Archivi categoria: Normativa e Modulistica

SUCCESSIONE: AGEVOLAZIONE PRIMA CASA PER PIÙ IMMOBILI

A giugno 2015 è deceduto mio padre, il quale era proprietario in comunione con mia madre di due appartamenti facenti, parte di un unico complesso abitativo ma dotati ciascuno di categoria e rendita catastale autonoma. Gli eredi siamo io, mia madre e mia sorella. Mia madre ed io abitiamo nel sub 1 e mia sorella nel sub 2 (la residenza risulta al Comune). Sono questi gli unici immobili posseduti ed ereditati da noi. Dovendo presentare la dichiarazione di successione e dovendo pagare le imposte ipotecarie e catastali mi chiedo se l’agevolazione prima casa può essere richiesta solo per uno dei due sub andati in successione o per entrambi, visto che anche mia sorella ha residenza in uno degli immobili ereditati?

Risposta – Le imposte ipotecaria e catastale (pari rispettivamente al 2% e all’1% del valore degli immobili, con un versamento minimo di 200 euro per ciascuna di essa) sono dovute nella misura fissa di 200 euro per ciascuna imposta, indipendentemente dal valore dell’immobile caduto in successione, quando il beneficiario (o, nel caso di immobile trasferito a più beneficiari, almeno uno di essi) ha i requisiti necessari per fruire delle agevolazioni “prima casa”. In questo caso è necessario attestare (con un’autocertificazione) nella dichiarazione di successione l’esistenza delle condizioni che la legge richiede.

L’agevolazione fiscale è concessa se chi eredita l’immobile:

  • non è titolare, esclusivo o in comunione col coniuge, di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del Comune dove si trova l’immobile ereditato;
  • non è titolare, neppure per quote o in comunione legale, su tutto il territorio nazionale, di diritti di proprietà, uso, usufrutto, abitazione o nuda proprietà, su altra casa di abitazione acquistata, anche dal coniuge, usufruendo delle agevolazioni per l’acquisto della prima casa.

Tali due requisiti devono sussistere entrambi.

Inoltre, l’immobile deve trovarsi nel Comune in cui l’erede ha la propria residenza o in cui intende stabilirla entro diciotto mesi (salvo alcuni casi particolari in cui tale requisito non è richiesto, come per esempio per il personale delle forze di polizia).

Qualora vi siano più eredi e più immobili, ciascun erede (sempre se rispettati i predetti requisiti) potrà richiedere i benefici prima casa su un immobile diverso, ed i benefici richiesti da un coerede vanno a vantaggio anche degli altri.

Pertanto, nel caso in questione, la madre potrà richiedere l’agevolazione prima casa sul sub 1 (sul quale peraltro spetta il diritto di abitazione in qualità di coniuge superstite) e la sorella (avendo tutti i requisiti del caso) potrà richiedere la stessa agevolazione sul sub 2. Di tali agevolazioni ne beneficia anche il terzo erede.

Fiscal Focus

Regime dei minimi fino a naturale scadenza

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – Il disegno di legge di stabilità 2016 attua la riforma dei regimi agevolati prevedendo che dall’anno prossimo il regime forfetario resterà l’unico e in caso di inizio di una nuova attività si applicherà l’aliquota del 5% per i primi 5 anni. In assenza di diposizioni specifiche per i contribuenti minimi si ritiene che possano continuare ad operare con tale regime fino alla naturale scadenza.

Legge di stabilità 2015 – L’art. 1, commi 85 e 88, Legge di Stabilità 2015 ha soppresso il regime dei minimi ex art. 27, commi 1 e 2, DL n. 98/2011 dall’1.1.2015, permettendo però a coloro che al 31 dicembre 2014 erano già in regime di proseguire fino alla scadenza naturale, ossia al termine del quinquennio dall’inizio attività o al compimento del 35° anno di età.

Decreto mille proroghe – Il comma 12-undecies dell’art. 10 del Decreto “Milleproroghe” (D.L. n. 192/2014) in deroga alla disposizione di cui all’art. 1, comma 85, lett. b) e c), Legge di Stabilità 2015 che abroga il regime dei minimi, ha prorogato fino al 31 dicembre 2015 il termine entro il quale i soggetti in possesso dei relativi requisiti possono scegliere di adottare il regime di cui all’art. 27, commi 1 e 2, DL n. 98/2011, con applicazione dell’imposta sostitutiva del 5%. Di fatto, quindi, l’abrogazione del regime dei minimi prevista dalla Legge di Stabilità 2015 è prorogata di un anno.

Bozza legge di stabilità 2016 – Dal 2016 il regime forfetario sarà l’unico agevolato e in caso di inizio di una nuova attività il disegno di legge di stabilità 2016 prevede l’applicazione dell’aliquota del 5% (anziché del 15%) per i primi 5 anni. Non è previsto il mantenimento del regime di favore fino al compimento del 35° anno di età.

Forfettari start up con inizio nel 2015 – I contribuenti che hanno iniziato una nuova attività nel 2015 e che hanno fruito del regime forfetario possono, di fatto, applicare l’aliquota del 10% (anziché del 15%) sul reddito imponibile determinato applicando all’ammontare dei ricavi o compensi percepiti un coefficiente di redditività. Per i quattro anni successivi (dal 2016 al 2019) il disegno di legge di stabilità per il 2016 prevede la possibilità di applicare la nuova aliquota del 5 per cento.

Regime dei minimi – Si pone, al riguardo, il problema di quale disciplina debbano applicare i soggetti che nel 2015 e negli anni precedenti hanno scelto invece, di fruire, ricorrendone i presupposti, del regime “dei minimi”.

Mancanza di disciplina transitoria – Non è stata prevista, infatti, una disciplina transitoria per tali soggetti. Nella Legge n. 190/2014 era stato stabilito, come già detto, che i contribuenti che nel 2014 si erano avvalsi di tale regime avrebbero potuto continuare a fruirne fino alla scadenza del quinquennio e al compimento del 35° anno di età.

D.D.L. stabilità 2016 – Al riguardo si fa presente che nel disegno di legge di stabilità 2016 non vige alcuna norma contraria e pertanto si ritiene che tale disposizione legislativa rimanga in vigore, consentendo conseguentemente ai contribuenti interessati di fruire del regime “dei minimi” fino alla sua naturale scadenza e cioè fino al 5° anno o eventualmente fino al 35° anno di età.

Minimi nel 2015 – Anche la proroga stabilita in sede di conversione del D.L. n. 192/2014 (“Decreto Milleproroghe”) aveva previsto che lo stesso regime poteva essere scelto dai soggetti la cui attività fosse iniziata nel 2015. Il disegno di Legge di stabilità non ha abolito neanche tale previsione e si ritiene, pertanto, che anche tali soggetti possano continuare a fruire del regime di vantaggio fino alla sua naturale scadenza.

Autore: Devis Nucibella

Patent box: il calcolo dell’agevolazione

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Dopo la comunicazione pubblicata in Gazzetta Ufficiale con la quale è stato “ufficializzato” il Decreto attuativo del patent box, è possibile fare il punto su alcuni aspetti relativi al rapporto tra l’agevolazione in questione e i costi di R&S nonché sul calcolo pratico della misura agevolativa introdotta dalla Legge di Stabilità 2015.

Collegamento tra bene immateriale agevolabile e costi di R&S – In merito alla prima questione, va innanzitutto evidenziato che il co. 41 dell’articolo unico della Legge di Stabilità 2015 ha definito le condizioni necessarie per usufruire dell’agevolazione.

In particolare si prevede che l’opzione per il regime di tassazione agevolata è consentita a condizione che i soggetti svolgano le attività di ricerca e sviluppo, anche mediante contratti di ricerca stipulati con Università o enti di ricerca e organismi equiparati, finalizzati alla produzione dei beni immateriali oggetto del regime agevolato.

Con le modifiche approvate nel D.L. investment compact (D.L. 3/2015), è stata concessa la possibilità di svolgere le attività di ricerca e sviluppo anche tramite società esterne, a condizione che non si tratti di società del gruppo.

Il requisito del collegamento diretto tra costi di R&S e bene immateriale è in linea con i principi dettati dall’Ocse, ed in particolare con il nexus approach in base al quale per cui deve sempre sussistere un collegamento diretto tra spese sostenute per il bene immateriale e reddito agevolabile, derivante dall’utilizzo del bene stesso.

La questione più controversa della nuova misura riguardava l’individuazione del costi di R&S rilevanti ai fini del calcolo dell’agevolazione, che è esaustivamente affrontata nell’art. 8 del D.M. 30.07.2015.

In particolare, rientrano nell’ambito delle attività di R&S:

  • la ricerca fondamentale;
  • la ricerca applicata;
  • lo sviluppo sperimentale e competitivo;
  • il design;
  • l’ideazione e la realizzazione del software protetto da copyright;
  • le ricerche preventive, i test e le ricerche di mercato e gli altri studi e interventi anche finalizzati all’adozione di sistemi anticontraffazione, il deposito, l’ottenimento e il mantenimento dei relativi diritti, il rinnovo e la protezione degli stessi;
  • le attività di presentazione, comunicazione e promozione in grado di accrescere il carattere distintivo e/o la rinomanza dei marchi.

Il calcolo dell’agevolazione – La quota di reddito e del valore della produzione (l’opzione per il regime di tassazione agevolata dei redditi derivanti dall’utilizzo dei beni immateriali rileva, oltre che per la determinazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi, anche ai fini Irap) che può essere oggetto di agevolazione è definita in base al rapporto tra i costi di attività di ricerca e sviluppo, rilevanti ai fini fiscali, sostenuti per il mantenimento, l’accrescimento e lo sviluppo del bene immateriale eleggibile e i costi complessivi (fiscali) sostenuti per produrre tale bene.

La questione della determinazione del reddito agevolabile è affrontata nell’art. 9 del Decreto attuativo, che chiarisce le modalità per il suo calcolo.

Si prevede che tale quota deve essere determinata per ciascun bene immateriale, indicando al numeratore i costi relativi alle attività di ricerca e sviluppo poste in essere

  • direttamente dai soggetti beneficiari;
  • da università o enti di ricerca e organismi equiparati;
  • da società, anche start up innovative, diverse da quelle che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa.

L’importo di tali costi è incrementato:

  • dei costi relativi alle attività di R&S derivanti da operazioni infragruppo, per la quota costituita dal riaddebito di costi sostenuti dalle società del gruppo nei confronti di soggetti terzi;
  • dei costi relativi alle attività di R&S sostenuti dal soggetto beneficiario nell’ambito di un accordo per la ripartizione dei costi come definito dal provvedimento 29 settembre 2010 dell’Agenzia delle Entrate (relativo alla disciplina degli oneri documentali in materia di transfer pricing), almeno fino a concorrenza dei proventi rappresentati dal riaddebito dei costi, di cui al comma 2, ai soggetti partecipanti all’accordo.

Al denominatore del rapporto vanno indicati i costi suddetti aumentati:

  • dei costi derivanti da operazioni infragruppo, sostenuti per lo sviluppo, il mantenimento e l’accrescimento del bene immateriale;
  • del costo di acquisizione, anche mediante licenza di concessione in uso, del bene immateriale sostenuto nel periodo d’imposta.

Per la determinazione del rapporto non assumono alcuna rilevanza:

  • gli interessi passivi;
  • le spese relative agli immobili;
  • e qualsiasi costo non direttamente riconducibile a uno specifico bene immateriale.

La quota di reddito agevolabile è data dal prodotto tra il reddito derivante dall’utilizzo dei beni immateriali e il rapporto summenzionato, e non concorre a formare il reddito d’impresa del soggetto beneficiario nelle percentuali anzidette.

Autore: redazione fiscal focus

REVERSE CHARGE IVA: POSSIBILE APPLICAZIONE ANCHE PER PC E TABLET

Una nuova misura, forse solo temporanea, che riguarda l’estensione dell’applicazione del reverse charge, ovvero quel particolare meccanismo in base al quale, in deroga all’art. 17, co. 1, D.P.R. 633/1972, gli obblighi dell’assolvimento dell’IVA sono “traslati” dal soggetto cedente/prestatore al soggetto cessionario/committente. Tale strumento è generalmente utilizzato negli scambi intracomunitari con la principale finalità di cercare di tamponare l’evasione dell’imposta. In molti settori, infatti, tale evasione viene perpetrata attraverso il mancato versamento dell’IVA da parte del soggetto cedente o prestatore, che solitamente è il debitore dell’imposta.

La stessa ragione sembra alla base della possibile estensione del revers chargealle cessioni di pc, tablet, laptop e console da gioco. E’ quanto prevede uno schema di dlgs esaminato solo in via preliminare dal Consiglio dei Ministri, che sta valutando le modalità tecniche per l’adeguamento dell’articolo 17 del dpr n. 633/72 alla normativa sovranazionale.

Le suddette modifiche al Decreto IVA recepirebbero quanto previsto dall’art. 199-bis della Diretta 2006/112/UE che prevede quanto segue:

Fino al 31 dicembre 2018 e per un periodo minimo di due anni, gli Stati membri possono stabilire che il soggetto tenuto al pagamento dell’IVA sia il soggetto passivo nei cui confronti sono effettuate le seguenti operazioni:

  1. c) cessioni di telefoni cellulari, concepiti come dispositivi fabbricati o adattati per essere connessi a una rete munita di licenza e funzionanti a frequenze specifiche, con o senza altro utilizzo;
  1. d) cessioni di dispositivi a circuito integrato quali microprocessori e unità centrali di elaborazione prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale”.

Esercitando tale facoltà, il Legislatore ha in cantiere la modifica normativa in commento, introducendo nell’art. 17 del Decreto IVA una nuova lettera c), in base alla quale il reverse charge è applicabile fino al 31.12.2018 alle seguenti operazioni:

  • le cessioni di console da gioco, pc, tablet e laptop;

Da verificare il testo della norma e la sua compatibilità con le richiamate disposizioni comunitarie.

Si prevede inoltre che l’applicazione del reverse charge per le cessione di telefonino e microprocessori sia applicabile fino al 31.12.2018.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

CARTELLA AGLI EREDI. NULLITÀ DELLA NOTIFICA

Una sentenza della CTP della Capitale

Quando è stata presentata la dichiarazione di successione, la cartella di pagamento deve essere notificata, a pena di nullità, personalmente e nominativamente a tutti gli eredi e non ai medesimi impersonalmente e collettivamente presso l’ultimo domicilio del de cuius. Gli eredi sono tenuti al pagamento del debito ereditario solamente pro quota. Pertanto è illegittimo un ruolo unico, che non determini, cioè, la pretesa imputabile a ciascuno degli eredi.

Con la sentenza n. 16576/57/15, la Commissione Tributaria Provinciale di Roma ha annullato una cartella di pagamento relativa a un’iscrizione a ruolo effettuata dalla dall’Agenzia delle Entrate ai sensi dell’art. 36-bis del D.P.R. 600/73.

La cartella veniva notificata impersonalmente agli eredi del contribuente deceduto presso l’ultimo domicilio del medesimo sicché gli eredi hanno proposto impugnazione presso la competente CTP eccependo la nullità assoluta della notificazione della cartella, posto che era stata presentata all’Agenzia delle Entrate la dichiarazione di successione. Per legge, infatti, la notificazione nell’ultimo domicilio del defunto non è consentita nel caso in cui gli eredi abbiano provveduto a comunicare all’Ufficio il loro domicilio. Il che è avvenuto, nella specie, con la dichiarazione di successione.

Ebbene, i giudici capitolini di primo grado hanno accolto il ricorso degli eredi.

A proposito della notificazione agli eredi impersonalmente e collettivamente presso l’ultimo domicilio del de cuius la CTP scrive: “risulta fondato il secondo motivo del gravame, con il quale i ricorrenti deducono la nullità assoluta della cartella impugnata e della sua notificazione, perché emessa e notificata impersonalmente ne confronti degli eredi (omissis) in via (omissis). L’art. 65 del D.P.R. n. 600/73 consente, infatti, la notificazione degli atti, relativi a soggetto defunto, impersonalmente ai suoi eredi nel suo ultimo domicilio, solo se gli eredi stessi non abbiano comunicato il loro personale domicilio. La notifica impersonale nell’ultimo domicilio del defunto non è consentita nel caso in cui gli eredi abbiano, invece provveduto a comunicare all’ufficio il loro domicilio. Nella specie, ciò è avvenuto con la dichiarazione di successione (…). La nullità in questione, secondo la Corte di cassazione è assoluta e insanabile (Cass. nn. 18729/2014; 10659/2003; 11447/2002 e 3865/2001). Oltre a ciò, poiché la cartella impugnata enuncia una pretesa fiscale nei confronti di soggetti che, in ragione della qualità ereditaria, non sono tenuti in solido, ma ‘pro quota’, la emissione del ruolo che non tenga conto della loro identità e del loro domicilio, quali risultano già dagli atti dell’Agenzia delle entrate, si risolve in una nullità della stessa iscrizione a ruolo, per la indeterminatezza della pretesa fiscale nei confronti di ciascuno”.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

SCRITTURE REGOLARI. STOP ALL’ACCERTAMENTO

Cassazione Tributaria, sentenza depositata il 4 novembre 2015

In presenza di una contabilità aziendale “ineccepibile” diventa più difficile per l’Ufficio dimostrare l’esistenza di ricavi non dichiarati. È quanto emerge dallasentenza 4 novembre 2015, n. 22465, della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria.

La controversia trattata dalla Suprema Corte è scaturita da un avviso di accertamento che rideterminava, in aumento, il reddito imponibile di una Sas in relazione ad un’unica un’annualità d’imposta, sulla base dell’asserita mancata dichiarazione di ricavi; circostanza desunta dall’Ufficio a seguito del ricarico medio ponderato, da applicare al costo delle merci in vendita, quantificato nel 66% contro il 42% dichiarato e applicato dalla contribuente.

I giudici di primo grado e, poi, quelli dell’appello non hanno avallato la pretesa impositiva, con conseguente declaratoria di nullità degli avvisi di accertamento impugnati. Dal che il ricorso per cassazione, che ha avuto anch’esso esito negativo per il fisco.

L’impugnata sentenza della CTR di Bolzano, ad avviso degli ermellini, ha fatto buongoverno dei principi giurisprudenziali in materia di accertamento analitico-induttivo ex art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. 600/1973.

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, “nell’accertamento delle imposte sui redditi, la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico – induttivo del reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 39, primo comma lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente. In tali casi, pertanto, è consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti -, maggiori ricavi o minori costi, a esempio determinando il reddito del contribuente utilizzando le percentuali di ricarico, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente”.

Da questo principio non si è discostata, a giudizio degli ermellini, la CTR di Bolzano, la quale, anche alla luce della disposta consulenza tecnica d’Ufficio, ha potuto escludere la correttezza del metodo utilizzato dai verificatori per determinare il volume d’affari della contribuente. Infatti, per un verso, lo scostamento dei ricavi dichiarati da quelli attribuiti mediante l’applicazione di una differente percentuale di ricarico non è risultata così “straordinariamente consistente” da giustificare l’accertamento per via induttiva, dall’altro lacontabilità ordinaria della contribuente è risultata “formalmente ineccepibile” così come laquella “di magazzino”.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

PERDITE SU CREDITI IN CASO DI PROCEDURE CONCORSUALI

Deducibili anche in caso di approvazione di un piano attestato di risanamento

Premessa – Sono deducibili in ogni caso le perdite su crediti relative ad un debitore assoggettato a procedure concorsuali (fallimento, liquidazione coatta amministrativa, concordato preventivo, accordo di ristrutturazione dei debiti e amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi), anche estere equivalenti, che ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti o un piano attestato di ristrutturazione.

Perdite su crediti – La disciplina delle perdite su crediti di cui all’art. 101, co. 5, del D.P.R. 917/1986 torna sotto la lente del Legislatore, che questa volta amplia le ipotesi di deduzione automatica delle perdite. Le modifiche entrano in vigore nel periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del Decreto Legislativo 147/2015. Dunque, dal periodo d’imposta 2015 (UNICO 2016) si dovrà far fronte alle novità introdotte dal Legislatore con il D.Lgs. 147/2015 – “Disposizioni recanti misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese”.

Procedure concorsuali – In particolare per quanto riguarda le procedure concorsuali l’art. 101, comma 5, TUIR prevede che le perdite su crediti sono deducibili qualora risultino da elementi certi e precisi ovvero “in ogni caso” se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali (fallimento, liquidazione coatta amministrativa, concordato preventivo, accordo di ristrutturazione dei debiti e amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi).

Deducibilità – In tale ipotesi la perdita è automaticamente deducibile indipendentemente dalla relativa definitività e dalla sussistenza degli elementi certi e precisi posto che, come ribadito dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare 1.8.2013, n. 26/E, la situazione di sofferenza del credito è “ufficialmente conclamata ad opera di un soggetto terzo indipendente e non rimessa alla mera valutazione del creditore”.

Assoggettamento a procedure concorsuali – A tal fine, il debitore è considerato assoggettato a procedure concorsuali dalla data della sentenza/provvedimento di ammissione alla procedura/decreto di omologa (sentenza dichiarativa del fallimento, provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa, decreto di ammissione al concordato preventivo, decreto di omologazione dell’accordo di ristrutturazione, decreto che dispone l’amministrazione straordinaria).

Decreto internazionalizzazione – L’art. 13, comma 1, lett. c) del D.Lgs. n. 147/2015 (c.d. “Decreto Internazionalizzazione”), integrando il comma 5 del citato art. 101, riconosce la deducibilità “in ogni caso” delle perdite su crediti anche in presenza di un piano attestato di risanamento ex art. 67, comma 3, lett. d), Legge fallimentare oppure di procedure estere equivalenti, previste in Stati con i quali sussiste un adeguato scambio di informazioni. Sul punto, la Relazione illustrativa al Decreto in esame fa riferimento, in particolare, alla procedura fallimentare di ristrutturazione societaria statunitense denominata “Chapter 11”, che risulta equivalente agli accordi di ristrutturazione di cui all’art. 182-bis della citata Legge fallimentare.

Momento rilevante – Relativamente alle suddette procedure assume rilievo rispettivamente la data di iscrizione nel Registro delle Imprese del piano di risanamento o di ammissione alla procedura estera.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Omessa IVA. A rischio la causa di non punibilità e la soglia più alta

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Il Tribunale di Varese chiede un parere alla CGUE

Lo scorso 22 ottobre è entrata a regime la riforma dei reati tributari ad opera del D.Lgs. n. 158/2015. Tale decreto, fra l’altro, ha innalzato la soglia minima di rilevanza penale per il caso di omesso versamento dell’IVA – detta soglia da 50 mila è salita a 250 mila euro per ciascun periodo d’imposta – e stabilito una causa di non punibilità, nel senso che il contribuente non è punibile ai sensi dell’art. 10 ter del D.Lgs. n. 74/2000 se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, provvede all’integralmente pagamento di quanto dovuto all’Erario, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, oltreché del ravvedimento operoso.

Queste due importanti novità in materia di reati fiscali sono ora finite sotto la lente d’ingrandimento del Tribunale di Varese che, sospettando la loro non compatibilità con il diritto dell’Unione, ha chiesto “lumi” sul punto alla Corte di Giustizia del Lussemburgo sospendendo, nel frattempo, il procedimento a carico di un amministratore di società.
Il Tribunale di Varese, visto l’art. 267 TFUE, ha chiesto alla CGUE di chiarire:

  • se il diritto europeo, e in particolar modo il combinato disposto degli artt. 4.1, paragrafo 3, TUE, 325 TFUE e dalla direttiva 2006/112 che prevedono l’obbligo di assimilazione in capo agli Stati membri per quanto riguarda le politiche sanzionatorie, possa essere interpretato nel senso che osti alla promulgazione di una norma nazionale che preveda che la rilevanza penale dell’omesso versamento dell’IVA consegua al superamento di una soglia pecuniaria più elevata rispetto a quella stabilita in relazione all’omesso versamento dell’imposta diretta sui redditi;
  • se il diritto europeo, e in particolar modo il combinato disposto degli artt. 4, paragrafo 3, TUE, 325 TFUE e dalla direttiva 2006/112 che impongono l’obbligo a carico Stati membri cli prevedere sanzioni effettive, dissuasive e proporzionate a tutela degli interessi finanziari della UE, possa essere interpretato nel senso che osti alla promulgazione di una norna nazionale che escluda la punibilità dell’imputato (sia esso amministratore, rappresentante legale, delegato a svolgere funzioni di rilevanza tributaria ovvero concorrente nell’illecito), qualora l’ente dotato di personalità giuridica ad esso riconducibile abbia provveduto al pagamento tardivo dell’imposta e delle sanzioni amministrative dovute a titolo di IVA, nonostante l’accertamento fiscale sia già intervenuto e si sia provveduto all’esercizio dell’azione penale, al rinvio a giudizio, all’accertamento della rituale instaurazione del contraddittorio in sede di processo e fin tanto che non si è proceduto alla dichiarazione di apertura del dibattimento, in un sistema che non commina a carico del predetto amministratore, rappresentante legale ovvero al loro delegato e concorrente nell’illecito alcuna altra sanzione, neppure a titolo amministrativo;
  • se la nozione di illecito fraudolento disciplinata all’art. 1 della Convenzione PIF vada interpretata nel senso di ritenere incluso nel concetto anche l’ipotesi di omesso, parziale, tardivo versamento dell’imposta sul valore aggiunto e, conseguentemente, se l’art. 2 della convenzione summenzionata imponga allo Stato membro di sanzionare con pene detentive l’omesso, parziale, tardivo versamento dell’IVA per importi superiori a 50.000,00 euro. In caso di risposta negativa, occorre chiedersi se la prescrizione dell’art. 325 TFUE, che obbliga gli Stati membri a comminate sanzioni, anche penali, dissuasive, proporzionate ed efficaci, vada interpretata nel senso che osti ad un assetto normativo nazionale che esenta da responsabilità penale e amministrativa gli amministratori e i rappresentanti legali delle persone giuridiche, ovvero i loro delegati per la funzione e i concorrenti nell’illecito, per l’omesso, parziale, ritardato versamento dell’’IVA in relazione ad importi corrispondenti a 3 o 5 volte le soglie minime stabilite in caso di frode, pari a 50.000,00 euro.

Non resta che aspettare il verdetto dei giudici lussemburghesi.

Acconti 2015: la cedolare secca

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Importi dovuti e corretta determinazione in Unico

Il 30 novembre prossimo scade anche il secondo acconto dovuto per la cedolare secca.

L’anticipo risulta dovuto se l’importo indicato in rigo RB11 del Modello Unico (colonna 3) è pari o superiore ad € 52.

L’acconto per la cedolare secca è pari al 95% dell’imposta complessivamente dovuta.

Il Metodo di calcolo

Anche l’acconto per la cedolare secca può essere rideterminato con le due consuete modalità. Il metodo storico e quello previsionale.

Con quello storico il conteggio viene effettuato utilizzando come riferimento l’imposta dovuta per l’anno d’imposta 2014. In particolare si deve assumere il 95% dell’imposta indicata nel rigo RB11 colonna 3 di Unico 2015 (rigo denominato “Totale imposta cedolare secca”).

Con il metodo previsionale invece l’acconto è sempre pari al 95% dell’imposta che si presume sarà dovuta per l’anno 2015.

Trattandosi di un anticipo infatti il contribuente può, infatti, sempre ridurre fino anche ad annullare il versamento di quanto originariamente determinato con il metodo storico.

Si ricorda inoltre che, al fine di non incorrere in sanzioni, nel caso di adozione del metodo previsionale l’acconto versato deve essere almeno pari al 95% della cedolare secca che sarà determinata in Unico 2016 redditi 2015.

Nel caso di specie la sanzione prevista è pari al 30% dell’importo non versato o pagato in ritardo.

Rimane comunque, sempre applicabile, anche in caso di versamento incapiente, la disciplina del ravvedimento operoso che, per effetto delle novità introdotte dalla Legge di Stabilità per il 2015 (L. 190/2014), è usufruibile non oltre il momento dell’invio dell’avviso bonario emesso a seguito della liquidazione automatica/controllo formale della dichiarazione.

Per effetto delle novità introdotte con la citata normativa il contribuente può beneficiare di una riduzione delle sanzioni che decresce con l’aumentare del tempo in cui interviene (da 1/10 a 1/6 del minimo), potendo egli stessi, al limite procedere con il ravvedimento non oltre il termine ultimo previsto per l’accertamento ex art. 43 D.p.r. 600/73.

L’indicazione in Unico

L’acconto dovuto sul 2015 va obbligatoriamente fornito, non solo per l’Irpef (rigo RN62), ma anche in ipotesi di applicazione dell’imposta sostitutiva sul reddito fondiario derivante dalla locazione di immobili abitativi (cd “cedolare secca”) per cui l’anticipo richiesto per l’annualità in corso (prima e seconda o unica rata) va segnalato esclusivamente avvalendosi delle regole previste per il calcolo sulla base del “metodo storico” al rigo RB12 del modello Unico.

Gli importi da indicare al suddetto rigo RB12 sono pari al 95% di quanto determinato a rigo RB11(“Totale imposta cedolare secca”). Tale percentuale va ulteriormente suddivisa in:

  • prima rata (colonna 1) pari al 40% del totale dovuto
  • la seconda rata (colonna 2) nella quale indicare il restante 60%.

In altre parole al rigo RB12 in colonna 1 va segnalato il 38% del rigo RB11, invece a colonna 2 il 57% sempre del rigo RB11.

Si ricorda altresì che la prima rata potrebbe non essere stata pagata qualora di ammontare pari od inferiore ad € 103,00. In questa ipotesi al 30 novembre dovrà essere versato l’intero acconto dovuto.

Anche per la cedolare secca vale la stessa regola in tema di Irpef, per cui in caso di abbandono del metodo storico, in RB12 devono essere comunque segnalati gli importi derivanti dal suddetto metodo e non i minori importi versati o che si intendono versare sulla base del calcolo previsionale.

Autore: redazione fiscal focus

Ragionieri tra gli organismi di composizione della crisi

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Anche i ragionieri vedono finalmente riconosciuto il loro diritto ad iscriversi agli Organismi di composizione della crisi da sovra indebitamento.

Con la sentenza del 4 novembre il Tar del Lazio ha infatti accolto il ricorso presentato dal CNDCEC contro i Ministeri della Giustizia, dello Sviluppo Economico e dell’Economia, con il quale l’ente aveva impugnato il Decreto Ministeriale pubblicato nel settembre 2014 che, prevedendo la laurea tra i requisiti di iscrizione negli elenchi degli organismi di composizione, di fatto, escludeva i ragionieri.

Ben trentacinquemila ragionieri, sprovvisti di laurea ma iscritti alla sezione A dell’Albo dei Commercialisti, potranno quindi finalmente ricoprire la qualifica di gestore della crisi da sovra indebitamento.

La soddisfazione del CNDCEC

Grande è la soddisfazione espressa dal Presidente Nazionale dei Commercialisti, Gerardo Longobardi, il quale aveva sin da subito denunciato la contraddittorietà del Decreto nella parte in cui non prevedeva una specifica deroga per i ragionieri.

Come hanno evidenziato infatti i consiglieri nazionali delegati alla materia Felice Ruscetta e Maria Rachele Vigani, il testo mostra tutta la sua contraddittorietà laddove prevede che “per i tre anni successivi alla sua entrata in vigore, i professionisti appartenenti agli ordini professionali dei notai, degli avvocati e dei commercialisti sono esentati dall’attività di formazione obbligatoria, purché documentino di essere stati nominati, in almeno quattro procedure, curatori fallimentari, commissari giudiziali, delegati alle operazioni di vendita nelle procedure esecutive immobiliari ovvero per svolgere i compiti e le funzioni dell’organismo o del liquidatore. Incarichi per i quali i ragionieri hanno l’abilitazione”.

I ragionieri, pertanto, finivano per essere abilitati alla funzione di compositore delle crisi dalle stesse norme transitorie, mentre se ne sanciva, allo stesso tempo, l’esclusione per mancanza dei requisiti.

La sentenza

La sentenza in commento richiama, in primo luogo, le disposizioni del Decreto Legislativo n. 139/2005, con il quale sono stati soppressi gli Ordini dei Dottori Commercialisti e i Collegi dei Ragionieri e Periti Commerciali ed è stato istituito l’Ordine territoriale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili nonché il CNDCEC.

Come stabilisce lo stesso articolo 1 del Decreto Legislativo n. 139/2005, però le competenze dei Dottori Commercialisti e dei Ragionieri Commercialisti iscritti alla sezione A sono esattamente le stesse e ricomprendono anche le funzioni che il Decreto impugnato attribuisce agli organismi di gestione della crisi.

Appare pertanto evidente come, in mancanza di una puntuale previsione ad opera di una norma equiordinata alla Legge n. 139/2009 “l’introduzione, in sede regolamentare, di una previsione restrittiva in danno dei ragionieri commercialisti e delle competenze che la legge riconosce agli stessi, si riveli illegittima”.

Il Decreto impugnato è stato ritenuto contrastante con la normativa primaria anche in considerazione delle specifiche disposizioni contenute nella Legge n. 3/2012, istitutiva appunto dell’istituto della composizione della crisi di sovra indebitamento.

L’articolo 15, comma 9 della Legge in oggetto prevede infatti che i compiti e le funzioni attribuiti agli organismi di composizione della crisi possano essere svolti anche da professionisti in possesso dei requisiti per essere nominati curatore.

In considerazione del fatto che i ragionieri possono essere nominati curatori fallimentari non si comprende come sia possibile escluderli dagli organismi si composizione della crisi.

Ecco quindi i motivi per i quali il Tar ha deciso di accogliere il ricorso proposto dal CNDCEC.

Autore: redazione fiscal focus

Esenzione Imu per i soggetti Aire

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Chiarimenti del Mef con la Risoluzione 10/DF

Premessa – Per i soggetti Aire è possibile fruire del trattamento di favore in materia di imposta municipale propria (IMU) solamente per una unità immobiliare. Questo è quanto chiarito dal Mef con la risoluzione n. 10/Df del 5 novembre.

Imu per gli Aire – Sono stati richiesti chiarimenti in merito al caso in cui i cittadini italiani residenti all’estero e iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE), aventi diritto all’applicazione del trattamento di favore in materia di imposta municipale propria (IMU), previsto dall’art. 9-bis del D. L. 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, siano proprietari di più abitazioni dislocate in diversi comuni del territorio italiano.

Abitazione principale – In particolare, è stato chiesto quali devono essere in siffatta ipotesi i criteri per stabilire quale immobile debba essere considerato direttamente adibito ad abitazione principale. Al riguardo, il Mef ha richiamato quanto stabilito dal comma 1 della suddetta disposizione che modifica l’art. 13, comma 2, del D. L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, prevedendo che, a partire dall’anno 2015, “è considerata direttamente adibita ad abitazione principale una ed una sola unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato e iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE), già pensionati nei rispettivi Paesi di residenza, a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata o data in comodato d’uso”. Per completezza il Mef ha richiamato anche il successivo comma 2 dell’art. 9-bis del D. L. n. 47 del 2014 il quale dispone che sull’”unità immobiliare di cui al comma 1, le imposte comunali TARI e TASI sono applicate, per ciascun anno, in misura ridotta di due terzi”. In assenza di specifiche disposizioni in ordine all’individuazione dell’immobile da considerare ai fini dell’equiparazione all’abitazione principale, la stessa possa essere effettuata direttamente dal contribuente.

Caratteristiche – L’abitazione principale deve essere costituita, come espressamente previsto dall’art. 13, comma 2, del D. L. n. 201 del 2011, da una sola unità immobiliare iscritta o iscrivibile in catasto a prescindere dalla circostanza che sia utilizzata come abitazione principale più di una unità immobiliare distintamente iscritta in catasto. In tal caso, le singole unità immobiliari vanno assoggettate separatamente ad imposizione, ciascuna per la propria rendita. Pertanto, il contribuente può scegliere quale delle unità immobiliari destinare ad abitazione principale, con applicazione del regime di favore stabilito dall’IMU per l’abitazione principale; le altre, invece, vanno considerate come abitazioni diverse da quella principale con l’applicazione dell’aliquota deliberata dal comune per tali tipologie di fabbricati. Sulla base dello stesso disposto dell’art. 13, comma 2, del D. L. n. 201 del 2011, il contribuente può considerare come pertinenza dell’abitazione principale soltanto un’unità immobiliare per ciascuna categoria catastale, fino ad un massimo di tre pertinenze appartenenti ciascuna ad una categoria catastale diversa, espressamente indicata dalla norma e che, entro il suddetto limite, il contribuente ha la facoltà di individuare le pertinenze per le quali applicare il regime agevolato.

Scelta – Per quanto riguarda, infine, le modalità con cui deve essere effettuata la scelta da parte del pensionato all’estero dell’immobile da considerare direttamente adibito ad abitazione principale, si fa presente che tale scelta deve essere effettuata attraverso la presentazione della dichiarazione di cui al D. M. 30 ottobre 2012 in cui il proprietario dell’alloggio deve anche barrare il campo 15 relativo alla “Esenzione” e riportare nello spazio dedicato alle “Annotazioni” la seguente frase: “l’immobile possiede le caratteristiche e i requisiti richiesti dal comma 2 dell’art. 13 del D. L. n. 201/2011”. Si ricorda che, come precisato nella risoluzione n. 3/DF del 25 marzo 2015, la dichiarazione IMU vale anche ai fini TASI.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Accertamenti 2009 e 2010: ultime settimane per la notifica

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Con l’approssimarsi della fine d’anno, si avvicinano anche i termini di decadenza dell’azione accertatrice, stabiliti ai fini delle imposte sui redditi e dell’Iva, rispettivamente dagli artt. 43 del DPR n. 600/1973 e 57 del DPR n. 633/1972.

In diverse occasioni la giurisprudenza di merito e di legittimità si è interrogata sul seguente quesito: se l’imminenza dei termini di decadenza per l’accertamento costituiscano (di per sé) un caso di particolare e motivata urgenza, ai fini della legittimità dell’accertamento anticipato, ossia dell’emissione dell’avviso prima del decorso di sessanta giorni dalla chiusura delle operazioni ispettive.

Sul punto si è pronunciata in più occasioni la Corte di Cassazione, fornendo qualche tassello utile per sciogliere uno dei nodi più spinosi sull’argomento, peraltro non affrontato dalle Sezioni Unite nella nota sentenza n. 18184 del 29/07/2013[1].

La normativa. Ai sensi delle citate norme, comuni al settore impositivo diretto e dell’IVA, l’avviso di accertamento deve essere notificato, a pena di nullità, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione.

Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione, l’Amministrazione dispone di un’annualità aggiuntiva; pertanto potrà notificare l’avviso entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui avrebbe dovuto essere presentata la dichiarazione.

Per effetto delle disposizioni menzionate, il prossimo 31 dicembre si verificherà la decadenza per l’accertamento dell’annualità d’imposta 2010, qualora sia stata presentata la relativa dichiarazione, ovvero dell’annualità d’imposta 2009 in caso di omessa dichiarazione.

Annualità con violazioni di rilevanza penale. Ai sensi del terzo comma dei citati articoli, i predetti termini risultano raddoppiati (8 o 10 anni a seconda che sia stata presentata o meno la dichiarazione), per le annualità in cui il contribuente abbia commesso violazioni qualificabili come delitti tributari, ai sensi del D.Lgs. n. 74/2000: di conseguenza, il prossimo 31 dicembre costituirà termine decadenziale per le annualità 2006 (ovvero 2004 nei casi di omessa dichiarazione), qualora siano presenti siffatte circostanze.

Peraltro, tale ultima regola è stata di recente “temperata” a favore del contribuente, con l’entrata in vigore del D.Lgs. 128/2015 per cui, a far data dallo scorso 2 settembre, il raddoppio dei termini accertativi opera solo qualora la denuncia sia stata depositata entro il termine decadenziale ordinario (fatte salve le annualità rientranti nel regime transitorio disciplinato dall’art. 2, comma 2 del medesimo D.Lgs. n. 128/2015).

La regola statutaria.Il comma 7 dell’art. 12 della Legge n. 212/2000 prevede che, nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori.

Ai fini del rispetto di tale moratoria, l’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza.

La ratio della norma va ravvisata nella necessità di assicurare al contribuente un congruo termine per fare conoscere all’ufficio accertatore (che può essere diverso da quello che ha eseguito la verifica fiscale a monte) le proprie osservazioni e richieste, in ossequio a quel principio di reciproca collaborazione ispiratore dello Statuto dei diritti del contribuente, oltre che per consentire il pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale.

Dal tenore letterale della norma statutaria, i rilievi riferibili alle annualità in scadenza (2010 o 2009, in assenza di violazioni penal-tributarie), constatati in attività ispettive concluse nei mesi di novembre e dicembre 2015, potrebbero essere legittimamente oggetto di accertamento “anticipato” (con notifica entro il 31 dicembre 2015) solo in caso di particolare e motivata urgenza.

L’orientamento della Cassazione. In diverse occasioni la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sul seguente quesito: se l’imminenza del termine di decadenza per l’accertamento costituisca o meno un caso di particolare e motivata urgenza, che legittimi l’emissione anticipata dell’avviso.

Nella citata sentenza n. 18184 del 29/07/2013, le Sezioni Unite ebbero a precisare che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale.

Sul tema in questione si registrano poi, posizioni diverse all’interno della stessa Cassazione; in alcuni casi l’imminente scadenza dei termini decadenziali è stata ritenuta, di per sé, caso di particolare e motivata urgenza (cfr. sentenze della Sez. Trib. n. 11944 del 13/07/2012 e n. 20769 dell’11/09/2013).

In pronunce più recenti, la medesima Sezione Tributaria ha censurato l’operato degli Uffici che, ritenendo sussistente la particolare e motivata urgenza nell’approssimarsi dei termini decadenziali accertativi, hanno notificato atti impositivi in violazione del disposto di cui all’art. 12, comma 7 dello Statuto.

E’ il caso, ad esempio, delle tre sentenze “gemelle” (nn. 1869/2014 del 29/01/2014, 2279/2014 del 03/02/2014 e 2592/2014 del 05/02/2014), ove la Sezione Tributaria ha affermato che il fatto che l’ufficio derivi il mancato rispetto del termine di 60 giorni dalla prossimità dei termini di decadenza per l’azione accertatrice, non rileva in quanto tale circostanza non chiarisce le ragioni per le quali l’ufficio non si era precedentemente attivato, onde rispettare il termine dilatorio.

Nella successiva pronuncia n. 7315 del 18/03/2014 la stessa Sezione Tributaria ha chiarito che l’eventualità di evitare una decadenza non può integrare, di per sé, la ragione di urgenza contemplata dalla norma, altrimenti si verrebbero a convalidare in via generalizzata tutti gli atti in scadenza, in contrasto con il principio affermato dalle Sezioni Unite (secondo il quale il requisito dell’urgenza deve essere riferito alla concreta fattispecie).

[1] Per il commento di tale pronuncia, cfr. “Accertamento anticipato: casi di ammissibilità”, sul Fiscal-Focus.info del 28 aprile 2014, del medesimo autore.

Autore: Marco Brugnolo

Patent box e credito d’imposta R&S: agevolazioni cumulabili

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – Doppia agevolazione per le imprese che svolgono attività di ricerca e sviluppo e le formalizzano attraverso marchi, brevetti, ecc.. Si potrà infatti usufruire sia del credito d’imposta per R&S che del patent box. Entrambi gli strumenti sono stati introdotti dalla Legge di Stabilità 2015.

Credito d’imposta R&S – L’unica condizione prevista per l’ottenimento del credito d’imposta è che si tratti di imprese. Sono incluse anche le stabili organizzazioni di soggetti non residenti.

Ai fini della determinazione del credito d’imposta sono agevolabili, tra l’altro, le spese per il personale altamente qualificato impiegato nelle attività di ricerca e sviluppo, in possesso di un titolo di dottore di ricerca, ovvero iscritto ad un ciclo di dottorato presso una università italiana o estera, ovvero in possesso di laurea magistrale in discipline di ambito tecnico o scientifico come da classificazione Unesco Isced (International Standard Classification of Education).

Sono altresì agevolabili le quote di ammortamento delle spese di acquisizione o utilizzazione di strumenti e attrezzature di laboratorio, nonché le spese relative a contratti di ricerca stipulati con università, enti di ricerca ed organismi equiparati,competenze tecniche e privative industriali relative a un’invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale anche acquisite da fonti esterne.

Non sono agevolabili le spese per il personale (personali ausiliario e tecnici), costi relativi a immobili e terreni, costi per studi di fattibilità, altri costi di esercizio.

Patent box – Il patent box, introdotto dalla Legge di Stabilità 2015, prevede che la quota di reddito e del valore della produzione che può essere oggetto di agevolazione venga definita in base al rapporto tra i costi di attività di ricerca e sviluppo sostenuti per il mantenimento, l’accrescimento e lo sviluppo del bene immateriale eleggibile e i costi complessivi sostenuti per produrre tale bene. Si fa riferimento ai costi fiscalmente rilevanti.

La questione più controversa della nuova misura, chiarita con l’emanazione del Decreto attuativo, riguarda l’individuazione del costi di R&S rilevanti ai fini del calcolo dell’agevolazione.

La questione più controversa della nuova misura riguardava l’individuazione del costi di R&S rilevanti ai fini del calcolo dell’agevolazione, che è stata esaustivamente affrontata nell’art. 8 del D.M. 30.07.2015.

In particolare, rientrano nell’ambito delle attività di R&S:

  • la ricerca fondamentale;
  • la ricerca applicata;
  • lo sviluppo sperimentale e competitivo;
  • il design;
  • l’ideazione e la realizzazione del software protetto da copyright;
  • le ricerche preventive, i test e le ricerche di mercato e gli altri studi e interventi anche finalizzati all’adozione di sistemi anticontraffazione, il deposito, l’ottenimento e il mantenimento dei relativi diritti, il rinnovo e la protezione degli stessi;
  • le attività di presentazione, comunicazione e promozione in grado di accrescere il carattere distintivo e/o la rinomanza dei marchi.

Il cumulo delle agevolazioni – Il Legislatore nulla ha disposto in merito alla cumulabilità degli incentivi. In questo caso, in riferimento al precedente credito d’imposta R&S istituito con la Finanziaria 2007, era stato chiarito che il credito d’imposta è cumulabile con altri contributi pubblici e agevolazioni sempre che le norme disciplinati le altre misure non dispongano diversamente (vedi C.M. 46/E/2008). Tale chiarimento risulta ancora valido e applicabile alla situazione prospettata.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

 

730 rettificativo: sanzioni ridotte per CAF e professionisti

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Scatta la sola sanzione in caso di 730 rettificato entro il 10/11

I CAF e professionisti sono soggetti all’applicazione della sola sanzione per l’invio del “modello 730 rettificato”, con esclusione, quindi, dei tributi e dei relativi interessi, ai sensi dell’art. 39 del D.Lgs. n. 241/1997. Tuttavia, se il modello originario è stato presentato oltre il termine del 7 luglio 2015, e successivamente rettificato dal CAF o professionista entro il 10 novembre 2015, alla sanzione per tardività si aggiunge quella per visto infedele.

Il chiarimento è contenuto nella Circolare n. 34/2015 dell’Agenzia delle Entrate, in risposta ad alcuni quesiti avanzati dal Coordinamento Nazionale dei Centri di Assistenza Fiscale.

Regime sanzionatorio – A seguito delle innovazioni introdotte dal D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175 – che, tra le altre, ha istituito la dichiarazione precompilata – il legittimo affidamento dei contribuenti che si rivolgono ad operatori specializzati, circa la definitività del loro rapporto con il Fisco, viene espressamente tutelato prevedendo che siano quest’ultimi tenuti al pagamento di un importo corrispondente alla somma dell’imposta, degli interessi e della sanzione che sarebbe stata richiesta al contribuente, salvo il caso di condotta dolosa o gravemente colposa del contribuente.

Viene, in tal modo, a determinarsi una vera e propria “sostituzione” di colui che rilascia il visto nella posizione dell’originario debitore (il contribuente), salvo il caso in cui l’infedeltà del visto sia stata determinata dalla condotta dolosa o gravemente colposa del contribuente. Tale nuova impostazione ha carattere innovativo e generale, come emerge dalla circostanza che tale regime di responsabilità trova applicazione anche se il contribuente si avvale dell’assistenza fiscale al di fuori del sistema della dichiarazione precompilata (articolo 1, comma 5, del D.Lgs n. 175 del 2014).

Sanzioni ridotte – Sul punto, è possibile ricordare come l’Agenzia delle Entrate già con la Circolare n. 11/2015 aveva chiarito che se il Caf o il professionista presenta una dichiarazione rettificativa entro il 10 novembre dell’anno in cui è stata prestata l’assistenza, la relativa responsabilità è limitata al pagamento dell’importo corrispondente alla sola sanzione che sarebbe stata richiesta al contribuente, ridotta di un ottavo (articolo 13, comma 1, lettera b), del Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 472) sempreché il versamento venga effettuato entro la data del 10 novembre.

Pertanto, il CAF o professionista è tenuto alla sola sanzione che sarebbe stata richiesta al contribuente che, dopo aver inviato tempestivamente l’originario modello 730, presenti un modello 730 rettificativo (o comunicazione) entro il 10 novembre p.v.

730 tardivo – Differente è il caso in cui la dichiarazione originaria sia sta presentata in ritardo, ossia oltre il 7 luglio dell’anno successivo a quello cui si riferisce la dichiarazione. In quest’ultimo caso, infatti, laddove il mod. 730 tardivo sia successivamente rettificato dal CAF o dal professionista entro il 10 novembre, alla sanzione per tardività si aggiunge quella per visto di infedele.

Costi black list: la deducibilità oltre il valore normale

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Oltre il nuovo “limite” del valore normale, i costi sostenuti con operatori paradisiaci saranno deducibili ove sussista il vantaggio economico dell’operazione. E’ quanto prevede il nuovo art. 110, co. 10 e ss. del D.P.R. 917/1986 dopo le modifiche introdotte dal Decreto crescita e internalizzazione (D.lgs. 147/2015, pubblicato sulla G.U. n. 220 del 22.09.2015). Le modifiche normative si applicano dal periodo d’imposta 2015 e pertanto ne dovremo tener conto già dalla presentazione del Modello UNICO 2016.

Entrando più nel dettaglio, la nuova normativa sulla deducibilità dei costi sostenuti con operatori paradisiaci prevede la piena deducibilità entro il limite del valore normale (la cui individuazione ancora non è del tutto chiara), rinviando la deduzione per la parte che eccede il valore normale alla dimostrazione del vantaggio economico dell’operazione.

Orbene, la dimostrazione della citata condizione non è affatto semplice e implica per l’impresa il porre in essere di un vero e proprio confronto di convenienza dell’operazione posta in essere con quella che in alternativa avrebbe dovuto realizzare. Vediamo nello specifico come.

Addio all’esimente dell’effettiva attività commerciale – Prima di analizzare come dimostrare il vantaggio economico dell’operazione, è appena il caso di evidenziare che per fortuna il Legislatore nella nuova formulazione dell’art. 110, co. 10, D.P.R. 917/1986 ha eliminato la tortuosa ipotesi della dimostrazione dell’effettiva attività commerciale.

A tal proposito è appena il caso di ricordare che la stessa Amministrazione Finanziaria, con la R.M. 46/E/2004, aveva indicato, a titolo esemplificativo, una serie di dati e documenti ritenuti idonei a dimostrare l’esercizio dell’attività commerciale (il bilancio e atto costitutivo del fornitore paradisiaco; un prospetto descrittivo dell’attività esercitata; i contratti di locazione degli immobili utilizzati come sede degli uffici e dell’attività; la copia delle fatture delle utenze elettriche e telefoniche; ecc..).

La suddetta condizione era praticamente inutilizzata da parte del contribuente, data l’elevata difficoltà insita nel reperire la necessaria documentazione.

Il vantaggio economico dell’operazione – Per dedurre la parte di costo che eccede il valore normale, al contribuente, una volta individuato il valore normale dell’operazione, non resta che predisporre l’adeguata documentazione dalla quale si evinca in modo inequivocabile che sussiste un effettivo vantaggio economico dalle operazioni poste in essere.

Riguardo a tale condizione, l’Amministrazione Finanziaria nella C.M. 51/E/2010 ha chiarito che la valutazione della sua sussistenza va effettuata tenendo conto di tutti gli elementi e le circostanze che caratterizzano il caso concreto, attribuendo rilevanza alle condizioni complessive dell’operazione, quali ad esempio:

  • il prezzo della transazione;
  • la presenza di costi accessori, quali, ad esempio, quelli di stoccaggio, magazzino;
  • le modalità di attuazione dell’operazione (ad esempio, i tempi di consegna);
  • la possibilità di acquisire il medesimo prodotto presso altri fornitori;
  • l’esistenza di vincoli organizzativi/commerciali/produttivi che inducono ad effettuare la transazione con il fornitore Black list o comunque, che renderebbero eccessivamente onerosa la medesima transazione con altro fornitore.

L’analisi congiunta di tali elementi evidenzia che il fine ultimo, a parere dell’Amministrazione Finanziaria, è dimostrare che il comportamento adottato dall’impresa italiana deve risultare vantaggioso sotto il profilo imprenditoriale e, al contempo, che la stessa operazione non sarebbe realizzabile con altro fornitore.

La visione “restrittiva” dell’Amministrazione Finanziaria è stata ampliata dalla giurisprudenza di merito. Ci si riferisce in particolare alla sentenza della Commissione Tributaria Regionale delle Marche, sez. III, del 22 giugno 2010, n. 5, nella quale è stato chiarito che l’effettivo interesse economico dell’operazione si rinviene a condizione che le operazioni siano effettivamente svolte a condizioni di mercato e che l’impresa abbia posto in essere un operazione in grado di generare profitto, a prescindere dalla dimostrazione della maggiore convenienza della stessa rispetto a quella di altri fornitori.

Più di recente, nella sentenza della Corte di Cassazione dell’8 maggio 2013, n. 10749, la Suprema Corte ha ritenuto che le operazioni poste in essere dall’impresa residente rispondessero ad un effettivo interesse economico, specificando che per tale si intendono “non solo prezzi competitivi ma anche altri fattori, quali la puntualità nelle forniture e la serietà del fornitore in genere”.

La condotta del contribuente non deve essere riconducibile a manovre elusive poste in essere con il solo scopo di ridurre il carico fiscale. Pertanto sarà necessario evidenziare quali sono i reali vantaggi dell’operazione e per quale motivo si è scelto di acquistare beni o servizi dal fornitore localizzato in un paradiso fiscale.

Autore: redazione fiscal focus

Auto: ​Il maggiore ammortamento

A cura di Antonio Gigliotti

Doppia agevolazione con la legge di stabilità 2016

Premessa – Con l’introduzione dell’agevolazione del super ammortamento ad opera della legge di stabilità 2016 l’acquisto di autovetture oltre a godere dell’aumento del 40 % della quota di ammortamento potranno fruire anche dell’innalzamento del tetto fiscale del costo ammortizzabile.

Legge di stabilità 2016 – Una delle misure di maggior interesse contenute nel disegno di Legge di Stabilità 2016 è relativa alla possibilità per imprese e professionisti di adottare una percentuale maggiore di ammortamento. L’attuale proposta normativa prevede che per i soggetti titolari di reddito d’impresa e per gli esercenti arti e professioni che effettuano investimenti in beni materiali strumentali nuovi dal 15 ottobre 2015 al 31 dicembre 2016, con esclusivo riferimento alla determinazione delle quote di ammortamento, il costo di acquisizione è maggiorato del 40 per cento.

Beni strumentali – Per quanto riguarda l’ambito oggettivo l’attuale formulazione normativa prevede che vi rientrino i beni strumentali, ad eccezione di quelli per i quali il D.M. 31 dicembre 1988 stabilisce coefficienti di ammortamento inferiori al 6,5% e degli acquisti di fabbricati e di costruzioni.

Auto – Al concetto di strumentalità dei beni si prevede un’eccezione: rientrano nel perimetro applicativo della norma anche le autovetture c.d. a uso promiscuo ex articolo 164, comma 1, lettera b), D.P.R. 917/1986. In particolare per questi beni il beneficio è doppio: al maggior ammortamento si accompagna un incremento del tetto fiscale del costo ammortizzabile.

Tetto del costo ammortizzabile. Per tale tipologia di vetture il costo ammortizzabile valido per ammortamenti e leasing, viene aumentato del 40 per cento. In particolare per le auto, si passa da un tetto di 18.076 € a uno di 25.306 € (per quelle degli agenti e dei rappresentanti si cresce da 25.823 € a 36.152 €) mentre per i motocicli si passa da 4.131,66 € a 5.784,32 € ed infine per i ciclomotori si passa da 2.065,83 € a 2.891,42 €.

Aumento ammortamento – Come sopraesposto oltre ad aumentare il tetto fiscale del costo ammortizzabile con la nuova agevolazione si ottiene anche un aumento del 40% della deduzione degli ammortamenti e dei canoni di leasing delle autovetture. Conseguentemente se il costo dell’autovettura è inferiore al tetto del limite fiscalmente rilevante il maxi-ammortamento opera normalmente al contrario se il costo dell’auto supera il limite fiscalmente rilevante, il maxi-ammortamento si applica su quest’ultimo.

Calcolo – Se si considera l’acquisto di un’autovettura, il cui costo ammonta a 30.000 euro, il beneficio è, infatti, duplice. Preliminarmente si deve procedere incrementando il costo effettivo del 40%. Quindi la base di partenza è costituita da 42.000 euro. Successivamente si deve “scartare” la quota di costo eccedente il nuovo massimale di 25.306,39 euro. Tale importo si ottiene, come detto, incrementando del 40 % il precedente limite di 18.075,99 euro. L’ammortamento del cespite avviene applicando un coefficiente del 25 per cento e ottenendo un importo pari a 4.519 euro. Tale quota sarà maggiorata di un importo annuo di 1.807,60 euro (40 %), al quale si applicherà poi la deducibilità limitata al 20 per cento. Alla fine del periodo di ammortamento il contribuente si troverà ad aver ammortizzato un costo complessivo di e 25.306 euro (140 % di 18.076) a cui è stata applicata la percentuale di deducibilità del 20 %.

Leasing e noleggio – La maggior quota deducibile si otterrà anche in caso di leasing. Per tale tipologia di contratti, la maggior deduzione dovrebbe riguardare, pur in assenza di chiarimenti, solo la quota capitale dei canoni. Nessuna agevolazione è prevista per le auto in noleggio a lungo termine in quanto saranno le società concedenti a fruire del maxi ammortamento al 40 per cento. Ricordiamo che per tali società le autovetture costituiscono beni strumentali a deducibilità integrale.

Autore: redazione fiscal focus

Rimborsi fiscali: i termini per la richiesta

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Documento del 31 ottobre 2015 della Fondazione Nazionale Commercialisti

Un interessante documento della Fondazione Nazionale Commercialisti (FNC – documento del 31 ottobre 2015) che analizza i termini per la richiesta dei rimborsi fiscali, distinguendo a seconda delle tipologia di rimborso e della causa sottesa alla richiesta di rimborso.

Il punto di partenza nell’analisi della fattispecie indicata è il dato normativo. Va osservato in via preliminare che per la ripetizione del pagamento indebito, l’ordinamento tributario italiano prevede un regime speciale basato sull’istanza di parte, da presentare, a pena di decadenza dal relativo diritto, nel termine previsto dalle singole leggi di imposta o possono essere disciplinati dalle norme generali del Contenzioso Tributario.

Nello specifico, bisogna far riferimento:

  • all’art. 38 del DPR n. 602/1973, il quale, in tema di rimborso delle imposte sui redditi, stabilisce il dies a quo nella “data del versamento” o in quella “in cui la ritenuta è stata operata”;
  • all’art. 21, co. 2, del D.Lgs. n. 546/1992, in virtù del quale “la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto della restituzione”.

Dopo aver analizzato in via generale la normativa che disciplina la fattispecie, vengono analizzati alcuni casi particolari: rimborso degli acconti, imposte non dovute per agevolazioni fiscali o disposizioni fiscali con effetto retroattivo, la dichiarazione di incostituzionalità di una norma fiscale, ritardata trasposizione nell’ordinamento interno di una direttiva comunitaria, overulling, ecc……

Nella seconda parte del lavoro vengono analizzate nel dettaglio le questione relative ai rimborsi per le imposte sui redditi e a quelle sull’IVA.

Rimborso acconti – Uno dei casi più interessanti è quello relativo alla presentazione dell’istanza di rimborso per il versamento indebito di acconti.

Nel caso di specie – evidenzia la FNC – il termine di decadenza per la presentazione dell’istanza di rimborsi decorre dal versamento del saldo nel caso in cui il diritto al rimborso derivi da un’eccedenza dei versamenti in acconto, rispetto a quanto risulti dovuto a saldo oppure qualora derivi da pagamenti cui inerisca un qualche carattere di provvisorietà, poiché subordinati alla successiva determinazione, in via definitiva, dell’obbligazione o della sua misura.

Invece, decorre dal giorno del versamento dell’acconto stesso nel caso in cui quest’ultimo, già dal momento in cui venne eseguito, non fosse dovuto o non lo fosse nella misura in cui fu versato, ovvero qualora fosse inapplicabile la disposizione di legge in base alla quale venne effettuato, poiché in questi casi l’interesse e la possibilità di richiedere il rimborso sorge sin dal momento in cui avviene il pagamento.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Stabilità 2016 e settore agricolo: non solo misure a favore

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Da un lato lo Stato da ma dall’altro…..

Come già scritto in precedenza in merito alle misure a favore previste dalla legge di stabilità 2016, ossia l’abolizione dell’IRAP e dell’IMU, è opportuno andare ad analizzare quelle che sono invece i provvedimenti che sicuramente determineranno un malumore per il gli operatori del settore agricolo. A partire dal 2016 è prevista un’ulteriore rivalutazione dei redditi domenicali e agrari, un incremento dell’aliquota relativa all’imposta di registro per l’acquisto dei terreni, e l’abolizione del regime di esonero.

Rivalutazione dei redditi – Per quanto riguarda la rivalutazione dei redditi, il governo ha aumentato la rivalutazione dal 7% al 30% ai soli fini di determinazione dell’imposte sui redditi, da ciò potrà aumentare l’Irpef a carico dei produttori agricoli, a causa del maggior aumento del reddito tassabile; si augura comunque che tale ulteriore rivalutazione non riguardi gli IAP ( imprenditori agricoli professionali) che si ritiene debbano rientrare in quanto previsto nel comma 50 dell’art. 3 legge 662/1996 che appunto prevede ai fini della determinazione delle imposte sui redditi, una rivalutazione dell’80 % per i redditi domenicali e del 70 % per i redditi agrari.

Imposta di registro trasferimento terreni agricoli – Il Legislatore ha previsto un aumento dell’aliquota relativa all’imposta di registro che si applica ai trasferimenti di terreni agricoli, prevedendo una percentuale che passa dal 12 al 15 %, ad eccezione però per gli IAP che possono rifarsi alla piccola proprietà contadina prevista dall’art. 2 comma 4 bis, DL 30/12/1999 n. 194, convertito nella legge 25/2010, ossia ad una imposta di registro e ipotecaria fisse, e ad un’imposta catastale pari all’1 %.

Rideterminazione del valore di acquisto dei terreni agricoli – anche per quanto riguarda la rideterminazione del valore di acquisto, in caso di potenziale emersione di plusvalenze l’aliquota dell’imposta sostitutiva passa dal 4 % all’8 %, solo se la cessione del terreno si perfeziona entro 5 anni dall’acquisto e per i terreni posseduti dal 1 gennaio 2015.

Regime di esonero – Infine la legge di stabilità 2016 prevede, a partire dal 1 gennaio 2017 l’abolizione del regime di esonero (di cui al comma 6 dell’art 34 DPR 633/1972) , per i piccoli produttori agricoli con un volume d’affari inferiore a 7.000 €; ciò comporterà un aggravio di costi, nonché di adempimenti, a cui prima non erano chiamati a rispondere.

Quindi, possiamo dire, che da un lato si è data in questi giorni molta enfasi a misure quali, l’abolizione dell’IRAP e dell’IMU, ma è opportuno sottolineare che in ogni caso si deve far fronte alle mancate entrate legate a queste manovre, nonché andare ad individuare quelle fonti tramite le quali farne fronte; da qui quindi l’adozione delle misure sopra descritte che sicuramente creeranno non pochi malumori tra gli operatori del settore agricolo.

Autore: redazione fiscal focus

Omesso versamento imposte: il pagamento del debito estingue il reato

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Il D.Lgs. 158/2015 e la non punibilità di alcuni reati

Oltre ad aver previsto soglie di punibilità più elevate per i reati di omesso versamento di ritenute e dell’Iva, il decreto legislativo 158/2015 ha introdotto la non punibilità per quei contribuenti hanno omesso il versamento, ma che prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di 1° grado hanno provveduto al pagamento integrale, ossia anche degli interessi e delle sanzioni. L’art 13 del D.Lgs. 158/2015 prevede appunto che:

I reati di omesso versamento di Iva e di ritenute certificate, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché’ del ravvedimento operoso.

La non punibilità è prevista anche per l’indebita compensazione di crediti non spettanti (non di quelli fittizi, ben più gravi) i se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, sempre che il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività’ di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

Soglie di punibilità – E’ opportuno mettere in evidenza (nella tabella in calce) i cambiamenti avvenuti in merito alle soglie oltre alle quali si configura un reato penale in riferimento all’omesso versamento.

Qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fasedi estinzione mediante rateizzazione, anche ai fini dell’applicabilità’ dell’articolo 13-bis, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo, periodo che comunque può essere prorogato di ulteriori 3 mesi dal Giudice competente; la prescrizione rimane comunque sospesa.

Altri reati – Per gli altri reati quali, dichiarazione fraudolenta, indebita compensazione con crediti inesistenti, fatture false, ecc, il pagamento del debito tributario, non porta alla non punibilità del comportamento ai fini fiscali, ma può comportare una riduzione della pena fino alla metà, nonché la mancata applicazione delle pene accessorie.

Immagine. ART 03.11.2015

Autore: redazione fiscal focus

Stabile organizzazione: l’opzione per la branch exemption

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Con il Decreto crescita e internalizzazione si prevede la possibilità per il soggetto residente svolgente attività d’impresa di optare per la branch exemption per tutte le stabili organizzazioni estere. Tradotto in termini pratici, in deroga al principio di tassazione su base mondiale, l’impresa italiana potrà decidere di non far concorrere alla determinazione del proprio reddito imponibile gli utili e le perdite prodotte dalla stabile organizzazione estera.

L’efficacia delle nuove disposizioni –Le citate disposizioni si applicheranno a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto. Come noto, il D.lgs.147/2015 è entrato in vigore il 22.10.2015. Pertanto, le disposizioni in questione si applicheranno dal periodo d’imposta 2016.

L’esercizio dell’opzione –Si tratta di un regime fiscale opzionale irrevocabile che una volta prescelto interessa tutte le stabili organizzazioni estere dell’impresa residente, al momento della costituzione delle medesime, al fine di evitare arbitraggi.

L’esercizio dell’opzione deve avvenire al momento di costituzione della stabile organizzazione, con effetto dal medesimo periodo d’imposta, ed è irrevocabile.

Per le stabili organizzazioni già esistenti si prevede che l’opzione in argomento possa essere esercitata entro il secondo periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle norme in esame, con effetto dal periodo d’imposta in corso a quello di esercizio della stessa.

Ai fini dell’esercizio della citata opzione, il contribuente dovrà indicare separatamente, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di esercizio dell’opzione, gli utili e le perdite attribuibili a ciascuna stabile organizzazione nei cinque periodi d’imposta antecedenti a quello di esercizio dell’opzione; se ne deriva una perdita fiscale netta questa compenserà gli utili successivamente realizzati dalla stabile organizzazione e dall’imposta dovuta si computeranno le eventuali eccedenze positive di imposta estera riportabili ai sensi dell’articolo 165, comma 6 del TUIR.

Nel caso di stabile organizzazione localizzata in Stati paradisiaci, l’opzione potrà essere esercitata al verificarsi alternativamente ad una delle seguenti condizioni:

  • le società non residenti svolgano un’effettiva attività industriale o commerciale;
  • dalle partecipazioni detenute non consegua l’effetto di localizzare i redditi in territori diversi da quelli di cui al decreto emanato ai sensi dell’articolo 168-bis del TUIR;
  • l’insediamento all’estero non rappresenta una costruzione artificiosa volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale.

In caso di esercizio dell’opzione, senza la sussistenza delle suddette esimenti implicherà l’applicazione, alle stabili organizzazioni, della disciplina delle controlled foreign companies – CFC e delle regole di imputazione del reddito per trasparenza contenute nell’articolo 167 del TUIR.

Nel caso di esercizio dell’opzione con riferimento alle stabili organizzazioni per le quali non sono state applicate le disposizioni in materia di CFC si applicheranno, sussistendone le condizioni, le disposizioni sulla tassazione integrale dei dividendi.

Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del predetto decreto, saranno disciplinate le modalità applicative delle disposizioni precedentemente commentate.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Mise: 50 milioni per l’imprenditorialità giovanile

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Forti agevolazioni per piccole imprese giovanili e a conduzione femminile

La circolare 9 ottobre 2015, n° 75445, visto quanto stabilito dal regolamento adottato con decreto 8 luglio 2015, n. 140 del Ministro dello sviluppo economico, individua criteri e modalità di concessione delle agevolazioni previste dal decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185; le stesse sono poste in essere al fine di agevolare la nascita di micro e piccole imprese, competitive, a prevalente o totale partecipazione giovanile o femminile. La circolare individua, pertanto, i termini e le modalità di presentazione delle domande di agevolazione, nonché le necessarie specificazioni e indicazioni operative per la concessione ed erogazione delle agevolazioni; le risorse finanziarie a disposizione sono pari a 50 milioni di euro.

Soggetti beneficiari – L’art.5 del regolamento individua i soggetti che possono beneficiare del provvedimento in oggetto, ossia le imprese:

  • costituite in forma societaria, ivi incluse le società cooperative;
  • la cui compagine societaria è composta, per oltre la metà numerica dei soci e di quote di partecipazione, da soggetti di età compresa tra i diciotto e i trentacinque anni ovvero da donne;
  • costituite da non più di 12 (dodici) mesi dalla data di presentazione della domanda di agevolazione;
  • di micro e piccola dimensione, secondo la classificazione di cui all’allegato 1 del Regolamento GBER.

Investimenti ammissibili – Sono ammissibili alle agevolazioni, i programmi di investimento da realizzare in tutto il territorio nazionale con spese non superiori a euro 1.500.000,00 promossi nei settori:

  • produzione di beni nei settori dell’industria, dell’artigianato, della trasformazione dei prodotti agricoli;
  • fornitura di servizi alle imprese e alle persone;
  • commercio di beni e servizi;
  • turismo;
  • settori, di particolare rilevanza per lo sviluppo dell’imprenditorialità giovanile.

Caratteristiche finanziamentole agevolazioni in oggetto, sono concesse ai sensi e nei limiti del Regolamento de minimis n. 1407/2013 si configurano come un finanziamento agevolato a tasso pari a zero, della durata massima di otto anni e di importo non superiore al 75% della spesa ammissibile. L’agevolazione è subordinata, in particolare, al rispetto dei massimali previsti dal precitato regolamento europeo, ai sensi del quale le agevolazioni possono avere un importo massimo complessivo, in termini di equivalente sovvenzione lordo (ESL), di euro 200.000,00 (duecentomila/00) nell’arco di tre esercizi finanziari per impresa unica, fatte salve le specifiche limitazioni dettate nel settore del trasporto merci su strada per conto terzi.

A partire dal prossimo 13 gennaio 2016 infatti, sarà possibile compilare le domande esclusivamente per via elettronica, utilizzando la piattaforma informativa messa a disposizione da Invitalia.

Professionisti e cassa: onere deducibile o costo?

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – Ogni anno i professionisti sono chiamati a liquidare e versare i contributi alla cassa di appartenenza e ogni volta il dubbio che sorge, è sempre lo stesso: tali contributi sono da considerarsi oneri deducibili dal reddito complessivo (ai sensi dell’art. 10 del TUIR) o oneri deducibili da reddito professionale (ai sensi dell’art. 54 del TUIR)?

Sul tema vi è un forte contrasto tra prassi amministrativa (Agenzia delle Entrate) e giurisprudenza (Corte di Cassazione), configurandosi così un’obiettiva incertezza sulla portata della norma.

Secondo l’Agenzia delle Entrate trattasi di onere deducibile dal reddito complessivo ai sensi dell’art. 10 del TUIR e quindi da riportare nel quadro RP del Modello Unico, mentre per la Cassazione si tratta di onere deducibile dal reddito professionale poiché costo inerente all’attività esercitata.

La tendenza del contribuente è di considerare tali contributi come onere deducibile dal reddito di lavoro autonomo poiché si preferisce seguire l’orientamento di un organo che fissa un principio di legge qual è appunto la Cassazione, con il rischio di subire un accertamento dalla parte del fisco (il cui orientamento è fissato attraverso circolari e risoluzioni interne prive, invece, di effetto “normativo”).

L’orientamento giurisprudenziale – Il predetto orientamento della Corte di Cassazione è contenuto nella sentenza n. 2781/2001 (confermato altresì nell’ordinanza n. 1939/2009), in cui il giudice ha espressamente ritenuto che “a norma dell’art. 10, comma 1 , lettera i) del d.p.r. 597/1973, dal reddito complessivo si deducono, se non sono deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formarlo e purché risultino da idonea documentazione, i contributi previdenziali e assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge. Nel caso di specie, i contributi previdenziali in questione erano deducibili in sede di determinazione del reddito professionale. L’art. 50 (oggi art. 54), 1° comma, del d.p.r. 597/1973 consente, infatti, per la determinazione del reddito di lavoro autonomo, la deduzione delle spese “inerenti” all’esercizio dell’arte o professione effettivamente sostenute nel periodo d’imposta. Ora, i contributi versati dai notai alla cassa Nazionale del Notariato sugli onorari loro spettanti sono indubbiamente “inerenti”, e cioè connessi, all’attività professionale svolta. Non si può limitare, come fa il contribuente, il concetto di “inerenza” alle sole spese necessarie per la produzione del reddito ed escluderlo per quelle che sono una conseguenza del reddito prodotto. Tale distinzione non si rinviene nella legge e non è neppure ricavabile dall’aggettivo “inerente” usato dal legislatore, in quanto esso, per la sua genericità, postula un rapporto di intima relazione tra due cose o idee che si può verificare sia quando l’una sia lo strumento per realizzare l’altra sia quando ne sia l’immediata derivazione”.

Dunque, per i giudici i contributi previdenziali e assistenziali in questione sono deducibili dal reddito di lavoro autonomo, per il semplice fatto che l’articolo 54 del TUIR (prima articolo 50 del TUIR) rimanda al principio “dell’inerenza”, da seguire nell’individuazione dei costi da poter dedurre ai fini della determinazione del reddito professionale imponibile. Come evidenziato nella predetta sentenza, infatti, per la Cassazione, i costi della professione non sono solo quelli necessari alla produzione del reddito, ma anche quelli che da esso derivano (la difesa dell’Agenzia delle Entrate era, invece, basata sul fatto che tali contributi “costituiscono un onere dovuto a posteriori, e quindi una conseguenza del reddito prodotto e non già una spesa necessaria per la produzione del reddito deducibile ex art. 50 del d.p.r. 597/1973, con la conseguenza che non possono considerarsi costi inerenti”).

L’orientamento dell’Agenzia delle Entrate – Secondo l’Agenzia delle Entrate (Risoluzione n. 79/E/2002) “i contributi versati dai professionisti alle casse professionali non sono altro che contributi obbligatori per legge, versati per finalità previdenziali e assistenziali. Com’è noto, tutti i contributi aventi tali finalità costituiscono, per la generalità dei contribuenti, oneri deducibili dal reddito complessivo. Infatti, l’articolo 10, comma 1, lettera e), del TUIR prevede espressamente che i contributi previdenziali e assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge sono deducibili dal reddito complessivo del contribuente. Il primo periodo del comma 1 dell’articolo 10 stabilisce, inoltre, che la deducibilità dal reddito complessivo di tali oneri è consentita a condizione che gli stessi non siano deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formarlo. L’articolo 50 (oggi art. 54) del TUIR, nel disciplinare la determinazione del reddito di lavoro autonomo, non prevede tra le spese deducibili i contributi previdenziali e assistenziali obbligatori per legge. Né appare condivisibile l’indirizzo giurisprudenziale, peraltro non univoco (si veda al riguardo anche la decisione dell’8 luglio 1992, n. 4362 della Comm. Trib. Centrale), espresso dalla Corte di Cassazione che riconduce i suddetti contributi nell’ambito delle spese sostenute nell’esercizio dell’attività professionale. Le spese afferenti l’attività professionale sono infatti quelle sostenute per lo svolgimento di attività o per l’acquisizione di beni da cui derivano compensi che concorrono alla formazione del reddito professionale. E’ necessario, pertanto che sussista una connessione funzionale, anche indiretta, dei costi ed oneri sostenuti rispetto alla produzione dei compensi che concorrono a formare il reddito di lavoro autonomo. I contributi previdenziali e assistenziali sono invece versati al fine di garantire al lavoratore una posizione pensionistica e una assistenza personale al verificarsi di determinati eventi (ad esempio la malattia o l’infortunio del lavoratore) e pertanto attengono esclusivamente alla sfera personale del lavoratore. La peculiarità del fine di tutela del singolo assicurato esclude, quindi che possa trattarsi di un costo sostenuto in funzione della produzione del reddito di lavoro autonomo. Non appare rilevante inoltre la circostanza che i contributi in esame siano commisurati all’ammontare degli onorari percepiti dal professionista; tale importo costituisce, infatti, solo la base di commisurazione per determinare l’ammontare dei contributi dovuti alla Cassa. Si ritiene quindi che i contributi in esame possano essere dedotti esclusivamente dal reddito complessivo del contribuente ai sensi dell’articolo 10 comma 1, lettera e), del Tuir”.

In conclusione, per l’Amministrazione finanziaria, i contributi in questione sono da dichiarare nel quadro RP della dichiarazione dei redditi e non nel quadro RE del Modello Unico del professionista.

Autore: Pasquale Pirone

Nel nuovo ruling vale sempre la regola del “silenzio assenso”

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Il D.Lgs. 24/09/2015, n. 156, pubblicato nella G.U. del 7 ottobre 2015, con efficacia generalizzata dal 1° gennaio 2016, ha profondamente revisionato la disciplina degli interpelli, in ottemperanza alla delega formulata dall’art. 6, comma 3 Legge n. 23/2014.

In particolare, l’art. 1 del citato D.Lgs. n. 156/2015 ha riformulato l’art. 11 della Legge n. 212/2000, riconducendo nell’ambito dello Statuto dei diritti del contribuente l’intera disciplina degli interpelli (prima distribuita su diverse norme, non perfettamente coordinate tra loro), rendendola più omogenea e razionale.

L’efficacia delle risposte. Il terzo comma del rinnovato art. 11 dello Statuto, oltre a prescrivere i termini entro i quali l’Amministrazione è tenuta a fornire risposta alle istanze di interpello introdotte o revisionate, precisa che la risposta stessa, scritta e motivata, vincola l’Amministrazione Finanziaria con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza e limitatamente al richiedente; stabilisce, peraltro, la nullità di qualsiasi atto, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio, emesso in difformità della risposta.

La nuova formulazione, nel confermare la vincolatività della risposta solo per l’Amministrazione, rispetto al passato innova il testo identificando espressamente l’amministrazione “in ogni suo organo”, ricomprendendovi, pertanto, quelli ausiliari. Di conseguenza, la risposta favorevole al contribuente preclude, ad esempio, anche ai verificatori della Guardia di Finanza di formulare rilievi nel p.v.c. emesso in esito ad accessi, ispezioni e verifiche, laddove le medesime questioni siano state oggetto di un vaglio dell’Amministrazione in sede di interpello, sempre che non siano emersi, nel corso dell’indagine, elementi che alterano il quadro rappresentato dal contribuente nella relativa istanza.

Il silenzio assenso. Peraltro, il medesimo comma 3 conferma ed estende a tutte le tipologie di ruling la regola del “silenzio assenso”, prevedendo che, qualora la risposta dell’Amministrazione non pervenga nel termine previsto dalla legge, si consolida la soluzione prospettata dal contribuente, con l’effetto di determinare anche la nullità di qualsiasi atto, a contenuto impositivo o sanzionatorio, difforme alla soluzione su cui si è formato il silenzio.

La disposizione prevede che l’efficacia della risposta si estende anche ai comportamenti successivi del contribuente, purché riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello, salvo rettifica della soluzione interpretativa, applicabile comunque ai comportamenti futuri (rimanendo, di contro, consolidati gli effetti già prodotti in virtù della precedente risposta).

I termini per le risposte dell’Amministrazione. Va chiarito che alle istanze formulate per gli interpelli ordinario e qualificatorio, di cui all’art. 11, comma 1, lett. a) dello Statuto, l’Amministrazione dovrà rispondere nel termine di 90 giorni; di contro, per le istanze formulate per gli interpelli qualificatorio, anti-abuso e disapplicativo (di cui all’art. 11, comma 1, lett. b) e c) e comma 2 della medesima legge 212/2000), l’Amministrazione potrà avvalersi del più ampio termine di 120 giorni.

Riprendendo la disposizione prevista dall’attuale disciplina dell’interpello ordinario, il comma 5 del nuovo art. 11 prevede che la presentazione delle varie tipologie di istanze di interpello non produce alcun effetto interruttivo o sospensivo sulle ordinarie scadenze degli adempimenti tributari.

Autore: Marco Brugnolo

730 precompilato. Dal 2016 via al controllo preventivo del fisco per i modelli anomali

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Precompilata modificata con controllo preventivo e rimborso a cura dell’Agenzia delle entrate, se il 730 inviato dal contribuente o per il tramite del sostituto d’imposta, presenta elementi di incoerenza rispetto ai criteri pubblicati da un apposito provvedimento da emanarsi a cura della stessa Agenzia delle entrate.

E’ questa una delle principali novità stabilite dall’articolo 49 della bozza di Legge di stabilità 2016 che sta affrontando in questi giorni l’iter parlamentare per l’approvazione.

La modifica si sostanzia attraverso l’inserimento del comma 3 bis all’art. 5 D.Lgs. 175/2014, che prevede per la prima volta, il controllo preventivo per i 730 che presentano anomalie rispetto a determinati parametri che saranno stabiliti dall’Agenzia delle entrate.

Il controllo preliminare del Fisco

Su tali 730 sarà dunque possibile, già a partire dall’anno di reddito 2015, un controllo preliminare, in via automatizzata o mediante verifica dei documenti a supporto per la compilazione del modello, da effettuarsi dalla stessa amministrazione finanziaria entro 4 mesi dal termine previsto per la trasmissione della dichiarazione oppure dalla successiva data di invio del modello qualora questa avvenga dopo il 7 luglio.

L’accredito post controllo non avverrà a cura del sostituto ma sarà erogato direttamente dall’agenzia delle entrate, non oltre il sesto mese successivo al termine per la trasmissione del modello (e quindi ordinariamente entro il 7 gennaio), ovvero dalla data di trasmissione del 730 se successiva.

I rimborsi rilevanti.

La stessa procedura si applica anche ai 730 precompilati e modificati dal contribuente o per il tramite del sostituto, che “determinato un rimborso di importo rilevante”.

In questi casi il rimborso sarà possibile solo attraverso il controllo preventivo e l’erogazione diretta per il tramite dell’Agenzia delle entrate.

La norma, prevede altresì l’abrogazione dell’articolo 1 commi 586 e 587 della L. 147/2013, che aveva previsto per i rimborsi che superano soglia 4.000 euro, in presenza di detrazioni per carichi di famiglia (anche derivanti da eccedenze d’imposta degli anni precedenti), il controllo preventivo ed assegnazione del rimborso da parte dell’amministrazione finanziaria.

Tale norma, infatti è da considerarsi superata poiché con riferimento i familiari a carico viene effettuato un controllo di validità ed esistenza dei relativi codici fiscali al momento dell’invio della dichiarazione, mentre con riferimento alle eccedenze derivanti dall’anno precedente, le stesse vengono proposte direttamente dall’Agenzia delle entrate nella dichiarazione precompilata.

In tutti questi casi la norma specifica, inoltre, che rimane altresì impregiudicata la facoltà dell’Agenzia delle entrate di poter esperire ogni possibile controllo previsto in materia di imposte sui redditi (formale e sostanziale).

L’invio delle spese mediche.

Vengono previsti con decorrenza 2016 a valere sull’anno d’imposta 2015, alcune modifiche sul sistema “Tessera sanitaria” sul cui portale devono essere caricati i dati relativi alle spese mediche per alimentare la precompilata.

Tutti i cittadini, indipendentemente dalla predisposizione della dichiarazione dei redditi precompilata, potranno, infatti, consultare i dati relativi alle proprie spese sanitarie acquisiti mediante i servizi telematici messi a disposizione dal Sistema Tessera Sanitaria.

Viene inoltre prevista l’applicazione della sanzione pari ad € 100,00, per ogni comunicazione, in caso di omessa, tardiva o errata trasmissione dei dati da parte degli operatori sanitari (ivi compresi medici e dentisti titolari di P.iva) in relazione alle prestazioni erogate nel 2015.

Per quanto attiene invece alla comunicazione clienti e fornitori di cui all’articolo 21 Dl 78/2010 (“spesometro”), viene stabilito che, i dati inviati dagli operatori al sistema Tessera sanitaria, potranno essere prelevati direttamente dall’agenzia delle entrate ai fini del presente adempimento, evitando così un adempimento aggiuntivo ai contribuenti.

In tal senso un apposito Provvedimento dell’agenzia delle entrare si dovrà preoccupare di stabilire termini e modalità di acquisizione dei dati stessi già comunicati.

Va segnalata anche la predisposizione della comunicazione delle spese sanitarie rimborsate, da effettuarsi a cura di enti e casse/società di mutuo soccorso aventi finalità esclusivamente assistenziale entro il 28 febbraio di ciascun anno.

Si tratta, nella sostanza, delle spese mediche non rimaste a carico del contribuente, la cui comunicazione è prevista al fine di assicurare in precompilata la correttezza dell’importo effettivamente detraibile.

Modello TR III trimestre 2015: la scadenza è fissata al 2 Novembre

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Entro il prossimo 2 Novembre (il 31 Ottobre cade di Sabato) sarà possibile presentare il Modello TR, approvato con il Provvedimento n. 39968 del 20 Marzo 2015, per le richieste di rimborso/compensazione dell’eccedenza IVA del terzo trimestre 2015.

Chi può utilzzare il Modello TR – Il modello IVA TR deve essere utilizzato dai contribuenti che hanno realizzato nel trimestre un’eccedenza di imposta detraibile di importo superiore a 2.582,28 euro e che intendono chiedere in tutto o in parte il rimborso di tale eccedenza ovvero intendono utilizzarla in compensazione orizzontale (ovvero con imposte/contributi/ritenute diverse dall’IVA).
Compensazioni – L’utilizzo in compensazione del credito IVA infrannuale può avvenire solo dopo la presentazione dell’istanza. L’utilizzo in compensazione per importi inferiori ad euro 5.000,00 è possibile dopo la presentazione del Modello TR.
L’utilizzo in compensazione per importi superiori ad 5.000 euro annui, riferito all’ammontare complessivo dei crediti trimestrali maturati nell’anno, comporta l’obbligo di utilizzare i predetti crediti a partire dal sedicesimo giorno del mese successivo a quello di presentazione del Modello IVA TR. Per poter compensare l’eccedenza IVA già dal 16 Novembre si dovrà presentare l’istanza entro il 31 Ottobre.
Rimborso IVA: le condizioni necessarie – Ai sensi dell’art. 38-bis, secondo comma, il credito IVA infrannuale può essere richiesto a rimborso unicamente dai contribuenti in possesso di uno dei seguenti requisiti:

  • aliquota media delle operazioni attive inferiore a quella degli acquisti;
  • operazioni non imponibili superiori al 25% del totale delle operazioni effettuate;
  • dai soggetti non residenti e senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato, identificati direttamente (art. 35-ter, D.P.R. n. 633/1972) o che hanno nominato un rappresentante residente nel territorio dello Stato;
  • quando effettuano acquisti ed importazioni di beni ammortizzabili per un ammontare superiore ai due terzi dell’ammontare complessivo degli acquisti e delle importazioni di beni e servizi imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, limitatamente all’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili, nonché di beni e servizi per studi e ricerche;
  • quando effettuano prevalentemente operazioni non soggette all’imposta per effetto degli articoli da 7 a 7-septies per un importo superiore al 50 per cento dell’ammontare di tutte le operazioni effettuate, prestazioni di lavorazione relative a beni mobili materiali, prestazioni di trasporto di beni e relative prestazioni di intermediazione, prestazioni di servizi accessorie ai trasporti di beni e relative prestazioni di intermediazione, ovvero prestazioni di servizi di cui all’articolo 19, comma 3, lettera a-bis).

A seconda della condizione che da diritto alla presentazione del Modello TR, si dovrà barrare nel quadro TD, sezione I, campi TD1 – TD5 l’apposita casella.

Rimborsi IVA – La sezione del modello relativa ai rimborsi è stata adeguata al fine di tenere conto, tra l’altro, delle modifiche alla disciplina degli stessi apportate dal c.d. decreto Semplificazioni fiscali (D.Lgs. n. 175/2014).
Con l’art. 13 del Decreto Semplificazioni Fiscali (D.Lgs. 175/2014, pubblicato nella G.U. 28.11.2014 n. 288), in vigore dal 13 dicembre 2014, sono state ridisegnate le regole per i rimborsi dell’eccedenza IVA, elevando la soglia che consente l’ottenimento del rimborso senza presentazione di garanzie fideiussorie.
In particolare:

  • i rimborsi IVA di importo inferiore ad euro 15.000,00 possono essere richiesti senza la presentazione della garanzia. Basta esclusivamente la presentazione dell’ istanza trimestrale.

Se si è esonerati dalla presentazione della garanzia, nella casella 3, del rigo TD8, si dovrà indicare:

  1. se l’istanza è dotata di visto di conformità o della sottoscrizione da parte dell’organo di controllo e della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà che attesta la presenza delle condizioni individuate dall’articolo 38-bis, comma 3, lettere a), b) e c);
  2. se il rimborso è richiesto dai curatori fallimentari e dai commissari liquidatori;
  3. se il rimborso è richiesto dalle società di gestione del risparmio indicate nell’articolo 8, del decreto-legge n. 351 del 2001.

Sarà necessario presentare la garanzia per i rimborsi superiori a 15.000 euro solo nelle ipotesi di situazioni di rischio. Si tratta delle ipotesi di rimborso richiesto:

  • da soggetti che esercitano un’attività di impresa da meno di due anni ad esclusione delle imprese start-up innovative (ex art. 25, D.L. n. 179/2012);
  • da soggetti ai quali, nei due anni precedenti la richiesta di rimborso, sono stati notificati avvisi di accertamento o di rettifica da cui risulti, per ciascun anno, una differenza tra gli importi accertati e quelli dell’imposta dovuta o del credito dichiarato superiore:
    1. al 10% degli importi dichiarati se questi non superano 150.000 euro;
    2. al 5% degli importi dichiarati se questi superano 150.000 euro ma non superano 1.500.000 euro;
    3. all’1% degli importi dichiarati, o comunque a 150.000 euro se gli importi dichiarati superano 1.500.000 euro;
  • da soggetti che presentano l’istanza priva del visto di conformità o della sottoscrizione alternativa o non presentano la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà;
  • da soggetti passivi che richiedono il rimborso dell’eccedenza detraibile risultante all’atto della cessazione dell’attività.

Pensionati e la nuova no tax area

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – E’ stata varata giovedì 15 ottobre 2015, dal Consiglio dei Ministri, le legge di stabilità 2016, contenente una serie di misure tra cui l’aumento della c.d. no tax area per la fascia di pensionati under e over 75.

Attualmente, la soglia di esenzione fiscale per i pensionati è fissata a 7.500 euro per i pensionati di età inferiore ai 75 anni e a 7.750 euro per i pensionati di età pari o superiore ai 75 anni.

L’innalzamento della soglia – Con la legge di stabilità 2016, salvo futuri emendamenti, la soglia di esenzione fiscale, è aumentata a:

  • 7.750 euro per i pensionati under 75.
  • 8.000 euro per i pensionati over 75;

La no tax area per i pensionati al di sopra dei 75 anni , dunque, è equiparata a quella già prevista per i lavoratori dipendenti.
Inoltre, se confermato, l’innalzamento potrebbe essere considerato come un contentino per quella fascia di contribuenti meno abbienti (cioè pensionati con una soglia di reddito annuale bassa) che sono lasciati fuori dal bonus fiscale di 80 euro introdotto a regime dalla legge di stabilità 2015 dal governo Renzi a favore dei lavoratori dipendenti.

Dal 2016 o dal 2017? – Il giorno dopo il varo della legge di stabilità per il 2016 è toccato al Ministro del lavoro e delle politiche sociali Giuliano Poletti tirare le somme riguardo gli interventi di previdenza e lavoro contenuti nella manovra.
Proprio in merito all’innalzamento della no tax area per i pensionati, lo stesso Ministro ha precisato che l’aumento scatterà dal 2017 e che l’eventuale anticipo della misura al 2016 è legato al via libera dell’UE in merito alla flessibilità dello 0,2% del deficit prevista per le misure contro l’emergenza immigratoria.
D’altronde l’anticipo dell’innalzamento della no tax area per i pensionati al 2016 non è l’unica misura contenuta nella manovra finanziaria a essere legata al via libera di Bruxelles sulla clausola per l’emergenza immigrazione.
Anche il taglio dell’IRES dall’attuale 27,5% al 24% a decorrere dal 2016 è legato al riconoscimento all’Italia da parte dell’Europa della flessibilità sul deficit. Se tale flessibilità non sarà accordata, il taglio di 3,5% percentuali dell’IRES scatterà a decorrere dal 2017 (è stato lo stesso Renzi a dichiararlo nella presentazione della legge).
La misura dell’innalzamento della no tax area, secondo le stime dei sindacati, che poco sono entusiasti dell’esiguità della misura (“più che delusi siamo molto molto arrabbiati” sono state le parole del segretario generale della CGIL Susanna Camusso), si tradurrebbe, in media, in 100 euro di tasse in meno da pagare per i soggetti interessati. Una magra consolazione per una categoria di pensionati sempre più tartassata.

Autore: PASQUALE PIRONE

Iva 2014: l’Agenzia avvisa per i modelli omessi

Informati i contribuenti della mancata presentazione della Dichiarazione Iva

Premessa – L’Agenzia avvisa in anticipo i contribuenti che non hanno ancora presentato, o non hanno compilato correttamente, la dichiarazione Iva per il 2014. I 65mila destinatari possono rimediare da soli e pagare le sanzioni ridotte, senza ricevere controlli.

Comunicazione dell’Agenzia delle Entrate – Per comunicare questa chance a coloro che non hanno ancora presentato la dichiarazione Iva per il 2014 o che l’hanno presentata soltanto con il quadro VA compilato, l’Agenzia delle Entrate sta inviando delle lettere agli indirizzi di posta elettronica certificata (Pec) di questi contribuenti, in modo da permettergli di controllare ed eventualmente correggere la propria posizione.

Rapporto con il contribuente – Queste comunicazioni fanno parte del percorso di cambiamento che l’Agenzia ha intrapreso nei rapporti con i contribuenti, con l’obiettivo di aumentare il grado di fiducia da parte dei cittadini e favorire l’adempimento spontaneo degli obblighi tributari. Con il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate pubblicato oggi, infatti, vengono indicate le modalità con cui vengono messe a disposizione dei contribuenti le informazioni da verificare per assicurarsi le sanzioni ridotte previste dal ravvedimento operoso.

Modalità di comunicazione – Oltre alle mail certificate, le comunicazioni viaggiano per posta ordinaria, in modo da raggiungere anche chi non ha un indirizzo Pec attivo, oppure non registrato nei pubblici elenchi.

Compliance – Le comunicazioni previste dal provvedimento di ieri seguono a breve distanza i 220mila alert preventivi inviati dal Fisco ai contribuenti che, pur essendo obbligati (avendo più redditi e più datori di lavoro), non hanno presentato la dichiarazione. Anche in quel caso, lo scopo delle comunicazioni è permettere il ravvedimento spontaneo del contribuente prima dei controlli.

Regolarizzazione – I contribuenti che non hanno ancora presentato la dichiarazione Iva relativa al periodo d’imposta 2014 possono regolarizzare la propria posizione presentando la dichiarazione entro 90 giorni a partire dal 30 settembre 2015, pagando le sanzioni in misura ridotta. Invece coloro che hanno presentato la dichiarazione Iva 2014 con la compilazione del solo quadro VA possono regolarizzare già da ora gli errori eventualmente commessi e beneficiare così delle sanzioni in misura ridotta in ragione del tempo trascorso, grazie all’istituto del ravvedimento operoso.

Contattare l’Agenzia– Se il contribuente ha assolto correttamente i suoi obblighi dichiarativi, potrà comunicarlo immediatamente alle Entrate telefonando al numero 848.800.444 da telefono fisso (tariffa urbana a tempo) oppure al numero 06.96668907 da telefono cellulare (costo in base al piano tariffario applicato dal proprio gestore), dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 17, selezionando l’opzione “servizi con operatore > comunicazione dalla Direzione Centrale Accertamento”.

Comunicazioni già inviate – Ricordiamo che negli ultimi mesi l’Agenzia ha già inviato 220mila lettere a chi ha dimenticato di presentare la dichiarazione pur avendo percepito più redditi da lavoro dipendente o da pensione da diversi sostituti (datori di lavoro o enti previdenziali) e non ha effettuato il conguaglio delle imposte. Sono state inoltre inviate 190mila comunicazioni di anomalie rilevate nei dati dichiarati ai fini degli studi di settore. Infine sono state trasmesse 20mila comunicazioni complessivamente inviate a cittadini che non hanno dichiarato tutte le plusvalenze, professionisti che non hanno denunciato tutti i compensi certificati dai sostituti d’imposta, soggetti Iva con vendite dichiarate inferiori alle fatture comunicate al Fisco dai clienti.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

730 tardivo: la regolarizzazione della violazione scatta dal 23/7

Solo i mod. 730 presentati dopo il 23 luglio devono essere considerati tardivi

Il dies a quo per la regolarizzazione della violazione di tardiva presentazione del mod. 730 decorre dal termine prorogato con DPCM 26 giugno 2015, vale a dire dal 23 luglio 2015 anziché dalla data originaria del 7 luglio 2015.

Il chiarimento è riscontrabile nel testo della Circolare AE n. 34/2015, nella quale la consulta dei Centri di Assistenza Fiscale (CAF) ha chiesto all’Amministrazione Finanziaria quale dei due termini debba essere considerato ai fini della valutazione dell’invio tardivo dei modelli 730 del corrente anno, ossia il 7 luglio ovvero il 23 luglio 2015.

La proroga – Il DPCM 26 giugno 2015 considerata l’opportunità di prevedere un maggior termine per il corretto svolgimento dei relativi adempimenti e tenendo conto delle esigenze dei contribuenti e dell’Amministrazione Finanziaria, ha consentito ai CAF-dipendenti e ai professionisti abilitati, di “completare, entro il 23 luglio 2015, (…) la trasmissione in via telematica all’Agenzia delle entrate delle dichiarazioni presentate ai sensi dell’articolo 13 del decreto ministeriale 31 maggio 1999, n. 164, a condizione che entro il 7 luglio 2015 abbiano effettuato la trasmissione di almeno l’ottanta per cento delle medesime dichiarazioni”.

L’ampliamento del termine, si ricorda, era motivato dalle difficoltà segnalate dagli operatori nel primo anno di applicazione della normativa – che ha modificato le modalità di svolgimento dell’assistenza fiscale con l’introduzione della dichiarazione precompilata – dalle disposizioni che hanno previsto la revisione dei requisiti e delle garanzie richiesti per l’attività di assistenza nonché dalla concomitanSolo i mod. 730 presentati dopo il 23 luglio devono essere considerati tardiviza di altre scadenze fiscali.

Tali circostanze hanno determinato, per gli intermediari abilitati, l’insorgere di grosse difficoltà nel far fronte alle richieste dei lavoratori dipendenti e dei pensionati che, in modo massivo e in contemporanea, hanno richiesto assistenza.

Chiarimento AE – L’Agenzia delle Entrate è stata recentemente interrogata dal Coordinamento Nazionale dei CAF in merito all’individuazione del termine a partire dal quale scatta la violazione per l’invio tardivo del mod. 730. Sul punto, l’Amministrazione Finanziaria ritiene innanzitutto opportuno individuare il momento in cui la violazione può dirsi commessa, anche alla luce della proroga disposta con DPCM 26 giugno 2015.

Tenuto conto delle finalità del menzionato Decreto ed anche al fine di semplificare gli adempimenti, l’Agenzia delle Entrate ritiene che il dies a quo per la regolarizzazione della violazione decorra comunque dal termine prorogato, ossia dal 23 luglio 2015.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Società estinte: differimento quinquennale senza retroattività

Le disposizioni del D.L. Semplificazioni si applicano quando la richiesta di cancellazione è avvenuta nella vigenza del decreto

Le disposizioni in materia di società estinte introdotte dal D.Lgs. n. 175/14 (c.d. Semplificazioni) non hanno efficacia retroattiva, quindi non si applicano alle società – di capitali o di persone – che abbiano fatto richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese prima del 13 dicembre 2014, ossia prima della data di entrata in vigore del suddetto decreto.

È quanto ha ribadito la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione con la sentenza n. 18385/2015 (nello stesso senso Cass. Sez. trib. n. 6743/2015).

La S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso di una Srl perché il giudizio in primo grado è stato instaurato quando la società era già estinta e, quindi, la medesima non aveva capacità a impugnare.

Precisamente, l’impugnazione davanti alla CTP è stata proposta successivamente al 1° gennaio 2004, data nella quale si era prodotto l’effetto estintivo della società, e il giudice di primo grado avrebbe dovuto rilevare il difetto di capacità della società e, quindi, l’improponibilità del ricorso stesso. Ma così non è stato. E allora il vizio di legittimazione attiva è stato rilevato dai supremi giudici, i quali hanno escluso l’applicabilità al caso dello ius superveniens in materia di società di estinte.

L’art. 28, comma 4, del D.Lgs. n. 175 del 2014, entrato in vigore il 13 dicembre 2014 ed emesso in attuazione degli artt. 1 e 7 della legge di delegazione n. 23 del 2014 stabilisce: “Ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese”.

Ebbene, tale disposizione, per la Suprema Corte, non si applica alla fattispecie di causa in quanto, contrariamente a quanto talora sostenuto dall’Amministrazione finanziaria nelle sue circolari (il riferimento degli ermellini è alle circolari n. 31/E del 2014 e n. 6/E del 2015), opera su un piano sostanziale, non si risolve in una diversa regolamentazione dei termini processuali o dei tempi e delle procedure di accertamento o di riscossione e non ha valenza interpretativa.

Pertanto, il differimento quinquennale (operante nei soli confronti dell’Amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione, indicati nella disposizione in discorso, con riguardo a tributi o contributi) degli effetti dell’estinzione della società derivanti dall’art. 2495, secondo comma, C.c. si applica esclusivamente ai casi (diversi da quello di specie) in cui la richiesta di cancellazione della società dal Registro delle imprese (richiesta che costituisce il presupposto di tale differimento) sia presentata nella vigenza di detto decreto legislativo (cioè il 13.12.2014 o successivamente).

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Compensi amministratori. Deducibili con delibera ad hoc

Cassazione Tributaria, sentenza depositata il 28 ottobre 2015

In tema di società di capitali, i costi sostenuti per il compenso degli amministratori sono deducibili dal reddito d’impresa ove determinati nello Statuto, oppure con una specifica delibera dell’assemblea. È quanto emerge dalla sentenza n. 21953/15, pubblicata ieridalla Corte di Cassazione – Sezione Tributaria Civile.

La CTR annullava un recupero d’imposte (Irpeg e Iva per il 2003) conseguente al disconoscimento dei costi portati in deduzione da una Srl – appartenente a un Gruppo societario -e relativi ai compensi corrisposti ai membri del consiglio d’amministrazione.

L’Ufficio aveva giustificato la ripresa nel senso che la misura dei compensi in questioni non era stata determinata nello Statuto, né deliberata preventivamente dall’assemblea dei soci, con conseguente violazione dell’art. 2389 C.C. Quindi, ad avviso dell’Ufficio, si trattava di costi non certi nell’esistenza e neppure obiettivamente determinabili come richiesto invece dal TUIR (art. 75) e dal decreto IVA (art. 19.

Di diverso parere la CTR, secondo cui non vi erano impedimenti a che la contribuente determinasse “ex post” il compenso degli amministratori con la delibera assembleare di approvazione del bilancio di chiusura dell’esercizio.

Ebbene, secondo la S.C., la CTR è incorsa in errore di diritto perché ha ritenuto deducibile nell’esercizio di competenza (anno 2003) la spesa sostenuta dalla contribuente Srl per compensi agli amministratori, sebbene difettassero i requisiti di certezza e di oggettiva determinabilità dell’ammontare del costo, richiesti dall’art. 75 del TUIR, “sia in considerazioni dell’invalidità del titolo di spesa sia in difetto di indicazioni nell’atto costitutivo dei criteri di liquidazione, non essendo stato preventivamente stabilito l’importo dei compensi dalla delibera dell’assemblea dei soci, richiesta ai sensi degli artt. 2364 comma 1 n. 3) e 2389 C.c. – espressamente richiamati per le società a responsabilità limitata dagli artt. 2486 comma 2 e 2487 comma 2 C.c., nel testo anteriore alla riforma del diritto societario (D.Lgs. n. 6/2003), applicabili ratione temporis -, e neppure essendo stata deliberata la misura dei compensi, in sede si approvazione del bilancio, a seguito di specifica discussione e con la partecipazione totalitaria dei soci”.

La Suprema Corte, accogliendo il ricorso del Fisco, ha evidenziato, in particolare, come l’esigenza di un’espressa previsione statutaria o di una specifica delibera assembleare avente ad oggetto la determinazione dei compensi degli amministratori, nel regime normativo anteriore alla riforma del D.Lgs. n. 6/2003, è stata ritenuta funzionale a garantire la piena trasparenza e la previa conoscenza di tutti i soci della relativa voce di spesa, in quanto elemento essenziale del rapporto fiduciario che presiede all’affidamento dell’incarico di amministrazione; esigenza che si ritiene soddisfatta soltanto attraverso la previsione di una specifica manifestazione volitiva dell’assemblea dei soci diretta alla assunzione dell’onere patrimoniale connesso al funzionamento dell’organo di direzione della società.

Ne consegue, sempre secondo la Corte, che devono essere sanzionati con l’invalidità gli atti degli organi societari diversi dalla delibera dell’assemblea, così come la delibera assembleare assunta in modo difforme dalla previsione dell’art. 2389 c.c., in quanto avente a oggetto questioni estranee alla attribuzione dei compensi agli amministratori, come nel caso di specie, in cui la liquidazione delle somme da erogare agli amministratori sia meramente indicata in una delle voci di spesa del bilancio di chiusura esercizio presentato alla approvazione dell’assemblea.

La causa è stata decisa dagli ermellini nel merito (con rigetto del ricorso introduttivo) e la società contribuente dovrà pagare le spese del giudizio di legittimità.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Commercialisti. Prestazioni gratuite per parenti e amici

Cassazione Tributaria, sentenza depositata il 28 ottobre 2015

È nullo l’accertamento a carico del professionista quando, a fronte delle mere supposizioni dell’Ufficio, appaia plausibile la gratuità delle prestazioni non fatturate in quanto svolte in favore di parenti e amici, anche allo scopo di incrementare la clientela.

È quanto emerge dalla sentenza 28 ottobre 2015 n. 21972 della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria.

Un consulente fiscale è divenuto destinatario di un avviso di accertamento per maggiori imposte (IVA, IRPEF e IRAP per il 2001) fondato sui compensi non fatturati e non registrati in relazione a oltre 70 clienti.

Riformando il verdetto pro-fisco pronunciato dalla CTP, la CTR ha dichiarato illegittima la ripresa a tassazione alla luce del fatto che il contribuente aveva giustificato la mancata registrazione e fatturazione dei compensi con i rapporti di amicizia o parentela intercorrenti tra lui e i clienti in questione i quali, peraltro, per il 70 per cento, risultavano soci di società di persone la cui contabilità era curata proprio dal contribuente, ragion per cui ogni eventuale compenso si poteva ritenere rientrante in quello già corrisposto dalla società di appartenenza. La CTR ha dato penso anche all’accertata circostanza che l’attività asseritamente gratuita riguardava soltanto l’invio telematico delle dichiarazioni dei redditi; e tale attività era finalizzata all’incremento della clientela.

Ebbene, investita dell’esame della controversia, in forza del ricorso del Fisco, la Suprema Corte ha ritenuto incensurabile, sotto il profilo motivazionale, la sentenza del giudice dell’appello.

La CTR – dice la Sezione Tributaria di Palazzaccio – ha ritenuto con “motivazione congrua e non contraddittoria, plausibile, a fronte delle mere supposizioni dell’Ufficio erariale, la gratuità dell’opera svolta dal professionista, in considerazione dei rapporti di parentela e di amicizia con gli stessi clienti, nonché del fatto che il 70% di tali soggetti risultano soci di società di persone, la cui contabilità è affidata alle cure del contribuente, per cui ogni eventuale compenso rientra in quello già corrisposto dalla società di appartenenza (e non è contestato che dette società fossero clienti del professionista e che le stesse non rientrassero nell’elenco, individuato dai verificatori, dei soggetti non paganti) e della circostanza, accertata oltre che pacifica, che l’attività svolta in loro favore riguardava soltanto l’invio telematico delle dichiarazioni dei redditi ed era finalizzata all’incremento della clientela, cosicché la semplicità della prestazione in sé rende verosimile l’assunto del contribuente circa la sua gratuità”.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Fallimenti, Iva recuperata solo dal 2017

Con una modifica dell’ultima ora sul testo circolato nei giorni scorsi è stato corretto l’articolo 9 del Ddl di stabilità 2016, stabilendo che la possibilità di emettere la nota di accredito Iva all’avvio delle procedura concorsuale si applichi per le sole «operazioni effettuate dal 1 gennaio 2017».

Il testo del disegno di legge che ha ufficialmente iniziato l’iter parlamentare, fa rimanere quindi in stand by il diritto del creditore a vedere soddisfatto fin dall’inizio della procedura che sembrava, in un primo momento, certamente fruibile a partire dal primo gennaio 2016.
Pertanto ancora per un altro anno, per recuperare l’Iva sui crediti incagliati in procedure concorsuali e para concorsuali si dovrà attendere la chiusura della procedura.

Il disegno di legge. L’Iva sulle procedure concorsuali – Nel merito della questione va ricordato che Il Ddl interviene sull’articolo 26 del Dpr n. 633/72 in tema di recupero Iva sui crediti in sofferenza riferiti a clienti assoggettati ad una delle procedure previste dalla legge fallimentare.
Nella sostanza la nuova norma autorizza l’emissione della nota di accredito in relazione all’Iva addebitata e mai incassata dal creditore, senza dover attendere i lunghi tempi necessari per la conclusione dell’iter concorsuale.
La versione oggi in vigore, lo si ricorda, prevede la necessità di attendere sempre l’infruttuosità della procedura prima di poter esperire la nota di variazione, condizione che si verifica solo con la chiusura della stessa.

La decorrenza – Con il nuovo testo, reso pubblico solo venerdì, è stata disposta la modifica del comma 10 dell’articolo 9 che prevede che «le disposizioni di cui all’articolo 26, comma 4, lettera a), e comma 5, secondo periodo, del Dpr 26 ottobre 1972, n. 633, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal presente articolo, si applicano alle operazioni effettuate dal 1° gennaio 2017».
Per effetto di tale modifica, la nota di accredito si potrà riferire alle sole cessioni di beni o alle prestazioni di servizi rese dopo il primo gennaio 2017.
Ciò fuga subito uno dei dubbi che si erano posti in prima lettura della nuova norma (si veda la nostra Fiscal flash del 27 ottobre 2015); in ragione di tale precisazione quindi l’emissione della nota di accredito rimane preclusa per tutte quelle realtà dove la procedura concorsuale è ancora in svolgimento.
Per cui paradossalmente anche se la procedura stessa iniziasse dopo il 1 gennaio 2017, sarebbe comunque preclusa la possibilità di emissione della nota di accredito, poichè l’operazione rilevante ai fini Iva è stata posta in essere antecedentemente a tale data.
Se così stanno le cose è forte il rischio che la modifica introdotta rimanga inoperosa per un tempo eccessivo.
In questo contesto l’auspicio, sarebbe quello che nel corso del dibattito Parlamentare ci sia un dietrofront che anticipi la decorrenza della nuova disciplina.

Le altre modifiche – L’articolo 9 del Ddl Stabilità prevede ulteriori modifiche sull’articolo 26 del Dpr 633/72.
In particolare vengono stabilite tre distinte categorie di cause giuridiche che legittimano l’emissione della nota di variazione iva.
La prima attiene la possibilità di variazione in diminuzione dell’imponibile e dell’imposta in presenza di abbuoni e sconti contrattualmente previsti. In base al nuovo comma 3 dell’articolo 26, infatti, la nota di variazione non può essere emessa dopo il decorso di un anno dall’operazione. Tale regola si applica anche in ipotesi in cui la rettifica riguardi delle operazioni inesistenti (articolo 21 comma 7 del Dpr 633/72).
La seconda possibilità riguarda le cause giuridiche che determinano la riduzione dell’imposta e della base imponibile in forza di una dichiarazione di nullità, annullamento, revoca e risoluzione. In tali casistiche per l’emissione della nota di variazione non opera la limitazione annuale di cui all’ipotesi sopra evidenziata, poiché le variazioni non si verificano in dipendenza di un sopravvenuto accordo fra le parti; quindi la nota di accredito potrà essere emessa anche oltre l’anno.
La terza casistica si rinviene nel caso di mancato pagamento, in tutto o in parte, del corrispettivo da parte del cessionario/committente.
Per questa via la nota di accredito può essere emessa solo al verificarsi di eventi particolari individuati dalla norma stessa e riconducibili a procedure concorsuali o a piani di ristrutturazione del debito o a procedure esecutive individuali rimaste infruttuose. Per quest’ultima ipotesi, come sopra esaminato, a differenza delle due precedenti (la cui efficacia sarà dal 01.01.2016) la novella entrerà in vigore dalle operazioni effettuate a partire dal 1° gennaio 2017.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Riammissione alla rateazione ed effetti sulle procedure esecutive

La ripresa della rateazione può bloccare le procedure avviate

Il D.Lgs. 159/2015 ha introdotto importanti novità in merito alla possibilità di rateazioni di pdr precedentemente decaduti nell’arco temporale che va dal 22 ottobre 2013 al 21 ottobre 2015; Per i contribuenti che in quel periodo preciso avevano avuto accesso ad un piano di rateazione, al quale non sono riusciti a far fronte, è prevista la possibilità di chiedere nuovamente, entro il 21 Novembre 2015, la riammissione al beneficio tramite apposita documentazione disponibile sul sito di Equitalia alla sezione ModulisticaRateizzazione-RICHIESTA DI RATEIZZAZIONE PER PIANI DECADUTI DAL 22/10/2013 AL 21/10/2015.

In ogni caso i contribuenti che sono stati riammessi alla rateazione, decadranno dal beneficio in seguito al mancato pagamento di solo due rate anche non successive, non quindi di otto rate come era previsto per le dilazioni concesse dal 23 Giugno 2013 al 21 ottobre 2015, o di 5 rate come stabilito per le nuove dilazioni poste in essere dal 22 ottobre 2015. Ad esempio se la rateazione è stata concessa il 7 settembre 2015, la nuova disciplina non è ancora applicabile (le nuove regole non erano ancora in vigore) e il mancato pagamento, ad esempio di sette rate, non determina la decadenza dal beneficio. La dilazione viene concessa considerando lo stesso numero di rate prevista per il precedente pdr. La ripresa della rateazione comporta anche degli effetti sulle procedure esecutive intraprese.
Alla ricezione della richiesta di rateazione, l’Agenzia delle Entrate può iscrivere l’ipoteca, solo nel caso in cui la richiesta non venga accolta, ovvero in caso di decadenza del beneficio stesso. Sono fatti comunque salvi i fermi e le ipoteche già iscritti alla data di concessione della rateazione, il pagamento della prima rata del pdr determina l’impossibilita di proseguire le procedure di recupero coattivo precedentemente avviate solo se:
• non si sia ancora tenuto l’incanto con esito positivo,
• non sia stata presentata istanza di assegnazione,
• il terzo non abbia reso dichiarazione positiva o non sia stato già emesso provvedimento di assegnazione dei crediti pignorati.
Anche per i fermi amministrativi, se prima dell’ammissione o al pagamento della 1° rata non ha ancora provveduto, l’agente della riscossione non potrà iscrivere alcun fermo.
Il contribuente che ha ottenuto la riammissione al beneficio della rateazione, non sarà più considerato inadempiente, e cosa rilevante, potrà, se si tratta di un’impresa, riottenere Il DURC e il certificato di regolarità fiscale, il cui possesso è condizione essenziale per partecipare ad appalti di lavori, forniture e servizi.

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Assegnazione beni ai soci al valore catastale

Prende forma l’agevolazione per la fuoriuscita dei beni dal perimetro societario. Dopo la presentazione al Senato del DDL n. 2111 (Disegno di Legge Stabilità 2016) può tracciarsi un primo bilancio sulla formulazione della nuova norma, che a tale stadio pare essere di maggior vantaggio rispetto alle precedenti versioni.

Si tratta in sostanza della riproposizione della norma che agevola la fuoriuscita dei beni dalla società, prevedendo in luogo dell’applicazione della normale tassazione ordinaria (IRES E IRAP) il pagamento di un’imposta sostitutiva, che andrebbe calcolata sulla differenza tra il valore catastale del bene e il suo costo fiscale.Non è un refuso, si tratta proprio del valore catastale del bene da prendere a riferimento per il calcolo della base imponibile sui cui applicare l’imposta sostitutiva.
Nell’attuale versione della norma si prevede l’applicazione di un imposta sostitutiva:

  • delle imposte sui redditi e dell’IRAP pari all’8%;
  • che diventa del 10,5% se la società risulta di comodo in almeno due dei tre periodi di imposta precedenti a quello in corso al momento della assegnazione. Nelle precedenti versioni della norma le società di comodo erano escluse dalla possibilità di fruire della norma agevolativa.

Il valore catastale facoltativo – Ad onor del vero non è obbligatorio utilizzare il valore catastale. Si dà infatti la possibilità al contribuente che aderisce al regime agevolativo di poter optare tra le seguenti scelte:

  • il valore di mercato così come definito dall’art. 9, D.P.R. 917/1986;
  • il valore catastale utilizzando i moltiplicatori ex art. 52, D.P.R. 131/1986.

Optando per il valore catastale si dovrà procedere a porre in essere il seguente calcolo:

rendita catastale + il 5% della rendita catastale * imoltiplicatori ex art. 52, D.P.R. 131/1986.

Per i terreni la rendita catastale andrà rivalutata del 25%.

Si tratta certo di un confronto impari, in quanto il valore catastale è generalmente inferiore al valore di mercato e se confrontato con il costo fiscale del bene condurrebbe alla fuoriuscita del bene pagando una minima imposta sostitutiva, addirittura azzerata nel caso in cui il costo fiscale del bene sia superiore al valore catastale.

I moltiplicatori – Per quanto riguarda i moltiplicatori il riferimento è all’art. 52, D.P.R. 131/1986.

Applicando la richiamata disposizione i moltiplicatori da applicare sono i seguenti:

100 per le unità immobiliari classificate nei gruppi catastali A, B e C;

50 e 34 rispettivamente per le unità immobiliari classificate nelle categorie castali A/10 e C/1;

50 e 34 rispettivamente per le unità immobiliari classificate nelle categorie castali D e E;

75 per i terreni, esclusi quelli per i quali gli strumenti urbanistici prevedono la destinazione edificatoria.

I suddetti moltiplicatori sono stati innalzati del 20% dall’articolo 1-bis, Decreto Legge n. 168/2004 (e di un ulteriore 40% solo per la categoria catastale B, ai sensi dell’articolo 2, comma 45, Decreto Legge n. 262/2006).

I moltiplicatori da applicare sono quelli indicati nella tabella in calce.

Agevolata anche l’imposta di registro – Dal punto di vista delle altre imposte indirette rimane ferma l’applicazione dell’IVA, mentre in merito all’applicazione dell’imposta di registro, va ricordato che l’articolo 40 del DPR n.131/86, al comma 1 stabilisce il principio di alternatività tra Iva e registro. Dunque va applicata l’imposta di registro in misura fissa pari ad € 200 per le cessioni (assegnazioni) imponibili, “ad eccezione delle operazioni esenti ai sensi dell’art. 10, numeri 8), 8-bis) e 27-quinquies)” nelle cui situazioni trova applicazione l’imposta di registro proporzionale (9%).

Nel caso di assegnazioni di immobili abitativi:

  • se l’operazione è imponibile ai fini IVA, si sconteranno oltre all’imposta di registro fissa di euro 200,00, anche le ipocatastali nella misura fissa di 200 euro cadauna;
  • se l’operazione non è imponibile ai fini IVA, oltre all’imposta di registro proporzionale del 9% (2% con i requisiti prima.

Anche su tale aspetto interviene in Legislatore, il quale prevede che in caso di applicazione dell’imposta proporzionale di registro questa sia dimezzata. Dunque si passerebbe da un imposta di registro del 9% ad una misura dimezzata, pari dunque al 4,5%.

Beni agevolabili e a versamento imposta sostitutiva – Attenzione va posta al fatto che la misura agevolativa non è rivolta a tutti beni dell’impresa, ma si limita l’applicazione:

  • ai beni immobili (tranne quelli strumentali per destinazione);
  • ed ai beni mobili iscritti in pubblici registri non utilizzati quali beni strumentali nell’esercizio dell’impresa.

Si prevede infine che l’imposta sostitutiva sulle plusvalenze venga versata:

  • entro il 30 novembre 2016 per il 60% del suo ammontare;
  • e il restante 40% entro il 16 giugno 2017.
 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

SOCIETÀ ESTINTE: DIFFERIMENTO QUINQUENNALE SENZA RETROATTIVITÀ

29 OTTOBRE 2015

Le disposizioni del D.L. Semplificazioni si applicano quando la richiesta di cancellazione è avvenuta nella vigenza del decreto

Le disposizioni in materia di società estinte introdotte dal D.Lgs. n. 175/14 (c.d. Semplificazioni) non hanno efficacia retroattiva, quindi non si applicano alle società – di capitali o di persone – che abbiano fatto richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese prima del 13 dicembre 2014, ossia prima della data di entrata in vigore del suddetto decreto.

È quanto ha ribadito la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione con la sentenza n. 18385/2015 (nello stesso senso Cass. Sez. trib. n. 6743/2015).

La S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso di una Srl perché il giudizio in primo grado è stato instaurato quando la società era già estinta e, quindi, la medesima non aveva capacità a impugnare.

Precisamente, l’impugnazione davanti alla CTP è stata proposta successivamente al 1° gennaio 2004, data nella quale si era prodotto l’effetto estintivo della società, e il giudice di primo grado avrebbe dovuto rilevare il difetto di capacità della società e, quindi, l’improponibilità del ricorso stesso. Ma così non è stato. E allora il vizio di legittimazione attiva è stato rilevato dai supremi giudici, i quali hanno escluso l’applicabilità al caso dello ius superveniens in materia di società di estinte.

L’art. 28, comma 4, del D.Lgs. n. 175 del 2014, entrato in vigore il 13 dicembre 2014 ed emesso in attuazione degli artt. 1 e 7 della legge di delegazione n. 23 del 2014 stabilisce: “Ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese”.

Ebbene, tale disposizione, per la Suprema Corte, non si applica alla fattispecie di causa in quanto, contrariamente a quanto talora sostenuto dall’Amministrazione finanziaria nelle sue circolari (il riferimento degli ermellini è alle circolari n. 31/E del 2014 e n. 6/E del 2015), opera su un piano sostanziale, non si risolve in una diversa regolamentazione dei termini processuali o dei tempi e delle procedure di accertamento o di riscossione e non ha valenza interpretativa.

Fonte: Fiscal Focus

PAGAMENTI DELLE PA: È NECESSARIO IL PLACET DI EQUITALIA

29 OTTOBRE 2015

La verifica scatta per i pagamenti superiori ai 10.000 euro

Gli uffici della Pubblica Amministrazione, incaricati di effettuare pagamenti, in generale, superiori a 10.000 euro, a favore di determinati soggetti, devono confrontarsi con l’Agenzia delle entrate al fine di verificare l’eventuale inadempienza del destinatario delle somme, in merito a possibili notifiche (anche ancora non perfezionata) di una o più cartelle di importo totale pari almeno a euro diecimila.

La procedura – prima di quietanzare un pagamento, la Pubblica Amministrazione, deve inviare una richiesta ad Equitalia, che nei 5 giorni feriali successivi, provvede ad inoltrare la risposta relativa al soggetto, possibile destinatario delle somme; nel caso in cui dovesse rilevarsi una segnalazione a carico, potrebbero determinarsi due situazioni:

  • pagamento parziale, qualora l’importo per il quale il soggetto è debitore è inferiore all’importo a lui spettante;
  • mancato pagamento, nel caso in cui l’importo a debito è maggiore rispetto a quello a lui spettante.

Trascorsi 30 giorni dall’ottenimento della risposta di Equitalia, senza che la stessa provveda alla notifica dell’atto per il quale il pagamento è stato bloccato, la PA provvede al pagamento delle somme per le quali era stata avanzata richiesta di verifica. Il pagamento inoltre avviene, naturalmente, qualora non risulti nessuna segnalazione in merito al soggetto per il quale si è inoltrata la richiesta, o quando nei cinque giorni successivi alla richiesta, Equitalia non abbia provveduto ad inoltrare la relativa risposta.

Pagamenti di più fatture – La circolare n° 29 dell’otto ottobre 2009 precisa che, in caso di pagamento, in unica soluzione, di più fatture riguardanti lo stesso soggetto, bisogna considerare, ai fini delle richiesta di controllo ad Equitalia, l’importo contenuto nelle fatture, singolarmente analizzate, ossia, nel caso in cui nessuna delle singole fatture riporti un importo superiore a €10.000 euro, non si procederà ad inoltrare proposta di verifica ad Equitalia, anche se complessivamente viene superata la soglia indicata. Stessa interpretazione è prescritta in caso di pagamenti connessi ad appalti di lavoro o di servizi.

Eccezioni – La ragioneria dello stato ha indicato alcuni pagamenti per i quali non è necessaria la procedura sopra indicata, ossia:

  • collegati a specifiche disposizioni di legge;
  • riguardano esecutività di progetti cofinanziati dall’Unione Europea o clausole di accordi internazionali;
  • importi che per loro natura sono impignorabili;
  • tributi e contributi assistenziali o previdenziali;
  • rimborsi di spese sanitarie e relative a cure rivolte alla persona, e indennità;
  • importi a titolo di assegno alimentare;
  • sussidi e provvidenze per maternità, malattie e sostentamento;
  • spese collegate a esigenze di difese nazionali o missioni di peacekeeping;
  • spese interventi di ordine pubblico nonché per fronteggiare situazioni di calamità;
  • finanziamenti di progetti aventi scopi umanitari.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Nota di accredito IVA: emissione all’inizio della procedura fallimentare

Dal primo gennaio 2016 note di accredito Iva all’apertura delle procedure concorsuali.
La bozza di Ddl di Stabilità 2016 approvata al Governo e in attesa di conversione in legge alle Camere, prevede infatti, che per l’emissione della nota di variazione Iva, il creditore particolare della procedura concorsuale non debba più attendere l’infruttuosità della stessa.
La novella consentirà alle imprese colpite dall’insolvenza del proprio debitore, di recuperare fin da subito l’Iva addebitata e mai incassata, senza dover aspettare i tempi spesso lunghi per la conclusione dell’iter concorsuale.

La procedura attuale
Prima dell’intervento previsto nel disegno di legge di Stabilità, il momento nel quale sorge il presupposto dell’infruttuosità delle procedure concorsuali (essenziale per poter operare la detrazione dell’IVA), veniva fatto coincidere (secondo quanto anche indicato nella circolare n. 77/E del 2000):

  • per il fallimento, con la scadenza del termine per la presentazione delle osservazioni al piano di riparto, ovvero, se il fallimento si chiude senza un piano di riparto, con la scadenza del termine entro il quale è possibile proporre reclamo avverso il decreto di chiusura della procedura;
  • per il concordato fallimentare, con il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione;
  • per la liquidazione coatta amministrativa, con l’approvazione del piano di riparto.

Il nuovo articolo 26 D.p.r. 633/72.
Il Ddl Stabilità 2016, prevede ora la revisione dell’articolo 26 del Dpr 633/1972 disponendo, tra le altre, che la nota di credito in caso di mancato pagamento da parte del cessionario o committente, possa essere emessa già a partire dall’inizio del procedimento.
In relazione all’entrata in vigore del provvedimento in questione la norma non specifica se lo stesso sarà operativo solo per i fallimenti decretati a partire dalla data di entrata in vigore della legge di stabilità e quindi dal 01.01.2016, oppure se lo stesso sarà applicabile anche per i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della novella.
Sul punto, ovvero sull’applicazione anche ai procedimenti in corso (essendo scontata invece quella ai “nuovi fallimenti”) saranno probabilmente decisivi i chiarimenti che l’agenzia delle entrate dovrà fornire con la consueta circolare, da emanarsi nei primi mesi del 2016, che solitamente accompagna le novità normative entrate in vigore, salvo che in sede di conversione o direttamente nella relazione illustrativa al provvedimento venga specificato qualcosa in merito a tale questione.

Procedure fallimentari: Il momento di emissione della nota
Sotto il profilo operativo questo significa che la nota di credito andrà emessa in momenti diversi a seconda del tipo di procedura interessata. In altre parole si potrà emettere la nota di credito in caso di procedure concorsuali tipiche in concomitanza con la data della sentenza dichiarativa del fallimento.
Per le altre procedure si dovrà procedere con riferimento alla:

  • data del decreto che omologa l’accordo di ristrutturazione dei debiti ex articolo 182-bis della legge fallimentare;
  • data di pubblicazione nel registro delle imprese del piano attestato ex articolo 67, comma 3, lettera d), della legge fallimentare;
  • data del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa;
  • data del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo;
  • data del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.

Il caso generale
In ipotesi di mancato incasso del credito al di fuori dei procedimenti previsti dalla legge fallimentare, si applica invece la regola che la nota di variazione può essere emessa solo a seguito dell’avvenuta dimostrazione che la procedura esecutiva è rimasta infruttuosa. Infine si segnala che il nuovo articolo 26 previsto nel Ddl, inoltre, non fa invece alcun riferimento alle speciali misure di composizione della crisi previste per i soggetti non fallibili (legge 3/2012).

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Bilancio: novità per tutti

Con la Direttiva 26 giugno 2013, n. 2013/34/Ue sono state abrogate le precedenti Direttive contabili comunitarie relative alla redazione del bilancio di esercizio e consolidato (Direttiva 78/660/Cee e 83/349/Cee), ed è stata introdotta una nuova disciplina che doveva essere recepita dagli Stati membri entro il 20 luglio 2015.

Obiettivo delle riforme introdotte è stato duplice, e ha visto da un lato, la necessità di migliorare gli obblighi informativi per le imprese di maggiori dimensioni, mentre, dall’altro, si è concretizzato nella volontà di semplificare gli obblighi previsti per le piccole e medie imprese.

Se, infatti, è ovvio che il bilancio rappresenti il principale strumento per conoscere l’andamento aziendale, è pur vero che la riduzione degli oneri amministrativi per le imprese di minori dimensioni può comportare aumenti della redditività, e, quindi, della produttività delle stesse.

Il recepimento della direttiva in Italia

Con la Legge 7 ottobre 2014, n.154, il Governo è stato autorizzato a recepire la Direttiva 2013/34/UE.

Più precisamente, la Direttiva 2013/34/UE è stata recepita in due distinti schemi di decreti legislativi:

-il D.Lgs. n. 139 del 18.08.2015, pubblicato nella G.U. n. 205 del 04.09.2015, relativo al bilancio d’esercizio e consolidato;

-il D.Lgs. n. 136 del 18.08.2015, pubblicato nella G.U. n. 202 del 01.09.2015, relativo ai conti annuali ed ai conti consolidati delle banche e degli altri istituti finanziari.

Le novità per il conto economico e lo stato patrimoniale

Con il D.Lgs. n. 139 del 18.08.2015 sono state introdotte importanti novità in tema di bilancio.

Giova a tal proposito di essere ricordato non solo il nuovo bilancio per le micro-imprese, nel quale sparisce la nota integrativa, ma anche l’obbligo di redazione del rendiconto finanziario per le società di maggiori dimensioni.

Anche i prospetti contabili, però, sono stati interessati da modifiche di non poco conto.

Si pensi, a tal proposito, allo stato patrimoniale, in calce al quale spariscono i conti d’ordine (sostituiti da un’apposita informativa nella nota integrativa).

Non è poi più prevista la possibilità di capitalizzare i costi di ricerca e pubblicità: nell’attivo patrimoniale troveranno spazio solo i costi di sviluppo.

Altre modifiche riguardano inoltre l’introduzione di specifiche voci di dettaglio sia tra le immobilizzazioni finanziarie che tra i crediti immobilizzati relative ai rapporti intercorsi con le imprese sottoposte al controllo delle controllanti (c.d. imprese sorelle). Lo stesso maggior dettaglio viene richiesto anche nell’esposizione dei debiti.

Vengono riformulate anche le riserve indicate nel patrimonio netto. Più precisamente, è eliminata la riserva per azioni proprie in portafoglio ed è introdotta non solo la riserva per operazioni di copertura di flussi finanziari attesi ma anche la riserva negativa per azioni proprie in portafoglio.

E’ questa la naturale conseguenza della nuova disciplina introdotta per le azioni proprie in bilancio.

In passato, come noto, era prevista l’iscrizione delle azioni proprie nell’attivo patrimoniale, con la contestuale accensione di una riserva indisponibile di pari importo.

A seguito delle novità introdotte, invece, le azioni proprie devono essere iscritte in bilancio in diretta riduzione del patrimonio netto.

La modifica è di non poco conto, non solo per le modifiche nei prospetti dei bilanci, ma anche per i suoi riflessi su una serie di norme che fanno riferimento alla nozione di patrimonio netto. Si pensi, ad esempio, al limite previsto per l’emissione delle obbligazioni.

Passando ora al conto economico, la novità più rilevante consiste sicuramente nell’eliminazione delle voci di costo e di ricavo relative alla sezione straordinaria.

Vengono poi introdotte specifiche voci di dettaglio relative ai rapporti intercorsi con imprese sottoposte al controllo delle controllanti, e la macroclasse “D) Rettifiche di valore delle attività finanziarie” è sostituita da “D) Rettifiche di valore delle attività e passività finanziarie”.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

ASSEGNAZIONE AGEVOLATA BENI AI SOCI: NUOVA POSSIBILITÀ

22 OTTOBRE 2015

Legge di Stabilità 2016

Viene riproposta la normativa agevolativa sull’assegnazione dei beni ai soci. La normativa sarà applicabile per le assegnazioni effettuate entro il 30.09.2016. 
La normativa di riferimento – Per comprendere la significativa portata della novità normativa, va preliminarmente osservato che:
– ai sensi dell’art. 2, co. 2, n. 6), DPR 633/1972, ai fini IVA l’assegnazione dei beni ai soci è equiparata alla cessione di beni a titolo oneroso. Tale operazione dunque costituisce operazione rilevante ai fini IVA, sia se posta in essere da società di persone che da società di capitali, qualunque sia l’oggetto della società e qualunque sia il titolo in relazione al quale l’assegnazione viene effettuata. Anche in questo caso, dunque, l’imponibilità dell’operazione dovrà essere individuata in base alle regole sancite dall’art. 10, co. 1, n. 8 –bis e 8-ter, D.P.R. 633/1972, a seconda che si tratti di immobile abitativo o di immobile strumentale;
– dal punto di vista delle altre imposte indirette, e nello specifico circa l’applicazione dell’imposta di registro, va ricordato che l’articolo 40 del DPR n.131/86, al comma 1 stabilisce il principio di alternatività tra Iva e registro. Dunque va applicata l’imposta di registro in misura fissa pari ad € 200 per le cessioni (assegnazioni) imponibili, “ad eccezione delle operazioni esenti ai sensi dell’art. 10, numeri 8), 8-bis) e 27-quinquies)” nelle cui situazioni trova applicazione l’imposta di registro proporzionale (9%).
Nel caso di assegnazioni di immobili abitativi:
* se l’operazione è imponibile ai fini IVA, si sconteranno oltre all’imposta di registro fissa di euro 200,00, anche le ipocatastali nella misura fissa di 200 euro cadauna;
* se l’operazione non è imponibile ai fini IVA, oltre all’imposta di registro proporzionale del 9% (2% con i requisiti prima casa) saranno dovute le imposte ipotecarie e catastali nella misura di euro 50,00 cadauna.

– ai fini delle imposte dirette, l’assegnazione dell’immobile al socio (indipendentemente dalla causa) può far emergere in capo alla società materia imponibile, come ricavi tipici della società o plusvalenze degli immobili relativi all’impresa;
– per quanto riguarda il socio assegnatario, invece, è possibile che si verifichi la distribuzione di utili in natura, con la conseguenza di un reddito tassabile in capo al socio persona fisica non imprenditore.
La misura agevolativa – Per evitare gli effetti estremamente penalizzanti dell’assegnazione degli immobili ai soci, il Legislatore reintroduce la possibilità di far fuoriuscire gli immobili pagando una imposta sostitutiva:
– delle imposte sui redditi e dell’IRAP pari all’8%;
– che diventa dal 10,5% se la società risulta di comodo in almeno due dei tre periodi di imposta precedenti a quello in corso al momento della assegnazione. Nelle precedenti versioni della norma le società di comodo erano escluse dalla possibilità di fruire della norma agevolativa.
Per quanto riguarda il socio, si prevede che l’eventuale distribuzione di utili in natura sia esclusa dall’ambito applicativo dell’art. 47 del Tuir.
Inoltre:
– è prevista la riduzione alla metà dell’imposta di registro eventualmente dovuta per l’assegnazione, nonché l’applicazione delle imposte ipotecaria e catastale in misura fissa.
In sostanza, pur pagando l’imposta sostitutiva, si dovranno continuare a valutare i riflessi IVA dell’operazione.
Per quanto riguarda la base imponibile sulla quale applicare l’imposta sostitutiva si fa riferimento alla differenza:
– tra il valore normale del bene assegnato e il costo fiscalmente riconosciuto.
La base imponibile dell’imposta sostitutiva può essere determinata facendo riferimento al valore catastale dell’immobile in luogo del meno conveniente valore normale.

Attenzione va posta al fatto che a misura agevolativa non è rivolta a tutti beni dell’impresa, ma si limita l’applicazione:
• ai beni immobili (tranne quelli strumentali per destinazione);
• e ai beni mobili iscritti in pubblici registri non utilizzati quali beni strumentali nell’esercizio dell’impresa.
Si prevede infine che l’imposta sostitutiva sulle plusvalenze venga versata:
– entro il 30 novembre 2016 per il 60% del suo ammontare;
– e il restante 40% entro il 16 giugno 2017.

Riforma del bilancio: altre novità in arrivo

Come noto, con il D.Lgs. n. 139 del 18.08.2015, pubblicato nella G.U. n. 205 del 04.09.2015, sono state introdotte importanti novità nella disciplina del bilancio d’esercizio, le quali troveranno applicazione nei bilanci relativi agli esercizi finanziari aventi inizio a partire dal 1° gennaio 2016.

Per le società con esercizio coincidente con l’anno solare, pertanto, dal prossimo gennaio 2016 sarà necessario rispettare le nuove disposizioni introdotte.
Poco più di un paio di mesi, dunque, per “assimilare” le novità, le quali sono certamente non di poco conto.
Ciò assume ancora più rilevanza ove si consideri che, nello stesso lasso di tempo, saranno necessari interventi per adeguare i principi contabili e le norme fiscali alle novità introdotte.
O almeno, ci si augura che il “cerchio” delle riforme venga chiuso prima dell’inizio dell’esercizio, per non costringere le società ad un 2016 pieno di incertezze.

I nuovi principi contabili nazionali – Molte delle nuove disposizioni introdotte richiedono l’intervento dell’Organismo Italiano di contabilità, il quale dovrà aggiornare i principi contabili al fine di tener conto delle modifiche apportate alla disciplina.
Più precisamente, si rendono necessari specifici principi volti ad accompagnare le imprese nella prima applicazione delle nuove norme, così come deve ritenersi essenziale fornire la necessaria declinazione pratica di norme di carattere generale.
E’ stato quindi avviato dall’Oic un piano di aggiornamento dei principi contabili nazionali, il quale prevede non solo la modifica dei principi emanati nel 2014 (con riferimento ai quali erano stati sottolineati alcuni punti degni di riflessione), ma anche la revisione di tutti i principi contabili al fine di tener conto delle novità introdotte con il D.Lgs. 139/2015.
Saranno pertanto sicuramente oggetto di modifiche anche l’Oic 3 sui derivati, e l’Oic 11 sui postulati di bilancio, i quali non erano stati intaccati dal recente processo di revisione.

La disciplina fiscale – Le riforme introdotte richiederebbero alcune modifiche anche nella disciplina fiscale.
Si pensi, a tal proposito, alla disciplina Irap: a seguito delle modifiche legislative, nel conto economico non saranno più esposti gli oneri e i proventi straordinari, per cui anche i componenti in oggetto confluirebbero nel calcolo del valore della produzione netta.
È necessario quindi, che, a seguito dell’intervenuta riforma del bilancio, il legislatore intervenga per adeguare la normativa fiscale.
Con riferimento ad altre fattispecie deve invece ritenersi che le novità introdotte non abbiano ricadute sugli aspetti fiscali, nonostante il loro forte impatto sulle poste di bilancio.
Si pensi, a tal proposito, alle spese di pubblicità e ricerca, le quali, dal 2016 non saranno più capitalizzabili e concorreranno quindi alla determinazione del reddito integralmente nell’esercizio.
Purtuttavia, l’articolo 108 Tuir continua a prevedere la deduzione sia in un solo esercizio che in più esercizi, ragion per cui, dal punto di vista fiscale, le spese in oggetto potranno concorrere alla determinazione del reddito anche in più esercizi.
Intatti gli obblighi di deposito – Nell’ambito delle novità introdotte, sicura rilevanza assume il nuovo bilancio per le micro-imprese, soprattutto in considerazione del fatto che è previsto non solo l’esonero dalla redazione della relazione sulla gestione e del rendiconto finanziario, ma anche della stessa nota integrativa, se determinate informazioni sono riportate in calce allo stato patrimoniale.
In ogni caso, anche il bilancio delle micro-imprese, seppur composto dai soli documenti contabili, dovrà essere depositato presso il Registro delle imprese alle ordinarie scadenze e con le modalità note (nonostante la direttiva prevedesse, appunto, la facoltà di dispensare le piccole imprese dal deposito in oggetto).
Ai fini del deposito del bilancio, pertanto, rimangono fermi gli attuali obblighi.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Socio e rinuncia al credito: la sopravvenienza cambia regime di tassazione

26 ottobre 2015

Premessa – E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 220 del 22 settembre 2015, il Decreto LEgislativo n. 147/2015 recante misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese.

Il decreto il questione, dispone importanti modifiche in merito al regime di tassazione della sopravvenienza attiva proveniente dalla rinuncia del credito che il socio vanta nei confronti della società.
Si ricorda che il regime fiscale cui è soggetta la predetta tipologia di sopravvenienza attiva è contenuto nel comma 4 dell’art. 88 del TUIR.
La rinuncia del credito che il socio vanta nei confronti della società è anche una delle procedure utilizzate per eseguire aumento del capitale sociale: il socio rinuncia al credito e a fronte di tale rinuncia sottoscrive un aumento di capitale deliberato dalla società.
Si genera sopravvenienza attiva, ad esempio, quando il socio acquista un credito vantato da un terzo nei confronti della società e lo acquista per un corrispettivo inferiore al debito originario e poi rinuncia al credito.
L’attuale formulazione dell’art. 88 TUIR – Il comma 4 dell’art. 88 TUIR nella sua formulazione attuale dispone che “non si considerano sopravvenienze attive i versamenti in denaro o in natura fatti a fondo perduto o in conto capitale alle società’ e agli enti di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a) e b), dai propri soci e la rinuncia dei soci ai crediti, ne gli apporti effettuati dai possessori di strumenti similari alle azioni, ne la riduzione dei debiti dell’impresa in sede di concordato fallimentare o preventivo o per effetto della partecipazione delle perdite da parte dell’associato in partecipazione. In caso di accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, pubblicato nel registro delle imprese, la riduzione dei debiti dell’impresa non costituisce sopravvenienza attiva per la parte che eccede le perdite, pregresse e di periodo, di cui all’articolo 84”.
Dunque, attualmente, per espressa previsione normativa la sopravvenienza attiva derivante dalla rinuncia al credito da parte del socio è completamente detassata.

La nuova formulazione dell’art. 88 TUIR – Quanto esposto in precedenza, resta in vigore fino al periodo d’imposta 2015. Infatti, l’art. 13 del decreto legislativo per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese (d.lgs. n. 147/2015) ha modificato il comma 4 dell’art. 88 del TUIR, disponendo che la detassazione della sopravvenienza attiva derivante dalla rinuncia del credito da parte del socio avviene nei limiti del valore fiscale del credito stesso.
In particolare, all’art. 88 sono apportate le seguenti modificazioni:
• il comma 4, è sostituito dal seguente: “non si considerano sopravvenienze attive i versamenti in denaro o in natura fatti a fondo perduto o in conto capitale alle società e agli enti di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a) e b), dai propri soci, ne gli apporti effettuati dai possessori di strumenti similari alle azioni”.
• è aggiunto il comma 4-bis, in cui, al primo periodo è disposto che “la rinuncia dei soci ai crediti si considera sopravvenienza attiva per la parte che eccede il relativo valore fiscale. A tal fine, il socio, con dichiarazione sostitutiva di atto notorio, comunica alla partecipata tale valore; in assenza di tale comunicazione, il valore fiscale del credito è assunto pari a zero. Nei casi di operazioni di conversione del credito in partecipazioni si applicano le disposizioni dei periodi precedenti e il valore fiscale delle medesime partecipazioni viene assunto in un importo pari al valore fiscale del credito oggetto di conversione, al netto delle perdite sui crediti eventualmente deducibili per il creditore per effetto della conversione stessa”.

La dichiarazione sostitutiva del socio – Il secondo periodo del nuovo comma 4 bis, impone al socio la necessità di consegnare alla società una dichiarazione sostitutiva in cui comunica il valore fiscale del credito. In mancanza di tale dichiarazione il valore fiscale sarà considerato pari a 0 con la conseguenza che tutto il valore originario del credito sarà considerato sopravvenienza e quindi interamente tassato.

La decorrenza del nuovo regime di tassazione – Il comma 2 dell’art. 13 D.lgs. 147/2015 espressamente dispone che le nuove regole di tassazione fin qui esposte si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello di entrata in vigore del decreto stesso e quindi a decorrere dal 2016.

Autore: Pasquale Pirone

Canone RAI in bolletta. Vale solo il possesso della TV

Il possesso del televisore resta il requisito per il pagamento del canone RAI. È quanto ha ritenuto di dover precisare l’esecutivo dopo le voci di una possibile estensione del canone TV anche al possesso di altri dispositivi (vedi PC, tablet e smartphone) con cui è possibile vedere i canali RAI.

La legge di Stabilità per il 2016 prevede il pagamento del canone RAI attraverso la bolletta elettrica. Il canone – il cui importo per il 2016 scende a 100 euro (contro gli attuali 113,50) – dovrebbe essere diviso in sei rate da 16.66 euro ciascuna e si dovrebbe pagare solamente in relazione alla prima casa. Così il governo pensa di porre fine al fenomeno evasivo che affligge questa tassa sul possesso “di uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive”.

Poiché sulla misura sono circolate informazioni a volte contrastanti, il sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, intervenendo a Radio 24 su “Mattina 24”, ha precisato che il nuovo metodo di pagamento del canone non modificherà, almeno per il momento, l’impianto della normativa in vigore e che pertanto “È il possesso di un televisore il requisito per il pagamento del canone, non degli altri device”, quali computer, tablet e smartphone.

Nella norma abbiamo solo aggiunto una presunzione del possesso del televisore che è il contratto di fornitura elettrica”, ha detto ancora il sottosegretario Giovannelli, che, a proposito del contrasto all’evasione, ha evidenziato come “secondo i dati Istat il 97% degli italiani possiede un televisore. Eppure questo non emerge dai dati sul pagamento del canone”.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Nuova rivalutazione dei beni d’impresa

Obbligo di pagare l’imposta sostitutiva nella bozza della Legge di Stabilità 2016

Premessa – Il disegno di Legge Stabilità 2016 ripropone la rivalutazione dei beni d’impresa risultanti dal bilancio 2014 e ancora presenti in quello successivo. La rivalutazione non potrà essere effettuata solo civilisticamente in quanto l’incremento dei valori nel bilancio d’esercizio comporterà necessariamente l’applicazione dell’imposta sostitutiva. 
Rivalutazione – Secondo quanto previsto dalla bozza della Legge di Stabilità 2016 è possibile, per i soggetti giuridici indicati alle lettere a) e b), del comma 1, dell’art. 73 del Tuir, rivalutare beni d’impresa e partecipazioni, con la sola esclusione dei beni alla cui produzione o scambio è diretta l’attività d’impresa (beni merce), come risultanti dal bilancio al 31/12/2014. I soggetti ammessi alla rivalutazione sono tutti gli esercenti attività d’impresa, inclusi gli enti non commerciali in relazione al patrimonio destinato all’attività d’impresa e le società ed enti non residenti relativamente alle stabili organizzazioni possedute nel territorio dello Stato.

Bilancio – La detta rivalutazione deve essere eseguita nel bilancio successivo al 2014 (per i solari, al 31/12/2015), deve riguardare tutti i beni appartenenti alla medesima categoria e deve essere indicata nell’inventario e nella nota integrativa; i beni non possono essere estromessi, ceduti, utilizzati dall’imprenditore o assegnati, prima del quarto esercizio successivo alla rivalutazione. In assenza di un bilancio che dia evidenza contabile del patrimonio dell’impresa, la rivalutazione deve essere evidenziata in un prospetto dal quale devono risultare il costo fiscalmente riconosciuto dei beni e le rivalutazioni operate.

Imposta sostitutiva – Sui maggiori importi occorre versare un’imposta sostitutiva del 16% per i beni ammortizzabili e del 12% per quelli non ammortizzabili (terreni e partecipazioni). La riserva in sospensione d’imposta contabilizzata a fronte della rivalutazione può essere affrancata versando un ulteriore tributo del 10 per cento. La rivalutazione non potrà essere effettuata solo civilisticamente: l’incremento dei valori nel bilancio d’esercizio comporterà necessariamente l’applicazione dell’imposta sostitutiva. Il versamento di quest’ultima avverrà in tre rate di uguale importo (al 16 giugno del 2016, 2017, 2018) senza interessi.

Effetti della rivalutazione – La rivalutazione, così come proposta dal disegno di legge, non ha effetti fiscali immediati in quanto gli stessi sono differiti al terzo periodo d’imposta successivo a quello con riferimento al quale la rivalutazione è eseguita; in sostanza, considerato che la rivalutazione va eseguita nel bilancio dell’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, il recupero fiscale della rivalutazione avverrà a partire dall’esercizio 2018 per quanto attiene alla deduzione degli ammortamenti. Per la rilevanza ai fini di plusvalenze e minusvalenze da cessione visto che l’effetto è differito al quarto periodo d’imposta successivo, occorrerà attendere il 1° gennaio 2019.

A cura di Antonio Gigliotti

Autovetture: duplice beneficio nella Legge di Stabilità 2016

Autovetture: duplice beneficio nella Legge di Stabilità 2016 – Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Si profila finalmente un intervento che mira a incentivare l’utilizzo di autovetture nell’attività d’impresa. Il cambio di passo è indicato nella Legge di Stabilità 2016 (ancora allo stato embrionale).

Se le misure dovessero essere confermate per le autovetture a deducibilità limitata acquistate nel periodo 15.10.2015 – 31.12.2016 si potrebbe usufruire di una percentuale di deducibilità maggiore rispetto a quella attualmente prevista. A tale vantaggio, si aggiunge l’ulteriore misura agevolativa del super ammortamento.

Il super ammortamento anche per le auto – Una delle misure contenute nel disegno di legge di Stabilità 2016 che incide in maniera positiva sulle imprese (ma anche sui professionisti) è quella del super ammortamento. In sostanza, la previsione normativa concede la possibilità a imprese e professionisti che acquistano beni strumentali nel periodo 15.10.2015 – 31.12.2016 di maggiorare le ordinarie quote di ammortamento di un importo pari al 40%.

Da un punto di vista oggettivo, la norma in cantiere prevede che il super ammortamento si applichi a tutti i beni strumentali. Restano esclusi i fabbricati e le costruzioni, i beni con coefficiente di ammortamento inferiore al 6,5% e di taluni beni espressamente individuati dalla norma.

Beneficio anche per le auto – Tra i beni per i quali si potrà usufruire del super ammortamento rientrano le auto, compresi gli acquisti di autovetture a deducibilità ridotta (articolo 164, Tuir), fermo restando il limite massimo di deduzione pari 18.076 euro.

A tale misura agevolativa se ne aggiunge un’altra: l’incremento delle percentuali di deducibilità limitato alle auto acquistate nel periodo 15.10.2015 – 31.12.2016. In particolare, si prevedono i seguenti incrementi dei limiti di deducibilità:

• per le auto in benefit a dipendenti si passerebbe dall’attuale percentuale di deducibilità del 70% al 98%;
• per le autovetture a uso promiscuo non assegnate si passerebbe dall’attuale percentuale di deducibilità del 20% al 28%;
• per gli agenti la percentuale di deducibilità viene innalzata al 100% (dall’80%).

In pratica, l’acquisto di autovetture nel periodo 15.10.2015 – 31.12.2016 consentirebbe di calcolare una maggiore percentuale di deducibilità (98%, 28%, 100%) sul 140% del costo effettivo.

Il costo effettivo massimo, pur maggiorato del 40%, non dovrebbe eccedere il limite massimo di deduzione pari a 18.076 euro che prendiamo a base di calcolo per l’ammortamento. Definito l’ammortamento per ciascun periodo d’imposta, questo potrà essere detto per il 28%.

Se il costo d’acquisto maggiorato eccede il suddetto limite, si avrà non il 28% del costo di acquisto maggiorato, ma il 28% del limite massimo di deduzione. In sostanza, si dovrà prendere il minore tra il costo di acquisto “maggiorato” e il limite massimo di deduzione.

A parere della dottrina la misura agevolativa dovrebbe riguardare anche i canoni di leasing delle autovetture, mentre dovrebbero essere esclusi i veicoli utilizzati in noleggio a lungo termine e agli altri costi di gestione (carburanti, manutenzioni, eccetera).

In caso di vendita della autovetture, il super ammortamento non influirà nel calcolo di plusvalenze e minusvalenze. Nessuna influenza nemmeno per il calcolo del plafond delle manutenzioni e per il test delle società di comodo.

Si potrà tener conto della misura agevolativa per gli acconti previsionali del prossimo 30 novembre.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Anticorruzione e falso in bilancio: approvata la nuova legge

REATI SOCIETARI
22 maggio 2015 ore 06:00

di Saverio Cinieri – Dottore commercialista e pubblicista
La Camera, ieri, ha approvato in via definitiva la proposta di legge” Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”. Diventano, quindi, legge le nuove norme che prevedono un inasprimento della pena per il falso in bilancio, delitto che torna ad essere applicato a tutte le imprese e non solo a quelle quotate in borsa.
Il falso in bilancio ritorna ad essere un reato che può essere contestato a tutte le società e non solo a quelle quotate in borsa.
E’ una delle più importanti novità che emergono dalla nuova legge in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio (A.C. 3008) approvato, in via definitiva, dalla Camera dei deputati il 21 maggio.
Come appena accennato, la novità principale è che il falso in bilancio torna ad essere un delitto per tutte le imprese, non solo per quelle quotate in borsa.
La reclusione per le società quotateva da 3 a 8 anni (oggi è fra i 6 mesi e i 3 anni), mentre per le aziende non quotate va da 1 a 5 anni (oggi la pena è l’arresto fino a due anni, ma vi sono casi di esclusione della punibilità, che vengono cancellati dalla nuova legge).
Previsto anche un inasprimento delle sanzioni amministrative a carico delle società.
La struttura della nuova legge
La legge approvata non contiene solo norme sul falso in bilancio ma è volta a contrastare i
fenomeni corruttivi attraverso una serie di misure che vanno dall’incremento generalizzato delle sanzioni per i reati contro la pubblica amministrazione, a quelle volte al recupero delle somme indebitamente percepite dal pubblico ufficiale, alla revisione, appunto, del reato di falso in bilancio.
Il provvedimento, composto di 12 articoli, si suddivide in due parti:
– la prima (artt. da 1 a 8) riguarda, in particolare, i reati contro la pubblica amministrazione (vedi tabella che segue);
– la seconda parte (artt. da 9 a 12) ha per oggetto i delitti di false comunicazioni sociali.
Tabella – Reati contro la pubblica amministrazione

Articolo Novità
1 – reati contro la P.A.
– passano a 3 e 5 anni (attualmente, un anno e tre anni) i limiti di durata minima e massima dell’incapacità di contrattare con la P.A. (art. 32-ter c.p.);
– si disciplinano i casi nei quali alla condanna consegue l’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego, per prevedere che tale pena accessoria nei confronti del dipendente di pubbliche amministrazioni consegue alla condanna alla reclusione non inferiore ai 2 anni (oggi è per pene non inferiori a 3 anni) per i delitti di peculato, concussione, corruzione per l’esercizio della funzione, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, corruzione in atti giudiziari, induzione indebita a dare o promettere utilità, ovvero corruzione di persona incaricata di pubblico servizio (art. 32-quinquies c.p.);
– aumenta (si passa, rispettivamente, dagli attuali 15 gg. e 2 anni a 3 mesi e 3 anni) il
tempo minimo e massimo di durata della sospensione dall’esercizio di una professione (art. 35 c.p.);
– aumenta l’entità delle pene previste dal codice penale per una serie di reati del pubblico ufficiale contro la P.A.;
– si introduce una nuova circostanza attenuante nell’art. 323-bis c.p. che consente una
Come cambia il falso in bilancio
Il piatto forte della nuova legge consiste nella modifica del reato di falso in bilancio.
In particolare, l’articolo 9 della nuova legge modifica l’articolo 2621 del codice civile.
L’attuale norma prevede l’arresto fino a due anni per “gli amministratori, i direttori generali, i
dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, espongono fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni ovvero omettono informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari sulla predetta situazione”.
Tale punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o
amministrati dalla società per conto di terzi, mentre viene esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene.
Inoltre, sono previste alcune soglie di non punibilità (che, con la nuova legge scompaiono):
infatti, la punibilità è comunque esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del
risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5 per cento o una
variazione del patrimonio netto non superiore all’1 per cento.
In ogni caso il fatto non è punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10 per cento da quella corretta.
In questi casi, scatta una sanzione amministrativa (da uno a cento quote), l’interdizione dagli uffici direttivi da sei mesi a tre anni, e da una serie di cariche societarie (come amministratori, sindaci, liquidatori, dirigenti con funzioni anche contabili).
Ora, invece, si cambia rotta: il nuovo articolo 2621 codice civile prevede alcune modifiche della diminuzione della pena da un terzo a due terzi per colui che, responsabile di specifici
delitti contro la P.A. (artt. 318, 319, 319-ter e quater, 320, 321, 322 e 322-bis c.p.), si sia
efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze
ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione degli altri responsabili
ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite.
2 – sospensione condizionale
Si subordina, all’art. 165 c.p., l’accesso alla sospensione condizionale della pena per un
catalogo di reati contro la P.A. (artt. 314, 317, 318, 319, 319-ter e quater, 320 e 322-bis
c.p.) al pagamento, a titolo di riparazione pecuniaria di una somma equivalente al profiitto del reato ovvero all’ammontare di quanto indebitamente percepito, fermo restando il diritto all’eventuale risarcimento del danno
3 – concussione
Si modifica la fattispecie di concussione (art. 317 c.p.), ampliandone l’ambito soggettivo
di applicazione per ricomprendervi anche “l’incaricato di un pubblico servizio”, così tornando alla formulazione ante-legge Severino (L. 190/2012).
4 – riparazione pecuniaria
Si inserisce nel codice penale l’art. 322-quater che stabilisce che, con la sentenza di
condanna per un delitto contro la p.a., venga sempre ordinato il pagamento di una somma pari all’ammontare di quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale (o dall’incaricato di un pubblico servizio) a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione di appartenenza, ovvero, in caso di corruzione in atti giudiziari, in favore dell’amministrazione della giustizia, restando impregiudicato il diritto al risarcimento del danno.
5 – associazione mafiosa
Si introduce un aumento generalizzato delle pene per il reato di associazione mafiosa
(art. 416-bis c.p.).
6 – patteggiamento
Si modifica la disciplina del patteggiamento, per condizionare l’accesso al rito speciale, con riguardo ai procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A., alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato
7 – Autorità anticorruzione
Si pongono in capo al PM che esercita l’azione penale per reati contro la pubblica amministrazione obblighi informativi nei confronti del Presidente dell’ANAC (Autorità nazionale anticorruzione).
8 – Legge
Severino Si apportano alcune modifiche alla legge Severino (L. n. 190/2012). fattispecie (in relazione al dolo, alla rilevanza dei fatti esposti e della loro concretezza ad indurre in errore i destinatati delle comunicazioni) e stabilisce che il reato è sempre punito come delitto con pene detentive che possono andare da 1 a 5 anni (il limite di pena non consente, però, l’uso delle intercettazioni).
La nuova legge prevede anche casi in cui si applicano pene ridotte:
– se i fatti sono di lieve entità la pena va da un minimo di 6 mesi a un massimo di 3 anni
(nuovo art. 2621-bis); la lieve entità viene valutata dal giudice, in base alla natura e alle
dimensioni della società e alle modalità o gli effetti della condotta dolosa;
– la stessa pena ridotta (da 6 mesi a 3 anni) si applica nel caso in cui il falso in bilancio riguardi le società che non possono fallire (quelle che non superano i limiti indicati dal secondo comma dell’articolo 1 della legge fallimentare). In questo caso, il reato è perseguibile a querela di parte (della società, dei soci, dei creditori o degli altri destinatari della comunicazione sociale) e non d’ufficio.
Inoltre:
– con l’introduzione di un nuovo art. 2621-ter, si prevede una ipotesi di non punibilità per
particolare tenuità del falso in bilancio;
– vengono inasprite le sanzioni pecuniarie previste dal D.Lgs n. 231/2001 (art. 25-ter) a carico delle società per il falso in bilancio di cui all’art. 2621 c.c. (da 200 a 400 quote, invece delle 100 – 150 attuali); per il falso in bilancio di lieve entità le sanzioni pecuniarie sono, invece, stabilite tra 100 e 200 quote.
Infine, si modifica l’art. 2622 c.c. ovvero la disciplina del falso in bilancio nelle società
quotate.
Tale norma civilistica, nella versione attuale riguarda il falso in bilancio in danno della società, dei soci o dei creditori e prevede una detenzione da sei mesi a 3 anni.
La norma, così come esce modificata dalla nuova legge, presenta le seguenti novità:
– riferisce l’illecito alle società quotate aumentando la pena (reclusione da 3 a 8 anni);
– trasforma il falso in bilancio in reato di pericolo anziché (come è previsto attualmente) di
danno, la procedibilità è d’ufficio (anziché a querela);
– come nel falso in bilancio delle società non quotate, elimina le soglie di non punibilità.
Infine, alle società quotate vengono equiparate: le società emittenti strumenti finanziari per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea, le emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione italiano, le società che controllano società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea, e le società che fanno appello al pubblico risparmio o che comunque lo gestiscono.
Anche in tal caso, aumentano le sanzioni pecuniarie previste dal citato D.Lgs. n. 231/2001, che – per il falso i bilancio nelle società quotate – vanno da 400 a 600 quote (dalle attuali 150-330).
Tabella – Falso in bilancio
Copyright © – Riproduzione riservata
Come è Come sarà
– società quotate: reclusione fra i 6 mesi e i 3 anni;
– aziende non quotate: arresto fino a due anni, con casi di esclusione della punibilità.
società quotate: reclusione da 3 a 8 aziende non quotate: reclusione da 1 a 5 anni nessuna causa di esclusione della punibilità

730 integrativo a più mani

L’invio diretto del 730 integrativo da parte del contribuente può avvenire solo nel caso in cui il primo sostituto respinge il 730/4

Non rimane ancora molto tempo ai contribuenti che intendono presentare il “mod. 730 integrativo”. Infatti, qualora questi ultimi si accorgono di aver presentato un mod. 730 precompilato dal quale risulti un maggior credito o minor debito d’imposta, possono presentare il c.d. “730 integrativo” entro lunedì prossimo (26 ottobre 2015), anche se l’originario modello è stato presentato direttamente o tramite il sostituto d’imposta. Tale data, in particolare, vale esclusivamente per i mod. 730 dai quali si accerti un maggior credito o minor debito d’imposta; in questo caso, infatti, si parla di dichiarazione “a favore”.

A tal fine, è necessario che il sostituto errato prima deve procedere al respingimento del 730/2014 e soltanto dopo il contribuente può procedere alla trasmissione diretta dell’integrativa.

Mod. 730 integrativo – Premesso che il mod. 730 integrativo può essere presentato solo da un Caf o da un professionista abilitato, anche se precedentemente il contribuente era stato assistito dal sostituto, il nuovo dichiarativo va compilato un tutte le sue parti, indicando il codice “1” sul frontespizio in corrispondenza della casella “730 integrativo”.

Tuttavia qualora il sostituto d’imposta, accortosi della propria incompetenza nel ricevere il 730/4, abbia espressamente respinto la comunicazione ricevuta nella propria area riservata, il contribuente può trasmettere il 730 integrativo anche direttamente attivando l’apposita opzione all’interno della propria area dedicata del sistema Entratel. In particolare, lo scarto del 730/4 ricevuto da parte del primo sostituto fa automaticamente partire una mail informativa al contribuente, rendendo così operativa l’area riservata a quest’ultimo; in caso contrario, ossia in caso di mancato scarto del mod. 730/4 del primo sostituto, il contribuente deve rivolgersi a un CAF o professionista abilitati.

A tal proposito, appare opportuno ricordare che se il contribuente presenta una dichiarazione integrativa, deve esibire la documentazione relativa all’integrazione effettuata per permettere al CAF o al professionista abilitato di effettuare il controllo della conformità.
Tuttavia se il Caf o l’intermediario è lo stesso cui a suo tempo era stata consegnata la dichiarazione semplificata, deve essere esibita solo la documentazione relativa all’integrazione. Se invece il mod. 730 è stato precedentemente elaborato dal sostituto d’imposta o da un diverso CAF/professionista, il contribuente deve esibire al CAF/professionista abilitato tutta la documentazione necessaria per il controllo di conformità.

Ai fini operativi, si evidenzia che:
• va indicato il codice “2”, nel caso in cui l’integrazione della dichiarazione dovesse avvenire solo per fornire dati, o correggere quelli già indicati, necessari per identificare il sostituto d’imposta che effettuerà il conguaglio;
• il codice “3”, nel caso in cui il contribuente si dovesse accorgere di non aver fornito non solo tutti i dati del sostituto che effettuerà il conguaglio ma anche altri elementi da indicare in dichiarazione.

Autore: Redazione Fiscal Focus

– Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Stabilità 2016 e imprese: super ammortamenti e taglio IRES

Stabilità 2016 e imprese: super ammortamenti e taglio IRES – Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Due importanti misure inserite nella Legge di Stabilità per il 2016 per le imprese. Si tratta della riduzione dell’aliquota IRES e un super ammortamento sull’acquisto di beni strumentali da parte delle imprese.

Taglio IRES: 2016 o 2017? – Per quanto riguarda il taglio dell’IRES, nel disegno di legge viene rinviato al 2017 il taglio dal 27,5% al 24% dell’IRES, salvo anticipare la riduzione al 2016 se verrà concessa una maggiore flessibilità nei conti da parte dell’Unione europea.
In particolare ciò sarà possibile se la Commissione Ue riconoscerà lo 0,2% di flessibilità sul deficit, circa 3,3 miliardi, per l’evento migratorio eccezionale. Come sottolineato dal Ministro Padoan nella lettera inviata all’UE “il costo degli eventi eccezionali migratori è pari a 3,1 miliardi, 0,2 del Pil. E ove questa clausola sia riconosciuta, noi anticiperemo al 2016 misure che abbiamo già previsto per il 2017, segnatamente l’Ires, segnatamente i denari per ulteriori investimenti sull’edilizia scolastica. Si tratta, in attesa di Bruxelles, di un’approvazione condizionata”.

Dunque la volontà è quella di anticipare il taglio dell’IRES al 2016, ma questo sarà possibile solo nel rispetto del rapporto deficit/PIL stabilito tempo a dietro con gli organi europei.

Tuttavia, anche lo 0,2% di deficit in più non basterebbe per l’intero taglio dell’IRES nel 2016. Si dovrà pertanto procedere in due tappe: un taglio di 1,5% nel 2015 e la restante parte nel 2017.

E la tassazione dei dividendi… – Non va dimenticato che per non “sterilizzare” gli effetti positivi del taglio dell’aliquota IRES sarà necessario aumentare la percentuale di non imponibilità dei dividendi ora fissata al 49,72% per le partecipazioni qualificate. Se così non fosse, si ribalterebbe (parzialmente) il costo della riduzione IRES sui soci della società.

Super ammortamenti per i beni acquistati dal 15 ottobre – Altra misura favorevole alle imprese è quella che mira a consentire il super ammortamento al 140% che dovrà essere ripartita in modo lineare sulla vita utile del bene.

Da quanto si apprende la misura agevolativa si applicherà ai beni acquistati nel 2016 e anche quelli acquisti nell’ultimo trimestre del 2015 a partire dal 15 ottobre.
Per quanto riguarda l’ambito soggettivo, ad ora potrebbero fruire dell’agevolazione anche i professionisti. Dall’ambito oggettivo dovrebbe essere esclusi gli immobili. Così come accaduto nella precedente agevolazione per l’acquisto di macchinari (art. 18, D.L. 91/2014, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 144 del 24.06.2014, conv. con mod. dalla L. 116/2014 pubb. G.U. del 20.08.2014), gli investimenti che dovrebbero dar diritto all’agevolazione sono solo quelli:
nuovi, nel senso che non devono essere stati, a qualunque titolo, già utilizzati;
compresi nella divisione 28 della tabella Ateco 2007.

Rispetto alla precedente versione non dovrebbero essere presenti limiti quantitativi.

Da un punto di vista pratico, per l’acquisto di un bene agevolabile con costo fiscale di 100, ammortizzabile al 10% in 10 anni, si potrà fruire di una maggiore deduzione del 4%, con un aliquota complessiva di ammortamento per ciascun periodo d’imposta del 14%. In sostanza, si potrà dedurre un ammortamento pari a 14 in luogo di un ammortamento di 10. Il maggior ammortamento risulterebbe pari a 40 nei dieci anni.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Legge di Stabilità 2016: tutte le novità fiscali!

Legge di Stabilità 2016: tutte le novità fiscali! – Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Per approfondire consulta la Fiscal Approfondimento n. 38 del 20.10.2015

È stato approvato nel Consiglio dei Ministri del 15.10.2015 il disegno di Legge di Stabilità 2016. L’annuncio è arrivato con 25 tweet da parte del Premier Matteo Renzi, che riassumono i principali interventi contenuti nella Legge di Stabilità. Analizziamo quali sono i principali interventi contenuti nella Legge di Stabilità, evidenziando sin da ora che si tratta solo di un disegno di legge che viene trasmesso alle Camere per proseguire il normale iter parlamentare che porterà all’approvazione definitiva. In questo iter, il disegno di legge potrà subire modifiche, delle quali vi daremo conto in modo tempestivo. 
IMU – Abolizione dell’imposta sull’abitazione principale, anche sulle case di lusso adibite ad abitazione principale, nonché sui terreni agricoli (in questo caso vi sono delle modifiche importanti sulle norme già a suo tempo introdotte) e abolizione dell’imposta sui c.d. macchinari imbullonati tramite una procedura particolare che li esclude dal novero della rendita catastale.

TASI – Scompare la TASI nelle seguente situazioni:
• in caso di immobile destinato dal proprietario ad abitazione principale per sé e la propria famiglia;
• in caso di immobile affittato dal proprietario, ma destinato dall’inquilino (possessore) ad abitazione principale per sé e per i propria famiglia.

Taglio aliquota IRES – Previsto dal 2017 il taglio dal 27,5% al 24% dell’IRES, salvo anticipare la riduzione al 2016 se verrà concessa una maggiore flessibilità nei conti da parte dell’Unione europea.

Super ammortamenti per i beni acquistati dal 15 ottobre – Altra misura favorevole alle imprese è quella che mira a consentire il super ammortamento al 140% che dovrà essere ripartita in modo lineare sulla vita utile del bene. Da quanto si apprende la misura agevolativa si applicherà ai beni acquistati nel 2016 e anche quelli acquisti nell’ultimo trimestre del 2015 a partire dal 15 ottobre.
Aumento del limite dei ricavi per i forfettari – Nella bozza della Legge di Stabilità 2016 vengono introdotti dei nuovi limiti di ricavi per il regime forfettario aumentando le attuali soglie (diversificati sulla base dell’attività svolta) con un incremento di 10.000 euro per tutti che diventa di 15.000 euro per i professionisti aumentando così il limite per quest’ultimi a 30.000 euro.

Bonus edilizi prorogati per il 2016 – Il disegno di Legge di Stabilità 2016 varato dal governo nella giornata di giovedì 15 ottobre proroga di un anno, fino al 31 dicembre 2016, la detrazione Irpef del 65% per gli interventi di efficientamento energetico e del 50% per le ristrutturazioni e l’acquisto di mobili ed elettrodomestici.

Sale il limite del contante – Tra le novità dell’ultima ora contenute nel disegno di Legge di Stabilità 2016 spicca l’aumento del limite del contante dai 999,99 euro attuali a 3.000,00 euro.

Assegnazione beni ai soci: nuova opportunità – Il Legislatore reintroduce la possibilità di far fuoriuscire gli immobili pagando una imposta sostitutiva:
• delle imposte sui redditi e dell’IRAP pari all’8%;
• che diventa dal 10,5% se la società risulta di comodo in almeno due dei tre periodi di imposta precedenti a quello in corso al momento della assegnazione. Nelle precedenti versione della norma le società di comodo erano escluse dalla possibilità di fruire della norma agevolativa.

Per quanto riguarda il socio, si prevede che l’eventuale distribuzione di utili in natura sia esclusa dall’ambito applicativo dell’art. 47 del Tuir.
Rivalutazione dei beni aziendali e rivalutazione di quote e terreni da parte delle persone fisiche – Relativamente alla rivalutazione di quote e terreni il disegno di legge ripropone la possibilità, per le persone fisiche, le società semplici e gli enti non commerciali, di rideterminare il costo di acquisto di terreni e partecipazioni che possono produrre effetti sulla determinazione delle plusvalenze tassabili, ai sensi dell’art. 67, D.P.R. 917/1986 (Tuir).

Per quanto riguarda la rivalutazione dei beni d’impresa il d.d.l. di stabilità 2016 prevede:

• l’adeguamento dei valori di beni e partecipazioni già risultanti dal bilancio dell’esercizio 2014 e ancora posseduti al termine di quello successivo;
• il versamento di un’imposta sostitutiva:
– del 16% per i beni ammortizzabili;
– del 12% per quelli non ammortizzabili (terreni e partecipazioni).
• la possibilità di affrancare la riserva in sospensione d’imposta contabilizzata a fronte della rivalutazione versando un ulteriore tributo del 10 per cento.

Iva ridotta anche per i quotidiano on line – Una delle novità introdotte dalla Legge dì Stabilità 2016 riguarda l’applicazione dell’aliquota ridotta IVA anche per giornali, notiziari quotidiani, dispacci delle agenzie di stampa, libri e periodici diffusi on line. È quanto previsto dall’attuale art. 44 del disegno di Legge di Stabilità 2016 approvato nel Consiglio dei Ministri dello corso 15.10.2015.
Canone RAI in bolletta – Si prevede una riduzione progressiva della tassa, nel senso che per il primo anno (2016) l’ammontare del canone sarà di 100 euro, contro gli attuali 113,50, e (se la misura si rileverà efficace) l’importo scenderà a 95 euro nel 2017. Spetterà a un decreto del Ministero dello Sviluppo economico, che dovrà essere emanato entro 45 giorni dall’entrata in vigore della Legge di Stabilità (1° gennaio del 2016), individuare i criteri per l’attuazione della misura, oltreché stabilire le modalità per riversamento all’Erario delle somme incassate dai vari operatori del settore dell’energia.

Riforma sanzioni amministrative – Anticipo di un anno dell’entrata in vigore delle nuove e più favorevoli misure in tema di sanzioni amministrative tributarie. Se l’intervento verrà confermato, già dal 1° gennaio prossimo troveranno applicazione per molte violazioni la riduzione delle sanzioni tracciata nel segno della proporzionalità dal decreto legislativo 158/2015 pubblicato in «Gazzetta Ufficiale» appena 10 giorni fa.

IRAP in agricoltura e pesca – Abrogazione IRAP per attività agricole e di pesca.

Iva e procedure concorsuali – Si da la possibilità di rettificare l’imposta sul valore aggiunto al momento dell’apertura del fallimento del soggetto debitore e non sarà più necessario attendere la ripartizione dell’attivo fallimentare. Un’accelerazione che di fatto si traduce in una maggiore chance di liquidità per i creditori in quanto possono detrarre l’Iva dall’importo dovuto (e quindi versare di meno) o chiederla a rimborso. In questo modo, tra l’altro, si realizzerebbe un intervento in continuità con quanto già avvenuto per le imposte dirette, per le quali la deduzione delle perdite su crediti non riscossi può avvenire all’apertura del fallimento.

Art-bonus – Viene reso permanente e fissato al 65% lo sconto fiscale introdotto dall’art bonus, il credito d’imposta a favore di chi aiuta la cultura.

Tax credit per il cinema e l’audiovisivo – Rifinanziato il fondo per il tax credit per il cinema e l’audiovisivo.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Stabilità 2016: Iva ridotta anche per i quotidiani on line

Una delle novità introdotte dalla Legge dì Stabilità 2016 riguarda l’applicazione dell’aliquota IVA ridotta anche per giornali, notiziari quotidiani, dispacci delle agenzie di stampa, libri e periodici diffusi on line. E’ quanto previsto dall’attuale art. 44 del disegno di Legge di Stabilità 2016 approvato nel Consiglio dei Ministri dello scorso 15.10.2015.
Il precedente intervento del Legislatore – Con Il co. 667 della Legge di Stabilità 2015 (L. 190/2014) era stato disposto che “ai fini dell’applicazione della tabella A, parte II, numero 18), allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, sono da considerare libri tutte le pubblicazioni identificate da codice ISBN e veicolate attraverso qualsiasi supporto fisico o tramite mezzi di comunicazione elettronica”.
Con la richiamata disposizione dunque si forniva una interpretazione autentica di ciò che è da considerarsi libro. Con il citato intervento legislativo si provvede ad estendere l’aliquota ridotta, a partire dal 1° Gennaio 2015, ai libri (ma non anche le altre pubblicazioni editoriali, prive del codice Isbn) veicolati tramite mezzi di comunicazione elettronica, ossia diffusi on line.
Di conseguenza, l’aliquota IVA del 4% è stata applicata dal 1° gennaio 2015 ai libri elettronici ai sensi della normativa italiana, in riferimento esclusivamente alle prestazioni territorialmente rilevanti in Italia. Da evidenziare che la suddetta misura contrasta con l’art. 98, par. 2, della direttiva 2006/112/Ce. La richiamata disposizione consente agli Stati membri di applicare aliquote ridotte unicamente alle operazioni relative a determinati beni e servizi specificamente indicati nell’allegato III alla direttiva stessa. In tale elenco non sono compresi gli e – book.
L’estensione dell’aliquota ridotta ai quotidiani on line – Con il nuovo intervento Legislativo si mira ad estendere l’aliquota ridotta non solo ai libri diffusi elettronicamente, così come previsto dalla Legge di Stabilità 2015, ma anche ai giornali, notiziari quotidiani, dispacci delle agenzie di stampa, e periodici diffusi on line.
Gli effetti della nuova misura – Con tale intervento si vuole raggiungere il principale effetto di ridurre i costi: questo perché allo stato attuale le pubblicazioni on line in questione scontano l’aliquota IVA ordinaria (22%). Con l’applicazione dell’aliquota IVA ridotta (4%) si otterrebbe una riduzione del prezzo dei prodotti editoriali on line, visto che l’Iva è assolta a monte dall’editore ma si scarica a valle sul prezzo per i consumatori.
Autore: Redazione Fiscal Focus

ENC: modello INTRA 12 dalla prossima liquidazione

L’Agenzia delle Entrate ha approvato il nuovo modello INTRA 12, con le relative istruzioni, che deve essere utilizzato – a decorrere dal 1° ottobre 2015 –

Con il provvedimento del 25 agosto 2015 l’Amministrazione Finanziaria ha dato il via libera al nuovo modello Intra – 12. L’adozione del nuovo modello si è resa necessaria al fine adeguare la nuova modulistica a seguito delle modifiche introdotte all’art. 49 del D.L. n. 331/1993, che disciplina tale adempimento, dalla Legge n. 228/2012 (la Finanziaria del 2013) la quale ha previsto che la presentazione del modello Intra – 12 debba essere effettuata entro la fine di ciascun mese indicando l’ammontare degli acquisti registrati con riferimento al secondo mese precedente (e quindi non più per gli acquisti registrati nel mese precedente). 
Ambito soggettivo – Il nuovo modello INTRA 12 deve essere utilizzato dai seguenti soggetti:
– gli enti, associazioni, altre organizzazioni di cui all’art. 4 comma 4 del D.P.R. n. 633/1972 (enti non commerciali), non soggetti passivi d’imposta ed i produttori agricoli in regime di esonero che hanno effettuato acquisti intracomunitari di beni oltre il limite di 10.000 euro previsto dall’art. 38 comma 5 lett. c) del D.L. n. 331/1993, ovvero qualora in relazione a tali acquisti abbiano optato per l’applicazione dell’iva in Italia;
– gli enti, associazioni, altre organizzazioni di cui all’art. 4 comma 4 del D.P.R. n. 633/1972 (enti non commerciali), non soggetti passivi d’imposta e produttori agricoli in regime di esonero che sono tenuti ad assumere la qualifica di debitori d’imposta per acquisti di beni e servizi da soggetti non residenti mediante l’applicazione del meccanismo del reverse charge
– gli enti non commerciali soggetti passivi Iva, limitatamente alle operazioni di acquisto realizzate nell’esercizio di attività non commerciali
Le operazioni da indicare – Le istruzioni precisano che il nuovo Intra – 12 deve essere presentato entro la fine di ciascun mese per comunicare l’ammontare:
• degli acquisti intracomunitari di beni le cui fatture sono state ricevute il secondo mese precedente a quello di presentazione della dichiarazione;
• degli acquisti dei beni e servizi relativi a cessioni e prestazioni effettuate nel territorio dello Stato da soggetti passivi stabiliti in un altro Stato membro dell’Unione europea, le cui fatture sono state ricevute il secondo mese precedente a quello di presentazione della dichiarazione ai sensi dell’art. 17 comma 2, secondo periodo del D.P.R. n. 633/72;
• degli acquisti dei beni e servizi relativi a cessioni e prestazioni effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non stabiliti in uno Stato membro dell’Unione europea, effettuati nel secondo mese precedente a quello di presentazione della dichiarazione per i quali il dichiarante ha emesso autofattura ai sensi dell’art. 17 comma 2, primo periodo del D.P.R. n. 633/72);
• degli acquisti intracomunitari per i quali è stata emessa autofattura ai fini della regolarizzazione dell’operazione, ai sensi dell’art. 46 comma 5 del DL n. 331/93, nel secondo mese precedente a quello di presentazione della dichiarazione.
I citati soggetti devono presentare il citato modello per effettuare le seguenti operazioni:
– comunicare l’ammontare degli acquisti intraUE di beni;
– comunicare l’ammontare degli acquisti di beni / servizi ricevuti da soggetti non stabiliti in Italia;
– comunicare l’ammontare dell’IVA dovuta;
– indicare gli estremi del relativo versamento.

Le novità del modello INTRA 12 – Tra le novità del nuovo modello, si segnala che:
– è stato eliminato il campo riservato all’indicazione dell’Ufficio competente; sono stati eliminati i campi relativi alla residenza nello Stato estero nella Sezione “Dichiarante diverso dal contribuente”;
– è stato eliminato il campo per l’indicazione, da parte del CAF, del numero di iscrizione all’Albo, nella Sezione “Impegno alla presentazione telematica”;
– è stata modificata la dicitura “Comunità” in “Unione Europea” nella Sezione “Acquisti”.

Autore: Gioacchino De Pasquale