Archivi categoria: Normativa e Modulistica

Assunzione detenuti e internati: modalità attuative credito d’imposta

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n.153321 del 27.11.2015

Con il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n.153321 del 27.11.2015 sono state definite le modalità attuative del credito d’imposta di cui all’articolo 3 della legge 22 giugno 2000, n. 193, e successive modificazioni, concesso a favore delle imprese che assumono, per un periodo di tempo non inferiore a trenta giorni, lavoratori detenuti o internati, anche quelli ammessi al lavoro esterno ai sensi dell’articolo 21 della legge 26 luglio 1975, n. 354, ovvero detenuti semiliberi provenienti dalla detenzione, o che svolgono effettivamente attività formative nei loro confronti.

Le disposizioni contenute nel presente provvedimento decorrono dal 1° gennaio 2016.

I crediti d’imposta maturati fino al 31 dicembre 2015, non ancora interamente utilizzati in compensazione, sono fruiti dalle imprese, a decorrere dal 1° gennaio 2016, secondo le disposizioni del presente provvedimento, nei limiti dell’importo residuo risultante dalla differenza tra i crediti comunicati all’Agenzia delle Entrate dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia e l’ammontare dei crediti fruiti in compensazione utilizzando il codice tributo 6741, rilevati dall’Agenzia delle Entrate attraverso i modelli F24 presentati successivamente alle comunicazioni del citato Dipartimento.

Il primo step previsto dal Provvedimento riguarda l’individuazione delle imprese beneficiarie. A tal fine il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia trasmette all’Agenzia delle Entrate, entro il 31 dicembre di ciascun anno e con modalità telematiche definite d’intesa, l’elenco delle imprese beneficiarie del credito per l’anno successivo, con l’importo concesso a ciascuna di esse.

Il suddetto credito d’imposta è utilizzabile in compensazione, presentando il modello F24 esclusivamente attraverso i servizi telematici ENTRATEL e FISCONLINE messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate, secondo modalità e termini definiti con provvedimento del Direttore della stessa Agenzia.

Il Provvedimento in commento sancisce che l’Agenzia delle Entrate verifica, per ciascun modello F24 ricevuto, che l’importo del credito d’imposta utilizzato non risulti superiore all’ammontare del beneficio complessivamente concesso all’impresa, al netto dell’agevolazione fruita attraverso i modelli F24 già presentati. Nel caso in cui l’importo del credito utilizzato risulti superiore al beneficio residuo, il relativo modello F24 è scartato e i pagamenti ivi contenuti si considerano non effettuati.

Autore: redazione fiscal focus

Prima casa e abitazione principale: conosciamo la differenza?

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – Spesso si tende a far confusione tra concetti di “Prima casa” e “Abitazione principale” e pensare che siano la stessa cosa.

Certo in alcuni casi possono coincidere (è il caso di una persona che possiede un solo immobile, nel quale risiede anche con la propria famiglia), ma in altre ipotesi può trattarsi di immobili diversi (è il caso di un soggetto possessore ad esempio di due immobili dove uno dei due è “prima casa” e l’altro è “abitazione principale”).

E’ importante conoscere le differenze poiché a seconda che si tratti di pima casa o seconda casa o si tratti di abitazione principale o abitazione a disposizione sono previste agevolazioni fiscali e normative diverse.

La prima casa – Il concetto di prima casa è di carattere prettamente fiscale, poiché all’atto di stipula del rogito (compravendita, donazione, ecc.) consente di beneficiare di una serie di agevolazioni, quali ad esempio:

  • il pagamento di un’aliquota ridotta per le imposte ipotecaria e catastale in caso di compravendita di un immobile (es. imposta di registro del 2% in luogo del 9%);
  • il pagamento di un’aliquota ridotta per le imposte ipotecaria e catastale in caso di donazione di un immobile;
  • il pagamento di un’aliquota ridotta per le imposte ipotecaria e catastale in caso di successione ereditaria.

In particolare, affinché l’immobile oggetto del rogito possa essere considerato “prima casa”, per l’acquirente, è necessario che siano rispettate le seguenti condizioni (contemporaneamente):

  1. L’immobile deve essere di tipo residenziale e non di lusso (es. categoria A2).
  2. Non essere titolare, neppure per quote o in comunione legale, su tutto il territorio nazionale, di diritti di proprietà, uso, usufrutto, abitazione o nuda proprietà, su altro immobile acquistato, anche dal coniuge, usufruendo delle agevolazioni per l’acquisto della prima casa;
  3. E’ necessario essere residenti o lavorare nel comune dell’immobile, o provvedere a trasferirvi la residenza entro 18 mesi dall’acquisto;
  4. Non essere titolare, esclusivo o in comunione col coniuge, di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione, su altra casa nel territorio del Comune dove si trova l’immobile oggetto dell’acquisto agevolato;
  5. Il soggetto acquirente deve essere una persona fisica.

La differenza tra prima casa e abitazione principale, può essere individuata al punto 3) delle predette condizioni. Infatti, il fatto stesso che sia sufficiente lavorare nel comune in cui si acquista la casa o avere in esso la residenza ma non è necessario abitare nella casa da acquistare, ci fa capire come la prima casa possa essere qualcosa di diverso dall’abitazione principale, che è invece quella dove si ha la proprio dimora abituale (cioè la residenza).

Con riferimento alla condizione di cui al punto 3) è previsto che nel caso, per l’acquisto, si facesse un mutuo, per poter poi detrarre fiscalmente gli interessi passivi, la casa che si acquista dovrà diventare abitazione principale (pertanto occorre portarci la residenza) entro 12 mesi e non 18 mesi.

L’abitazione principale – Il concetto di abitazione principale è di carattere prettamente residenziale. In particolare l’abitazione principale coincide con l’immobile in cui il soggetto ha la propria residenza o meglio dimora abituale.

Anche all’abitazione principale sono legate una serie di agevolazioni fiscali, quali ad esempio:

  1. l’esenzione IMU se l’immobile è di categoria catastale non di lusso (es. A/2);
  2. l’applicazione di un’aliquota agevolata IMU e di una detrazione IMU se l’immobile è di categoria catastale di lusso (es. A/1);
  3. la possibilità di detrarre gli interessi passivi del mutuo stipulato per l’acquisto;
  4. altre agevolazioni previste dal comune, come quelle per la stipula dei nuovi contratti relativi alle utenze domestiche (acqua, luce, gas).

Esempio – Si supponga che il sig. Mario sia residente nel comune di Napoli e l’immobile (cat. A/2) in cui ha la residenza è di sua proprietà in seguito a successione per decesso del padre (l’immobile non è stato oggetto di precedente agevolazione prima casa). Tale immobile, dunque, rappresenta la sua “abitazione principale”.

Il sig. Mario decide di acquistare un secondo immobile (cat. A/2) situato nel comune di Caserta (intestandolo interamente a se stesso). Il comune di Caserta rappresenta altresì il proprio luogo di lavoro. In tale ipotesi, lasciando la residenza nell’attuale immobile di Napoli, ne consegue che il secondo immobile acquistato può essere considerato “prima casa” e quindi beneficiare delle relative agevolazioni fiscali mentre l’immobile in cui lascia la residenza continua ad essere la sua “abitazione principale”.

Dunque, il sig. Mario è proprietario di due immobili di cui uno è “prima casa” e l’altro “abitazione principale”.

Autore: PIRONE PASQUALE

Gestione separata INPS e cumulo di contributi: c’è possibilità di pensione

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – Spesso può accadere che un soggetto abbia maturato i requisiti contributivi previsti dalla normativa pensionistica per poter accedere alla pensione, ma ha contributi versati in più gestioni previdenziali gestite dall’INPS (esempio gestione separata, gestione dipendenti e gestione ex Inpdap). Si tratta di anni contributivi che se presi singolarmente non permetterebbero di maturare il diritto alla pensione poiché non si raggiungono i requisiti pensionistici previsti per una specifica gestione ma che se sommati (e quindi ricongiunti) potrebbero consentire l’accesso alla pensione con la gestione separata poiché questa rappresenta l’ ultima posizione previdenziale cui si era iscritti.

In particolare, la possibilità di ricongiungere alla gestione separata i periodi contributivi versati alle altre gestioni previdenziali è espressamente prevista dall’art. 3 DM n. 282/1996 in cui è disposto che “gli iscritti alla gestione separata che possono far valere periodi contributivi presso l’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, le forme esclusive e sostitutive della medesima, le gestioni pensionistiche dei lavoratori autonomi di cui alla legge n. 233 del 1990 hanno facoltà di chiedere nell’ambito della gestione separata il computo dei predetti contributi, ai fini del diritto e della misura della pensione a carico della gestione stessa, alle condizioni previste per la facoltà di opzione di cui all’art. 1, comma 23, della legge n. 335 del 1995”.

I requisiti necessari per l’esercizio della facoltà e i chiarimenti dell’INPS – Il predetto art. 3 DM n. 282/1996, dunque, consente l’utilizzo nella gestione separata dei periodi contributivi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo presenti in altre gestioni previdenziali.

Per avvalersi di questa facoltà è necessario avere i requisiti richiesti per esercitare l’opzione al sistema contributivo e cioè:

  1. un’anzianità contributiva inferiore a 18 anni al 31/12/1995;
  2. possesso di almeno 15 anni di contribuzione di cui 5 dopo il 31/12/1995.

In merito al requisito di cui al punto 1), l’INPS con la circolare n. 184 del 18 novembre 2015 ha chiarito che occorre far riferimento all’anzianità complessivamente maturata entro la data del 31/12/1995 computando tutta la contribuzione (obbligatoria, figurativa, volontaria e da riscatto) posseduta dal soggetto, al momento dell’esercizio della facoltà in questione, nelle gestioni indicate dall’articolo 3 del D.M. n. 282/96 purché non ancora utilizzata per la liquidazione di un trattamento pensionistico e eventuali periodi coincidenti temporalmente saranno conteggiati una sola volta.

Inoltre, sono esclusi dal computo i soggetti iscritti per la prima volta dopo l’1/1/1996 (c.d. contributivi “puri”) ed anche i soggetti che, al 31/12/1995, sono in possesso di sola contribuzione in gestioni non rientranti nell’ambito di applicazione del citato articolo 3 ( es. in Casse professionali) o la cui contribuzione, anteriore all’ 1/1/1996, ha già dato luogo ad un trattamento pensionistico.

In merito al requisito di cui al punto 2), con la stessa circolare n. 184 l’istituto di previdenza chiarisce che anche in tal caso si prenderà in considerazione tutta la contribuzione (obbligatoria, figurativa, volontaria e da riscatto), posseduta dal soggetto nelle gestioni indicate dall’articolo 3 del D.M. n. 282/1996, non sovrapposta temporalmente e non ancora utilizzata per la liquidazione di un trattamento pensionistico.

I requisiti di anzianità contributiva necessari per la facoltà di computo sono perfezionati anche sulla base del cumulo dei periodi assicurativi risultanti negli Stati membri dell’Unione europea e negli Stati con i quali sono in vigore accordi bilaterali di sicurezza sociale che prevedono la totalizzazione dei periodi per il diritto alle prestazioni.

Infine, si precisa che non è condizione ostativa all’esercizio della facoltà in parola, la circostanza che il soggetto richiedente abbia già maturato il diritto a pensione in una delle gestioni interessate dal computo o sia già titolare di trattamento pensionistico in un qualsiasi fondo.

Le prestazioni pensionistiche conseguibili – L’esercizio della facoltà di computo di cui all’art. 3 D.M. n. 282/1996 è utile ai fini del conseguimento di:

  • pensione di vecchiaia;
  • pensione anticipata;
  • pensione di inabilità;
  • assegno ordinario di invalidità;
  • pensione indiretta ai superstiti;
  • pensione supplementare.

La pensione sarà erogata dalla gestione separata e quindi soggiace alla normativa prevista per i trattamenti erogati nella suddetta gestione (es. almeno 5 anni di contribuzione versata nella predetta gestione).

La domanda – Come chiarito nella circolare n. 184/2015, trattandosi di una “facoltà”, il soggetto interessato deve fare esplicita richiesta del computo nella stessa domanda di pensione e in mancanza la sede INPS cui è stata presentata domanda non è tenuta ad applicare d’ufficio l’istituto in questione.

Con l’esercizio della facoltà, il soggetto interessato consegue la pensione di vecchiaia in gestione separata in base ai requisiti anagrafici e contributivi indicati nella circolare INPS n. 35/2012 (fissati dalla legge n. 2014/2011). E’ possibile, altresì, conseguire la pensione anticipata in gestione separata con i requisiti di cui al punto 2.2. della stessa circolare n. 35 del 2012.

Quindi, ad esempio, nel 2016, potrebbe fare domanda di pensione anticipata con cumulo nella gestione separata (sempre se sussistono i requisiti per l’esercizio dell’opzione) chi compie 63 anni e 7 mesi di età ed ha 20 anni di contribuzione effettiva (di cui 5 nella gestione separata).

Autore: Pirone Pasquale

ANTIRICICLAGGIO: contratti di locazione e obblighi per gli avvocati

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Il caso – L’avvocato è tenuto a rispettare gli adempimenti previsti dalla disciplina antiriciclaggio nel caso in cui provveda a redigere un contratto di locazione o comodato?

Si rientra in questo caso nell’ipotesi di cui all’articolo 12, comma 1, lettera b) del D.Lgs. n.231/2007 “gestione di denaro, strumenti finanziari o altri beni”?

L’analisi – Come noto, il D.Lgs. n. 231/2007 non fornisce un elenco dettagliato delle operazioni al ricorrere delle quali devono scattare gli obblighi di adeguata verifica della clientela, né per i dottori commercialisti ed esperti contabili, né per gli avvocati.

Con specifico riferimento agli avvocati e ai notai viene tuttavia chiarito che questi ultimi sono tenuti ad osservare gli obblighi in materia di antiriciclaggio:

  • quando in nome o per conto dei propri clienti, compiono qualsiasi operazione di natura finanziaria o immobiliare
  • quando assistono i propri clienti nella predisposizione o nella realizzazione di operazioni riguardanti:
    1. il trasferimento a qualsiasi titolo di diritti reali su beni immobili o attività economiche;
    2. la gestione di denaro, strumenti finanziari o altri beni;
    3. l’apertura o la gestione di conti bancari, libretti di deposito e conti di titoli;
    4. l’organizzazione degli apporti necessari alla costituzione, alla gestione o all’amministrazione di società;
    5. la costituzione, la gestione o l’amministrazione di società, enti, trust o soggetti giuridici analoghi.

I contratti di affitto e di locazione

Con specifico riferimento alla redazione dei contratti di affitto, nel tempo si sono avute interpretazioni contrastanti.
Il Consiglio Nazionale Forense con il parere 24 ottobre 2012, n. 62 (Rel. Cons. Merli), ha chiarito che “non esiste, in linea generale, obbligo di segnalazione e/o di adeguata verifica con riferimento ai contratti di locazione, in quanto essi non trasferiscono diritti reali e non costituiscono un’attività economica
Viene tuttavia successivamente chiarito che occorre prestare particolare attenzione a tutti quei casi in cui il contratto di locazione o affitto generi nell’avvocato il sospetto di riciclaggio o di finanziamento al terrorismo (si pensi, a tal proposito, ad un contratto di locazione che preveda un canone decisamente troppo alto per i normali standard di mercato).
Si vuole aggiungere al quadro tracciato dal parere del Consiglio Nazionale Forense che, ai sensi dell’articolo 16 del D.Lgs. 231/2007, scattano gli obblighi di adeguata verifica della clientela “quando vi è sospetto di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, indipendentemente da qualsiasi deroga, esenzione o soglia applicabile
Si rende inoltre necessaria la segnalazione dell’eventuale operazione sospetta.

L’interpretazione del Mef

Questa prima interpretazione del Consiglio Nazionale Forense è stata tuttavia successivamente smentita dal Mef, il quale ha chiarito che anche l’assistenza fornita da un legale nella predisposizione di un contratto di locazione configura un’attività di “gestione di denaro, strumenti finanziari o altri beni” ex art. 12, comma 1, lett. c), n. 2, D.Lgs. n. 231/2007.
Pertanto, anche in questo caso, l’avvocato sarà tenuto ad osservare gli obblighi antiriciclaggio contenuti nel D.Lgs. n. 231/2007, allo stesso modo di quanto previsto per i dottori commercialisti ed esperti contabili.
È stato inoltre chiarito che, in tutti i casi, il limite dei 15.000 euro (al di sopra del quale scattano gli obblighi di adeguata verifica della clientela) deve essere riferito al canone periodico previsto dal contratto.
Pertanto:

  • nel caso in cui sia stato stipulato un contratto nel quale è prevista la corresponsione di un canone semestrale di importo pari a 16.000 euro scattano gli obblighi di adeguata verifica della clientela,
  • se, nello stesso contratto, è previsto un canone mensile di euro 1.500 il professionista non sarà chiamato a rispettare gli obblighi di adeguata verifica della clientela (sebbene, paradossalmente, il canone annuale sia maggiore).

Si ricorda, infine, che nel caso di contratto di affitto/di locazione devono essere identificate entrambe le parti, ovvero sia il locatore che il conduttore.

I contratti di comodato
Con specifico riferimento ai contratti di comodato, invece, con i chiarimenti UIC del 27 marzo 2007 è stato affermato che questi ultimi costituiscono operazione da registrare, qualora il valore della cosa data in consegna sia superiore a 15.000 euro.
Data la gratuità della prestazione non potrà invece farsi riferimento, ovviamente, al valore del corrispettivo.

Autore: redazione fiscal focus

Assegnazione, estromissione, trasformazione agevolata: le opzioni a confronto

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Il DDL di Stabilità 2016 prosegue il cammino verso la definitiva approvazione e sembra che siano in dirittura d’arrivo l’insieme delle misure che permettono alle imprese di far fuoriuscire beni con un impatto fiscale “light”, nonché porre in essere una trasformazione in società semplice. A seconda dei casi si potrà scegliere tra le varie possibilità concesse dal Legislatore.

Ambito soggettivo – Da un punto di vista soggettivo, l’estromissione riguarda le sole imprese individuali, mentre assegnazione e trasformazione riguardano le società, di persone o di capitali.

Ambito oggettivo –Differenze sussistono per ciò che riguarda i beni “agevolabili”.

L’assegnazione non è rivolta a tutti beni dell’impresa, ma si limita l’applicazione:

  • ai beni immobili (tranne quelli strumentali per destinazione);
  • ed ai beni mobili iscritti in pubblici registri non utilizzati quali beni strumentali nell’esercizio dell’impresa.

L’estromissione è invece possibile per i soli beni strumentali, per natura o per destinazione. Nella trasformazione agevolata ciò che conta è che la società che intende trasformarsi deve avere per oggetto esclusivo o principale la gestione di beni immobili o di beni mobili registrati.

Esercizio dell’opzione, base imponibile e aliquote – L’esercizio dell’opzione deve avvenire entro il 30 Settembre 2016, fatta eccezione per l’estromissione che deve avvenire entro il 31 Maggio 2016. L’aliquota dell’imposta sostitutiva è pari all’8% per assegnazione, estromissione e trasformazione agevolata.

Eccezioni sono previste per l’assegnazione da parte della società nel caso in cui si verifica la condizione di non operatività in almeno due periodi d’imposta nel triennio 2013-2015 (aliquota 10,5%) e nel caso della presenza di riserve in sospensione d’imposta annullate per effetto dell’assegnazione o presenti nel patrimonio della società che si trasforma (aliquota 13%).

Il vero elemento di novità è la determinazione della base imponibile costituita dalla differenza tra il valore del bene ed il suo costo fiscalmente riconosciuto. Il valore del bene andrà definito in riferimento al suo valore catastale.

Per ciò che riguarda in particolare l’assegnazione, si da la possibilità al contribuente che aderisce al regime agevolativo di poter optare tra le seguenti scelte:

  • il valore di mercato così come definito dall’art. 9, D.P.R. 917/1986;
  • il valore catastale utilizzando i moltiplicatori ex art. 52, D.P.R. 131/1986.

Optando per il valore catastale si dovrà procedere a porre in essere il seguente calcolo:

  • rendita catastale + il 5% della rendita catastale * i moltiplicatori ex art. 52, D.P.R. 131/1986.

Per i terreni la rendita catastale andrà rivalutata del 25%.

Versamento imposta sostitutiva – In tutti i casi analizzati il versamento dell’imposta sostitutiva andrà effettuato:

  • il 60% entro il 30.11.2016;
  • il restante 40% entro il 30.06.2017.
Autore: redazione fiscal focus

Contratto di locazione: l’APE può essere “autodichiarato”

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – L’ A.P.E. (Attestato di Prestazione Energetica) è un documento che descrive le caratteristiche energetiche di un edificio, di un abitazione o di un appartamento.

Al momento della vendita (e quindi dell’acquisto) o della locazione di un immobile, oltre ad essere obbligatorio, è utile per informare sul consumo energetico e aumentare il valore degli edifici ad alto risparmio energetico.

È redatto da un “soggetto accreditato” chiamato certificatore energetico che solitamente è un tecnico abilitato alla progettazione di edifici e impianti come l’architetto, l’ingegnere e il geometra (la formazione, la supervisione e l’accreditamento dei professionisti sono gestiti dalle Regioni con apposite leggi locali).

L’A.P.E.in caso di compravendita o locazione – Dunque, prima della stipula di un contratto di compravendita o di locazione avente ad oggetto un immobile, il proprietario deve obbligatoriamente dotarsi dell’A.P.E.

Infatti, l’art. 6, comma 2, primo periodo, del D.lgs. n. 192/2005 (così come sostituito dall’art. 6 della legge n. 90 del 2013) espressamente dispone che “nel caso di vendita, di trasferimento di immobili a titolo gratuito o di nuova locazione di edifici o unità immobiliari, ove l’edificio o l’unità non ne sia già dotato, il proprietario è tenuto a produrre l’attestato di prestazione energetica”.

Il successivo secondo periodo dello stesso comma 2 dispone altresì che “in tutti i casi, il proprietario deve rendere disponibile l’attestato di prestazione energetica al potenziale acquirente o al nuovo locatario all’avvio delle rispettive trattative e consegnarlo alla fine delle medesime; in caso di vendita o locazione di un edificio prima della sua costruzione, il venditore o locatario fornisce evidenza della futura prestazione energetica dell’edificio e produce l’attestato di prestazione energetica entro quindici giorni dalla richiesta di rilascio del certificato di agibilità”.

Dunque, si evince, che l’A.P.E. deve essere esistente sin dall’inizio della trattativa e il venditore o locatore deve consegnarlo all’altra parte al momento della definitiva stipula del relativo contratto di vendita o di locazione.

L’obbligo di allegare l’A.P.E. al contratto – Il successivo comma 3 del novellato art. 6 D.lgs. n. 192/2005 dispone che “nei contratti di compravendita immobiliare, negli atti di trasferimento di immobili a titolo oneroso e nei nuovi contratti di locazione di edifici o di singole unità immobiliari soggetti a registrazione è inserita apposita clausola con la quale l’acquirente o il conduttore dichiarano di aver ricevuto le informazioni e la documentazione, comprensiva dell’attestato, in ordine alla attestazione della prestazione energetica degli edifici; copia dell’attestato di prestazione energetica deve essere altresì allegata al contratto, tranne che nei casi di locazione di singole unità immobiliari”.

Dunque, non vi è più previsto l’obbligo di allegare l’ A.P.E. ai contratti di cessione a titolo gratuito di immobili e ai contratti di locazione di singole unità abitative ed è stato previsto, invece, l’obbligo di inserire nel contratto di locazione (o di cessione dell’immobile a titolo gratuito)una clausola con la quale “il conduttore dichiara di aver ricevuto le informazioni e la documentazione, comprensiva dell’attestato, in ordine alla attestazione della prestazione energetica degli edifici”.

Dunque, l’obbligo della predetta clausola può considerarsi come una vera e propria “autocertificazione” con cui il locatore e conduttore dichiarano di essere in possesso del certificato A.P.E.

L’obbligo di allegare la certificazione resta fermo, invece, per i contratti di nuova locazione aventi per oggetto interi edifici e non singole unità immobiliari.

Riepilogando, vi è obbligo di allegare l’A.P.E. ai contratti di compravendita (aventi ad oggetto sia interi edifici che singole unità abitative) e ai contratti di locazione (o trasferimento a titolo gratuito) aventi ad oggetto solo interi edifici. Non vi è, inveve, obbligo di allegare A.P.E. ai contratti di locazione (o trasferimento a titolo gratuito) aventi ad oggetto singole unità immobiliari.

Il regime sanzionatorio – Ai sensi della nuova disciplina varata dal DL 23 dicembre 2013, n. 145, sono previste esclusivamente sanzioni amministrative (non è più prevista la sanzione della nullità del contratto). Dall’1 ottobre 2015, il regime sanzionatorio prevede le seguenti sanzioni:

  • in caso di violazione dell’obbligo di dotare di un attestato di prestazione energetica gli edifici di nuova costruzione e quelli sottoposti a ristrutturazioni importanti, il costruttore o il proprietario è punito con la sanzione amministrativa non inferiore a 3.000 euro e non superiore a 18.000 euro;
  • In caso di violazione dell’obbligo di dotare di un attestato di prestazione energetica gli edifici o le unità immobiliari nel caso di vendita, il proprietario è punito con la sanzione amministrativa non inferiore a 3.000 euro e non superiore a 18.000 euro;
  • in caso di violazione dell’obbligo di dotare di un attestato di prestazione energetica gli edifici o le unità immobiliari nel caso di nuovo contratto di locazione, il proprietario è punito con la sanzione amministrativa non inferiore a 300 euro e non superiore a 1.800 euro;
  • in caso di omessa dichiarazione o allegazione, se dovuta, le parti sono soggette al pagamento, in solido e in parti uguali, della sanzione amministrativa pecuniaria da euro 3.000 a euro 18.000; la sanzione è da euro 1.000 a euro 4.000 per i contratti di locazione di singole unità immobiliari e, se la durata della locazione non eccede i tre anni, essa è ridotta alla metà. Il pagamento della sanzione amministrativa non esenta comunque dall’obbligo di presentare la dichiarazione o la copia dell’attestato di prestazione energetica entro 45 giorni.
Autore: Pasquale Pirone

Fattura elettronica: niente obbligo per i medici convenzionati

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

R.M. 98/E/2015

Con la Risoluzione 98/E del 25.11.2015, l’Amministrazione Finanziaria, in risposta alla consulenza giuridica chiesta dalla Federazione Italiana dei Medici di Medicina Generale, ha chiarito che il cedolino emesso dalle Aziende Sanitarie Locali in favore dei medici di medicina generale operanti in regime di convenzione con il SSN, nel rispetto di determinati requisiti, sia sostitutivo degli obblighi di fatturazione, anche elettronica.

Nel documento di prassi in questione la situazione prospettata è la seguente: i medici di medicina generale operanti in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale – attività che si colloca in una posizione intermedia fra quella professionale e quella parasubordinata, causa i vincoli imposti dalla stessa convenzione con il SSN (di orario, retribuzione, presenza, ecc.) – ricevono mensilmente da parte dell’Azienda Sanitaria competente per territorio un cedolino, nel quale sono riepilogate tutte le voci che entrano a far parte della propria remunerazione mensile e da cui emerge il netto dovuto per l’attività prestata.

Nel contesto descritto si chiede la necessità per i suddetti medici di emettere fattura elettronica trattandosi di committente ente pubblico.

In risposta alla richiesta effettuata, l’Amministrazione Finanziaria ha dapprima chiarito che laddove l’obbligo di emettere una fattura non sussisteva prima del D.M. n. 55 del 2013, lo stesso non è venuto dopo l’introduzione della fattura elettronica.

In altre parole, l’introduzione della fattura elettronica non ha creato una categoria sostanziale nuova o diversa dalla fattura “ordinaria”, con la conseguenza che, pur nel limite della compatibilità con gli elementi che le caratterizzano, continuano a trovare applicazione tutti i chiarimenti già in precedenza emanati con riferimento generale alla fatturazione, nonché le deroghe previste da specifiche disposizioni normative di settore.

Per tale ragione, per individuare la necessità di emettere fattura elettronica è necessario rifarsi ai criteri generali in tema di fattura.

A tal proposito, evidenzia l’Agenzia, l’articolo 2 del D.M. 31 ottobre 1974, dispone che “Nei rapporti tra gli esercenti la professione sanitaria e gli enti mutualistici per prestazioni medico-sanitarie generiche e specialistiche, il foglio di liquidazione dei corrispettivi compilato dai detti enti tiene luogo della fattura di cui all’art. 21 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. Tale documento deve contenere gli elementi e i dati indicati nel secondo comma del citato art. 21 ed essere emesso in triplice esemplare; il primo deve essere consegnato o spedito al professionista unitamente ai corrispettivi liquidati, il secondo consegnato o spedito all’ufficio provinciale della imposta sul valore aggiunto competente ai sensi dell’art. 40 del citato decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, il terzo conservato presso l’ente».

Dunque, il cedolino emesso dalle Aziende Sanitarie Locali è sostitutivo della fattura, a patto che questo contenga gli stessi elementi della fattura come indicati dall’art. 21, e sia emesso in triplice esemplare.

Nel rispetto di tali condizioni, il cedolino emesso dalle Aziende Sanitarie Locali compilato dalle Aziende Sanitarie Locali, è sostitutivo degli obblighi di fatturazione, e trattandosi di committenti enti pubblici, degli obblighi di fatturazione elettronica.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Credito per investimenti in ricerca e sviluppo

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Con la Risoluzione 97 le Entrate istituiscono il codice tributo

Premessa – Un nuovo codice tributo per fruire tramite F24, a partire dal prossimo anno, del bonus spettante alle imprese che sostengono costi per quelle attività negli anni dal 2015 al 2019.

Credito imposta – Gli imprenditori che investono in attività di ricerca e sviluppo, indipendentemente dal settore economico in cui operano e dal regime contabile adottato, possono usufruire di un credito d’imposta, introdotto inizialmente dall’articolo 3 del Dl 145/2013, poi sostituito integralmente dall’articolo 1, comma 35, della legge 190/2014 (Stabilità 2015).

Beneficiari – La nuova formulazione dell’articolo ha modificato la misura, la decorrenza e la platea dei beneficiari dell’agevolazione, prevedendo l’attribuzione del bonus in favore di tutte le imprese che effettuano investimenti dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 fino a quello in corso al 31 dicembre 2019.

Modalità applicative – Il decreto interministeriale del 27 maggio 2015 ha definito le modalità applicative del credito d’imposta. In particolare, l’articolo 6 stabilisce che l’importo del beneficio concesso venga indicato nella dichiarazione dei redditi riguardante il periodo d’imposta nel corso del quale sono state sostenute le spese e che l’utilizzo del credito debba avvenire, esclusivamente in compensazione, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello di sostenimento dei costi.

Codice tributo – Per consentire la fruizione dell’incentivo fiscale dall’inizio del prossimo anno, la risoluzione 97/E del 25 novembre 2015 istituisce il codice tributo “6857”, che sarà dunque operativo dal 1° gennaio 2016.

Compilazione – Andrà riportato nella sezione “Erario” del modello F24, in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a credito compensati” ovvero, nei casi in cui il contribuente debba riversare l’agevolazione, nella colonna “importi a debito versati”. Nel campo “anno di riferimento” andrà riportato l’anno in cui è stato sostenuto il costo.

Autore: redazione fiscal focus

Forfettari e minimi: il calcolo dell’acconto

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – Il contribuente che per effetto delle norme transitorie ha mantenuto il regime dei minimi di cui alla Legge 244/2007 (art. 1 comma 117) adottato fin già dal 2014 anche per il periodo d’imposta 2015 deve calcolare l’acconto con le regole previste per tale regime. In pratica l’acconto va calcolato adottando il metodo storico, nella misura del 100% di quanto dovuto a titolo di imposta complessiva per il 2014. In particolare si dovrà fare riferimento al rigo LM14 di Unico 2015.

Regime dei minimi – I soggetti che nel 2014 hanno applicato il regime dei minimi possono determinare l’acconto 2015 sia con il metodo storico che con il metodo previsionale. Con riferimento agli acconti occorre evidenziare quanto segue:

  • il regime dei minimi non prevede l’assoggettamento ad IRAP e quindi i soggetti in esame non sono tenuti al versamento del relativo acconto;
  • va verificata la necessità di versare l’acconto IRPEF 2015 qualora dal Mod. UNICO 2015 risulti, oltre all’imposta sostitutiva, anche un’IRPEF dovuta (derivante dal possesso di altri redditi di natura diversa rispetto a quelli conseguiti in regime dei minimi, ordinariamente assoggettati a tassazione).

Fuoriuscita minimi – I contribuenti che fuoriescono dal regime dei minimi (ad esempio, a partire dal 1° gennaio 2015) e adottano il regime ordinario, determineranno il reddito 2015 nei modi ordinari assoggettando lo stesso ad IRPEF. Considerando il meccanismo di scomputo previsto nel quadro RN, Mod. UNICO PF, i soggetti fuoriusciti dal regime versano l’acconto dell’imposta sostitutiva (ancorché per lo stesso periodo siano soggetti all’IRPEF) che successivamente verrà fatta “confluire” nell’IRPEF. In sostanza, tali contribuenti versano l’acconto 2015 utilizzando i codici tributo previsti per l’imposta sostitutiva e dovranno indicare quanto versato a tale titolo a rigo RN38, colonna 4, Mod. UNICO 2016 PF.

Regime forfettario – I contribuenti che, a partire dal 01.01.2015, hanno optato, o sono naturalmente transitati per il regime forfettario di cui all’articolo 1, commi da 54 a 89, della legge 190/2014, non devono per quest’anno versare alcun acconto con riferimento all’imposta sostitutiva dovuta con aliquota del 15%. Il contribuente che proviene dal regime ordinario, transitando ad un regime con imposta sostitutiva, può valutare l’ipotesi di una determinazione dell’acconto IRPEF in via previsionale, non considerando il reddito d’impresa/lavoro autonomo.

Calcolo previsionale – Il contribuente che, nel 2015, è transitato per obbligo o per opzione nel regime forfettario provenendo da un regime ordinario dovrà valutate attentamente il da farsi. Sul punto va detto che manca nel regime forfettario di cui alla legge di Stabilità 2015 una disposizione analoga a quella prevista all’abrogato articolo 1, comma 117, della legge 244/2007 che obbligava i “minimi” a considerare anche in sede di calcolo previsionale le regole ordinarie e non quelle del regime agevolato. Pertanto, in assenza di indicazioni previste in tal senso, il contribuente in questi casi potrebbe validamente procedere a rideterminare l’acconto non su basi storiche ma su quelle previsionali arrivando per questi versi anche ad azzerare quanto dovuto.

Inizio attività forfettario – Per chi ha iniziato l’attività direttamente nel nuovo regime forfettario non ci sono problemi di sorta poiché; la norma istitutiva del nuovo sistema contabile si limita a stabilire che il pagamento dell’imposta sostitutiva (del 15%) va effettuato negli stessi termini e con le modalità previste per il versamento Irpef. Secondo il metodo storico il contribuente non è tenuto a versare acconti relativi all’imposta sostitutiva.

Autore: Devis Nucibella

Legge di Stabilità 2016: taglio IRES rinviato al 2017

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Il taglio IRES è rinviato al 2017. E’ quanto affermato dal primo Ministro Matteo Renzi nella Sala degli Orazi e Curiazi dei Musei Capitolini a Roma durante l’evento “Italia, Europa: una risposta al terrore”.

In effetti il rinvio era già contenuto nel DDL di Stabilità 2016, prevedendo una riduzione “anticipata” al 2016 a condizione dell’ottenimento del via libera quasi vincolante dei competenti organi Europei. Ora invece, a seguito dell’allarme terrorismo, la priorità è la sicurezza.

Taglio IRES: 2016 o 2017? – Per quanto riguarda il taglio dell’IRES, nel disegno di legge veniva rinviata al 2017 il taglio dal 27,5% al 24% dell’IRES, salvo anticipare, come precedentemente accennato, la riduzione al 2016 condizionata all’ottenimento di maggiore flessibilità nei conti da parte dell’Unione Europea.

In particolare sarebbe stato possibile anticipare il taglio IRES al 2016 se la Commissione Ue avesse riconosciuto lo 0,2% di flessibilità sul deficit, circa 3,3 miliardi, per l’evento migratorio eccezionale. Come sottolineato dal Ministro Padoan nella lettera inviata all’UE “il costo degli eventi eccezionali migratori è pari a 3,1 miliardi, 0,2 del Pil. E ove questa clausola sia riconosciuta, noi anticiperemo al 2016 misure che abbiamo già previsto per il 2017, segnatamente l’Ires, segnatamente i denari per ulteriori investimenti sull’edilizia scolastica. Si tratta, in attesa di Bruxelles, di un’approvazione condizionata”.

La risposta della UE non è ancora arrivata in via definitiva, ma tutto faceva presagire l’esito positivo della richiesta italiana. Nonostante ciò si è deciso di non anticipare la riduzione del taglio IRES al 2016. Nessuna incidenza dell’aumento delle risorse per la sicurezza, che non confluiscono nei calcoli del rapporto deficit/pil.

Bonus 80 euro esteso alle forze dell’ordine – Altra importante novità annunciata dal Premier è l’estensione del bonus 80 euro a tutte le donne e gli uomini che lavorano con le forze dell’ordine a cominciare da chi sta sulla strada.

Autore: redazione fiscal focus

Limite di spesa più alto per il bonus mobili

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Detrazione per chi acquista l’abitazione aumentata a 16.000 €

Premessa – La commissione bilancio del Senato ha modificato il testo del disegno di legge di stabilità 2016 alzando da 10.000 a 16.000 la spesa massima su cui si calcola la detrazione Irpef del 50% per l’acquisto di mobili da parte di “giovani coppie”.

Bonus mobili – Come noto l’articolo 16 co. 2 del D.L. n.63/2013 (più volte prorogato) ha introdotto il “bonus mobili”, che consiste nel fatto che i contribuenti che fruiscono della detrazione per interventi di recupero del patrimonio edilizio possono fruire di un’ulteriore riduzione d’imposta per l’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici di classe energetica non inferiore alla A+ (A per i forni), per le apparecchiature per le quali sia prevista l’etichetta energetica, finalizzati all’arredo di immobili oggetto di ristrutturazione. Tale agevolazione prorogata da ultimo dalla legge di stabilità 2015 fino al 31.12.2015 risulta oggetto di ulteriore proroga fino al 31.12.2016 sulla base di quanto previsto dal disegno di legge di stabilità 2016.

Agevolazione per giovani coppie – Ma la novità sta nel fatto che al “bonus Mobili” tradizionale si aggiunge un nuovo incentivo fiscale, esclusivamente per giovani coppie: una detrazione Irpef del 50% per l’acquisto di mobili (non per i grandi elettrodomestici) ad arredo dell’unità immobiliare, acquistata dagli stessi e “da adibire ad abitazione principale”. Il limite delle spese agevolabili è di 16.000 euro, quindi, la detrazione Irpef massima sarà di 8.000 euro da ripartire in 10 anni.

Scopo – Obiettivo, incentivare il mercato delle compravendite immobiliari dopo quello delle ristrutturazioni edilizie. Per la prima volta questo legame stretto fra le due agevolazioni (lavori e mobili) sarebbe superato e subentrerebbe invece un’altra condizione necessaria per ottenere lo sgravio: l’acquisto di una casa (abitazione principale).

Copertura – Il mancato gettito Irpef dovuto al raddoppio del bonus mobili sarà coperto dal Fondo per interventi strutturali di politica economica. Questo fondo è stato costituito nel 2005 presso il Mef con una dote di 2,2 miliardi di entrate stimate dalla sanatoria edilizia, ora scesa al minimo di 30 milioni (annualità 2016). Per la copertura necessaria al raddoppio del bonus l’emendamento attinge al rifinanziamento del Fondo – per 300 milioni l’anno a partire dal 2016 – previsto dallo stesso ddl Stabilità.

Ambito soggettivo – L’agevolazione spetta alle giovani coppie che costituiscono “un nucleo familiare composto da coniugi”, prima del pagamento della spesa (è sufficiente essere sposati dal giorno prima) oppure conviventi more uxorio che abbiano costituto un nucleo da almeno tre anni. In entrambe le ipotesi uno dei due componenti non deve aver superato i 35 anni.

Ambito temporale – L’acquisto dei mobili deve avvenire dal 1.1.2016 al 31.12.2016 e trattandosi di persone fisiche sarà rilevante il principio di cassa. Non è invece chiaro il momento in cui la coppia deve essere proprietaria dell’immobile, dal testo del disegno di legge non è previsto espressamente che la casa venga acquistata nello stesso periodo d’imposta. Ancora meno chiaro risulta il termine entro cui l’immobile deve essere adibito ad abitazione principale.

Autore: redazione fiscal focus

Rivalutazione beni d’impresa: le problematiche non risolte

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Si potrebbe finalmente dare una svolta applicativa alla possibilità di rivalutazione

Il disegno di legge di Stabilità 2016 prevede la riapertura dei termini per la rivalutazione dei beni d’impresa; si fa riferimento ai beni risultanti nel bilancio riferito al periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2014 che possono essere oggetto di rivalutazione nel 2015.

La legge di stabilità 2016 quindi riprende la possibilità di rivalutare i beni d’impresa.

Possono ricorrere alla rivalutazione i soggetti indicati nell’art.73 del TUIR, che non adottano i principi contabili internazionali ai fini della redazione del bilancio; i suddetti soggetti possono, in deroga a quanto previsto dall’art. 2426 c.c., rivalutare i beni d’impresa, materiali ed immateriali, e le partecipazioni in società controllate e collegate ai sensi dell’art. 2359 c.c. costituenti immobilizzazioni, ad eccezione degli immobili alla cui produzione o scambio è diretta l’attività d’impresa (c.d. immobili merce), risultanti dal bilancio d’esercizio in corso al 31 dicembre 2014.

Il maggior valore attribuito ai beni rivalutati si considera riconosciuto ai fini IRES/IRPEF ed IRAP e delle relative addizionale a decorrere dal terzo esercizio successivo a quello con riferimento al quale la rivalutazione è stata effettuata, mediante il versamento di un’imposta sostitutiva:

  • del 16% per i beni ammortizzabili
  • del 12% per i beni non ammortizzabili.

In altri termini, il riconoscimento dei maggiori valori si ha a partire dal 2018.

Analisi criticità – Analizzando con un approccio critico la riproposizione della rivalutazionenella Legge di Stabilità 2016 si deve comunque mettere in risalto come nel corso degli anni, sia stata molto limitata la risposta delle imprese alla possibilità di procedere alla rivalutazione dei beni; bisogna, affinchè il ricorso a tale procedura diventi più conveniente e sensato, cercare di capire quali sono gli aspetti intrinsechi che hanno determinato lo scarso appeal e intervenire per far si che tale strumento diventi effettivamente utile e conveniente rispetto a quelle che sono le reali necessita dell’impresa stessa.

Quali sono le ragioni che hanno portato ad uno scarso ricorso a tale procedura?

In primis si ricorda che, la rivalutazione deve obbligatoriamente operare sia ai fini fiscali sia ai fini civilistici; non è quindi possibile optare per una delle due scelte; ma quale sarebbe il motivo per il quale un’impresa dovrebbe decidere di procedere alla rivalutazione e quindi pagare un’imposta sostitutiva in un’unica soluzione per poi avere degli effetti fiscali positivi solo qualche anno dopo? Ricordiamo inoltre che la rivalutazione del bene al netto dell’imposta sostitutiva versata concorre alla formazione del reddito. Quindi si individuano già due profili critici, ossia, le non appetibili aliquote sostitutive, e l’obbligatorietà di procedere sia ad una rivalutazione civile sia fiscale. Perché quindi non riammettere la possibilità di rivalutare solo in bilancio vista la sempre più crescente necessità di avere bilanci sempre più attendibili?

Un altro aspetto sul quale si pone l’accento è quello che riguarda i terreni sottostanti e pertinenziali ai fabbricati da rivalutare; la circolare 13/E/2014 stabilisce che “ ai fini della rivalutazione i terreni sottostanti e pertinenziali vanno compresi nella categoria omogenea dei beni non ammortizzabili mentre i fabbricati, se strumentali, vanno considerati come beni ammortizzabili e quindi rientrano nell’apposita categoria”.

Sarebbe tutto chiaro sennonché la categoria indicata per i beni non ammortizzabili non esiste, se non solo ai fini dell’aliquota da applicare.

Quindi i terreni sottostanti e pertinenziali ai fabbricati da rivalutare in quale categoria omogenea rientrano?

Parliamo di criticità fortemente limitanti, e per questo che il legislatore dovrebbe porre enfasi su tali fattori, modificando alcune disposizioni e rendere finalmente conveniente per l’impresa, ricorrere ad un istituto che finora si è caratterizzato per potenzialità nascoste piuttosto che espresse.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Rivalutazione partecipazioni: criticità

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Aumentata l’aliquota per le partecipazioni non qualificate

Premessa – L’imposta sostitutiva per la rivalutazione delle partecipazioni non qualificate sarà pari all’8%, parificata dunque a quella per la rivalutazione delle partecipazioni qualificate e per i terreni. Con un emendamento alla bozza della legge di stabilità 2016 è stata cosi aumentata l’aliquota inizialmente prevista al 4%.

La rivalutazione – Negli ultimi anni è stata più volte riproposta la possibilità di rideterminare il valore di acquisto dei terreni, grazie alla proroga delle disposizioni di cui all’articolo 2, comma 2, D.L. n. 282/2002. Se il contribuente si è avvalso di detta facoltà, ai fini della determinazione della plusvalenza, in luogo del costo d’acquisto o del valore dei terreni edificabili, è possibile assumere il valore ad essi attribuito dalla perizia giurata di stima, necessaria per il perfezionamento della rivalutazione, previo pagamento di un’imposta sostitutiva.
Valore fiscale riconosciuto – I costi sostenuti per la relazione giurata di stima, qualora siano stati effettivamente sostenuti e rimasti a carico del contribuente, possono essere portati in aumento del valore iniziale da assumere ai fini del calcolo della plusvalenza in quanto costituiscono costo inerente del bene. La perizia giurata di stima, nonché i dati dell’estensore, possono essere richiesti dall’Amministrazione Finanziaria; tali documenti vanno quindi conservati.

Ddl stabilità 2016 – Il Ddl di Stabilità ha disposto la riapertura dei termini per effettuare la rideterminazione del valore di acquisto dei terreni edificabili e con destinazione agricola e partecipazioni societarie (qualificate e non qualificate) non quotate nei mercati regolamentati posseduti alla data del 1° gennaio 2016. Il versamento dell’imposta sostitutiva nonché la redazione della perizia giurata di stima, deve essere effettuato entro il 30 giugno 2016. L’imposta sostitutiva può essere versata in unica soluzione o come prima rata di tre rate annuali (sull’importo delle rate successive alla prima, si applicano gli interessi nella misura del 3% annuo).

Imposta sostitutiva – La nuova norma modifica il comma 2 dell’art. 2 del D.L. 282/2002 inserendo solo la proroga dei termini senza inserire alcun cambiamento alla disciplina che rimane invariata. Più precisamente la disciplina viene riproposta totalmente per quanto concerne adempimenti e casistiche, ma inizialmente prevedeva testualmente che “le aliquote delle imposte sostitutive, di cui agli articoli 5 comma 2, e 7, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, sono raddoppiate”; pertanto, l’imposta sostitutiva applicata sulle partecipazioni non qualificate risultava passare al 4% (dall’originario 2%), e quella applicata alle partecipazioni qualificate e ai terreni risultava passare all’8% (dall’originario 4%).

Emendamento – Con un emendamento è stato previsto che la rivalutazione delle partecipazioni societarie non qualificate sconterà l’imposta sostitutiva dell’8% anziché del 4 per cento. Secondo le modifiche apportate per la rideterminazione del costo fiscale non vi saranno più differenze. Nel caso delle quote, la medesima aliquota si applicherà alle partecipazioni qualificate e non.

Autore: redazione fiscal focus

Omaggi ai dipendenti: trattamento fiscale

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

In occasione delle feste natalizie (ma non solo) è consuetudine “omaggiare” ai propri dipendenti dei beni in natura generalmente non rientranti nell’attività d’impresa.

Come noto, l’art. 19 bis1, co. 1, lett. h), D.P.R. 633/1972, come modificato dall’art. 30 del D.lgs. semplificazioni fiscali), dispone che l’IVA relativa all’acquisto di beni destinati ad essere omaggiati, non rientranti nell’attività d’impresa, ricompresi fra le spese di rappresentanza in base al DM 19.11.2008, :

  • è detraibile se il costo unitario dell’omaggio è inferiore a € 50,00;
  • è indetraibile se il costo unitario dell’omaggio è superiore a € 50,00.

Si ricorda che ai fini IVA (C.M. 34/E/2009), per l’individuazione degli omaggi da ricomprendere tra le spese di rappresentanza, è necessario fare riferimento a quanto disposto dall’art. 1, DM 19.11.2008; in particolare, è necessario che le spese:

  • siano sostenute con finalità promozionali e di pubbliche relazioni;
  • siano ragionevoli in funzione dell’obiettivo di generare benefici economici;
  • siano coerenti con gli usi e le pratiche commerciali del settore.

Per quanto riguarda gli omaggi ai dipendenti, questi ai fini Iva non possono essere considerate spese di rappresentanza, in quanto prive del requisito di sostenimento per finalità promozionali. L’IVA relativa ai beni destinati ai dipendenti è da considerare indetraibile per mancanza di inerenza con l’esercizio dell’impresa.

Gli omaggi ai dipendenti di beni che non rientrano nell’attività dell’impresa ai fini delle imposte dirette sono da ricomprendere tra le erogazioni liberali (spese per prestazioni di lavoro sostenute in denaro o in natura a titolo di liberalità) a favore dei lavoratori concesse in occasioni di festività o ricorrenze alla generalità o a categorie di dipendenti, le quali beneficiano della deducibilità dal reddito d’impresa (art. 95 del Tuir) .

Per i lavoratori autonomi, detti costi sono deducibili ai sensi dell’art. 54, comma 1, Tuir, avente una portata applicativa analoga a quella dell’art. 95 del Tuir.

Ai fini IRAP, le spese per gli acquisti di omaggi da destinare ai dipendenti rientrano nei “costi del personale”, che ai sensi degli artt. 5 e 5-bis, D.Lgs. n. 446/97 non concorrono alla formazione della base imponibile IRAP, ancorché gli stessi siano contabilizzati in voci diverse dalla B.9 del Conto economico. Di conseguenza, le spese in esame sono indeducibiliai fini IRAP indipendentemente dalla natura giuridica del datore di lavoro.

Anche per i lavoratori autonomi, le spese in esame sono indeducibiliai fini IRAP, in quanto gli stessi determinano la base imponibile IRAP ai sensi dell’ art. 8, comma 1, D.Lgs. n. 446/97 quale “differenza tra l’ammontare dei compensi percepiti e l’ammontare dei costi sostenuti inerenti all’attività esercitata … esclusi gli interessi passivi e le spese per il personale dipendente.

Gli omaggi ricevuti dai dipendenti producono, in taluni casi, imponibilità in capo ai dipendenti stessi.

Tale imponibilità va verificata alla luce del disposto dell’art. 51, comma 3, Tuir.

In base alla citata disposizione:

  • le erogazioni liberali in denaro concorrono sempre (a prescindere dall’ammontare) alla formazione del reddito del dipendente e quindi sono assoggettate a tassazione;
  • le erogazioni liberali in natura se di importo:
    • non superiore ad € 258,23 nel periodo d’imposta non concorrono alla formazione del reddito;
    • superiore ad € 258,23 nel periodo d’imposta concorrono per l’intero ammontare alla formazione del reddito del dipendente (non solo per la quota eccedente il limite).
Autore: redazione fiscal focus

Accertamenti definitivi: non opera la sospensione dell’esecuzione forzata

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Il D.Lgs. 159/2015 ha introdotto importanti modifiche in merito alle Misure per la semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione; le novità riguardano anche la concentrazione della riscossione nell’accertamento. Lo stesso Decreto ha previsto che l’avviso di accertamento diventa esecutivo trascorsi 60 gg dal termine previsto per la presentazione del ricorso, quindi non si considera più invece il termine di notifica dell’avviso di accertamento.

All’art. 5 lo stesso decreto intervenendo sull’art.29, comma 1 del D.L.78/2010 prevedeva che: gli avvisi di accertamento divengono esecutivi (decorso il termine utile per la proposizione del ricorso) e devono espressamente recare l’avvertimento che, decorsi trenta giorni dal termine ultimo per il pagamento, la riscossione delle somme richieste, in deroga alle disposizioni in materia di iscrizione aruolo, è affidata in carico agli agenti della riscossione anche ai fini dell’esecuzione forzata, con le modalità determinate con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate, di concerto con il Ragioniere generale dello Stato. L’esecuzione forzata è sospesa per un periodo di centottanta giorni dall’affidamento in carico agli Agenti della riscossione degli atti di cui alla lettera; proprio in merito all’ultimo punto il D.Lgs 159/2015 ha stabilito invece che la predetta sospensione non opera in caso di accertamenti definitivi, anche in seguito a giudicato, nonché in caso di recupero di somme derivanti da decadenza dalla rateazione“; quindi in questi casi viene esclusa la sospensione della procedura di esecuzione forzata.

Inoltre il Legislatore ha eliminato la lettera e, comma 1, art. 29 del D.L. 78 del 2010 nella parte in cui stabiliva che l’espropriazione forzata, in ogni caso, è avviata, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre 2015 del terzo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto esecutivo; da qui, quindi, l’espropriazione forzata è legata ai termini di prescrizione ordinaria quinquennale per le sanzioni, e decennali per i tributi erariali.

Infine è da segnalare che lo stesso decreto ha previsto la possibilità di recapitare al debitore la cosiddetta comunicazione dell’affidamento della riscossione ad Equitalia, oltre che con raccomandata anche con posta semplice, posta ordinaria e certificata.

Autore: redazione fiscal focus

Antiriciclaggio: anche gli avvocati coinvolti

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Ci sono adempimenti che vengono spesso dimenticati. Più che dimenticati, si potrebbe più correttamente dire, soffocati: soffocati da tutti gli altri adempimenti, quelli per i quali la scadenza è più imminente e deve essere necessariamente rispettata.

Tutto il resto viene quindi relegato tra le formalità rinviabili ad una data imprecisata: fino a quando, almeno, non scattano le sanzioni.

Stiamo parlando della disciplina antiriciclaggio, e di tutti quegli adempimenti che la stessa ci obbliga a rispettare: adempimenti che possono apparire soltanto formali, ma dietro ai quali si nasconde un apparato sanzionatorio di tutto rispetto, fatto non solo di sanzioni amministrative sicuramente sproporzionate, ma anche di sanzioni penali.

Gli avvocati

Se i commercialisti e gli esperti contabili fanno ormai da tempo i conti con questa particolare disciplina, ci sono altri professionisti che la stanno sicuramente sottovalutando.

Stiamo parlando degli avvocati, i quali sono comunque tenuti all’osservanza della normativa antiriciclaggio quando, in nome o per conto dei loro clienti, compiono qualsiasi operazione di natura finanziaria o immobiliare e quando assistono i clienti nella predisposizione o nella realizzazione di operazioni riguardanti:

1) il trasferimento a qualsiasi titolo di diritti reali su beni immobili o attività economiche;

2) la gestione di denaro, strumenti finanziari o altri beni;

3) l’apertura o la gestione di conti bancari, libretti di deposito e conti di titoli;

4) l’organizzazione degli apporti necessari alla costituzione, alla gestione o all’amministrazione di società;

5) la costituzione, la gestione o l’amministrazione di società, enti, trust o soggetti giuridici analoghi.

Si pensi, quindi, ad una consulenza legale per la riscossione di una polizza assicurativa, alla redazione di un contratto di comodato o di affitto, ai risarcimenti che comportano il trasferimento di un importo in denaro.

Attività, queste, che vengono svolte quotidianamente negli studi legali, ma che, frequentemente, non sono correlate agli adempimenti antiriciclaggio.

La segnalazione delle operazioni sospette

Giova tuttavia di essere ricordato che, ai sensi dell’articolo 12 del D.Lgs. 231/2007, l’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette non trova applicazione se le informazioni sono ricevute dal cliente:

  • nel corso dell’esame della posizione giuridica o dell’espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento;
  • nell’ambito della consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento,
  • ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso.

L’esonero dall’obbligo della segnalazione non comporta però l’esclusione dagli obblighi di adeguata verifica della clientela.

Ciò significa che, anche se si ricadesse in un’ipotesi nella quale non dovrà essere comunque effettuata la segnalazione, il professionista sarà comunque obbligato a procedere all’identificazione del cliente e del titolare effettivo, senza dimenticare la conservazione e la registrazione dei dati.

Autore: redazione fiscal focus

L’Home Restaurant tra obblighi e incertezza

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – In un periodo di crisi in cui si è chiamati a reinventarsi una qualche attività lavorativa, si sta diffondendo sempre più nel nostro paese l’idea dell’Home Restaurant.

Molte sono le persone che, spinte dalla passione e dall’amore per la cucina hanno deciso di trasformare la propria casa in un ristorante occasionale aperto per amici, conoscenti o semplici viaggiatori ed in cui offrire ricette tipiche con prodotti locali valorizzando il territorio ed offrendo occasioni d’incontro.

Il fenomeno dell’Home Restaurant è partito nel 2006 in America, per poi approdare nel 2009 anche nel Regno Unito ed estendersi a macchia d’olio anche nel resto degli altri Paesi, tra cui non ultimo l’Italia.

In Italia è equiparata alla ristorazione – Poiché si tratta di un’attività che può generare un vero e proprio business per chi decidesse di intraprenderla, è necessario rispettare le regole di legge previste da ciascun Paese.

Tuttavia, in Italia, manca ancora una specifica normativa che disciplini tale attività. L’unica normativa di riferimento attuale è rappresentata dalla risoluzione Mise n. 50481/2015, con cui il Ministero dello Sviluppo Economico ha equiparato l’attività di Home Restaurant ad una vera e propria attività di ristorazione e quindi di somministrazione di alimenti e bevande.

Nel nostro Paese, l’attività di somministrazione di alimenti e bevande è disciplinata dalla legge n. 287/1991 così come modificata dal decreto legislativo n. 59/2010, e in cui è fatta distinzione tra attività esercitate nei confronti del pubblico indistinto e attività riservate a particolari soggetti, e ai sensi dell’ articolo 1, comma 1 della predetta legge “per somministrazione si intende la vendita per il consumo sul posto” che si esplicita in “… tutti i casi in cui gli acquirenti consumano i prodotti nei locali dell’esercizio o in una superficie aperta al pubblico, all’uopo attrezzati”.

Richiamando quando appena esposto, il Mise, nella citata Risoluzione, afferma che l’attività in questione anche se esercitata solo in alcuni giorni dedicati e tenuto conto che i soggetti che usufruiscono delle prestazioni sono in numero limitato, non può che essere classificata come un’attività di somministrazione di alimenti e bevande, in quanto anche se i prodotti vengono preparati e serviti in locali privati coincidenti con il domicilio del cuoco, essi rappresentano comunque locali attrezzati aperti alla clientela.

Inoltre, se si considera che la fornitura delle predette prestazioni comporti anche il pagamento di un corrispettivo, l’attività in discorso si configura come un’attività economica in senso proprio con la conseguenza che la stessa non può considerarsi un’attività libera e pertanto è da assoggettarsi alla stessa normativa prevista per chi esercita un’attività di somministrazione di alimenti e bevande.

Peraltro, tale orientamento era già stato dato in precedenza dallo stesso Mise con la nota n. 98416 del 12 giugno 2013, in cui lo stesso Ministero classificava come un’attività vera e propria di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande quella effettuata da un soggetto che, proprietario di una villa, intendeva preparare cibi e bevande nella propria cucina fornendo tale servizio solo su specifica richiesta e prenotazione da parte di un committente e quindi solo per gli eventuali invitati.

Pertanto, chi a oggi vuole intraprendere l’attività di Home Restaurant, previo possesso dei requisiti di onorabilità nonché professionali di cui all’articolo 71 del decreto legislativo n. 59/2010, è tenuto a presentare la SCIA o a richiedere l’autorizzazione, ove trattasi di attività svolte in zone tutelate.

Essendo equiparata a una vera e propria attività di ristorazione aperta al pubblico, inoltre, è necessario porre in essere tutti gli altri adempimenti previsti in materia di igiene (HACCP, autocontrollo, ecc.) e di pubblica sicurezza, senza dimenticare che trattandosi di attività economica in senso proprio (e quindi attività d’impresa) sarà necessario aprire partita IVA e certificare i guadagni.

Dunque, un’idea originale e semplice che nel nostro Paese rischia di perdersi per via dei meandri e della durezza burocratica italiana.

La proposta di un DDL ad hoc – Tuttavia un disegno di legge (non ancora discusso né approvato) in materia di Home food è stato presentato nel 2014. Si tratta del DDL 1271 del 27 febbraio 2014, il cui contenuto può essere sintetizzato nei seguenti punti:

  • utilizzo della propria struttura abitativa, anche se in affitto, fino ad un massimo di due camere, per un massimo di venti coperti al giorno;
  • i locali dell’abitazione destinati all’attività devono possedere i requisiti igienico-sanitari per l’uso abitativo previsti dalle leggi e dai regolamenti vigenti;
  • nessuna necessita di cambio di destinazione d’uso della struttura abitativa;
  • obbligo di adibire la struttura abitativa ad abitazione personale;
  • obbligo di comunicare al comune competente l’inizio dell’attività, unitamente ad una relazione di asseveramento redatta da un tecnico abilitato;
  • nessuna iscrizione al registro esercenti il commercio;
  • obbligo del comune di effettuare il sopralluogo al fine di confermare l’idoneità della struttura abitativa all’esercizio dell’attività di home food;
  • applicazione del regime fiscale previsto dalla normativa vigente per le attività saltuarie.

Il 29 luglio 2015 è stata, inoltre, presentata una nuova proposta di legge in Parlamento da parte dell’on. Nino Minardo, di contenuto simile al sopracitato DDL ma con ulteriori due previsioni: necessità per il gestore di conseguire un certificato HACCP e l’inserimento di una soglia (10.000 euro) ai fini della determinazione della saltuarietà dell’attività.

Autore: Pasquale Pirone

Retribuzione di dicembre: arriva la tredicesima

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Breve riepilogo della disciplina riguardante la tredicesima mensilità

Premessa – Il periodo natalizio è alle porte ormai, e con esso l’erogazione della tanto agognata tredicesima mensilità, riconosciuta dal D.P.R. n. 1070/1960. Infatti, come di consueto, a tutti i lavoratori subordinati, inclusi i lavoratori domestici, spetta una mensilità aggiuntiva rispetto allo stipendio normalmente percepito, corrisposto di solito una volta all’anno entro il 25 dicembre ovvero al momento della risoluzione del rapporto di lavoro, se precedente, in relazione alle quote maturate a tale data.

Ma vediamo nel dettaglio le regole e caratteristiche tipiche dell’importo aggiuntivo.

Caratteristiche generali – Innanzitutto, è bene specificare che l’importo non è derogabile in pejus dalla contrattazione collettiva e assume tenore di legge erga omnes con il menzionato Decreto. Inoltre, si tratta di una forma di retribuzione “differita”, concetto questo che accoglie tutte quelle indennità e somme (tra cui appunto le mensilità aggiuntive e il trattamento di fine rapporto) la cui maturazione avviene nel periodo di paga (ovvero, come nel caso del TFR, nell’anno) e la cui corresponsione si verifica in corso d’anno ovvero alla cessazione del rapporto di lavoro.

Regole della tredicesima – Le regole per la gestione della tredicesima mensilità sono individuate dai contratti collettivi e a questi va fatto sempre riferimento per verificarne le modalità di computo e di maturazione. Per quanto riguarda la sua maturazione, la quasi totalità dei contratti collettivi adottano il sistema della maturazione sulla base dei mesi di servizio. Tale sistema, in pratica, prevede che un mese risulti utile ai fini della maturazione della tredicesima mensilità (nonché della quattordicesima, se prevista, del TFR, delle ferie e dei permessi) se il rapporto di lavoro risulta in essere per una frazione di mese pari o superiore a 15 giorni di calendario. Al contrario, se la frazione di mese non supera i 14 giorni di calendario, il mese non si considera utile alla maturazione della mensilità aggiuntiva. Esso viene maturato nel periodo “gennaio-dicembre” dell’anno di riferimento (anno solare).

Le assenze – Particolare attenzione va rivolta alla gestione delle assenze. Infatti, se queste ultime si protraggono per più di 15 giorni, il mese deve essere considerato interamente non utile alla maturazione delle mensilità aggiuntive. Generalmente le mensilità aggiuntive non maturano durante le assenze per congedo parentale, malattia del bambino, sciopero, assenze non giustificate, permessi non retribuiti, ecc., ma vanno comunque verificate le disposizioni contrattuali. In ogni caso, sono poi i CCNL a individuare i periodi di assenza durante i quali si matura il diritto alla mensilità aggiuntiva.

CIG – Un discorso a parte merita la tredicesima mensilità in concomitanza con un periodo di cassa integrazione guadagni. Mentre in caso di CIG a orario ridotto le mensilità aggiuntive maturano regolarmente, in caso di sospensione a zero ore il mese non può considerarsi utile se tale sospensione risulta superiori a 15 giornate di calendario. L’INPS, in ogni caso, provvede a integrare (sempre nella misura dell’80% della retribuzione spettante) anche i ratei delle mensilità aggiuntive (compresa la quattordicesima), qualora risulti non superato il massimale del mese nel quale sono state corrisposte le integrazioni salariali ordinarie.

Aspetto previdenziale e fiscale – Infine, sul versante previdenziale si evidenzia che la tredicesima mensilità, in quanto retribuzione, deve essere assoggettata a contribuzione previdenziale e a ritenute fiscali. In merito al trattamento fiscale, invece, si evidenzia come, in fase di tassazione delle mensilità aggiuntive, non vengano riconosciute le altre detrazioni né le detrazioni per carichi di famiglia.

Autore: redazione fiscal focus

Acconto IVA 2015: la scadenza è fissata al 28 dicembre

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

La scelta è tra metodo storico, analitico e previsionale

E’ prevista per il 28 dicembre la scadenza del pagamento dell’acconto IVA 2015 (il 27 cadrà di domenica). Al via dunque i calcoli per la determinazione dell’acconto, tenendo sempre sconto che si potrà optare: per il metodo storico, per il metodo previsionale o quello analitico.

L’acconto versato va scomputato dall’importo dell’imposta da versare:

  • per il mese di dicembre dell’anno in corso (per i mensili), scadente il 18 gennaio 2016 (il 16 gennaio 2016 è un sabato);
  • ovvero da quello per l’ultimo trimestre, da pagare entro il 16 marzo 2016.

Metodo storico – La determinazione dell’acconto sulla base del “dato storico” consiste nel calcolare l’importo dovuto nella misura dell’88% del versamento effettuato (o che avrebbe dovuto essere effettuato) nello stesso periodo dell’anno precedente (2014).

La base di riferimento è quindi commisurata all’ammontare dell’IVA a debito risultante:

  • dalla liquidazione IVA relativa al mese di dicembre 2014, per i contribuenti mensili;
  • dalla liquidazione IVA relativa al quarto trimestre 2014, per i contribuenti trimestrali “speciali” (o “per natura”) di cui all’art. 74 co. 4;
  • dalla dichiarazione annuale relativa al 2014 (UNICO 2015), per i contribuenti trimestrali “per opzione” di cui all’art. 7 del D.P.R. 542/99.

Tenendo presente che nel caso in cui, tra il periodo d’imposta precedente e l’attuale, si sia verificato il passaggio di regime:

  • da trimestrale a mensile, si deve considerare un terzo del versato per l’ultimo trimestre 2014 (acconto più versato in sede di dichiarazione);
  • da mensile a trimestrale, si deve necessariamente eseguire la somma inerente ai versamenti di ottobre, novembre e dicembre (acconto e saldo) 2014.

I riferimenti dichiarativi – Per chi adotta il metodo storico, la determinazione dell’acconto IVA 2015 può avvenire moltiplicando l’88% all’eventuale importo dell’Iva a debito risultante dall’ultima liquidazione del 2014, individuabile:

  • nel rigo VH12 della dichiarazione annuale Iva 2015, relativa al 2014, per i contribuenti che versano l’Iva con periodicità mensile;
  • per quelli trimestrali che hanno avuto un saldo Iva 2014 a debito, nella somma dell’importo pagato come acconto Iva relativo al 2014 (rigo VH13) e quello pagato come saldo 2014 (rigo VL38), al netto degli interessi passivi dell’1% pagati per quest’ultimo (rigo VL36);
  • per quelli trimestrali che hanno chiuso il 2014 con saldo Iva a credito, dalla differenza tra l’acconto 2014 versato (rigo VH13) e il credito Iva annuale 2014 (rigo VL33).

Metodo previsionale – Chi sceglierà invece di adottare il metodo previsionale, determinerà l’acconto sulla base della stima delle operazioni che verranno effettuate fino alla chiusura del 2015.

Se si prevede di dover liquidare:

  • per il mese di dicembre del 2014 (contribuenti mensili), o;
  • per il quarto trimestre 2015 (contribuenti trimestrali “speciali”), o
  • per la dichiarazione del 2015 (contribuenti trimestrali “per opzione”),

un importo a titolo di acconto IVA inferiore a quello versato nel 2014, l’acconto dell’88% è calcolato su tale minore importo.

In pratica, il contribuente deve fare una stima delle fatture attive da emettere e di quelle passive da ricevere entro la fine dell’anno.

Al fine di rendere omogenei l’importo relativo al “dato storico” e quello “previsionale”, quest’ultimo deve essere considerato al netto dell’eventuale eccedenza detraibile riportata dal mese o dal trimestre precedente.

Metodo analitico – L’atro metodo a disposizione è quello analitico. L’acconto, nella misura del 100%, emerge da una liquidazione periodica aggiuntiva, ottenuta sommando algebricamente i seguenti elementi:

  • (con segno +) l’IVA a debito relativa alle operazioni annotate (o che avrebbero dovuto essere annotate) nei registri IVA per il periodo tra il 1° dicembre e il 20 dicembre 2015 (contribuenti mensili) e tra il 1° ottobre e il 20 dicembre 2015 (contribuenti trimestrali);
  • (con segno +) l’IVA a debito relativa alle operazioni effettuate tra il 1° novembre ed il 20 dicembre, ma non ancora annotate non essendo decorsi i termini di emissione della fattura o di registrazione;
  • (con segno -) l’IVA a credito relativa agli acquisti e alle importazioni annotati nel registro degli acquisti nel periodo compreso tra il 1° dicembre e il 20 dicembre 2015 (contribuenti mensili) e tra il 1° ottobre e il 20 dicembre (contribuenti trimestrali);
  • (con segno -) l’IVA a credito relativa alle operazioni intracomunitarie, per le quali la corrispondente IVA a debito è stata già considerata (per effetto della doppia registrazione);
  • (con segno -) l’eventuale IVA a credito riportata dalla liquidazione relativa al periodo precedente (mese di novembre o terzo trimestre).

Autore: redazione fiscal focus

Rimborsi IVA: l’individuazione dei contribuenti a rischio

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

La nuova normativa concernente la possibilità di richiedere i rimborsi IVA senza presentazione di garanzie è stata più volte sotto la lente dell’Amministrazione Finanziaria. Prima con la C.M. 32/E/2014 e successivamente con la C.M. 6/E/2015 e C.M. 35/E/2015, sono stati forniti importanti chiarimenti. Tra i vari chiarimenti forniti dall’Amministrazione Finanziaria si vuole porre l’attenzione sull’individuazione dei contribuenti a rischio, ovvero coloro che non possono fruire delle condizioni agevolative previste dalla novellata normativa e sono comunque tenuti alla presentazione della garanzia, per rimborsi di ammontare superiore ad euro 15.000,0. I c.d. contribuenti a rischio sono:

  • i soggetti passivi che esercitano un’attività d’impresa da meno di 2 anni, diversi dalle imprese start-up innovative di cui all’art. 25, D.L. 179/2012, conv. con modif. dalla L. 221/2012;
  • i soggetti passivi ai quali, nei 2 anni antecedenti la richiesta di rimborso, sono stati notificati avvisi di accertamento o di rettifica da cui risulti, per ciascun anno, una differenza tra gli importi accertati e quelli dell’imposta dovuta o del credito dichiarato superiore:
    1. al 10% degli importi dichiarati se questi non superano Euro 150.000;
    2. al 5% degli importi dichiarati se questi superano Euro 150.000 ma non superano Euro1.500.000;
    3. all’1% degli importi dichiarati, o comunque a Euro 150.000, se gli importi dichiarati superano Euro 1.500.000.

Per quanto riguarda la prima casistica, va puntualmente determinato lo svolgimento dell’attività d’impresa da meno di due anni. In tal senso va evidenziato che la formulazione della norma fa esclusivo riferimento allo svolgimento di attività d’impresa; pertanto, il suddetto limite non si riferisce ai soggetti che svolgono attività di lavoro autonomo.

Per gli esercenti arti e professioni, dunque, la richiesta di rimborsi di importo superiore ad euro 15.000,00 potrà avvenire senza la necessaria presentazione della garanzia, a patto che sull’istanza da cui emerge il credito si appone il visto di conformità o la sottoscrizione alternativa dell’organo di controllo e si presenta la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.

Sempre in merito al computo dei due anni dall’inizio di svolgimento dell’attività che qualificata il contribuente a “rischio” con relativo obbligo di presentare la garanzia per le richieste di rimborso d’importo superiore ad euro 15.000,00, l’Amministrazione Finanziaria ha chiarito che per il computo dei due anni deve farsi riferimento all’effettivo svolgimento dell’attività d’impresa, che ha inizio con la prima attività effettuata e non con l’apertura della partita Iva.

Viene chiarito inoltre che il termine dei due anni si riferisce alla data di richiesta del rimborso annuale o trimestrale.

In termini pratici, un contribuente che presenta la richiesta di rimborso in data 30.06.2016, non dovrà presentare la polizza fideiussoria se ha svolto la prima attività d’impresa il 30.06.2014 o in data anteriore.

Sono tenuti alla presentazione della garanzia anche i soggetti passivi ai quali, nei 2 anni antecedenti la richiesta di rimborso, sono stati notificati avvisi di accertamento o di rettifica da cui risulti, per ciascun anno, una differenza tra gli importi accertati e quelli dell’imposta dovuta o del credito dichiarato superiore a determinate soglie

Sulla verifica di tale requisito, già con la C.M. 32/E/2014 l’Amministrazione Finanziaria aveva avuto modo di chiarire che per la verifica dell’assenza di avvisi di accertamento o di rettifica l’intervallo dei due anni deve essere calcolato dalla data di richiesta del rimborso.

A titolo esemplificativo, per una richiesta di rimborso presentata il 15 marzo 2016, qualsiasi atto di accertamento o rettifica notificato prima del 15 marzo 2014 non verrà preso in considerazione, mentre rileveranno la presenza di atti di accertamento o di rettifica notificati dal 15 marzo 2014 al 14 marzo 2016.

Veniva inoltre precisato che gli atti da considerare ai fini della verifica del requisito in commento, non sono solo gli avvisi di accertamento e rettifica ai fini IVA, ma anche quelli relativi agli altri tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate.

Si rileva, altresì, che nel computo degli atti da considerare al fine del calcolo degli importi accertati si deve tener conto di tutti quelli notificati nei due anni antecedenti la richiesta di rimborso, prescindendo dall’esito degli stessi, con eccezione degli atti annullati in autotutela o oggetto di sentenze favorevoli al contribuente passate in giudicato.

Autore: redazione fiscal focus

NUOVO BILANCIO:NEL CONTO ECONOMICO NIENTE SEZIONE STRAORDINARIA

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

A seguito delle novità introdotte con il D.Lgs. n.139/2015 nel nuovo conto economico non è più prevista, tra l’altro, l’indicazione degli oneri e dei proventi straordinari.

Dal 2016, pertanto, questi componenti di reddito dovranno essere riclassificati tra le voci ordinarie di costi e di ricavi del conto economico.

Ma perché questa scelta del Legislatore?

Ebbene, come noto, il D.Lgs. n.139/2015 recepisce le novità introdotte dalla Direttiva 2013/34/UE, con la quale si è cercato di adeguare il sistema informativo di bilancio alle attuali esigenze delle società di capitali.

Soprattutto con riferimento agli oneri e proventi straordinari si è rilevato come la loro esposizione in bilancio fosse spesso dettata da valutazioni soggettive del redattore. Ecco quindi il motivo per il quale il legislatore comunitario ha deciso di eliminare tale sezione dal conto economico, tenendo altresì conto delle disposizioni dettate dai principi contabili internazionali.

L’informativa da fornire in nota integrativa

Come poter dare evidenza, dunque, degli eventi straordinari che hanno inciso sulla determinazione del reddito?

Il Legislatore ha a tal fine previsto che la nota integrativa preveda una nuova, specifica, indicazione, relativa, appunto, ai costi e ricavi di entità o incidenza particolare.

Giova tuttavia di essere ricordato che, già in passato, l’articolo 2427 c.c. richiedeva l’esposizione della composizione delle voci “oneri straordinari” e “proventi straordinari” nella nota integrativa, se di ammontare apprezzabile.

Cosa è cambiato rispetto la vecchia formulazione?

In linea di massima è possibile affermare che il nuovo testo dell’articolo 2427 c.c. individua espressamente i casi in cui si può parlare di oneri e proventi straordinari, senza limitarsi più, come in passato, a rinviare alle voci del conto economico.

Pertanto, in virtù delle modifiche introdotte deve ritenersi ormai assodato che la straordinarietà del componente di reddito non è determinata dalla sua fonte ma dall’eccezionalità:

  • del suo importo
  • o della sua incidenza.

La congiunzione “o” lascia inoltre comprendere che questi due aspetti sono alternativi, ragion per cui sarà sufficiente l’eccezionalità dell’importo dell’onere/provento, oppure della sua incidenza, non essendo invece necessaria la compresenza dei due requisiti.

L’ ”eccezionalità”

La nuova definizione di oneri e proventi straordinari, tuttavia, apre la strada ad alcune incertezze, soprattutto in merito all’effettiva portata del carattere dell’ “eccezionalità”.

Quando può dirsi che l’entità o l’incidenza siano eccezionali?

Sicuramente sarà necessario attendere la riformulazione dei principi contabili nazionali per avere un quadro più completo.

Tuttavia, quello che è certo è che l’eccezionalità dovrà essere valutata con riferimento alla singola realtà aziendale.

Come sottolineato già da alcuni Autori potrebbe pertanto accadere che un costo/provento di carattere eccezionale per un’impresa potrebbe non esserlo per la controparte.

La definizione fornita dall’Oic 12

L’attuale principio OIC 12 fornisce una definizione di attività straordinaria che, come già detto, si discosta molto da quanto previsto dal D.Lgs. n. 139/2015.

Come già anticipato, infatti, i principi contabili nazionali si soffermano sulla fonte del provento/onere, senza tenere in considerazione l’entità o l’incidenza.

Più precisamente viene chiarito che “l’attività straordinaria include i proventi e gli oneri la cui fonte è estranea all’attività ordinaria della società. Sono considerati straordinari i proventi e gli oneri che derivano da:

  1. a) eventi accidentali ed infrequenti;
  1. b) operazioni infrequenti che sono estranee all’attività ordinaria della società.” 
    Autore: Lucia Recchioni

Accessibile via computer o cellulare, ci troveremo i nostri dati sanitari, referti, farmaci assunti. Ma potremo caricarci anche le informazioni dello smartwatch, sul nostro stile di vita. Il decreto che dà il via entra in vigore il 26 novembre (SPID)

STA PER ARRIVARE il primo luogo unico digitale per la nostra salute: con tutti i dati sanitari, i farmaci e i referti, le informazioni sulla nostra attività fisica. Accessibili via internet, da computer o cellulare. Si chiama Fascicolo sanitario elettronico e dopo tanti mesi di rinvii il Governo ha appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto che ne dà il via e che entrerà in vigore il 26 novembre. Il decreto chiede alle Regioni di fare il Fascicolo entro il 31 dicembre, ma ci sono dubbi che la data sarà rispettata, anche per via degli stessi ritardi nella pubblicazione del decreto. Alcune Regioni però sono già avanti (Lombardia, Emilia-Romagna, Provincia di Trento, Toscana) e le altre seguiranno.
Vediamo che cosa potremo farci, ma anche gli ostacoli che restano da superare per la realizzazione.

I contenuti del fascicolo. Sappiamo che il Fascicolo conterrà i link ad alcuni dati necessari (che dovranno esserci per forza) e ad altri invece facoltativi. Nel primo gruppo ci sono i dati identificativi, i referti, i verbali di pronto soccorso, le lettere di dimissione, il profilo sanitario sintetico, il dossier farmaceutico, il consenso o diniego a donazione organi e tessuti. Nei dati facoltativi, che potranno essere inseriti da medici, strutture sanitarie o dal paziente stesso, ci sono prescrizioni, farmaci assunti, vaccinazioni, certificati medici, esenzioni, “bilanci di salute”, tra le altre e numerose cose previste dal decreto. “Sarà uno strumento abilitante non solo per la cura ma anche per il benessere di tutti noi”, dice Roberto Moriondo, responsabile dei rapporti con le Regioni presso il Comitato di indirizzo dell’Agenzia per l’Italia Digitale. “I pazienti potranno infatti scaricare sul fascicolo i propri dati di attività fisica, che vengono dalle macchine della palestra o dal proprio smartwatch”, aggiunge.

Punto unico di monitoraggio per diagnosi e cura. È comodo e utile di per sé avere un posto unico con tutti i nostri dati di interesse sanitario. Lo è per noi, per tenere sotto controllo alcuni parametri; ma lo è anche per il nostro medico curante o il medico del pronto soccorso, per esempio, per migliorare la pratica di diagnosi e terapia. In particolare può essere utile durante le emergenze, appunto al pronto soccorso, per capire quali medicinali somministrare o quali no. Si possono evitare così anche classici errori, in ospedale, come la somministrazione di medicinali a cui il paziente è allergico oppure destinati a un’altra persona (a causa di dati errati). Il fascicolo è una novità complementare con la ricetta elettronica, di cui pure il ministero della Salute ha pubblicato questa settimana il decreto attuativo. Il medico curante potrà prescrivere un medicinale, un esame o una terapia associandone il codice al codice fiscale del paziente. Potremo quindi andare in farmacia o in un centro medico (per esami e terapie) senza ricetta fisica, ma soltanto con un promemoria fornito dal medico (su carta semplice). Fascicolo e ricetta elettronica assicurano insomma una centralizzazione e razionalizzazione delle informazioni, con risparmio di costi e un minore rischio di errori, rispetto all’uso della carta. Centralizzazione significa anche che i nostri dati sono disponibili a tutti i medici e ospedali del Paese. Quando cambieremo città per curarci, non dovremo più portarci dietro lastre, referti (anche in forma di CD), con il rischio- anche- che qualche informazione sia persa.

Tempistiche e modalità di accesso. Veniamo ai punti critici. I tempi: al momento non si sa quante Regioni riusciranno a rispettare la data del 31 dicembre. Tutte stanno affrontando infatti problemi a coinvolgere i medici di famiglia (che chiedono di essere pagati un extra, per questo servizio). In certi casi, inoltre aziende sanitarie e ospedaliere non sono ancora del tutto informatizzate e quindi non possono agevolmente alimentare il fascicolo dei propri pazienti. Meno critiche – ma pure ancora da completare – le modalità di accesso. “La Provincia di Trento, che ha il più avanzato esempio di fascicolo sanitario elettronico già in uso, contente ai cittadini l’accesso via computer dotato di smart card. Il che non è molto comodo. Sta ora sperimentando un accesso via codici o token, forniti dal sistema sanitario nazionale”, dice Moriondo. Il tutto sarà a puntino solo con il debutto di Italia Login e del Sistema pubblico dell’identità digitale, progetti che permetteranno un accesso unico e semplificato a tutti i servizi della PA (compresi quelli sanitari).

La repubblica di ALESSANDRO LONGO

IMU – TASI: novità dell’ultim’ora

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Continuano a susseguirsi le novità per ciò che riguarda le imposte sulla casa. Tra le novità dell’ultima ora si segnala l’equiparazione all’abitazione principale e quindi esente da TASI:

  • la casa coniugale assegnata al coniuge in caso di separazione, divorzio o annullamento del matrimonio;
  • gli immobili delle cooperative edilizie a proprietà indivisa adibite a prima casa dai soci;
  • gli alloggi sociali;
  • gli immobili posseduti dal personale delle forze armate.

Ma questa non è stata l’unica novità che ha riguardato le tasse sul mattone.

Già nella prima versione del DDL di Stabilità 2016 è stata prevista l’assimilazione per legge all’abitazione principale degli immobili concessi in comodato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta entro il primo grado. La naturale conseguenza di tale previsione normativa, che dovrà essere confermata dai due rami del Parlamento, è l’esclusione dell’ambito applicativo di IMU e TASI delle seconde case di proprietà concesse in comodato a figli/e.

Via la corsa alla registrazione dei contratti comodato ad uso gratuito, dunque, per scongiurare di dover ancora fare i conti con le suddette tasse. Ma questo adempimento non sarà affatto indolore, dato che ai fini fiscali sarà necessaria la redazione del contratto per iscritto. Il contratto di comodato di beni immobili redatto in forma scritta è annoverato tra gli atti soggetti a registrazione in termine fisso, con applicazione dell’imposta in misura fissa indipendentemente dal fatto che sia stato redatto con atto pubblico o con scrittura privata autenticata.

Ma questa non sarà l’unica condizione da rispettare.

Infatti ci si potrà sottrarre al pagamento delle tediose imposte sul mattone, al verificarsi delle seguenti condizioni:

  • sarà innanzitutto necessario che l’immobile concesso in uso non sia annoverato tra gli immobili di lusso, ovvero accatastato nelle categorie A1, A8 e A9.;
  • per ciò che attiene il soggetto comodatario questo dovrà fissare nell’immobile ottenuto in comodato la propria residenza e inoltre sempre il comodatario non deve possedere un altro immobile ad uso abitativo in Italia;
  • il soggetto concedente deve invece aver adibito nel 2015 lo stesso immobile come abitazione principale. Inoltre tale soggetto non deve possedere un altro immobile ad uso abitativo in Italia.

La presenza di tutte le condizioni deve essere confermata dal soggetto passivo (proprietario o titolare di altro diritto reale) con la presentazione di apposita dichiarazione.

Che le condizioni sopra citate si verifichino congiuntamente è assai improbabile: un padre deve aver adibito un immobile ad abitazione principale nel 2015 e poi nel 2016 il padre lascia l’immobile che viene adibito ad abitazione principale dal figlio. La formulazione della norma ci lascia increduli, e conferma la tendenziale confusione del Legislatore che per evitare combattere potenziali comportamenti elusivi si ingegna nel creare mostri normativi. Per fortuna ancora il danno non è stato fatto. La questione si potrà risolvere in Parlamento, sempre che qualcuno ne abbia reali intenzioni.

Tra le altre novità sugli immobili si segnala l’applicazione dell’IMU e della TASI agli immobili ubicati nelle città “ad alta tensione abitativa e concessi in locazione sulla base di contratti a canone concordato, quindi ubicati nelle città “ad alta tensione abitativa”.

Autore: redazione fiscal focus

IVA: il trattamento degli omaggi NON rientranti nell’attività d’impresa

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Cessione “irrilevante” ai fini IVA

Il trattamento fiscale degli omaggi dipende dalla natura del bene, dal soggetto destinatario, ma anche dal valore del bene. Tutte queste caratteristiche condizionano il trattamento fiscale degli omaggi, ciascuno con un proprio peso. In via generale, il punto di partenza per analizzare il trattamento fiscale degli omaggi ai fini Iva, e la distinzione tra beni che rientrano o meno nell’ambito dell’attività propria dell’impresa.

Beni che NON rientrano nell’attività d’impresa – Per tale fattispecie, il punto di partenza è il trattamento che i beni destinati ad essere “omaggiati” subiscono a “monte”. In base alle disposizioni dell’art. 19 bis1, co. 1, lett. h), D.P.R. 633/1972, non è ammessa in detrazione l’imposta relativa alle spese di rappresentanza, come definite ai fini delle imposte sul reddito, tranne quelle sostenute per l’acquisto di beni di costo unitario non superiore a lire cinquantamila” (euro 25,82).

Per quanto riguarda la definizione di spese di rappresentanza, anche ai fini IVA (C.M. 34/E/2009) è necessario fare riferimento a quanto disposto dall’art. 1, DM 19.11.2008 che definisce di rappresentanza “le spese per erogazioni a titolo gratuito di beni e servizi, effettuate con finalità promozionali o di pubbliche relazioni e il cui sostenimento risponda a criteri di ragionevolezza in funzione dell’obiettivo di generare, anche potenzialmente, benefici economici per l’impresa ovvero sia coerente con pratiche commerciali di settore”.

Affinché la spesa per l’omaggio rientri tra quelle di rappresentanza è necessario che le spese: I) siano sostenute con finalità promozionali e di pubbliche relazioni; II) siano ragionevoli in funzione dell’obiettivo di generare benefici economici; III) siano coerenti con gli usi e le pratiche commerciali del settore.

All’interno delle spese di rappresentanza individuate in base ai suddetti criteri, l’art. 19 bis1, co. 1, lett. h), D.P.R. 633/1972 prevede:

  • la detraibilità dell’IVA per i beni rientranti nelle spese di rappresentanza per i beni di costo unitario NON superiore a € 25,82;
  • l’indetraibilità dell’IVA per i beni rientranti nelle spese di rappresentanza per i beni di costo unitario superiore a € 25,82.

Il trattamento a “valle” – Il trattamento a “valle”, ai fini IVA, dei beni destinati ad essere omaggiati, NON rientranti nell’attività d’impresa, è rinvenibile nell’art. 2, co. 2, n. 4), D.P.R. 633/1972.La richiamata disposizione prevede che“Costituiscono inoltre cessioni di beni: 4) le cessioni gratuite di beni ad esclusione di quelli la cui produzione o il cui commercio non rientra nell’attività propria dell’impresa se di costo unitario non superiore a lire cinquantamila (euro 25,82) e di quelli per i quali non sia stata operata, all’atto dell’acquisto o dell’importazione, la detrazione dell’imposta a norma dell’articolo 19, anche se per effetto dell’opzione di cui all’articolo 36-bis;.

La successiva cessione gratuita del bene (omaggio), dunque, indipendentemente da valore dell’omaggio è esclusa da campo di applicazione dell’IVA.

Le spese per alimenti e bevande – Per quanto riguarda l’acquisto di alimenti e bevande (ovviamente che non formano oggetto dell’attività d’impresa), l’art. 19, co. 1, lett. f), D.P.R. 633/1972 prevede che “non è ammessa in detrazione l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di alimenti e bevande ad eccezione di quelli che formano oggetto dell’attività propria dell’impresa o di somministrazione in mense scolastiche, aziendali o interaziendali o mediante distributori automatici collocati nei locali dell’impresa”.

Tuttavia, in deroga a tale disposizione, l’Amministrazione Finanziaria nella C.M. 54/E/2002 ha riconosciuta la detrazione dell’IVA purché gli stessi siano di costo unitario non superiore a € 25,82 e rientrino fra le spese di rappresentanza per le quali trova applicazione la citata lett. h).

Omaggi ai dipendenti – Per quanto riguarda gli omaggi ai dipendenti NON rientranti nell’attività d’impresa, ai fini Iva, non possono essere considerate spese di rappresentanza, in quanto prive del requisito di sostenimento per finalità promozionali.

L’IVA relativa ai beni destinati ai dipendenti è da considerare indetraibile per mancanza di inerenza con l’esercizio dell’impresa.

Autore: redazione fiscal focus

Codice tributo per investimenti in beni strumentali

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Con la Risoluzione n. 96 di ieri le Entrate hanno istituito il relativo codice

Premessa – Con la risoluzione n. 96 di ieri 19 novembre, l’Agenzia delle Entrate ha istituito il codice tributo per l’utilizzo del credito d’imposta, mediante F24, dell’incentivo fiscale previsto dal “decreto competitività” a favore dei titolari di reddito d’impresa.

Ambito soggettivo – Beneficiari del credito d’imposta di cui all’articolo 18 del DL 91/2014 sono i contribuenti titolari di reddito d’impresa che, nel periodo compreso tra l’entrata in vigore della disposizione (25 giugno 2014) e il 30 giugno scorso, hanno effettuato investimenti in nuovi beni strumentali (macchinari e impianti) compresi nella divisione 28 della tabella Ateco 2007 e destinati a strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato.

Credito – Il bonus fiscale, pari al 15% delle spese sostenute in eccedenza rispetto alla media degli analoghi investimenti realizzati nei cinque periodi di imposta precedenti (con facoltà di escludere dal calcolo della media il periodo in cui l’investimento è stato maggiore), è utilizzabile esclusivamente in compensazione, mediante modello F24, e deve essere ripartito in tre quote annuali di pari importo: la prima, a decorrere dal 1° gennaio del secondo periodo d’imposta successivo all’investimento.

Codice tributo – Per consentirne la fruizione a partire dall’inizio del prossimo anno, secondo le modalità fornite con la Circolare 5/2015, la Risoluzione 96/E del 19 novembre 2015 istituisce lo specifico codice tributo “6856”, operativo dal 1° gennaio 2016.

Compilazione – Questo va esposto nella sezione “Erario” del modello F24, in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a credito compensati” ovvero, nei casi in cui il contribuente debba procedere a riversare l’agevolazione, nella colonna “importi a debito versati”. Nel campo “anno di riferimento” deve essere riportato l’anno di sostenimento della spesa.

Autore: redazione fiscal focus

Equitalia: autodichiarazione per la sospensione

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Nuove regole per la riscossione della cartelle di pagamento

Premessa – Nell’istanza di sospensione di una cartella di pagamento è sufficiente un’autodichiarazione che indica le motivazioni poste alla base della richiesta del blocco delle procedure di riscossione.

Decreto riscossione – Il Decreto riscossione (D.Lgs. n.159/2015) in vigore dal 22 ottobre 2015, modifica le regole sulla sospensione legale della riscossione. In base alla normativa attualmente vigente, il contribuente raggiunto da un atto ritenuto indebito può richiedere il blocco delle procedure di riscossione nelle ipotesi di: intervenuta prescrizione; decadenza o pagamento del credito antecedente alla formazione del ruolo; ottenimento di sgravio emesso dall’ente creditore; annullamento o sospensione (amministrativa o giudiziale) dell’atto; qualsiasi altra causa di non esigibilità del credito.

Autodichiarazione – A tal fine è sufficiente presentare un’autodichiarazione all’Agente della Riscossione, rappresentando il ricorrere di una delle suddette ipotesi. L’agente della riscossione ha poi 10 giorni di tempo per trasmettere l’istanza e la documentazione allegata all’ente creditore al fine di avere conferma circa la sussistenza delle ragioni del debitore ed ottenere, in caso affermativo, la sollecita trasmissione della sospensione o dello sgravio direttamente sui propri sistemi informativi. Nell’ambito della suddetta procedura, il termine entro cui il debitore, a pena di decadenza, dovrà presentare la richiesta di sospensione all’agente della riscossione è ridotto da 90 a 60 giorni, decorrenti dalla notifica della cartella di pagamento o del provvedimento esecutivo o cautelare ‘‘contestato’’ (art. 1). Per evitare la presentazione di istanze meramente dilatorie viene poi cancellata la ‘‘clausola aperta’’ che consentiva di richiedere la sospensione in virtù di ‘‘qualsiasi altra causa di non esigibilità del credito’’. Tale previsione, chiarisce la relazione illustrativa, è tesa a evitare il possibile uso strumentale dell’istituto.

Ragioni – Fermo restando l’obbligo di dettagliare nell’istanza di sospensione le ragioni alla base della presunta illegittimità dell’atto, non sarà più possibile indicare una causa di inesigibilità diversa da quelle seguenti: prescrizione o decadenza del diritto al credito in data antecedente a quella in cui il ruolo è reso esecutivo; avvenuto sgravio o sospensione dell’atto sottostante, in via amministrativa o giudiziale; annullamento dell’atto sottostante con una sentenza emessa in un giudizio in cui l’agente per la riscossione non era parte; pagamento effettuato all’ente creditore in data antecedente alla formazione del ruolo.

Esito istruttoria – Rispetto alla vecchia disciplina, si prevede che l’ente creditore non debba più comunicare, nel termine di 60 giorni dal ricevimento dell’istanza, l’esito dell’istruttoria al debitore e all’agente della riscossione. La soppressione di tale adempimento, che nella realtà limita l’operatività dell’ente, consentirà a quest’ultimo di poter rispondere al debitore senza attendere il decorso dei predetti 60 giorni. Fino alla comunicazione di tale esito, si prevede la sospensione del termine di 200 giorni (previsto dall’art. 53, comma 1 del D.P.R. n. 602/ 1973) che comporta l’inefficacia del pignoramento eventualmente già eseguito.

Autore: redazione fiscal focus

Processo tributario telematico

l processo tributario si rinnova:

dal 1° dicembre 2015 diventa pienamente operativo, anche se per ora solo nelle Commissioni tributarie provinciali e regionali dell’Umbria e della Toscana, il processo tributario telematico;

dal 1° gennaio 2016 entrano in vigore la quasi totalità delle nuove norme contenute nel D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 che ha riformato la disciplina del contenzioso tributario, in attuazione della delega fiscalecontenuta nella legge n. 23/2014.

Con la telematizzazione, gli atti viaggeranno, via PEC, in formato digitale (il formato principe sarà il PDF) e, nello stesso formato, avverranno tutte le notificazioni e comunicazioni del processo.

Tutto ruoterà intorno ad un sistema informatico messo a punto dal Ministero il Sistema Informativo della Giustizia Tributaria (S.I.Gi.T.) al quale possono accedere – previa autenticazione – i giudici tributari, le parti del processo, i procuratori e difensori (avvocati, dottori commercialisti, consulenti del lavoro ecc.), il personale abilitato delle segreterie delle Commissioni tributarie, i consulenti tecnici e altri soggetti, quali organi tecnici dell’Amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici compreso il Corpo della Guardia di finanza.

La piattaforma contiene le informazioni relative alla organizzazione delle Commissioni tributarie e alla modulistica utilizzata, garantendo l’accesso ai servizi telematici riservati ai contribuenti ed agli operatori di settore (“telecontenzioso” e “prenotazione on line” degli appuntamenti).

Il sistema entrerà in vigore il 1° dicembre 2015 ed interesserà le commissioni tributarie di Toscana ed Umbria, per poi essere esteso, dopo una prima fase di rodaggio, a tutto il territorio nazionale.

Dal 1° gennaio 2016, poi, entreranno in vigore anche le nuove norme sul contenzioso tributario introdotte dal D.Lgs. n. 156/2015. Tra le tante novità,  alcune si intrecciano, inevitabilmente, con la digitalizzazione del processo tributario. Ad esempio, per quanto riguarda le notifiche tramite PEC. In particolare, viene ampliato l’uso della posta elettronica certificata per le comunicazioni e le notificazioni nel processo tributario. Oltre a confermare quanto già previsto, si dispone che le notificazioni tra le parti e il successivo deposito presso la Commissione tributaria possano avvenire per via telematica, tenendo conto di quanto stabilito nel regolamento sul processo tributario telematico.

In definitiva, appare evidente che le nuove regole avranno un impatto notevole sull’intero sistema del contenzioso tributario rendendolo più efficiente e al passo con l’attuale era improntata sulla digitalizzazione.

Ciò comporta però una riformulazione di processi, attività e modi di operare, sia da parte della Pubblica amministrazione sia, soprattutto, da parte di chi, per professione, si occupa della difesa dei contribuenti innanzi alle Commissioni tributarie.

Fonte IPSOA

S.T.S.: NUOVA COMUNICAZIONE TELEMATICA PER I MEDICI ENTRO IL 31 GENNAIO 2016

La tipologia di spesa dovrà essere indicata in base ad un’apposita codifica prevista dal software di gestione dell’adempimento.

L’articolo 3, comma 3 del D.Lgs. 175/2014 prevede che il Sistema Tessera Sanitaria, metta a disposizione dell’Agenzia delle Entrate le informazioni concernenti le spese sanitarie sostenute dai cittadini, ai fini della predisposizione della dichiarazione dei redditi precompilata. A tal fine, la stessa disposizione stabilisce che le suddette informazioni debbano essere trasmesse telematicamente al Sistema Tessera Sanitaria dalle strutture sanitarie accreditate e dagli iscritti all’albo dei medici chirurghi e degli odontoiatri.

Di seguito con il D.M. 31 luglio 2015, sono state fissate le regole che i soggetti obbligati devono seguire per inviare in via telematica fatture e scontrini per prestazioni sanitarie al STS Sistema Tessera Sanitaria. Infatti, per rendere piùcompleto il modello 730 precompilato, entro il 31 gennaio 2016: le aziende sanitarie locali; le aziende ospedaliere; gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico; i policlinici universitari; le farmacie, pubbliche e private (scontrini e fatture); i presidi di specialistica ambulatoriale; le strutture per l’erogazione delle prestazioni di assistenza protesica e di assistenza integrativa, gli altri presidi e strutture accreditati per l’erogazione dei servizi sanitari; gli iscritti all’Albo dei medici chirurghi e degli odontoiatri, devono inviare al Sistema tessera sanitaria i dati relativi alle prestazioni erogate nel 2015, ai fini della loro messa a disposizione da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Il primo invio dei dati entro il 31 gennaio 2016 riguarderà scontrini e fatture dell’intero anno 2015.

A titolo esemplificativo i medici e odontoiatri devono comunicare i dati relativi alle seguenti prestazioni:

  • spese per prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale esclusi gli interventi di chirurgia estetica;
  • visite mediche generiche e specialistiche o prestazioni diagnostiche e strumentali;
  • prestazioni chirurgiche ad esclusione della chirurgia estetica;
  • interventi di chirurgia estetica ambulatoriali o ospedalieri;
  • certificazioni mediche;
  • altre spese sanitarie non comprese nell’elenco.

Per ciascuna spesa o rimborso, i dati da comunicare sul Sistema Tessera Sanitaria sono:

  1. codice fiscale del contribuente o del familiare a carico cui si riferisce la spesa o il rimborso;
  2. codice fiscale o partita IVA e cognome e nome o denominazione del soggetto che ha emesso il documento fiscale (scontrino o fattura);
  3. data del documento fiscale che attesta la spesa;
  4. tipologia della spesa;
  5. importo della spesa o del rimborso.

Sono previste sanzioni di 100 euro per ogni comunicazione omessa, fino ad un massimo di 50.000 euro.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

DDL concorrenza: le proposte dei commercialisti

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Osservazioni e proposte di modifica del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili

I commercialisti sono tornati ad occuparsi del DDL sulla concorrenza, e hanno ribadito le loro precedenti posizioni presentando osservazioni e proposte di modifica nel corso dell’audizione del 18 novembre presso la Commissione Industria, Commercio e Turismo del Senato.

Il Consiglio nazionale ha altresì proposto, sempre nella stessa sede, una modifica all’attuale disciplina del trasferimento d’azienda, al fine di estendere agli atti di trasferimento della proprietà ed ai contratti che hanno per oggetto il godimento dell’azienda la procedura già prevista per la cessione di quote delle srl.

Le precedenti posizioni

In occasione della precedente audizione del Consiglio Nazionale dello scorso mese di giugno, l’attenzione si concentrò su alcune particolari disposizioni de DDL n. 3012, le quali sicuramente necessitavano di un’analisi più approfondita.

Più precisamente gli articoli del DDL oggetto delle osservazioni furono:

  • l’articolo 28, dedicato alla semplificazione del passaggio di proprietà dei beni immobili ad uso non abitativo di valore non superiore a 100.000 euro;
  • l’articolo 30, disciplinante le semplificazioni connesse al trasferimento di quote di srl e la costituzione sulle stesse di diritti parziali;
  • l’articolo 30, comma 2, relativo al deposito presso il registro delle imprese degli atti, delle denunce e delle comunicazioni per i quali non è previsto l’obbligo di atto pubblico o della scrittura privata autenticata.

Le perplessità espresse dal CNDCEC sono state parzialmente recepite dalla Commissione Giustizia e, quindi, molte delle disposizioni di cui al DDL n. 3012 non hanno trovato accoglimento nell’attuale DDL n. 2085.

Tuttavia ancora persistono degli aspetti che necessitano di attenzione, tra i quali il CNDCEC sottolinea:

  • l’articolo 45, dedicato alla sottoscrizione digitale di taluni atti;
  • l’attuale disciplina sul trasferimento d’azienda e l’estensione agli atti di trasferimento della proprietà ed ai contratti aventi ad oggetto il godimento dell’azienda della procedura di deposito presso il registro delle imprese prevista per il trasferimento di partecipazioni di srl.

Il trasferimento delle quote di srl

L’articolo 45, comma 1 del DDL n. 2085 prevede che “i contratti aventi ad oggetto il trasferimento di quote sociali di società a responsabilità limitata e la costituzione sulle stesse di diritti parziali sono redatti per atto pubblico o scrittura privata autenticata, ovvero con le modalità di cui all’articolo 36, comma 1-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, oppure, anche in deroga all’articolo 11, comma 4, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 dicembre 1995, n. 581, per atto firmato digitalmente, ai sensi dell’articolo 25 del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, dalle parti del contratto e sono trasmessi ai competenti uffici del registro delle imprese attraverso un modello uniforme tipizzato con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico”.

Pertanto, con il nuovo articolo 45 viene aggiunta una nuova modalità per il trasferimento delle partecipazioni sociali delle srl e di costituzione sulle stesse di diritti parziali, ovvero per atto firmato digitalmente dalle parti.

Ebbene, i commercialisti, in occasione dell’audizione hanno confermato le loro perplessità in merito alle nuove disposizioni introdotte, le quali “trasferiscono competenze proprie di alcune professioni regolamentate a soggetti che non sono abilitati all’esercizio della professione, che non vantano competenze specifiche nelle materie oggetto dell’intervento normativo e che, soprattutto, non forniscono all’utenza concrete garanzie circa l’affidabilità della prestazione resa.”

Il trasferimento d’azienda

In occasione dell’audizione presso la Commissione Industria, Commercio e Turismo del Senato è stata inoltre avanzata la proposta di estendere l’attuale disciplina in tema di trasferimento delle quote di Srl al trasferimento d’azienda.

Come sottolineato anche dal consigliere Maurizio Grosso, consigliere delegato alle Tecnologie informatiche “nell’ottica di aumentare la concorrenza e ridurre gli oneri a carico delle imprese, i vertici della professione propongono una modifica all’attuale disciplina del trasferimento d’azienda del codice civile (art. 2556) in modo da estendere agli atti di trasferimento della proprietà ed ai contratti che hanno per oggetto il godimento dell’azienda (con esclusione degli immobili) la procedura prevista per la cessione di quote di srl fin dal 2008. Gli intermediari commercialisti garantiscono così il versamento delle imposte indirette dovute, il rispetto degli adempimenti antiriciclaggio e la diffusione della digitalizzazione degli atti”.

Autore: redazione fiscal focus

Equitalia: entro il 23 novembre la domanda di riammissione

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Si decade con il mancato pagamento di solo due rate anche non consecutive

Con un comunicato presente sul proprio sito, l’Agente della Riscossione ha reso noto che il termine originario di sabato 21 Novembre per la presentazione della domanda di riammissione alla dilazione di precedenti piani decaduti dal 22 ottobre 2013 al 21 ottobre 2015, è prorogato a lunedì 23 novembre, primo giorno utile lavorativo successivo alla scadenza originaria. La richiesta può essere presentata direttamente agli sportelli del concessionario o tramite raccomandata con ricevuta di ritorno. La domanda è disponibile sul sito di Equitalia: Modulistica – Rateizzazione- RICHIESTA DI RATEIZZAZIONE PER PIANI DECADUTI DAL 22/10/2013 AL 21/10/2015.

Per la riammissione alla rateazione, sono previste condizioni più restrittive rispetto a un primo accesso:
la durata massima non può superare le 72 mensilità (sei anni) e, di conseguenza, anche nelle circostanze di comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica ed estranea alla propria responsabilità, non sarà mai concessa al soggetto riammesso al beneficio la possibilità di accedere a un piano di rateazione straordinario fino a dieci anni; il nuovo piano non è prorogabile e decade con il mancato pagamento di solo due rate anche non consecutive.

Al momento, i primi dati ufficiali, evidenziano che le domande presentate sono pari a 18.688; l’88,2%, ossia 16.474 è stato accolto, per un importo collegato alla rateazione pari a € 426 mln e 134 mila euro.

Si ricorda che Il contribuente che ha ottenuto la riammissione al beneficio della rateazione, non sarà più considerato inadempiente, e cosa rilevante, potrà, se si tratta di un’impresa, riottenere Il DURC e il certificato di regolarità fiscale, il cui possesso è condizione essenziale per partecipare ad appalti di lavori, forniture e servizi.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Novità Legge di Stabilità: canone RAI, estromissione immobili, sconto IMU

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Gli emendamenti approvati in Commissione Bilancio del Senato

Numerosi gli emendamenti approvati ieri in Commissione Bilancio del Senato. Viene confermata la misura che prevede l’estromissione “agevolata” degli immobili strumentali dall’impresa individuale, viene introdotta una norma per evitare la corresponsione di affitti in nero, canone rai rateizzato e con franchigia di 8mila euro.

Estromissione immobili impresa individuale – Viene data in sostanza all’imprenditore individuale, che alla data del 31 ottobre 2015 possiede beni immobili strumentali, la possibilità di optare entro il 31 maggio 2016 per l’esclusione dei predetti immobili dal patrimonio dell’impresa.
Per la determinazione della base imponibile e dell’imposta sostitutiva si rimanda a quanto previsto per l’assegnazione degli immobili ai soci.

Questo significa in termini pratici che la fuoriuscita dell’immobile dal perimetro dell’impresa sconterà una tassazione sostituiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP pari all’8%, che dovrà essere applicata sulla differenza tra il valore catastale del bene e il suo costo fiscale.

Contrasto agli affitti in nero – Per evitare la corresponsione di affitti in nero si prevede cheÈ nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato”, prevedendo inoltre che “il conduttore, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell’immobile locato, può chiedere la restituzione delle somme corrisposte in misura superiore al canone risultante dal contratto scritto e registrato”.

Fondo per il credito alle aziende vittime di mancati pagamenti – Approvato un emendamento che prevede l’istituzione, presso il ministero dello Sviluppo economico, di un Fondo per il credito alle aziende vittime di mancati pagamenti, con una dotazione di 10 milioni di euro all’anno per il triennio 2016-2018.

Canone RAI: rateizzato e con franchigia – Confermata la misura che prevede la corresponsione del Canone RAI con il pagamento della bolletta elettrica, prevedendo tuttavia che l’importo sia suddiviso in dieci rate mensili, addebitate sulle fatture emesse dall’impresa elettrica aventi scadenza del pagamento immediatamente successiva alla scadenza delle rate. Si prevede inoltre che non siano tenuti alla corresponsione del Canone RAI i soggetti con età maggiore a 65 anni e reddito inferiore a 8.000,00 euro.

Chi affitta la seconda casa a canone concordato fruisce di uno sconto IMU del 25% – Uno sconto del 25% ai proprietari di secondo case che le affittano a canone concordato.

Meno risorse al SUD – L’imminente esigenza di aumentare le risorse per la sicurezza vienegarantita riducendo le risorse originariamente previste per il mezzogiorno.

Autore: redazione fiscal focus

Stabile organizzazione personale: il nuovo indirizzo dell’OCSE

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Nell’ambito del progetto BEPS (Base Erosion and Profit Shifting), l’OCSE propone una definizione più stringente di stabile organizzazione personale, al fine di disincentivare comportamenti elusivi.

Va preliminarmente osservato che la definizione di stabile organizzazione personale è rinvenibile nell’art. 5, par. 5, del modello OCSE, laddove si prevede che affinché si configuri la fattispecie della stabile organizzazione personale, devono verificarsi:

  • il requisito soggettivo: le persone che possono configurare la stabile organizzazione personale sono gli agenti «dipendenti» a prescindere dal fatto che l’agente sia una persona fisica o una persona giuridica;
  • il requisito oggettivo: l’agente dispone di poteri che gli consentano di concludere contratti a nome dell’impresa e tali poteri devono essere esercitati abitualmente. Sono escluse le attività con carattere preparatorio e ausiliario.

Per ciò che attiene il requisito oggettivo, la configurazione della stabile organizzazione personale avviene se l’ agente “dipendente” ha il potere di concludere contratti a nome della stessa e tale potere viene esercitato abitualmente. Il potere di concludere contratti a nome dell’impresa indica il possesso da parte dell’agente del potere di rappresentanza e dunque stipulare atti in nome e per conto del proponente.

Proprio su questo aspetto interviene l’OCSE, precisando che la configurazione di una stabile organizzazione personale avviene ogni qualvolta un soggetto svolga abitualmente il ruolo decisivo nella conclusione di contratti che vengono sistematicamente perfezionati senza sostanziali modifiche da parte dell’impresa estera.

Si tratta di una condizione stringente, in quanto il solo fatto che l’agente dipendente intervenga in modo decisivo nella conclusione di contratti, anche se questi vengono poi sottoscritti dal mandante non residente, è condizione sufficiente per la configurazione della stabile organizzazione personale. Stabilire quando l’agente ha un ruolo decisivo nella conclusione dei contratti è estremamente complicato.

L’attuale versione del Commentario al Modello OCSE non si distacca da tale interpretazione: prevede infatti che il potere di concludere contratti in nome dell’impresa estera non è legato alla sottoscrizione materiale dell’atto, in quanto il potere di negoziare tutti gli elementi e dettagli di un contratto in modo vincolante per l’impresa estera già di per sé costituisce l’esercizio del potere di concludere contratti in nome dell’impresa estera.

In tal senso è opportuno evidenziare che già la Suprema Corte in alcune pronunce ha sancito l’esistenza della Stabile organizzazione personale in presenza di agenti dipendenti che svolgessero un ruolo chiave nella conclusione dei contratti, senza che quest’ultimi provvedessero alla stipula degli stessi.

In particolare, la Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, con la sentenza 17.01.2013, n. 1120, ha affrontato lo spinoso tema della c.d. stabile organizzazione personale, con particolare riferimento alle prove necessarie a dimostrare che l’agente dipendente abbia esercitato il potere di concludere contratti in nome e per conto della società estera.

I Giudici di Legittimità hanno affermato il principio secondo cui la configurazione della stabile organizzazione personale in territorio nazionaleavviene quando il fine dei soggetti operanti in territorio italiano è quello di esercitare – in modo non sporadico o occasionale – un’attività economica, che può consistere anche nella sola conclusione di contratti in nome e nell’interesse di una società non residente.

La Cassazione nell’accogliere il ricorso proposto dall’Amministrazione Finanziaria afferma che la rilevante attività negoziale svolta dal legale rappresentate della società estera in territorio italiano, comprovato da elementi probatori a carattere indiziario e presuntivo, considerati globalmente e nella loro reciproca connessione, costituiscono condizione sufficiente per configurare la stabile organizzazione personale.

Nelle conclusioni della Suprema Corte, contrariamente alle indicazioni dell’OCSE, non sono offerti elementi circa l’attività diretta del legale rappresentante della società estera che abbiano contribuito alla conclusione dei contratti stipulati dalla società estera in Italia.

Ciò che si vuole evidenziare è che già ora che le condizioni sono meno stringenti per la configurazione della stabile organizzazione personale, l’indirizzo giurisprudenziale tende a considerare anche solo la partecipazione alla conclusione dei contratti condizione sufficiente per la configurazione della stabile organizzazione personale.

Autore: redazione fiscal focus

Quadro RW: la dichiarazione integrativa non sana la violazione

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Il quadro RW deve essere compilato, ai fini del monitoraggio fiscale, dalle persone fisiche residenti in Italia che detengono investimenti all’estero e attività estere di natura finanziaria a titolo di proprietà o di altro diritto reale indipendentemente dalle modalità della loro acquisizione e, in ogni caso, ai fini dell’Imposta sul valore degli immobili all’estero (IVIE) e dell’Imposta sul valore dei prodotti finanziari dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all’estero (IVAFE). L’obbligo di monitoraggio non si configura per i depositi e conti correnti bancari costituiti all’estero il cui valore massimo complessivo raggiunto nel corso del periodo d’imposta non sia superiore a 10.000 euro (art. 2, comma 4-bis, del Decreto Legge 28 gennaio 2014, n. 4, convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 2014, n. 50); resta fermo l’obbligo di compilazione del quadro laddove sia dovuta l’IVAFE.

Cosa succede nel caso in cui il contribuente obbligato alla compilazione del quadro Rw, non provvede alla sua presentazione? È possibile sanare la mancata presentazione con la dichiarazione integrativa?

Innanzitutto andiamo a ricordare quella che è la funzione della dichiarazione integrativa, rimarcando che la stessa interviene laddove emergono errori nella compilazione delle dichiarazioni UNICO, IRAP e IVA presentate dai contribuenti. Può trattarsi di errori dovuti alla semplice errata digitazione di un importo così come quelli derivanti da un’errata valutazione di un onere da dedurre o anche a una semplice dimenticanza nel dichiarare un reddito. Qualora il contribuente si accorga dell’errore commesso, nelle ipotesi in cui i termini di presentazione della dichiarazione siano già scaduti, può rettificarla o integrarla presentando una nuova dichiarazione denominata “Dichiarazione integrativa” entro la scadenza prevista per la dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo. In tal caso potrà applicare le regole del ravvedimento operoso, usufruendo di sanzioni ridotte a un ottavo del minimo.

Se invece il contribuente presenterà la dichiarazione integrativa a sfavore oltre i termini del ravvedimento, ma comunque entro i termini per l’accertamento (31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione), non vengono applicate le riduzioni alle sanzioni; Nel caso di mancata compilazione del quadro la dichiarazione integrativa non risana la violazione; parliamo di una violazione sostanziale e non formale in quanto i dati eventualmente indicati consentono all’Amministrazione di conoscere le disponibilità estere anche se non producono reddito imponibile; la dichiarazione integrativa non consente di far venir meno la sanzione irrogata per la mancata presentazione della sanzione corretta nei termini previsti. La stessa dichiarazione opera ai fini della ridefinizione del reddito imponibile, ma non elimina la sanzione. Il raddoppio dei termini ai fini dell’accertamento riveste rilevanza ai fini processuali, in quanto l’operatività dei termini normali di accertamento potrebbe portare il contribuente ad eccepire la scadenza dei termini utili ai fini della contestazione della violazione.

Autore: redazione fiscal focus

Antiriciclaggio: depenalizzati i reati

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Finalmente uno spiraglio di luce nella complessa disciplina antiriciclaggio e la prospettiva di una riformulazione delle pesanti sanzioni previste.

A trasformare le sanzioni penali di cui al D.Lgs. 231/2007 in sanzioni amministrative non sarà, per ora, il decreto di recepimento della nuova IV direttiva Ue, ma, anticipando i tempi, le riforme potrebbero arrivare dallo schema di decreto legislativo in materia di depenalizzazione.

Le novità previste dal decreto depenalizzazione

Lo schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di depenalizzazione, prevede, all’articolo 1, che “non costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda”.

La nuova sanzione amministrativa sarà quindi determinata sulla base di quella che è l’attuale misura della pena pecuniaria prevista.

Più precisamente, potrà essere irrogata:

  • una sanzione da euro 5.000 ad euro 10.000 per i reati puniti con la multa o l’ammenda non superiore, nel massimo, a 5.000 euro;
  • una sanzione amministrativa da euro 5.000 ad euro 30.000 per i reati puniti con la multa o l’ammenda non superiore, nel massimo, a 20.000 euro;
  • ed, infine, una sanzione amministrativa da euro 10.000 ad euro 50.000 per i reati puniti con la multa o l’ammenda superiore a 20.000 euro.

L’impatto sulla disciplina antiriciclaggio

Come noto anche la disciplina antiriciclaggio contempla delle violazioni penalmente rilevanti per le quali è prevista esclusivamente la pena pecuniaria.

Con specifico riferimento ai professionisti tenuti al rispetto degli obblighi antiriciclaggio, l’articolo 55 del D.Lgs. 231/2007 prevede infatti che:

  • la violazione degli obblighi di identificazione è punita con la multa da euro 2.600 a 13.000 euro;
  • l’omessa, tardiva o incompleta registrazione è punita con la multa da euro 2.600 a 13.000 euro.

In entrambi i casi, con l’eventuale approvazione del decreto, le condotte non sarebbero più penalmente rilevanti, ma sarebbe prevista una sanzione amministrativa da euro 5.000 ad euro 30.000.

Le riforme sperate

A seguito delle novità introdotte non vengono eliminate le sanzioni antiriciclaggio, ma le condotte penalmente rilevanti potranno in futuro essere soggette alla sola sanzione amministrativa.

E’ tuttavia da rilevare come quest’ultima potrebbe essere più elevata, in termini economici, di quella attualmente prevista dal D.Lgs. 231/2007.

Mentre la sanzione attualmente prevista è infatti pari, nel massimo, ad una multa di euro 13.000, in futuro la sanzione amministrativa pecuniaria potrebbe raggiungere i 30.000 euro, ovvero più del doppio.

Inoltre, la “forbice” prevista dal legislatore appare sicuramente molto ampia: la sanzione può infatti essere compresa tra i 5.000 e i 30.000 euro. Questo punto va contro tutte le istanze finora avanzate.

Nonostante il possibile intervento riformatore, ci si augura quindi che il legislatore prenda contezza dell’attuale e persistente inadeguatezza del sistema sanzionatorio e possa, in occasione del recepimento della IV Direttiva, rivedere interamente la materia.

L’inadeguatezza e la non proporzionalità del sistema sanzionatorio previsto dal D.Lgs. n. 231/2007 è stato infatti più volte oggetto di attenzione, e, già da tempo, opera presso il Ministero dell’economia e delle finanze un tavolo tecnico volto alla revisione delle sanzioni irrogabili in caso di violazione della disciplina antiriciclaggio.

La speranza è quella che le sanzioni penali siano relegate ai soli casi in cui la violazione sia connessa all’utilizzo di dati e di documenti falsi, senza che possano rilevare, invece, mere inefficienze organizzative degli studi.

Le critiche del CNDCEC

Sicuramente critica è stata la posizione espressa dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili sulle riforme previste.

Come è stato infatti rilevato dal presidente, Gerardo Longobardi, “nel predisporre gli schemi dei decreti legislativi attuativi della delega contenuta nella legge n. 67/2014, relativa alla revisione del sistema sanzionatorio vigente si è posta l’attenzione anche su alcune sanzioni penali previste dalla normativa antiriciclaggio. Ne sono risultate depenalizzate, seppure indirettamente, le condotte previste dall’art. 55 del d.lgs. 231/2007, relative alla violazione degli obblighi di identificazione del cliente e di quelli di registrazione dei dati e delle informazioni acquisiti per l’adeguata verifica della clientela.

Un intervento che, paradossalmente, determinerà un sostanziale raddoppio dell’edittalità delle sanzioni pecuniarie attualmente previste a carico dei professionisti. La sanzione minima aumenterà infatti da € 2.600 a € 5.000 e quella massima da € 13.000 a € 30.000”.

L’effetto, pertanto, è soltanto quello di produrre un aggravio delle sanzioni pecuniarie a fronte di comportamenti che, il più delle volte, costituiscono dei meri inadempimenti formali.

Come ricordato a tal proposito dal Consigliere nazionale delegato all’antiriciclaggio, Attilio Liga, la speranza è quindi quella che “in sede di dibattito parlamentare si attui il necessario coordinamento tra le disposizioni generali contenute negli schemi dei provvedimenti attuativi della legge n. 67/2014 e l’esigenza di revisione delle sanzioni antiriciclaggio previste a carico dei professionisti, che già nella loro formulazione attuale appaiono assolutamente sproporzionate e irragionevoli. Questa, del resto, è un’esigenza condivisa anche dalle istituzioni, al punto da aver promosso la nascita del tavolo tecnico”.

Autore: Lucia Recchioni

Riaperta l’estromissione dell’immobile strumentale dell’imprenditore

Riaperta l’estromissione dell’immobile strumentale dell’imprenditore

SRL a base ristretta. Motivazione dell’avviso ai soci

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

In caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, l’avviso di accertamento dei redditi del socio può essere motivato “per relationem”, cioè rinviando a quello relativo ai redditi della società e solo a quest’ultima notificato. Il socio, a norma dell’art. 2261 c.c., ha il potere di consultare la documentazione relativa alla società, quindi di prendere visione sia dell’accertamento presupposto che dei documenti richiamati a suo fondamento.

È quanto emerge dalla sentenza n. 3509/20/15 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio.

Una Srl, socia di altra Srl estinta e avente un debito verso l’erario, ha impugnato la decisione di prime cure sostenendone la nullità sul rilievo dell’asserita violazione del litisconsorzio necessario tra la società a ristretta base partecipativa e i suoi soci. Tale doglianza, però, è stata respinta dai giudici di secondo grado della Capitale, i quali hanno anche ricordato un principio espresso dalla Cassazione in tema di motivazione degli avvisi di accertamento in ambito societario.

In sentenza si legge che, “a parte la considerazione che in realtà nella fase di impugnazione si è pervenuti, (omissis) a una trattazione unitaria della vicenda (medesimo collegio, stessa vicenda), pur tenendo distinti i due procedimenti, il primo motivo risulta infondato perché l’art. 14, comma 1 del D.Lgs. n. 546/1992 prevede il litisconsorzio necessario quando l’oggetto del ricorso riguarda ‘inscindibilmente’ più soggetti, ossia l’ineludibile compresenza di più parti, giacché le nozioni di connessione e riunione dei procedimenti non coincidono e non si identificano con il litisconsorzio. Nella concreta fattispecie non ricorre un unico rapporto plurisoggettivo paritario ma due imputazioni di responsabilità: una, principale, concernete la società, l’altra accessoria, in capo ai soci. Nessuna violazione dei diritti alla difesa è quindi ravvisabile”.

E ancora: “con la sentenza n. 21184/2005 la Corte di cassazione così si è pronunciata su una vicenda affine a quella in esame: ‘in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’obbligo di porre il contribuente in condizione di conoscere le ragioni per le quali deriva la pretesa fiscale è soddisfatto dall’avviso di accertamento dei redditi del socio che rinvii ‘per relationem’ a quello relativo ai redditi della società solo a quest’ultima notificato, giacché il socio a norma dell’art. 2261 c.c., ha il potere di consultare la documentazione relativa alla società, e, quindi, di prendere visione sia dell’accertamento presupposto che dei documenti richiamati a suo fondamento, ovvero di rilevarne l’omessa comunicazione. Infatti l’obbligo di motivazione degli atti di accertamento può essere assolto dall’amministrazione finanziaria anche mediante il riferimento a elementi di fatto offerti da documenti che siano nella conoscibilità del destinatario’”.

Si segnala che la suddetta sentenza n. 21184/2005 della Cassazione ha riguardato una fattispecie anteriore all’entrata in vigore dell’art. 7 della L. n, n. 212 del 2000; e infatti in essa si precisa che “condizione necessaria e sufficiente perché – nella vigenza della disciplina precedente all’entrata in vigore dello Statuto del contribuente – la motivazione per relationem dell’atto impositivo possa ritenersi legittima senza che vi sia allegato l’atto di riferimento, è che il contribuente conosca o abbia potuto conoscere tale atto. Sicché non potrebbe affermarsi la nullità di un atto impositivo solo per il fatto che questo sia motivato per relationem (anche in presenza di “rinvio a catena”), ma è necessario che il giudice accerti in fatto – e all’Ufficio spetta il relativo onere probatorio – se l’atto di riferimento sia effettivamente rimasto ignoto al contribuente”.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Transfer price: valido in Dogana con “correzioni”

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Un tavolo congiunto tra Dogane e Agenzia delle Entrate per stabilire l’adattabilità dei metodi per giustificare il valore normale ai fini delle imposte dirette e anche per la determinazione del valore da utilizzare ai fini doganali. Viene evidenziato in primis chela definizione del valore in dogana è contenuto nell’art. 29 CDC, secondo il quale l’importo della transazione indicato in fattura – il prezzo pagato o da pagare per la merce – assurge a base dell’imponibile in dogana (previo aggiustamento degli elementi da addizionare o da escludere ai sensi degli artt. 32 e 33 CDC) e dunque costituisce oggetto dell’attività di accertamento doganale.

Ciò significa che, salva l’emersione di un ragionevole dubbio al riguardo, il valore di transazione è quello da prendere in considerazione ai fini dell’applicazione dei diritti doganali. Può accadere tuttavia che nel caso di transazioni tra parti collegate si agisca sulla determinazione del prezzo attraverso un prezzo delle merci più basso (sotto-fatturazione) o più alto (sovra-fatturazione) rispetto a quello che un venditore, non legato al suo compratore, avrebbe praticato in identiche circostanze di spazio e di tempo.
A tal fine vengono ritenuti idonei, anche ai fini doganali, per dimostrare la congruità dei valori doganali, i metodi tradizionali OCSE di determinazione del prezzo di trasferimento infragruppo, sebbene con diversi gradi di affidabilità.
Si tratta dei seguenti metodi: CUP(Comparable Uncontrolled Price), RPM (Resale Price Method), CPM (Cost Plus Method) e PSM (Profit Split Method); qualche riserva solleva l’applicazione del TNMM (Transactional Net Margin Method).
I fattori di comparabilità, ossia quei fattori che possono assumere, in varia misura, rilevanza nel determinare la confrontabilità tra operazioni infragruppo rispetto a quelle intercorse tra parti indipendenti in condizioni similari, possono essere ritenuti validi con le seguenti considerazioni:

  • le caratteristiche dei beni ceduti (e dei servizi prestati) sono prese in considerazione anche ai fini della classificazione doganale delle merci e della determinazione della base imponibile con riferimento ad ogni singola partita dichiarata all’importazione e ad ogni singola circostanza della transazione internazionale sottostante;
  • l’analisi delle funzioni svolte, dei rischi assunti e dei beni strumentali utilizzati è particolarmente rilevante anche nello studio dei flussi dei pagamenti relativi a molteplici elementi che contribuiscono alla determinazione del valore in dogana;
  • i dettagli dei termini e delle clausole ricavabili dai contratti, la cui conoscenza consente di effettuare una comparazione dei contratti prodotti nell’ambito del regime degli “oneri documentali”, risponde all’esigenza di determinare molti aspetti inerenti alle responsabilità dei pagamenti effettuati o da effettuare in forza degli aggiustamenti di cui agli artt. 32 e 33 CDC, con particolare riferimento ai flussi dei pagamenti dovuti per l’utilizzo dei diritti di proprietà intellettuale, quali canoni e diritti di licenza;
  • le condizioni economiche, sono valutate anche ai fini doganali rilevando nell’ambito dei procedimenti autorizzatori o, ad esempio, ai fini della concessione dello status di operatore economico autorizzato (AEO);
  • le strategie di impresa sono tenute in debita considerazione anche in dogana tenuto conto che, nelle autorizzazioni preventive degli aggiustamenti ex art.156-bis DAC, è indispensabile l’analisi degli obiettivi strategici di medio e lungo periodo dell’intero gruppo societario ai fini dell’ammissibilità dei prezzi di trasferimento stabiliti tra venditori e importatori legati.

Secondo i principi di precauzione, trasparenza e partecipazione al procedimento amministrativo, le disposizioni recate dall’art. 156-bis delle DAC prevedono la possibilità di “concordare” con la dogana una pre-determinazione del valore sulla base di criteri di “congruità del prezzo” costantemente monitorabili.

In sostanza, la Dogana incentiva gli operatori al ruling preventivo per veder riconosciuto il prezzo di trasferimento praticato dalle aziende multinazionali nell’ambito degli scambi cross-border.
A tal fine è allegato alla circolare un formulario da presentare alle Dogane per fornire tutte le informazioni e la documentazione necessaria per veder riconosciuta la propria strategia di fissazione dei prezzi di trasferimento.

Autore: redazione fiscal focus

Ristrutturazione: quando si perde la detrazione

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

I vincoli da rispettare

Premessa – Se il pagamento delle spese per interventi di ristrutturazione non è stato eseguito tramite bonifico bancario o postale o è stato effettuato un bonifico che non riporti le indicazioni richieste la detrazione Irpef non viene riconosciuta.

Detrazione per ristrutturazione – La detrazione fiscale delle spese per interventi di ristrutturazione edilizia è disciplinata dall’art. 16-bis del D.P.R. 917/86 (Testo unico delle imposte sui redditi). Dal 1° gennaio 2012 l’agevolazione è stata resa permanente dal decreto legge n. 201/2011 e inserita tra gli oneri detraibili dall’Irpef. La detrazione è pari al 36% delle spese sostenute, fino a un ammontare complessivo delle stesse non superiore a 48.000 euro per unità immobiliare. Tuttavia, per le spese effettuate dal 26 giugno 2012 al 31 dicembre 2015, il decreto legge n. 83/2012 ha elevato al 50% la misura della detrazione e a 96.000 euro l’importo massimo di spesa ammessa al beneficio.
La perdita – La detrazione non è riconosciuta, e l’importo eventualmente fruito viene recuperato dagli uffici, quando:

  • non è stata effettuata la comunicazione preventiva all’Asl competente, se obbligatoria;
  • il pagamento non è stato eseguito tramite bonifico bancario o postale o è stato effettuato un bonifico che non riporti le indicazioni richieste (causale del versamento, codice fiscale del beneficiario della detrazione, numero di partita Iva o codice fiscale del soggetto a favore del quale il bonifico è effettuato);
  • non sono esibite le fatture o le ricevute che dimostrano le spese effettuate;
  • non è esibita la ricevuta del bonifico o questa è intestata a persona diversa da quella che richiede la detrazione;
  • le opere edilizie eseguite non rispettano le norme urbanistiche ed edilizie comunali;
  • sono state violate le norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e quelle relative agli obblighi contributivi. Per queste violazioni il contribuente non decade dal diritto all’agevolazione se è in possesso della dichiarazione di osservanza delle suddette disposizioni resa dalla ditta esecutrice dei lavori (ai sensi del Dpr 28 dicembre 2000, n. 445).

Se cambia il possesso – Se l’immobile sul quale è stato eseguito l’intervento di recupero edilizio è venduto prima che sia trascorso l’intero periodo per fruire dell’agevolazione, il diritto alla detrazione delle quote non utilizzate è trasferito, salvo diverso accordo delle parti, all’acquirente dell’unità immobiliare (se persona fisica).

Vendita – In sostanza, in caso di vendita e, più in generale, di trasferimento per atto tra vivi, il venditore ha la possibilità di scegliere se continuare a usufruire delle detrazioni non ancora utilizzate o trasferire il diritto all’acquirente (persona fisica) dell’immobile. Tuttavia, in assenza di specifiche indicazioni nell’atto di compravendita, il beneficio viene automaticamente trasferito all’acquirente dell’immobile.
Decesso -In caso di decesso dell’avente diritto, la fruizione del beneficio fiscale si trasmette, per intero, esclusivamente all’erede che conserva la detenzione materiale e diretta dell’immobile.
Trasferimento dell’inquilino o del comodatario – La cessazione dello stato di locazione o comodato non fa venire meno il diritto alla detrazione in capo all’inquilino o al comodatario che hanno eseguito gli interventi oggetto della detrazione, i quali continueranno quindi a fruirne fino alla conclusione del periodo di godimento.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Cessione aziende: il registro non guida l’accertamento

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Per le cessioni di immobili o di aziende, nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali su di essi, ai fini IRPEF, IRES ed IRAP, l’esistenza di un maggior valore non può più essere presunta soltanto sulla base del valore anche se dichiarato o accertato ai fini dell’imposta di registro ovvero delle imposte ipocatastali.

E’ quanto prevede il Decreto crescita e internalizzazione (art. 5, co. 3, D.lgs.147/2015), che con norma di interpretazione autentica ha risolto una questione assai dibattuta in dottrina e giurisprudenza.

La questione – La corte di Cassazione più volte si era espressa sulla questione, ritenendo legittima la rettifica della plusvalenza da cessione di azienda in base al maggior valore dichiarato ai fini dell’imposta di registro. Era onere del contribuente dare prova contraria.

Nell’esprimerne tale posizione né la giurisprudenza né l’Amministrazione Finanziaria tenevano conto dei diversi metodi di calcolo della base imponibile ai fini delle imposte dirette e ai fini dell’imposta di registro. Mentre ai fini delle imposte dirette ciò che conta è il corrispettivo stabilito dalle parti, ai fini dell’imposta di registro si fa riferimento al valore venale in comune commercio. Il primo un dato certo risultante dalle disposizioni negoziali, l’altro invece un dato presuntivo che si base sulla individuazione del prezzo che sarebbe stato applicato in normali condizioni di mercato. Che quest’ultimo sia un dato discrezionale non v’è dubbio. Ecco allora che i due parametri non possono essere messi a confronto: si tratterebbe di misurare due fattispecie diverse con gli stessi criteri.

I valori OMI e l’accertamento ai fini dell’imposta di registro – A complicare la situazione, la definizione del valore venale in comune commercio, che originariamente avveniva da parte dell’Amministrazione Finanziaria facendo riferimento esclusivo ai valori OMI (Osservatorio del Mercato immobiliare). Per fortuna la Cassazione ha rotto il collegamento diretto tra dati OMI e valore venale in comune commercio.

Interpretazione poi adottata dall’Amministrazione Finanziaria nella C.M. 18/E/2010, laddove l’Agenzia, recependo modifiche normative risalenti al 2008, ha riconosciuto che lo scostamento dei corrispettivi dichiarati per le cessioni di beni immobili rispetto al valore normale (valore OMI) rappresenta un elemento presuntivo semplice, e indirizzando gli uffici, con riferimento alle controversie pendenti, a valutare se le motivazioni degli accertamenti impugnati si dimostrino comunque adeguate o se, invece, si rivelino insufficienti così da richiedere l’abbandono del contenzioso in corso.

In altri termini, il solo discostamento del corrispettivo dai valori OMI non era stato ritenuto sufficiente per l’accertamento, ritenendo necessari anche ulteriori elementi presuntivi idonei ad integrare la prova della pretesa (quali, a titolo meramente esemplificativo, il valore del mutuo qualora di importo superiore a quello della compravendita, i prezzi che emergono dagli accertamenti effettuati con la ricostruzione dei ricavi sulla base delle risultanze delle indagini finanziarie, i prezzi che emergono da precedenti atti di compravendita del medesimo immobile). Questa interpretazione viene ora promossa a legge ad opera del Decreto crescita e internalizzazione.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Crisi da sovraindebitamento dei soggetti non fallibili: l’accordo del debitore

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

I soggetti non fallibili, che si trovano in uno stato di crisi da sovraindebitamento possono, al ricorrere di determinate condizioni, fare riferimento a tre diversi istituti previsti con la Legge n°3 del 27 gennaio 2012, ossia:

  • accordo debitore;
  • piano del consumatore;
  • liquidazione del patrimonio.

E’ opportuno soffermarsi sull’accordo del debitore, andando a ricordare quelle che sono le condizioni per il ricorso a tale procedura, nonché i contenuti e la modalità di presentazione della proposta.

Il debitore non fallibile deve trovarsi in uno stato conclamato di “sovraindebitamento”, ossia di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte.

Gli articoli da 6 a 9 della Legge n°3/2012 stabiliscono che il debitore in stato di sovraindebitamento può proporre ai creditori un accordo di ristrutturazione presentando un piano che: preveda scadenze e modalità di pagamento dei creditori, anche se suddivisi in classi; indichi le eventuali garanzie eventualmente prestate anche da terzi; riporti le eventuali modalità per la liquidazione dei beni.

presentazione della proposta – La proposta di accordo o il piano devono essere depositati presso il Tribunale del luogo di residenza del debitore e devono essere corredati dalla seguente documentazione (art. 9, comma 1, Legge n. 3/2012);.

  • elenco dei creditori, con indicazione delle somme dovute, di tutti i beni del debitore e degli eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi 5 anni;
  • dichiarazione dei redditi degli ultimi 3 anni;
  • attestazione di fattibilità del piano (rilasciata dall’Organismo di composizione della crisi o dal professionista);
  • elenco delle spese correnti necessarie al sostentamento del debitore e del suo nucleo familiare, per il tempo previsto dal piano, corredato da un certificato dello stato di famiglia;
  • (solo per il debitore che svolge attività d’impresa) le scritture contabili degli ultimi 3 esercizi, unitamente alla dichiarazione che ne attesta la conformità all’originale. Contestualmente al deposito della proposta presso il Tribunale, l’organismo di composizione della crisi (OCC) deve provvedere a depositarne copia presso l’agente della riscossione e presso gli uffici fiscali competenti sulla base dell’ultimo domicilio tributario del proponente. La proposta deve contenere la ricostruzione della posizione fiscale del debitore e deve dare contezza di eventuali conten­ziosi pendenti.

Inoltre alla proposta di piano del consumatore è allegata una relazione particolareggiata dell’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) contenente (art. 9, comma 3-bis, Legge 3/2012):

  • l’indicazione delle cause dell’indebitamento e della diligenza impiegata dal consuma­tore nell’assumere volontariamente le obbligazioni;
  • l’esposizione delle ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte;
  • il resoconto sulla solvibilità del consumatore negli ultimi cinque anni;
  • l’indicazione della eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai creditori;
  • il giudizio sulla completezza e attendibilità della documentazione depositata dal consumatore a corredo della proposta, nonché sulla probabile convenienza del piano rispetto all’alternativa liquidatoria.

Il Giudice se i requisiti sono rispettati, fissa l’udienza e dispone la comunicazione della proposta e del decreto di fissazione dell’udienza.

L’accordo deve essere raggiunto con i creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti, evidenziando che non concorrono al raggiungimento della soglia di approvazione: i creditori privilegiati, per i quali la proposta può prevedere l’integrale pagamento; il coniuge del debitore, i suoi parenti e affini entro il 4° grado; i cessionari o aggiudicatari dei loro crediti da meno di un anno prima della proposta.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

L’acquisto dell’abitazione principale e la detrazione degli interessi passivi

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

La percentuale di detrazione è pari al 19% calcolato su un importo massimo di 4.000 euro

Il contribuente che ha stipulato un mutuo per l’acquisto dell’abitazione principale, in sede di determinazione Irpef, può procedere alla detrazione degli interessi passivi collegati al contratto di mutuo; la detrazione opera in misura pari al 19 % calcolato su un importo massimo di € 4.000; quindi la detrazione massima prevista è nel complesso pari a € 760.

La detrazione spetta al contribuente acquirente ed intestatario del contratto di mutuo, anche se l’immobile è adibito ad abitazione principale di un suo familiare (coniuge, parenti entro il terzo grado ed affini entro il secondo grado); nel caso di separazione legale anche il coniuge separato, finché non intervenga l’annotazione della sentenza di divorzio, rientra tra i familiari. In caso di divorzio, al coniuge che ha trasferito la propria dimora abituale spetta comunque il beneficio della detrazione per la quota di competenza, se presso l’immobile hanno la propria dimora abituale i suoi familiari. La detrazione spetta anche al “nudo proprietario” (e cioè al proprietario dell’immobile gravato, ad esempio, da un usufrutto in favore di altra persona) sempre che ricorrano tutte le condizioni richieste, mentre non compete mai all’usufruttuario in quanto lo stesso non acquista l’unità immobiliare.

Regime di detraibilitàPer i contratti di mutuo stipulati antecedentemente al 1° gennaio 1993 è stabilito che l’abitazione principale doveva configurarsi entro l’8 dicembre 1993, e che a partire da questa data il contribuente non doveva cambiare la propria abitazione principale, se non solo per motivi di natura lavorativa; la detrazione massima va calcolata su un importo di interessi non superiore a 4.000 euro per ciascun intestatario., per i contratti di mutuo risalenti al periodo che va dal 1 gennaio 1993 fino al 31 dicembre 2000, l’importo massimo della detrazione è calcolato su € 4.000 complessivi, ed è ammessa solo se l’immobile sia diventato abitazione principale entro sei mesi dall’acquisto e che lo stesso acquisto sia avvenuto entro sei mesi antecedenti alla stipula del mutuo o nei sei mesi successivi; infine, per i contratti di mutuo accesi a partire dal 1 gennaio 2001, la detrazione è definita sulla base di un importo massimo relativo agli interessi pari a € 4000 complessivi, se l’immobile è diventato abitazione principale entro un anno dall’acquisto, e se l’acquisto è avvenuto entro l’anno antecedente o successivo all’accensione del mutuo.

Spese detraibili – oltre alla quota di interessi passivi, si possono detrarre anche gli oneri accessori relativi alla stipula del mutuo con la banca, eventuali oneri fiscali e spese aggiuntive come l’imposta di iscrizione o cancellazione di ipoteca e l’imposta sostitutiva sul capitale prestato.

Anche la provvigione per lo scarto rateizzato, le spese notarili sostenute per l’istruzione della pratica di mutuo e le eventuali perizie tecniche rientrano nel conteggio, così come l’apertura di un conto corrente accessorio; è utile evidenziare che l’importo massimo portato in detrazione in ogni caso non può superare le 760 € complessivi.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Sas fallita. Obbligatoria la notifica all’accomandatario

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

La cartella non può essere notificata solo al curatore

L’intimazione di pagamento è atto impugnabile in CTP quando il socio accomandatario della Sas fallita non ha ricevuto la notifica né della cartella di pagamento né del prodromico avviso di accertamento.

È quanto emerge dalla sentenza n. 322/03/15 della Commissione Tributaria Provinciale di Como.

È stata annullata una pretesa erariale portata da una cartella di pagamento notificata al solo curatore di una Sas fallita.

La CTP ha sposato le tesi del socio accomandatario circa il vizio di notifica (con riguardo sia alla cartella sia all’avviso di accertamento sui cui essa si basava, atto divenuto definitivo per mancanza d’impugnazione), con conseguente riconoscimento, in capo al medesimo, del diritto di proporre ricorso avverso l’intimazione di pagamento.

L’adito Collegio comasco, respingendo l’eccezione preliminare d’inammissibilità opposta dalla convenuta Agenzia delle entrate, ha osservato che, se è vero che l’intimazione di pagamento non rientra fra gli atti autonomamente impugnabili ai sensi dell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/92 (il che si giustifica con il fatto che l’intimazione fa seguito alla cartella di pagamento, atto con cui è comunicata al contribuente una pretesa tributaria ormai ben definita), è altresì vero che la mancata notifica della cartella o comunque dell’atto presupposto rende ammissibile l’impugnazione dell’atto successivo (nel caso di specie dell’intimazione di pagamento) ex art. 19, ultimo comma, D.Lgs. n. 546/92. Nel caso in esame, osservano i giudici, ricorre appunto tale circostanza:quanto alla cartella, essa risulta notificata al citato curatore nella data del 17/12/2009, ma non risulta che analoga notifica sia avvenuta nei confronti del (omissis) né vi è prova che detto organo del fallimento abbia informato il fallito della esistenza di tale pretesa tributaria (facente carico a società diversa da quella fallita e circa la quale il ricorrente nega di aver assunto alcun ruolo); come ritenuto dalla costante giurisprudenza di legittimità, l’accertamento tributario, se relativo a crediti maturati prima della dichiarazione di fallimento, deve essere notificato non solo al curatore ma anche al contribuente personalmente (essendo egli esposto alle conseguenze della definitività dell’atto impositivo), che è eccezionalmente abilitato a impugnarlo nella inerzia degli organi fallimentari, non potendo attribuirsi carattere assoluto alla perdita della capacità processuale conseguente alla dichiarazione del fallimento, che può essere eccepita esclusivamente dal curatore nell’interesse della massa dei creditori (cfr. Cass. 2910/09, 17687/13, 4113/14, 9434/14)”.

Insomma, i giudici della Provinciale di Como hanno ritenuto l’irritualità della notifica della cartella di pagamento, quindi l’illegittimità della conseguente intimazione di pagamento.

Il ricorso del socio è stato pertanto accolto, ma non rispetto alla domanda di annullamento dell’atto di diniego all’istanza di autotutela, non essendo esso, ad avviso del collegio giudicante, autonomamente impugnabile davanti al giudice tributario.

Stante la parziale reciproca soccombenza, la Commissione ha disposto l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.

Autore: redazione fiscal focus

Servizi digitali: esonero da certificazione fiscale

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Decreto 27.10.2015 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 263 del 11-11-2015

E’ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 263 dell’11-11-2015 il Decreto 27.10.2015 che prevede l’esonero da certificazione fiscale per gli operatori del commercio elettronico diretto per le prestazioni rese a committenti privati.

Va ricordato che con l’entrata in vigore del D.lgs. 42/2015 pubblicato sulla G.U. n. 90 del18.04.2015, dal 03.05.2015 è efficace l’esonero degli obblighi di fatturazione in relazione all’imposta sul valore aggiunto dovuta sulle prestazioni dei servizi di telecomunicazione, di teleradiodiffusione o elettronici effettuate nel territorio dello Stato.

A tal proposito si evidenzia che con il D.lgs.42/2015 è stato previsto l’inserimento di un nuovo comma 6-ter, nell’art. 22, Decreto IVA, in base al quale l’emissione della fattura non è obbligatoria, se non è richiesta dal cliente non oltre il momento di effettuazione dell’operazione, per le prestazioni di servizi di telecomunicazione, di servizi di teleradiodiffusione e di servizi elettronici resi a committenti che agiscono al di fuori dell’esercizio d’impresa, arte o professione.

Ciò detto, va evidenziato che l’obbligo di fatturazione rimane per i rapporti B2B.

In base al comma 6-ter, art. 22, Decreto IVA, i soggetti passivi italiani che erogano servizi di e-commerce a privati italiani, indipendentemente dall’adesione al MOSS, sono dispensati dagli obblighi di fatturazione. In tale caso andava chiarito se fosse comunque necessario procedere alla certificazione fiscale dell’operazione.

L’art. 1 del D.M. 27.10.2015 prevede che “non sono soggette all’obbligo di certificazione dei corrispettivi le seguenti tipologie di operazioni: …. a) prestazioni di servizi di telecomunicazione, di servizi di teleradiodiffusione e di servizi elettronici rese a committenti che agiscono al di fuori dell’esercizio d’impresa, arte o professione.”

L’esonero dalla certificazione fiscale si aggiunge all’esonero dalla fatturazione. Nessun adempimento dunque per le prestazioni rientranti nel commercio elettronico diretto rese a privati consumatori italiani.

Per ciò che riguarda l’efficacia delle nuove disposizioni, l’art. 2 del D.M. 27.10.2015 prevede l’applicazione delle nuove regole alle operazioni effettuate a partire dal 1° gennaio 2015.

Continuando la nostra analisi sulle modalità di fatturazione nel commercio elettronico diretto, analizziamo il caso delle prestazioni rese da soggetti passivi IVA che aderiscono al MOSS in Italia nei confronti di privati UE.

Per i soggetti passivi IVA che aderiscono al MOSS in Italia ed erogano prestazioni di e-commerce a privati UE, si tratta di un ‘operazione extra territoriale. Per quanto riguarda gli obblighi di fatturazione, è opportuno verificare se in base alle regoli generali IVA sia necessario emettere fattura.

In particolare:

  • in caso di cliente privato comunitario:
    • l’articolo 21, co. 6bis, lett. a), D.P.R. 633/1972, stabilisce che la fattura va emessa per le operazioni extraterritoriali effettuate (solo) nei confronti di altri soggetti passivi che sono debitori dell’imposta in un altro Paese Ue. Dal lato Italiano non sarà dunque necessaria l’emissione della fattura.

Inoltre, trattandosi di un’operazione territorialmente rilevante in un altro paese UE, bisogna verificare in tale Stato se sussistono obblighi di fatturazione, nonché l’aliquota Iva da applicare.

Sono inoltre esentate dalla fatturazione, le prestazioni di servizi elettronici resi da soggetti passivi comunitari o extra comunitari a privati consumatori italiani.

Autore: redazione fiscal focus

RATEAZIONE E PIANI DECADUTI:NUOVE POSSIBILITÀ

Si avvicina il termine del 21 novembre per la riammissione alla dilazione

Ci avviciniamo alla scadenza del 21 Novembre, ossia termine ultimo per la presentazione di riammissione alla dilazione di precedenti rateazioni decadute entro il 22 ottobre 2013.

Il D.Lgs. n.159/2015 sulla semplificazione e razionalizzazione della riscossione, ha introdotto la possibilità, per precedenti rateizzazioni decadute entro il 22 ottobre 2013, di chiedere una nuova dilazione, tramite apposita istanza da presentare entro il 21 novembre 2015. La suddetta dilazione di pagamento non può prevedere una durata superiore ai 72 mesi, con una previsione di decadenza che interviene in seguito al mancato pagamento di due rate anche non consecutive.

Effetti su ipoteche e azioni esecutive – Alla ricezione della richiesta di rateazione, l’agente della riscossione può iscrivere l’ipoteca di cui all’articolo 77 o il fermo di cui all’articolo 86, solo nel caso in cui la richiesta di rateazione non venga accolta, ovvero in caso di decadenza ai sensi del comma 3. Sono fatti comunque salvi i fermi e le ipoteche già iscritti alla data di concessione della rateazione. A seguito della presentazione di tale richiesta, fatta eccezione per le somme oggetto di verifica ai sensi dell’articolo 48-bis, per le quali non può essere concessa la dilazione, non possono essere avviate nuove azioni esecutive sino all’eventuale rigetto della stessa e, in caso di relativo accoglimento, il pagamento della prima rata determina l’impossibilita di proseguire le procedure di recupero coattivo precedentemente avviate, a condizione, che non si sia ancora tenuto l’incanto con esito positivo, o non sia stata presentata istanza di assegnazione, ovvero il terzo non abbia reso dichiarazione positiva o non sia stato già emesso provvedimento di assegnazione dei crediti pignorati.
Per i contribuenti che in quel periodo preciso avevano avuto accesso ad un piano di rateazione, al quale non sono riusciti a far fronte, è prevista la possibilità di chiedere nuovamente, entro il 21 Novembre 2015, la riammissione al beneficio tramite apposita documentazione disponibile sul sito di Equitalia alla sezione ModulisticaRateizzazioneRICHIESTA DI RATEIZZAZIONE PER PIANI DECADUTI DAL 22/10/2013 AL 21/10/2015.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

ACCONTI DA VERSARE: IL REGIME FORFETTARIO E QUELLO DEI MINIMI

I contribuenti che, a partire dal 01.01.2015, hanno optato, o sono naturalmente transitati per il regime forfettario di cui all’articolo 1, commi da 54 a 89, della legge 190/2014, non devono per quest’anno versare alcun acconto con riferimento all’imposta sostitutiva dovuta con aliquota del 15%.

L’acconto per le start up

Per chi ha iniziato l’attività direttamente nel nuovo regime non ci sono problemi di sorta poiché; la norma istitutiva del nuovo sistema contabile si limita a stabilire che il pagamento dell’imposta sostitutiva (del 15%) va effettuato negli stessi termini e con le modalità previste per il versamento Irpef.

Nel merito della questione si ricorda che con risoluzione 59/E/2015 le Entrate hanno stabilito gli appositi codici tributo previsti per il versamento delle imposte legate per l’appunto al nuovo regime a forfait. In particolare per la seconda rata di acconto è stato stabilito l’utilizzo del codice “1791”.

E’ evidente però che trattandosi del primo anno di applicazione, il codice segnalato non verrà utilizzato per la prossima scadenza del 30 novembre, in quanto, mancando una base storica di riferimento, i contribuenti in esame non sono tenuti a effettuare alcun versamento in acconto.

L’acconto per chi aveva redditi nel 2014

Il contribuente che, nel 2015, è transitato per obbligo o per opzione nel regime forfettario provenendo da un regime ordinario dovrà valutate attentamente il da farsi.

Sul punto va detto che manca nel regime forfettario di cui alla legge di Stabilità 2015 una disposizione analoga a quella prevista all’abrogato articolo 1, comma 117, della legge 244/2007 che obbligava i “minimi” a considerare anche in sede di calcolo previsionale le regole ordinarie e non quelle del regime agevolato.

Pertanto, in assenza di indicazioni previste in tal senso, il contribuente in questi casi potrebbe validamente procedere a rideterminare l’acconto non su basi storiche ma su quelle previsionali arrivando per questi versi anche ad azzerare quanto dovuto.

In questo senso potrà procedere con un totale annullamento del secondo acconto dovuto il contribuente che non possiede ulteriori redditi soggetti all’ Irpef. In tal caso, infatti, la presenza del solo reddito forfettario fa si che il metodo previsionale assicuri comunque la certezza di non incorrere in sanzioni legate a possibili minori versamenti effettuati in acconto.

Viceversa se esistono, comunque, in aggiunta al reddito determinato a forfait, altri redditi soggetti ad Irpef il ricalcolo sulla base del previsionale va invece adattato alle previste ipotesi di imponibile che presumibilmente sarà dichiarato per il 2015 con riferimento all’imposta ordinaria.

Chi è rimasto nel regime dei minimi

Il contribuente che per effetto delle norme transitorie ha mantenuto il regime dei minimi di cui alla Legge 244/2007 (art. 1 comma 117) adottato fin già dal 2014 anche per il periodo d’imposta 2015 deve calcolare l’acconto con le regole previste per tale regime.

In pratica l’acconto va calcolato adottando il metodo storico, nella misura del 100% di quanto dovuto a titolo di imposta complessiva per il 2014. In particolare si dovrà fare riferimento al rigo LM14 di Unico 2015.

L’acconto va versato in due rate se l’importo della prima supera € 103.

Anche in questo caso è possibile utilizzare il metodo previsionale in sostituzione di quello storico qualora si preveda che il reddito imponibile soggetto all’imposta sostitutiva del 5% sia, nel 2015, inferiore rispetto a quello maturato nel corso del 2014. L’insufficiente versamento è sempre punito con la sanzione del 30%, se a consuntivo quanto versato a titolo di acconto si dimostra incapiente in relazione al totale dell’imposta determinata per l’annualità d’imposta 2015.

Nessun anticipo va versato se tale rigo riporta un’imposta pari od inferiore a 51 euro o se l’attività è iniziata nel 2015 direttamente nel regime dei minimi.

Il minimo che è diventato ordinario

Infine per chi passa dal regime dei minimi (2014) al regime ordinario (2015) non è chiaro se l’acconto sia obbligatoriamente dovuto sulla base del metodo storico.

Seguendo le regole generali, in linea di principio l’acconto calcolato avvalendosi del metodo previsionale non dovrebbe essere dovuto. Tuttavia è presente in Unico un apposito spazio (rigo RN38, colonna 4), in cui il contribuente può scomputare, in sede di saldo Irpef, l’acconto versato relativamente all’imposta sostitutiva.

In assenza di istruzioni diverse, la presenza di tale campo non dovrebbe deporre per l’obbligatorietà per chi è in regime dei minimi di versare obbligatoriamente l’acconto dovuto con il metodo storico determinato secondo tale regime, ma starebbe solo a consentire l’opzione di poter scomputare l’anno successivo quanto versato con il regime precedente.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

REDDITI DIVERSI: BED AND BREAKFAST GLI ASPETTI FISCALI

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

L’attività di B&B, se esercitata in maniera occasionale non è un’attività soggetta ad Iva e, di conseguenza, chi la gestisce non dovrà emettere documenti fiscali, ma esclusivamente ricevute comprovanti l’avvenuto pagamento.

Il carattere saltuario o occasionale, infatti, consente l’esclusione dal campo di applicazione dell’IVA.
In sostanza, quindi, l’attività di Bed and Breakfast esercitata da persone fisiche che usufruiscono, in maniera occasionale e con assenza di organizzazione di mezzi (Ris. 13 ottobre 2000 n. 155/E e 14 dicembre 1998, n. 180/E), di parte della propria abitazione di residenza per offrire alloggio e prima colazione, esclude la soggettività imprenditoriale.
In caso contrario, ossia quando l’attività è esercitata per professione abituale, si deve obbligatoriamente aprire la partita IVA e dichiarare il relativo reddito d’impresa.

Requisiti soggettivi

Chi esercita tale attività deve essere in possesso dei seguenti requisiti soggettivi:

  • possesso dei requisiti morali previsti dall’articolo 11 del R.D. n. 773/1931 (T.U.L.P.S.);
  • assenza di pregiudiziali ai sensi della legge antimafia;
  • assenza di condanne ai sensi della Legge 20 Febbraio 1958 n. 75 (Legge Merlin).

Iva

Il contribuente che gestisce un’attività di Bed and Breakfast in maniera saltuaria e senza organizzazione di mezzi dovrà rilasciare al cliente una ricevuta non fiscale, datata, numerata con l’indicazione del corrispettivo incassato e del numero dei giorni di pernottamento.
In questo caso la “madre” resterà al titolare del B&B e la “figlia” verrà consegnata all’ospite. L’unico accorgimento da prendere è quello di applicare una marca da bollo da € 2,00 qualora l’importo superi € 77,47.
In alcuni comuni occorrerà addebitare ai turisti anche la tassa di soggiorno e provvedere al suo versamento.

Redditi

Sotto il profilo tributario queste attività occasionali sono tassate come redditi diversi.
Il principio applicabile è quello di cassa: vanno dichiarati i soli proventi effettivamente percepiti.
Ogni spesa considerata “specificamente inerente” l’attività esercitata può essere dedotta nel quadro RL del mod. UNICO PF o nel quadro D del 730, dall’ammontare dei proventi incassati.
Pertanto ad esempio, nel quadro RL di Unico sarà necessario procedere a compilare il rigo RL14 (il riferimento è a Unico 2015) e ad indicare in colonna 1 l’ammontare dei proventi incassati, in colonna 2 il totale dei costi, mentre a rigo RL19 è necessario riepilogare il reddito netto conseguito.
Tale reddito farà eventualmente cumulo con gli altri posseduti dal contribuente che devono essere poi riepilogati tutti nel quadro RN dove avviene la liquidazione complessiva dell’IRPEF dovuta.
Il contribuente deve anche redigere e conservare un prospetto riepilogativo (da esibire a richiesta dell’amministrazione finanziaria) dove riportare l’indicazione dell’ammontare lordo dei corrispettivi e delle spese inerenti, dalla cui somma algebrica si ricava il reddito da dichiarare.
Sul punto si ricorda che le spese inerenti vanno opportunamente documentate.
Una questione complessa diventa spesso quella di separare in modo chiaro e netto le spese inerenti, da quelle normali del ménage familiare (per esempio, quelle per l’energia elettrica, l’acqua, il gas, ecc.). In tale caso per i consumi energetici, un criterio opportuno, potrebbe essere quello di effettuare un calcolo pro-quota su base millesimale e in proporzione al tempo di occupazione.

Agevolazioni ristrutturazione (50%)

In fine per gli interventi relativi a spese di ristrutturazione dell’unità immobiliare residenziale utilizzata per l’attività di B&B si ricorda che con la Risoluzione n. 18/E/2008, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che le spese di ristrutturazione delle abitazioni private adibite promiscuamente anche all’esercizio di un’attività commerciale, Bed and Breakfast, possono usufruire della detrazione d’imposta prevista, ai fini Irpef del 50%, per il recupero del patrimonio edilizio, delle spese effettivamente sostenute dal contribuente, purché ulteriormente ridotte del 50%.

Autore: redazione fiscal focus

Sanzioni in caso di PEC non propria

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – L’obbligo di dotarsi di un indirizzo PEC da comunicare ai fini dell’iscrizione nel registro delle imprese è sancito dall’art. 16 comma 6 del Dl 185/2008 e dall’art. 5, commi 1 e 2 del Dl 179/2012.

Spesso accade che al registro delle imprese sia comunicato, sulla posizione di un’impresa, l’indirizzo PEC di cui è titolare un’altra impresa oppure è comunicato l’indirizzo PEC di chi ha predisposto la pratica di iscrizione al registro stesso (ad esempio è indicata la PEC del commercialista).

Le imprese che si trovano in una situazione appena descritta sono chiamate a dotarsi di un indirizzo PEC proprio e a comunicarlo al Registro Imprese, pena l’applicazione di sanzioni.

L’obbligo di dotarsi di PEC propria – L’obbligo di dotarsi di PEC propria da comunicare anche al Registro Imprese è specificamente stato chiarito con la Circolare n. 77684/2014 del Ministero dello Sviluppo Economico , in cui è stato affermato che “considerato quanto previsto dall’art. 16, cc. 6 e 6-bis del DL 185/08, e dall’art. 5, cc. 1 e 2, del DL 179/2012”, si ritiene che “nel caso si rilevi, d’ufficio o su segnalazione di terzi, l’iscrizione di un indirizzo PEC, di cui sia titolare una determinata impresa, sulla posizione di un’altra (o di più altre) – ovvero, comunque, l’iscrizione sulla posizione di un’impresa di un indirizzo PEC che non sia proprio della stessa – dovrà avviarsi la procedura di cancellazione del dato in questione ai sensi dell’art. 2191 c.c., previa intimazione, all’impresa interessata (o alle imprese interessate), a sostituire l’indirizzo registrato con un indirizzo di PEC proprio”.

Inoltre, nella stessa circolare è anche precisato che lo stesso Ministero aveva già avuto occasione di chiarire, (con nota n. 120610 del 16/07/2013, all. 1), che precedenti indicazioni operative fornite in passato, secondo cui era possibile, per le imprese, indicare l’indirizzo di PEC di un terzo, sono da ritenersi ormai superate alla luce della successiva evoluzione normativa, risultando “indubitabile” che per ogni impresa debba essere iscritto, nel registro delle imprese, un indirizzo di PEC alla stessa esclusivamente riconducibile.

Le sanzioni – Sulla base di quanto affermato nella circolare n. 77684/2014, dunque, la Camera di Commercio, prima di procedere alla cancellazione della PEC risultante sulla posizione di un’impresa che non sia quella “propria”, invia a quest’ultima una comunicazione in cui invita a sostituire il predetto dato con un indirizzo PEC proprio.

Nel caso in cui, l’impresa interessata non aderisce a tale invito nel termine indicato nella comunicazione stessa, oltre alla cancellazione dell’indirizzo PEC si rende applicabile la specifica sanzione prevista dall’art. 16, c. 6-bis, del DL 185/08 (nel caso delle società), e dall’art. 5, c. 2, secondo periodo, del DL 179/12 (nel caso delle imprese individuali), secondo le modalità indicate nel parere n. 141955 del 29/08/2013 del Ministero stesso.

In particolare, è prevista una sanzione da 103 a 1.032 euro, con riduzione a 1/3 se l’impresa comunica la PEC “propria” entro i 30 giorni successivi all’irrogazione della sanzione.

E’ importante dare attenzione all’argomento trattato nel presente articolo, poiché l’eventuale cancellazione della PEC sulla propria posizione avrà delle ripercussioni anche sul rapporto tra registro imprese e impresa stessa. Si ricorda, infatti, che l’indirizzo PEC iscritto nel registro delle imprese ha carattere di ufficialità nel rapporto con i terzi e che lo stesso costituisce il sistema di collegamento preferenziale o esclusivo della Pubblica Amministrazione, compresa l’Autorità Giudiziaria e l’Amministrazione Finanziaria.

Autore: Pasquale Pirone

Stabili organizzazioni: quando è dovuta l’IVA in Italia?

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Affinché si possa ritenere che la stabile organizzazione in Italia di un soggetto estero partecipi a un’operazione e sia tenuto per la suddetta operazione al versamento dell’IVA è necessario non solo che la stabile organizzazione partecipi all’operazione ma la stabile deve svolgere una parte essenziale dell’operazione. E’ quanto chiarito dall’Amministrazione Finanziaria in risposta ad un interpello reso noto dalla stampa specializzata (Sole 24 ore del 04.11.2015) che amplia l’interpretazione restrittiva fornita dall’Amministrazione Finanziaria nella C.M. 37/E/2011.

La stabile organizzazione ai fini IVA: rapporti con la casa madre – Il Regolamento Ue 282/2011, facendo proprie numerose interpretazioni giurisprudenziali, ha fornito la definizione di stabile organizzazione ai fini Iva. Il citato Regolamento, oltre a definire puntualmente il concetto di stabile organizzazione ai fini Iva, interviene sulla stabile organizzazione regolando i rapporti con la casa madre e gli effetti ai fini delle regole territoriali relative alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi.
In particolare:

  • l’art. 11 del citato Regolamento, fornisce la definizione di stabile organizzazione;
  • gli articoli 53 e 21 del Regolamento UE n. 282/2011 stabiliscono quando la stabile organizzazione, partecipando, rispettivamente dal lato attivo e da quello passivo, all’effettuazione dell’operazione, viene considerata soggetto passivo ai fini IVA in luogo della sede dell’attività economica.

La partecipazione delle stabile organizzazione all’effettuazione dell’operazione – La stabile organizzazione è tenuta al versamento dell’IVA solo se partecipa all’effettuazione dell’operazione (art. 192-bis della direttiva 2006/112/CE). L’art. 192-bis della dir. 2006/112/CE, sancisce che, la stabile organizzazione, identificata in uno Stato membro diverso da quello del soggetto da cui essa dipende, fa venir meno l’obbligo generalizzato del reverse charge per i servizi e per i beni forniti al committente nazionale sotto due condizioni: 1. la casa madre effettua operazioni rilevanti nel territorio dello Stato (in cui la stabile organizzazione è identificata); 2. la stabile organizzazione partecipa alla esecuzione del servizio.

Cosa si debba intendere per partecipazione è indicato nel Regolamento UE 282/2011.

L’ articolo 53 del Regolamento Ue 282/2011 individua i casi un cui la stabile organizzazione, che opera come soggetto attivo, sia da prendere in considerazione come soggetto passivo ai fini IVA, in luogo della sede dell’attività economica.
In particolare, la citata disposizione sancisce quando la stabile organizzazione è (non è) tenuta al versamento dell’IVA:

  • non lo è se NON partecipa alla cessione di beni o alla prestazione di servizi ai sensi dell’art. 192- bis, lett. b), della Direttiva n. 2006/112/CE, a meno che la sua struttura sia utilizzata dalla casa madre per operazioni inerenti alla realizzazione della cessione o prestazione, prima o durante l’effettuazione della predetta cessione o prestazione;
  • non lo è se non partecipa alla cessione di beni o alla prestazione di servizi o se ha unicamente funzioni di supporto amministrativo (per esempio, la contabilità, la fatturazione e il recupero crediti);
  • infine, se, viene emessa una fattura con il numero di identificazione IVA attribuito dallo Stato membro della stabile organizzazione alla stessa, si considera, salvo prova contraria, che tale stabile organizzazione abbia partecipato alla cessione di beni o alla prestazione di servizi effettuata in tale Stato membro.

Tali aspetti sono stati oggetto di un intervento operato dall’Amministrazione Finanziaria con la circolare 37/E del 2011. In base ai chiarimenti contenuti nella circolare, “deve escludersi che la stabile organizzazione partecipi all’effettuazione del servizio quando in nessun modo il cedente o prestatore utilizzi le risorse tecniche o umane della stabile organizzazione in Italia per l’esecuzione della cessione o della prestazione in considerazione”.
L’interpretazione fornita dall’Amministrazione Finanziaria non pare del tutto in linea con le indicazioni del Regolamento UE 282/2011, facendo riferimento al semplice utilizzo delle risorse tecniche o umane della stabile organizzazione. Tale interpretazione è stata “ampliata” dalla Commissione UE che nel Working Paper n. 791 del 2014 e Working Paper n. 857/2015) ha precisato, su richiesta italiana, che una stabile organizzazione partecipa all’operazione se i mezzi umani e tecnici della stabile organizzazione sono stati effettivamente utilizzati nel caso concreto al fine di fornire (prima o durante l’esecuzione) un supporto in merito al completamento dell’operazione.
Tale interpretazione viene fatta propria dall’Agenzia delle Entrate, la quale, in risposta ad un interpello reso noto dalla stampa specializzata, ha affermato che affinché si possa ritenere che la stabile organizzazione in Italia di un soggetto estero partecipi a un’operazione e sia tenuto per la suddetta operazione al versamento dell’IVA è necessario non solo che la stabile organizzazione partecipi all’operazione ma la stabile deve svolgere una parte essenziale dell’operazione. E’ quanto chiarito dall’Amministrazione Finanziaria in risposta ad un interpello reso noto dalla stampa specializzata.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Cartelle. Affissione dell’avviso alla porta di casa

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Nulla la notifica della cartella esattoriale senza prova che c’era l’avviso di deposito sulla porta di casa

Se il destinatario della cartella esattoriale è irreperibile, l’ufficiale giudiziario deve depositare la copia nella casa del Comune dove la notificazione deve eseguirsi e affiggere l’avviso del deposito alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario, che deve essere pure informato con raccomandata A/r. Il giudice deve accertare il rispetto di questa procedura dalla quale dipende la validità della notifica.

È quanto emerge dalla sentenza 22 ottobre 2015, n. 21529, della Seconda Sezione Civile della Cassazione.

Gli ermellini hanno accolto il ricorso di un cittadino che ha proposto opposizione ex artt. 615 e 617 C.p.c. contro la cartella esattoriale inviatagli da Equitalia per verbali non pagati relativi a infrazioni al Codice della strada.

Nel giudizio di cassazione ha trovato ingresso la contestazione riguardante il vizio di notifica delle cartelle, essendo mancata l’affissione dell’avviso di deposito sulla porta dell’abitazione – in violazione dell’art. 140 C.p.c. – ed essendo stata prodotta in giudizio una copia del frontespizio della busta che non consentiva la riferibilità della raccomandata inviata.

“La censura relativa alla mancata affissione”, scrive la Suprema Corte, “è fondata perché è carente l’accertamento del Giudice di pace sulle modalità della notifica ed in particolare sull’affissione alla porta dell’abitazione”.

La Suprema Corte ha poi chiarito che “avverso la cartella esattoriale sono ammissibili l’opposizione ai sensi della legge n. 689 del 1981 in funzione recuperatoria della pregressa tutela o quella all’esecuzione ex art. 615 Cpc od agli atti esecutivi ex art. 617 Cpc. La prima ha come unici interlocutori gli enti impositori, le altre presuppongono che si instauri correttamente un giudizio di opposizione all’esecuzione od agli atti esecutivi nelle forme e con le modalità del codice di rito”. Nel caso di specie, “il ricorso fa riferimento nell’esposizione del fatto a un avviso di accertamento reperito nel corso del 2010 in cassetta postale e ad una omessa notifica e la sentenza ad una opposizione in cui si deduceva anche l’inesistenza del titolo”.

La causa è stata rimessa al giudice di merito per nuovo giudizio.

Autore: redazione fiscal focus

Perdite su crediti: periodo di deducibilità

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Per i crediti di modesto imposto i sei mesi rappresentano il momento di inizio

Premessa – Per le perdite su crediti di modesta entità il termine dei sei mesi rappresenta il momento a partire dal quale (“dies a quo”) la perdita può essere fiscalmente dedotta: è la corretta adozione dei principi contabili che determina la cancellazione del credito dal bilancio, derivante dall’esercizio in cui è imputata a conto economico a titolo di svalutazione secondo l’apprezzamento degli amministratori.

Decreto internazionalizzazione – Il D.Lgs. n. 147/2015 “Decreto Internazionalizzazione” è intervenuto al fine di dare maggiore certezza al periodo di deducibilità della perdita riferita a crediti di modesto importo (€ 2.500/5.000) che risultano scaduti da almeno 6 mesi.

Testo legislativo – Il nuovo comma 5-bis del citato art. 101, introdotto dall’art. 13, comma 1, lett. d) del Decreto in esame, dispone che la deduzione delle perdite sui predetti crediti: “è ammessa (…) nel periodo di imputazione in bilancio, anche quando detta imputazione avvenga in un periodo di imposta successivo a quello in cui (…) sussistono gli elementi certi e precisi ovvero il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale, sempreché l’imputazione non avvenga in un periodo di imposta successivo a quello in cui, secondo la corretta applicazione dei principi contabili, si sarebbe dovuto procedere alla cancellazione del credito dal bilancio”.

Principi contabili – Di conseguenza la deducibilità di una perdita su crediti di modesto importo/nei confronti di soggetti interessati da procedure concorsuali è ammessa nel medesimo periodo d’imposta di imputazione della stessa a bilancio sulla base dell’applicazione dei Principi contabili, ancorché lo stesso sia successivo a quello di manifestazione delle condizioni per la deducibilità.

Limite temporale – È comunque posto un limite temporale entro il quale è consentita la deducibilità, rappresentato dal periodo d’imposta nel quale, in base ai predetti Principi contabili, il credito avrebbe dovuto essere cancellato dal bilancio (così, ad esempio, per effetto della cessione del credito a terzi, per prescrizione, per effetto della stipula di un accordo di saldo o di stralcio).

Crediti di modesto importo – Relativamente alla perdita su crediti di modesto importo, il Decreto in esame, come evidenziato nella Relazione illustrativa, “accoglie” le soluzioni interpretative già fornite dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare 1.8.2013 n. 26/E, in base alle quali il verificarsi della condizione temporale (decorso dei 6 mesi) rappresenta il momento a decorrere dal quale la perdita può essere dedotta; la stessa, non deve necessariamente essere contabilizzata nell’esercizio in cui si è realizzata la predetta condizione.

Periodo successivo – Pertanto, anche qualora l’imputazione secondo la corretta applicazione dei principi contabili avvenga in un periodo di imposta successivo a quello della scadenza del sesto mese dal termine di pagamento concordato, la perdita sarà deducibile in quel periodo di imposta

Periodo d’imputazione – Più precisamente, se la perdita, in applicazione dei Principi contabili è imputata in un esercizio successivo a quello in cui si realizza il requisito del decorso dei 6 mesi, la stessa è deducibile nell’esercizio di imputazione a Conto economico, mentre se la perdita è imputata in un esercizio precedente a quello in cui si realizza il requisito del decorso dei 6 mesi, la stessa è deducibile in quest’ultimo esercizio.

Autore: redazione fiscal focus