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ELIMINATA L’IMU SUGLI IMBULLONATI

Con la circolare n. 2 le Entrate dettano le istruzioni

Premessa – Escono dal calcolo della rendita catastale i macchinari, i congegni, le attrezzature ed altri impianti funzionali ad uno specifico processo produttivo, ovvero i cosiddetti “imbullonati”. È questa l’innovazione che la Legge di Stabilità 2016 ha introdotto in tema di determinazione della rendita catastale dei fabbricati di categoria D ed E, ovvero le unità immobiliari urbane a destinazione speciale e particolare.

Circolare n. 2/E/2016 – Dal 1° gennaio 2016, come chiarisce la circolare 2/E di ieri, nel processo estimativo, per esempio, di industrie, centrali o stazioni elettriche, non saranno più inclusi le turbine, gli aerogeneratori, i grandi trasformatori, gli altiforni, così come tutti gli impianti che costituiscono le linee produttive presenti nell’unità immobiliare, indipendentemente dalle loro tipologia, rilevanza dimensionale o modalità di connessione. Del pari, sono esclusi dalla stima i pannelli fotovoltaici, ad eccezione di quelli integrati sui tetti e nelle pareti della struttura che non possono essere smontati senza rendere inutilizzabile la copertura o la parete cui sono connessi.

Aggiornamento – Per le unità già censite è possibile presentare atti di aggiornamento, non connessi alla realizzazione di interventi edilizi sul bene, solo per rideterminare la rendita catastale, escludendo dalla stessa eventuali componenti impiantistiche che, secondo i nuovi criteri, non sono più oggetto di stima diretta.

Modalità per il calcolo della rendita catastale – In pratica, d’ora in avanti, per gli immobili a destinazione speciale e particolare, la stima diretta si effettuerà tenendo conto del suolo, delle costruzioni e degli elementi strutturalmente connessi (come impianti elettrici e di areazione, ma anche ascensori, montacarichi, scale mobili), senza più considerare i macchinari, i congegni, le attrezzature e gli altri impianti funzionali al processo produttivo, che non conferiscono all’immobile un’utilità apprezzabile anche in caso di modifica dell’attività al suo interno. Con la nuova norma vengono quindi meno le criticità interpretative talora riscontrate nel processo tecnico-estimativo di determinazione della rendita dei fabbricati produttivi, grazie alla definizione univoca delle tipologie di macchinari e impianti escluse dalla stima diretta.

Aggiornamento scatta entro il 15 giugno – La circolare specifica che la nuova disposizione non ha valore di interpretazione autentica ed esplica, pertanto, i suoi effetti solo a decorrere dal 1° gennaio 2016. È però possibile presentare atti di aggiornamento catastale per escludere eventuali componenti impiantistiche che, secondo i nuovi criteri, non fanno più parte della stima diretta. Se la dichiarazione di variazione viene presentata correttamente in catasto entro il 15 giugno 2016, la nuova rendita catastale avrà valore fiscale fin dal 1° gennaio 2016 per il calcolo dell’imposta municipale propria.

Online la nuova versione Docfa – Da ieri viene resa disponibile sul sito internet dell’Agenzia la nuova versione 4.00.3 della procedura Docfa, con le relative istruzioni operative, seguendo il percorso Home > Cosa devi fare > Aggiornare dati catastali e ipotecari > Aggiornamento Catasto fabbricati – Docfa. La nuova versione deve essere obbligatoriamente utilizzata, a partire dal 1° febbraio 2016, per gli atti di aggiornamento del Catasto Edilizio Urbano finalizzati alla rideterminazione della rendita catastale per scorporo degli impianti. Per tutte le altre dichiarazioni, in via transitoria, è consentito utilizzare anche la versione precedente (4.00.2) del software Docfa, fino alla fine del mese di marzo 2016.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

TELEFISCO 2016 – AGEVOLAZIONE PRIMA CASA: I CHIARIMENTI

Nel corso di Telefisco 2016 è stata affrontata la recente novità legislativa introdotta con la Legge di Stabilità 2016 concernente l’ottenimentodell’agevolazione prima casa. Con la Legge di Stabilità 2016 si è ampliata la possibilità di fruire dell’agevolazione in questione, prevedendo che si possa ottenere l’aliquota ridotta anche nel caso in cui l’acquirente detenga un immobile acquisto con l’agevolazione prima casa a patto che si provveda alla sua cessione entro un anno dalla data di stipula dell’atto con il quale viene acquistato il “nuovo” immobile.

I requisiti prima casa ante e post Legge di Stabilità 2016 – Per usufruire dell’agevolazione prima casa, devono essere rispettati i seguenti requisiti:

  • non deve trattarsi di immobile di lusso;
  • devono essere soddisfatti i requisiti di cui alla nota II-bis) all’articolo 1, della tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. 131/1986.

Tali ultimi requisiti sono:

  1. Immobile ubicato nelterritoriodelcomuneincui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquistolapropria residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirentesvolgelapropria attività ovvero, se trasferito all’estero per ragioni di lavoro, inquello in cui ha sede o esercita l’attività il soggetto da cui dipende ovvero, nel caso in cui l’acquirente sia cittadino italianoemigratoall’estero,che l’immobile sia acquisito come prima casa sul territorioitaliano.La dichiarazione di voler stabilire la residenza nel comune ove è ubicato l’immobile acquistatodeveessereresa,apenadidecadenza, dall’acquirente nell’atto di acquisto;
  2. Nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare;
  3. L’acquirente non deve essere titolare di un’altra abitazione, ovunque ubicata, che sia stata acquistata con l’agevolazione prima casa;
  4. L’agevolazione è subordinata al fatto che la casa acquistata con il beneficio fiscale non sia ceduta per almeno un quinquennio oppure che, se ceduta prima del decorso del quinquennio, entro un anno sia acquista altra prima casa.

Come si evince dall’elencazione riportata, la lettera b) preclude l’agevolazione prima casa se si è titolare del diritto di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare, mentre la lettera c) preclude l’agevolazione prima casa nel caso di possesso di altro immobile acquisto con l’abitazione prima casa in tutto il territorio nazionale.

La Legge di Stabilità 2016 introduce un nuovo punto 4-bis, alla nota II bis, dell’art. 1, della parte prima della Tariffa allegata al D.P.R.131/1986, la quale prevede che ove l’acquirente detenga un immobile acquisto con l’abitazione prima casa per fruire dell’agevolazione deve provvedere alla sua cessione entro un anno dalla data di stipula dell’atto con il quale viene acquistato il “nuovo” immobile.

I chiarimenti di Telefisco 2016 – Non era chiaro se l’estensione dell’agevolazione prima casa riguardasse soltanto gli atti soggetti a imposta proporzionale di registro o anche gli atti soggetti ad IVA. Su tale questione l’Amministrazione Finanziaria ha chiarito che le novità inserite nel corpo della disciplina prima casa, nell’ambito della Nota II-bis richiamata si applicano anche nell’ipotesi in cui il nuovo acquisto sia imponibile Iva.
La modifica delle condizioni stabilite dalla Nota II-bis esplica, quindi effetti anche ai fini dell’applicazione dell’aliquota agevolata Iva del 4 per cento.

E’ stato altresì chiarito che la modifica delle condizioni stabilite dalla Nota II-bis esplica, effetti anche ai fini dell’applicazione delle agevolazioni “prima casa” in sede di successione o donazione.
Resta inteso che, nell’atto di donazione o nella dichiarazione di successione con cui si acquista il nuovo immobile in regime agevolato, dovrà risultare l’impegno a trasferire entro un anno l’immobile preposseduto.

E’ stato infine chiarito che per gli atti conclusi prima del 31.12.2015 non può essere richiesto il rimborso delle eventuali maggiori imposte versate rispetto a quelle che sarebbero state dovute in applicazione delle nuove disposizioni né spetta un credito d’imposta.

Il credito d’imposta per il riacquisto della prima casa – Altra questione sulla quale l’Amministrazione Finanziaria ha offerto dei chiarimenti riguarda il credito d’imposta per il riacquisto della prima casa.

L’articolo 7, commi 1 e 2, della Legge 23 dicembre 1998, n. 448 stabilisce l’attribuzione di un credito d’imposta a favore dei contribuenti che, entro un anno dalla vendita dell’immobile, acquistato con i benefici ‘prima casa’, provvedano ad acquisire un’altra casa di abitazione, per la quale ricorrono le condizioni di cui alla nota II bis all’articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al Testo unico dell’imposta di registro, approvato con il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (TUR).

Alla luce delle modifiche introdotte alle agevolazioni “prima casa”, il dubbio era se si potesse fruire di detto credito d’imposta nel caso in cui il contribuente effettui il nuovo acquisto prima di vendere la casa preposseduta.

A parere dell’Amministrazione Finanziaria, alla luce delle modifiche che hanno interessato la normativa in materia di “prima casa” deve ritenersi che il credito di imposta in questione spetti al contribuente anche nell’ipotesi in cui proceda all’acquisto della nuova abitazione prima della vendita dell’immobile preposseduto. Una diversa interpretazione – afferma l’Agenzia – non risulterebbe, infatti, coerente con la ratio della riforma che ha inteso agevolare la sostituzione della “prima casa”, introducendo una maggiore flessibilità nei tempi previsti per la dismissione dell’immobile preposseduto.
All’atto di acquisto del nuovo immobile con le agevolazioni ‘prima casa’ il contribuente potrà, quindi, fruire del credito di imposta per l’imposta dovuta in relazione al nuovo acquisto nel limite, in ogni caso, dell’imposta di registro o dell’imposta sul valore aggiunto corrisposte in occasione dell’acquisizione dell’immobile preposseduto.

AUTORE: GIOACCHINO DE PASQUALE

TELEFISCO 2016 – STOP AGLI STUDI DI SETTORE PER CHI CESSA L’ATTIVITÀ

Premessa – Non saranno più necessari sia i modelli Ine sia quelli di comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore per i contribuenti che hanno cessato l’attività nel corso del periodo d’imposta o che si trovano in liquidazione ordinaria. Questo perché l’obiettivo di rilevare la presenza di ricavi o compensi non dichiarati, o di rapporti di lavoro irregolare, potrà essere comunque raggiunto con l’integrazione e l’analisi delle diverse banche dati, a cui accede l’Agenzia delle Entrate.

Modelli studi di settore – In anticipo di quattro mesi rispetto allo scorso anno, arrivano sul sito dell’Agenzia, dopo la fase di test, i 204 modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, da utilizzare per la dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta 2015. Con il provvedimento di approvazione del 29 gennaio sono definite, inoltre, le caratteristiche tecniche di stampa. I modelli, in particolare, riguardano: 51 studi relativi ad attività economiche del settore delle manifatture; 60 studi relativi ad attività economiche del settore dei servizi; 24 studi relativi ad attività professionali; 69 studi relativi ad attività economiche del settore del commercio. I contribuenti che nel periodo d’imposta 2015 hanno esercitato le attività “altre creazioni artistiche e letterarie” (codice 90.03.09) e “fabbricazione di bigiotteria e articoli simili n.c.a.” (codice 32.13.09), devono compilare i relativi modelli, VK28U e WD33U, per la sola acquisizione di dati.

Cessazione attività – La novità più importante è data dall’eliminazione dell’obbligo di presentare i modelli Ine (Indicatori di normalità economica) e il modello di comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore per i contribuenti che hanno cessato l’attività nel corso del periodo d’imposta o che si trovano in liquidazione ordinaria. Con riferimento all’anno d’imposta 2015, questi due adempimenti, infatti, risultano non più necessari poiché eventuali ricavi/compensi non dichiarati o rapporti di lavoro irregolare potranno essere efficacemente rilevati attraverso l’integrazione e l’analisi delle diverse banche dati a disposizione dell’Agenzia delle Entrate.

Super ammortamento – I modelli risultano inoltre aggiornati con le informazioni relative ai correttivi, individuate sulla base della metodologia presentata alla Commissione degli esperti lo scorso 2 dicembre e con le informazioni necessarie per gestire i “super-ammortamenti” introdotti dalla Stabilità 2016 (Legge 208/2015). In particolare sono stati introdotti nei righi F18 e F20 del modello imprese e nei righi G11 e G12 del modello per i professionisti i campi destinati a ospitare la quota parte degli ammortamenti imputabili al maggior costo ammortizzabile (40%) dei beni strumentali nuovi acquistati a partire dal 15 ottobre scorso.

Altre novità – Gli stessi quadri tengono inoltre conto dell’applicazione del regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità. Struttura semplificata, inoltre, per il quadro “F”: per gli studi evoluti per il periodo d’imposta 2015 è stato infatti accorpato il contenuto dei righi F14 e F15, come già fatto per gli studi evoluti per l’anno 2014, mentre nel quadro “X” è possibile rettificare il peso di alcune variabili.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

 

I FORFETTARI E “L’AUTOCONSUMO”

Fra i vari requisiti richiesti dall’art. 1 commi 54-89 Legge 190/2014 (c.d. Legge di Stabilità 2015) e successive modifiche apportate dalla Legge di Stabilità 2016, uno dei casi più critici riguarda la valutazione dei ricavi e/o compensi rilevati nel periodo di imposta precedente.
In particolare, occorre valutare se nel periodo di imposta 2015 il contribuente, corrispondentemente al proprio codice Atecofin, ha superato o meno la soglia massima dei ricavi previsti come tetto massimo.
La verifica dei requisiti di accesso di cui al comma 54 va effettuata avuto riguardo all’anno precedente quello di riferimento.
Pertanto con riferimento al 2016, le condizioni di accesso vanno verificate nel 2015 e, analogamente al regime dei minimi, andranno successivamente verificate anno per anno.
Fra i vari aspetti da considerare nel determinare i ricavi e compensi rilevati nel periodo di imposta 2015, va valutato il valore normale dei beni destinati al consumo personale o familiare del contribuente.
La Legge 190/2014, che ha introdotto nel nostro ordinamento il regime forfettario, nulla dispone in merito alla destinazione dei beni al consumo personale o familiare dell’esercente attività d’impresa, arte o professione.
Per analizzare la questione, occorre fare riferimento alla Circolare A.E. del 28 gennaio 2008, n.7/E, la quale ha fornito gli ulteriori chiarimenti in merito al funzionamento del regime fiscale dei contribuenti minimi. In particolare al punto 6.6 (autoconsumo) della succitata Circolare, l’Agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti in merito al quesito seguente:
“Si richiedono chiarimenti in merito al trattamento da riservare alle operazioni di destinazione al consumo personale o familiare di beni dell’impresa che potrebbero avvenire in costanza di applicazione del regime dei minimi.”
Risposta
Ai fini dell’imposta sul valore aggiunto le operazioni di destinazione al consumo personale o familiare di beni dell’impresa, che ordinariamente ai sensi dell’articolo 2, secondo comma, n. 5, del d.P.R. n. 633 del 1972, costituiscono operazioni rilevanti agli effetti del tributo qualora la relativa imposta assolta all’atto dell’acquisto sia stata detratta, nell’ambito del regime dei minimi sono effettuate senza applicazione dell’Iva, in conformità al disposto del comma 100, secondo cui i contribuenti minimi non addebitano l’imposta sul valore aggiunto a titolo di rivalsa.
Per converso, ai fini della determinazione del reddito, l’autoconsumo da parte di un soggetto che applica il regime dei contribuenti minimi trova disciplina nell’articolo 4 del decreto ministeriale del 2 gennaio 2008, secondo cui ai fini della determinazione della base imponibile “si applicano le disposizioni di cui agli articoli 54, comma 1-bis, lettera c), 57 e 58, comma 3, del citato testo unico, concernenti la destinazione dei beni al consumo personale o familiare dell’imprenditore o dell’esercente l’arte o la professione.”
L’Agenzia delle Entrate, nelle conclusioni al quesito, ha ribadito che “i ricavi e le plusvalenze relativi a beni destinati al consumo personale o familiare dell’esercente impresa, arte o professione concorreranno come componenti positive del reddito imponibile dei contribuenti minimi, anche se per tale destinazione non risultano percepiti ricavi o compensi”.
Per analogia, così come nel caso dei contribuenti minimi, occorre rifugiarsi nell’art. 4 del Decreto Ministeriale del 02 Gennaio 2008, in base al quale ai fini della determinazione della base imponibile assumono rilievo i contenuti di cui al Testo Unico delle imposte sui redditi art. 54, comma 1, lettera c) e articoli 57 e 58, comma 3.
Il contribuente che destina beni o servizi al consumo personale o dei suoi familiari, dovrà sommare il valore normale di tali beni o servizi, determinato in base all’art. 9 T.U.I.R, ai ricavi e compensi complessivamente conseguiti nel periodo di imposta.
Pertanto, l’autoconsumo rileva indipendentemente dalla percezione di un corrispettivo e va preso in considerazione ai fini della determinazione dei ricavi complessivi originati in un periodo di imposta, da confrontarsi con la soglia massima di ricavi prevista per quel determinato contribuente corrispondentemente al codice Atecofin che identifica l’attività esercitata.
Si può concludere che, in deroga al principio di cassa allargato, concorrono a formare il reddito anche i ricavi relativi ai beni destinati al consumo personale o familiare dell’esercente impresa arte o professione, ancorché sia assente la manifestazione finanziaria.
AUTORE: MASSIMILIANO BELLINI

 

COMUNICAZIONE ANNUALE DATI IVA: CONTABILITÀ SEPARATE

I soggetti che nel corso del 2015 hanno svolto più attività e che, per obbligo o per opzione, hanno adottato la contabilità separata ai sensi dell’art. 36, D.P.R. 633/1972 devono presentare un’unica Comunicazione, riportando i dati relativi a tutte le attività esercitate.

Se per una delle attività è previsto l’esonero dalla presentazione della Dichiarazione IVA annuale e, conseguentemente, della Comunicazione IVA,nella stessa vanno esposti soltanto i dati delle attività per le quali vige l’obbligo di presentazione del modello.

Compilazione Comunicazione – Innanzitutto è da sottolineare che l’esercizio di due attività separate nell’anno cui si riferisce la comunicazione verrà evidenziato barrando l’apposita casella “Contabilità separata” presente nella Sezioni I “Dati Generali”.

Inoltre, per quanto riguarda il codice di attività, in caso di svolgimento di più attività, andrà indicato il codice dell’attività prevalente, che ha realizzato un maggior volume d’affari nel periodo d’imposta.

Persone fisiche e limite volume d’affari – Un tema di particolare interesse per le persone fisiche che svolgono più attività gestite in contabilità separata, riguarda l’obbligo o l’esonero dalla presentazione della Comunicazione annuale dati IVA.

Si ricorda, infatti, che tra i soggettiesonerati dalla presentazione della Comunicazione annuale dati IVA vi rientrano le persone fisiche che hanno realizzato nel 2015 un volume d’affari inferiore o uguale ad € 25.000 ancorché tenuti a presentare la dichiarazione annuale.

Sul tema, le istruzioni alla compilazione della comunicazione annuale Iva, precisano che “ai fini della determinazione del volume d’affari realizzato nell’anno in cui la comunicazione dati si riferisce, il contribuente, come precisato con circolare n. 113 del 31 maggio 2000, deve fare riferimento al volume d’affari complessivo relativo a tutte le attività esercitate ancorché gestite con contabilità separate, comprendendo nel calcolo anche l’ammontare complessivo delle operazioni effettuate, registrate o soggette a registrazione nell’ambito dell’attività per la quale è previsto l’esonero dalla dichiarazione annuale Iva e, conseguentemente, dalla comunicazione dati“.

Di conseguenza, per stabilire se il soggetto è obbligato o meno alla presentazione della Comunicazione annuale dati IVA, dovrà far riferimento al volume d’affari complessivo.

Nel caso in cui una delle attività non superi il suddetto limite, inoltre, poiché entrambe le attività sono considerate nel computo del limite di euro 25.000, nella comunicazioneIva deve essere ricompresa la sommatoria delle risultanze contabili di entrambe le attività.

Produttori agricoli in regime di esonero – Un caso particolare è rappresentato dal produttore agricolo in regime di esonero che svolge anche attività commerciali.

In base all’art. 34, co. 6, D.P.R. 633/1972, tali soggetti se nell’anno solare precedente hanno realizzato o, in caso di inizio di attività prevedono di realizzare, un volume d’affari non superiore a 7.000 euro, costituito per almeno due terzi da cessioni di prodotti agricoli e ittici, sono esonerati dal versamento dell’imposta e da tutti gli obblighi documentali e contabili, (compresa la comunicazione annuale), fermo restando l’obbligo di numerare e conservare le fatture e le bollette doganali.

Da tenere in debita considerazione che nel caso in cui tali soggetti (persone fisiche) svolgono contemporaneamente anche altre attività commerciali,per stabilire se il soggetto è obbligato o meno alla presentazione della Comunicazione annuale dati IVA si dovrà tener conto del volume d’affari derivante dall’attività agricola anche se inferiore ad euro 7.000,00.

Ad esempio, se un contribuente svolge attività agricola con volume d’affari pari a Euro 5.000,00 e attività commerciale con volume d’affari pari a euro 21.000,00, lo stesso sarà obbligato alla presentazione della Comunicazione annuale dati IVA (volume d’affari superiore ad euro 25.000,00). I dati da inserire nella Comunicazione annuale riguardano però solo l’attività commerciale.

Nel caso di specie, se il volume d’affari è superiore a euro 7.000,00, non solo tale volume d’affari concorrerà alla formazione del volume d’affari per stabilire se il soggetto è obbligato o meno alla presentazione della Comunicazione annuale dati IVA ma anche tali dati dovranno essere inclusi nella Comunicazione annuale.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Modello Unico 2016

Il Modello Unico (di dichiarazione unificato compensativo, da cui l’abbreviazione Uni.Co.) viene utilizzato per presentare più dichiarazioni fiscali di soggetti che percepiscono redditi di terreni e fabbricati, di partecipazione, di lavoro autonomo (occasionale o continuativo), di lavoro dipendente, di impresa e di pensione.

Documentazione

Qui potete trovare i modelli da scaricare e compilare: Unico Persone Fisiche e PF Mini 2014 e Unico 2014 SC (Società di Capitali). In base alla tipologia del contribuente, di distinguono diversi modelli:

  • Unico Persone Fisiche.

Questo modulo va compilato da parte di coloro che devono presentare sia la dichiarazione dei redditi (in alternativa al Modello 730) sia la dichiarazione Iva. In particolare, i soggetti che hanno l’obbligo di consegnare questo modello sono i contribuenti che:

  • nell’anno precedente oggetto di dichiarazione hanno posseduto redditi d’impresa, redditi di lavoro autonomo per i quali è richiesta la partita Iva, redditi diversi non compresi fra quelli dichiarabili con il modello 730;
  • nell’anno precedente e/o in quello di presentazione della dichiarazione non risultano residenti in Italia;
  • nell’anno di presentazione della dichiarazione hanno percepito redditi di lavoro dipendente erogati solo da datori di lavoro non obbligati ad effettuare le ritenute d’acconto;
  • devono presentare anche una delle dichiarazioni IVA, IRAP, Modello 770 ordinario e semplificato;
  • devono presentare la dichiarazione per conto di deceduti;
  • sono lavoratori con contratto a tempo indeterminato, il cui rapporto di lavoro è cessato al momento della presentazione della dichiarazione.

Tutti quei contribuenti che, invece, si trovano in situazioni meno complesse (non hanno cambiato il domicilio fiscale dal 1° novembre dell’anno precedente a quello di presentazione della dichiarazione;  non sono titolari di partita IVA;  hanno percepito uno o più redditi da terreni, fabbricati, lavoro dipendente, attività commerciali;  vogliono fruire di deduzioni e detrazioni  per le spese sostenute; non devono presentare il modulo per conto di altri) possono tranquillamente compilare un modello Unico per Persone Fisiche Mini.

  • Unico Società di Capitali.

Anche questo modello consente di presentare sia la dichiarazione dei redditi che quella IVA. Nello specifico, deve essere presentato da parte dei cosiddetti soggetti IRES, ovvero:

  • le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative, comprese le società cooperative che abbiano acquisito la qualifica di Onlus e le cooperative sociali, le società di mutua assicurazione, nonché le società europee residenti nel territorio dello Stato;
  • gli enti commerciali (enti pubblici e privati e i trust);
  • le società di ogni tipo, tranne le società semplici, le società e le associazioni equiparate e gli enti commerciali non residenti nel territorio.
  • Unico Società di Persone.

Questo ulteriore modulo va compilato da parte di tutti i contribuenti che devono presentare, anche in tal caso, dichiarazione dei redditi e Iva e, più precisamente:

  • le società semplici;
  • le società in nome collettivo e accomandita semplice;
  • le società di armamento;
  • le società di fatto o irregolari;
  • le associazioni prive di personalità giuridica;
  • le aziende coniugali;
  • i gruppi europei di interesse economico.
  • Unico Enti Non Commerciali.

I contribuenti che, in questo ultimo caso, devono presentare Modello 730 e Iva sono quegli enti che si caratterizzano per non avere come oggetto principale lo svolgimento di una attività di natura economica. Ovvero:

  • Soggetti pubblici e privati diversi dalle società;
  • I trust che non hanno per oggetto esclusivo lo svolgimento di attività commerciali;
  • Gli organismi di investimento collettivo del risparmio, esclusi gli organi di amministrazione dello Stato, dei Comuni, delle Province e delle Regioni;
  • Le società e gli enti di qualsiasi tipo, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio italiano.

Istruzioni: che cosa si deve fare

Nella maggior parte dei casi, la presentazione del Modello Unico per tutte le tipologie sin qui viste avviene per via telematica:

  • Diretta, consegnandola personalmente in qualsiasi ufficio o avvalendosi dei servizi online messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate. In questo ultimo caso, il contribuente può scegliere se utilizzare il servizio telematico Fisconline, a meno che non sia tenuto a presentare  il Modello 770 per un numero di soggetti superiore a 20 e al quale si accede tramite un  codice Pin che va preventivamente richiesto all’Agenzia; il servizio Entratel, se è tenuto a presentare il modello 770 in relazione a più di 20 soggetti.
  • Tramite intermediari abilitati (professionisti, associati di categoria, Caf o altri), al quale si può chiedere supporto anche per la compilazione del modello stesso. Questi soggetti sono tenuti a rilasciare una dichiarazione di impegno, datata e sottoscritta e, entro trenta giorni dal termine previsto per la presentazione, l’originale del modello firmato dai contribuenti e la comunicazione di avvenuta ricezione da parte dell’Agenzia delle Entrate.

In alcuni casi particolari, si potrà consegnare il modello anche in formato cartaceo presso un qualunque Ufficio Postale. Si tratta di quei contribuenti che, nel caso dell’Unico per Persone Fisiche, pur possedendo redditi dichiarabili con il 730, non hanno un datore di lavoro, non sono titolari di una pensione, devono presentare la dichiarazione per conto di deceduti, sono privi di sostituti di imposta o semplicemente devono comunicare alcuni dati tramite dei quadri del Modello. Nel caso di Unico per Enti Non Commerciali, sono quei contribuenti che non sono tenuti a presentare la dichiarazione Iva o dei sostituti d’imposta o ai fini Irap.

Scadenze

Il Modello Unico, per  tutte le tipologie di contribuenti, va presentato entro 9 mesi dalla chiusura del periodo di imposta. Per l’Unico Società di Capitali e per quelle società o enti il cui esercizio coincide con l’anno solare la scadenza è fissata per il 30 settembre. Tutti coloro che possono seguire la procedura cartacea di presentazione, hanno tempo dal 2 maggio al 30 giugno per recarsi presso un qualsiasi Ufficio Postale. È bene, tuttavia, tenere sempre sott’occhio lo scadenzario dell’Agenzia delle Entrate in caso di proroghe e variazioni.

Stabilità 2016: note di variazione e procedure concorsuali

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Con la Legge di Stabilità 2016 è stata ridisegnata la normativa che disciplina l’emissione delle note di variazione in diminuzione (art. 26, D.P.R. 633/1972), prevedendo in primo luogo una distinzione delle cause che legittimano l’emissione della nota di variazione e anticipando di termini di emissione della nota di variazione nei casi di cessionari e/o committenti assoggettati a procedure concorsuali. E’ proprio su quest’ultimo caso vogliamo concentrare l’attenzione in questo intervento.

Nella precedente normativa, ante Legge di Stabilità 2016, si prevedeva che nei casi di cessionari e/o committenti assoggettati a procedure concorsuali la nota di variazione potesse essere emessa esclusivamente alla conclusione infruttuosa di una procedura concorsuale o esecutiva.

La nuova formulazione normativa prevede importanti novità circa la data a partire dalla quale può essere emessa la nota di variazione.

Si prevede infatti che la nota di variazione in diminuzione può essere emessa anche in caso di mancato pagamento, in tutto o in parte, da parte del cessionario o committente:

  • a partire dalla data in cui quest’ultimo è assoggettato a una procedura concorsuale;
  • dalla data del decreto che omologa un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’articolo 182-bis del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267;
  • dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267;
  • a causa di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose.

Nella sostanza la nuova norma autorizza l’emissione della nota di accredito in relazione all’Iva addebitata e mai incassata dal creditore, senza dover attendere i lunghi tempi necessari per la conclusione dell’iter concorsuale. In più vi è un allineamento con la normativa prevista ai fini delle imposte sui redditi (art. 101, co. 5, D.P.R. 917/1986), la quale prevede la deduzione dalle imposte sui redditi delle perdite su crediti vantati nei confronti di soggetti assoggettati a procedure concorsuali già alla data di apertura alle stesse.

Per ciò che riguarda l’assoggettamento a procedure concorsuali, viene precisato che:

  • il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento o del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa o del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo o del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.

Inoltre, vengono individuate tre fattispecie al verificarsi delle quali una procedura esecutiva può definirsi infruttuosa:

  • nell’ipotesi di pignoramento presso terzi, quando dal verbale di pignoramento redatto dall’ufficiale giudiziario risulti che presso il terzo pignorato non vi sono beni o crediti da pignorare;
  • nell’ipotesi di pignoramento di beni mobili, quando dal verbale di pignoramento redatto dall’ufficiale giudiziario risulti la mancanza di beni da pignorare ovvero l’impossibilità di accesso al domicilio del debitore ovvero la sua irreperibilità;
  • nell’ipotesi in cui, dopo che per tre volte l’asta per la vendita del bene pignorato sia andata deserta, si decida di interrompere la procedura esecutiva per eccessiva onerosità.
Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Anno nuovo ravvedimento nuovo

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – Il D.lgs. 158/2015 ha modificato l’art. 13 del D.lgs. 472/1997, dimezzando la sanzione base prevista per gli omessi o insufficienti versamenti delle imposta.

Si passa così da una sanzione del 30% ad una sanzione del 15%. Tuttavia, tale riduzione si applica solo per i ritardi fino a 90 giorni. Dal 91° giorno la sanzione torna ad essere del 30%.

Inoltre, è dimezzata, altresì la sanzione base per i ritardi nei versamenti entro 14 giorni dalla violazione, passando così dal 2% all’1%.

La riforma del sistema sanzionatoria entra il vigore dal 1° gennaio 2016, con l’applicazione del favor rei.

Come cambia il ravvedimento dal 2016 – Il 31 dicembre 2015, dunque, va in pensione la sanzione del 30% per i ritardi di versamento entro i 90 giorni e del 2% per i ritardi entro i 14 giorni e ciò avrà dei riflessi anche per l’istituto del ravvedimento operoso, con la conseguenza che a decorre dal 1° gennaio 2016, le nuove sanzioni saranno:

  • Ravvedimento sprint: con sanzione, per ogni giorno di ritardo, pari a 1/10 della sanzione prevista per i pagamenti eseguiti entro 14 giorni dalla violazione (quindi 1/10 dell’1% cioè 0,1% per ogni giorno di ritardo fino al 14° giorno). In tal caso, dunque, la sanzione massima applicabile sarà del 1,4% (0,1 per 14 giorni di ritardo) a fronte del 2,8% ante-riforma (0,2% x 14 giorni di ritardo).
  • Ravvedimento breve: con sanzione pari ad 1/10 della sanzione base se il versamento è eseguito entro 30 giorni dalla violazione (quindi 1/10 del 15% e cioè 1,5%);
  • Ravvedimento intermedio: con sanzione pari ad 1/9 della sanzione base se il versamento è eseguito entro 90 giorni dalla violazione (quindi 1/9 del 15% e cioè 1,67%);
  • Ravvedimento lungo: con sanzione pari ad 1/8 della sanzione base (quindi 1/8 del 30% e cioè 3,75%) se il versamento è eseguito dal 91° giorno successivo la violazione ma entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale è stata commessa la violazione, ovvero, se non è prevista dichiarazione periodica, entro un anno dall’omissione o dall’errore;
  • Ravvedimento ultrannuale (solo per i tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate) con sanzione pari al 4,29%, a condizione che il versamento sia eseguito entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo a quello nel corso del quale è stata commessa la violazione, ovvero, se non è prevista dichiarazione periodica, entro 2 anni dall’omissione o dall’errore;
  • Ravvedimento “lunghissimo (solo per i tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate) con sanzione pari al 5% se il versamento è eseguito oltre il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo a quello nel corso del quale è stata commessa la violazione, ovvero, se non è prevista dichiarazione periodica, oltre 2 anni dall’omissione o dall’errore.

Gli effetti del favor rei – Come anticipato in premessa, la riforma sanzionatoria entra in vigore il 1° gennaio 2016 ma troverà applicazione il principio del favor rei, con la conseguenza che il contribuente potrà beneficiare della sanzione ulteriormente ridotta per regolarizzare anche le violazioni commesse nel 2015 con inevitabili risvolti positivi.

Cosi, ad esempio, con riferimento alla scadenza del 16 dicembre 2015 delle ritenute operate dal sostituto d’imposta sulle retribuzioni di novembre, qualora questi avesse omesso il versamento avrebbe potuto ravvedersi entro il 23 dicembre, poiché in tal caso avrebbe versato una sanzione massima pari a 1,4% (cioè 0,2% per 7 giorni di ritardo). Non gli sarebbe convenuto, invece, ravvedersi nel periodo 24/12 – 30/12, poiché in tal caso avrebbe applicato una sanzione superiore rispetto a quella applicabile attendendo il 2016.

Qualora, infatti, il sostituto d’imposta si fosse, ad esempio, ravveduto il 24 dicembre (il ravvedimento sprint è possibile fino a 14 giorni dalla violazione, quindi, fino al 30 dicembre) questi, avrebbe dovuto applicare una sanzione pari a 1,6% (0,2% per 8 giorni), ciò superiore a quella che applica aspettando il 2016 e ravvedendosi entro il 15 gennaio (1,5%).

Nemmeno gli converrebbe ravvedersi il 31 dicembre, poiché in tal caso dovrebbe applicare una sanzione ancora maggiore pari al 3% (1/10 del 30% e cioè quella del ravvedimento breve ante-riforma.)

Oltre, la sanzione, ovviamente occorre che egli versi l’importo omesso e gli interessi al tasso legale annuo per ciascun giorno di ritardo(pari allo 0,5% per il 2015 e allo 0,2% per il 2016).

Autore: Pasquale Pirone

Regime forfettario e attività escluse: continua a pagarne anche la seconda attività

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – il DDL di Stabilità 2016, definitivamente approvato (e quindi diventato legge) cambia ancora una volta il regime IVA agevolato dei minimi (forfettario dal 2015).

E’ possibile parlare di un vero e proprio mix tra quello che era il “vecchio regime dei minimi” (con aliquota del 5%) e il nuovo “regime forfettario” introdotto dalla Legge di stabilità 2015 (con aliquota del 15%).

Con la nuova manovra 2016, è, infatti, è innalzata di 15.000 (quindi si passa da 15.000 a 30.000 euro) la soglia di ricavi per l’accesso al regime per i liberi professionisti (per le altre categorie l’incremento della soglia è di 10.000 euro) ed è ridotta al 5% l’aliquota sostitutiva (in luogo del 15%) per i primi 5 anni di attività. Restano invece fermi gli altri requisiti di accesso (la spesa in un anno per dipendenti e collaboratori non deve superare i 5.000 euro lordi e non deve essere oltrepassata la soglia relativa all’acquisto di beni strumentali, fissata in 20.000 euro in un anno).

Inoltre, per chi, oltre all’attività di impresa, arte e professione esercitasse anche l’attività di lavoro dipendente, mentre la Legge di stabilità del 2015 prevedeva l’esclusione dal regime qualora i redditi da lavoro dipendente superassero i redditi d’impresa, arte e professione e contemporaneamente la somma dei redditi derivanti da attività professionale e dipendente eccedesse i 20.000 euro, la Legge di stabilità 2016 stabilisce, invece, che non può accedere al regime il contribuente che abbia conseguito, nell’anno precedente a quello in cui intende avvalersi del regime forfettario, un reddito da lavoro dipendente o assimilato superiore a 30.000 euro (salvo il caso in cui il lavoro dipendente risulti cessato).

Le attività che continuano ad esserne escluse – Continuano a restare “ex lege” esclusi dal regime agevolato in questione i soggetti che si avvalgono di regimi speciali IVA o di regimi forfetari del reddito (Risoluzione n. 73/E/2007). In particolare si tratta dei soggetti esercenti le seguenti attività: agricoltura e attività connesse e pesca; vendita sali e tabacchi; commercio dei fiammiferi; editoria; gestione di servizi di telefonia pubblica; rivendita di documenti di trasporto pubblico e di sosta; intrattenimenti, giochi e altre attività di cui alla tariffa allegata al D.P.R. n. 640/72; agenzie di viaggi e turismo; agriturismo; vendite a domicilio; rivendita di beni usati, di oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione; agenzie di vendite all’asta di oggetti d’arte, antiquariato o da collezione.

Sulla base di quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate con la successiva Circolare n. 7/E/2008 e in mancanza di successivi orientamenti, è da continuare a ritenersi valido, anche per il nuovo regime forfettario, quanto precisato nelle predetta circolare per i “vecchi minimi”. In particolare, quindi, un soggetto che esercita un’attività per cui è precluso l’accesso al regime forfettario (ad esempio agenzia di viaggi) non potrà avvalersi del regime forfettario nemmeno per una seconda attività che decidesse esercitare (ad esempio formatore per tour operetor). Infatti nella circolare, l’amministrazione finanziaria in risposta ad un quesito inerente affermava che “l’esercizio di una delle attività escluse, perché soggette ad un regime speciale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, comporta che il contribuente non potrà avvalersi del regime dei minimi neppure per le ulteriori attività di impresa o di lavoro autonomo eventualmente esercitate. In altri termini, l’esercizio di un’attività soggetta a regime speciale IVA, espressiva ai fini IRPEF di un reddito d’impresa, impedisce di avvalersi del regime dei minimi, non solo per il trattamento di tale attività, ma anche per le ulteriori attività di impresa, arte o professione”.

Nella stessa circolare l’Agenzia delle Entrate riporta, quindi a titolo esemplificativo, che l’esercente, una rivendita di tabacchi non potrà avvalersi del regime dei minimi per la stessa attività di rivendita tabacchi né per la connessa gestione del bar, a nulla rilevando che l’ammontare complessivo dei corrispettivi, riferito ad entrambe le attività, non superi i 30.000 euro.

Autore: Pasquale Pirone

Voluntary disclosure: notifica via PEC dal 2016

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Con un emendamento al disegno di legge di Stabilità 2016, che dovrà ottenere l’approvazione della Commissione bilancio della Camera, si prevede che, a partire dal 1° gennaio 2016, tutte le notifiche relative alla voluntary disclosure vengano inviate alla PEC del professionista che ha inviato l’istanza. Solo nei casi in cui l’indirizzo PEC fornito dal professionista in sede di presentazione dell’istanza risulti inattivo o irraggiungibile si procederà alla notifica degli atti con le tradizionali modalità.

Nel caso di invio via PEC degli atti della voluntary disclosure, la notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore della mail trasmette all’Agenzia delle Entrate la ricevuta di accettazione con la relativa attestazione temporale che certifica l’avvenuta spedizione del messaggio.

La novità in questione intende evitare problemi di comunicazione tra Agenzia e contribuente; quest’ultimo infatti per i più svariati motivi potrebbe non ricevere o ricevere in ritardo le notifiche da parte dell’agenzia delle Entrate, con possibili conseguenze negative sul perfezionamento della procedura. Ovviamente, giocherà un ruolo fondamentale il professionista che ha assistito il contribuente nell’adesione alla procedura di collaborazione volontaria. Sarà quest’ultimo che dovrà accettare la ricezione delle notifiche e poi comunicarle tempestivamente al contribuente.

Si ricorda che per le istanze presentate dal 10.11.2015 al 30.11 le notifiche arriveranno dal Centro operativo di Pescara, in quanto ufficio competente a gestire le suddette istanze.

Infatti, con il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate Prot. n. 2015/142716 del 06.11.2015 è stato individuato nel Centro operativo di Pescara l’assegnatario delle istanze inviate a partire dal 10 Novembre, con la necessità dunque di inviare la relazione di accompagnamento e la documentazione a corredo all’istanza di voluntary disclosure, esclusivamente mediante posta elettronica certificata alla casella del Centro operativo di Pescara vd.cop@postacert.agenziaentrate.it.

E’ da evidenziare che si fa riferimento esclusivamente alle istanza inviate per la prima volta. Per le integrazioni di istanze già presentate prima del 10.11.2015 era necessario inoltrare la richiesta alla Direzione Regionale competente.

Nell’ottica di agevolare il rapporto con i contribuenti, è prevista la possibilità, su istanza del contribuente, di effettuare eventuali fasi del procedimento in contradditorio presso altre sedi dell’Agenzia.

Autore: redazione fiscal focus

Pensioni: fermo il limite dei 1.000 euro

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Sempre più caos nella complessa disciplina della circolazione del contante: pensioni bloccate a 1.000 euro e carte di credito per il parchimetro

Il limite per la circolazione del contante, dal 2016, si innalzerà a 3.000 euro, ma non se a pagare è una pubblica amministrazione: in questo caso, il limite rimarrà fermo a 1.000 euro.

Micro-pagamenti con carte di credito che si affiancano a maxi-pagamenti in contanti, obblighi differenziati in base alla natura pubblica o privata del soggetto che procede al versamento delle somme: insomma, se oggi ci lamentiamo del caos che regna in tema di pagamenti in contanti, sicuramente le nostre speranze non potranno essere riposte nel futuro.

Il limite dei 1.000 euro

Con un emendamento della legge di Stabilità approvato nella giornata di martedì viene previsto che “si mantiene fermo per le pubbliche amministrazioni l’obbligo di procedere al pagamento degli emolumenti a qualsiasi titolo erogati superiori a mille euro esclusivamente mediante l’utilizzo di strumenti telematici“.

È stata quindi accolta la proposta del presidente dell’Inps Tito Boeri, che in occasione dell’audizione in commissione Enti previdenziali, aveva chiesto al governo particolari cautele con riferimento alle corresponsioni, in contanti, delle pensioni.

Il rischio è infatti soprattutto quello che i pensionati finiscano per essere truffati nel prelievo del contante, ma, altro aspetto essenziale è dato anche dal fatto che, parte del 20 % dei complessivi risparmi nei costi operativi dell’Inps negli ultimi tre anni è imputabile ai pagamenti effettuati mediante bonifico o assegno.

Nonostante l’innalzamento del limite per il pagamento in contanti, rimarrà quindi l’obbligo, per molti pensionati, di ricevere i versamenti mediante strumenti tracciabili di pagamento: l’emendamento, però, si badi bene, non si limita a riproporre il vecchio limite soltanto per le pensioni erogate dall’Inps, ma anche in tutti i casi in cui a pagare sia una pubblica amministrazione.

Gli altri provvedimenti

Il mini-restyling della legge di stabilità è stato l’esito di una lunga maratona di 37 ore in Commissione Bilancio alla Camera.

Dalla mattinata di lunedì al martedì sono stati infatti accolti una serie di emendamenti e il testo definitivo è stato approvato soltanto in tarda serata.

Per questi motivi, il provvedimento arriverà in Aula soltanto nella giornata di oggi, con uno slittamento di un giorno rispetto ai previsti programmi, mentre l’approvazione della Camera è previsto per domenica.

Molti i provvedimenti allo studio: dall’innalzamento delle borse di studio, alla card di 500 euro ai diciottenni per l’acquisto di libri, l’accesso a monumenti, aree archeologiche, parchi naturali, cinema, teatro, mostre e spettacoli dal vivo, ma anche il nuovo credito d’imposta per l’installazione d’impianti di allarme e l’eliminazione della “supertassa” su yacht e imbarcazioni di lusso introdotta nel 2011.

Sempre sul fronte “contanti”, un’altra novità potrebbe essere introdotta dal 1° luglio 2016: la possibilità di pagare il parchimetro sulle strisce blu con bancomat e carte di credito.

Autore: redazione fiscal focus

Lavoro & Previdenza 730: stop alle sanzioni di lieve entità

A cura di Antonio Gigliotti

Non sarà sanzionabile, per l’anno 2015, l’invio tardivo del mod. 730 precompilato. Le sanzioni si applicheranno solo dal prossimo anno

Sospiro di sollievo per professionisti, CAF e contribuenti che saranno “salvi” in caso di sanzioni per ritardi ed errori di lieve entità nella trasmissione del mod. 730 precompilato e della Certificazione Unica 2015. A prevederlo è un emendamento al Disegno di Legge Stabilità 2016 presentato giovedì scorso al Governo in commissione Bilancio alla Camera.

In ogni caso, non sfuggono alle sanzioni: la mancata presentazione del 730 ovvero l’indebita fruizione di detrazioni o deduzioni.

La novità si è resa necessaria in considerazione del fatto che il 2015, anno nel quale è stato introdotto il mod. 730 precompilato, ha carattere sperimentale; di conseguenza, le sanzioni previste avranno efficacia solo a partire dal prossimo anno.

Sul punto, si ricorda che la Legge di Stabilità 2016 ha previsto nuove modifiche in merito alle detrazione da inserire nel mod. 730. Innanzitutto, si segnala la possibilità di poter detrarre – fino ad un importo massimo di 1.550,00 euro – le spese funebri. Detrazione, che spetta sia ai parenti del defunto (de cuius) ma anche da chiunque abbia pagato le spese funebri. Per quanto riguarda, invece, le spese sostenute per la frequenza di corsi universitari non statali è previsto che la detraibilità massima sia parificata a quella degli istituti non provati e che vari a seconda della facoltà.

Sempre sul fronte delle detrazioni, appare opportuno evidenziare la possibilità di poter detrarre, anche per il 2016, al 50% le agevolazioni su ristrutturazioni edilizie e al 65% quelle per la riqualificazione energetica; mentre per il bonus mobili è al 50%. Altra detrazione al 50% concerne gli immobili acquistati da giovani coppie come prima casa, per un tetto di spesa fino a 16.000,00 euro.

L’emendamento, inoltre, ha previsto nuovi obblighi di trasmissione all’Agenzia delle Entrate da parte di medici e strutture sanitarie dei dati sulle prestazioni erogate nel 2015: tali dati dovranno essere inviati tramite il “Sistema Tessera Sanitaria”.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Forfettari: novità anche per chi ha aderito nel 2015

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Nuovo limite dei ricavi e imposta ridotta per le start up

Premessa – Secondo quanto previsto dal disegno di legge di stabilità 2016 per i contribuenti forfettari dal 2016 sono previsti limiti di ricavi più elevati e per le start up un’imposta sostitutiva del 5 %. Tali nuove norme verranno applicate anche a coloro che hanno aderito a al regime agevolato già dal 2015.

Legge di stabilità 2016 – Come noto il D.D.L. Stabilità 2016 prevede una serie di modifiche al regime forfettario tra cui l’innalzamento delle soglie di ricavi e compensi che consentono di accedere al regime aumentandole di 10.000 euro per tutte le attività ad eccezione delle attività professionali ed equiparate il cui aumento è pari a 15.000 euro portando così il tetto a 30.000 euro.

Limite dei ricavi – La verifica del suddetto requisito va effettuata avendo riguardo all’anno precedente quello di riferimento. Pertanto con riferimento al 2016, le condizioni di accesso vanno verificate nel 2015. Si ritiene, quindi, che i nuovi limiti dei ricavi che entreranno in vigore dal 1.1.2016 si applicheranno per la verifica dei requisiti per il periodo d’imposta 2016 prendendo ad esame il periodo d’imposta 2015. Un libero professionista che nel 2015 ha applicato il regime forfettario conseguendo ricavi per € 20.000 potrà quindi operare nel regime forfettario anche nel 2016 in quanto il limite in vigore al 1.1.2016 corrisponde a 30.000 euro ed il contribuente avendo conseguito nel 2015 ricavi per 20.000 euro può rimanere nel regime agevolato anche nel 2016.

Start up – Altra modifica è data dal fatto che per i contribuenti che rispettano i requisiti per il regime forfettario e che intraprendono un’attività “nuova”, il reddito determinato con le regole previste per il regime forfettario non sarà più ridotto di 1/3 per l’anno di inizio attività e per i due successivi ma al contrario secondo quanto previsto dal testo del disegno di Legge di Stabilità 2016 dal 2016, si applicherà l’aliquota del 5% per i primi 5 anni di attività.

Inizio nel 2015 – Nel comma 3 dell’art. 8 del DDL di Stabilità 2016 è stato espressamente stabilito che i contribuenti che hanno intrapreso una nuova attività nel 2015 avvalendosi della riduzione di un terzo del reddito possono applicare la nuova aliquota del 5% nei successivi 4 anni, cioè dal 2016 al 2019. Al contrario il contribuente che nel 2015 ha operato in regime ordinario qualora nel 2016 transiti al regime forfettario dovrà applicare l’aliquota piena del 15%.

Regime Inps – I commi da 76 a 84, art. 1, Legge di Stabilità 2015, hanno introdotto una misura agevolativa in ambito previdenziale, riservata ai soli contribuenti obbligati al versamento previdenziale presso le gestioni speciali artigiani e commercianti. I soli contribuenti esercenti attività d’impresa, se applicano il regime forfettario, possono usufruire di un regime agevolato contributivo che consiste nel non applicare il minimale contributivo di cui all’articolo 1, comma 3, Legge n. 233/1990.

Modifiche – Il disegno di Legge di Stabilità interviene ora sul comma 77 sostituendolo integralmente. In virtù delle modifiche apportate si prevede che sul reddito forfettario determinato sulla base delle percentuali di redditività come modificate dallo stesso DDL la contribuzione dovuta ai fini previdenziali sia “ridotta del 35 per cento”. Non essendo state apportate altre modifiche, è confermato anche che il regime contributivo in questione potrà essere attivato esclusivamente su opzione del contribuente.

Comunicazione – Dovrà essere chiarito al riguardo se i soggetti che hanno optato nel corso del 2015 per la contribuzione ridotta, versione Stabilità 2015, siano automaticamente attratti dalle nuove modalità di versamento ovvero se si debba in qualche modo confermare l’opzione. Sul punto l’Inps dovrà, eventualmente, fornire istruzioni.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

ESTROMISSIONE AGEVOLATA DELL’IMMOBILE STRUMENTALE: ASPETTI APPLICATIVI

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Con uno specifico emendamento all’art. 9 del Ddl. di stabilità 2016, già approvato al senato ed ora in attesa dell’esame alla camera, è stata introdotta la possibilità per le ditte individuali di poter usufruire di alcune disposizioni agevolative in materia di estromissione dell’immobile strumentale dell’imprenditore individuale (si veda il ns articolo apparso sul quotidiano del 19 novembre scorso).

L’intervento si innesta in un più ampio disegno emergente dalla stessa bozza di Legge di stabilità 2016 atto a far “fuoriuscire” a costo fiscale agevolato i beni immobili dal patrimonio delle imprese.

La ditta individuale che alla data del 31 ottobre 2015 possiede immobili strumentali (sia per natura che per destinazione) di cui all’art. 43 comma 2 D.p.r. 917/86, può decidere di optare per l’uscita dello stesso fabbricato dal patrimonio dell’impresa con destinazione alla persona fisica. Vediamo di analizzare i principali dettagli dell’operazione.

La disciplina per le imposte dirette

L’operazione di trasferimento dalla sfera d’impresa a quella privata si concretizza con il pagamento di un’imposta sostitutiva dell’8 % (in sostituzione di Irpef e Irap) sulla differenza tra il valore normale degli immobili estromessi e il loro costo fiscalmente riconosciuto.

Sotto il profilo operativo, si riepilogano le principali regole previste :

  • passaggio da perfezionare entro il 31 maggio 2016;
  • estromissione possibile solo a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 1° gennaio 2016;
  • I beni devono essere posseduti alla data del 31 ottobre 2015;
  • plusvalenze assoggettate all’imposta sostitutiva dell’8% da versare il 60% entro il 30.11.2016 ed il restante 40% entro il 30.06.2017.
  • plusvalenza calcolata come differenza fra il valore normale del bene ed il costo fiscalmente riconosciuto in bilancio;
  • possibile sostituzione del valore normale con il valore catastale degli immobili, al pari di quanto avviene per l’assegnazione agevolata ai soci.

La disciplina per l’Iva

Sotto il profilo IVA, l’operazione è qualificabile come destinazione di beni a finalità estranee all’impresa, (art. 2 comma 2 n. 5 del DPR 633/72) e quindi si tratta di iniziativa rientrante nell’ambito di applicazione del tributo.

Costituiscono eccezione a tale principio i beni per i quali l’imprenditore non ha operato la detrazione dell’imposta all’atto dell’acquisto (es. immobile acquisito da privato).

Dal punto di vista operativo l’estromissione va fatturata (nel caso di specie autofatturata), solitamente, in regime di esenzione di cui all’art. 10 comma 1 n. 8-ter del DPR 633/72, salvo il caso in cui l’imprenditore non intenda optare specificatamente per l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto.

Tale opzione, però, non è vantaggiosa a causa del fatto che l’Iva (solitamente con aliquota al 22%) esposta in fattura derivante dall’assegnazione andrebbe poi di norma versata all’Erario e si configura evidentemente come un costo che ricade tutto a carico dello stesso imprenditore.

Pro rata

Come detto, generalmente l’operazione di estromissione in questione si qualifica come esente ai sensi all’articolo 10 comma 1 n. 8-ter del DPR 633/72.

Nel caso in questione trattandosi tipicamente di immobile strumentale dell’attività (es il capannone o il laboratorio in cui si è svolta l’attività) si applica l’art. 19-bis del DPR 633/72 nella parte in cui la disposizione afferma che i beni ammortizzabili ceduti (od estromessi come in questo caso) non concorrono al calcolo della percentuale di pro rata.

Rettifica detrazione

Se è pur vero quanto sopra affermato, non bisogna però dimenticare che se l’operazione avviene nel corso del periodo di tutela fiscale, (pari a dieci anni per i beni immobili), generalmente questa provoca un cambio di destinazione, in quanto il bene non è più impiegato per operazioni imponibili ma, come si è detto, per una operazione esente che non consente il recupero dell’imposta.

Le altre imposte indirette

Infine niente sarà dovuto ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, in quanto non si effettua alcun trasferimento della proprietà dell’immobile, il quale rimane in capo allo stesso soggetto, seppure passando dalla sfera imprenditoriale a quella personale.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Assunzione detenuti e internati: modalità attuative credito d’imposta

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n.153321 del 27.11.2015

Con il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n.153321 del 27.11.2015 sono state definite le modalità attuative del credito d’imposta di cui all’articolo 3 della legge 22 giugno 2000, n. 193, e successive modificazioni, concesso a favore delle imprese che assumono, per un periodo di tempo non inferiore a trenta giorni, lavoratori detenuti o internati, anche quelli ammessi al lavoro esterno ai sensi dell’articolo 21 della legge 26 luglio 1975, n. 354, ovvero detenuti semiliberi provenienti dalla detenzione, o che svolgono effettivamente attività formative nei loro confronti.

Le disposizioni contenute nel presente provvedimento decorrono dal 1° gennaio 2016.

I crediti d’imposta maturati fino al 31 dicembre 2015, non ancora interamente utilizzati in compensazione, sono fruiti dalle imprese, a decorrere dal 1° gennaio 2016, secondo le disposizioni del presente provvedimento, nei limiti dell’importo residuo risultante dalla differenza tra i crediti comunicati all’Agenzia delle Entrate dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia e l’ammontare dei crediti fruiti in compensazione utilizzando il codice tributo 6741, rilevati dall’Agenzia delle Entrate attraverso i modelli F24 presentati successivamente alle comunicazioni del citato Dipartimento.

Il primo step previsto dal Provvedimento riguarda l’individuazione delle imprese beneficiarie. A tal fine il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia trasmette all’Agenzia delle Entrate, entro il 31 dicembre di ciascun anno e con modalità telematiche definite d’intesa, l’elenco delle imprese beneficiarie del credito per l’anno successivo, con l’importo concesso a ciascuna di esse.

Il suddetto credito d’imposta è utilizzabile in compensazione, presentando il modello F24 esclusivamente attraverso i servizi telematici ENTRATEL e FISCONLINE messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate, secondo modalità e termini definiti con provvedimento del Direttore della stessa Agenzia.

Il Provvedimento in commento sancisce che l’Agenzia delle Entrate verifica, per ciascun modello F24 ricevuto, che l’importo del credito d’imposta utilizzato non risulti superiore all’ammontare del beneficio complessivamente concesso all’impresa, al netto dell’agevolazione fruita attraverso i modelli F24 già presentati. Nel caso in cui l’importo del credito utilizzato risulti superiore al beneficio residuo, il relativo modello F24 è scartato e i pagamenti ivi contenuti si considerano non effettuati.

Autore: redazione fiscal focus

Fattura elettronica: niente obbligo per i medici convenzionati

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

R.M. 98/E/2015

Con la Risoluzione 98/E del 25.11.2015, l’Amministrazione Finanziaria, in risposta alla consulenza giuridica chiesta dalla Federazione Italiana dei Medici di Medicina Generale, ha chiarito che il cedolino emesso dalle Aziende Sanitarie Locali in favore dei medici di medicina generale operanti in regime di convenzione con il SSN, nel rispetto di determinati requisiti, sia sostitutivo degli obblighi di fatturazione, anche elettronica.

Nel documento di prassi in questione la situazione prospettata è la seguente: i medici di medicina generale operanti in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale – attività che si colloca in una posizione intermedia fra quella professionale e quella parasubordinata, causa i vincoli imposti dalla stessa convenzione con il SSN (di orario, retribuzione, presenza, ecc.) – ricevono mensilmente da parte dell’Azienda Sanitaria competente per territorio un cedolino, nel quale sono riepilogate tutte le voci che entrano a far parte della propria remunerazione mensile e da cui emerge il netto dovuto per l’attività prestata.

Nel contesto descritto si chiede la necessità per i suddetti medici di emettere fattura elettronica trattandosi di committente ente pubblico.

In risposta alla richiesta effettuata, l’Amministrazione Finanziaria ha dapprima chiarito che laddove l’obbligo di emettere una fattura non sussisteva prima del D.M. n. 55 del 2013, lo stesso non è venuto dopo l’introduzione della fattura elettronica.

In altre parole, l’introduzione della fattura elettronica non ha creato una categoria sostanziale nuova o diversa dalla fattura “ordinaria”, con la conseguenza che, pur nel limite della compatibilità con gli elementi che le caratterizzano, continuano a trovare applicazione tutti i chiarimenti già in precedenza emanati con riferimento generale alla fatturazione, nonché le deroghe previste da specifiche disposizioni normative di settore.

Per tale ragione, per individuare la necessità di emettere fattura elettronica è necessario rifarsi ai criteri generali in tema di fattura.

A tal proposito, evidenzia l’Agenzia, l’articolo 2 del D.M. 31 ottobre 1974, dispone che “Nei rapporti tra gli esercenti la professione sanitaria e gli enti mutualistici per prestazioni medico-sanitarie generiche e specialistiche, il foglio di liquidazione dei corrispettivi compilato dai detti enti tiene luogo della fattura di cui all’art. 21 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. Tale documento deve contenere gli elementi e i dati indicati nel secondo comma del citato art. 21 ed essere emesso in triplice esemplare; il primo deve essere consegnato o spedito al professionista unitamente ai corrispettivi liquidati, il secondo consegnato o spedito all’ufficio provinciale della imposta sul valore aggiunto competente ai sensi dell’art. 40 del citato decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, il terzo conservato presso l’ente».

Dunque, il cedolino emesso dalle Aziende Sanitarie Locali è sostitutivo della fattura, a patto che questo contenga gli stessi elementi della fattura come indicati dall’art. 21, e sia emesso in triplice esemplare.

Nel rispetto di tali condizioni, il cedolino emesso dalle Aziende Sanitarie Locali compilato dalle Aziende Sanitarie Locali, è sostitutivo degli obblighi di fatturazione, e trattandosi di committenti enti pubblici, degli obblighi di fatturazione elettronica.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Credito per investimenti in ricerca e sviluppo

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Con la Risoluzione 97 le Entrate istituiscono il codice tributo

Premessa – Un nuovo codice tributo per fruire tramite F24, a partire dal prossimo anno, del bonus spettante alle imprese che sostengono costi per quelle attività negli anni dal 2015 al 2019.

Credito imposta – Gli imprenditori che investono in attività di ricerca e sviluppo, indipendentemente dal settore economico in cui operano e dal regime contabile adottato, possono usufruire di un credito d’imposta, introdotto inizialmente dall’articolo 3 del Dl 145/2013, poi sostituito integralmente dall’articolo 1, comma 35, della legge 190/2014 (Stabilità 2015).

Beneficiari – La nuova formulazione dell’articolo ha modificato la misura, la decorrenza e la platea dei beneficiari dell’agevolazione, prevedendo l’attribuzione del bonus in favore di tutte le imprese che effettuano investimenti dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 fino a quello in corso al 31 dicembre 2019.

Modalità applicative – Il decreto interministeriale del 27 maggio 2015 ha definito le modalità applicative del credito d’imposta. In particolare, l’articolo 6 stabilisce che l’importo del beneficio concesso venga indicato nella dichiarazione dei redditi riguardante il periodo d’imposta nel corso del quale sono state sostenute le spese e che l’utilizzo del credito debba avvenire, esclusivamente in compensazione, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello di sostenimento dei costi.

Codice tributo – Per consentire la fruizione dell’incentivo fiscale dall’inizio del prossimo anno, la risoluzione 97/E del 25 novembre 2015 istituisce il codice tributo “6857”, che sarà dunque operativo dal 1° gennaio 2016.

Compilazione – Andrà riportato nella sezione “Erario” del modello F24, in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a credito compensati” ovvero, nei casi in cui il contribuente debba riversare l’agevolazione, nella colonna “importi a debito versati”. Nel campo “anno di riferimento” andrà riportato l’anno in cui è stato sostenuto il costo.

Autore: redazione fiscal focus

Legge di Stabilità 2016: taglio IRES rinviato al 2017

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Il taglio IRES è rinviato al 2017. E’ quanto affermato dal primo Ministro Matteo Renzi nella Sala degli Orazi e Curiazi dei Musei Capitolini a Roma durante l’evento “Italia, Europa: una risposta al terrore”.

In effetti il rinvio era già contenuto nel DDL di Stabilità 2016, prevedendo una riduzione “anticipata” al 2016 a condizione dell’ottenimento del via libera quasi vincolante dei competenti organi Europei. Ora invece, a seguito dell’allarme terrorismo, la priorità è la sicurezza.

Taglio IRES: 2016 o 2017? – Per quanto riguarda il taglio dell’IRES, nel disegno di legge veniva rinviata al 2017 il taglio dal 27,5% al 24% dell’IRES, salvo anticipare, come precedentemente accennato, la riduzione al 2016 condizionata all’ottenimento di maggiore flessibilità nei conti da parte dell’Unione Europea.

In particolare sarebbe stato possibile anticipare il taglio IRES al 2016 se la Commissione Ue avesse riconosciuto lo 0,2% di flessibilità sul deficit, circa 3,3 miliardi, per l’evento migratorio eccezionale. Come sottolineato dal Ministro Padoan nella lettera inviata all’UE “il costo degli eventi eccezionali migratori è pari a 3,1 miliardi, 0,2 del Pil. E ove questa clausola sia riconosciuta, noi anticiperemo al 2016 misure che abbiamo già previsto per il 2017, segnatamente l’Ires, segnatamente i denari per ulteriori investimenti sull’edilizia scolastica. Si tratta, in attesa di Bruxelles, di un’approvazione condizionata”.

La risposta della UE non è ancora arrivata in via definitiva, ma tutto faceva presagire l’esito positivo della richiesta italiana. Nonostante ciò si è deciso di non anticipare la riduzione del taglio IRES al 2016. Nessuna incidenza dell’aumento delle risorse per la sicurezza, che non confluiscono nei calcoli del rapporto deficit/pil.

Bonus 80 euro esteso alle forze dell’ordine – Altra importante novità annunciata dal Premier è l’estensione del bonus 80 euro a tutte le donne e gli uomini che lavorano con le forze dell’ordine a cominciare da chi sta sulla strada.

Autore: redazione fiscal focus

Rivalutazione beni d’impresa: le problematiche non risolte

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Si potrebbe finalmente dare una svolta applicativa alla possibilità di rivalutazione

Il disegno di legge di Stabilità 2016 prevede la riapertura dei termini per la rivalutazione dei beni d’impresa; si fa riferimento ai beni risultanti nel bilancio riferito al periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2014 che possono essere oggetto di rivalutazione nel 2015.

La legge di stabilità 2016 quindi riprende la possibilità di rivalutare i beni d’impresa.

Possono ricorrere alla rivalutazione i soggetti indicati nell’art.73 del TUIR, che non adottano i principi contabili internazionali ai fini della redazione del bilancio; i suddetti soggetti possono, in deroga a quanto previsto dall’art. 2426 c.c., rivalutare i beni d’impresa, materiali ed immateriali, e le partecipazioni in società controllate e collegate ai sensi dell’art. 2359 c.c. costituenti immobilizzazioni, ad eccezione degli immobili alla cui produzione o scambio è diretta l’attività d’impresa (c.d. immobili merce), risultanti dal bilancio d’esercizio in corso al 31 dicembre 2014.

Il maggior valore attribuito ai beni rivalutati si considera riconosciuto ai fini IRES/IRPEF ed IRAP e delle relative addizionale a decorrere dal terzo esercizio successivo a quello con riferimento al quale la rivalutazione è stata effettuata, mediante il versamento di un’imposta sostitutiva:

  • del 16% per i beni ammortizzabili
  • del 12% per i beni non ammortizzabili.

In altri termini, il riconoscimento dei maggiori valori si ha a partire dal 2018.

Analisi criticità – Analizzando con un approccio critico la riproposizione della rivalutazionenella Legge di Stabilità 2016 si deve comunque mettere in risalto come nel corso degli anni, sia stata molto limitata la risposta delle imprese alla possibilità di procedere alla rivalutazione dei beni; bisogna, affinchè il ricorso a tale procedura diventi più conveniente e sensato, cercare di capire quali sono gli aspetti intrinsechi che hanno determinato lo scarso appeal e intervenire per far si che tale strumento diventi effettivamente utile e conveniente rispetto a quelle che sono le reali necessita dell’impresa stessa.

Quali sono le ragioni che hanno portato ad uno scarso ricorso a tale procedura?

In primis si ricorda che, la rivalutazione deve obbligatoriamente operare sia ai fini fiscali sia ai fini civilistici; non è quindi possibile optare per una delle due scelte; ma quale sarebbe il motivo per il quale un’impresa dovrebbe decidere di procedere alla rivalutazione e quindi pagare un’imposta sostitutiva in un’unica soluzione per poi avere degli effetti fiscali positivi solo qualche anno dopo? Ricordiamo inoltre che la rivalutazione del bene al netto dell’imposta sostitutiva versata concorre alla formazione del reddito. Quindi si individuano già due profili critici, ossia, le non appetibili aliquote sostitutive, e l’obbligatorietà di procedere sia ad una rivalutazione civile sia fiscale. Perché quindi non riammettere la possibilità di rivalutare solo in bilancio vista la sempre più crescente necessità di avere bilanci sempre più attendibili?

Un altro aspetto sul quale si pone l’accento è quello che riguarda i terreni sottostanti e pertinenziali ai fabbricati da rivalutare; la circolare 13/E/2014 stabilisce che “ ai fini della rivalutazione i terreni sottostanti e pertinenziali vanno compresi nella categoria omogenea dei beni non ammortizzabili mentre i fabbricati, se strumentali, vanno considerati come beni ammortizzabili e quindi rientrano nell’apposita categoria”.

Sarebbe tutto chiaro sennonché la categoria indicata per i beni non ammortizzabili non esiste, se non solo ai fini dell’aliquota da applicare.

Quindi i terreni sottostanti e pertinenziali ai fabbricati da rivalutare in quale categoria omogenea rientrano?

Parliamo di criticità fortemente limitanti, e per questo che il legislatore dovrebbe porre enfasi su tali fattori, modificando alcune disposizioni e rendere finalmente conveniente per l’impresa, ricorrere ad un istituto che finora si è caratterizzato per potenzialità nascoste piuttosto che espresse.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Rivalutazione partecipazioni: criticità

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Aumentata l’aliquota per le partecipazioni non qualificate

Premessa – L’imposta sostitutiva per la rivalutazione delle partecipazioni non qualificate sarà pari all’8%, parificata dunque a quella per la rivalutazione delle partecipazioni qualificate e per i terreni. Con un emendamento alla bozza della legge di stabilità 2016 è stata cosi aumentata l’aliquota inizialmente prevista al 4%.

La rivalutazione – Negli ultimi anni è stata più volte riproposta la possibilità di rideterminare il valore di acquisto dei terreni, grazie alla proroga delle disposizioni di cui all’articolo 2, comma 2, D.L. n. 282/2002. Se il contribuente si è avvalso di detta facoltà, ai fini della determinazione della plusvalenza, in luogo del costo d’acquisto o del valore dei terreni edificabili, è possibile assumere il valore ad essi attribuito dalla perizia giurata di stima, necessaria per il perfezionamento della rivalutazione, previo pagamento di un’imposta sostitutiva.
Valore fiscale riconosciuto – I costi sostenuti per la relazione giurata di stima, qualora siano stati effettivamente sostenuti e rimasti a carico del contribuente, possono essere portati in aumento del valore iniziale da assumere ai fini del calcolo della plusvalenza in quanto costituiscono costo inerente del bene. La perizia giurata di stima, nonché i dati dell’estensore, possono essere richiesti dall’Amministrazione Finanziaria; tali documenti vanno quindi conservati.

Ddl stabilità 2016 – Il Ddl di Stabilità ha disposto la riapertura dei termini per effettuare la rideterminazione del valore di acquisto dei terreni edificabili e con destinazione agricola e partecipazioni societarie (qualificate e non qualificate) non quotate nei mercati regolamentati posseduti alla data del 1° gennaio 2016. Il versamento dell’imposta sostitutiva nonché la redazione della perizia giurata di stima, deve essere effettuato entro il 30 giugno 2016. L’imposta sostitutiva può essere versata in unica soluzione o come prima rata di tre rate annuali (sull’importo delle rate successive alla prima, si applicano gli interessi nella misura del 3% annuo).

Imposta sostitutiva – La nuova norma modifica il comma 2 dell’art. 2 del D.L. 282/2002 inserendo solo la proroga dei termini senza inserire alcun cambiamento alla disciplina che rimane invariata. Più precisamente la disciplina viene riproposta totalmente per quanto concerne adempimenti e casistiche, ma inizialmente prevedeva testualmente che “le aliquote delle imposte sostitutive, di cui agli articoli 5 comma 2, e 7, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, sono raddoppiate”; pertanto, l’imposta sostitutiva applicata sulle partecipazioni non qualificate risultava passare al 4% (dall’originario 2%), e quella applicata alle partecipazioni qualificate e ai terreni risultava passare all’8% (dall’originario 4%).

Emendamento – Con un emendamento è stato previsto che la rivalutazione delle partecipazioni societarie non qualificate sconterà l’imposta sostitutiva dell’8% anziché del 4 per cento. Secondo le modifiche apportate per la rideterminazione del costo fiscale non vi saranno più differenze. Nel caso delle quote, la medesima aliquota si applicherà alle partecipazioni qualificate e non.

Autore: redazione fiscal focus

Omaggi ai dipendenti: trattamento fiscale

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

In occasione delle feste natalizie (ma non solo) è consuetudine “omaggiare” ai propri dipendenti dei beni in natura generalmente non rientranti nell’attività d’impresa.

Come noto, l’art. 19 bis1, co. 1, lett. h), D.P.R. 633/1972, come modificato dall’art. 30 del D.lgs. semplificazioni fiscali), dispone che l’IVA relativa all’acquisto di beni destinati ad essere omaggiati, non rientranti nell’attività d’impresa, ricompresi fra le spese di rappresentanza in base al DM 19.11.2008, :

  • è detraibile se il costo unitario dell’omaggio è inferiore a € 50,00;
  • è indetraibile se il costo unitario dell’omaggio è superiore a € 50,00.

Si ricorda che ai fini IVA (C.M. 34/E/2009), per l’individuazione degli omaggi da ricomprendere tra le spese di rappresentanza, è necessario fare riferimento a quanto disposto dall’art. 1, DM 19.11.2008; in particolare, è necessario che le spese:

  • siano sostenute con finalità promozionali e di pubbliche relazioni;
  • siano ragionevoli in funzione dell’obiettivo di generare benefici economici;
  • siano coerenti con gli usi e le pratiche commerciali del settore.

Per quanto riguarda gli omaggi ai dipendenti, questi ai fini Iva non possono essere considerate spese di rappresentanza, in quanto prive del requisito di sostenimento per finalità promozionali. L’IVA relativa ai beni destinati ai dipendenti è da considerare indetraibile per mancanza di inerenza con l’esercizio dell’impresa.

Gli omaggi ai dipendenti di beni che non rientrano nell’attività dell’impresa ai fini delle imposte dirette sono da ricomprendere tra le erogazioni liberali (spese per prestazioni di lavoro sostenute in denaro o in natura a titolo di liberalità) a favore dei lavoratori concesse in occasioni di festività o ricorrenze alla generalità o a categorie di dipendenti, le quali beneficiano della deducibilità dal reddito d’impresa (art. 95 del Tuir) .

Per i lavoratori autonomi, detti costi sono deducibili ai sensi dell’art. 54, comma 1, Tuir, avente una portata applicativa analoga a quella dell’art. 95 del Tuir.

Ai fini IRAP, le spese per gli acquisti di omaggi da destinare ai dipendenti rientrano nei “costi del personale”, che ai sensi degli artt. 5 e 5-bis, D.Lgs. n. 446/97 non concorrono alla formazione della base imponibile IRAP, ancorché gli stessi siano contabilizzati in voci diverse dalla B.9 del Conto economico. Di conseguenza, le spese in esame sono indeducibiliai fini IRAP indipendentemente dalla natura giuridica del datore di lavoro.

Anche per i lavoratori autonomi, le spese in esame sono indeducibiliai fini IRAP, in quanto gli stessi determinano la base imponibile IRAP ai sensi dell’ art. 8, comma 1, D.Lgs. n. 446/97 quale “differenza tra l’ammontare dei compensi percepiti e l’ammontare dei costi sostenuti inerenti all’attività esercitata … esclusi gli interessi passivi e le spese per il personale dipendente.

Gli omaggi ricevuti dai dipendenti producono, in taluni casi, imponibilità in capo ai dipendenti stessi.

Tale imponibilità va verificata alla luce del disposto dell’art. 51, comma 3, Tuir.

In base alla citata disposizione:

  • le erogazioni liberali in denaro concorrono sempre (a prescindere dall’ammontare) alla formazione del reddito del dipendente e quindi sono assoggettate a tassazione;
  • le erogazioni liberali in natura se di importo:
    • non superiore ad € 258,23 nel periodo d’imposta non concorrono alla formazione del reddito;
    • superiore ad € 258,23 nel periodo d’imposta concorrono per l’intero ammontare alla formazione del reddito del dipendente (non solo per la quota eccedente il limite).
Autore: redazione fiscal focus

Accertamenti definitivi: non opera la sospensione dell’esecuzione forzata

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Il D.Lgs. 159/2015 ha introdotto importanti modifiche in merito alle Misure per la semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione; le novità riguardano anche la concentrazione della riscossione nell’accertamento. Lo stesso Decreto ha previsto che l’avviso di accertamento diventa esecutivo trascorsi 60 gg dal termine previsto per la presentazione del ricorso, quindi non si considera più invece il termine di notifica dell’avviso di accertamento.

All’art. 5 lo stesso decreto intervenendo sull’art.29, comma 1 del D.L.78/2010 prevedeva che: gli avvisi di accertamento divengono esecutivi (decorso il termine utile per la proposizione del ricorso) e devono espressamente recare l’avvertimento che, decorsi trenta giorni dal termine ultimo per il pagamento, la riscossione delle somme richieste, in deroga alle disposizioni in materia di iscrizione aruolo, è affidata in carico agli agenti della riscossione anche ai fini dell’esecuzione forzata, con le modalità determinate con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate, di concerto con il Ragioniere generale dello Stato. L’esecuzione forzata è sospesa per un periodo di centottanta giorni dall’affidamento in carico agli Agenti della riscossione degli atti di cui alla lettera; proprio in merito all’ultimo punto il D.Lgs 159/2015 ha stabilito invece che la predetta sospensione non opera in caso di accertamenti definitivi, anche in seguito a giudicato, nonché in caso di recupero di somme derivanti da decadenza dalla rateazione“; quindi in questi casi viene esclusa la sospensione della procedura di esecuzione forzata.

Inoltre il Legislatore ha eliminato la lettera e, comma 1, art. 29 del D.L. 78 del 2010 nella parte in cui stabiliva che l’espropriazione forzata, in ogni caso, è avviata, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre 2015 del terzo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto esecutivo; da qui, quindi, l’espropriazione forzata è legata ai termini di prescrizione ordinaria quinquennale per le sanzioni, e decennali per i tributi erariali.

Infine è da segnalare che lo stesso decreto ha previsto la possibilità di recapitare al debitore la cosiddetta comunicazione dell’affidamento della riscossione ad Equitalia, oltre che con raccomandata anche con posta semplice, posta ordinaria e certificata.

Autore: redazione fiscal focus

Antiriciclaggio: anche gli avvocati coinvolti

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Ci sono adempimenti che vengono spesso dimenticati. Più che dimenticati, si potrebbe più correttamente dire, soffocati: soffocati da tutti gli altri adempimenti, quelli per i quali la scadenza è più imminente e deve essere necessariamente rispettata.

Tutto il resto viene quindi relegato tra le formalità rinviabili ad una data imprecisata: fino a quando, almeno, non scattano le sanzioni.

Stiamo parlando della disciplina antiriciclaggio, e di tutti quegli adempimenti che la stessa ci obbliga a rispettare: adempimenti che possono apparire soltanto formali, ma dietro ai quali si nasconde un apparato sanzionatorio di tutto rispetto, fatto non solo di sanzioni amministrative sicuramente sproporzionate, ma anche di sanzioni penali.

Gli avvocati

Se i commercialisti e gli esperti contabili fanno ormai da tempo i conti con questa particolare disciplina, ci sono altri professionisti che la stanno sicuramente sottovalutando.

Stiamo parlando degli avvocati, i quali sono comunque tenuti all’osservanza della normativa antiriciclaggio quando, in nome o per conto dei loro clienti, compiono qualsiasi operazione di natura finanziaria o immobiliare e quando assistono i clienti nella predisposizione o nella realizzazione di operazioni riguardanti:

1) il trasferimento a qualsiasi titolo di diritti reali su beni immobili o attività economiche;

2) la gestione di denaro, strumenti finanziari o altri beni;

3) l’apertura o la gestione di conti bancari, libretti di deposito e conti di titoli;

4) l’organizzazione degli apporti necessari alla costituzione, alla gestione o all’amministrazione di società;

5) la costituzione, la gestione o l’amministrazione di società, enti, trust o soggetti giuridici analoghi.

Si pensi, quindi, ad una consulenza legale per la riscossione di una polizza assicurativa, alla redazione di un contratto di comodato o di affitto, ai risarcimenti che comportano il trasferimento di un importo in denaro.

Attività, queste, che vengono svolte quotidianamente negli studi legali, ma che, frequentemente, non sono correlate agli adempimenti antiriciclaggio.

La segnalazione delle operazioni sospette

Giova tuttavia di essere ricordato che, ai sensi dell’articolo 12 del D.Lgs. 231/2007, l’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette non trova applicazione se le informazioni sono ricevute dal cliente:

  • nel corso dell’esame della posizione giuridica o dell’espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento;
  • nell’ambito della consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento,
  • ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso.

L’esonero dall’obbligo della segnalazione non comporta però l’esclusione dagli obblighi di adeguata verifica della clientela.

Ciò significa che, anche se si ricadesse in un’ipotesi nella quale non dovrà essere comunque effettuata la segnalazione, il professionista sarà comunque obbligato a procedere all’identificazione del cliente e del titolare effettivo, senza dimenticare la conservazione e la registrazione dei dati.

Autore: redazione fiscal focus

Rimborsi IVA: l’individuazione dei contribuenti a rischio

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

La nuova normativa concernente la possibilità di richiedere i rimborsi IVA senza presentazione di garanzie è stata più volte sotto la lente dell’Amministrazione Finanziaria. Prima con la C.M. 32/E/2014 e successivamente con la C.M. 6/E/2015 e C.M. 35/E/2015, sono stati forniti importanti chiarimenti. Tra i vari chiarimenti forniti dall’Amministrazione Finanziaria si vuole porre l’attenzione sull’individuazione dei contribuenti a rischio, ovvero coloro che non possono fruire delle condizioni agevolative previste dalla novellata normativa e sono comunque tenuti alla presentazione della garanzia, per rimborsi di ammontare superiore ad euro 15.000,0. I c.d. contribuenti a rischio sono:

  • i soggetti passivi che esercitano un’attività d’impresa da meno di 2 anni, diversi dalle imprese start-up innovative di cui all’art. 25, D.L. 179/2012, conv. con modif. dalla L. 221/2012;
  • i soggetti passivi ai quali, nei 2 anni antecedenti la richiesta di rimborso, sono stati notificati avvisi di accertamento o di rettifica da cui risulti, per ciascun anno, una differenza tra gli importi accertati e quelli dell’imposta dovuta o del credito dichiarato superiore:
    1. al 10% degli importi dichiarati se questi non superano Euro 150.000;
    2. al 5% degli importi dichiarati se questi superano Euro 150.000 ma non superano Euro1.500.000;
    3. all’1% degli importi dichiarati, o comunque a Euro 150.000, se gli importi dichiarati superano Euro 1.500.000.

Per quanto riguarda la prima casistica, va puntualmente determinato lo svolgimento dell’attività d’impresa da meno di due anni. In tal senso va evidenziato che la formulazione della norma fa esclusivo riferimento allo svolgimento di attività d’impresa; pertanto, il suddetto limite non si riferisce ai soggetti che svolgono attività di lavoro autonomo.

Per gli esercenti arti e professioni, dunque, la richiesta di rimborsi di importo superiore ad euro 15.000,00 potrà avvenire senza la necessaria presentazione della garanzia, a patto che sull’istanza da cui emerge il credito si appone il visto di conformità o la sottoscrizione alternativa dell’organo di controllo e si presenta la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.

Sempre in merito al computo dei due anni dall’inizio di svolgimento dell’attività che qualificata il contribuente a “rischio” con relativo obbligo di presentare la garanzia per le richieste di rimborso d’importo superiore ad euro 15.000,00, l’Amministrazione Finanziaria ha chiarito che per il computo dei due anni deve farsi riferimento all’effettivo svolgimento dell’attività d’impresa, che ha inizio con la prima attività effettuata e non con l’apertura della partita Iva.

Viene chiarito inoltre che il termine dei due anni si riferisce alla data di richiesta del rimborso annuale o trimestrale.

In termini pratici, un contribuente che presenta la richiesta di rimborso in data 30.06.2016, non dovrà presentare la polizza fideiussoria se ha svolto la prima attività d’impresa il 30.06.2014 o in data anteriore.

Sono tenuti alla presentazione della garanzia anche i soggetti passivi ai quali, nei 2 anni antecedenti la richiesta di rimborso, sono stati notificati avvisi di accertamento o di rettifica da cui risulti, per ciascun anno, una differenza tra gli importi accertati e quelli dell’imposta dovuta o del credito dichiarato superiore a determinate soglie

Sulla verifica di tale requisito, già con la C.M. 32/E/2014 l’Amministrazione Finanziaria aveva avuto modo di chiarire che per la verifica dell’assenza di avvisi di accertamento o di rettifica l’intervallo dei due anni deve essere calcolato dalla data di richiesta del rimborso.

A titolo esemplificativo, per una richiesta di rimborso presentata il 15 marzo 2016, qualsiasi atto di accertamento o rettifica notificato prima del 15 marzo 2014 non verrà preso in considerazione, mentre rileveranno la presenza di atti di accertamento o di rettifica notificati dal 15 marzo 2014 al 14 marzo 2016.

Veniva inoltre precisato che gli atti da considerare ai fini della verifica del requisito in commento, non sono solo gli avvisi di accertamento e rettifica ai fini IVA, ma anche quelli relativi agli altri tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate.

Si rileva, altresì, che nel computo degli atti da considerare al fine del calcolo degli importi accertati si deve tener conto di tutti quelli notificati nei due anni antecedenti la richiesta di rimborso, prescindendo dall’esito degli stessi, con eccezione degli atti annullati in autotutela o oggetto di sentenze favorevoli al contribuente passate in giudicato.

Autore: redazione fiscal focus

NUOVO BILANCIO:NEL CONTO ECONOMICO NIENTE SEZIONE STRAORDINARIA

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

A seguito delle novità introdotte con il D.Lgs. n.139/2015 nel nuovo conto economico non è più prevista, tra l’altro, l’indicazione degli oneri e dei proventi straordinari.

Dal 2016, pertanto, questi componenti di reddito dovranno essere riclassificati tra le voci ordinarie di costi e di ricavi del conto economico.

Ma perché questa scelta del Legislatore?

Ebbene, come noto, il D.Lgs. n.139/2015 recepisce le novità introdotte dalla Direttiva 2013/34/UE, con la quale si è cercato di adeguare il sistema informativo di bilancio alle attuali esigenze delle società di capitali.

Soprattutto con riferimento agli oneri e proventi straordinari si è rilevato come la loro esposizione in bilancio fosse spesso dettata da valutazioni soggettive del redattore. Ecco quindi il motivo per il quale il legislatore comunitario ha deciso di eliminare tale sezione dal conto economico, tenendo altresì conto delle disposizioni dettate dai principi contabili internazionali.

L’informativa da fornire in nota integrativa

Come poter dare evidenza, dunque, degli eventi straordinari che hanno inciso sulla determinazione del reddito?

Il Legislatore ha a tal fine previsto che la nota integrativa preveda una nuova, specifica, indicazione, relativa, appunto, ai costi e ricavi di entità o incidenza particolare.

Giova tuttavia di essere ricordato che, già in passato, l’articolo 2427 c.c. richiedeva l’esposizione della composizione delle voci “oneri straordinari” e “proventi straordinari” nella nota integrativa, se di ammontare apprezzabile.

Cosa è cambiato rispetto la vecchia formulazione?

In linea di massima è possibile affermare che il nuovo testo dell’articolo 2427 c.c. individua espressamente i casi in cui si può parlare di oneri e proventi straordinari, senza limitarsi più, come in passato, a rinviare alle voci del conto economico.

Pertanto, in virtù delle modifiche introdotte deve ritenersi ormai assodato che la straordinarietà del componente di reddito non è determinata dalla sua fonte ma dall’eccezionalità:

  • del suo importo
  • o della sua incidenza.

La congiunzione “o” lascia inoltre comprendere che questi due aspetti sono alternativi, ragion per cui sarà sufficiente l’eccezionalità dell’importo dell’onere/provento, oppure della sua incidenza, non essendo invece necessaria la compresenza dei due requisiti.

L’ ”eccezionalità”

La nuova definizione di oneri e proventi straordinari, tuttavia, apre la strada ad alcune incertezze, soprattutto in merito all’effettiva portata del carattere dell’ “eccezionalità”.

Quando può dirsi che l’entità o l’incidenza siano eccezionali?

Sicuramente sarà necessario attendere la riformulazione dei principi contabili nazionali per avere un quadro più completo.

Tuttavia, quello che è certo è che l’eccezionalità dovrà essere valutata con riferimento alla singola realtà aziendale.

Come sottolineato già da alcuni Autori potrebbe pertanto accadere che un costo/provento di carattere eccezionale per un’impresa potrebbe non esserlo per la controparte.

La definizione fornita dall’Oic 12

L’attuale principio OIC 12 fornisce una definizione di attività straordinaria che, come già detto, si discosta molto da quanto previsto dal D.Lgs. n. 139/2015.

Come già anticipato, infatti, i principi contabili nazionali si soffermano sulla fonte del provento/onere, senza tenere in considerazione l’entità o l’incidenza.

Più precisamente viene chiarito che “l’attività straordinaria include i proventi e gli oneri la cui fonte è estranea all’attività ordinaria della società. Sono considerati straordinari i proventi e gli oneri che derivano da:

  1. a) eventi accidentali ed infrequenti;
  1. b) operazioni infrequenti che sono estranee all’attività ordinaria della società.” 
    Autore: Lucia Recchioni

IMU – TASI: novità dell’ultim’ora

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Continuano a susseguirsi le novità per ciò che riguarda le imposte sulla casa. Tra le novità dell’ultima ora si segnala l’equiparazione all’abitazione principale e quindi esente da TASI:

  • la casa coniugale assegnata al coniuge in caso di separazione, divorzio o annullamento del matrimonio;
  • gli immobili delle cooperative edilizie a proprietà indivisa adibite a prima casa dai soci;
  • gli alloggi sociali;
  • gli immobili posseduti dal personale delle forze armate.

Ma questa non è stata l’unica novità che ha riguardato le tasse sul mattone.

Già nella prima versione del DDL di Stabilità 2016 è stata prevista l’assimilazione per legge all’abitazione principale degli immobili concessi in comodato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta entro il primo grado. La naturale conseguenza di tale previsione normativa, che dovrà essere confermata dai due rami del Parlamento, è l’esclusione dell’ambito applicativo di IMU e TASI delle seconde case di proprietà concesse in comodato a figli/e.

Via la corsa alla registrazione dei contratti comodato ad uso gratuito, dunque, per scongiurare di dover ancora fare i conti con le suddette tasse. Ma questo adempimento non sarà affatto indolore, dato che ai fini fiscali sarà necessaria la redazione del contratto per iscritto. Il contratto di comodato di beni immobili redatto in forma scritta è annoverato tra gli atti soggetti a registrazione in termine fisso, con applicazione dell’imposta in misura fissa indipendentemente dal fatto che sia stato redatto con atto pubblico o con scrittura privata autenticata.

Ma questa non sarà l’unica condizione da rispettare.

Infatti ci si potrà sottrarre al pagamento delle tediose imposte sul mattone, al verificarsi delle seguenti condizioni:

  • sarà innanzitutto necessario che l’immobile concesso in uso non sia annoverato tra gli immobili di lusso, ovvero accatastato nelle categorie A1, A8 e A9.;
  • per ciò che attiene il soggetto comodatario questo dovrà fissare nell’immobile ottenuto in comodato la propria residenza e inoltre sempre il comodatario non deve possedere un altro immobile ad uso abitativo in Italia;
  • il soggetto concedente deve invece aver adibito nel 2015 lo stesso immobile come abitazione principale. Inoltre tale soggetto non deve possedere un altro immobile ad uso abitativo in Italia.

La presenza di tutte le condizioni deve essere confermata dal soggetto passivo (proprietario o titolare di altro diritto reale) con la presentazione di apposita dichiarazione.

Che le condizioni sopra citate si verifichino congiuntamente è assai improbabile: un padre deve aver adibito un immobile ad abitazione principale nel 2015 e poi nel 2016 il padre lascia l’immobile che viene adibito ad abitazione principale dal figlio. La formulazione della norma ci lascia increduli, e conferma la tendenziale confusione del Legislatore che per evitare combattere potenziali comportamenti elusivi si ingegna nel creare mostri normativi. Per fortuna ancora il danno non è stato fatto. La questione si potrà risolvere in Parlamento, sempre che qualcuno ne abbia reali intenzioni.

Tra le altre novità sugli immobili si segnala l’applicazione dell’IMU e della TASI agli immobili ubicati nelle città “ad alta tensione abitativa e concessi in locazione sulla base di contratti a canone concordato, quindi ubicati nelle città “ad alta tensione abitativa”.

Autore: redazione fiscal focus

Codice tributo per investimenti in beni strumentali

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Con la Risoluzione n. 96 di ieri le Entrate hanno istituito il relativo codice

Premessa – Con la risoluzione n. 96 di ieri 19 novembre, l’Agenzia delle Entrate ha istituito il codice tributo per l’utilizzo del credito d’imposta, mediante F24, dell’incentivo fiscale previsto dal “decreto competitività” a favore dei titolari di reddito d’impresa.

Ambito soggettivo – Beneficiari del credito d’imposta di cui all’articolo 18 del DL 91/2014 sono i contribuenti titolari di reddito d’impresa che, nel periodo compreso tra l’entrata in vigore della disposizione (25 giugno 2014) e il 30 giugno scorso, hanno effettuato investimenti in nuovi beni strumentali (macchinari e impianti) compresi nella divisione 28 della tabella Ateco 2007 e destinati a strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato.

Credito – Il bonus fiscale, pari al 15% delle spese sostenute in eccedenza rispetto alla media degli analoghi investimenti realizzati nei cinque periodi di imposta precedenti (con facoltà di escludere dal calcolo della media il periodo in cui l’investimento è stato maggiore), è utilizzabile esclusivamente in compensazione, mediante modello F24, e deve essere ripartito in tre quote annuali di pari importo: la prima, a decorrere dal 1° gennaio del secondo periodo d’imposta successivo all’investimento.

Codice tributo – Per consentirne la fruizione a partire dall’inizio del prossimo anno, secondo le modalità fornite con la Circolare 5/2015, la Risoluzione 96/E del 19 novembre 2015 istituisce lo specifico codice tributo “6856”, operativo dal 1° gennaio 2016.

Compilazione – Questo va esposto nella sezione “Erario” del modello F24, in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a credito compensati” ovvero, nei casi in cui il contribuente debba procedere a riversare l’agevolazione, nella colonna “importi a debito versati”. Nel campo “anno di riferimento” deve essere riportato l’anno di sostenimento della spesa.

Autore: redazione fiscal focus

S.T.S.: NUOVA COMUNICAZIONE TELEMATICA PER I MEDICI ENTRO IL 31 GENNAIO 2016

La tipologia di spesa dovrà essere indicata in base ad un’apposita codifica prevista dal software di gestione dell’adempimento.

L’articolo 3, comma 3 del D.Lgs. 175/2014 prevede che il Sistema Tessera Sanitaria, metta a disposizione dell’Agenzia delle Entrate le informazioni concernenti le spese sanitarie sostenute dai cittadini, ai fini della predisposizione della dichiarazione dei redditi precompilata. A tal fine, la stessa disposizione stabilisce che le suddette informazioni debbano essere trasmesse telematicamente al Sistema Tessera Sanitaria dalle strutture sanitarie accreditate e dagli iscritti all’albo dei medici chirurghi e degli odontoiatri.

Di seguito con il D.M. 31 luglio 2015, sono state fissate le regole che i soggetti obbligati devono seguire per inviare in via telematica fatture e scontrini per prestazioni sanitarie al STS Sistema Tessera Sanitaria. Infatti, per rendere piùcompleto il modello 730 precompilato, entro il 31 gennaio 2016: le aziende sanitarie locali; le aziende ospedaliere; gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico; i policlinici universitari; le farmacie, pubbliche e private (scontrini e fatture); i presidi di specialistica ambulatoriale; le strutture per l’erogazione delle prestazioni di assistenza protesica e di assistenza integrativa, gli altri presidi e strutture accreditati per l’erogazione dei servizi sanitari; gli iscritti all’Albo dei medici chirurghi e degli odontoiatri, devono inviare al Sistema tessera sanitaria i dati relativi alle prestazioni erogate nel 2015, ai fini della loro messa a disposizione da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Il primo invio dei dati entro il 31 gennaio 2016 riguarderà scontrini e fatture dell’intero anno 2015.

A titolo esemplificativo i medici e odontoiatri devono comunicare i dati relativi alle seguenti prestazioni:

  • spese per prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale esclusi gli interventi di chirurgia estetica;
  • visite mediche generiche e specialistiche o prestazioni diagnostiche e strumentali;
  • prestazioni chirurgiche ad esclusione della chirurgia estetica;
  • interventi di chirurgia estetica ambulatoriali o ospedalieri;
  • certificazioni mediche;
  • altre spese sanitarie non comprese nell’elenco.

Per ciascuna spesa o rimborso, i dati da comunicare sul Sistema Tessera Sanitaria sono:

  1. codice fiscale del contribuente o del familiare a carico cui si riferisce la spesa o il rimborso;
  2. codice fiscale o partita IVA e cognome e nome o denominazione del soggetto che ha emesso il documento fiscale (scontrino o fattura);
  3. data del documento fiscale che attesta la spesa;
  4. tipologia della spesa;
  5. importo della spesa o del rimborso.

Sono previste sanzioni di 100 euro per ogni comunicazione omessa, fino ad un massimo di 50.000 euro.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Novità Legge di Stabilità: canone RAI, estromissione immobili, sconto IMU

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Gli emendamenti approvati in Commissione Bilancio del Senato

Numerosi gli emendamenti approvati ieri in Commissione Bilancio del Senato. Viene confermata la misura che prevede l’estromissione “agevolata” degli immobili strumentali dall’impresa individuale, viene introdotta una norma per evitare la corresponsione di affitti in nero, canone rai rateizzato e con franchigia di 8mila euro.

Estromissione immobili impresa individuale – Viene data in sostanza all’imprenditore individuale, che alla data del 31 ottobre 2015 possiede beni immobili strumentali, la possibilità di optare entro il 31 maggio 2016 per l’esclusione dei predetti immobili dal patrimonio dell’impresa.
Per la determinazione della base imponibile e dell’imposta sostitutiva si rimanda a quanto previsto per l’assegnazione degli immobili ai soci.

Questo significa in termini pratici che la fuoriuscita dell’immobile dal perimetro dell’impresa sconterà una tassazione sostituiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP pari all’8%, che dovrà essere applicata sulla differenza tra il valore catastale del bene e il suo costo fiscale.

Contrasto agli affitti in nero – Per evitare la corresponsione di affitti in nero si prevede cheÈ nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato”, prevedendo inoltre che “il conduttore, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell’immobile locato, può chiedere la restituzione delle somme corrisposte in misura superiore al canone risultante dal contratto scritto e registrato”.

Fondo per il credito alle aziende vittime di mancati pagamenti – Approvato un emendamento che prevede l’istituzione, presso il ministero dello Sviluppo economico, di un Fondo per il credito alle aziende vittime di mancati pagamenti, con una dotazione di 10 milioni di euro all’anno per il triennio 2016-2018.

Canone RAI: rateizzato e con franchigia – Confermata la misura che prevede la corresponsione del Canone RAI con il pagamento della bolletta elettrica, prevedendo tuttavia che l’importo sia suddiviso in dieci rate mensili, addebitate sulle fatture emesse dall’impresa elettrica aventi scadenza del pagamento immediatamente successiva alla scadenza delle rate. Si prevede inoltre che non siano tenuti alla corresponsione del Canone RAI i soggetti con età maggiore a 65 anni e reddito inferiore a 8.000,00 euro.

Chi affitta la seconda casa a canone concordato fruisce di uno sconto IMU del 25% – Uno sconto del 25% ai proprietari di secondo case che le affittano a canone concordato.

Meno risorse al SUD – L’imminente esigenza di aumentare le risorse per la sicurezza vienegarantita riducendo le risorse originariamente previste per il mezzogiorno.

Autore: redazione fiscal focus

Riaperta l’estromissione dell’immobile strumentale dell’imprenditore

Riaperta l’estromissione dell’immobile strumentale dell’imprenditore

Transfer price: valido in Dogana con “correzioni”

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Un tavolo congiunto tra Dogane e Agenzia delle Entrate per stabilire l’adattabilità dei metodi per giustificare il valore normale ai fini delle imposte dirette e anche per la determinazione del valore da utilizzare ai fini doganali. Viene evidenziato in primis chela definizione del valore in dogana è contenuto nell’art. 29 CDC, secondo il quale l’importo della transazione indicato in fattura – il prezzo pagato o da pagare per la merce – assurge a base dell’imponibile in dogana (previo aggiustamento degli elementi da addizionare o da escludere ai sensi degli artt. 32 e 33 CDC) e dunque costituisce oggetto dell’attività di accertamento doganale.

Ciò significa che, salva l’emersione di un ragionevole dubbio al riguardo, il valore di transazione è quello da prendere in considerazione ai fini dell’applicazione dei diritti doganali. Può accadere tuttavia che nel caso di transazioni tra parti collegate si agisca sulla determinazione del prezzo attraverso un prezzo delle merci più basso (sotto-fatturazione) o più alto (sovra-fatturazione) rispetto a quello che un venditore, non legato al suo compratore, avrebbe praticato in identiche circostanze di spazio e di tempo.
A tal fine vengono ritenuti idonei, anche ai fini doganali, per dimostrare la congruità dei valori doganali, i metodi tradizionali OCSE di determinazione del prezzo di trasferimento infragruppo, sebbene con diversi gradi di affidabilità.
Si tratta dei seguenti metodi: CUP(Comparable Uncontrolled Price), RPM (Resale Price Method), CPM (Cost Plus Method) e PSM (Profit Split Method); qualche riserva solleva l’applicazione del TNMM (Transactional Net Margin Method).
I fattori di comparabilità, ossia quei fattori che possono assumere, in varia misura, rilevanza nel determinare la confrontabilità tra operazioni infragruppo rispetto a quelle intercorse tra parti indipendenti in condizioni similari, possono essere ritenuti validi con le seguenti considerazioni:

  • le caratteristiche dei beni ceduti (e dei servizi prestati) sono prese in considerazione anche ai fini della classificazione doganale delle merci e della determinazione della base imponibile con riferimento ad ogni singola partita dichiarata all’importazione e ad ogni singola circostanza della transazione internazionale sottostante;
  • l’analisi delle funzioni svolte, dei rischi assunti e dei beni strumentali utilizzati è particolarmente rilevante anche nello studio dei flussi dei pagamenti relativi a molteplici elementi che contribuiscono alla determinazione del valore in dogana;
  • i dettagli dei termini e delle clausole ricavabili dai contratti, la cui conoscenza consente di effettuare una comparazione dei contratti prodotti nell’ambito del regime degli “oneri documentali”, risponde all’esigenza di determinare molti aspetti inerenti alle responsabilità dei pagamenti effettuati o da effettuare in forza degli aggiustamenti di cui agli artt. 32 e 33 CDC, con particolare riferimento ai flussi dei pagamenti dovuti per l’utilizzo dei diritti di proprietà intellettuale, quali canoni e diritti di licenza;
  • le condizioni economiche, sono valutate anche ai fini doganali rilevando nell’ambito dei procedimenti autorizzatori o, ad esempio, ai fini della concessione dello status di operatore economico autorizzato (AEO);
  • le strategie di impresa sono tenute in debita considerazione anche in dogana tenuto conto che, nelle autorizzazioni preventive degli aggiustamenti ex art.156-bis DAC, è indispensabile l’analisi degli obiettivi strategici di medio e lungo periodo dell’intero gruppo societario ai fini dell’ammissibilità dei prezzi di trasferimento stabiliti tra venditori e importatori legati.

Secondo i principi di precauzione, trasparenza e partecipazione al procedimento amministrativo, le disposizioni recate dall’art. 156-bis delle DAC prevedono la possibilità di “concordare” con la dogana una pre-determinazione del valore sulla base di criteri di “congruità del prezzo” costantemente monitorabili.

In sostanza, la Dogana incentiva gli operatori al ruling preventivo per veder riconosciuto il prezzo di trasferimento praticato dalle aziende multinazionali nell’ambito degli scambi cross-border.
A tal fine è allegato alla circolare un formulario da presentare alle Dogane per fornire tutte le informazioni e la documentazione necessaria per veder riconosciuta la propria strategia di fissazione dei prezzi di trasferimento.

Autore: redazione fiscal focus

Cessione aziende: il registro non guida l’accertamento

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Per le cessioni di immobili o di aziende, nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali su di essi, ai fini IRPEF, IRES ed IRAP, l’esistenza di un maggior valore non può più essere presunta soltanto sulla base del valore anche se dichiarato o accertato ai fini dell’imposta di registro ovvero delle imposte ipocatastali.

E’ quanto prevede il Decreto crescita e internalizzazione (art. 5, co. 3, D.lgs.147/2015), che con norma di interpretazione autentica ha risolto una questione assai dibattuta in dottrina e giurisprudenza.

La questione – La corte di Cassazione più volte si era espressa sulla questione, ritenendo legittima la rettifica della plusvalenza da cessione di azienda in base al maggior valore dichiarato ai fini dell’imposta di registro. Era onere del contribuente dare prova contraria.

Nell’esprimerne tale posizione né la giurisprudenza né l’Amministrazione Finanziaria tenevano conto dei diversi metodi di calcolo della base imponibile ai fini delle imposte dirette e ai fini dell’imposta di registro. Mentre ai fini delle imposte dirette ciò che conta è il corrispettivo stabilito dalle parti, ai fini dell’imposta di registro si fa riferimento al valore venale in comune commercio. Il primo un dato certo risultante dalle disposizioni negoziali, l’altro invece un dato presuntivo che si base sulla individuazione del prezzo che sarebbe stato applicato in normali condizioni di mercato. Che quest’ultimo sia un dato discrezionale non v’è dubbio. Ecco allora che i due parametri non possono essere messi a confronto: si tratterebbe di misurare due fattispecie diverse con gli stessi criteri.

I valori OMI e l’accertamento ai fini dell’imposta di registro – A complicare la situazione, la definizione del valore venale in comune commercio, che originariamente avveniva da parte dell’Amministrazione Finanziaria facendo riferimento esclusivo ai valori OMI (Osservatorio del Mercato immobiliare). Per fortuna la Cassazione ha rotto il collegamento diretto tra dati OMI e valore venale in comune commercio.

Interpretazione poi adottata dall’Amministrazione Finanziaria nella C.M. 18/E/2010, laddove l’Agenzia, recependo modifiche normative risalenti al 2008, ha riconosciuto che lo scostamento dei corrispettivi dichiarati per le cessioni di beni immobili rispetto al valore normale (valore OMI) rappresenta un elemento presuntivo semplice, e indirizzando gli uffici, con riferimento alle controversie pendenti, a valutare se le motivazioni degli accertamenti impugnati si dimostrino comunque adeguate o se, invece, si rivelino insufficienti così da richiedere l’abbandono del contenzioso in corso.

In altri termini, il solo discostamento del corrispettivo dai valori OMI non era stato ritenuto sufficiente per l’accertamento, ritenendo necessari anche ulteriori elementi presuntivi idonei ad integrare la prova della pretesa (quali, a titolo meramente esemplificativo, il valore del mutuo qualora di importo superiore a quello della compravendita, i prezzi che emergono dagli accertamenti effettuati con la ricostruzione dei ricavi sulla base delle risultanze delle indagini finanziarie, i prezzi che emergono da precedenti atti di compravendita del medesimo immobile). Questa interpretazione viene ora promossa a legge ad opera del Decreto crescita e internalizzazione.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Servizi digitali: esonero da certificazione fiscale

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Decreto 27.10.2015 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 263 del 11-11-2015

E’ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 263 dell’11-11-2015 il Decreto 27.10.2015 che prevede l’esonero da certificazione fiscale per gli operatori del commercio elettronico diretto per le prestazioni rese a committenti privati.

Va ricordato che con l’entrata in vigore del D.lgs. 42/2015 pubblicato sulla G.U. n. 90 del18.04.2015, dal 03.05.2015 è efficace l’esonero degli obblighi di fatturazione in relazione all’imposta sul valore aggiunto dovuta sulle prestazioni dei servizi di telecomunicazione, di teleradiodiffusione o elettronici effettuate nel territorio dello Stato.

A tal proposito si evidenzia che con il D.lgs.42/2015 è stato previsto l’inserimento di un nuovo comma 6-ter, nell’art. 22, Decreto IVA, in base al quale l’emissione della fattura non è obbligatoria, se non è richiesta dal cliente non oltre il momento di effettuazione dell’operazione, per le prestazioni di servizi di telecomunicazione, di servizi di teleradiodiffusione e di servizi elettronici resi a committenti che agiscono al di fuori dell’esercizio d’impresa, arte o professione.

Ciò detto, va evidenziato che l’obbligo di fatturazione rimane per i rapporti B2B.

In base al comma 6-ter, art. 22, Decreto IVA, i soggetti passivi italiani che erogano servizi di e-commerce a privati italiani, indipendentemente dall’adesione al MOSS, sono dispensati dagli obblighi di fatturazione. In tale caso andava chiarito se fosse comunque necessario procedere alla certificazione fiscale dell’operazione.

L’art. 1 del D.M. 27.10.2015 prevede che “non sono soggette all’obbligo di certificazione dei corrispettivi le seguenti tipologie di operazioni: …. a) prestazioni di servizi di telecomunicazione, di servizi di teleradiodiffusione e di servizi elettronici rese a committenti che agiscono al di fuori dell’esercizio d’impresa, arte o professione.”

L’esonero dalla certificazione fiscale si aggiunge all’esonero dalla fatturazione. Nessun adempimento dunque per le prestazioni rientranti nel commercio elettronico diretto rese a privati consumatori italiani.

Per ciò che riguarda l’efficacia delle nuove disposizioni, l’art. 2 del D.M. 27.10.2015 prevede l’applicazione delle nuove regole alle operazioni effettuate a partire dal 1° gennaio 2015.

Continuando la nostra analisi sulle modalità di fatturazione nel commercio elettronico diretto, analizziamo il caso delle prestazioni rese da soggetti passivi IVA che aderiscono al MOSS in Italia nei confronti di privati UE.

Per i soggetti passivi IVA che aderiscono al MOSS in Italia ed erogano prestazioni di e-commerce a privati UE, si tratta di un ‘operazione extra territoriale. Per quanto riguarda gli obblighi di fatturazione, è opportuno verificare se in base alle regoli generali IVA sia necessario emettere fattura.

In particolare:

  • in caso di cliente privato comunitario:
    • l’articolo 21, co. 6bis, lett. a), D.P.R. 633/1972, stabilisce che la fattura va emessa per le operazioni extraterritoriali effettuate (solo) nei confronti di altri soggetti passivi che sono debitori dell’imposta in un altro Paese Ue. Dal lato Italiano non sarà dunque necessaria l’emissione della fattura.

Inoltre, trattandosi di un’operazione territorialmente rilevante in un altro paese UE, bisogna verificare in tale Stato se sussistono obblighi di fatturazione, nonché l’aliquota Iva da applicare.

Sono inoltre esentate dalla fatturazione, le prestazioni di servizi elettronici resi da soggetti passivi comunitari o extra comunitari a privati consumatori italiani.

Autore: redazione fiscal focus

RATEAZIONE E PIANI DECADUTI:NUOVE POSSIBILITÀ

Si avvicina il termine del 21 novembre per la riammissione alla dilazione

Ci avviciniamo alla scadenza del 21 Novembre, ossia termine ultimo per la presentazione di riammissione alla dilazione di precedenti rateazioni decadute entro il 22 ottobre 2013.

Il D.Lgs. n.159/2015 sulla semplificazione e razionalizzazione della riscossione, ha introdotto la possibilità, per precedenti rateizzazioni decadute entro il 22 ottobre 2013, di chiedere una nuova dilazione, tramite apposita istanza da presentare entro il 21 novembre 2015. La suddetta dilazione di pagamento non può prevedere una durata superiore ai 72 mesi, con una previsione di decadenza che interviene in seguito al mancato pagamento di due rate anche non consecutive.

Effetti su ipoteche e azioni esecutive – Alla ricezione della richiesta di rateazione, l’agente della riscossione può iscrivere l’ipoteca di cui all’articolo 77 o il fermo di cui all’articolo 86, solo nel caso in cui la richiesta di rateazione non venga accolta, ovvero in caso di decadenza ai sensi del comma 3. Sono fatti comunque salvi i fermi e le ipoteche già iscritti alla data di concessione della rateazione. A seguito della presentazione di tale richiesta, fatta eccezione per le somme oggetto di verifica ai sensi dell’articolo 48-bis, per le quali non può essere concessa la dilazione, non possono essere avviate nuove azioni esecutive sino all’eventuale rigetto della stessa e, in caso di relativo accoglimento, il pagamento della prima rata determina l’impossibilita di proseguire le procedure di recupero coattivo precedentemente avviate, a condizione, che non si sia ancora tenuto l’incanto con esito positivo, o non sia stata presentata istanza di assegnazione, ovvero il terzo non abbia reso dichiarazione positiva o non sia stato già emesso provvedimento di assegnazione dei crediti pignorati.
Per i contribuenti che in quel periodo preciso avevano avuto accesso ad un piano di rateazione, al quale non sono riusciti a far fronte, è prevista la possibilità di chiedere nuovamente, entro il 21 Novembre 2015, la riammissione al beneficio tramite apposita documentazione disponibile sul sito di Equitalia alla sezione ModulisticaRateizzazioneRICHIESTA DI RATEIZZAZIONE PER PIANI DECADUTI DAL 22/10/2013 AL 21/10/2015.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

ACCONTI DA VERSARE: IL REGIME FORFETTARIO E QUELLO DEI MINIMI

I contribuenti che, a partire dal 01.01.2015, hanno optato, o sono naturalmente transitati per il regime forfettario di cui all’articolo 1, commi da 54 a 89, della legge 190/2014, non devono per quest’anno versare alcun acconto con riferimento all’imposta sostitutiva dovuta con aliquota del 15%.

L’acconto per le start up

Per chi ha iniziato l’attività direttamente nel nuovo regime non ci sono problemi di sorta poiché; la norma istitutiva del nuovo sistema contabile si limita a stabilire che il pagamento dell’imposta sostitutiva (del 15%) va effettuato negli stessi termini e con le modalità previste per il versamento Irpef.

Nel merito della questione si ricorda che con risoluzione 59/E/2015 le Entrate hanno stabilito gli appositi codici tributo previsti per il versamento delle imposte legate per l’appunto al nuovo regime a forfait. In particolare per la seconda rata di acconto è stato stabilito l’utilizzo del codice “1791”.

E’ evidente però che trattandosi del primo anno di applicazione, il codice segnalato non verrà utilizzato per la prossima scadenza del 30 novembre, in quanto, mancando una base storica di riferimento, i contribuenti in esame non sono tenuti a effettuare alcun versamento in acconto.

L’acconto per chi aveva redditi nel 2014

Il contribuente che, nel 2015, è transitato per obbligo o per opzione nel regime forfettario provenendo da un regime ordinario dovrà valutate attentamente il da farsi.

Sul punto va detto che manca nel regime forfettario di cui alla legge di Stabilità 2015 una disposizione analoga a quella prevista all’abrogato articolo 1, comma 117, della legge 244/2007 che obbligava i “minimi” a considerare anche in sede di calcolo previsionale le regole ordinarie e non quelle del regime agevolato.

Pertanto, in assenza di indicazioni previste in tal senso, il contribuente in questi casi potrebbe validamente procedere a rideterminare l’acconto non su basi storiche ma su quelle previsionali arrivando per questi versi anche ad azzerare quanto dovuto.

In questo senso potrà procedere con un totale annullamento del secondo acconto dovuto il contribuente che non possiede ulteriori redditi soggetti all’ Irpef. In tal caso, infatti, la presenza del solo reddito forfettario fa si che il metodo previsionale assicuri comunque la certezza di non incorrere in sanzioni legate a possibili minori versamenti effettuati in acconto.

Viceversa se esistono, comunque, in aggiunta al reddito determinato a forfait, altri redditi soggetti ad Irpef il ricalcolo sulla base del previsionale va invece adattato alle previste ipotesi di imponibile che presumibilmente sarà dichiarato per il 2015 con riferimento all’imposta ordinaria.

Chi è rimasto nel regime dei minimi

Il contribuente che per effetto delle norme transitorie ha mantenuto il regime dei minimi di cui alla Legge 244/2007 (art. 1 comma 117) adottato fin già dal 2014 anche per il periodo d’imposta 2015 deve calcolare l’acconto con le regole previste per tale regime.

In pratica l’acconto va calcolato adottando il metodo storico, nella misura del 100% di quanto dovuto a titolo di imposta complessiva per il 2014. In particolare si dovrà fare riferimento al rigo LM14 di Unico 2015.

L’acconto va versato in due rate se l’importo della prima supera € 103.

Anche in questo caso è possibile utilizzare il metodo previsionale in sostituzione di quello storico qualora si preveda che il reddito imponibile soggetto all’imposta sostitutiva del 5% sia, nel 2015, inferiore rispetto a quello maturato nel corso del 2014. L’insufficiente versamento è sempre punito con la sanzione del 30%, se a consuntivo quanto versato a titolo di acconto si dimostra incapiente in relazione al totale dell’imposta determinata per l’annualità d’imposta 2015.

Nessun anticipo va versato se tale rigo riporta un’imposta pari od inferiore a 51 euro o se l’attività è iniziata nel 2015 direttamente nel regime dei minimi.

Il minimo che è diventato ordinario

Infine per chi passa dal regime dei minimi (2014) al regime ordinario (2015) non è chiaro se l’acconto sia obbligatoriamente dovuto sulla base del metodo storico.

Seguendo le regole generali, in linea di principio l’acconto calcolato avvalendosi del metodo previsionale non dovrebbe essere dovuto. Tuttavia è presente in Unico un apposito spazio (rigo RN38, colonna 4), in cui il contribuente può scomputare, in sede di saldo Irpef, l’acconto versato relativamente all’imposta sostitutiva.

In assenza di istruzioni diverse, la presenza di tale campo non dovrebbe deporre per l’obbligatorietà per chi è in regime dei minimi di versare obbligatoriamente l’acconto dovuto con il metodo storico determinato secondo tale regime, ma starebbe solo a consentire l’opzione di poter scomputare l’anno successivo quanto versato con il regime precedente.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

REDDITI DIVERSI: BED AND BREAKFAST GLI ASPETTI FISCALI

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

L’attività di B&B, se esercitata in maniera occasionale non è un’attività soggetta ad Iva e, di conseguenza, chi la gestisce non dovrà emettere documenti fiscali, ma esclusivamente ricevute comprovanti l’avvenuto pagamento.

Il carattere saltuario o occasionale, infatti, consente l’esclusione dal campo di applicazione dell’IVA.
In sostanza, quindi, l’attività di Bed and Breakfast esercitata da persone fisiche che usufruiscono, in maniera occasionale e con assenza di organizzazione di mezzi (Ris. 13 ottobre 2000 n. 155/E e 14 dicembre 1998, n. 180/E), di parte della propria abitazione di residenza per offrire alloggio e prima colazione, esclude la soggettività imprenditoriale.
In caso contrario, ossia quando l’attività è esercitata per professione abituale, si deve obbligatoriamente aprire la partita IVA e dichiarare il relativo reddito d’impresa.

Requisiti soggettivi

Chi esercita tale attività deve essere in possesso dei seguenti requisiti soggettivi:

  • possesso dei requisiti morali previsti dall’articolo 11 del R.D. n. 773/1931 (T.U.L.P.S.);
  • assenza di pregiudiziali ai sensi della legge antimafia;
  • assenza di condanne ai sensi della Legge 20 Febbraio 1958 n. 75 (Legge Merlin).

Iva

Il contribuente che gestisce un’attività di Bed and Breakfast in maniera saltuaria e senza organizzazione di mezzi dovrà rilasciare al cliente una ricevuta non fiscale, datata, numerata con l’indicazione del corrispettivo incassato e del numero dei giorni di pernottamento.
In questo caso la “madre” resterà al titolare del B&B e la “figlia” verrà consegnata all’ospite. L’unico accorgimento da prendere è quello di applicare una marca da bollo da € 2,00 qualora l’importo superi € 77,47.
In alcuni comuni occorrerà addebitare ai turisti anche la tassa di soggiorno e provvedere al suo versamento.

Redditi

Sotto il profilo tributario queste attività occasionali sono tassate come redditi diversi.
Il principio applicabile è quello di cassa: vanno dichiarati i soli proventi effettivamente percepiti.
Ogni spesa considerata “specificamente inerente” l’attività esercitata può essere dedotta nel quadro RL del mod. UNICO PF o nel quadro D del 730, dall’ammontare dei proventi incassati.
Pertanto ad esempio, nel quadro RL di Unico sarà necessario procedere a compilare il rigo RL14 (il riferimento è a Unico 2015) e ad indicare in colonna 1 l’ammontare dei proventi incassati, in colonna 2 il totale dei costi, mentre a rigo RL19 è necessario riepilogare il reddito netto conseguito.
Tale reddito farà eventualmente cumulo con gli altri posseduti dal contribuente che devono essere poi riepilogati tutti nel quadro RN dove avviene la liquidazione complessiva dell’IRPEF dovuta.
Il contribuente deve anche redigere e conservare un prospetto riepilogativo (da esibire a richiesta dell’amministrazione finanziaria) dove riportare l’indicazione dell’ammontare lordo dei corrispettivi e delle spese inerenti, dalla cui somma algebrica si ricava il reddito da dichiarare.
Sul punto si ricorda che le spese inerenti vanno opportunamente documentate.
Una questione complessa diventa spesso quella di separare in modo chiaro e netto le spese inerenti, da quelle normali del ménage familiare (per esempio, quelle per l’energia elettrica, l’acqua, il gas, ecc.). In tale caso per i consumi energetici, un criterio opportuno, potrebbe essere quello di effettuare un calcolo pro-quota su base millesimale e in proporzione al tempo di occupazione.

Agevolazioni ristrutturazione (50%)

In fine per gli interventi relativi a spese di ristrutturazione dell’unità immobiliare residenziale utilizzata per l’attività di B&B si ricorda che con la Risoluzione n. 18/E/2008, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che le spese di ristrutturazione delle abitazioni private adibite promiscuamente anche all’esercizio di un’attività commerciale, Bed and Breakfast, possono usufruire della detrazione d’imposta prevista, ai fini Irpef del 50%, per il recupero del patrimonio edilizio, delle spese effettivamente sostenute dal contribuente, purché ulteriormente ridotte del 50%.

Autore: redazione fiscal focus

Stabili organizzazioni: quando è dovuta l’IVA in Italia?

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Affinché si possa ritenere che la stabile organizzazione in Italia di un soggetto estero partecipi a un’operazione e sia tenuto per la suddetta operazione al versamento dell’IVA è necessario non solo che la stabile organizzazione partecipi all’operazione ma la stabile deve svolgere una parte essenziale dell’operazione. E’ quanto chiarito dall’Amministrazione Finanziaria in risposta ad un interpello reso noto dalla stampa specializzata (Sole 24 ore del 04.11.2015) che amplia l’interpretazione restrittiva fornita dall’Amministrazione Finanziaria nella C.M. 37/E/2011.

La stabile organizzazione ai fini IVA: rapporti con la casa madre – Il Regolamento Ue 282/2011, facendo proprie numerose interpretazioni giurisprudenziali, ha fornito la definizione di stabile organizzazione ai fini Iva. Il citato Regolamento, oltre a definire puntualmente il concetto di stabile organizzazione ai fini Iva, interviene sulla stabile organizzazione regolando i rapporti con la casa madre e gli effetti ai fini delle regole territoriali relative alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi.
In particolare:

  • l’art. 11 del citato Regolamento, fornisce la definizione di stabile organizzazione;
  • gli articoli 53 e 21 del Regolamento UE n. 282/2011 stabiliscono quando la stabile organizzazione, partecipando, rispettivamente dal lato attivo e da quello passivo, all’effettuazione dell’operazione, viene considerata soggetto passivo ai fini IVA in luogo della sede dell’attività economica.

La partecipazione delle stabile organizzazione all’effettuazione dell’operazione – La stabile organizzazione è tenuta al versamento dell’IVA solo se partecipa all’effettuazione dell’operazione (art. 192-bis della direttiva 2006/112/CE). L’art. 192-bis della dir. 2006/112/CE, sancisce che, la stabile organizzazione, identificata in uno Stato membro diverso da quello del soggetto da cui essa dipende, fa venir meno l’obbligo generalizzato del reverse charge per i servizi e per i beni forniti al committente nazionale sotto due condizioni: 1. la casa madre effettua operazioni rilevanti nel territorio dello Stato (in cui la stabile organizzazione è identificata); 2. la stabile organizzazione partecipa alla esecuzione del servizio.

Cosa si debba intendere per partecipazione è indicato nel Regolamento UE 282/2011.

L’ articolo 53 del Regolamento Ue 282/2011 individua i casi un cui la stabile organizzazione, che opera come soggetto attivo, sia da prendere in considerazione come soggetto passivo ai fini IVA, in luogo della sede dell’attività economica.
In particolare, la citata disposizione sancisce quando la stabile organizzazione è (non è) tenuta al versamento dell’IVA:

  • non lo è se NON partecipa alla cessione di beni o alla prestazione di servizi ai sensi dell’art. 192- bis, lett. b), della Direttiva n. 2006/112/CE, a meno che la sua struttura sia utilizzata dalla casa madre per operazioni inerenti alla realizzazione della cessione o prestazione, prima o durante l’effettuazione della predetta cessione o prestazione;
  • non lo è se non partecipa alla cessione di beni o alla prestazione di servizi o se ha unicamente funzioni di supporto amministrativo (per esempio, la contabilità, la fatturazione e il recupero crediti);
  • infine, se, viene emessa una fattura con il numero di identificazione IVA attribuito dallo Stato membro della stabile organizzazione alla stessa, si considera, salvo prova contraria, che tale stabile organizzazione abbia partecipato alla cessione di beni o alla prestazione di servizi effettuata in tale Stato membro.

Tali aspetti sono stati oggetto di un intervento operato dall’Amministrazione Finanziaria con la circolare 37/E del 2011. In base ai chiarimenti contenuti nella circolare, “deve escludersi che la stabile organizzazione partecipi all’effettuazione del servizio quando in nessun modo il cedente o prestatore utilizzi le risorse tecniche o umane della stabile organizzazione in Italia per l’esecuzione della cessione o della prestazione in considerazione”.
L’interpretazione fornita dall’Amministrazione Finanziaria non pare del tutto in linea con le indicazioni del Regolamento UE 282/2011, facendo riferimento al semplice utilizzo delle risorse tecniche o umane della stabile organizzazione. Tale interpretazione è stata “ampliata” dalla Commissione UE che nel Working Paper n. 791 del 2014 e Working Paper n. 857/2015) ha precisato, su richiesta italiana, che una stabile organizzazione partecipa all’operazione se i mezzi umani e tecnici della stabile organizzazione sono stati effettivamente utilizzati nel caso concreto al fine di fornire (prima o durante l’esecuzione) un supporto in merito al completamento dell’operazione.
Tale interpretazione viene fatta propria dall’Agenzia delle Entrate, la quale, in risposta ad un interpello reso noto dalla stampa specializzata, ha affermato che affinché si possa ritenere che la stabile organizzazione in Italia di un soggetto estero partecipi a un’operazione e sia tenuto per la suddetta operazione al versamento dell’IVA è necessario non solo che la stabile organizzazione partecipi all’operazione ma la stabile deve svolgere una parte essenziale dell’operazione. E’ quanto chiarito dall’Amministrazione Finanziaria in risposta ad un interpello reso noto dalla stampa specializzata.

Autore: Redazione Fiscal Focus

SUCCESSIONE: AGEVOLAZIONE PRIMA CASA PER PIÙ IMMOBILI

A giugno 2015 è deceduto mio padre, il quale era proprietario in comunione con mia madre di due appartamenti facenti, parte di un unico complesso abitativo ma dotati ciascuno di categoria e rendita catastale autonoma. Gli eredi siamo io, mia madre e mia sorella. Mia madre ed io abitiamo nel sub 1 e mia sorella nel sub 2 (la residenza risulta al Comune). Sono questi gli unici immobili posseduti ed ereditati da noi. Dovendo presentare la dichiarazione di successione e dovendo pagare le imposte ipotecarie e catastali mi chiedo se l’agevolazione prima casa può essere richiesta solo per uno dei due sub andati in successione o per entrambi, visto che anche mia sorella ha residenza in uno degli immobili ereditati?

Risposta – Le imposte ipotecaria e catastale (pari rispettivamente al 2% e all’1% del valore degli immobili, con un versamento minimo di 200 euro per ciascuna di essa) sono dovute nella misura fissa di 200 euro per ciascuna imposta, indipendentemente dal valore dell’immobile caduto in successione, quando il beneficiario (o, nel caso di immobile trasferito a più beneficiari, almeno uno di essi) ha i requisiti necessari per fruire delle agevolazioni “prima casa”. In questo caso è necessario attestare (con un’autocertificazione) nella dichiarazione di successione l’esistenza delle condizioni che la legge richiede.

L’agevolazione fiscale è concessa se chi eredita l’immobile:

  • non è titolare, esclusivo o in comunione col coniuge, di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del Comune dove si trova l’immobile ereditato;
  • non è titolare, neppure per quote o in comunione legale, su tutto il territorio nazionale, di diritti di proprietà, uso, usufrutto, abitazione o nuda proprietà, su altra casa di abitazione acquistata, anche dal coniuge, usufruendo delle agevolazioni per l’acquisto della prima casa.

Tali due requisiti devono sussistere entrambi.

Inoltre, l’immobile deve trovarsi nel Comune in cui l’erede ha la propria residenza o in cui intende stabilirla entro diciotto mesi (salvo alcuni casi particolari in cui tale requisito non è richiesto, come per esempio per il personale delle forze di polizia).

Qualora vi siano più eredi e più immobili, ciascun erede (sempre se rispettati i predetti requisiti) potrà richiedere i benefici prima casa su un immobile diverso, ed i benefici richiesti da un coerede vanno a vantaggio anche degli altri.

Pertanto, nel caso in questione, la madre potrà richiedere l’agevolazione prima casa sul sub 1 (sul quale peraltro spetta il diritto di abitazione in qualità di coniuge superstite) e la sorella (avendo tutti i requisiti del caso) potrà richiedere la stessa agevolazione sul sub 2. Di tali agevolazioni ne beneficia anche il terzo erede.

Fiscal Focus

Patent box: il calcolo dell’agevolazione

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Dopo la comunicazione pubblicata in Gazzetta Ufficiale con la quale è stato “ufficializzato” il Decreto attuativo del patent box, è possibile fare il punto su alcuni aspetti relativi al rapporto tra l’agevolazione in questione e i costi di R&S nonché sul calcolo pratico della misura agevolativa introdotta dalla Legge di Stabilità 2015.

Collegamento tra bene immateriale agevolabile e costi di R&S – In merito alla prima questione, va innanzitutto evidenziato che il co. 41 dell’articolo unico della Legge di Stabilità 2015 ha definito le condizioni necessarie per usufruire dell’agevolazione.

In particolare si prevede che l’opzione per il regime di tassazione agevolata è consentita a condizione che i soggetti svolgano le attività di ricerca e sviluppo, anche mediante contratti di ricerca stipulati con Università o enti di ricerca e organismi equiparati, finalizzati alla produzione dei beni immateriali oggetto del regime agevolato.

Con le modifiche approvate nel D.L. investment compact (D.L. 3/2015), è stata concessa la possibilità di svolgere le attività di ricerca e sviluppo anche tramite società esterne, a condizione che non si tratti di società del gruppo.

Il requisito del collegamento diretto tra costi di R&S e bene immateriale è in linea con i principi dettati dall’Ocse, ed in particolare con il nexus approach in base al quale per cui deve sempre sussistere un collegamento diretto tra spese sostenute per il bene immateriale e reddito agevolabile, derivante dall’utilizzo del bene stesso.

La questione più controversa della nuova misura riguardava l’individuazione del costi di R&S rilevanti ai fini del calcolo dell’agevolazione, che è esaustivamente affrontata nell’art. 8 del D.M. 30.07.2015.

In particolare, rientrano nell’ambito delle attività di R&S:

  • la ricerca fondamentale;
  • la ricerca applicata;
  • lo sviluppo sperimentale e competitivo;
  • il design;
  • l’ideazione e la realizzazione del software protetto da copyright;
  • le ricerche preventive, i test e le ricerche di mercato e gli altri studi e interventi anche finalizzati all’adozione di sistemi anticontraffazione, il deposito, l’ottenimento e il mantenimento dei relativi diritti, il rinnovo e la protezione degli stessi;
  • le attività di presentazione, comunicazione e promozione in grado di accrescere il carattere distintivo e/o la rinomanza dei marchi.

Il calcolo dell’agevolazione – La quota di reddito e del valore della produzione (l’opzione per il regime di tassazione agevolata dei redditi derivanti dall’utilizzo dei beni immateriali rileva, oltre che per la determinazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi, anche ai fini Irap) che può essere oggetto di agevolazione è definita in base al rapporto tra i costi di attività di ricerca e sviluppo, rilevanti ai fini fiscali, sostenuti per il mantenimento, l’accrescimento e lo sviluppo del bene immateriale eleggibile e i costi complessivi (fiscali) sostenuti per produrre tale bene.

La questione della determinazione del reddito agevolabile è affrontata nell’art. 9 del Decreto attuativo, che chiarisce le modalità per il suo calcolo.

Si prevede che tale quota deve essere determinata per ciascun bene immateriale, indicando al numeratore i costi relativi alle attività di ricerca e sviluppo poste in essere

  • direttamente dai soggetti beneficiari;
  • da università o enti di ricerca e organismi equiparati;
  • da società, anche start up innovative, diverse da quelle che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa.

L’importo di tali costi è incrementato:

  • dei costi relativi alle attività di R&S derivanti da operazioni infragruppo, per la quota costituita dal riaddebito di costi sostenuti dalle società del gruppo nei confronti di soggetti terzi;
  • dei costi relativi alle attività di R&S sostenuti dal soggetto beneficiario nell’ambito di un accordo per la ripartizione dei costi come definito dal provvedimento 29 settembre 2010 dell’Agenzia delle Entrate (relativo alla disciplina degli oneri documentali in materia di transfer pricing), almeno fino a concorrenza dei proventi rappresentati dal riaddebito dei costi, di cui al comma 2, ai soggetti partecipanti all’accordo.

Al denominatore del rapporto vanno indicati i costi suddetti aumentati:

  • dei costi derivanti da operazioni infragruppo, sostenuti per lo sviluppo, il mantenimento e l’accrescimento del bene immateriale;
  • del costo di acquisizione, anche mediante licenza di concessione in uso, del bene immateriale sostenuto nel periodo d’imposta.

Per la determinazione del rapporto non assumono alcuna rilevanza:

  • gli interessi passivi;
  • le spese relative agli immobili;
  • e qualsiasi costo non direttamente riconducibile a uno specifico bene immateriale.

La quota di reddito agevolabile è data dal prodotto tra il reddito derivante dall’utilizzo dei beni immateriali e il rapporto summenzionato, e non concorre a formare il reddito d’impresa del soggetto beneficiario nelle percentuali anzidette.

Autore: redazione fiscal focus

REVERSE CHARGE IVA: POSSIBILE APPLICAZIONE ANCHE PER PC E TABLET

Una nuova misura, forse solo temporanea, che riguarda l’estensione dell’applicazione del reverse charge, ovvero quel particolare meccanismo in base al quale, in deroga all’art. 17, co. 1, D.P.R. 633/1972, gli obblighi dell’assolvimento dell’IVA sono “traslati” dal soggetto cedente/prestatore al soggetto cessionario/committente. Tale strumento è generalmente utilizzato negli scambi intracomunitari con la principale finalità di cercare di tamponare l’evasione dell’imposta. In molti settori, infatti, tale evasione viene perpetrata attraverso il mancato versamento dell’IVA da parte del soggetto cedente o prestatore, che solitamente è il debitore dell’imposta.

La stessa ragione sembra alla base della possibile estensione del revers chargealle cessioni di pc, tablet, laptop e console da gioco. E’ quanto prevede uno schema di dlgs esaminato solo in via preliminare dal Consiglio dei Ministri, che sta valutando le modalità tecniche per l’adeguamento dell’articolo 17 del dpr n. 633/72 alla normativa sovranazionale.

Le suddette modifiche al Decreto IVA recepirebbero quanto previsto dall’art. 199-bis della Diretta 2006/112/UE che prevede quanto segue:

Fino al 31 dicembre 2018 e per un periodo minimo di due anni, gli Stati membri possono stabilire che il soggetto tenuto al pagamento dell’IVA sia il soggetto passivo nei cui confronti sono effettuate le seguenti operazioni:

  1. c) cessioni di telefoni cellulari, concepiti come dispositivi fabbricati o adattati per essere connessi a una rete munita di licenza e funzionanti a frequenze specifiche, con o senza altro utilizzo;
  1. d) cessioni di dispositivi a circuito integrato quali microprocessori e unità centrali di elaborazione prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale”.

Esercitando tale facoltà, il Legislatore ha in cantiere la modifica normativa in commento, introducendo nell’art. 17 del Decreto IVA una nuova lettera c), in base alla quale il reverse charge è applicabile fino al 31.12.2018 alle seguenti operazioni:

  • le cessioni di console da gioco, pc, tablet e laptop;

Da verificare il testo della norma e la sua compatibilità con le richiamate disposizioni comunitarie.

Si prevede inoltre che l’applicazione del reverse charge per le cessione di telefonino e microprocessori sia applicabile fino al 31.12.2018.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

CARTELLA AGLI EREDI. NULLITÀ DELLA NOTIFICA

Una sentenza della CTP della Capitale

Quando è stata presentata la dichiarazione di successione, la cartella di pagamento deve essere notificata, a pena di nullità, personalmente e nominativamente a tutti gli eredi e non ai medesimi impersonalmente e collettivamente presso l’ultimo domicilio del de cuius. Gli eredi sono tenuti al pagamento del debito ereditario solamente pro quota. Pertanto è illegittimo un ruolo unico, che non determini, cioè, la pretesa imputabile a ciascuno degli eredi.

Con la sentenza n. 16576/57/15, la Commissione Tributaria Provinciale di Roma ha annullato una cartella di pagamento relativa a un’iscrizione a ruolo effettuata dalla dall’Agenzia delle Entrate ai sensi dell’art. 36-bis del D.P.R. 600/73.

La cartella veniva notificata impersonalmente agli eredi del contribuente deceduto presso l’ultimo domicilio del medesimo sicché gli eredi hanno proposto impugnazione presso la competente CTP eccependo la nullità assoluta della notificazione della cartella, posto che era stata presentata all’Agenzia delle Entrate la dichiarazione di successione. Per legge, infatti, la notificazione nell’ultimo domicilio del defunto non è consentita nel caso in cui gli eredi abbiano provveduto a comunicare all’Ufficio il loro domicilio. Il che è avvenuto, nella specie, con la dichiarazione di successione.

Ebbene, i giudici capitolini di primo grado hanno accolto il ricorso degli eredi.

A proposito della notificazione agli eredi impersonalmente e collettivamente presso l’ultimo domicilio del de cuius la CTP scrive: “risulta fondato il secondo motivo del gravame, con il quale i ricorrenti deducono la nullità assoluta della cartella impugnata e della sua notificazione, perché emessa e notificata impersonalmente ne confronti degli eredi (omissis) in via (omissis). L’art. 65 del D.P.R. n. 600/73 consente, infatti, la notificazione degli atti, relativi a soggetto defunto, impersonalmente ai suoi eredi nel suo ultimo domicilio, solo se gli eredi stessi non abbiano comunicato il loro personale domicilio. La notifica impersonale nell’ultimo domicilio del defunto non è consentita nel caso in cui gli eredi abbiano, invece provveduto a comunicare all’ufficio il loro domicilio. Nella specie, ciò è avvenuto con la dichiarazione di successione (…). La nullità in questione, secondo la Corte di cassazione è assoluta e insanabile (Cass. nn. 18729/2014; 10659/2003; 11447/2002 e 3865/2001). Oltre a ciò, poiché la cartella impugnata enuncia una pretesa fiscale nei confronti di soggetti che, in ragione della qualità ereditaria, non sono tenuti in solido, ma ‘pro quota’, la emissione del ruolo che non tenga conto della loro identità e del loro domicilio, quali risultano già dagli atti dell’Agenzia delle entrate, si risolve in una nullità della stessa iscrizione a ruolo, per la indeterminatezza della pretesa fiscale nei confronti di ciascuno”.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

SCRITTURE REGOLARI. STOP ALL’ACCERTAMENTO

Cassazione Tributaria, sentenza depositata il 4 novembre 2015

In presenza di una contabilità aziendale “ineccepibile” diventa più difficile per l’Ufficio dimostrare l’esistenza di ricavi non dichiarati. È quanto emerge dallasentenza 4 novembre 2015, n. 22465, della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria.

La controversia trattata dalla Suprema Corte è scaturita da un avviso di accertamento che rideterminava, in aumento, il reddito imponibile di una Sas in relazione ad un’unica un’annualità d’imposta, sulla base dell’asserita mancata dichiarazione di ricavi; circostanza desunta dall’Ufficio a seguito del ricarico medio ponderato, da applicare al costo delle merci in vendita, quantificato nel 66% contro il 42% dichiarato e applicato dalla contribuente.

I giudici di primo grado e, poi, quelli dell’appello non hanno avallato la pretesa impositiva, con conseguente declaratoria di nullità degli avvisi di accertamento impugnati. Dal che il ricorso per cassazione, che ha avuto anch’esso esito negativo per il fisco.

L’impugnata sentenza della CTR di Bolzano, ad avviso degli ermellini, ha fatto buongoverno dei principi giurisprudenziali in materia di accertamento analitico-induttivo ex art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. 600/1973.

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, “nell’accertamento delle imposte sui redditi, la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico – induttivo del reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 39, primo comma lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente. In tali casi, pertanto, è consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti -, maggiori ricavi o minori costi, a esempio determinando il reddito del contribuente utilizzando le percentuali di ricarico, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente”.

Da questo principio non si è discostata, a giudizio degli ermellini, la CTR di Bolzano, la quale, anche alla luce della disposta consulenza tecnica d’Ufficio, ha potuto escludere la correttezza del metodo utilizzato dai verificatori per determinare il volume d’affari della contribuente. Infatti, per un verso, lo scostamento dei ricavi dichiarati da quelli attribuiti mediante l’applicazione di una differente percentuale di ricarico non è risultata così “straordinariamente consistente” da giustificare l’accertamento per via induttiva, dall’altro lacontabilità ordinaria della contribuente è risultata “formalmente ineccepibile” così come laquella “di magazzino”.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

PERDITE SU CREDITI IN CASO DI PROCEDURE CONCORSUALI

Deducibili anche in caso di approvazione di un piano attestato di risanamento

Premessa – Sono deducibili in ogni caso le perdite su crediti relative ad un debitore assoggettato a procedure concorsuali (fallimento, liquidazione coatta amministrativa, concordato preventivo, accordo di ristrutturazione dei debiti e amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi), anche estere equivalenti, che ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti o un piano attestato di ristrutturazione.

Perdite su crediti – La disciplina delle perdite su crediti di cui all’art. 101, co. 5, del D.P.R. 917/1986 torna sotto la lente del Legislatore, che questa volta amplia le ipotesi di deduzione automatica delle perdite. Le modifiche entrano in vigore nel periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del Decreto Legislativo 147/2015. Dunque, dal periodo d’imposta 2015 (UNICO 2016) si dovrà far fronte alle novità introdotte dal Legislatore con il D.Lgs. 147/2015 – “Disposizioni recanti misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese”.

Procedure concorsuali – In particolare per quanto riguarda le procedure concorsuali l’art. 101, comma 5, TUIR prevede che le perdite su crediti sono deducibili qualora risultino da elementi certi e precisi ovvero “in ogni caso” se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali (fallimento, liquidazione coatta amministrativa, concordato preventivo, accordo di ristrutturazione dei debiti e amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi).

Deducibilità – In tale ipotesi la perdita è automaticamente deducibile indipendentemente dalla relativa definitività e dalla sussistenza degli elementi certi e precisi posto che, come ribadito dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare 1.8.2013, n. 26/E, la situazione di sofferenza del credito è “ufficialmente conclamata ad opera di un soggetto terzo indipendente e non rimessa alla mera valutazione del creditore”.

Assoggettamento a procedure concorsuali – A tal fine, il debitore è considerato assoggettato a procedure concorsuali dalla data della sentenza/provvedimento di ammissione alla procedura/decreto di omologa (sentenza dichiarativa del fallimento, provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa, decreto di ammissione al concordato preventivo, decreto di omologazione dell’accordo di ristrutturazione, decreto che dispone l’amministrazione straordinaria).

Decreto internazionalizzazione – L’art. 13, comma 1, lett. c) del D.Lgs. n. 147/2015 (c.d. “Decreto Internazionalizzazione”), integrando il comma 5 del citato art. 101, riconosce la deducibilità “in ogni caso” delle perdite su crediti anche in presenza di un piano attestato di risanamento ex art. 67, comma 3, lett. d), Legge fallimentare oppure di procedure estere equivalenti, previste in Stati con i quali sussiste un adeguato scambio di informazioni. Sul punto, la Relazione illustrativa al Decreto in esame fa riferimento, in particolare, alla procedura fallimentare di ristrutturazione societaria statunitense denominata “Chapter 11”, che risulta equivalente agli accordi di ristrutturazione di cui all’art. 182-bis della citata Legge fallimentare.

Momento rilevante – Relativamente alle suddette procedure assume rilievo rispettivamente la data di iscrizione nel Registro delle Imprese del piano di risanamento o di ammissione alla procedura estera.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

730 rettificativo: sanzioni ridotte per CAF e professionisti

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Scatta la sola sanzione in caso di 730 rettificato entro il 10/11

I CAF e professionisti sono soggetti all’applicazione della sola sanzione per l’invio del “modello 730 rettificato”, con esclusione, quindi, dei tributi e dei relativi interessi, ai sensi dell’art. 39 del D.Lgs. n. 241/1997. Tuttavia, se il modello originario è stato presentato oltre il termine del 7 luglio 2015, e successivamente rettificato dal CAF o professionista entro il 10 novembre 2015, alla sanzione per tardività si aggiunge quella per visto infedele.

Il chiarimento è contenuto nella Circolare n. 34/2015 dell’Agenzia delle Entrate, in risposta ad alcuni quesiti avanzati dal Coordinamento Nazionale dei Centri di Assistenza Fiscale.

Regime sanzionatorio – A seguito delle innovazioni introdotte dal D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175 – che, tra le altre, ha istituito la dichiarazione precompilata – il legittimo affidamento dei contribuenti che si rivolgono ad operatori specializzati, circa la definitività del loro rapporto con il Fisco, viene espressamente tutelato prevedendo che siano quest’ultimi tenuti al pagamento di un importo corrispondente alla somma dell’imposta, degli interessi e della sanzione che sarebbe stata richiesta al contribuente, salvo il caso di condotta dolosa o gravemente colposa del contribuente.

Viene, in tal modo, a determinarsi una vera e propria “sostituzione” di colui che rilascia il visto nella posizione dell’originario debitore (il contribuente), salvo il caso in cui l’infedeltà del visto sia stata determinata dalla condotta dolosa o gravemente colposa del contribuente. Tale nuova impostazione ha carattere innovativo e generale, come emerge dalla circostanza che tale regime di responsabilità trova applicazione anche se il contribuente si avvale dell’assistenza fiscale al di fuori del sistema della dichiarazione precompilata (articolo 1, comma 5, del D.Lgs n. 175 del 2014).

Sanzioni ridotte – Sul punto, è possibile ricordare come l’Agenzia delle Entrate già con la Circolare n. 11/2015 aveva chiarito che se il Caf o il professionista presenta una dichiarazione rettificativa entro il 10 novembre dell’anno in cui è stata prestata l’assistenza, la relativa responsabilità è limitata al pagamento dell’importo corrispondente alla sola sanzione che sarebbe stata richiesta al contribuente, ridotta di un ottavo (articolo 13, comma 1, lettera b), del Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 472) sempreché il versamento venga effettuato entro la data del 10 novembre.

Pertanto, il CAF o professionista è tenuto alla sola sanzione che sarebbe stata richiesta al contribuente che, dopo aver inviato tempestivamente l’originario modello 730, presenti un modello 730 rettificativo (o comunicazione) entro il 10 novembre p.v.

730 tardivo – Differente è il caso in cui la dichiarazione originaria sia sta presentata in ritardo, ossia oltre il 7 luglio dell’anno successivo a quello cui si riferisce la dichiarazione. In quest’ultimo caso, infatti, laddove il mod. 730 tardivo sia successivamente rettificato dal CAF o dal professionista entro il 10 novembre, alla sanzione per tardività si aggiunge quella per visto di infedele.

Costi black list: la deducibilità oltre il valore normale

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Oltre il nuovo “limite” del valore normale, i costi sostenuti con operatori paradisiaci saranno deducibili ove sussista il vantaggio economico dell’operazione. E’ quanto prevede il nuovo art. 110, co. 10 e ss. del D.P.R. 917/1986 dopo le modifiche introdotte dal Decreto crescita e internalizzazione (D.lgs. 147/2015, pubblicato sulla G.U. n. 220 del 22.09.2015). Le modifiche normative si applicano dal periodo d’imposta 2015 e pertanto ne dovremo tener conto già dalla presentazione del Modello UNICO 2016.

Entrando più nel dettaglio, la nuova normativa sulla deducibilità dei costi sostenuti con operatori paradisiaci prevede la piena deducibilità entro il limite del valore normale (la cui individuazione ancora non è del tutto chiara), rinviando la deduzione per la parte che eccede il valore normale alla dimostrazione del vantaggio economico dell’operazione.

Orbene, la dimostrazione della citata condizione non è affatto semplice e implica per l’impresa il porre in essere di un vero e proprio confronto di convenienza dell’operazione posta in essere con quella che in alternativa avrebbe dovuto realizzare. Vediamo nello specifico come.

Addio all’esimente dell’effettiva attività commerciale – Prima di analizzare come dimostrare il vantaggio economico dell’operazione, è appena il caso di evidenziare che per fortuna il Legislatore nella nuova formulazione dell’art. 110, co. 10, D.P.R. 917/1986 ha eliminato la tortuosa ipotesi della dimostrazione dell’effettiva attività commerciale.

A tal proposito è appena il caso di ricordare che la stessa Amministrazione Finanziaria, con la R.M. 46/E/2004, aveva indicato, a titolo esemplificativo, una serie di dati e documenti ritenuti idonei a dimostrare l’esercizio dell’attività commerciale (il bilancio e atto costitutivo del fornitore paradisiaco; un prospetto descrittivo dell’attività esercitata; i contratti di locazione degli immobili utilizzati come sede degli uffici e dell’attività; la copia delle fatture delle utenze elettriche e telefoniche; ecc..).

La suddetta condizione era praticamente inutilizzata da parte del contribuente, data l’elevata difficoltà insita nel reperire la necessaria documentazione.

Il vantaggio economico dell’operazione – Per dedurre la parte di costo che eccede il valore normale, al contribuente, una volta individuato il valore normale dell’operazione, non resta che predisporre l’adeguata documentazione dalla quale si evinca in modo inequivocabile che sussiste un effettivo vantaggio economico dalle operazioni poste in essere.

Riguardo a tale condizione, l’Amministrazione Finanziaria nella C.M. 51/E/2010 ha chiarito che la valutazione della sua sussistenza va effettuata tenendo conto di tutti gli elementi e le circostanze che caratterizzano il caso concreto, attribuendo rilevanza alle condizioni complessive dell’operazione, quali ad esempio:

  • il prezzo della transazione;
  • la presenza di costi accessori, quali, ad esempio, quelli di stoccaggio, magazzino;
  • le modalità di attuazione dell’operazione (ad esempio, i tempi di consegna);
  • la possibilità di acquisire il medesimo prodotto presso altri fornitori;
  • l’esistenza di vincoli organizzativi/commerciali/produttivi che inducono ad effettuare la transazione con il fornitore Black list o comunque, che renderebbero eccessivamente onerosa la medesima transazione con altro fornitore.

L’analisi congiunta di tali elementi evidenzia che il fine ultimo, a parere dell’Amministrazione Finanziaria, è dimostrare che il comportamento adottato dall’impresa italiana deve risultare vantaggioso sotto il profilo imprenditoriale e, al contempo, che la stessa operazione non sarebbe realizzabile con altro fornitore.

La visione “restrittiva” dell’Amministrazione Finanziaria è stata ampliata dalla giurisprudenza di merito. Ci si riferisce in particolare alla sentenza della Commissione Tributaria Regionale delle Marche, sez. III, del 22 giugno 2010, n. 5, nella quale è stato chiarito che l’effettivo interesse economico dell’operazione si rinviene a condizione che le operazioni siano effettivamente svolte a condizioni di mercato e che l’impresa abbia posto in essere un operazione in grado di generare profitto, a prescindere dalla dimostrazione della maggiore convenienza della stessa rispetto a quella di altri fornitori.

Più di recente, nella sentenza della Corte di Cassazione dell’8 maggio 2013, n. 10749, la Suprema Corte ha ritenuto che le operazioni poste in essere dall’impresa residente rispondessero ad un effettivo interesse economico, specificando che per tale si intendono “non solo prezzi competitivi ma anche altri fattori, quali la puntualità nelle forniture e la serietà del fornitore in genere”.

La condotta del contribuente non deve essere riconducibile a manovre elusive poste in essere con il solo scopo di ridurre il carico fiscale. Pertanto sarà necessario evidenziare quali sono i reali vantaggi dell’operazione e per quale motivo si è scelto di acquistare beni o servizi dal fornitore localizzato in un paradiso fiscale.

Autore: redazione fiscal focus

Auto: ​Il maggiore ammortamento

A cura di Antonio Gigliotti

Doppia agevolazione con la legge di stabilità 2016

Premessa – Con l’introduzione dell’agevolazione del super ammortamento ad opera della legge di stabilità 2016 l’acquisto di autovetture oltre a godere dell’aumento del 40 % della quota di ammortamento potranno fruire anche dell’innalzamento del tetto fiscale del costo ammortizzabile.

Legge di stabilità 2016 – Una delle misure di maggior interesse contenute nel disegno di Legge di Stabilità 2016 è relativa alla possibilità per imprese e professionisti di adottare una percentuale maggiore di ammortamento. L’attuale proposta normativa prevede che per i soggetti titolari di reddito d’impresa e per gli esercenti arti e professioni che effettuano investimenti in beni materiali strumentali nuovi dal 15 ottobre 2015 al 31 dicembre 2016, con esclusivo riferimento alla determinazione delle quote di ammortamento, il costo di acquisizione è maggiorato del 40 per cento.

Beni strumentali – Per quanto riguarda l’ambito oggettivo l’attuale formulazione normativa prevede che vi rientrino i beni strumentali, ad eccezione di quelli per i quali il D.M. 31 dicembre 1988 stabilisce coefficienti di ammortamento inferiori al 6,5% e degli acquisti di fabbricati e di costruzioni.

Auto – Al concetto di strumentalità dei beni si prevede un’eccezione: rientrano nel perimetro applicativo della norma anche le autovetture c.d. a uso promiscuo ex articolo 164, comma 1, lettera b), D.P.R. 917/1986. In particolare per questi beni il beneficio è doppio: al maggior ammortamento si accompagna un incremento del tetto fiscale del costo ammortizzabile.

Tetto del costo ammortizzabile. Per tale tipologia di vetture il costo ammortizzabile valido per ammortamenti e leasing, viene aumentato del 40 per cento. In particolare per le auto, si passa da un tetto di 18.076 € a uno di 25.306 € (per quelle degli agenti e dei rappresentanti si cresce da 25.823 € a 36.152 €) mentre per i motocicli si passa da 4.131,66 € a 5.784,32 € ed infine per i ciclomotori si passa da 2.065,83 € a 2.891,42 €.

Aumento ammortamento – Come sopraesposto oltre ad aumentare il tetto fiscale del costo ammortizzabile con la nuova agevolazione si ottiene anche un aumento del 40% della deduzione degli ammortamenti e dei canoni di leasing delle autovetture. Conseguentemente se il costo dell’autovettura è inferiore al tetto del limite fiscalmente rilevante il maxi-ammortamento opera normalmente al contrario se il costo dell’auto supera il limite fiscalmente rilevante, il maxi-ammortamento si applica su quest’ultimo.

Calcolo – Se si considera l’acquisto di un’autovettura, il cui costo ammonta a 30.000 euro, il beneficio è, infatti, duplice. Preliminarmente si deve procedere incrementando il costo effettivo del 40%. Quindi la base di partenza è costituita da 42.000 euro. Successivamente si deve “scartare” la quota di costo eccedente il nuovo massimale di 25.306,39 euro. Tale importo si ottiene, come detto, incrementando del 40 % il precedente limite di 18.075,99 euro. L’ammortamento del cespite avviene applicando un coefficiente del 25 per cento e ottenendo un importo pari a 4.519 euro. Tale quota sarà maggiorata di un importo annuo di 1.807,60 euro (40 %), al quale si applicherà poi la deducibilità limitata al 20 per cento. Alla fine del periodo di ammortamento il contribuente si troverà ad aver ammortizzato un costo complessivo di e 25.306 euro (140 % di 18.076) a cui è stata applicata la percentuale di deducibilità del 20 %.

Leasing e noleggio – La maggior quota deducibile si otterrà anche in caso di leasing. Per tale tipologia di contratti, la maggior deduzione dovrebbe riguardare, pur in assenza di chiarimenti, solo la quota capitale dei canoni. Nessuna agevolazione è prevista per le auto in noleggio a lungo termine in quanto saranno le società concedenti a fruire del maxi ammortamento al 40 per cento. Ricordiamo che per tali società le autovetture costituiscono beni strumentali a deducibilità integrale.

Autore: redazione fiscal focus

Stabilità 2016 e settore agricolo: non solo misure a favore

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Da un lato lo Stato da ma dall’altro…..

Come già scritto in precedenza in merito alle misure a favore previste dalla legge di stabilità 2016, ossia l’abolizione dell’IRAP e dell’IMU, è opportuno andare ad analizzare quelle che sono invece i provvedimenti che sicuramente determineranno un malumore per il gli operatori del settore agricolo. A partire dal 2016 è prevista un’ulteriore rivalutazione dei redditi domenicali e agrari, un incremento dell’aliquota relativa all’imposta di registro per l’acquisto dei terreni, e l’abolizione del regime di esonero.

Rivalutazione dei redditi – Per quanto riguarda la rivalutazione dei redditi, il governo ha aumentato la rivalutazione dal 7% al 30% ai soli fini di determinazione dell’imposte sui redditi, da ciò potrà aumentare l’Irpef a carico dei produttori agricoli, a causa del maggior aumento del reddito tassabile; si augura comunque che tale ulteriore rivalutazione non riguardi gli IAP ( imprenditori agricoli professionali) che si ritiene debbano rientrare in quanto previsto nel comma 50 dell’art. 3 legge 662/1996 che appunto prevede ai fini della determinazione delle imposte sui redditi, una rivalutazione dell’80 % per i redditi domenicali e del 70 % per i redditi agrari.

Imposta di registro trasferimento terreni agricoli – Il Legislatore ha previsto un aumento dell’aliquota relativa all’imposta di registro che si applica ai trasferimenti di terreni agricoli, prevedendo una percentuale che passa dal 12 al 15 %, ad eccezione però per gli IAP che possono rifarsi alla piccola proprietà contadina prevista dall’art. 2 comma 4 bis, DL 30/12/1999 n. 194, convertito nella legge 25/2010, ossia ad una imposta di registro e ipotecaria fisse, e ad un’imposta catastale pari all’1 %.

Rideterminazione del valore di acquisto dei terreni agricoli – anche per quanto riguarda la rideterminazione del valore di acquisto, in caso di potenziale emersione di plusvalenze l’aliquota dell’imposta sostitutiva passa dal 4 % all’8 %, solo se la cessione del terreno si perfeziona entro 5 anni dall’acquisto e per i terreni posseduti dal 1 gennaio 2015.

Regime di esonero – Infine la legge di stabilità 2016 prevede, a partire dal 1 gennaio 2017 l’abolizione del regime di esonero (di cui al comma 6 dell’art 34 DPR 633/1972) , per i piccoli produttori agricoli con un volume d’affari inferiore a 7.000 €; ciò comporterà un aggravio di costi, nonché di adempimenti, a cui prima non erano chiamati a rispondere.

Quindi, possiamo dire, che da un lato si è data in questi giorni molta enfasi a misure quali, l’abolizione dell’IRAP e dell’IMU, ma è opportuno sottolineare che in ogni caso si deve far fronte alle mancate entrate legate a queste manovre, nonché andare ad individuare quelle fonti tramite le quali farne fronte; da qui quindi l’adozione delle misure sopra descritte che sicuramente creeranno non pochi malumori tra gli operatori del settore agricolo.

Autore: redazione fiscal focus

Omesso versamento imposte: il pagamento del debito estingue il reato

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Il D.Lgs. 158/2015 e la non punibilità di alcuni reati

Oltre ad aver previsto soglie di punibilità più elevate per i reati di omesso versamento di ritenute e dell’Iva, il decreto legislativo 158/2015 ha introdotto la non punibilità per quei contribuenti hanno omesso il versamento, ma che prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di 1° grado hanno provveduto al pagamento integrale, ossia anche degli interessi e delle sanzioni. L’art 13 del D.Lgs. 158/2015 prevede appunto che:

I reati di omesso versamento di Iva e di ritenute certificate, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché’ del ravvedimento operoso.

La non punibilità è prevista anche per l’indebita compensazione di crediti non spettanti (non di quelli fittizi, ben più gravi) i se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, sempre che il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività’ di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

Soglie di punibilità – E’ opportuno mettere in evidenza (nella tabella in calce) i cambiamenti avvenuti in merito alle soglie oltre alle quali si configura un reato penale in riferimento all’omesso versamento.

Qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fasedi estinzione mediante rateizzazione, anche ai fini dell’applicabilità’ dell’articolo 13-bis, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo, periodo che comunque può essere prorogato di ulteriori 3 mesi dal Giudice competente; la prescrizione rimane comunque sospesa.

Altri reati – Per gli altri reati quali, dichiarazione fraudolenta, indebita compensazione con crediti inesistenti, fatture false, ecc, il pagamento del debito tributario, non porta alla non punibilità del comportamento ai fini fiscali, ma può comportare una riduzione della pena fino alla metà, nonché la mancata applicazione delle pene accessorie.

Immagine. ART 03.11.2015

Autore: redazione fiscal focus

Nel nuovo ruling vale sempre la regola del “silenzio assenso”

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Il D.Lgs. 24/09/2015, n. 156, pubblicato nella G.U. del 7 ottobre 2015, con efficacia generalizzata dal 1° gennaio 2016, ha profondamente revisionato la disciplina degli interpelli, in ottemperanza alla delega formulata dall’art. 6, comma 3 Legge n. 23/2014.

In particolare, l’art. 1 del citato D.Lgs. n. 156/2015 ha riformulato l’art. 11 della Legge n. 212/2000, riconducendo nell’ambito dello Statuto dei diritti del contribuente l’intera disciplina degli interpelli (prima distribuita su diverse norme, non perfettamente coordinate tra loro), rendendola più omogenea e razionale.

L’efficacia delle risposte. Il terzo comma del rinnovato art. 11 dello Statuto, oltre a prescrivere i termini entro i quali l’Amministrazione è tenuta a fornire risposta alle istanze di interpello introdotte o revisionate, precisa che la risposta stessa, scritta e motivata, vincola l’Amministrazione Finanziaria con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza e limitatamente al richiedente; stabilisce, peraltro, la nullità di qualsiasi atto, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio, emesso in difformità della risposta.

La nuova formulazione, nel confermare la vincolatività della risposta solo per l’Amministrazione, rispetto al passato innova il testo identificando espressamente l’amministrazione “in ogni suo organo”, ricomprendendovi, pertanto, quelli ausiliari. Di conseguenza, la risposta favorevole al contribuente preclude, ad esempio, anche ai verificatori della Guardia di Finanza di formulare rilievi nel p.v.c. emesso in esito ad accessi, ispezioni e verifiche, laddove le medesime questioni siano state oggetto di un vaglio dell’Amministrazione in sede di interpello, sempre che non siano emersi, nel corso dell’indagine, elementi che alterano il quadro rappresentato dal contribuente nella relativa istanza.

Il silenzio assenso. Peraltro, il medesimo comma 3 conferma ed estende a tutte le tipologie di ruling la regola del “silenzio assenso”, prevedendo che, qualora la risposta dell’Amministrazione non pervenga nel termine previsto dalla legge, si consolida la soluzione prospettata dal contribuente, con l’effetto di determinare anche la nullità di qualsiasi atto, a contenuto impositivo o sanzionatorio, difforme alla soluzione su cui si è formato il silenzio.

La disposizione prevede che l’efficacia della risposta si estende anche ai comportamenti successivi del contribuente, purché riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello, salvo rettifica della soluzione interpretativa, applicabile comunque ai comportamenti futuri (rimanendo, di contro, consolidati gli effetti già prodotti in virtù della precedente risposta).

I termini per le risposte dell’Amministrazione. Va chiarito che alle istanze formulate per gli interpelli ordinario e qualificatorio, di cui all’art. 11, comma 1, lett. a) dello Statuto, l’Amministrazione dovrà rispondere nel termine di 90 giorni; di contro, per le istanze formulate per gli interpelli qualificatorio, anti-abuso e disapplicativo (di cui all’art. 11, comma 1, lett. b) e c) e comma 2 della medesima legge 212/2000), l’Amministrazione potrà avvalersi del più ampio termine di 120 giorni.

Riprendendo la disposizione prevista dall’attuale disciplina dell’interpello ordinario, il comma 5 del nuovo art. 11 prevede che la presentazione delle varie tipologie di istanze di interpello non produce alcun effetto interruttivo o sospensivo sulle ordinarie scadenze degli adempimenti tributari.

Autore: Marco Brugnolo