento è eseguito oltre il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo a quello nel corso del quale è stata commessa la violazione, ovvero, se non è prevista dichiarazione periodica, oltre 2 anni dall’omissione o dall’errore.

Gli effetti del favor rei – Come anticipato in premessa, la riforma sanzionatoria entra in vigore il 1° gennaio 2016 ma troverà applicazione il principio del favor rei, con la conseguenza che il contribuente potrà beneficiare della sanzione ulteriormente ridotta per regolarizzare anche le violazioni commesse nel 2015 con inevitabili risvolti positivi.

Cosi, ad esempio, con riferimento alla scadenza del 16 dicembre 2015 delle ritenute operate dal sostituto d’imposta sulle retribuzioni di novembre, qualora questi avesse omesso il versamento avrebbe potuto ravvedersi entro il 23 dicembre, poiché in tal caso avrebbe versato una sanzione massima pari a 1,4% (cioè 0,2% per 7 giorni di ritardo). Non gli sarebbe convenuto, invece, ravvedersi nel periodo 24/12 – 30/12, poiché in tal caso avrebbe applicato una sanzione superiore rispetto a quella applicabile attendendo il 2016.

Qualora, infatti, il sostituto d’imposta si fosse, ad esempio, ravveduto il 24 dicembre (il ravvedimento sprint è possibile fino a 14 giorni dalla violazione, quindi, fino al 30 dicembre) questi, avrebbe dovuto applicare una sanzione pari a 1,6% (0,2% per 8 giorni), ciò superiore a quella che applica aspettando il 2016 e ravvedendosi entro il 15 gennaio (1,5%).

Nemmeno gli converrebbe ravvedersi il 31 dicembre, poiché in tal caso dovrebbe applicare una sanzione ancora maggiore pari al 3% (1/10 del 30% e cioè quella del ravvedimento breve ante-riforma.)

Oltre, la sanzione, ovviamente occorre che egli versi l’importo omesso e gli interessi al tasso legale annuo per ciascun giorno di ritardo(pari allo 0,5% per il 2015 e allo 0,2% per il 2016).

Autore: Pasquale Pirone

Regime forfettario e attività escluse: continua a pagarne anche la seconda attività

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – il DDL di Stabilità 2016, definitivamente approvato (e quindi diventato legge) cambia ancora una volta il regime IVA agevolato dei minimi (forfettario dal 2015).

E’ possibile parlare di un vero e proprio mix tra quello che era il “vecchio regime dei minimi” (con aliquota del 5%) e il nuovo “regime forfettario” introdotto dalla Legge di stabilità 2015 (con aliquota del 15%).

Con la nuova manovra 2016, è, infatti, è innalzata di 15.000 (quindi si passa da 15.000 a 30.000 euro) la soglia di ricavi per l’accesso al regime per i liberi professionisti (per le altre categorie l’incremento della soglia è di 10.000 euro) ed è ridotta al 5% l’aliquota sostitutiva (in luogo del 15%) per i primi 5 anni di attività. Restano invece fermi gli altri requisiti di accesso (la spesa in un anno per dipendenti e collaboratori non deve superare i 5.000 euro lordi e non deve essere oltrepassata la soglia relativa all’acquisto di beni strumentali, fissata in 20.000 euro in un anno).

Inoltre, per chi, oltre all’attività di impresa, arte e professione esercitasse anche l’attività di lavoro dipendente, mentre la Legge di stabilità del 2015 prevedeva l’esclusione dal regime qualora i redditi da lavoro dipendente superassero i redditi d’impresa, arte e professione e contemporaneamente la somma dei redditi derivanti da attività professionale e dipendente eccedesse i 20.000 euro, la Legge di stabilità 2016 stabilisce, invece, che non può accedere al regime il contribuente che abbia conseguito, nell’anno precedente a quello in cui intende avvalersi del regime forfettario, un reddito da lavoro dipendente o assimilato superiore a 30.000 euro (salvo il caso in cui il lavoro dipendente risulti cessato).

Le attività che continuano ad esserne escluse – Continuano a restare “ex lege” esclusi dal regime agevolato in questione i soggetti che si avvalgono di regimi speciali IVA o di regimi forfetari del reddito (Risoluzione n. 73/E/2007). In particolare si tratta dei soggetti esercenti le seguenti attività: agricoltura e attività connesse e pesca; vendita sali e tabacchi; commercio dei fiammiferi; editoria; gestione di servizi di telefonia pubblica; rivendita di documenti di trasporto pubblico e di sosta; intrattenimenti, giochi e altre attività di cui alla tariffa allegata al D.P.R. n. 640/72; agenzie di viaggi e turismo; agriturismo; vendite a domicilio; rivendita di beni usati, di oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione; agenzie di vendite all’asta di oggetti d’arte, antiquariato o da collezione.

Sulla base di quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate con la successiva Circolare n. 7/E/2008 e in mancanza di successivi orientamenti, è da continuare a ritenersi valido, anche per il nuovo regime forfettario, quanto precisato nelle predetta circolare per i “vecchi minimi”. In particolare, quindi, un soggetto che esercita un’attività per cui è precluso l’accesso al regime forfettario (ad esempio agenzia di viaggi) non potrà avvalersi del regime forfettario nemmeno per una seconda attività che decidesse esercitare (ad esempio formatore per tour operetor). Infatti nella circolare, l’amministrazione finanziaria in risposta ad un quesito inerente affermava che “l’esercizio di una delle attività escluse, perché soggette ad un regime speciale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, comporta che il contribuente non potrà avvalersi del regime dei minimi neppure per le ulteriori attività di impresa o di lavoro autonomo eventualmente esercitate. In altri termini, l’esercizio di un’attività soggetta a regime speciale IVA, espressiva ai fini IRPEF di un reddito d’impresa, impedisce di avvalersi del regime dei minimi, non solo per il trattamento di tale attività, ma anche per le ulteriori attività di impresa, arte o professione”.

Nella stessa circolare l’Agenzia delle Entrate riporta, quindi a titolo esemplificativo, che l’esercente, una rivendita di tabacchi non potrà avvalersi del regime dei minimi per la stessa attività di rivendita tabacchi né per la connessa gestione del bar, a nulla rilevando che l’ammontare complessivo dei corrispettivi, riferito ad entrambe le attività, non superi i 30.000 euro.

Autore: Pasquale Pirone

Srl: opzione per il regime di trasparenza fiscale entro il 31 dicembre

Entro il prossimo 31 dicembre i soci di Srl che intendono aderire o prorogare di un ulteriore triennio il regime di trasparenza fiscale (c.d. “piccola trasparenza”) sono chiamati ad effettuare la comunicazione all’Agenzia delle Entrate, da trasmettere telematicamente su apposito modello.

Entro il termine del 31 dicembre 2014 le persone fisiche socie di società di capitali (con soci in numero non superiore a 10) o di società cooperative a responsabilità limitata (con soci in numero non superiore a 20) possono esercitare l’opzione per il regime della cosiddetta “piccolatrasparenza fiscale di cui all’art.116 Tuir con riferimento al triennio 2014 – 2016.

Entro lo stesso termine, va rinnovata l’opzione anche da parte di quelle persone fisiche che hanno aderito per il triennio 2011/2013 e intendono continuare ad applicare tale regime anche per il successivo triennio 2014/2016. L’opzione infatti non si rinnova automaticamente ma è richiesta una specifica conferma.

L’imputazione del reddito ai soci
Il regime fiscale della c.d. “piccolatrasparenza è un regime fiscale applicabile a società (Srl o Scarl) partecipate da sole persone fisiche. Il regime permette di tassare il reddito prodotto dalle Srl e dalle Scarl, con le modalità delle società di persone: in pratica, il reddito determinato in capo alla società viene ripartito e tassato in capo ai soci in relazione alle rispettive quote di partecipazione, mentre l’Irap continuerà ad essere dovuta dalla società.
Al pari delle società di persone, il reddito sarà tassato in capo ai soci indipendentemente dall’effettiva percezione, con riferimento al periodo di competenza; d’altro canto, quando la società distribuirà (anche in periodi d’imposta successivi alla vigenza dell’opzione) le riserve alimentate con utili conseguiti in vigenza dell’opzione per la trasparenza, i dividendi non subiranno alcuna ulteriore tassazione in capo ai soci.

I vantaggi
I principali vantaggi derivanti dall’opzione per questo regime sono i seguenti:

  • se i soci hanno un’aliquota marginale Irpef inferiore a quella Ires (ad oggi il 27,5%) si ottiene una riduzione della tassazione complessiva;
  • si evita di tassare una seconda volta il dividendo in sede di distribuzione (il dividendo distribuito partecipa, seppure parzialmente, al reddito complessivo del socio se la partecipazione qualificata oppure è tassato con una sostitutiva del 26 % se la partecipazione è non qualificata);
  • si migliorano gli indici reddituali della società e quindi le analisi poste in essere dal sistema bancario (non sono accantonate in bilancio le imposte, quindi l’utile risulta formalmente più elevato);
  • incrementando il reddito dichiarato dal socio, si allontanano rischi di eventuali verifiche fiscali legate alle manifestazioni della capacità di spesa del socio stesso (redditometro).

Gli svantaggi
L’opzione per il regime presenta anche degli svantaggi (o, per meglio dire, degli aspetti a cui occorre prestare particolare attenzione):

  • poiché sono i singoli soci a versare le imposte in luogo della società anche senza aver ricevuto alcun dividendo, occorre pianificare con attenzione le risorse finanziarie necessarie per tali pagamenti;
  • sotto il profilo tributario i soci diventano illimitatamente responsabili in solido tra di loro e con la società (al contrario, senza opzione per il regime di trasparenza, solo la società è responsabile per le imposte da questa dovute). Il regime deve quindi essere sconsigliato se esistono rischi fiscali in capo alla società ovvero se non esiste perfetta sintonia tra i soci.

Requisiti e adempimenti per aderire alla trasparenza fiscale
L’articolo 116 del Tuir prevede che per esercitare l’opzione per l’esercizio della trasparenza fiscale siano rispettati i seguenti requisiti:

  • volume di ricavi della Srl non superiore alle soglie previste per l’applicazione degli tsudi di settore;
  • compagine sociale composta esclusivamente da persone fisiche in un numero non superiore a 10 (Srl) o 20 (cooperative);

Per aderire al regime è necessario raccogliere il consenso di tutti i soci, mediante comunicazione da inviarsi alla società, per raccomandata o Pec, ed inviare telematicamente all’Agenzia delle Entrate, entro il 31 dicembre, una comunicazione da parte della società trasparente per comunicare l’adesione o la proroga del regime.

Il regime di trasparenza per le S.r.l

L'approssimarsi della fine dell'anno richiede sempre una verifica puntuale della gestione e l'effettuazione di alcuni adempimenti necessari per l'anno successivo. In questo articolo mi vorrei soffermare brevemente sul regime di trasparenza per le S.r.l., di estrema importanza ed attualità per le piccole e medie Srl dopo la riforma del diritto societario. 
 
Il regime previgente. Con la vecchia normativa la Srl pagava l'IRPEG (ora sostituita dall'IRES) ed al momento della distribuzione del dividendo (utile) i soci potevano, con un particolare meccanismo, scomputare dalla loro IRPEF personale l'IRPEG già pagata dalla società. Quindi, alla fine, possiamo dire che l'IRPEG era sostanzialmente "neutra" per i soci. 
 
L'attuale regime. La riforma fiscale, dal 2004, ha radicalmente modificato questo sistema. La Srl ora paga l'IRES (attualmente pari al 27,50% - previgentemente l'aliquota era del 33%, sugli utili fino al 2007), ma al momento della distribuzione del dividendo (utile) questo diventa nuovamente imponibile per il 49,72% (40% per gli utili fino all'anno 2007) in capo ai soci. Per fare un esempio con dei numeri, se l'utile della società è pari a 100, la Srl paga 27,50 di IRES ed il dividendo netto da distribuire è quindi pari a 72,50: di questi 36,04 (il 49,72% di 72,50) vengono nuovamente tassati ai fini IRPEF in capo ai singoli soci, portando spesso ad un consistente aggravio della tassazione. Ipotizzando ad esempio un'aliquota media IRPEF sull'utile distribuito pari al 38%, questo significa un ulteriore pagamento da parte dei soci di 13,70 a causa della distribuzione del dividendo, per cui l'utile della S.r.l., quando distribuito, alla fine sconta un'imposta in questo caso pari al 41,2% (27,50% in capo alla società e 13,70 in capo ai soci), oltre naturalmente all'IRAP (3,90%) ed alle altre tasse e contributi previsti dalla legislazione vigente. 
 
Il regime di trasparenza. La riforma fiscale ha però contestualmente introdotto una nuova possibilità per le Srl che è appunto il regime di trasparenza: sostanzialmente è simile a quanto già avviene per le società di persone (s.n.c., s.a.s.), in pratica la Srl non versa più l'IRES ed il dividendo viene tassato integralmente in capo ai soci, in base alle rispettive quote di partecipazione agli utili, indipendentemente però dal fatto che il dividendo venga poi effettivamente distribuito ai soci o rimanga invece all'interno della società. E' evidente che in questo caso la tassazione risulta in linea generale assai più conveniente, soprattutto per le piccole società, perché evita una parziale doppia imposizione prima in capo alla società, poi in capo ai soci una volta che il dividendo viene distribuito. Nell'esempio di cui sopra, se l'utile è pari a 100, questo viene integralmente tassato in capo ai soci: ipotizzando anche ora un'aliquota media IRPEF del 38%, la tassazione è pari a 38 e non a 41,2. 

Il confronto tra i regimi. Il regime di trasparenza presume, come detto poc'anzi, che tutto l'utile fiscale si considera distribuito ai soci in base alle rispettive quote di partecipazione, ed indipendentemente dal fatto che poi l'utile vanga effettivamente, in tutto o in parte, distribuito ai soci o rimanga, anche parzialmente, nella società. Il regime di trasparenza è in tutto e per tutto assimilabile a quanto previsto per le società di persone.

Il regime ordinario per le società di capitali prevederebbe invece la tassazione ai fini IRPEF del 49,72% dell'utile effettivamente distribuito. Questo significa che il socio pagherà le imposte nell'esercizio di distribuzione effettiva degli utili (principio di cassa), ma anche che pagherà le imposte solamente sull'utile effettivamente percepito (utile civilistico, di bilancio) e non su quello rilevante ai fini fiscali. Per i soci con partecipazioni minoritarie (c.d. “non qualificate”) questi pagano una ritenuta d'imposta, sostitutiva dell'IRPEF, pari attualmente al 12,50% di tutto il dividendo distribuito.

Pertanto in caso di presenza di rilevanti costi indeducibili (in primis l'IRAP, e quindi le aziende con elevati costi del personale dipendente e/o oneri finanziari dovranno valutare attentamente se valga la pensa scegliere il regime di trasparenza) la convenienza del regime di trasparenza si fa via via meno sensibile, fino a portare anche ad un incremento dell'imposizione rispetto al regime normale.

Ritornando all'esempio fatto prima, se l'utile di bilancio fosse stato invece 60 ed i costi indeducibili fossero stati 40, l'utile fiscale sarebbe rimasto 100, ma con il regime ordinario la società avrebbe pagato sempre il 27,50% di IRES su 100 (e quindi 27,50 come nell'esempio precedente), ma l'utile distribuito non sarebbe stato 100 - 27,50 = 72,50, bensì 60 (utile di bilancio) - 27,50 = 32,50. Sul 49,72% di 32,50, e quindi su € 16,16, i soci avrebbero pagato la loro IRPEF, che in caso di aliquota media sempre pari al 38% (ma che in teoria dovrebbe essere minore, essendo minore il reddito) ammonterebbe ad € 6,14. L'aliquota fiscale complessiva tra società e soci sarebbe pertanto del 33,64%, e quindi assai più conveniente di quella del 38% ottenuta per trasparenza.

La convenienza. Quali regole potere a questo punto trarre, per individuare il regime più conveniente? Chiaramente non c'è una regola generale, valida in tutti i casi. Solamente l'esame concreto della specifica situazione, con una bozza di calcolo, può dare una risposta il più possibile attinente al caso esaminato. In linea di massima, si può comunque dire che, generalmente, il regime di trasparenza, conviene:
- Quando gli utili conseguiti sono modesti, o almeno la quota pro-socio è modesta, ed i soci non posseggano altri redditi in misura consistente, così che gli utili realizzati dalla società vengano tassati con le aliquote IRPEF più basse;
- Quanto l'utile di bilancio non sia troppo distante dall'utile fiscale, cioè quando la società non presenta rilevanti costi indeducibili. In questo modo l'utile fiscale e quello effettivamente distribuito sono abbastanza vicini tra loro, ed allora si aggiunge il vantaggio di non avere una parziale duplicazione di imposizione IRES+IRPEF. Si ricorda di considerare attentamente l'IRAP, in gran parte indeducibile, pertanto tutte le società che presentano elevati costi indeducibili ai fini IRAP come personale dipendente ed oneri finanziari, raramente avranno convenienza ad utilizzare il regime di trasparenza.

In pratica, nelle situazioni più comuni, e soprattutto nelle S.r.l. di minori dimensioni, con utili non particolarmente elevati e senza alti costi del personale dipendente, il regime di trasparenza consente spesso un vantaggio, talvolta anche notevole, in termini di imposizione fiscale. Viceversa, per le realtà di maggiori dimensioni o che impieghino molto personale, il regime di trasparenza può spesso portare a svantaggi.

Utili non distribuiti. Il discorso si ribalta per le società che sono abituate ad accantonare a riserva gli utili o a distribuirne solamente una minima parte ai soci. In questo caso, finché l'utile rimane all'interno della società, il regime ordinario risulta più conveniente rispetto al regime di trasparenza, in quando non venendo distribuiti utili, non c'è una doppia tassazione IRES-IRPEF, e l'aliquota IRES del 27,50% risulta generalmente vantaggiosa in confronto con l'IRPEF, a meno che non si tratti di redditi molto modesti (del resto risulta invero poco frequente che in caso di utili modesti, questi vengano tutti accantonati e non venga distribuito nulla ai soci).

I requisiti ed i termini per l'opzione. Per usufruire del regime di trasparenza occorre che la società possieda una serie di requisiti richiesti dalla legge, come, ad esempio, un ammontare dei ricavi non superiore generalmente a 5 milioni di Euro ed un numero di soci - che devono essere tutte persone fisiche - non superiore a 10; altri requisiti andavano invece eventualmente già valutati in corso d'anno per fare in modo di non trovarsi in prossimità della scadenza per l'opzione senza possedere i requisiti richiesti. L'opzione per il regime di trasparenza va comunicata all'Agenzia delle Entrate, esclusivamente in via telematica, entro il termine tassativo del 31 dicembre del primo anno di utilizzo di questo regime ed è vincolante per un periodo di tre anni.  È importante pertanto ricordarsi, ricorrendone i presupposti e la convenienza, di rinnovare il regime ogni tre anni, altrimenti decade.
 
Ulteriori vantaggi. Oltre a quanto già precisato, il regime di trasparenza, eliminando dal bilancio la tassazione IRES rende inoltre possibile, con un carico tributario complessivo come visto generalmente inferiore, la presentazione di un utile maggiore in bilancio, in quanto la tassazione è per la maggior parte "spostata" dalla società ai soci: questo elemento può risultare utile ad esempio quando il bilancio viene presentato in banca per richiedere affidamenti. Inoltre, in presenza di utili modesti e soprattutto in caso di oneri finanziari e/o costi del personale elevati, questa soluzione evita alla società, in utile prima del calcolo delle imposte, di evidenziare poi una perdita a causa dell'indeducibilità dell'IRAP dall'IRES. Questione complessa, che richiederebbe una trattazione più ampia che tuttavia esula dallo scopo di questa breve pagina. 
 
I compensi agli amministratori. Due parole sui compensi agli amministratori. Premesso che non è questa la sede per parlare di una materia così ampia e delicata, mi limito a sottolineare come alcune società, per ovviare il problema della parziale doppia tassazione IRES-IRPEF, abbiano deliberato consistenti compensi agli amministratori, in grado di assorbire tutto o quasi il reddito della società. A parte che un tale comportamento non è corretto, in quanto i compensi dovrebbero essere proporzionati all'attività amministrativa effettivamente prestata, ciò penalizzerebbe ulteriormente la società: infatti, senza conseguire alcun vantaggio in termini di tassazione, anzi avendone un aggravio a causa dei maggiori contributi previdenziali in questo caso dovuti sui compensi agli amministratori, si rischierebbe poi il possibile verificarsi di una eventuale situazione di non congruità con gli studi di settore, in quanto i compensi corrisposti agli amministratori presumono sempre maggiori ricavi. L'opzione del regime di trasparenza risolve invece direttamente il problema e quindi, in linea generale, è senz'altro la soluzione da preferire.

Voluntary disclosure: notifica via PEC dal 2016

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Con un emendamento al disegno di legge di Stabilità 2016, che dovrà ottenere l’approvazione della Commissione bilancio della Camera, si prevede che, a partire dal 1° gennaio 2016, tutte le notifiche relative alla voluntary disclosure vengano inviate alla PEC del professionista che ha inviato l’istanza. Solo nei casi in cui l’indirizzo PEC fornito dal professionista in sede di presentazione dell’istanza risulti inattivo o irraggiungibile si procederà alla notifica degli atti con le tradizionali modalità.

Nel caso di invio via PEC degli atti della voluntary disclosure, la notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore della mail trasmette all’Agenzia delle Entrate la ricevuta di accettazione con la relativa attestazione temporale che certifica l’avvenuta spedizione del messaggio.

La novità in questione intende evitare problemi di comunicazione tra Agenzia e contribuente; quest’ultimo infatti per i più svariati motivi potrebbe non ricevere o ricevere in ritardo le notifiche da parte dell’agenzia delle Entrate, con possibili conseguenze negative sul perfezionamento della procedura. Ovviamente, giocherà un ruolo fondamentale il professionista che ha assistito il contribuente nell’adesione alla procedura di collaborazione volontaria. Sarà quest’ultimo che dovrà accettare la ricezione delle notifiche e poi comunicarle tempestivamente al contribuente.

Si ricorda che per le istanze presentate dal 10.11.2015 al 30.11 le notifiche arriveranno dal Centro operativo di Pescara, in quanto ufficio competente a gestire le suddette istanze.

Infatti, con il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate Prot. n. 2015/142716 del 06.11.2015 è stato individuato nel Centro operativo di Pescara l’assegnatario delle istanze inviate a partire dal 10 Novembre, con la necessità dunque di inviare la relazione di accompagnamento e la documentazione a corredo all’istanza di voluntary disclosure, esclusivamente mediante posta elettronica certificata alla casella del Centro operativo di Pescara vd.cop@postacert.agenziaentrate.it.

E’ da evidenziare che si fa riferimento esclusivamente alle istanza inviate per la prima volta. Per le integrazioni di istanze già presentate prima del 10.11.2015 era necessario inoltrare la richiesta alla Direzione Regionale competente.

Nell’ottica di agevolare il rapporto con i contribuenti, è prevista la possibilità, su istanza del contribuente, di effettuare eventuali fasi del procedimento in contradditorio presso altre sedi dell’Agenzia.

Autore: redazione fiscal focus

Pensione ai superstiti: a chi spetta?

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Il passaggio a nuove nozze fa perdere il diritto al trattamento pensionistico ai superstiti

Nell’ambito dell’art. 22 della L. n. 903/1965, che disciplina il trattamento pensionistico ai superstiti, risulta di fondamentale importanza capire chi può accedere alla successione del de cuius e a quali requisiti. A tal fine, l’INPS con la recente Circolare n. 185/2015 ha tracciato una linea guida che vede – in ordine di spettanza – i seguenti beneficiari: coniuge superstite, coniuge divorziato superstite, figli ed equiparati, genitori, fratelli celibi e sorelle nubili.

Ma vediamo nel dettaglio i requisiti che ciascun potenziale percettore deve avere affinché veda riconosciuto il trattamento pensionistico.

Coniuge superstite – Partendo dal coniuge superstite, il conseguimento del diritto al trattamento pensionistico ai superstiti non è subordinato a nessuna condizione soggettiva. Unica eccezione si ha in caso di nuove nozze da parte del coniuge superstite; in tale caso, si ha diritto ad un assegno pari a due annualità della pensione, ex art. 3 del decreto legislativo luogotenenziale del 18 gennaio 1945, n. 39 nella misura spettante alla data del nuovo matrimonio.

Coniuge divorziato superstite – Particolare è invece il caso del coniuge divorziato superstite che, ai sensi del secondo comma dell’articolo 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, stabilisce che “in caso di morte dell’ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare dell’assegno ai sensi dell’art. 5, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza”.

Pertanto, nel caso in cui l’assicurato, a seguito di divorzio, non sia passato a nuove nozze, il coniuge divorziato superstite ha diritto al trattamento pensionistico in presenza delle seguenti condizioni:

  • abbia la titolarità dell’ assegno periodico divorzile di cui all’articolo 5 della legge n. 898 del 1970. Al riguardo, si precisa che, in caso di liquidazione dell’assegno divorzile in un’unica soluzione, il coniuge divorziato superstite che lo ha ricevuto perde il diritto al trattamento pensionistico ai superstiti, venendo meno il legame patrimoniale con il de cuius;
  • non risulti passato a nuove nozze. Il passaggio a nuove nozze esclude il coniuge divorziato dal diritto alla pensione ai superstiti anche se alla data del decesso dell’assicurato o del pensionato il nuovo matrimonio risulti sciolto per morte del coniuge o per divorzio;
  • la data di inizio del rapporto assicurativo del de cuius sia anteriore alla data della sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio;risultino perfezionati, in caso di decesso di assicurato, i requisiti di assicurazione e contribuzione stabiliti dalla legge.
  • risultino perfezionati, in caso di decesso di assicurato, i requisiti di assicurazione e contribuzione stabiliti dalla legge.

Sul punto si rammenta che, in caso di concorso di coniuge divorziato e coniuge superstite, mancando nella norma previsioni circa le aliquote di pensione spettanti, la ripartizione sarà operata dal Tribunale a cui il coniuge divorziato dovrà rivolgersi per ottenere il riconoscimento del proprio diritto e la determinazione della relativa misura. L’importo del trattamento pensionistico complessivamente attribuibile al coniuge superstite e al coniuge divorziato è pari al 60% della pensione già liquidata o che sarebbe spettata all’assicurato deceduto.

La sentenza del giudice costituisce giuridicamente il titolo per la determinazione dell’ammontare delle relative quote spettanti.

Pertanto, in tale fattispecie, le sedi, in attesa della notifica della sentenza del Tribunale:

  1. verificheranno se sulla pensione diretta del dante causa veniva trattenuto l’importo dell’assegno divorzile e, in caso affermativo, accantoneranno cautelativamente una somma mensile di pari importo dalla quota di pensione spettante al coniuge superstite;
  2. non erogheranno al coniuge divorziato alcuna quota di pensione;
  3. effettueranno i pagamenti nella misura stabilita al soggetto avente diritto, ossia al coniuge superstite, detraendo da detta quota, un importo pari all’assegno divorzile di cui al precedente punto 1.

A decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello della notifica del provvedimento del Tribunale, le sedi ripartiranno la prestazione tra gli aventi diritto che abbiano presentato domanda di pensione, sulla base di quanto stabilito dal Giudice. Contestualmente al primo pagamento, al coniuge divorziato verrà liquidata l’eventuale quota cautelativamente accantonata.

Figli ed equiparati – A seguito dell’equiparazione giuridica tra “figli legittimi” e “figli naturali”, sostituendo tali termini semplicemente con quello di “figlio”, l’art. 22 del D.Lgs. n. 903/1965 stabilisce che hanno diritto alla pensione ai superstiti i figli e le persone ad essi equiparati che alla data di decesso dell’assicurato o del pensionato non abbiano superato il 18° anno di età o, indipendentemente dall’età, siano riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di quest’ultimo.

Sul punto, si ricorda che per i figli superstiti studenti che non prestino lavoro retribuito e a carico del genitore defunto al momento della morte, il limite di 18 anni è elevato a 21 anni in caso di frequenza di scuola media o professionale e a tutta la durata del corso di laurea, ma non oltre al 26° anno di età, in caso di frequenza dell’Università.

Genitori – In assenza del coniuge e dei figli o se, pur esistendo essi non abbiano diritto alla pensione ai superstiti, il diritto al trattamento pensionistico in parola è riconosciuto ai genitori dell’assicurato o pensionato che al momento della morte di quest’ultimo:

  • abbiano compiuto il 65° anno di età;
  • non siano titolari di pensione diretta o indiretta;
  • siano a carico del lavoratore deceduto.

Resta fermo che qualora il genitore, dopo il conseguimento del trattamento pensionistico ai superstiti, diventa beneficiario di un’altra pensione, perde il diritto alla pensione ai superstiti con effetto dal primo giorno del mese successivo a quello di decorrenza della nuova pensione.

Fratelli celibi e sorelle nubili – Infine, in assenza sia del coniuge che dei figli o del genitore o se, pur esistendo essi non abbiano diritto alla pensione ai superstiti, il diritto al trattamento pensionistico in parola è riconosciuto ai fratelli celibi e sorelle nubili dell’assicurato o pensionato che al momento della morte di quest’ultimo:

  • siano inabili al lavoro;
  • non siano titolari di pensione diretta o indiretta;
  • siano a carico del lavoratore deceduto.
Autore: redazione fiscal focus

Pensioni: fermo il limite dei 1.000 euro

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Sempre più caos nella complessa disciplina della circolazione del contante: pensioni bloccate a 1.000 euro e carte di credito per il parchimetro

Il limite per la circolazione del contante, dal 2016, si innalzerà a 3.000 euro, ma non se a pagare è una pubblica amministrazione: in questo caso, il limite rimarrà fermo a 1.000 euro.

Micro-pagamenti con carte di credito che si affiancano a maxi-pagamenti in contanti, obblighi differenziati in base alla natura pubblica o privata del soggetto che procede al versamento delle somme: insomma, se oggi ci lamentiamo del caos che regna in tema di pagamenti in contanti, sicuramente le nostre speranze non potranno essere riposte nel futuro.

Il limite dei 1.000 euro

Con un emendamento della legge di Stabilità approvato nella giornata di martedì viene previsto che “si mantiene fermo per le pubbliche amministrazioni l’obbligo di procedere al pagamento degli emolumenti a qualsiasi titolo erogati superiori a mille euro esclusivamente mediante l’utilizzo di strumenti telematici“.

È stata quindi accolta la proposta del presidente dell’Inps Tito Boeri, che in occasione dell’audizione in commissione Enti previdenziali, aveva chiesto al governo particolari cautele con riferimento alle corresponsioni, in contanti, delle pensioni.

Il rischio è infatti soprattutto quello che i pensionati finiscano per essere truffati nel prelievo del contante, ma, altro aspetto essenziale è dato anche dal fatto che, parte del 20 % dei complessivi risparmi nei costi operativi dell’Inps negli ultimi tre anni è imputabile ai pagamenti effettuati mediante bonifico o assegno.

Nonostante l’innalzamento del limite per il pagamento in contanti, rimarrà quindi l’obbligo, per molti pensionati, di ricevere i versamenti mediante strumenti tracciabili di pagamento: l’emendamento, però, si badi bene, non si limita a riproporre il vecchio limite soltanto per le pensioni erogate dall’Inps, ma anche in tutti i casi in cui a pagare sia una pubblica amministrazione.

Gli altri provvedimenti

Il mini-restyling della legge di stabilità è stato l’esito di una lunga maratona di 37 ore in Commissione Bilancio alla Camera.

Dalla mattinata di lunedì al martedì sono stati infatti accolti una serie di emendamenti e il testo definitivo è stato approvato soltanto in tarda serata.

Per questi motivi, il provvedimento arriverà in Aula soltanto nella giornata di oggi, con uno slittamento di un giorno rispetto ai previsti programmi, mentre l’approvazione della Camera è previsto per domenica.

Molti i provvedimenti allo studio: dall’innalzamento delle borse di studio, alla card di 500 euro ai diciottenni per l’acquisto di libri, l’accesso a monumenti, aree archeologiche, parchi naturali, cinema, teatro, mostre e spettacoli dal vivo, ma anche il nuovo credito d’imposta per l’installazione d’impianti di allarme e l’eliminazione della “supertassa” su yacht e imbarcazioni di lusso introdotta nel 2011.

Sempre sul fronte “contanti”, un’altra novità potrebbe essere introdotta dal 1° luglio 2016: la possibilità di pagare il parchimetro sulle strisce blu con bancomat e carte di credito.

Autore: redazione fiscal focus

Agevolazioni:immobili destinati alla locazione

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Le spese che godono dell’agevolazione

Premessa – E’ stato pubblicato in “Gazzetta Ufficiale” n. 282 del 3 dicembre il decreto 8 settembre che regolamenta la deduzione Irpef del 20% sul prezzo di acquisto degli immobili destinati alla locazione. Secondo quanto previsto per fruire dell’agevolazione le unità immobiliari devono risultare invendute alla data del 12 novembre 2014.

Agevolazione – Come noto, a favore delle persone fisiche (privati) che nel periodo 1.1.2014 – 31.12.2017 sostengono spese per l’acquisto/costruzione di unità immobiliari da destinare a locazione, l’art. 21, DL n. 133/2014 riconosce una specifica deduzione dal reddito complessivo. Con il Decreto 8.9.2015, pubblicato sulla G.U. 3.12.2015, n. 282, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) e il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) hanno definito, ai sensi del comma 6 del citato art. 21, “le ulteriori modalità attuative”, stante la “ravvisata necessità di fornire ai contribuenti un’informazione completa sui soggetti legittimati, sui titoli abilitanti, sui termini previsti e sugli adempimenti amministrativi necessari per usufruire della deduzione …”.

Le spese – L’agevolazione in esame spetta per le spese sostenute dall’1.1.2014 al 31.12.2017 in relazione all’acquisto ovvero alla costruzione su un’area edificabile già posseduta. La deduzione è riconosciuta per l’acquisto di unità immobiliari a destinazione residenziale di nuova costruzione ovvero oggetto di ristrutturazione/restauro/risanamento conservativo ex art. 3, comma 1, lett. c) e d), DPR n. 380/2001 cedute dall’impresa/cooperativa edilizia costruttrice o che ha effettuato il predetto intervento.

Unità invendute – Ai fini dell’agevolazione l’unità immobiliare deve risultare invenduta al 12.11.2014 (data di entrata in vigore della legge di conversione del DL n. 133/2014). Come precisato dall’art. 1 del recente DM, è considerata tale quella che a detta data era già interamente/parzialmente costruita ovvero per la quale a tale data era stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio, comunque denominato ovvero per la quale a tale data “era stato dato concreto avvio agli adempimenti propedeutici all’edificazione quali la convenzione tra Comune e soggetto attuatore dell’intervento, ovvero gli accordi similari comunque denominati dalla legislazione regionale”.

Soggetti – Come stabilito dall’art. 2 del citato DM la deduzione è riconosciuta ai soggetti titolari del diritto di proprietà dell’unità immobiliare in relazione alla quota di proprietà per l’acquisto di unità abitative per le quali, nel periodo 1.1.2014 – 31.12.2017, è stato rilasciato il certificato di agibilità o si sia formato il silenzio – assenso ex art. 25, DPR n. 380/2001.

Costruzione – L’agevolazione spetta altresì per le prestazioni di servizi, dipendenti da un contratto d’appalto, per la costruzione di unità immobiliari a destinazione residenziale su aree edificabili possedute prima dell’inizio dei lavori o sulle quali sono già riconosciuti diritti edificatori. Come specificato dall’art. 3 del citato DM, le spese devono essere attestate dalle fatture emesse dall’impresa che esegue i lavori di costruzione. La deduzione è riconosciuta per la costruzione di unità immobiliari, da ultimare entro il 31.12.2017, per le quali prima del 12.11.2014 è stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio, comunque denominato e per le spese attestate nel periodo 1.1.2014 – 31.12.2017.

Autore: redazione fiscal focus

Responsabilità TASI tra comproprietari e coinquilini

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – La caratteristica peculiare della TASI è che, a differenza dell’IMU, si tratta di un tributo dovuto sia dal possessore dell’immobile (a titolo di proprietà, usufrutto, ecc.) sia dal detentore/occupante l’immobile. La percentuale di TASI dovuta da quest’ultimo è quella fissata dalla stessa delibera comunale nel rispetto dei limiti di legge (tra il 10% e il 30% e se nulla prevede la delibera si deve intendere la misura del 10%).

Dunque, se per il versamento dell’IMU la responsabilità del versamento ricade sul proprietario (o comproprietari con responsabilità “autonoma” e non solidale tra di essi), per la TASI oltre al proprietario è tenuto al versamento anche l’eventuale occupante (inquilino).

Tuttavia, il detentore dell’immobile (inquilino) è tenuto al versamento della sua quota TASI solo se nell’anno il possesso in capo ad egli si è protratto per più di sei mesi (considerando per intero il mese in cui il possesso si è protratto per più di 15 giorni). Infatti, ai sensi del comma 673 Legge n. 147/2013 (Legge di Stabilità 2014) “in caso di detenzione temporanea di durata non superiore a sei mesi nel corso dello stesso anno solare, la TASI è dovuta soltanto dal possessore dei locali e delle aree a titolo di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e superficie”.

Per la TASI, dunque, c’è da ben sapere su chi ricade la responsabilità in caso di omesso o insufficiente versamento tra comproprietari, coinquilini e tra proprietario e inquilino.

La responsabilità tra i comproprietari – A differenza dell’IMU, in cui ogni comproprietario è responsabile autonomamente della propria obbligazione tributaria, per la TASI i comproprietari sono responsabili solidalmente (comma 671 Legge n. 147/2013).

Dunque, ad esempio, in ipotesi di comproprietà tra due coniugi di un immobile soggetto alla TASI, in caso di omesso o insufficiente versamento da parte di uno dei due della propria quota TASI, ne risponde in solido anche l’altro coniuge comproprietario e, dunque, il comune, per il recupero delle somme dovute, potrà rivolgersi indifferentemente a tutti e due i comproprietari.

La responsabilità tra i coinquilini – Spesso può accadere che l’inquilino dell’immobile sia più di uno e in tal caso ognuno verserà la sua quota TASI in ragione della percentuale di possesso. Quindi, ad esempio, nel caso di contratto di locazione cointestato tra tre conduttori, ognuno versa la sua quota TASI nella misura del 33,33 per cento ciascuno. Al riguardo si supponga un immobile con rendita catastale di 1.700,00 euro e che la delibera TASI stabilisca un’aliquota al 2 per mille (sia per acconto che saldo) e la quota TASI a carico dell’occupante nella misura del 20%. La TASI dovuta da ciascun coinquilino sarà così determinata:

  • TASI complessiva= [(1.700 + 5%) x 160] x 0,2% = 571,20
  • TASI complessiva occupante = 571,20 x 20% = 114,24
  • TASI ciascun coinquilino = 114,24 x 33,33% = 38,08

Ciascun inquilino versa una TASI 2015 per l’importo complessivo di 38,08 euro da ripartire tra acconto e saldo.

Come per i comproprietari, anche per i coinquilini, il comma 671 della Legge n. 147/2013, sancisce la responsabilità solidale tra di essi. Pertanto, in caso di omesso o insufficiente versamento da parte di uno dei tre inquilini, ne rispondono in solido anche gli altri e, dunque, il comune, per il recupero delle somme dovute, potrà rivolgersi indifferentemente a tutti e tre.

La responsabilità tra proprietario e occupante – Ultima ipotesi da esaminare e la responsabilità tra proprietario e occupante l’immobile. In particolare, ai sensi del comma 681 della stessa Legge n. 147/2013 “nel caso in cui l’unità immobiliare è occupata da un soggetto diverso dal titolare del diritto reale sull’unità immobiliare, quest’ultimo e l’occupante sono titolari di un’autonoma obbligazione tributaria”.

Pertanto, proprietario e inquilino rispondono ciascuno per la propria quota TASI non versata o versata in maniera insufficiente, senza responsabilità solidale tra di essi.

In conclusione, dunque, riguardo la TASI, la responsabilità solidale esiste tra comproprietari e tra coinquilini, mentre non esiste tra proprietario e inquilino, i quali sono titolari di un’autonoma obbligazione tributaria.

Autore: PASQUALE PIRONE

La Guardia di Finanza definisce gli obiettivi operativi per il 2016

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Quattro sono gli obiettivi individuati dal Comando Generale della Guardia di Finanza nella circolare concernente la programmazione operativa per l’anno 2016, pubblicata il 10 dicembre scorso. Tre di tali obiettivi sono definiti “strategici”, quindi vincolanti; il quarto, “obiettivo di natura strutturale”.

Trattasi, in aderenza alle direttive programmatiche in precedenza impartite dall’Autorità di governo, di azioni di contrasto agli illeciti in materia tributaria e di spesa pubblica, ma anche finalizzate alla tutela dell’economia legale, in conformità ai compiti istituzionali riconosciuti al Corpo dal D.Lgs 19 marzo 2001, n. 68, nel suo ruolo di Polizia economica e finanziaria.

Contrasto all’evasione, all’elusione e alle frodi fiscali. L’obiettivo, definito “strategico”, riguarda il core business del Corpo; lo stesso dovrà essere attuato mediante l’esecuzione di 20 piani operativi, la metà dei quali “con indicatore di attuazione predeterminato”; i restanti “con indicatore di attuazione generico”.

I 10 piani vincolanti riguardano i tradizionali settori delle verifiche e dei controlli fiscali; nulla di nuovo sotto tale aspetto, in quanto nel target delle attività ispettive da programmare nel prossimo anno rientrano tutti i contribuenti titolari di partiva IVA: imprese di minori, medie e rilevanti dimensioni, lavoratori autonomi, enti non commerciali e Onlus.

Oggetto delle attività ispettive saranno tutti i comparti tributari (imposte sui redditi, Iva, altri tributi indiretti, accise) e comprenderanno, come già avvenuto nei precedenti anni, anche il contrasto alle frodi all’Iva comunitaria, i controlli richiesti da Autorità fiscali estere su base convenzionale, le azioni a tutela della riscossione, nonché il controllo economico del territorio attuato anche mediante il servizio di pubblica utilità “117”.

I 10 piani operativi con indicatore di attuazione generico riguardano comunque settori che hanno caratterizzato l’azione operativa della Guardia di Finanza anche nelle precedenti annualità ma, essendo privi di vincoli predeterminati, saranno adattati in corso d’anno; i settori operativi interessati vengono individuati nel sommerso d’azienda e di lavoro, fiscalità internazionale, evasione immobiliare e affitti in nero, giochi e scommesse illegali, imprese in perdita sistemica, indebite compensazioni di crediti d’imposta.

I numeri dei controlli. Sotto il profilo quantitativo, la direttiva del Comando generale prevede l’esecuzione di un piano ispettivo generale basato sugli stessi numeri dell’anno in corso, prevedendo tuttavia una riduzione del carico operativo assegnato al Comandi Regionali Emilia Romagna e Lazio.

Nel primo caso, la riduzione operativa si giustifica con la necessità di completare gli interventi ispettivi scaturiti dalle risultanze dell’indagine nota come “Operazione Torre d’Avorio”, delegata dalla Procura di Forlì al locale Nucleo di Polizia Tributaria, nel cui contesto sono stati acquisiti dati relativi agli anni dal 2006 al 2014, su rapporti bancari detenuti presso istituti di credito sanmarinesi da circa 27 mila soggetti (per lo più imprenditori e lavoratori autonomi), due terzi dei quali risultano residenti nelle regioni prossime alla Repubblica del Titano.

La riduzione del carico prevista per i Reparti laziali è invece connessa alle esigenze di concorso con le altre forze di polizia all’ordine e alla sicurezza pubblica in occasione del Giubileo.

Contrasto agli illeciti in materia di spesa pubblica. L’obiettivo strategico in questione dovrà essere attuato mediante l’esecuzione di 10 piani operativi. In tale contesto vanno ricomprese tutte le attività di prevenzione e contrasto alle truffe a danno dei finanziamenti nazionali, comunitari, nonché dei contributi a carico dei bilanci delle regioni e deli enti locali.

Contrasto alla criminalità economica e finanziaria. Anche il terzo obiettivo, ugualmente di natura strategica, si profila in continuità con le linee operative degli anni precedenti. In tale ambito sono ricomprese le indagini patrimoniali per l’individuazione dei fondi e dei beni illecitamente accumulati dalla criminalità organizzata.

Nell’obiettivo in questione rientrano altresì le consuete azioni di contrasto al riciclaggio, sia sotto il profilo penale su delega dell’Autorità giudiziaria, sia su quello amministrativo con la programmazione di ispezioni e controlli antiriciclaggio; in tale contesto verranno incrementate le attività investigative nei confronti di soggetti con elevato tenore di vita e redditi dichiarati esigui se non nulli, proprio al fine di individuare fenomeni di riciclaggio o reinvestimento di proventi provenienti da attività criminose. Saranno peraltro perseguite anche le condotte di autoriciclaggio da evasione e frode fiscale, poste in essere dal 1° gennaio scorso, alla luce della nuova fattispecie delittuosa prevista e punita dall’art. 648-ter.1 del codice penale, introdotta dall’art. 3, comma 3 della Legge 15/12/2014, n. 186.

Concorso alla sicurezza interna del Paese. In tale ambito, ancora in continuità con l’azione operativa realizzata in passato, rientra il contrasto agli altri traffici illeciti, tra i quali quello concernente gli stupefacenti e le armi, nonché il contrasto all’immigrazione clandestina e alla tratta di esseri umani.

Si profila, tuttavia, analogamente a quanto previsto per le altre forze di polizia, un incremento dei servizi di vigilanza e di controllo del territorio per la sicurezza del Paese in occasione del Giubileo straordinario, recentemente indetto dal Santo Padre.

Autore: Marco Brugnolo

Lavoro & Previdenza 730: stop alle sanzioni di lieve entità

A cura di Antonio Gigliotti

Non sarà sanzionabile, per l’anno 2015, l’invio tardivo del mod. 730 precompilato. Le sanzioni si applicheranno solo dal prossimo anno

Sospiro di sollievo per professionisti, CAF e contribuenti che saranno “salvi” in caso di sanzioni per ritardi ed errori di lieve entità nella trasmissione del mod. 730 precompilato e della Certificazione Unica 2015. A prevederlo è un emendamento al Disegno di Legge Stabilità 2016 presentato giovedì scorso al Governo in commissione Bilancio alla Camera.

In ogni caso, non sfuggono alle sanzioni: la mancata presentazione del 730 ovvero l’indebita fruizione di detrazioni o deduzioni.

La novità si è resa necessaria in considerazione del fatto che il 2015, anno nel quale è stato introdotto il mod. 730 precompilato, ha carattere sperimentale; di conseguenza, le sanzioni previste avranno efficacia solo a partire dal prossimo anno.

Sul punto, si ricorda che la Legge di Stabilità 2016 ha previsto nuove modifiche in merito alle detrazione da inserire nel mod. 730. Innanzitutto, si segnala la possibilità di poter detrarre – fino ad un importo massimo di 1.550,00 euro – le spese funebri. Detrazione, che spetta sia ai parenti del defunto (de cuius) ma anche da chiunque abbia pagato le spese funebri. Per quanto riguarda, invece, le spese sostenute per la frequenza di corsi universitari non statali è previsto che la detraibilità massima sia parificata a quella degli istituti non provati e che vari a seconda della facoltà.

Sempre sul fronte delle detrazioni, appare opportuno evidenziare la possibilità di poter detrarre, anche per il 2016, al 50% le agevolazioni su ristrutturazioni edilizie e al 65% quelle per la riqualificazione energetica; mentre per il bonus mobili è al 50%. Altra detrazione al 50% concerne gli immobili acquistati da giovani coppie come prima casa, per un tetto di spesa fino a 16.000,00 euro.

L’emendamento, inoltre, ha previsto nuovi obblighi di trasmissione all’Agenzia delle Entrate da parte di medici e strutture sanitarie dei dati sulle prestazioni erogate nel 2015: tali dati dovranno essere inviati tramite il “Sistema Tessera Sanitaria”.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Forfettari: novità anche per chi ha aderito nel 2015

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Nuovo limite dei ricavi e imposta ridotta per le start up

Premessa – Secondo quanto previsto dal disegno di legge di stabilità 2016 per i contribuenti forfettari dal 2016 sono previsti limiti di ricavi più elevati e per le start up un’imposta sostitutiva del 5 %. Tali nuove norme verranno applicate anche a coloro che hanno aderito a al regime agevolato già dal 2015.

Legge di stabilità 2016 – Come noto il D.D.L. Stabilità 2016 prevede una serie di modifiche al regime forfettario tra cui l’innalzamento delle soglie di ricavi e compensi che consentono di accedere al regime aumentandole di 10.000 euro per tutte le attività ad eccezione delle attività professionali ed equiparate il cui aumento è pari a 15.000 euro portando così il tetto a 30.000 euro.

Limite dei ricavi – La verifica del suddetto requisito va effettuata avendo riguardo all’anno precedente quello di riferimento. Pertanto con riferimento al 2016, le condizioni di accesso vanno verificate nel 2015. Si ritiene, quindi, che i nuovi limiti dei ricavi che entreranno in vigore dal 1.1.2016 si applicheranno per la verifica dei requisiti per il periodo d’imposta 2016 prendendo ad esame il periodo d’imposta 2015. Un libero professionista che nel 2015 ha applicato il regime forfettario conseguendo ricavi per € 20.000 potrà quindi operare nel regime forfettario anche nel 2016 in quanto il limite in vigore al 1.1.2016 corrisponde a 30.000 euro ed il contribuente avendo conseguito nel 2015 ricavi per 20.000 euro può rimanere nel regime agevolato anche nel 2016.

Start up – Altra modifica è data dal fatto che per i contribuenti che rispettano i requisiti per il regime forfettario e che intraprendono un’attività “nuova”, il reddito determinato con le regole previste per il regime forfettario non sarà più ridotto di 1/3 per l’anno di inizio attività e per i due successivi ma al contrario secondo quanto previsto dal testo del disegno di Legge di Stabilità 2016 dal 2016, si applicherà l’aliquota del 5% per i primi 5 anni di attività.

Inizio nel 2015 – Nel comma 3 dell’art. 8 del DDL di Stabilità 2016 è stato espressamente stabilito che i contribuenti che hanno intrapreso una nuova attività nel 2015 avvalendosi della riduzione di un terzo del reddito possono applicare la nuova aliquota del 5% nei successivi 4 anni, cioè dal 2016 al 2019. Al contrario il contribuente che nel 2015 ha operato in regime ordinario qualora nel 2016 transiti al regime forfettario dovrà applicare l’aliquota piena del 15%.

Regime Inps – I commi da 76 a 84, art. 1, Legge di Stabilità 2015, hanno introdotto una misura agevolativa in ambito previdenziale, riservata ai soli contribuenti obbligati al versamento previdenziale presso le gestioni speciali artigiani e commercianti. I soli contribuenti esercenti attività d’impresa, se applicano il regime forfettario, possono usufruire di un regime agevolato contributivo che consiste nel non applicare il minimale contributivo di cui all’articolo 1, comma 3, Legge n. 233/1990.

Modifiche – Il disegno di Legge di Stabilità interviene ora sul comma 77 sostituendolo integralmente. In virtù delle modifiche apportate si prevede che sul reddito forfettario determinato sulla base delle percentuali di redditività come modificate dallo stesso DDL la contribuzione dovuta ai fini previdenziali sia “ridotta del 35 per cento”. Non essendo state apportate altre modifiche, è confermato anche che il regime contributivo in questione potrà essere attivato esclusivamente su opzione del contribuente.

Comunicazione – Dovrà essere chiarito al riguardo se i soggetti che hanno optato nel corso del 2015 per la contribuzione ridotta, versione Stabilità 2015, siano automaticamente attratti dalle nuove modalità di versamento ovvero se si debba in qualche modo confermare l’opzione. Sul punto l’Inps dovrà, eventualmente, fornire istruzioni.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

IMU e TASI: modalità di versamento per i residenti all’estero

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – I cittadini non residenti in Italia, devono liquidare e versare l’IMU e la TASI per gli immobili posseduti nel nostro Paese e in prossimità dell’imminente scadenza del saldo, fissata al 16 dicembre, è opportuno ricordare le modalità di versamento da seguire.

Si ricorda, altresì che, i predetti soggetti sono esentanti dall’IMU per una e una sola unità immobiliare (se di categoria catastale non di lusso) posseduta in Italia se si tratta di pensionati esteri iscritti all’AIRE e sono rispettati gli ulteriori requisiti fissati dall’art.9-bis D.L. n. 47/2014 e successivi chiarimenti da parte del MEF (Risoluzione n. 6/DF del 26 giugno 2015 e Circolare n. 10/Df/2015). Infatti, tale immobile è assimilato all’abitazione principale, per cui se non di lusso è esente da IMU mentre se di lusso si applicano aliquote e detrazioni previste per l’abitazione principale. Per gli altri immobili posseduti in Italia e non assimilati ad abitazione principale, valgono, invece, le regole ordinarie di liquidazione.

Sempre sulla base dell’art. 9-bis del predetto D.L. e nel rispetto dei requisiti previsti (iscrizione AIRE, pensione estera, ecc.) la TASI sull’immobile, posseduto in Italia e assimilato ad abitazione principale, è ridotta di 2/3.

Il bonifico bancario come modalità di versamentodell’IMU – Mentre, il cittadino residente in Italia può versare l’IMU e la TASI con modello F24 (cartaceo o telematico a seconda dei casi) oppure con bollettino di c/c postale, per i residenti all’estero, le modalità di versamento sono ben diverse.

In particolare, con il comunicato stampa del 31 maggio 2012, il MEF stabilisce che nel caso in cui non sia possibile utilizzare il modello F24 per effettuare i versamenti IMU dall’estero, occorre contattare direttamente il comune beneficiario per ottenere le relative istruzioni e il codice IBAN del conto sul quale accreditare l’importo dovuto.

Pertanto, i residenti all’estero versano l’IMU dovuta, tramite bonifico in cui riportare il codice IBAN del comune destinatario del versamento.

Tuttavia, è possibile che il cittadino italiano residente all’estero sia anche titolare di un c/c in Italia presso una delle banche convenzionate con l’Agenzia delle Entrate. Pe cui, questi potrebbe, previa registrazione ai servizi telematici della stessa Agenzia delle Entrate, compilare il Modello F24 ed eseguire il pagamento online delle imposte tramite il software F24 online.

Come compilare il bonifico – Con lo stesso comunicato stampa del 31 maggio 2012, il MEF indica anche le modalità di compilazione del bonifico. In particolare, oltre al codice IBAN corretto del comune destinatario, occorre riportare:

  • il codice fiscale o la partita IVA del contribuente o, in mancanza, il codice di identificazione fiscale rilasciato dallo Stato estero di residenza, se posseduto;
  • la sigla “IMU” e il nome del comune ove sono ubicati gli immobili e i relativi codici tributo (indicati nella risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 35/E del 12 aprile 2012);
  • l’annualità di riferimento;
  • l’indicazione “Acconto” o “Saldo” o “Unica soluzione”.

E per la TASI? – Il Comunicato stampa del 31 maggio 2012, riguarda esclusivamente l’IMU (anche perché a quella data la TASI non era stata ancora introdotta nel nostro ordinamento tributario).

Per la TASI non sono state, dunque, previste specifiche regole normative, per cui si rimanda tutto all’autonomia comunale. Si consiglia, quindi, di leggere attentamente la delibera o il regolamento comunale, anche se per analogia di disciplina molto probabilmente il comune fissa le stesse modalità di versamento previste per l’IMU.

Autore: PASQUALE PIRONE

UNICO: mancata compilazione del rigo RS140

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Entro il 29/12 l’integrativa con sanzione ridotta

Premessa – Ai sensi dell’art. 5 (“Obbligo di comunicazione e di esibizione delle scritture e dei documenti rilevanti ai fini tributari”) comma 1 del D.M. 17 giugno 2014 “il contribuente comunica che effettua la conservazione in modalità elettronica dei documenti rilevanti ai fini tributari nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta di riferimento”.

Con riferimento al Modello UNICO 2015 (periodo d’imposta 2014) tale comunicazione andava effettuata compilando:

  • il rigo RS140 per il Modello UNICO persone fisiche;
  • il rigo RS104 per il Modello UNICO società di capitali;
  • il rigo RS40 per il Modello UNICO società di persone;
  • il rigo RS83 per il Modello UNICO enti non commerciali.

Nei predetti righi occorreva indicare il “codice 1” (qualora il contribuente nel periodo d’imposta 2014 avesse conservato in modalità elettronica almeno un documento rilevante ai fini tributari) oppure il “codice 2” (qualora il contribuente nel periodo d’imposta 2014, non avesse conservato in modalità elettronica alcun documento rilevante ai fini tributari).

La sanzione in caso di mancata compilazione – La compilazione del rigo RS140, RS104, RS40 o RS83 è un adempimento obbligatorio espressamente sancito dal legislatore, e pertanto l’invio del Modello UNICO in cui manca la compilazione del predetto rigo costituisce una violazione di adempimento formale necessario (errori rilevabili in sede di applicazione degli art. 36-bis e 26-ter del Dpr n. 633/1973).

Ne consegue l’applicazione della sanzione prevista dall’art. 8 D.lgs. n. 471/1997 da un minimo di 258,23 a un massimo di 2.065,83 (da un minimo di 250 a un massimo di 2.000 nel testo aggiornato in vigore dal 22/10/2015).

Possibilità di integrativa entro il 29/12 – Il contribuente cha ha omesso la compilazione del relativo rigo RS nel Modello UNICO 2015, ha la possibilità di rimediare ricorrendo al ravvedimento operoso presentando una dichiarazione “integrativa” entro 90 giorni dalla scadenza del termine ordinario.

Dunque, questi può presentare un Modello UNICO integrativo entro il prossimo 29/12 versando, ai sensi dell’art. 13 lett. a) bis D.lgs. n. 472/1997) una sanzione ridotta e pari ad 1/9 del minimo quindi 1/9 di 258,23.

Il versamento della sanzione è eseguito con modello F24 codice tributo 8911.

Decorso il termine di 90 giorni, è possibile ancora rimediare presentando sempre un Modello UNICO integrativo entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi riferita al 2015 (quindi entro il 30/09/2016), ma in tal caso la sanzione sarà di 1/8 di 258,23.

Autore: PASQUALE PIRONE

Obblighi antiriciclaggio anche nelle cause di divorzio

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Il caso – Gli avvocati sono soggetti alle disposizioni di cui al D. Lgs. n. 231/2007 quando forniscono la loro assistenza nell’ambito delle cause di separazione e divorzio?

L’analisi

Al fine di fornire una risposta al quesito prospettato è necessario, in primo luogo, richiamare il dato normativo, ovvero quanto stabilisce l’articolo 12, comma 1, lettera c) del D.Lgs. 231/2007.

In virtù della disposizione in oggetto, infatti, i notai e gli avvocati sono tenuti al rispetto della normativa antiriciclaggio “quando, in nome o per conto dei propri clienti, compiono qualsiasi operazione di natura finanziaria o immobiliare e quando assistono i propri clienti nella predisposizione o nella realizzazione di operazioni riguardanti:

1) il trasferimento a qualsiasi titolo di diritti reali su beni immobili o attività economiche;

2) la gestione di denaro, strumenti finanziari o altri beni;

3) l’apertura o la gestione di conti bancari, libretti di deposito e conti di titoli;

4) l’organizzazione degli apporti necessari alla costituzione, alla gestione o all’amministrazione di società;

5) la costituzione, la gestione o l’amministrazione di società, enti, trust o soggetti giuridici analoghi

Non sussiste tuttavia l’obbligo di segnalazione di cui all’articolo 41 del D.Lgs. 231/2007 nel caso in cui le informazioni sulle operazioni sospette siano state acquisite nel corso dell’attività professionale prima, durante e dopo il procedimento giudiziario.

Più precisamente, l’articolo 12 comma 2 del D.Lgs. 231/2007 stabilisce che “l’obbligo di segnalazione di operazioni sospette di cui all’articolo 41 non si applica ai soggetti indicati nelle lettere a), b) e c) del comma 1 per le informazioni che essi ricevono da un loro cliente o ottengono riguardo allo stesso, nel corso dell’esame della posizione giuridica del loro cliente o dell’espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza del medesimo in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento, compresa la consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento, anche tramite una convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati ai sensi di legge, ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso”

Deve pertanto ritenersi che l’esclusione sussista anche nel caso in cui, a seguito dell’esame preliminare della posizione giuridica del cliente, si valuti conveniente evitare il procedimento: non è quindi necessario dimostrare che vi sia stato un procedimento giudiziario per escludere gli obblighi di segnalazione.

Si badi bene, però: l’esclusione dagli obblighi di segnalazione non comporta l’automatica esenzione anche dagli obblighi di adeguata verifica della clientela.

Quindi, anche nel caso in cui si instauri un procedimento giudiziario, sarà sempre necessario identificare il cliente, il titolare effettivo, e ottenere informazioni sullo scopo e la natura della prestazione professionale.

È invece errato ritenere che, in virtù dell’esonero sancito per gli obblighi di segnalazione, il professionista possa ritenersi esonerato dagli adempimenti antiriciclaggio.

Le cause di separazione o divorzio

Con specifico riferimento al quesito prospettato merita di essere richiamato il parere n. 62 del 24 ottobre 2012 del Consiglio Nazionale Forense (Rel. Cons. Merli).

Nel parere in oggetto viene infatti chiarito che gli obblighi di adeguata verifica della clientela sussistono sia nel caso in cui siano instaurati procedimenti civili, come anche in occasione di arbitrati e di pratiche risarcitorie stragiudiziali.

Sussiste quindi l’obbligo di adeguata verifica della clientela per i trasferimenti immobiliari in sede di giudizi di separazione e divorzio, così come anche per le cause di divisione immobiliare, per le cause di usucapione e per le azioni ex art. 2932 c.c..

È in ogni caso richiesto che:

  • i procedimenti appena richiamati siano finalizzati al trasferimento di diritti reali su beni immobili;
  • il valore dei beni in oggetto sia pari o superiore ad € 15.000,00.

Conclusioni

L’avvocato sarà tenuto ad adempiere alle disposizioni antiriciclaggio nel caso in cui il giudizio di separazione/divorzio comporti il trasferimento di diritti su beni immobiliari avente un valore pari o superiore ad € 15.000,00.

Autore: redazione fiscal focus

Reverse charge Vs. Lettera d’intento: chi prevale?

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

In tema di reverse charge, l’Amministrazione Finanziaria non ha mai chiarito se il meccanismo dell’inversione contabile prevalga nel confronto con il regime di non imponibilità ex art. 8, co. 1, lett. c), D.P.R. 633/1972.

Si tratta in sostanza di capire se nel caso in cui un’impresa debba emettere una fattura di vendita ad un fornitore che si qualifica come “esportatore abituale”, che ha inviato puntualmente la lettera d’intento, vada emessa fattura soggetta a reverse charge oppure in regime di non imponibilità ex articolo 8, comma 1, lettera c, oppure ex articolo 17, comma 6 del D.P.R. 633/1972.

Sulla questione va evidenziato che la C.M. 14/E/2015, fornendo applicazione in relazione alle nuove ipotesi di reverse charge in edilizia, introdotte dalla Legge di Stabilità 2015, l’Amministrazione Finanziaria ha chiarito che “qualora la lettera di intento inviata dall’esportatore abituale sia emessa con riferimento ad operazioni assoggettabili al meccanismo dell’inversione contabile, di cui all’articolo 17, comma 6, del medesimo D.P.R. n. 633/1972, relativamente a tali operazioni troverà applicazione la disciplina del Reverse charge, che, attesa la finalità antifrode, costituisce la regola prioritarie”.

Secondo le indicazioni fornite dall’Amministrazione Finanziaria nel summenzionato documento di prassi, la finalità “antifrode” dell’inversione contabile la rende prevalente rispetto al regime di non imponibilità proprio dell’esportatore abituale.

Tradotto in termini pratici, nel caso in cui ad esempio un’impresa italiana debba fatturare a un “fornitore abituale” delle prestazioni di manutenzione di impianti relativi ad edifici, troverà applicazione il reverse charge in luogo del regime di non imponibilità più volte richiamato.

Va evidenziato che nel fornire il concetto di prevalenza del reverse charge sul regime non imponibilità degli esportatori abituali, l’Amministrazione Finanziaria fa espresso riferimento alle ipotesi di reverse charge ex art. 17, co. 6, D.P.R. n. 633/1972.

SI tratta delle seguenti operazioni:

  • subappalto in edilizia;
  • cessione di fabbricati imponibili per opzione;
  • le prestazionidiservizidipulizia,didemolizione,di installazione di impianti e di completamento relative ad edifici;
  • cessioni di apparecchiature terminali per ilserviziopubblico radiomobile terrestre di comunicazioni soggette alla tassa sulle concessioni, nonchédeiloro componenti ed accessori;
  • cessionidipersonalcomputeredeilorocomponentied accessori;
  • cessionidimaterialieprodottilapidei,direttamente provenienti da cave e miniere;
  • ai trasferimenti di quote di emissioni digasaeffettoserra;
  • ai trasferimenti dicertificati relativi al gas e all’energia elettrica;
  • alle cessioni di gas e dienergiaelettricaaunsoggetto passivo-rivenditore.

Nell’ipotesi di conflitto tra reverse charge e regime di non imponibilità, rifacendoci alle indicazioni fornite dall’Amministrazione Finanziaria, le suddette prestazioni, dovranno essere fatturate ai sensi dell’articolo 17, comma 6, del D.P.R. n. 633 del 1972 e non ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera c), del medesimo D.P.R. n. 633. L’applicazione del reverse charge non consentirà dunque l’utilizzo del plafond.

Autore: redazione fiscal focus

IMU e TASI in caso di assegnazione “altro immobile” all’ex coniuge

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – L’art. 4 comma 12-quinquies, D.L. 16/2012 dispone che ai fini dell’IMU, l’assegnazione dell’abitazione coniugale a favore di uno dei coniugi, disposta a seguito di provvedimento di cessazione degli effetti civili del matrimonio “si intende in ogni caso effettuata a titolo di diritto di abitazione”.

Con l’art. 1, comma 707, della legge n. 147/2013, il legislatore ha poi espressamente disposto la piena inapplicabilità dell’IMU “sulla casa coniugale assegnata al coniuge, a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio”.

“Altro immobile” assegnato all’ex coniuge – Dunque, sulla base di quanto appena affermato in premessa, ai fini IMU, la casa coniugale assegnata all’ex coniuge è considerata abitazione principale per il coniuge assegnatario e come tale è esonerata dall’IMU se appartenente alle categorie catastali A2, A3, A4, A5, A6 e A7 e relative pertinenze. Mentre è assoggettata a IMU con aliquote e detrazioni previste per l’abitazione principale se di categoria A/1, A8 e A/9 e relative pertinenze.

In genere, al coniuge, viene assegnata la casa che rappresentava l’abitazione principale dell’intero nucleo familiare prima della separazione.

Tuttavia, potrebbe accadere che, date le necessità, il giudice assegni all’ex coniuge un altro immobile che sia sempre di proprietà del coniuge non assegnatario.

Ad esempio, prima della separazione, marito e moglie vivevano e risiedevano entrambi in un immobile situato nel comune di Roma (di intera proprietà del marito). Il marito lavora a Roma ed anche proprietario di altro immobile situato ad Aprilia. In seguito a separazione, il giudice assegna alla moglie non l’immobile di Roma (in cui il marito continuerà a vivere ed avere residenza), ma quello situato ad Aprilia (la moglie vi trasferisce la residenza con il bambino).

In ipotesi di questo tipo la domanda che è lecito porsi e se entrambi gli immobili possano essere considerati abitazione principale (quello di Roma per il marito e quello di Aprilia per l’ex moglie).

Dal combinato disposto dell’art. 4 comma 12-quinquies D.L. 16/2012 (si intende effettuata a titolo di diritto di abitazione l’assegnazione dell’abitazione coniugale a favore di uno dei coniugi) e dell’art. 1 comma 707 legge n. 147/2013 (inapplicabilità IMU sulla casa coniugale assegnata al coniuge), al precedente quesito deve essere data risposta negativa, con la conseguenza che l’immobile di Roma sconterà l’IMU come abitazione principale (o esonero se di categoria non di lusso) e quello di Aprilia come seconda abitazione.

Non trova, peraltro nemmeno applicazione quanto chiarito con la Circolare 3/Df/2012, secondo cui i coniugi (non legalmente separati) sono legittimati a sdoppiare la residenza qualora gli immobili siano ubicati in comuni diversi.

Riguardo la TASI, invece, poiché si tratta di un tributo dovuto da proprietario e detentore (per quest’ultimo nella misura tra il 10% e il 30%), ne consegue, che sull’immobile di Aprilia, l’ex marito continua ad essere proprietario mentre l’ex moglie diventa detentore. Pertanto, quest’ultima sconta la sua quota TASI in qualità di occupante (se nulla dovesse prevedere la delibera comunale in merito la quota TASI a suo carico è del 10%) e l’ex marito sconta la restante quota in qualità di proprietario.

Autore: Pasquale Pirone

Regimi agevolati e bonus Irpef 80 euro: la verifica del reddito complessivo

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – Il bonus fiscale di 80 euro mensili, spettante ai soli percettori di reddito di lavoro dipendente ed assimilati è stato introdotto dal Governo Renzi con decreto-legge 24 aprile 2014 n.66 (decorrenza del bonus dal mese di maggio 2014) e reso a regime con la legge di stabilità 2015.

E’ erogato direttamente in busta paga dal sostituto d’imposta e a regime, l’importo è pari a:

  1. 80 euro mensili, se il reddito complessivo del lavoratore non è superiore ai 24.000 euro;
  1. all’importo dato da 960 x [(26.000 – reddito complessivo) / 2.000] se il reddito complessivo del lavoratore è compreso tra i 24.000 e i 26.000 euro.

Al fine di avere il beneficio, tuttavia, è necessario il verificarsi di due condizioni fondamentali:

  1. il reddito complessivo del lavoratore non deve essere superiore ad euro 26.000;
  1. l’Irpef lorda dovuta dal lavoratore (sul reddito da lavoro dipendente ed assimilati) deve essere superiore alle detrazioni d’imposta per lavoro spettanti. In altre parole le detrazioni da lavoro devono trovare capienza nell’Irpef lorda dovuta sul reddito da lavoro dipendente e assimilati (la circolare n. 8/E/2014 ha chiarito che rilevano solo le detrazioni da lavoro e non gli altri tipi di detrazione, come ad esempio, quelle per carichi di famiglia previste dall’art. 12 TUIR).

La condizione di cui al punto 1) si riferisce al reddito complessivo del lavoratore e quindi non solo al suo reddito da lavoro dipendente ma alla somma di tutte le tipologie di reddito conseguite nell’anno (reddito da lavoro dipendente, reddito da fabbricati, redditi diversi, ecc.).

Tuttavia, possono esserci redditi conseguiti dal lavoratore dipendente che siano assoggettati ad imposta sostitutiva (dell’Irpef e delle relative addizionali) e che quindi come tali non concorrono alla determinazione del suo reddito complessivo ai fini IRPEF: in particolare può trattarsi ad esempio del canone di locazione soggetto a cedolare secca o del reddito conseguito nell’esercizio di un’attività in regime fiscale agevolato (es. ex minimi o nuovo forfettario). Si tratta di redditi che sono tassati in maniera “sostitutiva” e che quindi non soggiacciono alle ordinarie regole Irpef.

La domanda che si tende a fare in questo caso è se tali redditi concorrono alla formazione del reddito complessivo del lavoratore dipendente ai fini della verifica della soglia per la spettanza del bonus di 80 euro.

Nessun chiarimento per i regimi agevolati – Con la circolare n. 9/E/2014, l’Agenzia delle Entrate è intervenuta a chiarire il quesito appena esposto in premessa ma limitatamente ai redditi assoggettati a cedolare secca, precisando che, in coerenza a quanto già previsto dal comma 7, articolo 3, D.lgs. sebbene il canone di locazione soggetto a cedolare non concorre alla formazione del reddito complessivo del percettore ai fini del calcolo dell’Irpef, rileva invece per il riconoscimento, o meno, di deduzioni, detrazioni e benefici di qualsiasi titolo (e tra tali benefici rientra anche il bonus fiscale di 80 euro).

Stesse precisazioni non sono state fornite, invece, in merito ai regimi fiscali agevolati che prevedono un’imposta sostitutiva quale ad esempio quello degli ex minimi o nuovo forfettario.

Tuttavia, nella stessa circolare l’amministrazione finanziaria, nel riconoscere che il decreto che ha introdotto il bonus di 80 euro, nello stabilire i presupposti per la sua erogazione, non definisce anche regole volte a differenziarne l’applicazione in funzione delle eventuali disposizioni particolari che interessino determinate tipologie di lavoratori, afferma che “al di fuori dei casi in cui tali altre disposizioni particolari prevedano diversamente (come, ad esempio, nel caso dell’imposta sostitutiva sugli incrementi di produttività), la verifica della spettanza del credito deve essere effettuata in base alle regole generali”.

Ne consegue che, poiché la normativa attuale non prevede uno specifico riscontro come invece previsto per il regime della cedolare secca, è possibile ritenere che un lavoratore dipendente che contestualmente svolga anche attività d’impresa (o lavoro autonomo) soggetta a regime fiscale degli ex minimi (aliquota 5%) o nuovo forfettario (aliquota 15%) ai fini del calcolo della soglia di spettanza del bonus Irpef di 80 euro può escludere dal suo reddito complessivo il reddito derivante da tale attività.

E’ auspicabile, tuttavia un preciso chiarimento dell’amministrazione finanziaria come avvenuto per la cedolare secca.

Autore: Pasquale Pirone

L’iscrizione come PMI innovativa

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – Per le start up innovative l’impiego del personale qualificato può avvenire sia in forma di lavoro dipendente che a titolo di para-subordinazione o comunque ‘‘a qualunque titolo’’. Non è quindi posto alcun pregiudizio nei confronti delle forme giuridiche contrattuali di collaborazione del personale ‘‘qualificato’’ con la società.

Pmi innovativa – Per l’iscrizione come PMI innovativa, una società intende avvalersi dell’impiego come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, in percentuale uguale o superiore al quinto della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca o che sta svolgendo un dottorato di ricerca presso un’università italiana o straniera, oppure in possesso di laurea e che abbia svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all’estero, ovvero, in percentuale uguale o superiore a un terzo della forza lavoro complessiva di personale in possesso di laurea magistrale. La società ha chiesto al Mise cosa si intende per “collaboratori a qualunque titolo”.

Mise – Il mise ha risposto che la norma consente, in armonia con l’attuale disciplina giuslavoristica, che l’impiego del personale qualificato possa avvenire sia in forma di lavoro dipendente che a titolo di parasubordinazione o comunque “a qualunque titolo”. In altri termini il legislatore non pone, né con riferimento alle PMI innovative, né alle start-up, alcun pregiudizio nei confronti delle forme giuridiche contrattuali di collaborazione del personale “qualificato” con la società.

Amministratore unico – Il richiedente ha posto anche un quesito relativo alla propria posizione e cioè se come amministratore unico pagato dalla società rientri nel parametro “quota almeno pari a 1/3 della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di laurea magistrale”

Impiego – Il Mise ha al riguardo precisato che la locuzione “collaboratore a qualsiasi titolo” non può scindersi dall’altra “impiego”. Pertanto se i soci amministratori, sono anche impiegati nella società (in qualità di soci lavoratori o “a qualunque titolo”), nulla osta a che risulti verificata la previsione, sopra richiamata. Al contrario, ove si tratti di meri organi sociali, che pure hanno l’amministrazione della società, ma non sono in essa impiegati, tale condizione non appare verificata.

Brevetto – Con un altro quesito è stato richiesto se il deposito di marchi permette di soddisfare il terzo criterio previsto dall’art. 4 comma 1, lett. e), n. 3, Dl 179/2012. Secondo il Mise il requisito sarebbe soddisfatto anche nel caso in cui la start up avesse presentato domanda per la registrazione del brevetto, pur non conoscendone ancora l’esito. Pertanto, ove la società abbia già depositato formalmente il brevetto, ancorché sia ancora in attesa di registrazione, appare verificato il requisito dell’”essere depositaria”, ed in quanto tale appare iscrivibile nella sezione speciale del registro delle imprese”. Posizione che deve oggi essere integralmente ribadita e trasferita anche alla fattispecie delle PMI.

Autore: redazione fiscal focus

Moneta elettronica anche per i micro-pagamenti

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Un legge di stabilità a due facce, quella che si sta delineando. Da un lato, infatti, si vuole innalzare il limite per l’uso del contante, portandolo da 1.000 a 3.000 euro, mentre, dall’altro si vuole abbassare il tetto attualmente previsto per i pagamenti con carte di debito, eliminando l’attuale limite dei 30 euro.

La situazione attuale

Dal 30 giugno 2014 è stato previsto l’obbligo, per imprenditori e professionisti, di accettare pagamenti di importi superiori a 30 euro con carte di debito.

Tuttavia, in mancanza di specifiche sanzioni, ad oggi, il professionista o l’imprenditore che non rispetta l’obbligo rischia soltanto la mora del creditore ai sensi dell’art. 1226 del Codice Civile.

In linea di massima, la mora del creditore impedisce a quest’ultimo di richiedere il pagamento degli interessi nel caso di tardivo pagamento, e consente altresì al debitore di chiedere il rimborso delle eventuali spese sostenute per la corresponsione degli importi.

Non si può quindi sicuramente parlare di vere e proprie sanzioni: ecco il motivo per il quale l’accettazione del pagamento con carte di debito è rimasto semplicemente un “obbligo sulla carta”, e a fronte di un aumento dei terminali disponibili (da 1,53 milioni nel 2013 a 1,8 milioni nel 2014) l’utilizzo della moneta elettronica non è assolutamente aumentato.

L’Italia rimane pertanto, ad oggi, ancora lontana dagli standard europei. Se infatti in Europa le transazioni complessive in contanti coprono solo il 65% di quelle totali, nel nostro Paese la percentuale sale all’83%

Le modifiche previste

Con una proposta di emendamento alla legge di stabilità, firmata dai deputati Boccadutri, Coppola, Bruno Bossio, Causi, Misiani, Losacco, Basso, Dallai, Ascani e Tentori, viene previsto un abbassamento del tetto dei 30 euro sotto il quale gli esercenti possono rifiutare ancora i pagamenti con carte di debito.

Qualora tale proposta dovesse trovare accoglimento, pertanto, anche tutti i micro-pagamenti, dal caffè al bar al giornale in edicola, potrebbero essere regolati per mezzo di strumenti elettronici di pagamento.

Le commissioni bancarie

Uno dei limiti alla diffusione della moneta elettronica è stato, da sempre, l’elevato costo delle transazioni.

Nel nostro Paese, infatti, le commissioni sono talmente elevate che anche l’Unione europea non ha mancato di evidenziare questo paradosso: è stato stimato, infatti, che la moneta elettronica costa ai rivenditori 10 miliardi di euro l’anno, e non va meglio per i clienti, che, oltre ai normali costi connessi alla carta di credito vedono spesso richiedersi degli ulteriori costi aggiuntivi.

Ecco il motivo per il quale, dal prossimo 9 dicembre è stato imposto dall’Unione europea un tetto massimo alle commissioni bancarie, pari allo 0,3% sul valore della singola transazione per le carte di credito e allo 0,2% per i bancomat e le prepagate.

Come chiarito però dall’Associazione bancaria italiana non può essere ancora cantata vittoria: l’applicazione dei nuovi massimali potrebbero infatti portare ad un aumento di costi per i consumatori.

Un cane che si morde la coda, quindi, e che rischia di vedere l’Italia ancora come la “patria del contante”.

Ecco il motivo per il quale, con l’emendamento alla legge di stabilità è stato altresì previsto che, entro il mese di aprile 2016, i gestori delle carte di pagamento dovranno definire le regole e le misure contrattuali per regolare i micropagamenti e le commissioni, le quali dovranno essere altresì proporzionali ai costi effettivamente sostenuti dai prestatori dei servizi di pagamento.

In caso di mancato adeguamento scatterà il limite legale dei 7 millesimi per i pagamenti con carte di debito e di 1 centesimo per quelli con carte di credito.

Autore: redazione fiscal focus

Ravvedimento degli acconti

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Dal 1.1.2016 sanzione ridotta per i versamenti entro 90 giorni

Premessa – Qualora la legge di stabilità 2016 confermi l’anticipo al 1.1.2016 delle nuove norme previste dal D.Lgs 158/2015 sulla riduzione delle sanzioni per omessi versamenti per il contribuente che non sana il mancato pagamento dell’acconto entro 8 giorni per potere procedere con il ravvedimento operoso conviene attendere l’1.1.2016.

Acconti imposte dirette – Ieri 30 novembre 2015 è scaduto il termine entro cui i contribuenti (persone fisiche, società di persone, società di capitali e soggetti ed esse equiparati) dovevano versare la seconda o unica rata degli acconti relativi alle imposte sui redditi per il periodo d’imposta 2015. I contribuenti che hanno omesso l’acconto delle imposte possono ora rimediare fruendo del ravvedimento operoso, il quale varia a seconda del momento in cui viene fatto.

Ravvedimento entro 15 giorni – In caso di omesso/tardivo versamento delle imposte è applicabile la sanzione pari al 30% dell’importo non versato. Tale misura è tuttavia ulteriormente ridotta con riferimento ai versamenti effettuati entro 15 giorni dal termine previsto. La sanzione ordinaria del 30%, applicabile sui tardivi od omessi versamenti di imposte, si riduce infatti ad un quindicesimo per ogni giorno di ritardo: varia dal 2% per un giorno di ritardo, fino al 28% per 14 giorni di ritardo. A partire dal quindicesimo giorno di ritardo si applica la misura fissa del 30%. Tale sanzione ridotta può essere ulteriormente abbassata usufruendo del ravvedimento operoso (sempre che ne ricorrano i presupposti), il quale permette di diminuire la sanzione ad un decimo diventando così dello 0,2% per ogni giorno di ritardo: variando quindi dallo 0,2% per un giorno di ritardo, fino al 2,8% per 14 giorni di ritardo.

Versamento tra il 15° e 30° giorno dalla scadenza – Per i versamenti effettuati dal 15° al 30° giorno dalla scadenza, la sanzione ordinaria a carico del contribuente che non effettua in tutto o in parte il pagamento è pari al 30% dell’importo non versato. La fattispecie dell’omesso o insufficiente versamento può essere sanata versando l’imposta o maggiore imposta più la sanzione ridotta ad un decimo, quindi il 3% (1/10 del 30%) e, infine, non ci si deve dimenticare degli interessi.

Ravvedimento medio – Il ravvedimento medio è applicabile dopo il 30° giorno di ritardo fino al 90° giorno, e prevede una sanzione fissa del 3,33% (sanzione del 30% ridotta ad 1/9) dell’importo da versare più gli interessi giornalieri calcolati sul tasso di riferimento annuale (comma 637 Legge di Stabilità 2015);

Ravvedimento Lungo – Il ravvedimento lungo è applicabile dopo il 90° giorno di ritardo, ma comunque entro i termini di presentazione della dichiarazione relativa all’anno in cui è stata commessa la violazione. E’ prevista una sanzione fissa del 3,75% (1/8 del 30%) dell’importo da versare più gli interessi giornalieri calcolati sul tasso di riferimento annuale.

Nuove sanzioni dal 1.1.2016 – Ricordiamo però che secondo quanto previsto dal Dlgs 158/2015 la sanzione per insufficiente/omesso versamento del tributo viene ridotta alla metà se il versamento viene eseguito con ritardo non superiore a 90 giorni. Tali nuove norme secondo quanto attualmente in vigore verranno applicate dal 1.1.2017. La bozza della legge di stabilità 2016 approvata al senato anticipa però tali nove norme al 1.1.2016. Se l’anticipo verrà confermato nel testo finale della legge di stabilità in caso di omesso pagamento dell’acconto qualora questo non venisse regolarizzato entro gli 8 giorni successivi risulterà conveniente aspettare il 1.1.2016 e sanare l’omissione entro 90 giorni dall’omissione (28 febbraio) in quanto si fruirebbe di un ravvedimento “super conveniente “ pari all’1,67 per cento (la penalità passerebbe dal 30 al 15 per cento ridotta ad 1/9 fruendo del ravvedimento operoso).

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

ESTROMISSIONE AGEVOLATA DELL’IMMOBILE STRUMENTALE: ASPETTI APPLICATIVI

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Con uno specifico emendamento all’art. 9 del Ddl. di stabilità 2016, già approvato al senato ed ora in attesa dell’esame alla camera, è stata introdotta la possibilità per le ditte individuali di poter usufruire di alcune disposizioni agevolative in materia di estromissione dell’immobile strumentale dell’imprenditore individuale (si veda il ns articolo apparso sul quotidiano del 19 novembre scorso).

L’intervento si innesta in un più ampio disegno emergente dalla stessa bozza di Legge di stabilità 2016 atto a far “fuoriuscire” a costo fiscale agevolato i beni immobili dal patrimonio delle imprese.

La ditta individuale che alla data del 31 ottobre 2015 possiede immobili strumentali (sia per natura che per destinazione) di cui all’art. 43 comma 2 D.p.r. 917/86, può decidere di optare per l’uscita dello stesso fabbricato dal patrimonio dell’impresa con destinazione alla persona fisica. Vediamo di analizzare i principali dettagli dell’operazione.

La disciplina per le imposte dirette

L’operazione di trasferimento dalla sfera d’impresa a quella privata si concretizza con il pagamento di un’imposta sostitutiva dell’8 % (in sostituzione di Irpef e Irap) sulla differenza tra il valore normale degli immobili estromessi e il loro costo fiscalmente riconosciuto.

Sotto il profilo operativo, si riepilogano le principali regole previste :

  • passaggio da perfezionare entro il 31 maggio 2016;
  • estromissione possibile solo a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 1° gennaio 2016;
  • I beni devono essere posseduti alla data del 31 ottobre 2015;
  • plusvalenze assoggettate all’imposta sostitutiva dell’8% da versare il 60% entro il 30.11.2016 ed il restante 40% entro il 30.06.2017.
  • plusvalenza calcolata come differenza fra il valore normale del bene ed il costo fiscalmente riconosciuto in bilancio;
  • possibile sostituzione del valore normale con il valore catastale degli immobili, al pari di quanto avviene per l’assegnazione agevolata ai soci.

La disciplina per l’Iva

Sotto il profilo IVA, l’operazione è qualificabile come destinazione di beni a finalità estranee all’impresa, (art. 2 comma 2 n. 5 del DPR 633/72) e quindi si tratta di iniziativa rientrante nell’ambito di applicazione del tributo.

Costituiscono eccezione a tale principio i beni per i quali l’imprenditore non ha operato la detrazione dell’imposta all’atto dell’acquisto (es. immobile acquisito da privato).

Dal punto di vista operativo l’estromissione va fatturata (nel caso di specie autofatturata), solitamente, in regime di esenzione di cui all’art. 10 comma 1 n. 8-ter del DPR 633/72, salvo il caso in cui l’imprenditore non intenda optare specificatamente per l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto.

Tale opzione, però, non è vantaggiosa a causa del fatto che l’Iva (solitamente con aliquota al 22%) esposta in fattura derivante dall’assegnazione andrebbe poi di norma versata all’Erario e si configura evidentemente come un costo che ricade tutto a carico dello stesso imprenditore.

Pro rata

Come detto, generalmente l’operazione di estromissione in questione si qualifica come esente ai sensi all’articolo 10 comma 1 n. 8-ter del DPR 633/72.

Nel caso in questione trattandosi tipicamente di immobile strumentale dell’attività (es il capannone o il laboratorio in cui si è svolta l’attività) si applica l’art. 19-bis del DPR 633/72 nella parte in cui la disposizione afferma che i beni ammortizzabili ceduti (od estromessi come in questo caso) non concorrono al calcolo della percentuale di pro rata.

Rettifica detrazione

Se è pur vero quanto sopra affermato, non bisogna però dimenticare che se l’operazione avviene nel corso del periodo di tutela fiscale, (pari a dieci anni per i beni immobili), generalmente questa provoca un cambio di destinazione, in quanto il bene non è più impiegato per operazioni imponibili ma, come si è detto, per una operazione esente che non consente il recupero dell’imposta.

Le altre imposte indirette

Infine niente sarà dovuto ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, in quanto non si effettua alcun trasferimento della proprietà dell’immobile, il quale rimane in capo allo stesso soggetto, seppure passando dalla sfera imprenditoriale a quella personale.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Con la pace fiscale, più gettito e meno contenzioso

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

La semplificazione deve iniziare con il taglio delle liti e una vera sanatoria sulle cartelle di pagamento

Uffici e contribuenti devono evitare le liti inutili. Considerate le recenti novità introdotte in tema di contenzioso e riscossione, è indispensabile un colpo di spugna sul passato. E’ ora di fare pace e chiudere l’enorme contenzioso pendente che negli ultimi mesi è anche aumentato, a seguito della sentenza della Corte costituzionale 37 del 17 marzo 2015, che ha “azzerato” i dirigenti nominati senza concorso dall’agenzia delle Entrate. Così, gli amanti delle liti e del formalismo si appellano alla illegittimità degli atti firmati dai funzionari incaricati, con conseguente richiesta di nullità delle iscrizioni a ruolo. In verità, non è così, anche perché nella stessa sentenza della Corte costituzionale si fa riferimento al principio univoco e consolidato della Cassazione, in base al quale, per la legittimità degli atti, è sufficiente che gli stessi provengano e siano riferibili all’ufficio che li ha emanati. Per la Cassazione, sezione tributaria civile, sentenza 22810/15, udienza del 21 ottobre 2015, depositata il 9 novembre 2015, sono validi gli atti firmati dai dirigenti incaricati o da funzionari delegati. La nullità dell’atto, in quanto sottoscritto da un dirigente incaricato, deve essere eccepita in sede di presentazione del ricorso alla commissione tributaria provinciale. Dopo la sentenza dei giudici di legittimità, si sono però “sgonfiate” notevolmente le aspettative dei contribuenti che hanno intrapreso la strada del contenzioso. In ogni caso, per uffici e contribuenti, è arrivata l’ora di smetterla con i formalismi ingiustificati. La sostanza deve sempre prevalere sulla forma.

Rottamazione cartelle, chiusura liti pendenti e liti potenziali

E’ anche vero che il caos fiscale ha superato ogni limite di umana sopportazione. Tre possono essere le proposte per una vera semplificazione: definizione agevolata delle somme iscritte a ruolo, delle liti pendenti e delle liti potenziali. La sanatoria sulla riscossione consentirebbe anche di superare le polemiche sulle presunte “persecuzioni” di Equitalia e degli altri agenti della riscossione e di incrementare i recuperi dell’evasione da riscossione. Basti pensare che fra il 2000 e il 2012 il Fisco ha iscritto a ruolo importi per circa 807,7 miliardi di euro. Nello stesso periodo, cartelle per 193,1 miliardi sono state cancellate per varie ragioni, per esempio, perché il Fisco ha perso in giudizio contro il presunto debitore, ma gli altri 614,6 miliardi di crediti sono rimasti in piedi e solo 69 miliardi (l’11,2% del totale) sono stati incassati davvero. Il resto, 545 miliardi, è da incassare. Di queste somme, però, è certo che sarà impossibile recuperarne circa 150miliardi di euro, in quanto si tratta di somme a carico di contribuenti falliti. Dai restanti 390miliardi di euro, si dovranno togliere le somme a ruolo a carico di soggetti deceduti o eredi che hanno rinunciato all’eredità e altre somme a carico di contribuenti che non posseggono nulla. Considerato che le somme incassate da Equitalia nei primi sei mesi del 2014 sono di circa 3,7 miliardi di euro, ci vorrebbero 50 anni per incassare le somme iscritte a ruolo. Tenuto conto che di tutte le somme iscritte a ruolo, gli incassi difficilmente potranno arrivare al 5%, una soluzione potrebbe essere quella di riaprire la vecchia sanatoria di cui all’articolo 12 della legge 289/2002, cosiddetta rottamazione cartelle. La riapertura, con gli opportuni “aggiornamenti” sulle somme incluse in ruoli affidati agli agenti della riscossione entro il 30 giugno 2015, potrebbe essere consentita, pagando il 25% dell’importo iscritto a ruolo. Il forfait del 25% delle somme si potrebbe “estendere” anche ai debiti a ruolo per i contributi Inps e per gli altri debiti. Un’altra proposta potrebbe riguardare la riapertura della definizione delle liti pendenti, eliminando però il limite di 20mila euro, che era stato previsto per la precedente definizione che si è chiusa il 2 aprile 2012. Alla chiusura delle liti pendenti, si potrebbe infine “accompagnare” la definizione delle liti potenziali. Si potrebbero così definire gli accertamenti per i quali non sono scaduti i termini per il ricorso; gli inviti al contraddittorio per Iva, imposte dirette o altre imposte indirette; i processi verbali di constatazione, sia della Guardia di Finanza, sia degli uffici, relativamente ai quali non è stato notificato accertamento o ricevuto invito al contraddittorio.

Con la pace fiscale, soldi subito e stop alle liti

Le risorse, che potrebbero arrivare dalla pace fiscale, utili anche per agevolare il D. E. F., documento di economia e Finanza, avrebbero un duplice obiettivo: incassare subito un buon gettito, certo e definitivo, e ridurre notevolmente le liti pendenti. E’ anche vero che in alcuni casi le somme accertate sono esagerate e, con la definizione amichevole, l’incasso sarà sicuramente inferiore alle imposte contestate, ma tenere in vita il contenzioso costa tanto sia agli uffici, sia ai contribuenti, cioè alla collettività. Per il Governo, l’alternativa, oggi più che mai di grande attualità, è perciò quella solita: tanti, troppi soldi, forse mai, o pochi, maledetti e subito. Non si parla di condoni, ma di una tregua per chiudere le tante liti tra Fisco e contribuenti, con gli uffici dell’agenzia delle Entrate, che ormai sono al collasso con il contenzioso da gestire, che sta arrivando a cifre insostenibili che sfiora il milione delle liti pendenti. Soldi subito e basta litigare. Con buona pace per tutti e con benefici per i contribuenti e per le casse dell’erario.

Autore: Salvina Morina e Tonino Morina