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730 precompilato. Dal 2016 via al controllo preventivo del fisco per i modelli anomali

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Precompilata modificata con controllo preventivo e rimborso a cura dell’Agenzia delle entrate, se il 730 inviato dal contribuente o per il tramite del sostituto d’imposta, presenta elementi di incoerenza rispetto ai criteri pubblicati da un apposito provvedimento da emanarsi a cura della stessa Agenzia delle entrate.

E’ questa una delle principali novità stabilite dall’articolo 49 della bozza di Legge di stabilità 2016 che sta affrontando in questi giorni l’iter parlamentare per l’approvazione.

La modifica si sostanzia attraverso l’inserimento del comma 3 bis all’art. 5 D.Lgs. 175/2014, che prevede per la prima volta, il controllo preventivo per i 730 che presentano anomalie rispetto a determinati parametri che saranno stabiliti dall’Agenzia delle entrate.

Il controllo preliminare del Fisco

Su tali 730 sarà dunque possibile, già a partire dall’anno di reddito 2015, un controllo preliminare, in via automatizzata o mediante verifica dei documenti a supporto per la compilazione del modello, da effettuarsi dalla stessa amministrazione finanziaria entro 4 mesi dal termine previsto per la trasmissione della dichiarazione oppure dalla successiva data di invio del modello qualora questa avvenga dopo il 7 luglio.

L’accredito post controllo non avverrà a cura del sostituto ma sarà erogato direttamente dall’agenzia delle entrate, non oltre il sesto mese successivo al termine per la trasmissione del modello (e quindi ordinariamente entro il 7 gennaio), ovvero dalla data di trasmissione del 730 se successiva.

I rimborsi rilevanti.

La stessa procedura si applica anche ai 730 precompilati e modificati dal contribuente o per il tramite del sostituto, che “determinato un rimborso di importo rilevante”.

In questi casi il rimborso sarà possibile solo attraverso il controllo preventivo e l’erogazione diretta per il tramite dell’Agenzia delle entrate.

La norma, prevede altresì l’abrogazione dell’articolo 1 commi 586 e 587 della L. 147/2013, che aveva previsto per i rimborsi che superano soglia 4.000 euro, in presenza di detrazioni per carichi di famiglia (anche derivanti da eccedenze d’imposta degli anni precedenti), il controllo preventivo ed assegnazione del rimborso da parte dell’amministrazione finanziaria.

Tale norma, infatti è da considerarsi superata poiché con riferimento i familiari a carico viene effettuato un controllo di validità ed esistenza dei relativi codici fiscali al momento dell’invio della dichiarazione, mentre con riferimento alle eccedenze derivanti dall’anno precedente, le stesse vengono proposte direttamente dall’Agenzia delle entrate nella dichiarazione precompilata.

In tutti questi casi la norma specifica, inoltre, che rimane altresì impregiudicata la facoltà dell’Agenzia delle entrate di poter esperire ogni possibile controllo previsto in materia di imposte sui redditi (formale e sostanziale).

L’invio delle spese mediche.

Vengono previsti con decorrenza 2016 a valere sull’anno d’imposta 2015, alcune modifiche sul sistema “Tessera sanitaria” sul cui portale devono essere caricati i dati relativi alle spese mediche per alimentare la precompilata.

Tutti i cittadini, indipendentemente dalla predisposizione della dichiarazione dei redditi precompilata, potranno, infatti, consultare i dati relativi alle proprie spese sanitarie acquisiti mediante i servizi telematici messi a disposizione dal Sistema Tessera Sanitaria.

Viene inoltre prevista l’applicazione della sanzione pari ad € 100,00, per ogni comunicazione, in caso di omessa, tardiva o errata trasmissione dei dati da parte degli operatori sanitari (ivi compresi medici e dentisti titolari di P.iva) in relazione alle prestazioni erogate nel 2015.

Per quanto attiene invece alla comunicazione clienti e fornitori di cui all’articolo 21 Dl 78/2010 (“spesometro”), viene stabilito che, i dati inviati dagli operatori al sistema Tessera sanitaria, potranno essere prelevati direttamente dall’agenzia delle entrate ai fini del presente adempimento, evitando così un adempimento aggiuntivo ai contribuenti.

In tal senso un apposito Provvedimento dell’agenzia delle entrare si dovrà preoccupare di stabilire termini e modalità di acquisizione dei dati stessi già comunicati.

Va segnalata anche la predisposizione della comunicazione delle spese sanitarie rimborsate, da effettuarsi a cura di enti e casse/società di mutuo soccorso aventi finalità esclusivamente assistenziale entro il 28 febbraio di ciascun anno.

Si tratta, nella sostanza, delle spese mediche non rimaste a carico del contribuente, la cui comunicazione è prevista al fine di assicurare in precompilata la correttezza dell’importo effettivamente detraibile.

Modello TR III trimestre 2015: la scadenza è fissata al 2 Novembre

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Entro il prossimo 2 Novembre (il 31 Ottobre cade di Sabato) sarà possibile presentare il Modello TR, approvato con il Provvedimento n. 39968 del 20 Marzo 2015, per le richieste di rimborso/compensazione dell’eccedenza IVA del terzo trimestre 2015.

Chi può utilzzare il Modello TR – Il modello IVA TR deve essere utilizzato dai contribuenti che hanno realizzato nel trimestre un’eccedenza di imposta detraibile di importo superiore a 2.582,28 euro e che intendono chiedere in tutto o in parte il rimborso di tale eccedenza ovvero intendono utilizzarla in compensazione orizzontale (ovvero con imposte/contributi/ritenute diverse dall’IVA).
Compensazioni – L’utilizzo in compensazione del credito IVA infrannuale può avvenire solo dopo la presentazione dell’istanza. L’utilizzo in compensazione per importi inferiori ad euro 5.000,00 è possibile dopo la presentazione del Modello TR.
L’utilizzo in compensazione per importi superiori ad 5.000 euro annui, riferito all’ammontare complessivo dei crediti trimestrali maturati nell’anno, comporta l’obbligo di utilizzare i predetti crediti a partire dal sedicesimo giorno del mese successivo a quello di presentazione del Modello IVA TR. Per poter compensare l’eccedenza IVA già dal 16 Novembre si dovrà presentare l’istanza entro il 31 Ottobre.
Rimborso IVA: le condizioni necessarie – Ai sensi dell’art. 38-bis, secondo comma, il credito IVA infrannuale può essere richiesto a rimborso unicamente dai contribuenti in possesso di uno dei seguenti requisiti:

  • aliquota media delle operazioni attive inferiore a quella degli acquisti;
  • operazioni non imponibili superiori al 25% del totale delle operazioni effettuate;
  • dai soggetti non residenti e senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato, identificati direttamente (art. 35-ter, D.P.R. n. 633/1972) o che hanno nominato un rappresentante residente nel territorio dello Stato;
  • quando effettuano acquisti ed importazioni di beni ammortizzabili per un ammontare superiore ai due terzi dell’ammontare complessivo degli acquisti e delle importazioni di beni e servizi imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, limitatamente all’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili, nonché di beni e servizi per studi e ricerche;
  • quando effettuano prevalentemente operazioni non soggette all’imposta per effetto degli articoli da 7 a 7-septies per un importo superiore al 50 per cento dell’ammontare di tutte le operazioni effettuate, prestazioni di lavorazione relative a beni mobili materiali, prestazioni di trasporto di beni e relative prestazioni di intermediazione, prestazioni di servizi accessorie ai trasporti di beni e relative prestazioni di intermediazione, ovvero prestazioni di servizi di cui all’articolo 19, comma 3, lettera a-bis).

A seconda della condizione che da diritto alla presentazione del Modello TR, si dovrà barrare nel quadro TD, sezione I, campi TD1 – TD5 l’apposita casella.

Rimborsi IVA – La sezione del modello relativa ai rimborsi è stata adeguata al fine di tenere conto, tra l’altro, delle modifiche alla disciplina degli stessi apportate dal c.d. decreto Semplificazioni fiscali (D.Lgs. n. 175/2014).
Con l’art. 13 del Decreto Semplificazioni Fiscali (D.Lgs. 175/2014, pubblicato nella G.U. 28.11.2014 n. 288), in vigore dal 13 dicembre 2014, sono state ridisegnate le regole per i rimborsi dell’eccedenza IVA, elevando la soglia che consente l’ottenimento del rimborso senza presentazione di garanzie fideiussorie.
In particolare:

  • i rimborsi IVA di importo inferiore ad euro 15.000,00 possono essere richiesti senza la presentazione della garanzia. Basta esclusivamente la presentazione dell’ istanza trimestrale.

Se si è esonerati dalla presentazione della garanzia, nella casella 3, del rigo TD8, si dovrà indicare:

  1. se l’istanza è dotata di visto di conformità o della sottoscrizione da parte dell’organo di controllo e della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà che attesta la presenza delle condizioni individuate dall’articolo 38-bis, comma 3, lettere a), b) e c);
  2. se il rimborso è richiesto dai curatori fallimentari e dai commissari liquidatori;
  3. se il rimborso è richiesto dalle società di gestione del risparmio indicate nell’articolo 8, del decreto-legge n. 351 del 2001.

Sarà necessario presentare la garanzia per i rimborsi superiori a 15.000 euro solo nelle ipotesi di situazioni di rischio. Si tratta delle ipotesi di rimborso richiesto:

  • da soggetti che esercitano un’attività di impresa da meno di due anni ad esclusione delle imprese start-up innovative (ex art. 25, D.L. n. 179/2012);
  • da soggetti ai quali, nei due anni precedenti la richiesta di rimborso, sono stati notificati avvisi di accertamento o di rettifica da cui risulti, per ciascun anno, una differenza tra gli importi accertati e quelli dell’imposta dovuta o del credito dichiarato superiore:
    1. al 10% degli importi dichiarati se questi non superano 150.000 euro;
    2. al 5% degli importi dichiarati se questi superano 150.000 euro ma non superano 1.500.000 euro;
    3. all’1% degli importi dichiarati, o comunque a 150.000 euro se gli importi dichiarati superano 1.500.000 euro;
  • da soggetti che presentano l’istanza priva del visto di conformità o della sottoscrizione alternativa o non presentano la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà;
  • da soggetti passivi che richiedono il rimborso dell’eccedenza detraibile risultante all’atto della cessazione dell’attività.

Pensionati e la nuova no tax area

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – E’ stata varata giovedì 15 ottobre 2015, dal Consiglio dei Ministri, le legge di stabilità 2016, contenente una serie di misure tra cui l’aumento della c.d. no tax area per la fascia di pensionati under e over 75.

Attualmente, la soglia di esenzione fiscale per i pensionati è fissata a 7.500 euro per i pensionati di età inferiore ai 75 anni e a 7.750 euro per i pensionati di età pari o superiore ai 75 anni.

L’innalzamento della soglia – Con la legge di stabilità 2016, salvo futuri emendamenti, la soglia di esenzione fiscale, è aumentata a:

  • 7.750 euro per i pensionati under 75.
  • 8.000 euro per i pensionati over 75;

La no tax area per i pensionati al di sopra dei 75 anni , dunque, è equiparata a quella già prevista per i lavoratori dipendenti.
Inoltre, se confermato, l’innalzamento potrebbe essere considerato come un contentino per quella fascia di contribuenti meno abbienti (cioè pensionati con una soglia di reddito annuale bassa) che sono lasciati fuori dal bonus fiscale di 80 euro introdotto a regime dalla legge di stabilità 2015 dal governo Renzi a favore dei lavoratori dipendenti.

Dal 2016 o dal 2017? – Il giorno dopo il varo della legge di stabilità per il 2016 è toccato al Ministro del lavoro e delle politiche sociali Giuliano Poletti tirare le somme riguardo gli interventi di previdenza e lavoro contenuti nella manovra.
Proprio in merito all’innalzamento della no tax area per i pensionati, lo stesso Ministro ha precisato che l’aumento scatterà dal 2017 e che l’eventuale anticipo della misura al 2016 è legato al via libera dell’UE in merito alla flessibilità dello 0,2% del deficit prevista per le misure contro l’emergenza immigratoria.
D’altronde l’anticipo dell’innalzamento della no tax area per i pensionati al 2016 non è l’unica misura contenuta nella manovra finanziaria a essere legata al via libera di Bruxelles sulla clausola per l’emergenza immigrazione.
Anche il taglio dell’IRES dall’attuale 27,5% al 24% a decorrere dal 2016 è legato al riconoscimento all’Italia da parte dell’Europa della flessibilità sul deficit. Se tale flessibilità non sarà accordata, il taglio di 3,5% percentuali dell’IRES scatterà a decorrere dal 2017 (è stato lo stesso Renzi a dichiararlo nella presentazione della legge).
La misura dell’innalzamento della no tax area, secondo le stime dei sindacati, che poco sono entusiasti dell’esiguità della misura (“più che delusi siamo molto molto arrabbiati” sono state le parole del segretario generale della CGIL Susanna Camusso), si tradurrebbe, in media, in 100 euro di tasse in meno da pagare per i soggetti interessati. Una magra consolazione per una categoria di pensionati sempre più tartassata.

Autore: PASQUALE PIRONE

Iva 2014: l’Agenzia avvisa per i modelli omessi

Informati i contribuenti della mancata presentazione della Dichiarazione Iva

Premessa – L’Agenzia avvisa in anticipo i contribuenti che non hanno ancora presentato, o non hanno compilato correttamente, la dichiarazione Iva per il 2014. I 65mila destinatari possono rimediare da soli e pagare le sanzioni ridotte, senza ricevere controlli.

Comunicazione dell’Agenzia delle Entrate – Per comunicare questa chance a coloro che non hanno ancora presentato la dichiarazione Iva per il 2014 o che l’hanno presentata soltanto con il quadro VA compilato, l’Agenzia delle Entrate sta inviando delle lettere agli indirizzi di posta elettronica certificata (Pec) di questi contribuenti, in modo da permettergli di controllare ed eventualmente correggere la propria posizione.

Rapporto con il contribuente – Queste comunicazioni fanno parte del percorso di cambiamento che l’Agenzia ha intrapreso nei rapporti con i contribuenti, con l’obiettivo di aumentare il grado di fiducia da parte dei cittadini e favorire l’adempimento spontaneo degli obblighi tributari. Con il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate pubblicato oggi, infatti, vengono indicate le modalità con cui vengono messe a disposizione dei contribuenti le informazioni da verificare per assicurarsi le sanzioni ridotte previste dal ravvedimento operoso.

Modalità di comunicazione – Oltre alle mail certificate, le comunicazioni viaggiano per posta ordinaria, in modo da raggiungere anche chi non ha un indirizzo Pec attivo, oppure non registrato nei pubblici elenchi.

Compliance – Le comunicazioni previste dal provvedimento di ieri seguono a breve distanza i 220mila alert preventivi inviati dal Fisco ai contribuenti che, pur essendo obbligati (avendo più redditi e più datori di lavoro), non hanno presentato la dichiarazione. Anche in quel caso, lo scopo delle comunicazioni è permettere il ravvedimento spontaneo del contribuente prima dei controlli.

Regolarizzazione – I contribuenti che non hanno ancora presentato la dichiarazione Iva relativa al periodo d’imposta 2014 possono regolarizzare la propria posizione presentando la dichiarazione entro 90 giorni a partire dal 30 settembre 2015, pagando le sanzioni in misura ridotta. Invece coloro che hanno presentato la dichiarazione Iva 2014 con la compilazione del solo quadro VA possono regolarizzare già da ora gli errori eventualmente commessi e beneficiare così delle sanzioni in misura ridotta in ragione del tempo trascorso, grazie all’istituto del ravvedimento operoso.

Contattare l’Agenzia– Se il contribuente ha assolto correttamente i suoi obblighi dichiarativi, potrà comunicarlo immediatamente alle Entrate telefonando al numero 848.800.444 da telefono fisso (tariffa urbana a tempo) oppure al numero 06.96668907 da telefono cellulare (costo in base al piano tariffario applicato dal proprio gestore), dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 17, selezionando l’opzione “servizi con operatore > comunicazione dalla Direzione Centrale Accertamento”.

Comunicazioni già inviate – Ricordiamo che negli ultimi mesi l’Agenzia ha già inviato 220mila lettere a chi ha dimenticato di presentare la dichiarazione pur avendo percepito più redditi da lavoro dipendente o da pensione da diversi sostituti (datori di lavoro o enti previdenziali) e non ha effettuato il conguaglio delle imposte. Sono state inoltre inviate 190mila comunicazioni di anomalie rilevate nei dati dichiarati ai fini degli studi di settore. Infine sono state trasmesse 20mila comunicazioni complessivamente inviate a cittadini che non hanno dichiarato tutte le plusvalenze, professionisti che non hanno denunciato tutti i compensi certificati dai sostituti d’imposta, soggetti Iva con vendite dichiarate inferiori alle fatture comunicate al Fisco dai clienti.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

730 tardivo: la regolarizzazione della violazione scatta dal 23/7

Solo i mod. 730 presentati dopo il 23 luglio devono essere considerati tardivi

Il dies a quo per la regolarizzazione della violazione di tardiva presentazione del mod. 730 decorre dal termine prorogato con DPCM 26 giugno 2015, vale a dire dal 23 luglio 2015 anziché dalla data originaria del 7 luglio 2015.

Il chiarimento è riscontrabile nel testo della Circolare AE n. 34/2015, nella quale la consulta dei Centri di Assistenza Fiscale (CAF) ha chiesto all’Amministrazione Finanziaria quale dei due termini debba essere considerato ai fini della valutazione dell’invio tardivo dei modelli 730 del corrente anno, ossia il 7 luglio ovvero il 23 luglio 2015.

La proroga – Il DPCM 26 giugno 2015 considerata l’opportunità di prevedere un maggior termine per il corretto svolgimento dei relativi adempimenti e tenendo conto delle esigenze dei contribuenti e dell’Amministrazione Finanziaria, ha consentito ai CAF-dipendenti e ai professionisti abilitati, di “completare, entro il 23 luglio 2015, (…) la trasmissione in via telematica all’Agenzia delle entrate delle dichiarazioni presentate ai sensi dell’articolo 13 del decreto ministeriale 31 maggio 1999, n. 164, a condizione che entro il 7 luglio 2015 abbiano effettuato la trasmissione di almeno l’ottanta per cento delle medesime dichiarazioni”.

L’ampliamento del termine, si ricorda, era motivato dalle difficoltà segnalate dagli operatori nel primo anno di applicazione della normativa – che ha modificato le modalità di svolgimento dell’assistenza fiscale con l’introduzione della dichiarazione precompilata – dalle disposizioni che hanno previsto la revisione dei requisiti e delle garanzie richiesti per l’attività di assistenza nonché dalla concomitanSolo i mod. 730 presentati dopo il 23 luglio devono essere considerati tardiviza di altre scadenze fiscali.

Tali circostanze hanno determinato, per gli intermediari abilitati, l’insorgere di grosse difficoltà nel far fronte alle richieste dei lavoratori dipendenti e dei pensionati che, in modo massivo e in contemporanea, hanno richiesto assistenza.

Chiarimento AE – L’Agenzia delle Entrate è stata recentemente interrogata dal Coordinamento Nazionale dei CAF in merito all’individuazione del termine a partire dal quale scatta la violazione per l’invio tardivo del mod. 730. Sul punto, l’Amministrazione Finanziaria ritiene innanzitutto opportuno individuare il momento in cui la violazione può dirsi commessa, anche alla luce della proroga disposta con DPCM 26 giugno 2015.

Tenuto conto delle finalità del menzionato Decreto ed anche al fine di semplificare gli adempimenti, l’Agenzia delle Entrate ritiene che il dies a quo per la regolarizzazione della violazione decorra comunque dal termine prorogato, ossia dal 23 luglio 2015.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Società estinte: differimento quinquennale senza retroattività

Le disposizioni del D.L. Semplificazioni si applicano quando la richiesta di cancellazione è avvenuta nella vigenza del decreto

Le disposizioni in materia di società estinte introdotte dal D.Lgs. n. 175/14 (c.d. Semplificazioni) non hanno efficacia retroattiva, quindi non si applicano alle società – di capitali o di persone – che abbiano fatto richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese prima del 13 dicembre 2014, ossia prima della data di entrata in vigore del suddetto decreto.

È quanto ha ribadito la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione con la sentenza n. 18385/2015 (nello stesso senso Cass. Sez. trib. n. 6743/2015).

La S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso di una Srl perché il giudizio in primo grado è stato instaurato quando la società era già estinta e, quindi, la medesima non aveva capacità a impugnare.

Precisamente, l’impugnazione davanti alla CTP è stata proposta successivamente al 1° gennaio 2004, data nella quale si era prodotto l’effetto estintivo della società, e il giudice di primo grado avrebbe dovuto rilevare il difetto di capacità della società e, quindi, l’improponibilità del ricorso stesso. Ma così non è stato. E allora il vizio di legittimazione attiva è stato rilevato dai supremi giudici, i quali hanno escluso l’applicabilità al caso dello ius superveniens in materia di società di estinte.

L’art. 28, comma 4, del D.Lgs. n. 175 del 2014, entrato in vigore il 13 dicembre 2014 ed emesso in attuazione degli artt. 1 e 7 della legge di delegazione n. 23 del 2014 stabilisce: “Ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese”.

Ebbene, tale disposizione, per la Suprema Corte, non si applica alla fattispecie di causa in quanto, contrariamente a quanto talora sostenuto dall’Amministrazione finanziaria nelle sue circolari (il riferimento degli ermellini è alle circolari n. 31/E del 2014 e n. 6/E del 2015), opera su un piano sostanziale, non si risolve in una diversa regolamentazione dei termini processuali o dei tempi e delle procedure di accertamento o di riscossione e non ha valenza interpretativa.

Pertanto, il differimento quinquennale (operante nei soli confronti dell’Amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione, indicati nella disposizione in discorso, con riguardo a tributi o contributi) degli effetti dell’estinzione della società derivanti dall’art. 2495, secondo comma, C.c. si applica esclusivamente ai casi (diversi da quello di specie) in cui la richiesta di cancellazione della società dal Registro delle imprese (richiesta che costituisce il presupposto di tale differimento) sia presentata nella vigenza di detto decreto legislativo (cioè il 13.12.2014 o successivamente).

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Compensi amministratori. Deducibili con delibera ad hoc

Cassazione Tributaria, sentenza depositata il 28 ottobre 2015

In tema di società di capitali, i costi sostenuti per il compenso degli amministratori sono deducibili dal reddito d’impresa ove determinati nello Statuto, oppure con una specifica delibera dell’assemblea. È quanto emerge dalla sentenza n. 21953/15, pubblicata ieridalla Corte di Cassazione – Sezione Tributaria Civile.

La CTR annullava un recupero d’imposte (Irpeg e Iva per il 2003) conseguente al disconoscimento dei costi portati in deduzione da una Srl – appartenente a un Gruppo societario -e relativi ai compensi corrisposti ai membri del consiglio d’amministrazione.

L’Ufficio aveva giustificato la ripresa nel senso che la misura dei compensi in questioni non era stata determinata nello Statuto, né deliberata preventivamente dall’assemblea dei soci, con conseguente violazione dell’art. 2389 C.C. Quindi, ad avviso dell’Ufficio, si trattava di costi non certi nell’esistenza e neppure obiettivamente determinabili come richiesto invece dal TUIR (art. 75) e dal decreto IVA (art. 19.

Di diverso parere la CTR, secondo cui non vi erano impedimenti a che la contribuente determinasse “ex post” il compenso degli amministratori con la delibera assembleare di approvazione del bilancio di chiusura dell’esercizio.

Ebbene, secondo la S.C., la CTR è incorsa in errore di diritto perché ha ritenuto deducibile nell’esercizio di competenza (anno 2003) la spesa sostenuta dalla contribuente Srl per compensi agli amministratori, sebbene difettassero i requisiti di certezza e di oggettiva determinabilità dell’ammontare del costo, richiesti dall’art. 75 del TUIR, “sia in considerazioni dell’invalidità del titolo di spesa sia in difetto di indicazioni nell’atto costitutivo dei criteri di liquidazione, non essendo stato preventivamente stabilito l’importo dei compensi dalla delibera dell’assemblea dei soci, richiesta ai sensi degli artt. 2364 comma 1 n. 3) e 2389 C.c. – espressamente richiamati per le società a responsabilità limitata dagli artt. 2486 comma 2 e 2487 comma 2 C.c., nel testo anteriore alla riforma del diritto societario (D.Lgs. n. 6/2003), applicabili ratione temporis -, e neppure essendo stata deliberata la misura dei compensi, in sede si approvazione del bilancio, a seguito di specifica discussione e con la partecipazione totalitaria dei soci”.

La Suprema Corte, accogliendo il ricorso del Fisco, ha evidenziato, in particolare, come l’esigenza di un’espressa previsione statutaria o di una specifica delibera assembleare avente ad oggetto la determinazione dei compensi degli amministratori, nel regime normativo anteriore alla riforma del D.Lgs. n. 6/2003, è stata ritenuta funzionale a garantire la piena trasparenza e la previa conoscenza di tutti i soci della relativa voce di spesa, in quanto elemento essenziale del rapporto fiduciario che presiede all’affidamento dell’incarico di amministrazione; esigenza che si ritiene soddisfatta soltanto attraverso la previsione di una specifica manifestazione volitiva dell’assemblea dei soci diretta alla assunzione dell’onere patrimoniale connesso al funzionamento dell’organo di direzione della società.

Ne consegue, sempre secondo la Corte, che devono essere sanzionati con l’invalidità gli atti degli organi societari diversi dalla delibera dell’assemblea, così come la delibera assembleare assunta in modo difforme dalla previsione dell’art. 2389 c.c., in quanto avente a oggetto questioni estranee alla attribuzione dei compensi agli amministratori, come nel caso di specie, in cui la liquidazione delle somme da erogare agli amministratori sia meramente indicata in una delle voci di spesa del bilancio di chiusura esercizio presentato alla approvazione dell’assemblea.

La causa è stata decisa dagli ermellini nel merito (con rigetto del ricorso introduttivo) e la società contribuente dovrà pagare le spese del giudizio di legittimità.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Commercialisti. Prestazioni gratuite per parenti e amici

Cassazione Tributaria, sentenza depositata il 28 ottobre 2015

È nullo l’accertamento a carico del professionista quando, a fronte delle mere supposizioni dell’Ufficio, appaia plausibile la gratuità delle prestazioni non fatturate in quanto svolte in favore di parenti e amici, anche allo scopo di incrementare la clientela.

È quanto emerge dalla sentenza 28 ottobre 2015 n. 21972 della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria.

Un consulente fiscale è divenuto destinatario di un avviso di accertamento per maggiori imposte (IVA, IRPEF e IRAP per il 2001) fondato sui compensi non fatturati e non registrati in relazione a oltre 70 clienti.

Riformando il verdetto pro-fisco pronunciato dalla CTP, la CTR ha dichiarato illegittima la ripresa a tassazione alla luce del fatto che il contribuente aveva giustificato la mancata registrazione e fatturazione dei compensi con i rapporti di amicizia o parentela intercorrenti tra lui e i clienti in questione i quali, peraltro, per il 70 per cento, risultavano soci di società di persone la cui contabilità era curata proprio dal contribuente, ragion per cui ogni eventuale compenso si poteva ritenere rientrante in quello già corrisposto dalla società di appartenenza. La CTR ha dato penso anche all’accertata circostanza che l’attività asseritamente gratuita riguardava soltanto l’invio telematico delle dichiarazioni dei redditi; e tale attività era finalizzata all’incremento della clientela.

Ebbene, investita dell’esame della controversia, in forza del ricorso del Fisco, la Suprema Corte ha ritenuto incensurabile, sotto il profilo motivazionale, la sentenza del giudice dell’appello.

La CTR – dice la Sezione Tributaria di Palazzaccio – ha ritenuto con “motivazione congrua e non contraddittoria, plausibile, a fronte delle mere supposizioni dell’Ufficio erariale, la gratuità dell’opera svolta dal professionista, in considerazione dei rapporti di parentela e di amicizia con gli stessi clienti, nonché del fatto che il 70% di tali soggetti risultano soci di società di persone, la cui contabilità è affidata alle cure del contribuente, per cui ogni eventuale compenso rientra in quello già corrisposto dalla società di appartenenza (e non è contestato che dette società fossero clienti del professionista e che le stesse non rientrassero nell’elenco, individuato dai verificatori, dei soggetti non paganti) e della circostanza, accertata oltre che pacifica, che l’attività svolta in loro favore riguardava soltanto l’invio telematico delle dichiarazioni dei redditi ed era finalizzata all’incremento della clientela, cosicché la semplicità della prestazione in sé rende verosimile l’assunto del contribuente circa la sua gratuità”.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Fallimenti, Iva recuperata solo dal 2017

Con una modifica dell’ultima ora sul testo circolato nei giorni scorsi è stato corretto l’articolo 9 del Ddl di stabilità 2016, stabilendo che la possibilità di emettere la nota di accredito Iva all’avvio delle procedura concorsuale si applichi per le sole «operazioni effettuate dal 1 gennaio 2017».

Il testo del disegno di legge che ha ufficialmente iniziato l’iter parlamentare, fa rimanere quindi in stand by il diritto del creditore a vedere soddisfatto fin dall’inizio della procedura che sembrava, in un primo momento, certamente fruibile a partire dal primo gennaio 2016.
Pertanto ancora per un altro anno, per recuperare l’Iva sui crediti incagliati in procedure concorsuali e para concorsuali si dovrà attendere la chiusura della procedura.

Il disegno di legge. L’Iva sulle procedure concorsuali – Nel merito della questione va ricordato che Il Ddl interviene sull’articolo 26 del Dpr n. 633/72 in tema di recupero Iva sui crediti in sofferenza riferiti a clienti assoggettati ad una delle procedure previste dalla legge fallimentare.
Nella sostanza la nuova norma autorizza l’emissione della nota di accredito in relazione all’Iva addebitata e mai incassata dal creditore, senza dover attendere i lunghi tempi necessari per la conclusione dell’iter concorsuale.
La versione oggi in vigore, lo si ricorda, prevede la necessità di attendere sempre l’infruttuosità della procedura prima di poter esperire la nota di variazione, condizione che si verifica solo con la chiusura della stessa.

La decorrenza – Con il nuovo testo, reso pubblico solo venerdì, è stata disposta la modifica del comma 10 dell’articolo 9 che prevede che «le disposizioni di cui all’articolo 26, comma 4, lettera a), e comma 5, secondo periodo, del Dpr 26 ottobre 1972, n. 633, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal presente articolo, si applicano alle operazioni effettuate dal 1° gennaio 2017».
Per effetto di tale modifica, la nota di accredito si potrà riferire alle sole cessioni di beni o alle prestazioni di servizi rese dopo il primo gennaio 2017.
Ciò fuga subito uno dei dubbi che si erano posti in prima lettura della nuova norma (si veda la nostra Fiscal flash del 27 ottobre 2015); in ragione di tale precisazione quindi l’emissione della nota di accredito rimane preclusa per tutte quelle realtà dove la procedura concorsuale è ancora in svolgimento.
Per cui paradossalmente anche se la procedura stessa iniziasse dopo il 1 gennaio 2017, sarebbe comunque preclusa la possibilità di emissione della nota di accredito, poichè l’operazione rilevante ai fini Iva è stata posta in essere antecedentemente a tale data.
Se così stanno le cose è forte il rischio che la modifica introdotta rimanga inoperosa per un tempo eccessivo.
In questo contesto l’auspicio, sarebbe quello che nel corso del dibattito Parlamentare ci sia un dietrofront che anticipi la decorrenza della nuova disciplina.

Le altre modifiche – L’articolo 9 del Ddl Stabilità prevede ulteriori modifiche sull’articolo 26 del Dpr 633/72.
In particolare vengono stabilite tre distinte categorie di cause giuridiche che legittimano l’emissione della nota di variazione iva.
La prima attiene la possibilità di variazione in diminuzione dell’imponibile e dell’imposta in presenza di abbuoni e sconti contrattualmente previsti. In base al nuovo comma 3 dell’articolo 26, infatti, la nota di variazione non può essere emessa dopo il decorso di un anno dall’operazione. Tale regola si applica anche in ipotesi in cui la rettifica riguardi delle operazioni inesistenti (articolo 21 comma 7 del Dpr 633/72).
La seconda possibilità riguarda le cause giuridiche che determinano la riduzione dell’imposta e della base imponibile in forza di una dichiarazione di nullità, annullamento, revoca e risoluzione. In tali casistiche per l’emissione della nota di variazione non opera la limitazione annuale di cui all’ipotesi sopra evidenziata, poiché le variazioni non si verificano in dipendenza di un sopravvenuto accordo fra le parti; quindi la nota di accredito potrà essere emessa anche oltre l’anno.
La terza casistica si rinviene nel caso di mancato pagamento, in tutto o in parte, del corrispettivo da parte del cessionario/committente.
Per questa via la nota di accredito può essere emessa solo al verificarsi di eventi particolari individuati dalla norma stessa e riconducibili a procedure concorsuali o a piani di ristrutturazione del debito o a procedure esecutive individuali rimaste infruttuose. Per quest’ultima ipotesi, come sopra esaminato, a differenza delle due precedenti (la cui efficacia sarà dal 01.01.2016) la novella entrerà in vigore dalle operazioni effettuate a partire dal 1° gennaio 2017.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Riammissione alla rateazione ed effetti sulle procedure esecutive

La ripresa della rateazione può bloccare le procedure avviate

Il D.Lgs. 159/2015 ha introdotto importanti novità in merito alla possibilità di rateazioni di pdr precedentemente decaduti nell’arco temporale che va dal 22 ottobre 2013 al 21 ottobre 2015; Per i contribuenti che in quel periodo preciso avevano avuto accesso ad un piano di rateazione, al quale non sono riusciti a far fronte, è prevista la possibilità di chiedere nuovamente, entro il 21 Novembre 2015, la riammissione al beneficio tramite apposita documentazione disponibile sul sito di Equitalia alla sezione ModulisticaRateizzazione-RICHIESTA DI RATEIZZAZIONE PER PIANI DECADUTI DAL 22/10/2013 AL 21/10/2015.

In ogni caso i contribuenti che sono stati riammessi alla rateazione, decadranno dal beneficio in seguito al mancato pagamento di solo due rate anche non successive, non quindi di otto rate come era previsto per le dilazioni concesse dal 23 Giugno 2013 al 21 ottobre 2015, o di 5 rate come stabilito per le nuove dilazioni poste in essere dal 22 ottobre 2015. Ad esempio se la rateazione è stata concessa il 7 settembre 2015, la nuova disciplina non è ancora applicabile (le nuove regole non erano ancora in vigore) e il mancato pagamento, ad esempio di sette rate, non determina la decadenza dal beneficio. La dilazione viene concessa considerando lo stesso numero di rate prevista per il precedente pdr. La ripresa della rateazione comporta anche degli effetti sulle procedure esecutive intraprese.
Alla ricezione della richiesta di rateazione, l’Agenzia delle Entrate può iscrivere l’ipoteca, solo nel caso in cui la richiesta non venga accolta, ovvero in caso di decadenza del beneficio stesso. Sono fatti comunque salvi i fermi e le ipoteche già iscritti alla data di concessione della rateazione, il pagamento della prima rata del pdr determina l’impossibilita di proseguire le procedure di recupero coattivo precedentemente avviate solo se:
• non si sia ancora tenuto l’incanto con esito positivo,
• non sia stata presentata istanza di assegnazione,
• il terzo non abbia reso dichiarazione positiva o non sia stato già emesso provvedimento di assegnazione dei crediti pignorati.
Anche per i fermi amministrativi, se prima dell’ammissione o al pagamento della 1° rata non ha ancora provveduto, l’agente della riscossione non potrà iscrivere alcun fermo.
Il contribuente che ha ottenuto la riammissione al beneficio della rateazione, non sarà più considerato inadempiente, e cosa rilevante, potrà, se si tratta di un’impresa, riottenere Il DURC e il certificato di regolarità fiscale, il cui possesso è condizione essenziale per partecipare ad appalti di lavori, forniture e servizi.

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Assegnazione beni ai soci al valore catastale

Prende forma l’agevolazione per la fuoriuscita dei beni dal perimetro societario. Dopo la presentazione al Senato del DDL n. 2111 (Disegno di Legge Stabilità 2016) può tracciarsi un primo bilancio sulla formulazione della nuova norma, che a tale stadio pare essere di maggior vantaggio rispetto alle precedenti versioni.

Si tratta in sostanza della riproposizione della norma che agevola la fuoriuscita dei beni dalla società, prevedendo in luogo dell’applicazione della normale tassazione ordinaria (IRES E IRAP) il pagamento di un’imposta sostitutiva, che andrebbe calcolata sulla differenza tra il valore catastale del bene e il suo costo fiscale.Non è un refuso, si tratta proprio del valore catastale del bene da prendere a riferimento per il calcolo della base imponibile sui cui applicare l’imposta sostitutiva.
Nell’attuale versione della norma si prevede l’applicazione di un imposta sostitutiva:

  • delle imposte sui redditi e dell’IRAP pari all’8%;
  • che diventa del 10,5% se la società risulta di comodo in almeno due dei tre periodi di imposta precedenti a quello in corso al momento della assegnazione. Nelle precedenti versioni della norma le società di comodo erano escluse dalla possibilità di fruire della norma agevolativa.

Il valore catastale facoltativo – Ad onor del vero non è obbligatorio utilizzare il valore catastale. Si dà infatti la possibilità al contribuente che aderisce al regime agevolativo di poter optare tra le seguenti scelte:

  • il valore di mercato così come definito dall’art. 9, D.P.R. 917/1986;
  • il valore catastale utilizzando i moltiplicatori ex art. 52, D.P.R. 131/1986.

Optando per il valore catastale si dovrà procedere a porre in essere il seguente calcolo:

rendita catastale + il 5% della rendita catastale * imoltiplicatori ex art. 52, D.P.R. 131/1986.

Per i terreni la rendita catastale andrà rivalutata del 25%.

Si tratta certo di un confronto impari, in quanto il valore catastale è generalmente inferiore al valore di mercato e se confrontato con il costo fiscale del bene condurrebbe alla fuoriuscita del bene pagando una minima imposta sostitutiva, addirittura azzerata nel caso in cui il costo fiscale del bene sia superiore al valore catastale.

I moltiplicatori – Per quanto riguarda i moltiplicatori il riferimento è all’art. 52, D.P.R. 131/1986.

Applicando la richiamata disposizione i moltiplicatori da applicare sono i seguenti:

100 per le unità immobiliari classificate nei gruppi catastali A, B e C;

50 e 34 rispettivamente per le unità immobiliari classificate nelle categorie castali A/10 e C/1;

50 e 34 rispettivamente per le unità immobiliari classificate nelle categorie castali D e E;

75 per i terreni, esclusi quelli per i quali gli strumenti urbanistici prevedono la destinazione edificatoria.

I suddetti moltiplicatori sono stati innalzati del 20% dall’articolo 1-bis, Decreto Legge n. 168/2004 (e di un ulteriore 40% solo per la categoria catastale B, ai sensi dell’articolo 2, comma 45, Decreto Legge n. 262/2006).

I moltiplicatori da applicare sono quelli indicati nella tabella in calce.

Agevolata anche l’imposta di registro – Dal punto di vista delle altre imposte indirette rimane ferma l’applicazione dell’IVA, mentre in merito all’applicazione dell’imposta di registro, va ricordato che l’articolo 40 del DPR n.131/86, al comma 1 stabilisce il principio di alternatività tra Iva e registro. Dunque va applicata l’imposta di registro in misura fissa pari ad € 200 per le cessioni (assegnazioni) imponibili, “ad eccezione delle operazioni esenti ai sensi dell’art. 10, numeri 8), 8-bis) e 27-quinquies)” nelle cui situazioni trova applicazione l’imposta di registro proporzionale (9%).

Nel caso di assegnazioni di immobili abitativi:

  • se l’operazione è imponibile ai fini IVA, si sconteranno oltre all’imposta di registro fissa di euro 200,00, anche le ipocatastali nella misura fissa di 200 euro cadauna;
  • se l’operazione non è imponibile ai fini IVA, oltre all’imposta di registro proporzionale del 9% (2% con i requisiti prima.

Anche su tale aspetto interviene in Legislatore, il quale prevede che in caso di applicazione dell’imposta proporzionale di registro questa sia dimezzata. Dunque si passerebbe da un imposta di registro del 9% ad una misura dimezzata, pari dunque al 4,5%.

Beni agevolabili e a versamento imposta sostitutiva – Attenzione va posta al fatto che la misura agevolativa non è rivolta a tutti beni dell’impresa, ma si limita l’applicazione:

  • ai beni immobili (tranne quelli strumentali per destinazione);
  • ed ai beni mobili iscritti in pubblici registri non utilizzati quali beni strumentali nell’esercizio dell’impresa.

Si prevede infine che l’imposta sostitutiva sulle plusvalenze venga versata:

  • entro il 30 novembre 2016 per il 60% del suo ammontare;
  • e il restante 40% entro il 16 giugno 2017.
 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

SOCIETÀ ESTINTE: DIFFERIMENTO QUINQUENNALE SENZA RETROATTIVITÀ

29 OTTOBRE 2015

Le disposizioni del D.L. Semplificazioni si applicano quando la richiesta di cancellazione è avvenuta nella vigenza del decreto

Le disposizioni in materia di società estinte introdotte dal D.Lgs. n. 175/14 (c.d. Semplificazioni) non hanno efficacia retroattiva, quindi non si applicano alle società – di capitali o di persone – che abbiano fatto richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese prima del 13 dicembre 2014, ossia prima della data di entrata in vigore del suddetto decreto.

È quanto ha ribadito la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione con la sentenza n. 18385/2015 (nello stesso senso Cass. Sez. trib. n. 6743/2015).

La S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso di una Srl perché il giudizio in primo grado è stato instaurato quando la società era già estinta e, quindi, la medesima non aveva capacità a impugnare.

Precisamente, l’impugnazione davanti alla CTP è stata proposta successivamente al 1° gennaio 2004, data nella quale si era prodotto l’effetto estintivo della società, e il giudice di primo grado avrebbe dovuto rilevare il difetto di capacità della società e, quindi, l’improponibilità del ricorso stesso. Ma così non è stato. E allora il vizio di legittimazione attiva è stato rilevato dai supremi giudici, i quali hanno escluso l’applicabilità al caso dello ius superveniens in materia di società di estinte.

L’art. 28, comma 4, del D.Lgs. n. 175 del 2014, entrato in vigore il 13 dicembre 2014 ed emesso in attuazione degli artt. 1 e 7 della legge di delegazione n. 23 del 2014 stabilisce: “Ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese”.

Ebbene, tale disposizione, per la Suprema Corte, non si applica alla fattispecie di causa in quanto, contrariamente a quanto talora sostenuto dall’Amministrazione finanziaria nelle sue circolari (il riferimento degli ermellini è alle circolari n. 31/E del 2014 e n. 6/E del 2015), opera su un piano sostanziale, non si risolve in una diversa regolamentazione dei termini processuali o dei tempi e delle procedure di accertamento o di riscossione e non ha valenza interpretativa.

Fonte: Fiscal Focus

PAGAMENTI DELLE PA: È NECESSARIO IL PLACET DI EQUITALIA

29 OTTOBRE 2015

La verifica scatta per i pagamenti superiori ai 10.000 euro

Gli uffici della Pubblica Amministrazione, incaricati di effettuare pagamenti, in generale, superiori a 10.000 euro, a favore di determinati soggetti, devono confrontarsi con l’Agenzia delle entrate al fine di verificare l’eventuale inadempienza del destinatario delle somme, in merito a possibili notifiche (anche ancora non perfezionata) di una o più cartelle di importo totale pari almeno a euro diecimila.

La procedura – prima di quietanzare un pagamento, la Pubblica Amministrazione, deve inviare una richiesta ad Equitalia, che nei 5 giorni feriali successivi, provvede ad inoltrare la risposta relativa al soggetto, possibile destinatario delle somme; nel caso in cui dovesse rilevarsi una segnalazione a carico, potrebbero determinarsi due situazioni:

  • pagamento parziale, qualora l’importo per il quale il soggetto è debitore è inferiore all’importo a lui spettante;
  • mancato pagamento, nel caso in cui l’importo a debito è maggiore rispetto a quello a lui spettante.

Trascorsi 30 giorni dall’ottenimento della risposta di Equitalia, senza che la stessa provveda alla notifica dell’atto per il quale il pagamento è stato bloccato, la PA provvede al pagamento delle somme per le quali era stata avanzata richiesta di verifica. Il pagamento inoltre avviene, naturalmente, qualora non risulti nessuna segnalazione in merito al soggetto per il quale si è inoltrata la richiesta, o quando nei cinque giorni successivi alla richiesta, Equitalia non abbia provveduto ad inoltrare la relativa risposta.

Pagamenti di più fatture – La circolare n° 29 dell’otto ottobre 2009 precisa che, in caso di pagamento, in unica soluzione, di più fatture riguardanti lo stesso soggetto, bisogna considerare, ai fini delle richiesta di controllo ad Equitalia, l’importo contenuto nelle fatture, singolarmente analizzate, ossia, nel caso in cui nessuna delle singole fatture riporti un importo superiore a €10.000 euro, non si procederà ad inoltrare proposta di verifica ad Equitalia, anche se complessivamente viene superata la soglia indicata. Stessa interpretazione è prescritta in caso di pagamenti connessi ad appalti di lavoro o di servizi.

Eccezioni – La ragioneria dello stato ha indicato alcuni pagamenti per i quali non è necessaria la procedura sopra indicata, ossia:

  • collegati a specifiche disposizioni di legge;
  • riguardano esecutività di progetti cofinanziati dall’Unione Europea o clausole di accordi internazionali;
  • importi che per loro natura sono impignorabili;
  • tributi e contributi assistenziali o previdenziali;
  • rimborsi di spese sanitarie e relative a cure rivolte alla persona, e indennità;
  • importi a titolo di assegno alimentare;
  • sussidi e provvidenze per maternità, malattie e sostentamento;
  • spese collegate a esigenze di difese nazionali o missioni di peacekeeping;
  • spese interventi di ordine pubblico nonché per fronteggiare situazioni di calamità;
  • finanziamenti di progetti aventi scopi umanitari.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Nota di accredito IVA: emissione all’inizio della procedura fallimentare

Dal primo gennaio 2016 note di accredito Iva all’apertura delle procedure concorsuali.
La bozza di Ddl di Stabilità 2016 approvata al Governo e in attesa di conversione in legge alle Camere, prevede infatti, che per l’emissione della nota di variazione Iva, il creditore particolare della procedura concorsuale non debba più attendere l’infruttuosità della stessa.
La novella consentirà alle imprese colpite dall’insolvenza del proprio debitore, di recuperare fin da subito l’Iva addebitata e mai incassata, senza dover aspettare i tempi spesso lunghi per la conclusione dell’iter concorsuale.

La procedura attuale
Prima dell’intervento previsto nel disegno di legge di Stabilità, il momento nel quale sorge il presupposto dell’infruttuosità delle procedure concorsuali (essenziale per poter operare la detrazione dell’IVA), veniva fatto coincidere (secondo quanto anche indicato nella circolare n. 77/E del 2000):

  • per il fallimento, con la scadenza del termine per la presentazione delle osservazioni al piano di riparto, ovvero, se il fallimento si chiude senza un piano di riparto, con la scadenza del termine entro il quale è possibile proporre reclamo avverso il decreto di chiusura della procedura;
  • per il concordato fallimentare, con il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione;
  • per la liquidazione coatta amministrativa, con l’approvazione del piano di riparto.

Il nuovo articolo 26 D.p.r. 633/72.
Il Ddl Stabilità 2016, prevede ora la revisione dell’articolo 26 del Dpr 633/1972 disponendo, tra le altre, che la nota di credito in caso di mancato pagamento da parte del cessionario o committente, possa essere emessa già a partire dall’inizio del procedimento.
In relazione all’entrata in vigore del provvedimento in questione la norma non specifica se lo stesso sarà operativo solo per i fallimenti decretati a partire dalla data di entrata in vigore della legge di stabilità e quindi dal 01.01.2016, oppure se lo stesso sarà applicabile anche per i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della novella.
Sul punto, ovvero sull’applicazione anche ai procedimenti in corso (essendo scontata invece quella ai “nuovi fallimenti”) saranno probabilmente decisivi i chiarimenti che l’agenzia delle entrate dovrà fornire con la consueta circolare, da emanarsi nei primi mesi del 2016, che solitamente accompagna le novità normative entrate in vigore, salvo che in sede di conversione o direttamente nella relazione illustrativa al provvedimento venga specificato qualcosa in merito a tale questione.

Procedure fallimentari: Il momento di emissione della nota
Sotto il profilo operativo questo significa che la nota di credito andrà emessa in momenti diversi a seconda del tipo di procedura interessata. In altre parole si potrà emettere la nota di credito in caso di procedure concorsuali tipiche in concomitanza con la data della sentenza dichiarativa del fallimento.
Per le altre procedure si dovrà procedere con riferimento alla:

  • data del decreto che omologa l’accordo di ristrutturazione dei debiti ex articolo 182-bis della legge fallimentare;
  • data di pubblicazione nel registro delle imprese del piano attestato ex articolo 67, comma 3, lettera d), della legge fallimentare;
  • data del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa;
  • data del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo;
  • data del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.

Il caso generale
In ipotesi di mancato incasso del credito al di fuori dei procedimenti previsti dalla legge fallimentare, si applica invece la regola che la nota di variazione può essere emessa solo a seguito dell’avvenuta dimostrazione che la procedura esecutiva è rimasta infruttuosa. Infine si segnala che il nuovo articolo 26 previsto nel Ddl, inoltre, non fa invece alcun riferimento alle speciali misure di composizione della crisi previste per i soggetti non fallibili (legge 3/2012).

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

ASSEGNAZIONE AGEVOLATA BENI AI SOCI: NUOVA POSSIBILITÀ

22 OTTOBRE 2015

Legge di Stabilità 2016

Viene riproposta la normativa agevolativa sull’assegnazione dei beni ai soci. La normativa sarà applicabile per le assegnazioni effettuate entro il 30.09.2016. 
La normativa di riferimento – Per comprendere la significativa portata della novità normativa, va preliminarmente osservato che:
– ai sensi dell’art. 2, co. 2, n. 6), DPR 633/1972, ai fini IVA l’assegnazione dei beni ai soci è equiparata alla cessione di beni a titolo oneroso. Tale operazione dunque costituisce operazione rilevante ai fini IVA, sia se posta in essere da società di persone che da società di capitali, qualunque sia l’oggetto della società e qualunque sia il titolo in relazione al quale l’assegnazione viene effettuata. Anche in questo caso, dunque, l’imponibilità dell’operazione dovrà essere individuata in base alle regole sancite dall’art. 10, co. 1, n. 8 –bis e 8-ter, D.P.R. 633/1972, a seconda che si tratti di immobile abitativo o di immobile strumentale;
– dal punto di vista delle altre imposte indirette, e nello specifico circa l’applicazione dell’imposta di registro, va ricordato che l’articolo 40 del DPR n.131/86, al comma 1 stabilisce il principio di alternatività tra Iva e registro. Dunque va applicata l’imposta di registro in misura fissa pari ad € 200 per le cessioni (assegnazioni) imponibili, “ad eccezione delle operazioni esenti ai sensi dell’art. 10, numeri 8), 8-bis) e 27-quinquies)” nelle cui situazioni trova applicazione l’imposta di registro proporzionale (9%).
Nel caso di assegnazioni di immobili abitativi:
* se l’operazione è imponibile ai fini IVA, si sconteranno oltre all’imposta di registro fissa di euro 200,00, anche le ipocatastali nella misura fissa di 200 euro cadauna;
* se l’operazione non è imponibile ai fini IVA, oltre all’imposta di registro proporzionale del 9% (2% con i requisiti prima casa) saranno dovute le imposte ipotecarie e catastali nella misura di euro 50,00 cadauna.

– ai fini delle imposte dirette, l’assegnazione dell’immobile al socio (indipendentemente dalla causa) può far emergere in capo alla società materia imponibile, come ricavi tipici della società o plusvalenze degli immobili relativi all’impresa;
– per quanto riguarda il socio assegnatario, invece, è possibile che si verifichi la distribuzione di utili in natura, con la conseguenza di un reddito tassabile in capo al socio persona fisica non imprenditore.
La misura agevolativa – Per evitare gli effetti estremamente penalizzanti dell’assegnazione degli immobili ai soci, il Legislatore reintroduce la possibilità di far fuoriuscire gli immobili pagando una imposta sostitutiva:
– delle imposte sui redditi e dell’IRAP pari all’8%;
– che diventa dal 10,5% se la società risulta di comodo in almeno due dei tre periodi di imposta precedenti a quello in corso al momento della assegnazione. Nelle precedenti versioni della norma le società di comodo erano escluse dalla possibilità di fruire della norma agevolativa.
Per quanto riguarda il socio, si prevede che l’eventuale distribuzione di utili in natura sia esclusa dall’ambito applicativo dell’art. 47 del Tuir.
Inoltre:
– è prevista la riduzione alla metà dell’imposta di registro eventualmente dovuta per l’assegnazione, nonché l’applicazione delle imposte ipotecaria e catastale in misura fissa.
In sostanza, pur pagando l’imposta sostitutiva, si dovranno continuare a valutare i riflessi IVA dell’operazione.
Per quanto riguarda la base imponibile sulla quale applicare l’imposta sostitutiva si fa riferimento alla differenza:
– tra il valore normale del bene assegnato e il costo fiscalmente riconosciuto.
La base imponibile dell’imposta sostitutiva può essere determinata facendo riferimento al valore catastale dell’immobile in luogo del meno conveniente valore normale.

Attenzione va posta al fatto che a misura agevolativa non è rivolta a tutti beni dell’impresa, ma si limita l’applicazione:
• ai beni immobili (tranne quelli strumentali per destinazione);
• e ai beni mobili iscritti in pubblici registri non utilizzati quali beni strumentali nell’esercizio dell’impresa.
Si prevede infine che l’imposta sostitutiva sulle plusvalenze venga versata:
– entro il 30 novembre 2016 per il 60% del suo ammontare;
– e il restante 40% entro il 16 giugno 2017.

Riforma del bilancio: altre novità in arrivo

Come noto, con il D.Lgs. n. 139 del 18.08.2015, pubblicato nella G.U. n. 205 del 04.09.2015, sono state introdotte importanti novità nella disciplina del bilancio d’esercizio, le quali troveranno applicazione nei bilanci relativi agli esercizi finanziari aventi inizio a partire dal 1° gennaio 2016.

Per le società con esercizio coincidente con l’anno solare, pertanto, dal prossimo gennaio 2016 sarà necessario rispettare le nuove disposizioni introdotte.
Poco più di un paio di mesi, dunque, per “assimilare” le novità, le quali sono certamente non di poco conto.
Ciò assume ancora più rilevanza ove si consideri che, nello stesso lasso di tempo, saranno necessari interventi per adeguare i principi contabili e le norme fiscali alle novità introdotte.
O almeno, ci si augura che il “cerchio” delle riforme venga chiuso prima dell’inizio dell’esercizio, per non costringere le società ad un 2016 pieno di incertezze.

I nuovi principi contabili nazionali – Molte delle nuove disposizioni introdotte richiedono l’intervento dell’Organismo Italiano di contabilità, il quale dovrà aggiornare i principi contabili al fine di tener conto delle modifiche apportate alla disciplina.
Più precisamente, si rendono necessari specifici principi volti ad accompagnare le imprese nella prima applicazione delle nuove norme, così come deve ritenersi essenziale fornire la necessaria declinazione pratica di norme di carattere generale.
E’ stato quindi avviato dall’Oic un piano di aggiornamento dei principi contabili nazionali, il quale prevede non solo la modifica dei principi emanati nel 2014 (con riferimento ai quali erano stati sottolineati alcuni punti degni di riflessione), ma anche la revisione di tutti i principi contabili al fine di tener conto delle novità introdotte con il D.Lgs. 139/2015.
Saranno pertanto sicuramente oggetto di modifiche anche l’Oic 3 sui derivati, e l’Oic 11 sui postulati di bilancio, i quali non erano stati intaccati dal recente processo di revisione.

La disciplina fiscale – Le riforme introdotte richiederebbero alcune modifiche anche nella disciplina fiscale.
Si pensi, a tal proposito, alla disciplina Irap: a seguito delle modifiche legislative, nel conto economico non saranno più esposti gli oneri e i proventi straordinari, per cui anche i componenti in oggetto confluirebbero nel calcolo del valore della produzione netta.
È necessario quindi, che, a seguito dell’intervenuta riforma del bilancio, il legislatore intervenga per adeguare la normativa fiscale.
Con riferimento ad altre fattispecie deve invece ritenersi che le novità introdotte non abbiano ricadute sugli aspetti fiscali, nonostante il loro forte impatto sulle poste di bilancio.
Si pensi, a tal proposito, alle spese di pubblicità e ricerca, le quali, dal 2016 non saranno più capitalizzabili e concorreranno quindi alla determinazione del reddito integralmente nell’esercizio.
Purtuttavia, l’articolo 108 Tuir continua a prevedere la deduzione sia in un solo esercizio che in più esercizi, ragion per cui, dal punto di vista fiscale, le spese in oggetto potranno concorrere alla determinazione del reddito anche in più esercizi.
Intatti gli obblighi di deposito – Nell’ambito delle novità introdotte, sicura rilevanza assume il nuovo bilancio per le micro-imprese, soprattutto in considerazione del fatto che è previsto non solo l’esonero dalla redazione della relazione sulla gestione e del rendiconto finanziario, ma anche della stessa nota integrativa, se determinate informazioni sono riportate in calce allo stato patrimoniale.
In ogni caso, anche il bilancio delle micro-imprese, seppur composto dai soli documenti contabili, dovrà essere depositato presso il Registro delle imprese alle ordinarie scadenze e con le modalità note (nonostante la direttiva prevedesse, appunto, la facoltà di dispensare le piccole imprese dal deposito in oggetto).
Ai fini del deposito del bilancio, pertanto, rimangono fermi gli attuali obblighi.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Socio e rinuncia al credito: la sopravvenienza cambia regime di tassazione

26 ottobre 2015

Premessa – E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 220 del 22 settembre 2015, il Decreto LEgislativo n. 147/2015 recante misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese.

Il decreto il questione, dispone importanti modifiche in merito al regime di tassazione della sopravvenienza attiva proveniente dalla rinuncia del credito che il socio vanta nei confronti della società.
Si ricorda che il regime fiscale cui è soggetta la predetta tipologia di sopravvenienza attiva è contenuto nel comma 4 dell’art. 88 del TUIR.
La rinuncia del credito che il socio vanta nei confronti della società è anche una delle procedure utilizzate per eseguire aumento del capitale sociale: il socio rinuncia al credito e a fronte di tale rinuncia sottoscrive un aumento di capitale deliberato dalla società.
Si genera sopravvenienza attiva, ad esempio, quando il socio acquista un credito vantato da un terzo nei confronti della società e lo acquista per un corrispettivo inferiore al debito originario e poi rinuncia al credito.
L’attuale formulazione dell’art. 88 TUIR – Il comma 4 dell’art. 88 TUIR nella sua formulazione attuale dispone che “non si considerano sopravvenienze attive i versamenti in denaro o in natura fatti a fondo perduto o in conto capitale alle società’ e agli enti di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a) e b), dai propri soci e la rinuncia dei soci ai crediti, ne gli apporti effettuati dai possessori di strumenti similari alle azioni, ne la riduzione dei debiti dell’impresa in sede di concordato fallimentare o preventivo o per effetto della partecipazione delle perdite da parte dell’associato in partecipazione. In caso di accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, pubblicato nel registro delle imprese, la riduzione dei debiti dell’impresa non costituisce sopravvenienza attiva per la parte che eccede le perdite, pregresse e di periodo, di cui all’articolo 84”.
Dunque, attualmente, per espressa previsione normativa la sopravvenienza attiva derivante dalla rinuncia al credito da parte del socio è completamente detassata.

La nuova formulazione dell’art. 88 TUIR – Quanto esposto in precedenza, resta in vigore fino al periodo d’imposta 2015. Infatti, l’art. 13 del decreto legislativo per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese (d.lgs. n. 147/2015) ha modificato il comma 4 dell’art. 88 del TUIR, disponendo che la detassazione della sopravvenienza attiva derivante dalla rinuncia del credito da parte del socio avviene nei limiti del valore fiscale del credito stesso.
In particolare, all’art. 88 sono apportate le seguenti modificazioni:
• il comma 4, è sostituito dal seguente: “non si considerano sopravvenienze attive i versamenti in denaro o in natura fatti a fondo perduto o in conto capitale alle società e agli enti di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a) e b), dai propri soci, ne gli apporti effettuati dai possessori di strumenti similari alle azioni”.
• è aggiunto il comma 4-bis, in cui, al primo periodo è disposto che “la rinuncia dei soci ai crediti si considera sopravvenienza attiva per la parte che eccede il relativo valore fiscale. A tal fine, il socio, con dichiarazione sostitutiva di atto notorio, comunica alla partecipata tale valore; in assenza di tale comunicazione, il valore fiscale del credito è assunto pari a zero. Nei casi di operazioni di conversione del credito in partecipazioni si applicano le disposizioni dei periodi precedenti e il valore fiscale delle medesime partecipazioni viene assunto in un importo pari al valore fiscale del credito oggetto di conversione, al netto delle perdite sui crediti eventualmente deducibili per il creditore per effetto della conversione stessa”.

La dichiarazione sostitutiva del socio – Il secondo periodo del nuovo comma 4 bis, impone al socio la necessità di consegnare alla società una dichiarazione sostitutiva in cui comunica il valore fiscale del credito. In mancanza di tale dichiarazione il valore fiscale sarà considerato pari a 0 con la conseguenza che tutto il valore originario del credito sarà considerato sopravvenienza e quindi interamente tassato.

La decorrenza del nuovo regime di tassazione – Il comma 2 dell’art. 13 D.lgs. 147/2015 espressamente dispone che le nuove regole di tassazione fin qui esposte si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello di entrata in vigore del decreto stesso e quindi a decorrere dal 2016.

Autore: Pasquale Pirone

Canone RAI in bolletta. Vale solo il possesso della TV

Il possesso del televisore resta il requisito per il pagamento del canone RAI. È quanto ha ritenuto di dover precisare l’esecutivo dopo le voci di una possibile estensione del canone TV anche al possesso di altri dispositivi (vedi PC, tablet e smartphone) con cui è possibile vedere i canali RAI.

La legge di Stabilità per il 2016 prevede il pagamento del canone RAI attraverso la bolletta elettrica. Il canone – il cui importo per il 2016 scende a 100 euro (contro gli attuali 113,50) – dovrebbe essere diviso in sei rate da 16.66 euro ciascuna e si dovrebbe pagare solamente in relazione alla prima casa. Così il governo pensa di porre fine al fenomeno evasivo che affligge questa tassa sul possesso “di uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive”.

Poiché sulla misura sono circolate informazioni a volte contrastanti, il sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, intervenendo a Radio 24 su “Mattina 24”, ha precisato che il nuovo metodo di pagamento del canone non modificherà, almeno per il momento, l’impianto della normativa in vigore e che pertanto “È il possesso di un televisore il requisito per il pagamento del canone, non degli altri device”, quali computer, tablet e smartphone.

Nella norma abbiamo solo aggiunto una presunzione del possesso del televisore che è il contratto di fornitura elettrica”, ha detto ancora il sottosegretario Giovannelli, che, a proposito del contrasto all’evasione, ha evidenziato come “secondo i dati Istat il 97% degli italiani possiede un televisore. Eppure questo non emerge dai dati sul pagamento del canone”.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Anticorruzione e falso in bilancio: approvata la nuova legge

REATI SOCIETARI
22 maggio 2015 ore 06:00

di Saverio Cinieri – Dottore commercialista e pubblicista
La Camera, ieri, ha approvato in via definitiva la proposta di legge” Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”. Diventano, quindi, legge le nuove norme che prevedono un inasprimento della pena per il falso in bilancio, delitto che torna ad essere applicato a tutte le imprese e non solo a quelle quotate in borsa.
Il falso in bilancio ritorna ad essere un reato che può essere contestato a tutte le società e non solo a quelle quotate in borsa.
E’ una delle più importanti novità che emergono dalla nuova legge in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio (A.C. 3008) approvato, in via definitiva, dalla Camera dei deputati il 21 maggio.
Come appena accennato, la novità principale è che il falso in bilancio torna ad essere un delitto per tutte le imprese, non solo per quelle quotate in borsa.
La reclusione per le società quotateva da 3 a 8 anni (oggi è fra i 6 mesi e i 3 anni), mentre per le aziende non quotate va da 1 a 5 anni (oggi la pena è l’arresto fino a due anni, ma vi sono casi di esclusione della punibilità, che vengono cancellati dalla nuova legge).
Previsto anche un inasprimento delle sanzioni amministrative a carico delle società.
La struttura della nuova legge
La legge approvata non contiene solo norme sul falso in bilancio ma è volta a contrastare i
fenomeni corruttivi attraverso una serie di misure che vanno dall’incremento generalizzato delle sanzioni per i reati contro la pubblica amministrazione, a quelle volte al recupero delle somme indebitamente percepite dal pubblico ufficiale, alla revisione, appunto, del reato di falso in bilancio.
Il provvedimento, composto di 12 articoli, si suddivide in due parti:
– la prima (artt. da 1 a 8) riguarda, in particolare, i reati contro la pubblica amministrazione (vedi tabella che segue);
– la seconda parte (artt. da 9 a 12) ha per oggetto i delitti di false comunicazioni sociali.
Tabella – Reati contro la pubblica amministrazione

Articolo Novità
1 – reati contro la P.A.
– passano a 3 e 5 anni (attualmente, un anno e tre anni) i limiti di durata minima e massima dell’incapacità di contrattare con la P.A. (art. 32-ter c.p.);
– si disciplinano i casi nei quali alla condanna consegue l’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego, per prevedere che tale pena accessoria nei confronti del dipendente di pubbliche amministrazioni consegue alla condanna alla reclusione non inferiore ai 2 anni (oggi è per pene non inferiori a 3 anni) per i delitti di peculato, concussione, corruzione per l’esercizio della funzione, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, corruzione in atti giudiziari, induzione indebita a dare o promettere utilità, ovvero corruzione di persona incaricata di pubblico servizio (art. 32-quinquies c.p.);
– aumenta (si passa, rispettivamente, dagli attuali 15 gg. e 2 anni a 3 mesi e 3 anni) il
tempo minimo e massimo di durata della sospensione dall’esercizio di una professione (art. 35 c.p.);
– aumenta l’entità delle pene previste dal codice penale per una serie di reati del pubblico ufficiale contro la P.A.;
– si introduce una nuova circostanza attenuante nell’art. 323-bis c.p. che consente una
Come cambia il falso in bilancio
Il piatto forte della nuova legge consiste nella modifica del reato di falso in bilancio.
In particolare, l’articolo 9 della nuova legge modifica l’articolo 2621 del codice civile.
L’attuale norma prevede l’arresto fino a due anni per “gli amministratori, i direttori generali, i
dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, espongono fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni ovvero omettono informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari sulla predetta situazione”.
Tale punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o
amministrati dalla società per conto di terzi, mentre viene esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene.
Inoltre, sono previste alcune soglie di non punibilità (che, con la nuova legge scompaiono):
infatti, la punibilità è comunque esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del
risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5 per cento o una
variazione del patrimonio netto non superiore all’1 per cento.
In ogni caso il fatto non è punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10 per cento da quella corretta.
In questi casi, scatta una sanzione amministrativa (da uno a cento quote), l’interdizione dagli uffici direttivi da sei mesi a tre anni, e da una serie di cariche societarie (come amministratori, sindaci, liquidatori, dirigenti con funzioni anche contabili).
Ora, invece, si cambia rotta: il nuovo articolo 2621 codice civile prevede alcune modifiche della diminuzione della pena da un terzo a due terzi per colui che, responsabile di specifici
delitti contro la P.A. (artt. 318, 319, 319-ter e quater, 320, 321, 322 e 322-bis c.p.), si sia
efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze
ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione degli altri responsabili
ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite.
2 – sospensione condizionale
Si subordina, all’art. 165 c.p., l’accesso alla sospensione condizionale della pena per un
catalogo di reati contro la P.A. (artt. 314, 317, 318, 319, 319-ter e quater, 320 e 322-bis
c.p.) al pagamento, a titolo di riparazione pecuniaria di una somma equivalente al profiitto del reato ovvero all’ammontare di quanto indebitamente percepito, fermo restando il diritto all’eventuale risarcimento del danno
3 – concussione
Si modifica la fattispecie di concussione (art. 317 c.p.), ampliandone l’ambito soggettivo
di applicazione per ricomprendervi anche “l’incaricato di un pubblico servizio”, così tornando alla formulazione ante-legge Severino (L. 190/2012).
4 – riparazione pecuniaria
Si inserisce nel codice penale l’art. 322-quater che stabilisce che, con la sentenza di
condanna per un delitto contro la p.a., venga sempre ordinato il pagamento di una somma pari all’ammontare di quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale (o dall’incaricato di un pubblico servizio) a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione di appartenenza, ovvero, in caso di corruzione in atti giudiziari, in favore dell’amministrazione della giustizia, restando impregiudicato il diritto al risarcimento del danno.
5 – associazione mafiosa
Si introduce un aumento generalizzato delle pene per il reato di associazione mafiosa
(art. 416-bis c.p.).
6 – patteggiamento
Si modifica la disciplina del patteggiamento, per condizionare l’accesso al rito speciale, con riguardo ai procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A., alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato
7 – Autorità anticorruzione
Si pongono in capo al PM che esercita l’azione penale per reati contro la pubblica amministrazione obblighi informativi nei confronti del Presidente dell’ANAC (Autorità nazionale anticorruzione).
8 – Legge
Severino Si apportano alcune modifiche alla legge Severino (L. n. 190/2012). fattispecie (in relazione al dolo, alla rilevanza dei fatti esposti e della loro concretezza ad indurre in errore i destinatati delle comunicazioni) e stabilisce che il reato è sempre punito come delitto con pene detentive che possono andare da 1 a 5 anni (il limite di pena non consente, però, l’uso delle intercettazioni).
La nuova legge prevede anche casi in cui si applicano pene ridotte:
– se i fatti sono di lieve entità la pena va da un minimo di 6 mesi a un massimo di 3 anni
(nuovo art. 2621-bis); la lieve entità viene valutata dal giudice, in base alla natura e alle
dimensioni della società e alle modalità o gli effetti della condotta dolosa;
– la stessa pena ridotta (da 6 mesi a 3 anni) si applica nel caso in cui il falso in bilancio riguardi le società che non possono fallire (quelle che non superano i limiti indicati dal secondo comma dell’articolo 1 della legge fallimentare). In questo caso, il reato è perseguibile a querela di parte (della società, dei soci, dei creditori o degli altri destinatari della comunicazione sociale) e non d’ufficio.
Inoltre:
– con l’introduzione di un nuovo art. 2621-ter, si prevede una ipotesi di non punibilità per
particolare tenuità del falso in bilancio;
– vengono inasprite le sanzioni pecuniarie previste dal D.Lgs n. 231/2001 (art. 25-ter) a carico delle società per il falso in bilancio di cui all’art. 2621 c.c. (da 200 a 400 quote, invece delle 100 – 150 attuali); per il falso in bilancio di lieve entità le sanzioni pecuniarie sono, invece, stabilite tra 100 e 200 quote.
Infine, si modifica l’art. 2622 c.c. ovvero la disciplina del falso in bilancio nelle società
quotate.
Tale norma civilistica, nella versione attuale riguarda il falso in bilancio in danno della società, dei soci o dei creditori e prevede una detenzione da sei mesi a 3 anni.
La norma, così come esce modificata dalla nuova legge, presenta le seguenti novità:
– riferisce l’illecito alle società quotate aumentando la pena (reclusione da 3 a 8 anni);
– trasforma il falso in bilancio in reato di pericolo anziché (come è previsto attualmente) di
danno, la procedibilità è d’ufficio (anziché a querela);
– come nel falso in bilancio delle società non quotate, elimina le soglie di non punibilità.
Infine, alle società quotate vengono equiparate: le società emittenti strumenti finanziari per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea, le emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione italiano, le società che controllano società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea, e le società che fanno appello al pubblico risparmio o che comunque lo gestiscono.
Anche in tal caso, aumentano le sanzioni pecuniarie previste dal citato D.Lgs. n. 231/2001, che – per il falso i bilancio nelle società quotate – vanno da 400 a 600 quote (dalle attuali 150-330).
Tabella – Falso in bilancio
Copyright © – Riproduzione riservata
Come è Come sarà
– società quotate: reclusione fra i 6 mesi e i 3 anni;
– aziende non quotate: arresto fino a due anni, con casi di esclusione della punibilità.
società quotate: reclusione da 3 a 8 aziende non quotate: reclusione da 1 a 5 anni nessuna causa di esclusione della punibilità

Legge di Stabilità 2016: tutte le novità fiscali!

Legge di Stabilità 2016: tutte le novità fiscali! – Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Per approfondire consulta la Fiscal Approfondimento n. 38 del 20.10.2015

È stato approvato nel Consiglio dei Ministri del 15.10.2015 il disegno di Legge di Stabilità 2016. L’annuncio è arrivato con 25 tweet da parte del Premier Matteo Renzi, che riassumono i principali interventi contenuti nella Legge di Stabilità. Analizziamo quali sono i principali interventi contenuti nella Legge di Stabilità, evidenziando sin da ora che si tratta solo di un disegno di legge che viene trasmesso alle Camere per proseguire il normale iter parlamentare che porterà all’approvazione definitiva. In questo iter, il disegno di legge potrà subire modifiche, delle quali vi daremo conto in modo tempestivo. 
IMU – Abolizione dell’imposta sull’abitazione principale, anche sulle case di lusso adibite ad abitazione principale, nonché sui terreni agricoli (in questo caso vi sono delle modifiche importanti sulle norme già a suo tempo introdotte) e abolizione dell’imposta sui c.d. macchinari imbullonati tramite una procedura particolare che li esclude dal novero della rendita catastale.

TASI – Scompare la TASI nelle seguente situazioni:
• in caso di immobile destinato dal proprietario ad abitazione principale per sé e la propria famiglia;
• in caso di immobile affittato dal proprietario, ma destinato dall’inquilino (possessore) ad abitazione principale per sé e per i propria famiglia.

Taglio aliquota IRES – Previsto dal 2017 il taglio dal 27,5% al 24% dell’IRES, salvo anticipare la riduzione al 2016 se verrà concessa una maggiore flessibilità nei conti da parte dell’Unione europea.

Super ammortamenti per i beni acquistati dal 15 ottobre – Altra misura favorevole alle imprese è quella che mira a consentire il super ammortamento al 140% che dovrà essere ripartita in modo lineare sulla vita utile del bene. Da quanto si apprende la misura agevolativa si applicherà ai beni acquistati nel 2016 e anche quelli acquisti nell’ultimo trimestre del 2015 a partire dal 15 ottobre.
Aumento del limite dei ricavi per i forfettari – Nella bozza della Legge di Stabilità 2016 vengono introdotti dei nuovi limiti di ricavi per il regime forfettario aumentando le attuali soglie (diversificati sulla base dell’attività svolta) con un incremento di 10.000 euro per tutti che diventa di 15.000 euro per i professionisti aumentando così il limite per quest’ultimi a 30.000 euro.

Bonus edilizi prorogati per il 2016 – Il disegno di Legge di Stabilità 2016 varato dal governo nella giornata di giovedì 15 ottobre proroga di un anno, fino al 31 dicembre 2016, la detrazione Irpef del 65% per gli interventi di efficientamento energetico e del 50% per le ristrutturazioni e l’acquisto di mobili ed elettrodomestici.

Sale il limite del contante – Tra le novità dell’ultima ora contenute nel disegno di Legge di Stabilità 2016 spicca l’aumento del limite del contante dai 999,99 euro attuali a 3.000,00 euro.

Assegnazione beni ai soci: nuova opportunità – Il Legislatore reintroduce la possibilità di far fuoriuscire gli immobili pagando una imposta sostitutiva:
• delle imposte sui redditi e dell’IRAP pari all’8%;
• che diventa dal 10,5% se la società risulta di comodo in almeno due dei tre periodi di imposta precedenti a quello in corso al momento della assegnazione. Nelle precedenti versione della norma le società di comodo erano escluse dalla possibilità di fruire della norma agevolativa.

Per quanto riguarda il socio, si prevede che l’eventuale distribuzione di utili in natura sia esclusa dall’ambito applicativo dell’art. 47 del Tuir.
Rivalutazione dei beni aziendali e rivalutazione di quote e terreni da parte delle persone fisiche – Relativamente alla rivalutazione di quote e terreni il disegno di legge ripropone la possibilità, per le persone fisiche, le società semplici e gli enti non commerciali, di rideterminare il costo di acquisto di terreni e partecipazioni che possono produrre effetti sulla determinazione delle plusvalenze tassabili, ai sensi dell’art. 67, D.P.R. 917/1986 (Tuir).

Per quanto riguarda la rivalutazione dei beni d’impresa il d.d.l. di stabilità 2016 prevede:

• l’adeguamento dei valori di beni e partecipazioni già risultanti dal bilancio dell’esercizio 2014 e ancora posseduti al termine di quello successivo;
• il versamento di un’imposta sostitutiva:
– del 16% per i beni ammortizzabili;
– del 12% per quelli non ammortizzabili (terreni e partecipazioni).
• la possibilità di affrancare la riserva in sospensione d’imposta contabilizzata a fronte della rivalutazione versando un ulteriore tributo del 10 per cento.

Iva ridotta anche per i quotidiano on line – Una delle novità introdotte dalla Legge dì Stabilità 2016 riguarda l’applicazione dell’aliquota ridotta IVA anche per giornali, notiziari quotidiani, dispacci delle agenzie di stampa, libri e periodici diffusi on line. È quanto previsto dall’attuale art. 44 del disegno di Legge di Stabilità 2016 approvato nel Consiglio dei Ministri dello corso 15.10.2015.
Canone RAI in bolletta – Si prevede una riduzione progressiva della tassa, nel senso che per il primo anno (2016) l’ammontare del canone sarà di 100 euro, contro gli attuali 113,50, e (se la misura si rileverà efficace) l’importo scenderà a 95 euro nel 2017. Spetterà a un decreto del Ministero dello Sviluppo economico, che dovrà essere emanato entro 45 giorni dall’entrata in vigore della Legge di Stabilità (1° gennaio del 2016), individuare i criteri per l’attuazione della misura, oltreché stabilire le modalità per riversamento all’Erario delle somme incassate dai vari operatori del settore dell’energia.

Riforma sanzioni amministrative – Anticipo di un anno dell’entrata in vigore delle nuove e più favorevoli misure in tema di sanzioni amministrative tributarie. Se l’intervento verrà confermato, già dal 1° gennaio prossimo troveranno applicazione per molte violazioni la riduzione delle sanzioni tracciata nel segno della proporzionalità dal decreto legislativo 158/2015 pubblicato in «Gazzetta Ufficiale» appena 10 giorni fa.

IRAP in agricoltura e pesca – Abrogazione IRAP per attività agricole e di pesca.

Iva e procedure concorsuali – Si da la possibilità di rettificare l’imposta sul valore aggiunto al momento dell’apertura del fallimento del soggetto debitore e non sarà più necessario attendere la ripartizione dell’attivo fallimentare. Un’accelerazione che di fatto si traduce in una maggiore chance di liquidità per i creditori in quanto possono detrarre l’Iva dall’importo dovuto (e quindi versare di meno) o chiederla a rimborso. In questo modo, tra l’altro, si realizzerebbe un intervento in continuità con quanto già avvenuto per le imposte dirette, per le quali la deduzione delle perdite su crediti non riscossi può avvenire all’apertura del fallimento.

Art-bonus – Viene reso permanente e fissato al 65% lo sconto fiscale introdotto dall’art bonus, il credito d’imposta a favore di chi aiuta la cultura.

Tax credit per il cinema e l’audiovisivo – Rifinanziato il fondo per il tax credit per il cinema e l’audiovisivo.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Stabilità 2016: Iva ridotta anche per i quotidiani on line

Una delle novità introdotte dalla Legge dì Stabilità 2016 riguarda l’applicazione dell’aliquota IVA ridotta anche per giornali, notiziari quotidiani, dispacci delle agenzie di stampa, libri e periodici diffusi on line. E’ quanto previsto dall’attuale art. 44 del disegno di Legge di Stabilità 2016 approvato nel Consiglio dei Ministri dello scorso 15.10.2015.
Il precedente intervento del Legislatore – Con Il co. 667 della Legge di Stabilità 2015 (L. 190/2014) era stato disposto che “ai fini dell’applicazione della tabella A, parte II, numero 18), allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, sono da considerare libri tutte le pubblicazioni identificate da codice ISBN e veicolate attraverso qualsiasi supporto fisico o tramite mezzi di comunicazione elettronica”.
Con la richiamata disposizione dunque si forniva una interpretazione autentica di ciò che è da considerarsi libro. Con il citato intervento legislativo si provvede ad estendere l’aliquota ridotta, a partire dal 1° Gennaio 2015, ai libri (ma non anche le altre pubblicazioni editoriali, prive del codice Isbn) veicolati tramite mezzi di comunicazione elettronica, ossia diffusi on line.
Di conseguenza, l’aliquota IVA del 4% è stata applicata dal 1° gennaio 2015 ai libri elettronici ai sensi della normativa italiana, in riferimento esclusivamente alle prestazioni territorialmente rilevanti in Italia. Da evidenziare che la suddetta misura contrasta con l’art. 98, par. 2, della direttiva 2006/112/Ce. La richiamata disposizione consente agli Stati membri di applicare aliquote ridotte unicamente alle operazioni relative a determinati beni e servizi specificamente indicati nell’allegato III alla direttiva stessa. In tale elenco non sono compresi gli e – book.
L’estensione dell’aliquota ridotta ai quotidiani on line – Con il nuovo intervento Legislativo si mira ad estendere l’aliquota ridotta non solo ai libri diffusi elettronicamente, così come previsto dalla Legge di Stabilità 2015, ma anche ai giornali, notiziari quotidiani, dispacci delle agenzie di stampa, e periodici diffusi on line.
Gli effetti della nuova misura – Con tale intervento si vuole raggiungere il principale effetto di ridurre i costi: questo perché allo stato attuale le pubblicazioni on line in questione scontano l’aliquota IVA ordinaria (22%). Con l’applicazione dell’aliquota IVA ridotta (4%) si otterrebbe una riduzione del prezzo dei prodotti editoriali on line, visto che l’Iva è assolta a monte dall’editore ma si scarica a valle sul prezzo per i consumatori.
Autore: Redazione Fiscal Focus

ENC: modello INTRA 12 dalla prossima liquidazione

L’Agenzia delle Entrate ha approvato il nuovo modello INTRA 12, con le relative istruzioni, che deve essere utilizzato – a decorrere dal 1° ottobre 2015 –

Con il provvedimento del 25 agosto 2015 l’Amministrazione Finanziaria ha dato il via libera al nuovo modello Intra – 12. L’adozione del nuovo modello si è resa necessaria al fine adeguare la nuova modulistica a seguito delle modifiche introdotte all’art. 49 del D.L. n. 331/1993, che disciplina tale adempimento, dalla Legge n. 228/2012 (la Finanziaria del 2013) la quale ha previsto che la presentazione del modello Intra – 12 debba essere effettuata entro la fine di ciascun mese indicando l’ammontare degli acquisti registrati con riferimento al secondo mese precedente (e quindi non più per gli acquisti registrati nel mese precedente). 
Ambito soggettivo – Il nuovo modello INTRA 12 deve essere utilizzato dai seguenti soggetti:
– gli enti, associazioni, altre organizzazioni di cui all’art. 4 comma 4 del D.P.R. n. 633/1972 (enti non commerciali), non soggetti passivi d’imposta ed i produttori agricoli in regime di esonero che hanno effettuato acquisti intracomunitari di beni oltre il limite di 10.000 euro previsto dall’art. 38 comma 5 lett. c) del D.L. n. 331/1993, ovvero qualora in relazione a tali acquisti abbiano optato per l’applicazione dell’iva in Italia;
– gli enti, associazioni, altre organizzazioni di cui all’art. 4 comma 4 del D.P.R. n. 633/1972 (enti non commerciali), non soggetti passivi d’imposta e produttori agricoli in regime di esonero che sono tenuti ad assumere la qualifica di debitori d’imposta per acquisti di beni e servizi da soggetti non residenti mediante l’applicazione del meccanismo del reverse charge
– gli enti non commerciali soggetti passivi Iva, limitatamente alle operazioni di acquisto realizzate nell’esercizio di attività non commerciali
Le operazioni da indicare – Le istruzioni precisano che il nuovo Intra – 12 deve essere presentato entro la fine di ciascun mese per comunicare l’ammontare:
• degli acquisti intracomunitari di beni le cui fatture sono state ricevute il secondo mese precedente a quello di presentazione della dichiarazione;
• degli acquisti dei beni e servizi relativi a cessioni e prestazioni effettuate nel territorio dello Stato da soggetti passivi stabiliti in un altro Stato membro dell’Unione europea, le cui fatture sono state ricevute il secondo mese precedente a quello di presentazione della dichiarazione ai sensi dell’art. 17 comma 2, secondo periodo del D.P.R. n. 633/72;
• degli acquisti dei beni e servizi relativi a cessioni e prestazioni effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non stabiliti in uno Stato membro dell’Unione europea, effettuati nel secondo mese precedente a quello di presentazione della dichiarazione per i quali il dichiarante ha emesso autofattura ai sensi dell’art. 17 comma 2, primo periodo del D.P.R. n. 633/72);
• degli acquisti intracomunitari per i quali è stata emessa autofattura ai fini della regolarizzazione dell’operazione, ai sensi dell’art. 46 comma 5 del DL n. 331/93, nel secondo mese precedente a quello di presentazione della dichiarazione.
I citati soggetti devono presentare il citato modello per effettuare le seguenti operazioni:
– comunicare l’ammontare degli acquisti intraUE di beni;
– comunicare l’ammontare degli acquisti di beni / servizi ricevuti da soggetti non stabiliti in Italia;
– comunicare l’ammontare dell’IVA dovuta;
– indicare gli estremi del relativo versamento.

Le novità del modello INTRA 12 – Tra le novità del nuovo modello, si segnala che:
– è stato eliminato il campo riservato all’indicazione dell’Ufficio competente; sono stati eliminati i campi relativi alla residenza nello Stato estero nella Sezione “Dichiarante diverso dal contribuente”;
– è stato eliminato il campo per l’indicazione, da parte del CAF, del numero di iscrizione all’Albo, nella Sezione “Impegno alla presentazione telematica”;
– è stata modificata la dicitura “Comunità” in “Unione Europea” nella Sezione “Acquisti”.

Autore: Gioacchino De Pasquale

La dichiarazione fraudolenta: nuove disposizioni

Il D.lgs. 158/2015 non fa riferimento solo alle dichiarazioni annuali

Il Decreto di riforma delle sanzioni, ha apportato importanti modifiche rispetto a quanto stabilito in precedenza dal D.lgs. 74/2000), innanzitutto allargando il campo di previsione di tale reato, estendendola alle dichiarazioni in generale; non si fa quindi solo riferimento alle dichiarazioni annuali. 
La norma mira a colpire coloro che mettono in atto un comportamento volto a simulare oggettivamente o soggettivamente determinate operazioni tramite documenti falsi, al fine di ostacolare l’accertamento, e indurre all’errore l’Amministrazione Finanziaria; le ipotesi di reato prevedono che si manifestino congiuntamente:
• evasione con riferimento alla singola imposta, superiore ad 30.000 euro;
• ammontare complessivo degli elementi sottratti all’imposizione, superiore al 5% degli elementi attivi indicati in dichiarazione, ossia, superiore ad 1,5 milioni di euro, o con importo complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell’imposta superiore al 5% dell’ammontare dell’imposta medesima o comunque a 30 mila euro.

L’ applicabilità della norma, come accennato in precedenza, mira alle dichiarazioni in generale, come ad esempio:
• elenchi riepilogativi delle operazioni Intra Ue, relativi agli acquisti;
• dichiarazioni di acquisto intracomunitario da parte di enti, associazioni, o altre organizzazioni non soggetti passivi d’imposta;
• dichiarazione mensile degli acquisti di beni e servizi effettuati da enti non soggetti passivi d’imposta e da agricoltori esonerati.
Sembrano escluse le dichiarazioni a carattere puramente comunicativo.

Operazioni inesistenti – Il reato quindi si configura qualora si utilizzano fatture legate ad operazioni inesistenti, e indicando nella dichiarazione elementi fittizi ad esse collegate; non bisogna pensare al termine “operazioni inesistenti” in maniera ristretta, ma rientra nelle operazioni fraudolente anche una rappresentazione documentale dell’operazione, laddove, la stessa, non corrisponda alla realtà effettiva delle operazioni stesse; quindi il reato scatterà anche in presenza di un’operazione effettivamente effettuata. Ai fini penali, si da particolare enfasi ai “costi fittizi”, ossia quei costi che in realtà non sono stati sostenuti(dichiarazione fraudolenta); la normativa precedente non operava una distinzione tra costi effettivamente sostenuti, ma non deducibili, e costi fittizi sopra descritti, in quanto entrambi concorrevano alla formazione degli elementi passivi fittizi; è opportuno evidenziare la diversa portata delittuosa delle due condotte, giustamente, ora differenziata. Ai fini penali, nessun costo indebitamente dedotto, ma comunque sostenuto potrà alimentare l’imposta evasa.
Scritture contabili – Non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali; non si fa più riferimento alla “falsa rappresentazione delle scritture contabili obbligatorie”, tuttavia però il reato può configurarsi nella prospettiva che i documenti falsi vadano ad integrare la condotta del reato stesso in quanto sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie.
Pene previste – Il configurarsi di tale reato comporta una reclusione da 18 mesi a 6anni, e ai fini delle indagini è consentito l’utilizzo delle intercettazioni, nonché misure cautelative quali la custodia cautelare.

Autore: Redazione Fiscal Focus

La riforma dei reati tributari è legge

Il Dlsg 158/2015 e i reati tributari: le novità introdotte

A partire dal 22 ottobre, le novità in materia penale avranno effetto retroattivo

Il Decreto Legislativo 158/2015 ha apportato profonde novità in materia di reati fiscali; è opportuno mettere in evidenza i principali cambiamenti, per poi successivamente entrare nel merito in riferimento alle varie fattispecie per le quali si possono configurare o meno situazioni di reato, amministrativo o penale; le nuove regole penali rispetto alle novità introdotte per sanzioni amministrative, entreranno subito in vigore, con effetto retroattivo.
Sanzioni penali – La sanzione penale assume carattere specifico rispetto a quella amministrativa, e si configura solo al verificarsi di determinati comportamenti, e al superamento di determinati importi, come previsione estrema a contrasto di situazioni ben definite e insidiose; da qui l’innalzamento delle soglie di rilevanza penale di determinati comportamenti illeciti.
Dichiarazione infedele – L’art 4 del Decreto n°158/2015 in riferimento alle dichiarazioni infedeli innalza la soglia di punibilità da 50 a 150 mila euro, con la previsione di un valore assoluto di imponibile evaso pari a 3 milioni ( prima 2 milioni) e una reclusione da 1 a tre anni. Non rientrano nell’ambito penale i costi indeducibili se effettivamente sostenuti, e gli errori sull’inerenze e sulla competenza, si da particolare enfasi ai “costi fittizi”, ossia quei costi che in realtà non sono stati sostenuti(dichiarazione fraudolenta), per i quali non si fa più riferimento alla dicitura “dichiarazione annuale” ma semplicemente si parla di dichiarazione in generale, con la previsione che siano indicate quali siano le dichiarazioni non annuali comprese nel provvedimento. La normativa precedente non operava una distinzione tra costi effettivamente sostenuti, ma non deducibili, e costi fittizi sopra descritti, in quanto entrambi concorrevano alla formazione degli elementi passivi fittizi; in caso di dichiarazione fraudolenta, collegata all’utilizzo di fatture false, quindi configurato anche come utilizzo di costi fittizi, il reato penale prevede dai 18 mesi ai 6 anni di reclusione (con la previsione della misura cautelare).
Omessa presentazione – per quanto riguarda l’omessa presentazione dichiarazione annuale redditi e iva, ad un innalzamento della soglia per la quale si configura il delitto, che passa da 30 a 50 mila euro, si contrappone un inasprimento della pena che è configurabile con una reclusione da 18 mesi a 4 anni, prima era invece da uno a tre anni., viene introdotto il nuovo reato di omessa presentazione della dichiarazione da parte del sostituto d’imposta. Ai fini del calcolo dell’imposta evasa, è opportuno considerare le perdite nel loro complesso, si passa quindi da un’evasione teorica che non considerava le perdite da computare, a un’evasione effettiva.
Esimenti– Qualora prima dell’apertura del dibattimento, il contribuente provveda al pagamento dell’imposta, maggiorata dagli interessi e dalle sanzioni, si configura a suo favore un istituto premiale che in alcuni casi può determinare una causa di non punibilità, come nel caso di omesso versamento iva, mentre in altre situazione può semplicemente determinare una riduzione della sanzione; tale previsione è valida anche per i reati già contestati, sempre se è avvenuto il pagamento o comunque la rateazione., per infedele ed omessa dichiarazione è possibile è possibile dunque effettuare il ravvedimento entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione successiva e solo se i controlli non hanno avuto inizio. Prima della riforma il pagamento di quanto dovuto prima dell’inizio dibattito determinava una riduzione massima fino ad 1/3, assumendo semplicemente caratteristica di attenuante del reato: non è da annoverare in queste previsioni l’indebita compensazione con crediti inesistenti.

Raddoppio termini di prescrizione – Il Decreto 128/2015 in oggetto prevede il raddoppio dei termini di prescrizione solo laddove, la comunicazione della violazione è avvenuta entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stato presentata la dichiarazione, ovvero entro il 5° anno qualora la dichiarazione non sia stata presentata.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Abuso del diritto: l’interpello salva il contribuente

Con il nuovo art. 10-bis della Legge n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), inserito dall’art. 1 del D.Lgs 5 agosto 2015, n. 128, il legislatore ha introdotto una compiuta codificazione dell’abuso del diritto, in attuazione degli articoli 5, 6 e 8, comma 2, della Legge 11 marzo 2014, n. 23 (cd. delega fiscale).
La norma contiene sia le disposizioni definitorie delle “condotte abusive”, sia le disposizioni procedurali che l’ufficio deve rispettare nella produzione degli atti di contestazione, a partire dal 1° ottobre 2015 (data di entrata in vigore della revisione normativa).

In via preventiva, viene, peraltro, consentito al contribuente di interpellare la stessa Amministrazione finanziaria sulle possibili implicazioni abusive di una condotta o un’operazione specifica.

L’interpello antiabuso. Ai sensi del comma 5 dell’art. 10-bis in commento, il contribuente può proporre interpello secondo la procedura e con gli effetti del successivo art. 11, per conoscere se le operazioni che intende realizzare, o che siano state realizzate, costituiscano fattispecie di abuso del diritto.

Per espressa previsione normativa, l’istanza deve essere preventiva, ossia presentata prima della scadenza dei termini per la presentazione della dichiarazione o per l’assolvimento di altri obblighi tributari connessi alla fattispecie oggetto dell’istanza d’interpello.
La revisione degli interpelli. Con il D.Lgs 24/09/2015, n. 156, pubblicato nella Gazz. Uff. il 7 ottobre 2015, viene data, tra l’altro, attuazione alla delega di cui agli artt. 6, comma 6 e 10, comma 1, lett. a) e b) della Legge n. 23/2014; in particolare, il titolo I è dedicato alla revisione dell’intera materia degli interpelli, attualmente distribuita su numerosi provvedimenti, figli di epoche diverse e, pertanto, non perfettamente omogenei e coordinati tra loro.
A seguito della revisione in argomento, il contribuente che voglia conoscere il parere dell’Amministrazione finanziaria in merito a talune delle operazioni che intende realizzare, potenzialmente abusive, può presentare un’apposita istanza di interpello antiabuso, ai sensi dell’art. 11, comma 1, lett. c) dello Statuto.
Trattasi della forma di ruling destinata ad assorbire le principali fattispecie oggi ricomprese nel campo di applicazione dell’interpello antielusivo di cui all’art. 21 della Legge n. 413/1991; tuttavia, rispetto a quest’ultimo strumento, non saranno più ricomprese nel campo di applicazione del ruling antiabuso di cui alla lettera c) in commento le istanze sui costi black list (da presentare in forma “disapplicativa” ex art. 11, comma 2), nonché quelle relative alla qualificazione delle spese di pubblicità o propaganda (da formulare come interpelli “ordinari/qualificatori”, ex art. 11, comma 1, lett. a). Rimane ferma, invece, l’estensione del nuovo interpello antiabuso ai casi d’interposizione soggettiva ex articolo 37, comma 3, del Dpr 600/1973.
La risposta dell’Amministrazione e il silenzio assenso. Le procedure generali, applicabili all’intera materia degli interpelli, sono ex novo disciplinate dagli artt. da 2 a 8 del citato D.Lgs n. 156/2015. Viene disposta, in particolare, la preventività delle istanze, pena l’inammissibilità delle stesse.
Ai sensi dell’art. 11, comma 3 dello Statuto, la risposta dell’Amministrazione a tale tipologia di interpello deve arrivare entro 120 giorni, con la precisazione che tale risposta, scritta e motivata, vincola ogni organo della amministrazione con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza e limitatamente al richiedente.
In mancanza di risposta nel termine predetto, vale la regola del silenzio assenso, nel senso che diviene legittima la soluzione prospettata dal contribuente in sede di interpello.
In presenza di condivisione della soluzione prospettata dal contribuente, o di mancata risposta all’istanza nel termine perentorio di 120 giorni, si consolida la soluzione stessa; di conseguenza, gli atti, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio difformi dalla risposta, espressa o tacita, sono nulli ex lege.
La decorrenza della nuova procedura di interpello. Ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs n. 156/2015, le disposizioni ivi contenute entreranno in vigore il 1° gennaio 2016. Inoltre, ai sensi dell’art. 8 del medesimo decreto, le concrete regole concernenti le modalità di presentazione delle istanze dovranno essere definite con appositi provvedimenti dei Direttori delle Agenzie fiscali, da emanare entro 30 giorni dall’entrata in vigore dello stesso decreto legislativo, con la precisazione che alle istanze di interpello presentate prima dell’emanazione dei predetti provvedimenti, restano applicabili le disposizioni procedurali attualmente vigenti.
La fase transitoria. In altri termini, nelle more dell’efficacia delle nuove disposizioni, il contribuente che voglia ottenere il preventivo parere dell’Agenzia delle entrate su condotte che possono essere qualificate come abusive (o elusive, atteso che due definizioni sono diventate sinonimi), dovrà procedere secondo le regole dell’interpello antielusivo di cui all’art. 21 della Legge n. 413/1991 e al regolamento attuativo approvato con D.M. 13/06/1997, n. 195.

Ai sensi dell’art. 1 di tale ultimo decreto, la richiesta di parere, rivolta al Ministero delle finanze – Dipartimento delle entrate, è indirizzata alla direzione regionale delle entrate competente in relazione al domicilio fiscale del richiedente e va spedita a mezzo del servizio postale in plico raccomandato con avviso di ricevimento.

Ai sensi del comma 9 del citato art. 21 della Legge n. 413/1991, vale anche in tal caso la regola del silenzio assenso; tuttavia, affinché si consolidi la soluzione prospettata dal contribuente, lo stesso dovrà attendere l’inutile decorso del termine di 120 giorni dalla presentazione dell’istanza, quindi, presentare apposita diffida ed attendere ulteriori 60 giorni.
Con l’entrata in vigore del nuovo regime, il silenzio assenso si perfezionerà, invece, con il mero decorso dei 120 giorni, senza che l’Amministrazione finanziaria si sia pronunciata.

Autore: Marco Brugnolo

Costi di ricerca e Patent Box: la determinazione del reddito agevolabile

Il Patent-Box è un regime di tassazione agevolato, irrevocabile, di durata quinquennale rinnovabile

Il 30 luglio 2015 il Ministero della Sviluppo Economico, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, in attuazione dell’art. 1, commi 37 – 43 della Legge 23 dicembre 2014 n. 190 (Legge di Stabilità) come modificato dal Decreto Legge del 24 gennaio 2015, n. 3 (Investment Compact) convertito in legge con modificazioni, dalla Legge 24 marzo 2015, n. 33, ha emanato il decreto di attuazione del cosiddetto “Patent Box”; così è stato introdotto nel nostro ordinamento un nuovo regime opzionale di tassazione di redditi collegati all’utilizzo dei cosiddetti “intagibles assets”, ossia:
• software protetto da copyright;
• brevetti industriali concessi o in corso di concessione, ivi inclusi i brevetti per invenzione, ivi comprese le invenzioni biotecnologiche e i relativi certificati complementari di protezione, i brevetti per modello d’utilità, nonché i brevetti e certificati per varietà vegetali e le topografie di prodotti a semiconduttori;
• marchi d’impresa;
• disegni e modelli giuridicamente tutelabili;
• informazioni aziendali ed esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali o scientifiche proteggibili come informazioni segrete, giuridicamente tutelabili.
Finalità – Il regime in questione si pone l’obiettivo di favorire la ricollocazione dei beni immateriali detenuti all’estero, agevolando un loro mantenimento all’interno del nostro ordinamento, nonché dare un impulso all’attività di ricerca e sviluppo; è opportuno però mettere in evidenza che tutto parte dalla necessità di limitare un comportamento antielusivo del contribuente che potrebbe, mediante artifici, mettere in atto una serie di azioni volte alla delocalizzazione del reddito al fine di un assoggettamento a una fiscalità agevolata.
Nexus approach – L’elemento determinante al fine dell’applicazione di tale regime agevolato, è proprio l’individuazione dei costi inerenti il bene immateriale; secondo quanto espresso dall’OCSE, è fondamentale che tra le spese sostenute e il reddito derivante dall’utilizzo del bene immateriale stesso sussista un collegamento diretto.
Quota di reddito e valore della produzione – Il patent box prevede che la quota di reddito e del valore della produzione che può essere oggetto di agevolazione venga definita in base al rapporto tra i costi di attività di ricerca e sviluppo (anche se affidata a soggetti esterni al gruppo) sostenuti per il mantenimento, l’accrescimento e lo sviluppo del bene immateriale (numeratore) e i costi complessivi sostenuti per produrre tale bene (denominatore). I costi indicati al denominatore comprendono anche i costi eventuali, di acquisizione del bene immateriale (comprese le royalties) e i costi per attività di R&S affidate a società interne al gruppo.; i costi indicati in aggiunta al denominatore, concorrono anche alla formazione dei costi indicati al numeratore, ma in una misura pari al 30% (up lift). Si fa riferimento ai costi fiscalmente rilevanti.
Il coefficiente prima dell’up-lift sarà:
8000/13.000 (costi qualificati/costi complessivi);
visto che i costi non qualificati ammontano a 5.000 (differenza 13.000-8000), e che l’up-lift opera nei limiti del 30%(2.400) dei costi qualificati, il coefficiente con l’up-lift sarà pari a 10400/13000, ossia 0,8. Il coefficiente, moltiplicato per il reddito ritraibile dall’asset intangibile, determina il reddito agevolabile.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Aumento del contante: oggi il via libera dal Consiglio dei Ministri

Tra le novità spicca l’aumento del limite del contante a 3.000,00 euro

legge di stabilità

È previsto per oggi il via libera da parte del Consiglio dei Ministri al disegno di legge di Stabilità per il 2016. Tra le novità dell’ultima ora annunciate dal premier Matteo Renzi spicca l’aumento del limite del contante dai 999,99 euro attuali a 3.000,00 euro. L’auspicio del primo ministro è riportare i livelli del contante in linea con la media europea, anche se va evidenziato che alcuni Paesi europei stanno agendo in senso contrario.

Da evidenziare che la questione era stata oggetto di un recente intervento del Legislatore. Infatti con il D.L. 201/2011 (c.d. Decreto Monti) si era prevista una riduzione del limite del contante, sceso da 2.500,00 euro ai 1.000,00 euro attuali. Ancor prima, con il D.L. 138/2011, la soglia era stata ridotta da 5.000,00 euro a 2.500,00.

Il disegno di legge di Stabilità 2016 dovrebbe contenere importanti novità anche per imprese e professionisti.

Per quanto riguarda i regimi agevolati, sempre il premier Matteo Renzi ha annunciato un nuovo intervento sulle partite Iva e in particolare un intervento sul regime dei minimi, che ricordiamo è stato oggetto di una radicale modifica con la Legge di Stabilità per il 2015.
Dalle bozze del disegno di legge che circolano in queste ore pare intravedersi la possibilità di un incremento delle soglie dei ricavi che consentono l’accesso e il mantenimento del predetto regime agevolato. Si parla di un incremento delle soglie di ricavi variabile tra 5.000,00 e 10.000,00 euro. Altra importante novità è la riduzione dell’aliquota dell’imposta sostitutiva riservata però solo a chi accede al regime dei minimi dal 1° gennaio 2016. In tale caso, l’imposta sostitutiva del 15% sarebbe ridotta a un terzo per i primi tre anni. Forse questo annuncio è finalizzato ad incentivare l’apertura di partite IVA, dopo che l’osservatorio del MEF ha evidenziato una forte riduzione di partite IVA nel mese di agosto 2015 rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. In base ai dati forniti dal MEF nel mese di agosto 2015 sono state aperte 16.265 nuove partite Iva, con una flessione (-6,5%) rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.
Sulla possibilità di riduzione dell’aliquota IRES si susseguono da giorni annunci e smentite. La reale possibilità, compatibilmente con le risorse a disposizione, è quella di prevede un taglio dell’aliquota IRES, attualmente del 27,5%, in due step. Una prima riduzione già efficace dal 2016, di 1 o due punti percentuali, è l’altro intervento rimandato alla Legge di Stabilità 2017.
L’altra questione che sarà confermata o smentita nel disegno di legge di Stabilità 2016 è la possibile riduzione del canone RAI con la contestuale inclusione dello stesso nella bolletta dell’elettricità. Una misura che ha sollevato numerose proteste, intravedendosi nella stessa solo un vantaggio per il “riscossore” che beneficerebbe dei ricavi per i servizi resi.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Categorie: Finanziaria > 2015

Processo tributario. La nuova conciliazione

14 ottobre 2015

L’accordo può arrivare anche in appello

Il decreto di riforma del contenzioso tributario – D.Lgs. n. 156/15 – riscrive le regole sulla conciliazione, estendendo l’istituto al giudizio d’appello: dunque la conciliazione, con decorrenza dal 1° gennaio 2016, sarà esperibile per tutta la durata del giudizio di merito.
Conciliazione fuori udienza. In base al novellato art. 48 del D.Lgs. 546/92 le parti possono presentare alla CTP o alla CTR un’istanza congiunta laddove abbiano raggiunto un accordo per la totale o parziale conciliazione della controversia. Qualora sia già stata fissata l’udienza, la Commissione dichiara la cessazione della materia del contendere con sentenza; emette invece un’ordinanza se l’accordo è solo parziale; in tal caso il giudizio proseguirà per le questioni che non sono state oggetto di conciliazione.

Se la data di udienza non è stata ancora fissata quando le parti hanno presentato l’istanza congiunta di conciliazione totale o parziale, il presidente della sezione provvede con decreto.

L’istanza congiunta per la c.d. conciliazione “fuori udienza” deve essere sottoscritta dalla parti oppure dai rispettivi difensori a ciò delegati. L’accordo deve indicare le somme dovute con la specificazione dei termini e delle modalità di pagamento. Esso costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente.

Conciliazione in udienza. Ai sensi del nuovo articolo 48-bis del D.Lgs. n. 546/92 le parti, tanto in primo grado quanto in appello, possono presentare istanza per la totale o parziale conciliazione della controversia, entro il termine di 10 giorni prima dell’udienza fissata per trattazione della causa.

Se il giudice ritiene che sussistano i presupposti di ammissibilità dell’istanza, invita le parti alla conciliazione; qualora l’accordo conciliativo non sia raggiunto entro la prima udienza di trattazione, il giudice può comunque concedere alle parti un rinvio e fissare una nuova successiva udienza, per l’eventuale perfezionamento dell’accordo conciliativo oppure, in mancanza, per la discussione della causa nel merito.

Se la conciliazione va a buon fine, deve essere redatto un apposito verbale che deve indicare le somme dovute a titolo d’imposta, di sanzioni e interessi. Il verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente.

Pagamento e sanzioni. Le modalità per il pagamento delle somme dovute a titolo di conciliazione (in udienza o fuori udienza) sono individuate dall’art. 48-ter che nel testo modificato stabilisce un regime sanzionatorio differente per la conciliazione in primo grado e per quella in appello:

  • qualora il perfezionamento della conciliazione avvenga nel corso del primo grado di giudizio, le sanzioni si applicano nella misura del 40% del minimo previsto dalla legge;
  • il perfezionamento della conciliazione nel corso del giudizio d’appello comporterà, invece, l’applicazione delle sanzioni nella misura del 50% del minimo previsto dalla legge.

L’art. 48-ter dispone che entro 20 giorni dalla data di sottoscrizione dell’accordo per la conciliazione fuori udienza, oppure della redazione del processo verbale in udienza, deve essere effettuato il versamento dell’intero importo dovuto o della prima rata. In caso di rateizzazione, il mancato pagamento anche di una sola rata, compresa la prima, entro il termine di pagamento della rata successiva, comporta l’iscrizione a ruolo delle residue somme dovute e della sanzione di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 471/97, “aumentata della metà e applicata sul residuo importo dovuto a titolo d’imposta”.

Per il versamento rateale delle somme conciliate si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni in tema di accertamento con adesione (L. 218/97). A differenza dell’accertamento con adesione, che si perfeziona con il versamento dell’importo dovuto o della prima rata, la conciliazione giudiziale si perfeziona al momento della sottoscrizione dell’accordo (nel caso di conciliazione fuori udienza) ossia con la redazione del processo verbale (nel caso di conciliazione in udienza).

Autore: Redazione Fiscal Focus

Artigiani e commercianti: neo iscritti alla cassa

14 ottobre 2015

Ultimata l’elaborazione dell’imposizione contributiva per artigiani e commercianti iscritti in corso all’anno d’imposta 2015, relativamente alla terza emissione 2015

Tutto pronto per il versamento della terza rata (2015) a carico dei lavoratori appartenenti alla “Gestione degli artigiani e degli esercenti attività commerciali”. L’INPS, infatti, ha comunicato che è stata ultimata l’elaborazione dell’imposizione contributiva per tutti i soggetti iscritti alla gestione previdenziale degli artigiani e commercianti nel corso del corrente anno e non già interessati da imposizione contributiva. In particolare, sono stati predisposti i modelli “F24” necessari per il versamento della contribuzione dovuta. Tali modelli sono disponibili in versione precompilata nel “Cassetto Previdenziale per Artigiani e Commercianti” alla sezione “Posizione assicurativa – Dati del modello F24”, dove è possibile consultare anche il prospetto di sintesi degli importi dovuti con le relative scadenze e causali di pagamento. 
A darne notizia è l’INPS con il messaggio n. 6297/2015.

Aliquote contributive – Per quest’anno, le aliquote contributive ammontano: al 22,65% per gli artigiani e al 22,74% per i commercianti. Mentre il reddito minimo annuo da prendere in considerazione ai fini del calcolo del contributo IVS dovuto dagli artigiani e dagli esercenti attività commerciali, è pari a € 15.548. Di conseguenza, il contributo minimale dovuto, per l’anno 2015, risulta così suddiviso: € 3.529,06 per gli artigiani e € 3.543,05 per i commercianti.
Qualora l’interessato abbia un’età inferiore a 21, i contributi minimali risultano così stabiliti: € 3.062,62 per gli artigiani e € 3.076,61 per i commercianti.

La base di calcolo – Al riguardo, si rammenta che il contributo IVS dovuto da artigiani e commercianti:
• è calcolato sulla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini Irpef (e non soltanto su quello derivante dall’attività che dà titolo all’iscrizione nella gestione di appartenenza);
• è rapportato ai redditi d’impresa prodotti nello stesso anno al quale il contributo si riferisce (quindi, per i contributi dell’anno 2015, ai redditi 2015, da denunciare al fisco nel 2016).

Pertanto, qualora la somma dei contributi sul minimale e di quelli a conguaglio versati alle previste scadenze sia inferiore a quanto dovuto sulla totalità dei redditi d’impresa realizzati nel 2015, è dovuto un ulteriore contributo a saldo da corrispondere entro i termini di pagamento delle imposte sui redditi delle persone fisiche.

Addio all’invio cartaceo – A decorrere dall’anno 2013, l’INPS non invia più le comunicazioni contenenti i dati e gli importi utili per il pagamento della contribuzione dovuta, in quanto le comunicazioni di cui trattasi saranno disponibili, sempre nel “Cassetto”, anche alla sezione “Comunicazione bidirezionale – Modelli F24”, con la riproduzione della stessa lettera che prima del 2013 veniva spedita a mezzo posta. È previsto, inoltre, l’invio di email di alert ai titolari di posizione assicurativa, ovvero loro intermediari delegati, per i quali si è in possesso di recapito email.

Prossimi appuntamenti – Si ricorda, infine, che gli artigiani e commercianti sono chiamati a versare:
entro il 16 novembre 2015, i contributi relativi al terzo trimestre 2015, in riferimento al minimale di reddito e alla seconda rata dei contributi afferenti il minimale di reddito per periodi pregressi;
entro il 30 novembre 2015, i contributi relativi al secondo acconto 2015 (50%), in riferimento alla quota di reddito eccedente il minimale e al saldo 2014 e anni precedenti.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Rapporto fisco-contribuenti: pronto il nuovo interpello

14 ottobre 2015

Dal 22 ottobre andranno in vigore le norme previste dal D.Lgs. 156/2015

Entreranno in vigore dal prossimo 22 ottobre le norme introdotte dal D.Lgs. 156/2015relativo alle misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10, comma 1, lettere a) e b), della legge 11 marzo 2014, n. 23. (15G00167). 
Interpello – è un istituto messo a disposizione del contribuente che prima di mettere in atto un determinato comportamento fiscale, può ricorrere a tale strumento al fine dell’ottenimento di indicazioni interpretative circa l’applicazione di una determinata norma fiscale, obiettivamente incerta da applicare a casi concreti e personali, e se non è stata ancora messa in atto un’azione di controllo nei confronti del contribuente istante.

Vari tipi di interpello – Fondamentalmente i contribuenti possono fare ricorso a quattro principali tipi di interpello, ossia:
Interpello ordinario:
• il contribuente richiede all’amministrazione la corretta interpretazione di una norma tributaria;
• il contribuente che avendo individuato la fattispecie concreta (interpello qualificatorio), richiede lumi sul trattamento della fattispecie stessa.

Un esempio può far riferimento all’individuazione di una spesa, tra quelle di pubblicità o rappresentanza, o l’esistenza o meno di una stabile organizzazione;

Interpello probatorio, ai fini della verifica della presenza di condizioni che potrebbero portare all’applicazione di un regime fiscale agevolato o meno:
• Operazioni intercorse con imprese residenti o localizzate in paesi cosiddetti black list;
• Interpelli presentati da società che presentano i requisiti per essere considerate “non operative”;
• Interpello relativo al riconoscimento del beneficio Ace;

Interpello disapplicativo – Rappresenta l’unica ipotesi in cui l’interpello è obbligatorio, collegato all’ipotesi del riporto delle perdite, nei casi indicati dall’art. 84 e 172 TUIR, e alla deducibilità delle minusvalenze, in caso di cessioni delle partecipazioni.

Presentazione preventiva – Le istanze devono essere presentate in via preventiva rispetto alla data di scadenza della presentazione della dichiarazioni o ai fini dell’assolvimento di obblighi tributari. Il mancato rispetto dei termini corretti comporta la nullità dell’istanza presentata.

Novità introdotte – La riforma si basa in linea di massima sulle seguenti novità:

• Generale non obbligatorietà dell’istanza, fatti salvi alcuni casi prima enunciati;
• Termini tassativi di risposta differenziati:
– 90 gg per la riposta ad interpelli ordinari;
– 120 gg per gli interpelli probatori.

I termini possono essere allungati fino a un massimo di 60 gg qualora l’Amministrazione Finanziaria richieda una integrazione della documentazione presentata; trascorsi tali termini, senza che venga fornita una riposta al contribuente, si determina una condizione di silenzio-assenso.

Risposte non impugnabili – La riposta scritta e motivata vincola l’Amministrazione Finanziaria in merito alla lettura fornita circa una determinata questione, e in riferimento a quel preciso contribuente istante; in caso di silenzio assenso nei confronti del contribuente, in riferimento a una tenuta comportamentale da lui prospettata, saranno nulli gli atti di imposizione o sanzionatori difformi dalla risposta tacita o espressa, salvo l’ipotesi di una rettifica alla precedente interpretazione, che però non ha efficacia retroattiva. È previsto il divieto di impugnabilità delle risposte alle istanze, salvo i casi di istanze di interpello disapplicativo, in questo caso si può impugnare anche l’atto impositivo. In caso di risosta fornita al contribuente, in merito a credito d’imposta, detrazioni, deduzioni, l’atto di accertamento, deve essere preceduto da una richiesta di chiarimenti da fornire entro 60 gg. I dati e le notizie dedotti in fase di richiesta possono essere utilizzati in fase amministrativa o contenziosa.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Abuso del diritto: una disciplina estesa a tutti i tributi

14 ottobre 2015
Con l’inserimento dell’art. 10-bis nella Legge n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), a opera dell’art. 1 del D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, il legislatore ha delineato una compiuta disciplina dell’abuso del diritto, con decorrenza dal 1° ottobre 2015. 
In precedenza, le condotte abusive o elusive venivano contrastate dal Fisco sulla base di specifiche norme, che tuttavia avevano l’handicap di riferirsi a specifici tributi (si pensi all’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 in materia di imposta di registro o all’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 in materia di imposte sui redditi); con la codifica dell’istituto all’interno dello Statuto del contribuente (contenente i principi generali dell’ordinamento tributario), ora le norme anti-abuso si applicano a tutti i comparti fiscali.
La precedenti interpretazioni delle Alte Corti. La revisione dell’istituto, auspicata da buona parte della dottrina, si rendeva necessaria, soprattutto a partire dal 2006, dopo che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato l’esistenza di una generale clausola antiabuso (sentenza Halifax del 21.2.2006), considerata immanente nella sesta direttiva comunitaria, direttamente applicabile negli ordinamenti nazionali ai fini dell’Iva.

Sposando in senso estensivo la linea interpretativa della Corte del Lussemburgo, nel 2008 le Sezioni Unite della Cassazione uscirono con tre storiche sentenze, ove riconoscevano l’esistenza di un principio generale antielusivo anche in tema di tributi non armonizzati, quali le imposte dirette, rinvenuto non nella giurisprudenza comunitaria, quanto piuttosto negli stessi principi costituzionali che informano l’ordinamento tributario nazionale.

La soluzione interpretativa fornita nel 2008 dalla Suprema Corte, se da un lato poteva costituire un utile parametro di riferimento per i giudici di ogni ordine, dall’altro creava una sostanziale condizione di incertezza in capo agli operatori economici nazionali e stranieri, in relazione alle possibili scelte imprenditoriali, anche per il fatto che tale “clausola immanente”, di diretta derivazione costituzionale, di fatto andava nel contempo a sterilizzare le disposizioni coniate dal diritto positivo per il contrasto all’elusione fiscale.

La codifica dell’abuso del diritto. Ai sensi del comma 1 dell’art. 10-bis, configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni.

Il successivo comma 2 mira a precisare il significato di alcuni termini della definizione dell’abuso del diritto; in particolare, definisce “operazioni prive di sostanza economica” i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Considera, in particolare, indici di mancanza di sostanza economica la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato.

I vantaggi fiscali indebiti. Sempre nel secondo comma il legislatore introduce il concetto di “vantaggi fiscali indebiti”, identificati nei benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario.

Come è agevole rilevare dalla lettura delle definizioni, trattasi di formule a contenuto indeterminato, che lasceranno ampio spazio di manovra all’Agenzia delle Entrate in sede accertativa, almeno fino a quando la giurisprudenza non detterà principi interpretativi più concreti.

Le condotte non abusive e il legittimo risparmio d’imposta. Parafrasando al contrario la definizione del comma 1, il successivo terzo comma della norma in commento esclude dall’ambito dell’abuso del diritto le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente.

Il successivo comma 4 prevede, infine, la legittimità della scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale; in altri termini, ribadisce la possibilità per il contribuente di avvalersi del c.d. “legittimo risparmio d’imposta”.

Autore: Marco Brugnolo

F24: si può pagare in contanti?

16 Luglio 2015

F24: si può pagare in contanti?

Il caso – Un contribuente presenta un saldo a debito Irpef pari ad euro 3.500. Il versamento viene effettuato in 5 rate da 700 euro ognuna.
Non sono dovute altre imposte, così come non è dovuto il versamento dell’acconto.
I singoli modelli F24 possono essere pagati in contanti?

L’analisi – 
Al fine di rispondere al quesito prospettato deve essere chiarito se il dubbio si genera dall’analisi della disciplina antiriciclaggio o dalle nuove norme introdotte in merito alle modalità di presentazione del modello F24.Analizziamo distintamente i due profili.

La normativa antiriciclaggio – 
Il quesito posto potrebbe sorgere dal timore di violare la disciplina in tema di circolazione del contante: in considerazione del fatto che il debito complessivo ammonta ad euro 3.500 ci si potrebbe chiedere se i singoli versamenti possano essere considerati artificiosamente frazionati al fine di eludere le disposizioni in tema di circolazione del contante.

Orbene, in merito a questo aspetto merita di essere ricordato che sono del tutto ammissibili i frazionamenti connaturati all’operazione stessa o frutto di un preventivo accordi tra le parti.

Questa precisazione rappresenta ormai un punto fermo della disciplina in tema di circolazione del contante, costantemente richiamata nei chiarimenti e nelle circolari che nel tempo sono state emesse dalle Autorità di settore.

Nel caso di specie, pertanto, essendo lo stesso legislatore ad aver concesso ai contribuenti la possibilità di rateizzare il versamento delle imposte dovute, appare del tutto evidente che il pagamento in contanti di singole rate di importo inferiore a 1.000 euro non configura una violazione della disciplina in tema di circolazione del contante.

Al contrario, il pagamento di un tributo in denaro contante per un importo pari o superiore ad euro 1.000 costituisce violazione dell’art. 49, non essendo stata prevista dal legislatore alcuna deroga in tal senso (così come ricordato anche nelle Faq presenti sul sito del Dipartimento del Tesoro).
Tuttavia, il trasferimento può essere eseguito per il tramite di banche, Poste Italiane S.p.a., istituti di moneta elettronica e istituti di pagamento, questi ultimi quando prestano servizi di pagamento diversi da quelli di cui all’articolo 1, comma 1, lettera b), numero 6), del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11.

La presentazione del modello F24 – Come noto, l’art. 11, comma 2, del Decreto Legge 24 aprile 2014, n. 66 convertito, con modificazioni, dalla Legge 23 giugno 2014, n. 89, ha introdotto, dal 1° ottobre 2014, ulteriori obblighi di utilizzo dei sistemi telematici per la presentazione delle deleghe di pagamento F24.

In particolare, è previsto che i versamenti possono essere eseguiti:
– esclusivamente mediante i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate, nel caso in cui, per effetto delle compensazioni effettuate, il saldo finale sia di importo pari a zero;
– esclusivamente mediante i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate e dagli intermediari della riscossione convenzionati con la stessa (banche, Poste e agenti della riscossione), nel caso in cui siano effettuate delle compensazioni e il saldo finale sia di importo positivo;
– esclusivamente mediante i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate e dagli intermediari della riscossione convenzionati con la stessa (banche, Poste e agenti della riscossione), nel caso in cui il saldo finale sia di importo superiore a mille euro.

Pertanto, in considerazione delle novità introdotte, il modello cartaceo resta utilizzabile solo se la delega chiude a debito per un importo non superiore alla soglia di 1.000 euro.

A rilevare, però, è l’importo della singola delega, e non l’intero carico tributario.

Pertanto, se il contribuente non è titolare di partita Iva e nella delega non sono presenti delle compensazioni, sarà possibile procedere al versamento delle imposte mediante il modello cartaceo.

RATE SCADUTE: UN’ULTERIORE POSSIBILITÀ DI RATEIZZAZIONE

12 OTTOBRE 2015

È stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n° 233 del 7 ottobre 2015 il decreto del Ministero dell’Interno del 25 settembre 2015 relativo alle misure per la semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione.

Con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 233 del 7 ottobre del D.Lgs. n.159/2015 sulla semplificazione e razionalizzazione della riscossione, diventa concreta la possibilità, per precedenti rateizzazioni decadute entro il 22 ottobre 2013, di chiedere una nuova dilazione, tramite apposita istanza, entro il termine improrogabile di 30 giorni dall’entrata in vigore della riforma della riscossione, che avverrà il prossimo 22 ottobre. La suddetta dilazione di pagamento non può prevedere una durata superiore ai 72 mesi, con una previsione di decadenza che interviene in seguito al mancato pagamento di due rate anche non consecutive. Quanto appena descritto non rappresenta l’unica novità contenuta nel decreto oggetto dell’articolo.

Sospensione giudiziale e amministrativa – La nuova disciplina, anche con riferimento alla ripresa di vecchie rateizzazioni, prevede che in caso di cessazione degli effetti della sospensione, giudiziale o amministrativa, il debito è riammesso alla dilazione, con la stessa scadenza temporale di 72 mesi.

Dilazione importi dovuti negli atti di accertamento o negli avvisi bonari – Le somme dovute, collegate agli avvisi bonari, possono essere oggetto di rateizzazione massima di:
• otto rate (prima erano 6) trimestrali di pari importo, per somme non superiori a euro 5.000;
• venti rate trimestrali, se le somme dovute superano i cinquemila euro.
Per gli atti di accertamento, la dilazione massima per importi superiori a € 50.000, passa da 12 a 16 mesi.

Il pagamento della 1° rata deve perfezionarsi entro 30 gg dalla ricezione della comunicazione, sulle rate successive vanno corrisposti gli interessi, che sono calcolati dal 1° giorno del mese successivo a quello in cui la comunicazione è stata elaborata. Entro dieci giorni dal versamento dell’intero importo o di quello della prima rata il contribuente fa pervenire all’ufficio la quietanza dell’avvenuto pagamento.
Lieve inadempimento – Il decreto D.Lgs. n. 159/2015, introduce il lieve inadempimento che permette di mantenere in essere la dilazione in corso, qualora:

• il ritardo nell’effettuazione del pagamento non sia superiore a 7 giorni;
• l’importo di omesso pagamento è inferiore al 3% della rata successiva alla prima o comunque non superiore a euro 10.000.
In caso di decadenza dalla dilazione, si ritiene che la riduzione della sanzione dal 60% al 45%, debba valere anche per le rateizzazioni già in essere, visto il principio del “favore rei”, di cui all’art. 3 D.Lgs. 472/97.

Effetti su ipoteche e azioni esecutive – Alla ricezione della richiesta di rateazione, l’agente della riscossione può iscrivere l’ipoteca di cui all’articolo 77 o il fermo di cui all’articolo 86, solo nel caso in cui la richiesta di rateazione non venga accolta, ovvero in caso di decadenza ai sensi del comma 3. Sono fatti comunque salvi i fermi e le ipoteche già iscritti alla data di concessione della rateazione. A seguito della presentazione di tale richiesta, fatta eccezione per le somme oggetto di verifica ai sensi dell’articolo 48-bis, per le quali non può essere concessa la dilazione, non possono essere avviate nuove azioni esecutive sino all’eventuale rigetto della stessa e, in caso di relativo accoglimento, il pagamento della prima rata determina l’impossibilita di proseguire le procedure di recupero coattivo precedentemente avviate, a condizione che non si sia ancora tenuto l’incanto con esito positivo, o non sia stata presentata istanza di assegnazione, ovvero il terzo non abbia reso dichiarazione positiva o non sia stato già emesso provvedimento di assegnazione dei crediti pignorati.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

UNICO IN RITARDO: LA SANATORIA

8 OTTOBRE 2015

Omissione sanabile entro il 29 dicembre

Premessa – Il contribuente che non ha presentato il proprio Modello UNICO 2015 entro il termine ordinario del 30 settembre 2015, può ancora provvedere alla presentazione entro il 29 dicembre prossimo, prima che il fisco consideri la dichiarazione come omessa applicando le dovute sanzioni. 
Dichiarazione tardiva – L’articolo 2, comma 7, D.P.R. 322/98, dispone che la dichiarazione, trasmessa entro 90 giorni dalla scadenza ordinaria è da considerarsi come “tardiva” (quindi valida) e non come “omessa”. Il contribuente che non ha presentato il Modello UNICO 2015 entro il 30 settembre può, quindi, presentarlo entro il 29 dicembre 2015 (90 giorni dal 30/09), ravvedendosi.

Ravvedimento – La procedura del ravvedimento richiede la rimozione della violazione commessa cioè, nel caso specifico, la presentazione della dichiarazione omessa o l’integrazione della dichiarazione validamente presentata e il versamento “contestuale” della sanzione ridotta, commisurata al minimo, previsto per la violazione oggetto di regolarizzazione e delle eventuali imposte e interessi. Se le imposte sono state regolarmente versate oppure non erano dovute è sufficiente presentare la dichiarazione omessa e pagare con modello F24 una sanzione pari a 1/10 di 258 euro, ossia 25 euro (1/10 del minimo previsto dall’art. 1 del D.Lgs. n. 471 del 1997 pari a euro 258).

Sanzione ridotta – La sanzione ridotta è dovuta per ciascuna dichiarazione ricompresa nel Modello UNICO. Ne consegue, quindi, che il contribuente ha l’obbligo di versare 25 euro per ogni dichiarazione omessa di cui si compone il Modello UNICO, quindi redditi e Iva (non si considerano, invece, “dichiarazione” gli studi di settore e/o parametri poiché sono considerati parte integrante della dichiarazione dei redditi). Ciò è quanto precisato dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare Ministeriale n. 54/E/2002.

Presentazione oltre i 90 giorni – La dichiarazione presentata oltre i 90 giorni dal termine ordinario è considerata omessa e non più ravvedibile. In caso di omessa dichiarazione, l’articolo 1 del D.Lgs. n. 471/97 prevede una sanzione amministrativa che va dal 120% al 240% dell’importo dell’imposta dovuta. Qualora, non vi siano imposte dovute, la sanzione va da un minimo di 258 euro a un massimo di 1.032 euro. La sanzione è raddoppiabile per i soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili e in presenza di redditi prodotti all’estero, le relative sanzioni sono aumentate di un terzo.

Casi di dichiarazione omessa – La dichiarazione si considera omessa anche nel caso di dichiarazione redatta su stampati non conformi ai modelli ministeriali. In tal caso la dichiarazione è nulla e non costituisce titolo per la riscossione delle imposte relative agli imponibili in essa indicati. Si considera omessa anche la dichiarazione non sottoscritta. In tal caso la dichiarazione è nulla e non costituisce titolo per la riscossione delle imposte relative agli imponibili in essa indicati. La nullità può essere sanata se il soggetto tenuto a sottoscrivere la dichiarazione vi provvede entro 30 giorni dal ricevimento dell’invito da parte dell’ufficio territorialmente competente.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

MEDIAZIONE TRIBUTARIA E CONCILIAZIONE NON PIÙ ALTERNATIVE

 

9 OTTOBRE 2015
Premessa – In base al comma 1 dell’articolo 17-bis del D.Lgs. 546/1992, nelle controversie instaurate a seguito di rigetto dell’istanza ovvero di mancata conclusione della mediazione “è esclusa la conciliazione giudiziale”. 
Infatti, il predetto comma 1, espressamente dispone che “per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, relative ad atti emessi dall’Agenzia delle entrate, chi intende proporre ricorso è tenuto preliminarmente a presentare reclamo secondo le disposizioni seguenti ed è esclusa la conciliazione giudiziale di cui all’articolo 48”.

Dunque, per le controversie di valore non superiore a 20.000 euro, la mediazione è alternativa alla conciliazione giudiziale.
Si ricorda che entrambi (mediazione e conciliazione) rappresentano due istituti deflattivi del contenzioso tributario, che consentono di chiudere la lite con notevole risparmio di costi e tempi per le parti.

La nuova previsione dell’art. 17-bis D.Lgs. 546/1992 – Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 55 del 7 ottobre 2015 del D.Lgs. n. 156/2015 (approvato dal CDM del 22/09/2015) che reca le misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione della legge delega fiscale n. 23 del 2014, è modificato l’art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992 che come anticipato in premessa dispone l’alternatività tra la mediazione tributaria e la conciliazione giudiziale.

In particolare, l’art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992 è sostituito dal seguente: “per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, il ricorso produce anche gli effetti di un reclamo e può contenere una proposta di mediazione con rideterminazione dell’ammontare della pretesa. Il valore di cui al periodo precedente è determinato secondo le disposizioni di cui all’art. 12 comma 2. Le controversie di valore indeterminabile non sono reclamabili, ad eccezione di quelle di cui all’art. 2, comma 2, primo periodo”.

Dunque, viene eliminata proprio la previsione dell’esclusione della conciliazione giudiziale per le lite oggetto di mediazione tributaria.
Pertanto, anche le controversie oggetto del reclamo/mediazione tributaria potranno essere definite mediante l’istituto della conciliazione giudiziale.

AUTORE: PASQUALE PIRONE

SPESE D’ISTRUZIONE: NUOVA DETRAZIONE

9 OTTOBRE 2015

Scatta la detraibilità delle spese per la frequentazione della scuola paritaria

Premessa – Cambia la detraibilità Irpef delle spese d’istruzione in quanto viene introdotta la possibilità di detrarre anche le spese relative a scuole dell’infanzia e primaria e viene previsto un limite alla detrazione pari a euro 400. Questa è una delle novità fiscali introdotta dalla Legge n. 107/2015 (“riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione”), pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 15 luglio.
Detraibilità – Secondo la vecchia formulazione dell’articolo 15, comma 1, lettera “e” del Tuir prevedeva la possibilità di detrarre nella misura del 19% le spese sostenute per la “frequenza di corsi di istruzione secondaria, universitaria, di perfezionamento e/o di specializzazione, tenuti presso istituti o università italiane o straniere, pubbliche o private, in misura non superiore a quella stabilita per le tasse e i contributi degli istituti statali italiani”. Le spese potevano riferirsi anche a più anni, compresa l’iscrizione fuori corso, e per gli istituti o università privati e stranieri non dovevano essere superiori a quelle delle tasse e contributi degli istituti statali italiani.
Riforma scuola – Con la riforma del sistema scolastico (Legge n. 107/2015, “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti” – c.d. “Buona scuola” – pubblicata sulla G.U. 15.7.2015, n. 16) sono state riscritte le regole sulla detraibilità delle spese d’istruzione. Anzitutto a essere riformulata è stata la lettera “e” del suddetto articolo 15 – primo comma.

Nuova disposizione legislativa – Secondo il nuovo testo legislativo “dall’imposta lorda si detrae un importo pari al 19 per cento dei seguenti oneri sostenuti dal contribuente, se non deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formare il reddito complessivo: […] e) le spese per frequenza di corsi di istruzione universitaria, in misura non superiore a quella stabilita per le tasse e i contributi delle università statali; e-bis) le spese per la frequenza di scuole dell’infanzia del primo ciclo di istruzione e della scuola secondaria di secondo grado del sistema nazionale di istruzione di cui all’articolo 1 della legge 10 marzo 2000, n. 62, e successive modificazioni, per un importo annuo non superiore a 400 euro per alunno o studente. Per le erogazioni liberali alle istituzioni scolastiche per l’ampliamento dell’offerta formativa rimane fermo il beneficio di cui alla lettera i-octies), che non è cumulabile con quello di cui alla presente lettera”.

Nuove regole – Rispetto alle regole precedenti diventano, quindi, detraibili anche le spese per la frequenza delle scuole dell’infanzia e delle scuole primarie. Le nuove regole prevedono però un tetto massimo di detrazione, in quanto la detrazione del 19% si applica su un importo annuo non superiore a 400 euro per alunno o studente, in sostanza la detrazione massima per alunno o studente non potrà superare 76 euro annui.

Familiari a carico – Resta ferma la possibilità di detrarre le suddette spese di istruzione anche nell’interesse dei familiari a carico (art. 12 TUIR) che possiedono un reddito complessivo annuo non superiore a 2.840,51 euro al lordo degli oneri deducibili.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

MODELLI INTRASTAT: SANZIONI E RAVVEDIMENTO

7 OTTOBRE 2015

Le recenti modifiche introdotte dal Decreto Semplificazioni fiscali (D.Lgs. 175/2014) prevedono la qualificazione dell’errore derivante dalla compilazione degli elenchi quale errore di natura formale, in quanto non idonei ad arrecare un danno erariale (C.M. 31/E/2014). 
Le sanzioni in materia di Intra sono diverse a seconda che si tratti di violazioni di natura statistica o violazione di natura fiscale. Le fattispecie sono così disciplinate:
• le violazioni di natura statistica: sono disciplinate dall’art. 11, D.Lgs. 322/1989;
• le violazioni di natura fiscale: sono disciplinate dall’articolo 34, comma 5, D.L. 41/1995.

Tipo di violazione – Per quanto riguarda la possibilità che l’omessa presentazione degli elenchi INTRASTAT assuma carattere di “violazione formale” nella R.M. 20/E/2015, l’Amministrazione Finanziaria ha fornito i dovuti chiarimenti. Nel richiamato documento di prassi si legge che si tratta di “violazioni meramente formali”, quelle violazioni che non sono punibili, in quanto non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo, e non pregiudicano l’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria. L’esimente in argomento – chiarisce l’Agenzia – non torna applicabile per quelle violazioni, pur sempre formali, aventi ad oggetto la presentazione, entro termini predeterminati normativamente, di atti che, per definizione, sono soggetti a controllo, tra i quali sono senz’altro da ricondurre gli elenchi riepilogativi delle operazioni intracomunitarie. Di conseguenza, l’omessa o tardiva presentazione degli elenchi INTRASTAT non può assumere i connotati di violazione formale, con la conseguente applicazione delle sanzioni e del ravvedimento.

Le violazioni fiscali –L’art. 11, co. 4, D.Lgs. 471/1997 prevede che l’omessa presentazione degli elenchi INTRASTAT, ovvero la loro incompleta, inesatta o irregolare compilazione sono punite con la sanzione da 516,00 a 1.032,00 per ciascuno di essi, ridotta alla metà in caso di presentazione nel termine di trenta giorni dalla richiesta inviata dagli uffici abilitati a riceverla o incaricati del loro controllo. La sanzione non si applica se i dati mancanti o inesatti vengono integrati o corretti anche a seguito di richiesta.

In base alla richiamata disposizione normativa:
• se gli elenchi sono stati omessi si applica la sanzione da 516,00 a 1.032,00 per ciascuno di essi, ridotta alla metà (da 258 a 516) in caso di presentazione nel termine di trenta giorni dalla richiesta inviata dagli uffici abilitati a riceverla o incaricati del loro controllo;
• se gli elenchi sono stati presentati in maniera incompleta, inesatta o irregolare si applica la sanzione da 516,00 a 1.032,00 per ciascuno di essi, salvo che non si provveda spontaneamente alla correzione o che la correzione avvenga nel termine di 30 giorni dalla richiesta dell’ufficio.

Ravvedimento –Come precedentemente accennato, si potrà usufruire dell’istituto del ravvedimento operoso, ex art. 13 del D.Lgs. 472/1997, ottenendo in tal modo la riduzione delle sanzioni ad 1/8. Conseguentemente, le sanzioni ammonteranno a 1/8 di 516,00 ovvero 64,50 da pagare con F24 indicando il codice 8911.

Sono, inoltre, applicabili gli istituti del cumulo giuridico (articolo 12 D.Lgs. 472/1997) e della definizione agevolata delle sanzioni(articolo 16 D.Lgs. 472/1997).

Le violazioni statistiche –Ai sensi del novellato art. 34, co. 5, D.L. 41/1995, come modificato dal Decreto Semplificazioni fiscali, le violazioni di natura statistica sono punite con l’applicazione della sanzione amministrative alle sole imprese che realizzano scambi commerciali con i Paesi membri dell’Unione europea per un ammontare pari o superiore a 750.000,00 euro, secondo quanto indicato nel D.P.R. 19 luglio 2013. Le sanzioni sono applicate una sola volta per ogni elenco INTRASTAT mensile inesatto o incompleto a prescindere dal numero di transazioni mancanti o riportate in modo errato nell’elenco stesso.
Le violazioni statistiche sono sanzionate dall’articolo 34, comma 5, D.L. 41/1995, il quale – nella formulazione vigente sino alle intervenute modifiche introdotte dal Decreto sulle semplificazioni fiscali – prevedeva che l’omessa o inesatta compilazione dei dati statistici fosse punita con la sanzione:
• da 207,00 a 2.066,00 euro, per persone fisiche;
• da 516,00 a 5.164,00 euro, per enti e società.

Era tuttavia prevista la riduzione alla metà delle predette sanzioni se i dati mancanti o inesatti fossero integrati o corretti entro il termine, non inferiore a 30 giorni, stabilito dell’Ufficio.

L’articolo 25 D.Lgs. 175/2014 ha limitato e semplificato l’onere comunicativo-statistico, nella considerazione che gli eventuali errori commessi in sede di adempimento comunicativo hanno natura formale, in quanto non idonei ad arrecare un danno erariale. In particolare, l’omissione o l’inesattezza dei dati statistici negli elenchi riepilogativi si applica alle sole imprese che rispondono ai requisiti indicati nei Decreti emanati annualmente, ai sensi dell’articolo 7, comma 1, D.Lgs. 322/1989. Tale disposizione prevede, al primo comma, secondo periodo, che “è annualmente definita, in relazione all’oggetto, ampiezza, finalità, destinatari e tecnica di indagine utilizzata per ciascuna rilevazione statistica, la tipologia di dati la cui mancata fornitura, per rilevanza, dimensione o significatività ai fini della rilevazione statistica, configura violazione dell’obbligo di cui al presente comma”.

In forza dell’ultimo Decreto pubblicato, trattasi delle imprese che realizzano scambi commerciali con i Paesi membri dell’Unione europea per un ammontare pari o superiore a 750.000,00 euro, secondo quanto indicato nel D.P.R. 19 luglio 2013.

Il riformulato articolo 34, comma 5, D.L. 41/1995 specifica, inoltre, che la sanzione prevista per le violazioni statistiche è applicata una sola volta per ogni elenco mensile inesatto o incompleto, a prescindere dal numero di transazioni mancanti o riportate in modo errato nello stesso.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

EQUITALIA. IMPRENDITORE VITTORIOSO PER 660 MILA EURO

 

Il Tribunale di Venezia mette un freno alla riscossione

Con una sentenza dello scorso 23 settembre (la n. 3079/2015) il Tribunale di Venezia ha accolto il ricorso proposto da un imprenditore e cancellato un debito di 660 mila euro stabilendo due principi fondamentali: 
  • Equitalia può emettere cartelle e agire esecutivamente solo se è in possesso dei requisiti validi e documentabili in grado di giustificare le pretese degli enti pubblici per i quali agisce;
  • la prova dell’esistenza dei detti requisiti deve essere fornita da Equitalia e dagli enti creditori e non dal cittadino preteso debitore.

Il protagonista della vicenda giudiziaria in questione è un fabbro veneziano che è stato patrocinato dall’AUA con l’avvocato Francesco Carraro.
L’imprenditore ha regolarmente pagato gli stipendi ai propri dipendenti, ma non i contributi INPS e INAL per mancanza della liquidità necessaria.
Ebbene, sulle somme dovute a titolo di contributi sono maturati sanzioni e interessi e il debito verso l’erario è così lievitato fino a 660 mila euro. Ma tale debito non potrà essere riscosso – almeno per ora – perché, secondo il Tribunale, Equitalia ha agito senza averne titolo, ossia nel caso di specie il concessionario non poteva pretendere il saldo del debito per conto dell’INPS e dell’INAIL.
L’associazione che ha patrocinato l’imprenditore veneziano fa notare che “sono sentenze come questa che fanno la giurisprudenza e che dimostrano che anche Davide può battere Golia. Noi, nati come associazione per difendere gli automobilisti destinatari di multe ingiuste, ora puntiamo sulla riforma di Equitalia da società per azioni a ente pubblico. Una società di capitali che, legittimamente, persegue scopi di lucro non può gestire la riscossione delle tasse e dei tributi lucrando sugli stessi ed aggravando le già precarie condizioni del contribuente. L’erario incasserebbe molto di più limitandosi ad esigere gli importi dovuti maggiorati dei soli interessi legali senza gli aggi e le more che trasformano somme normali in macigni insostenibili”.

La sentenza n. 3079/2015 del Tribunale di Venezia rappresenta sicuramente un precedente che può tornare utile quando s’intenda impugnare una cartella di pagamento.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

CONTENZIOSO: NUOVO LIMITE PER L’OBBLIGO DI ASSISTENZA TECNICA

Premessa – È stata approvata dal Consiglio dei Ministri, martedì 22 settembre 2015, anche la riforma del contenzioso tributario dando così attuazione all’art. 10 della Legge n. 23/2014 (Legge di delega fiscale).

In attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (a giorni) del decreto attuativo, è possibile dare un anticipo di ciò che la riforma contiene. Si tratta di una serie di interventi che tengono conto di alcune osservazioni espresse anche nel parere di Camera e Senato. In particolare, tra le novità si segnalano le seguenti:
• l’innalzamento del valore della lite entro il quale il contribuente può stare in giudizio da sé;
• l’addebito delle spese processuali per chi rifiuta un accordo di conciliazione;
• sono previste nuove regole per la nomina di presidenti delle commissioni tributarie e di magistrati tributari;
• è prevista l’abilitazione alla difesa tecnica anche per i dipendenti dei CAF (solo per le controversie inerenti adempimenti poste in essere dal CAF stesso);
• è stabilita l’immediata esecutività della sentenza, senza dover attendere il suo “passato in giudicato”;
• è introdotta la possibilità di chiedere la sospensione della sentenza al giudice d’appello;
• c’è l’eliminazione dell’alternatività tra l’istituto della mediazione tributaria e quello della conciliazione giudiziale.
Nuovo limite per la difesa personale – Ai sensi dell’art. 12, comma 5, del D.Lgs. 546/1992, le controversie di valore inferiore a 2.582,28 euro, anche se concernenti atti impositivi dei comuni e degli altri enti locali, nonché i ricorsi di cui all’articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica 28 novembre 1980, n. 787, possono essere proposti direttamente dalle parti interessate, che, nei procedimenti relativi, possono stare in giudizio anche senza assistenza tecnica. Per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste.

Con l’approvazione del decreto attuativo della delega fiscale, il legislatore innalza l’attuale soglia fissata a 2.582,28 euro ad euro 3.000,00. Dunque, il contribuente stando alle nuove regole, nell’ambito del processo tributario, può stare in giudizio da se (senza, quindi, farsi assistere da nessun difensore) qualora il valore della lite (così come inteso ai sensi del sopracitato comma 5) sia inferiore a 3.000 euro.

AUTORE: PASQUALE PIRONE

Il difetto di motivazione blocca la cartella

17 Luglio 2015

Il difetto dello ius postulandi impedisce alla CTR di esaminare le eccezioni non rilevabili d’ufficio

Nel giudizio d’appello, il difetto dello ius postulandi impedisce al giudice di esaminare le eccezioni non rilevabili d’ufficio. È quanto emerge da una sentenza dello scorso giugno (n. 796/4/15) con cui la CTR di Catanzaro ha confermato l’annullamento di una cartella esattoriale per imposta di registro per difetto di motivazione.

In via preliminare, il collegio catanzarese ha rilevato, d’ufficio, il difetto di rappresentanza processuale del difensore della parte contribuente, in quanto la procura conferita nell’originario ricorso alla CTP era limitata al solo relativo primo grado di giudizio, mentre nessuna nuova procura è stata apposta a margine o in calce alla memoria di costituzione nel giudizio di appello. Pertanto la CTR ha ritenuto “che l’attività difensiva svolta nell’interesse di parte appellata nel presente grado di giudizio è tamquam non esset e che non possono essere prese considerazione tutte le eccezioni non rilevabili di ufficio”.

Nel merito, la CTR ha invece ritenuto di non poter accogliere l’appello dell’Ufficio. La S.C. ha sostenuto che, “in tema di motivazione delle cartelle, ha osservato il Collegio giudicante, il difetto di motivazione della cartella esattoriale, che faccia rinvio ad altro atto costituente il presupposto dell’imposizione senza indicarne i relativi estremi in modo esatto, non può condurre alla dichiarazione di nullità, allorché la cartella sia stata impugnata dal contribuente, il quale abbia dimostrato, in tal modo, di avere piena conoscenza dei presupposti dell’imposizione, per averli puntualmente contestati; pertanto, non può ravvisarsi un difetto di motivazione nell’atto impositivo vincolato, che espressamente indichi gli anteriori avvisi di accertamento già notificati all’intimato ed in relazione ai quali sia pendente contenzioso, mentre invece erroneamente l’accertamento era stato indicato come definitivo anziché provvisorio, non sussistendo un effettiva limitazione del diritto di difesa, che ricorre unicamente qualora il contribuente non sia stato posto in grado di conoscere le ragioni dell’intimazione di pagamento ricevuta e alleghi il pregiudizio patito effettivamente” (cfr. Cass., Sez. 5, n.2373/13).

Ebbene, nella fattispecie, la cartella esattoriale notificata al contribuente non conteneva alcun riferimento ai presupposti dell’imposizione. Solo nel giudizio d’appello è emerso che il presupposto impositivo era un avviso di liquidazione conseguente alla revoca delle agevolazioni fiscali “prima casa”; sicché, in difetto della dimostrazione in primo grado o in sede di formulazione dell’appello della notificazione del provvedimento di revoca delle agevolazioni “prima casa”, la CTR ha ritenuto di non poter accogliere il gravame dell’amministrazione.

In motivazione si legge: “Ora è che nella fattispecie la cartella esattoriale effettivamente non contiene alcun riferimento ai presupposti dell’imposizione che solo in sede di ricorso d’appello emergono dal ricorso introduttivo dell’Agenzia delle entrate e che sarebbero rappresentati da un avviso di liquidazione di revoca delle agevolazioni fiscali ‘prima casa’ notificato alla contribuente il 28/6/2008, ma del quale non è traccia in atti se non nella descrizione dei pagamenti e sotto la dizione ‘Ruolo n.2009/25 reso esecutivo in data 18-12-2008 ruolo ordinario’. D’altro canto di tale presupposto impositivo non è nemmeno traccia nel ricorso introduttivo di primo grado onde nemmeno può essere invocato dall’appellante il surrichiamato principio di diritto formulato dalla S.C. Scorgendo la cartella esattoriale quindi, in disparte il summenzionato generico richiamo ad un ‘ruolo’, nulla compare in ordine alla natura e provenienza dell’IVA e degli accessori sul relativo importo dei quali viene richiesto il pagamento. Con la conseguenza che non essendo stato dimostrato in primo grado od in sede di formulazione dell’appello che vi sia stata una preventiva notificazione del provvedimento di revoca delle agevolazioni prima casa di cui riferisce l’appellante, il gravame non può trovare accoglimento”.

È stato pertanto mantenuto fermo il disposto della sentenza di primo grado. L’Ufficio non è stato condannato al pagamento delle spese.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Sospensione feriale 30 giorni

15 Luglio 2015

Sospensione feriale termini. Presentazione del ricorso

 Il 2 luglio 2015 un contribuente ha ricevuto un avviso di accertamento avverso il quale vuole proporre impugnazione. Posto che non deve essere attivata la fase di reclamo/mediazione, perché il valore della controversia è superiore a 20mila euro, entro quanto deve essere presentato il ricorso in Commissione tributaria, considerando la sospensione feriale dei termini processuali? 

Dal 1° gennaio 2015 la sospensione feriale è stata ridotta, cioè non va più dal 1° agosto al 15 settembre di ogni anno, ma dal 1° al 31 agosto.

L’art. 1 della Legge n. 742/1969, come modificato dal D.L. 132/14 (conv. in L. 162/14), prevede infatti che ildecorso dei termini processuali relativi alle giurisdizioni ordinarie e a quelle amministrative:

• è sospeso di diritto dal 1° al 31 agosto di ciascun anno;

• e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione.

Pur riferendosi alle sole giurisdizioni ordinarie e amministrative, la sospensione feriale vale anche per il processo dinanzi ai giudici tributari.

Ciò posto, nel caso che ci occupa, il contribuente deve presentare il ricorso, a pena di inammissibilità, entro 60 giorni dalla notificazione dell’atto impugnato (articolo 21 del D.Lgs. 546/1992)

Al detto termine di 60 giorni si applica la sospensione feriale di cui all’art. 1 della L. 742/69; per cui deve essere presentato entro 1° ottobre 2015.

Il termine di 60 giorni per l’impugnazione:

• inizia a decorrere dalla data di notifica (2 luglio);

• si sospende per il periodo dall’1 al 31 agosto (pari a 31 giorni);

• ricomincia a decorrere dal 1° settembre.

Quindi si dovranno conteggiare: 30 giorni dall’1 fino al 31 luglio + 31 giorni di sospensione feriale + altri 30 giorni dall’1 settembre, giungendo così al 1° ottobre.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Contributi per colf e badanti. Importo deducibile

6 Maggio 2015
Come va calcolato l’importo deducibile dei contributi versati alla colf?
Prendendo l’intero importo pagato con i MAV trimestralmente?
Se ad esempio viene assunta una colf, con orario di lavoro superiore alle 24 ore settimanali. È stata assunta dal 1° luglio 2014. La retribuzione oraria è pari ad € 8,00 e relativamente al IV trimestre 2014 le ore lavorate sono pari a 520, a quanto ammontano gli oneri deducibili?

I contributi versati per gli addetti ai servizi domestici e all’assistenza personale o familiare sono deducibili dal reddito complessivo del contribuente ai sensi dell’art. 10, comma 2, ultimo periodo, TUIR.
Sono deducibili, inoltre, fino all’importo di € 1.549,37 anche gli oneri versati per gli addetti ai servizi domestici e all’assistenza personale o familiare.
La norma prevede la deducibilità dei contributi previdenziali in relazione a due tipologie di prestazioni fornite dal lavoratore. Tale possibilità è infatti richiamata con riferimento:

• agli addetti ai servizi domestici, cioè i soggetti che prestano un’attività lavorativa continuativa esclusivamente per la necessità della vita familiare del datore di lavoro privato, quali, ad esempio: colf; baby-sitter; autisti; giardinieri;
• agli addetti all’assistenza personale o familiare; cioè soggetti che provvedono alla cura delle persone del nucleo familiare, quali, esempio tipico, gli assistenti delle persone anziane, comunemente denominate “badanti”.

Diversamente da quanto previsto dall’art. 15, TUIR (detrazione dei compensi erogati a tali soggetti, se il soggetto assistito è “non autosufficiente”) i contributi previdenziali versati sono deducibili a prescindere dalla situazione “fisica” in cui versa il contribuente interessato.
I contributi previdenziali e assistenziali relativi ai soggetti sopra elencati:

• vengono versati dal datore di lavoro, ma sono costituiti da una quota a carico del datore di lavoro e da una quota a carico del lavoratore;
• sono deducibili solo per la quota rimasta a carico del datore di lavoro.

Il versamento all’INPS dei contributi domestici familiari è effettuato per trimestri solari, entro i seguenti termini:

• dal 1° al 10 aprile, per il primo trimestre;
• dal 1° al 10 luglio, per il secondo trimestre;
• dal 1° al 10 ottobre, per il terzo trimestre;
• dal 1° al 10 gennaio, per il quarto trimestre.

Sono deducibili le somme effettivamente versate applicando il principio di cassa, senza tener conto dei trimestri di competenza.
La contribuzione relativa ai lavoratori domestici prevede il versamento di un contributo ordinario e un contributo integrativo.
Tuttavia, per determinare il valore della quota di contributo deducibile non bisogna utilizzare “direttamente” il totale pagato indicato nella ricevuta di pagamento, in quanto tale valore è composto:

– dalla quota di contributo a carico del datore di lavoro, deducibile nel limite di € 1.549,37;
– dalla quota di contributo a carico del lavoratore, non deducibile dal datore di lavoro.

È quindi, necessario scorporare la parte di onere deducibile in capo al datore di lavoro, in quanto la quota di contributo a carico del lavoratore è già stata dedotta al momento del pagamento delle retribuzioni (il reddito del lavoratore è già al netto della quota di contributi a suo carico).
Per effettuare il calcolo corretto dei contributi deducibili è necessario conoscere l’ammontare del contributo ordinario e di quello integrativo a carico del datore di lavoro e del lavoratore.
Gli importi del contributo ordinario (sia la quota a carico del lavoratore che quella a carico del datore di lavoro) sono rinvenibili dalle tabelle di contribuzione predisposte dall’INPS. In particolare, se l’orario di lavoro:

• non supera le 24 ore settimanali, il contributo orario è commisurato a tre diverse fasce di retribuzione;
• è di almeno 25 ore settimanali, il contributo è fisso per tutte le ore retribuite.

A titolo esemplificativo, la tabella relativa ai contributi per il 2014, applicabili ai rapporti di lavoro a tempo determinato eccetto sostituzione di lavoratori assenti (comprensivi del contributo addizionale ex art. 2, comma 28, Legge n. 92/2012) prevede:

– fino a euro 7,86, un importo di contributo orario pari a euro 1,49 (con assegni familiari) (0,35 per il lavoratore) e di euro 1,50 (senza assegni familiari) (0,35 per il lavoratore);
– oltre ad euro 7,86 e fino a euro 9,57, un importo di contributo orario pari a euro 1,68 (con assegni familiari) (0,39 per il lavoratore) e di euro 1,69 (senza assegni familiari) (0,39 per il lavoratore);
– oltre ad euro 9,57, un importo di contributo orario pari a euro 2,04 (con assegni familiari) (0,48 per il lavoratore) e di euro 2,06 (senza assegni familiari) (0,48 per il lavoratore);
– per più di 24 ore settimanali, un importo di contributo orario pari a euro 1,08 (con assegni familiari) (0,25 per il lavoratore) e di euro 1,09 (senza assegni familiari) (0,25 per il lavoratore).

Il contributo integrativo obbligatorio versato dal datore di lavoro alla CAS.SA.COLF (CASsa SAnitaria COLF o cassa malattia colf) pari ad € 0,03 (di cui € 0,01 a carico del lavoratore) per ogni ora di lavoro, è deducibile per il datore di lavoro privato in misura di € 0,02 moltiplicato per l’ammontare delle ore lavorate.

Per il calcolo dei contributi dell’esempio proposto, dunque, il totale dei contributi versati dal datore di lavoro risultano pari a:
€ 561,60 (€ 1,08 x 520) contributo ordinario;
€ 15,60 (€ 0,03 x 520) contributo integrativo.

La quota di contributi a carico del lavoratore sono pari ad:
€ 130,00 (520 x € 0,25) contributo ordinario;
€ 5,20 (520 x € 0,01) contributo integrativo.

Dunque in definitiva, l’ammontare deducibile per il datore di lavoro privato è pari a:
€ 431,60 (€ 561,60 – € 130,00) contributo ordinario;
€ 10,40 (€ 15,60 – € 5,20) contributo integrativo.

Il totale dei contributi deducibili per il datore di lavoro risulta quindi pari ad € 431,60 + € 10,40 = € 442,00.

Autore: Redazione Fiscal Focus

E-commerce: in GU le nuove regole

20 Aprile 2015

 

È stato pubblicato sulla G.U. n. 90 del 18.04.2015, il D.Lgs. 42/2015, approvato nel CDM del 27.03.2015, con il quale si dà attuazione alla direttiva 2008/8/CE, che modifica la direttiva 2006/112/CE, per quanto riguarda il luogo delle prestazioni di servizi.

In particolare, con il citato Decreto Legislativo si interviene sui criteri di determinazione, ai fini IVA, del luogo della prestazione di servizi di telecomunicazione, teleradiodiffusione ed elettronici rese nei confronti di committenti non soggetti passivi d’imposta. Viene stabilito che l’IVA è dovuta nel luogo ove il committente è stabilito ovvero ha il domicilio o la residenza.

Il nuovo decreto legislativo sostituisce le lettere f) e g) dell’articolo 7-sexies del D.P.R. n. 633/72 e sopprime le lettere h) ed i) del successivo articolo 7-septies e inoltre riscrive l’articolo 74-quinquies (dedicato alle imprese extra Ue che già applicavano un’analoga procedura per l’e-commerce), introducendo gli articoli 74-sexies, septies e octies.

In base alle nuove regole, le prestazioni rientranti nel commercio elettronico diretto rese da un soggetto passivo italiano a un privato consumatore comunitario si considerano effettuate nel luogo in cui il fruitore del servizio è stabilito.

Per evitare ai vari operatori di doversi identificare nei vari paesi in cui sono residenti i propri clienti, è stato istituto il regime denominato “Mini one stop shopping (MOSS)”, operativo a partire dal 1° gennaio 2015. Tale regime opzionale per l’assolvimento dell’imposta relativa ai servizi resi da soggetti passivi nazionali nei confronti di privati stabiliti in altri Stati dell’Unione europea è disciplinato dai nuovi articoli 74-sexies e 74-septies del decreto IVA.

L’adesione al regime speciale, seguendo l’apposita procedura dettata dall’Amministrazione Finanziaria, consente ai soggetti passivi IVA stabiliti in Italia, nonché ai soggetti passivi extra UE che scelgono di identificarsi in Italia, che effettuano prestazioni di servizi di telecomunicazione, di teleradiodiffusione o elettronici resi a committenti non soggetti passivi d’imposta domiciliati o residenti nell’Unione europea, di assolvere agli obblighi IVA in Italia senza doversi identificare nei vari Paesi UE di residenza dei committenti privati.

Grazie al Moss, non è più obbligatoria l’identificazione dei fornitori in ciascuno degli Stati membri in cui vengono effettuate le operazioni Iva. Infatti, le dichiarazioni Iva trimestrali e i versamenti, trasmessi telematicamente attraverso il Portale Moss saranno inviati automaticamente ai rispettivi Stati membri di consumo, utilizzando una rete di comunicazioni sicura.

L’adesione al MOSS consente di dichiarare in un unico Stato membro le prestazioni rese nei confronti deiconsumatori finali residenti nei territori dell’Unione europea e di procedere al versamento dell’imposta applicata in ciascuno degli stessi, previa presentazione di una dichiarazione.

Si prevede inoltre l’inserimento di un nuovo comma 6-ter, nell’art. 22, Decreto IVA, in base al quale l’emissione della fattura non è obbligatoria, se non è richiesta dal cliente non oltre il momento di effettuazione dell’operazione, per le prestazioni di servizi di telecomunicazione, di servizi di teleradiodiffusione e di servizi elettronici resi a committenti che agiscono al di fuori dell’esercizio d’impresa, arte o professione.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Spesometro: le operazioni esenti dei medici

14 Aprile 2015
Le ricevute fiscali del medico sono da considerarsi fatture – Il medico è tenuto all’emissione della fattura; a prescindere dal fatto che vengano comunemente definite ricevute fiscali, i documenti emessi da tali soggetti, sono da considerarsi, ai fini degli adempimenti IVA, vere e proprie fatture.
L’art. 2, co. 6, D.L. 2.3.2012, n. 16 ha modificato l’art. 21, co. 1, D.L. 31.5.2010, n. 78, prevedendo per tutte le operazioni rilevanti ai fini dell’Iva, per le quali vige l’obbligo di emissione della fattura, la segnalazione all’Amministrazione Finanziaria tramite l’invio dello “spesometro”, nonostante si tratti di fatture di modico valore.
In particolare, alla luce delle modifiche apportate con il c.d. D.L. 16/2012, il professionista dovrà effettuareuna sola comunicazione per ciascun cliente-fornitore, indicando il valore totale delle operazioni effettuate nei confronti di ciascuno di essi, senza fare alcun riferimento alla soglia dei 3.000 euro.

I compensi ASL del medico vanno inclusi nel modello – In generale, nel modello della comunicazione polivalente, detto anche “spesometro”, vanno incluse le operazioni relative alle:

– cessioni di beni e prestazioni di servizi rese e ricevute per le quali sussiste l’obbligo di emissione della fattura;
– cessioni di beni e prestazioni di servizi rese e ricevute per le quali non sussiste l’obbligo di emissione della fattura, qualora l’importo unitario dell’operazione sia pari o superiore a euro 3.600 al lordo dell’IVA.

Nel caso del medico, che emette fattura esente Iva ex art. 10 del D.P.R. 633/72 per le prestazioni in libera professione, mentre per l’attività della mutua, riceve certificazioni mensili dei compensi dall’Asl, va presentato lo spesometro per entrambe le operazioni.
Come chiarito dal Ministero delle Finanze con la Risoluzione n. 501679 del 23 settembre 1975, i fogli di liquidazione delle competenze mensili rilasciati dalle Asl ai medici di base sono equiparati alle fatture.
Conseguentemente, in base alle disposizioni indicate nell’articolo 23 del D.P.R. 633/72, il medici devono:

– numerare i fogli liquidazione in ordine progressivo, seguendo la stessa numerazione delle fatture emesse;
– registrare i fogli insieme alle fatture emesse, globalmente, mese per mese, entro il giorno 15 del mese successivo.

Dunque, il contribuente è tenuto alla comunicazione di tutti i corrispettivi fatturati, ma anche delle somme ricevute dalla Asl, senza far riferimento alla soglia.
Infatti il cedolino che i professionisti ricevono è sostitutivo della fattura di cui all’articolo 21 del D.P.R. 633/1972, con il conseguente obbligo di registrazione contabile, dunque di inclusione tra le operazioni da comunicare entro il 12/21 novembre 2013 (salvo proroghe).

Il documento riepilogativo come soluzione – Ai fini della compilazione dello spesometro un ruolo importante di semplificazione può essere svolto dal documento riepilogativo, disciplinato dall’art.6, commi 6 e 7 del D.P.R. 695/1996.
Il documento riepilogativo consente ai soggetti passivi IVA di registrare le fatture attive e passive, di importonon superiore a 300 euro, anziché singolarmente, attraverso un documento unico, nel quale devono essere indicati: i numeri delle fatture a cui si riferisce, l’ammontare complessivo delle operazioni e l’ammontare dell’imposta distinto per aliquota applicata.
Il limite dei 300 euro deve intendersi al netto dell’IVA (cfr. Risoluzione 29/E/1996).
L’annotazione nei corrispondenti registri IVA acquisti e vendite viene effettuata con la tempistica dettata dagli articoli 23 e 25 del D.P.R. 633/1972.

Annotazione nei registri – Le fatture o le autofatture emesse nel corso di un mese, di importo inferiore a 300 euro, possono essere registrate cumulativamente, attraverso un documento riepilogativo, entro iltermine di 15 giorni, rispettando sempre il mese di riferimento.
Le fatture di acquistosempre per importi inferiori a 300 euro, possono essere annotate complessivamente, tramite un documento riepilogativo nel modo descritto dalla Risoluzione n.80/E/2012, come segue:

– le singole fatture vanno numerate progressivamente al pari di quelle superiori a detto importo;
– le stesse fatture al di sotto dei 300 euro devono essere riportate nel documento riepilogativo;
– il documento riepilogativo va annotato autonomamente con un proprio numero progressivo.

Nel caso degli acquisti, la registrazione del documento riepilogativo non ha un termine perentorio, dato che il diritto alla detrazione, come previsto dall’art.19 del D.P.R. 633/1972, può essere esercitato con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui l’imposta diviene esigibile.
Per poter detrarre l’imposta, le fatture di acquisto devono essere registrate, al più tardi, entro tale termine, ma in ogni caso prima della liquidazione periodica o della dichiarazione annuale nella quale la detrazione viene operata.

L’incasso – L’Amministrazione finanziaria ha aggiunto, però, che, “per motivi di omogeneità” l’utilizzo di tali documenti riepilogativi ai fini delle imposte dirette può avvenire soltanto se le fatture emesse e/o ricevute riepilogate in essi sono state tutte saldate. In tale ipotesi, come data del documento riepilogativo deve essere considerata quella dell’ultimo incasso o pagamento indicato nel prospetto. Per contro, le fatture non saldate al momento della registrazione del documento riepilogativo, anche se di importo inferiore a 300 euro, andranno registrate separatamente.

La contabilità ordinaria potrebbe essere di ostacolo 
– Ove sia stato annotato un documento riepilogativo, ai sensi dell’art. 6, D.P.R. 695/1996, delle fatture messe e ricevute di importo inferiore ad euro 300, nella comunicazione non vengono indicati né codice fiscale né la partita Iva, ma solo il numero del documento riepilogativo, l’ammontare imponibile complessivo e l’ammontare complessivo dell’Iva.

Nella Ris. 80/E del 2012 l’AdE ha affermato che tale possibilità è ammessa per il professionista in semplificata. Nei registri Iva e nel libro giornale, il documento riepilogativo potrà riportare, in luogo del nominativo dei clienti, la dicitura “documento ex-art.6 D.P.R. 695/1996“, posto che i nominativi saranno facilmente reperibili nelle fatture allegate al documento riepilogativo.
Seppure la norma non sembra di per sé essere inapplicabile ai contribuenti in contabilità ordinaria, si ritiene che, pur nel silenzio dell’Amministrazione Finanziaria, tale modalità di registrazione non possa essere utilizzata, per ragioni di sistema, da tali contribuenti.
Infatti, per i contribuenti in regime di contabilità ordinaria, civilisticamente le annotazioni sul libro giornale vanno fatte giorno per giorno e non in maniera cumulativa; di conseguenza, l’annotazione unica contrasterebbe con tale obbligo, in quanto altererebbe la situazione economico-finanziaria giornaliera.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Certificazione Unica, confermata la proroga per la consegna se non rileva per il 730

La Circolare n. 11/E/2015 conferma la linea già assunta dalle Entrate nel comunicato stampa del 12 febbraio scorso, in cui si ammetteva la possibilità di consegnare “in ritardo” la CU a condizione che contenga redditi non dichiarabili con il 730

Nella Circolare n. 11/E del 23.03.2015 sul 730 precompilato, al par. 2.3, l’Agenzia delle Entrate ha ribadito quanto già affermato nel comunicato stampa del 12 febbraio scorso, in cui consentiva, per questo primo anno di applicazione, alcune semplificazioni per gli operatori. In particolare, viene ribadito che, per il 2015, gli operatori possono scegliere se compilare la sezione dedicata ai dati assicurativi relativi all’INAIL e se inviare o meno le Certificazioni Uniche contenenti esclusivamente redditi esenti. Inoltre, sempre per il 2015, le certificazioni uniche contenenti esclusivamente redditi non dichiarabili mediante il modello 730 (come i redditi di lavoro autonomo non occasionale) possono essere inviate anche dopo la scadenza prevista per il 2015 (quindi dopo il 9 marzo), senza applicazione di sanzioni. La stessa facoltà è consentita nel caso di Certificazioni Uniche che contengano solo dati previdenziali e assistenziali. Come nel comunicato, però, anche nella Circolare non viene precisato un termine definitivo per la consegna delle CU in tali casi.
 Fonte: Agenzia delle Entrate

Denuncia infortuni. Aggiornato il “Mod. 4 bis Prest.”

19 Marzo 2015

È online la nuova versione del “Mod. 4 bis Prest.”, utile per la denuncia/comunicazione di infortunio dei lavoratori

Le aziende che intendono effettuare una denuncia/comunicazione di infortunio dovranno utilizzare il nuovo “Mod. 4 bis Prest”. La nuova versione del modello, in particolare, è stata pubblicata nella sezione modulistica dell’INAIL (www.inail.it), corredata delle relative istruzioni.

Rispetto al vecchio modello, la versione aggiornata prevede le seguenti novità:
• SEZIONE LAVORATORE: inseriti nuovi campi per la comunicazione dei dati relativi ai contratti a tempo parziale (part-time);
• SEZIONE DATORE DI LAVORO: aggiunta la modalità “vaglia postale” per il rimborso delle indennità di inabilità temporanea assoluta al datore di lavoro ai sensi dell’art. 70 D.P.R. 1124/65;
• SEZIONE DATI RETRIBUTIVI: adeguati i campi relativi alla comunicazione delle retribuzioni per gli addetti ai servizi domestici e familiari e di riassetto e pulizia locali; inserita una nuova sottosezione per la comunicazione delle retribuzioni per i dipendenti con contratto di lavoro a tempo parziale (part-time).

Denuncia/comunicazione infortuni –
 Si tratta, in particolare, di un adempimento a cui è tenuto il datore di lavoro nei confronti dell’INAIL in caso di infortuni sul lavoro dei lavoratori dipendenti o assimilati soggetti all’obbligo assicurativo, prognosticati non guaribili entro tre giorni escluso quello dell’evento. Quanto alle tempistiche di invio, l’interessato ha l’obbligo di inoltrare la denuncia entro due giorni dalla ricezione del certificato medico, copia del quale va allegata alla denuncia salvo che non venga trasmessa per via telematica (nel quale caso il datore di lavoro è sollevato dall’onere di invio contestuale del certificato medico).
Sul piano normativo, l’adempimento è legato dall’art. 35 del T.U. Infortuni e dal Dpcm 22 luglio 2011 che impongono l’obbligo di invio telematico della denuncia. Dal 1° luglio 2013, infatti, l’invio telematico della nuova denuncia di infortunio sul lavoro è divenuta obbligatoria, sia per i datori di lavoro titolari di posizioni assicurative presso l’INAIL, sia per i privati cittadini, nella qualità di datori di lavoro di colf, badanti o lavoratori occasionali di tipo accessorio.

Adempimenti datore di lavoro – Come appena accennato, tra gli adempimenti del datore di lavoro vi è l’obbligo di inoltrare la denuncia/comunicazione di infortunio entro due giorni dalla ricezione del certificato medico. Inoltre, è tenuto ad allegare copia del certificato medico qualora provveda alla denuncia/comunicazione di infortunio tramite compilazione del modulo cartaceo. Se la prognosi si prolunga oltre il terzo giorno escluso quello dell’evento, il datore di lavoro deve inoltrare la denuncia/comunicazione entro due giorni dalla ricezione del nuovo certificato medico.
In caso di infortunio mortale o con pericolo di morte, deve segnalare l’evento entro 24 ore e con qualunque mezzo che consenta di comprovarne l’invio, fermo restando comunque l’obbligo di inoltro della denuncia/comunicazione nei termini e con le modalità di legge (art.53, c. 1 e 2, d.p.r. n.1124/1965).
Sul punto, è bene precisare che per gli infortuni prognosticati non guaribili entro tre giorni escluso quello dell’evento, il datore di lavoro deve inviare una copia della denuncia/comunicazione di infortunio all’Autorità locale di Pubblica Sicurezza.

Adempimenti lavoratori –
 Tra gli adempimenti del lavoratore vi rientra l’obbligo di dare immediata notizia al datore di lavoro di qualsiasi infortunio gli accada, anche se di lieve entità (art. 52, D.P.R. n. 1124/1965). In caso contrario, e nel caso in cui il datore di lavoro non abbia comunque provveduto all’inoltro della denuncia/comunicazione nei termini di legge, l’infortunato perde il diritto all’indennità di temporanea per i giorni ad esso antecedenti.

Aspetto sanzionatorio – Sul fronte sanzionatorio, è bene ricordare che la mancata indicazione del codice fiscale del lavoratore fa scattare l’applicazione di una sanzione amministrativa (art. 16, Legge n. 251/1982). Mentre in caso di denuncia mancata, tardiva, inesatta oppure incompleta, è prevista l’applicazione della sanzione amministrativa di cui all’art. 53, D.P.R. n.1124/1965e s.m.i.
Se, invece, l’infortunio è occorso a un lavoratore autonomo del settore artigianato (art. 203, c. 1 e 2, D.P.R. n. 1124/1965) e del settore agricoltura (artt. 1, c. 8, e 2, d. m. 29/05/2001) non è prevista alcuna sanzione amministrativa, ferma restando la perdita del diritto all’indennità di temporanea per i giorni antecedenti l’inoltro della denuncia.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Responsabilità solidale dei contributi

19 Marzo 2015

Non viene abrogata dal Decreto semplificazioni

Premessa – L’abrogazione della responsabilità solidale fiscale negli appalti operata dal comma 1 dell’articolo 28, D.Lgs. n. 175/2014 non influisce sulla disciplina prevista dall’articolo 29, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003, che dispone la responsabilità tra committente imprenditore/datore di lavoro, appaltatore e ciascuno degli eventuali subappaltatori per il versamento di trattamenti retributivi (comprese le quote di TFR); dei contributi previdenziali; premi assicurativi, dovuti in relazione al periodo di esecuzione di un contratto di appalto di opere o servizi.

Decreto semplificazioni –
 L’articolo 28, comma 1, D.Lgs. n. 175/2014, abrogando l’articolo 35, commi da 28 a 28-ter, D.L. n. 223/2006, elimina la discussa responsabilità solidale fiscale negli appalti. Le disposizioni abrogate prevedevano, per gli appalti di opere o servizi, la responsabilità solidale dell’appaltatore con il subappaltatore, nei limiti dell’ammontare del corrispettivo dovuto, del versamento all’erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente dovute dal subappaltatore in relazione alle prestazioni effettuate nell’ambito del rapporto di subappalto.

Decorrenza –
 L’abrogazione della responsabilità solidale negli appalti ha effetto dal 13 dicembre 2014 (data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 175/2014); tuttavia, la norma nulla dice riguardo agli effetti dell’abrogazione relativamente al periodo precedente tale data. Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate con Circolare n. 31/2014, è necessario separare la responsabilità del committente da quella dell’appaltatore. In particolare, il committente non era considerato responsabile solidale, ma era soggetto all’applicazione di sanzioni amministrativo-tributarie, in caso di inottemperanza agli obblighi. Di conseguenza, nel caso del committente è possibile applicare il principio del favor rei. L’articolo 4, comma 2, D.Lgs. n. 472/97 dispone infatti che: “Salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile”. Di conseguenza, per il periodo ante 13 dicembre 2014 la mancata verifica da parte del committente, prima di pagare la fattura, dei versamenti delle ritenute IRPEF effettuati da parte dell’appaltatore (ed eventuali subappaltatori) con riferimento alle prestazioni svolte nell’ambito del contratto di appalto/subappalto, non sarà sanzionata.

Responsabilità retribuzioni –
 La responsabilità solidale per retribuzioni e contributi negli appalti non viene abrogata ma al contrario rimane in vigore. Si noti tuttavia che, dal punto di vista processuale, il committente può eccepire il beneficio d’escussione del patrimonio dell’appaltatore e degli eventuali subappaltatori; di conseguenza, nel caso in cui sia accertata la responsabilità solidale dei coobbligati, l’azione esecutiva dovrà essere preliminarmente avviata nei confronti di appaltatore ed eventuali subappaltatori e, solo in caso di infruttuosa escussione di questi, l’azione di esecuzione potrà essere intentata nei confronti del committente coobbligato solidale.

Ritenute – L’articolo 29, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003, come modificato dall’articolo 28, comma 2, D.Lgs. n. 175/2014, dispone inoltre che il committente che ha eseguito il pagamento è tenuto, ove previsto, ad assolvere gli obblighi del sostituto di imposta ex D.P.R. n. 600/73, compreso il versamento delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente. In sostanza, il committente convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all’appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori, qualora abbia eseguito il pagamento ai lavoratori dei trattamenti retributivi, è tenuto ad assolvere gli obblighi del sostituto di imposta ai sensi del D.P.R. n. 600/73, compreso il versamento delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente.

Autore: Redazione Fiscal Focus

730 precompilato

730 precompilato: chi vince e chi perde

Il nuovo modello per la dichiarazione dei redditi offre vantaggi a chi ha dimestichezza online. Rischiano di perdere clienti i Caf. La novità criticata dal M5S. Ecco, passo per passo, chi e come può utilizzarlo

a cura di ANTONELLA DONATI

ROMA – Il conto alla rovescia è iniziato: il 15 aprile è alle porte e il 730 precompilato da “oscuro oggetto del desiderio” sta per diventare una realtà per 20 milioni di contribuenti. Ma chi ci guadagna e chi rischia di perderci con questa operazione lanciata come una svolta epocale dall’Agenzia delle entrate e criticata  da più parti, dai Caf al M5S? Sicuramente in termini di praticità e risparmio di tempo e di denaro ci guadagnano tutti coloro che hanno dimestichezza con le più semplici operazioni on line, come, ad esempio compilare un bonifico o pagare un F24, che potranno evitare il passaggio dal Caf e avranno più facilmente tutta la situazione dei propri rapporti con il fisco sotto controllo proprio grazie all’account personale.

Potranno invece perderci proprio i Caf in quanto vedranno fatalmente restringersi la platea di chi si rivolge ai loro sportelli. Cambierà anche poco dal punto di vista dei controlli: chi indica spese false, con Caf o senza Caf rischia sempre le stesse sanzioni in quanto il Caf non fa da scudo a comportamenti fraudolenti da parte del contribuente. In ogni caso, il 730 precompilato non è obbligatorio ed è sempre possibile presentare anche il modello cartaceo, con le stesse modalità degli anni passati, anche al proprio datore di lavoro. Chi ha spese da detrarre, quindi, non correrà alcun rischio di perdere le detrazioni se non vorrà cimentarsi con la compilazione on line.

Chi non deve fare il 730 anche se ha avuto spese detraibili.  Innanzitutto va detto che il 730 precompilato non dovrà essere utilizzato da chi è esentato dal presentare la dichiarazione. Come già previsto in passato, infatti, ci sono casi per i quali non occorre preoccuparsi di nulla e basta la presentazione del Cu, la Certificazione unica che ha preso il posto del Cud, in quanto anche se si hanno spese da detrarre non si pagano imposte e quindi le detrazioni fiscali non possono essere fatte valere. Si tratta di tutti coloro che hanno:
solo terreni o fabbricati con reddito fino a 500 euro l’anno oltre quello della prima casa;
solo redditi da lavoro per 365 giorni, o anche lavoro e altri redditi, per un importo complessivo lordo fino a 8.000 euro l’anno;
pensione per 365 giorni e altri redditi, ad esempio da locazione, a patto che la somma delle due tipologie di reddito non superi i 7500 euro l’anno, oppure pensione fino a 7.500 euro più terreni per un importo non superiore a 182 euro l’anno;
solo redditi da attività occasionali, da collaborazioni o da diritti d’autore, fino a 4.800 euro l’anno;
solo assegni di mantenimento dell’ex coniuge fino a 7500 euro l’anno;
solo redditi da attività sportive dilettantistiche fino a 28.158 euro;
solo redditi esenti quali borse di studio, pensioni sociali, indennità di accompagnamento,  assegni sociali, sussidi, indennità erogate dall’Inail;
solo redditi con ritenuta di imposta alla fonte (voucher, lavori socialmente utili).

In tutti questi casi, come detto, dato che non si pagano imposte non si possono avere detrazioni e quindi non c’è necessità di presentare il 730, precompilato o meno che sia.

Chi può evitare il 730 se non ha spese detraibili.  Può evitare il 730 se non ha spese detraibili anche chi ha un solo lavoro o una sola pensione, oppure i redditi percepiti sono già stati conguagliati nella Certificazione unica, come accade, ad esempio, in caso di pensionati che incassano anche la reversibilità, ossia due pensioni ma già conguagliate alla fonte. L’esenzione opera anche se oltre a lavoro o pensione si è anche proprietari della prima casa (e relative pertinenze) e di altri immobili non locati in comuni diversi da quello di residenza. In questi casi, il 730 non serve a nulla dato che alle tasse sui redditi ci ha già pensato il datore di lavoro, e sulle case si paga solo l’Imu.

Quali dati nel 730 precompilato. Al di fuori dei casi di esclusione occorrerà invece prendere visione del 730 precompilato per decidere se accettarlo o integrarlo, o presentare il 730 di carta. Nel 730 precompilato, infatti, saranno presenti per quest’anno solo le seguenti voci di spesa:
contributi previdenziali volontari e obbligatori;
contributi previdenziali per colf e badanti;
versamenti ai fondi pensione;
premi di assicurazioni sulla vita;
mutui;
rate per detrazioni per ristrutturazioni, risparmio energetico e bonus mobili già in corso;
crediti d’imposta non utilizzati in precedenza.

Chi non integra la dichiarazione non avendo di fatto “nulla da dichiarare” non avrà ovviamente alcun tipo di controllo, esattamente come accade a chi presenta solo il Cu. Nulla di nuovo e nessuna impunità, dunque, ma anzi un sistema che amplia la platea dei soggetti sui quali non ci sono, appunto, i controlli formali in quanto i dati utili sono tutti raccolti alla fonte dall’Agenzia delle entrate.

Resta comunque il potere dell’Agenzia di controllare, anche se si accetta la dichiarazione precompilata, tutte le situazioni soggettive che danno diritto ad utilizzare le detrazioni, come ad esempio l’uso effettivo come abitazione principale della casa per la quale si detrae il mutuo. Nessuna impunità, dunque, da questo punto di vista, sia che si accetti il 730 precompilato sia che si decida di integrare la dichiarazione.

Chi dovrà integrare il modello. Alla luce dei dati già presenti in dichiarazione, quest’anno dovrà integrare il 730, per avere ulteriori detrazioni, solo chi ha  effettuato nel 2014:
spese per il primo anno per lavori di ristrutturazione, risparmio energetico e acquisto di mobili e elettrodomestici;
spese mediche superiori a 129,11 euro l’anno (la franchigia oltre la quale spetta la detrazione);
spese per affitto della prima casa;
spese universitarie;
spese per affitto per studenti fuori sede;
spese per asili nido e palestre per i figli minori;
spese per la badante;
spese funebri;
spese per donazioni detraibili o deducibili.

Una integrazione che sarà comunque necessaria solo per quest’anno, in quanto dall’inizio del 2015 anche tutte queste voci di spesa sono raccolte a monte dall’Agenzia, e quindi saranno presenti nel 730 del prossimo anno.  Accettare il 730 precompilato, quindi, sarà automatico per la gran parte dei contribuenti.

Cosa accade a chi integra la dichiarazione. Tornando al prossimo 730, chi decide di integrare la dichiarazione da solo è responsabile di quanto dichiarato, quindi potrò subire i controlli già previsti in passato sulle spese dichiarate. Chi decide di servirsi dei un Caf dovrà consegnare al Caf tutta la documentazione necessaria e sarà il Caf ad effettuare i controlli al posto dell’Agenzia. Quindi se il Caf sbaglia sarà lo stesso Caf a pagare e non il contribuente, se il contribuente presenta false dichiarazioni, invece, anche se il Caf non se ne accorge la responsabilità è sempre personale, e quindi le sanzioni saranno comunque a carico del contribuente infedele.

Il cartaceo non va in pensione.  Il 730 precompilato, quindi, di fatto cambierà la vita, in meglio, a tutti coloro che già in passato provvedevano a presentare il modello già compilato al proprio datore di lavoro o al Caf. Chi è capace di farlo, quest’anno ha la comodità in più di poter utilizzare il computer non solo per la compilazione ma anche per l’invio, saltando la fase di stampa e consegna ad un altro soggetto. Niente file, niente appuntamenti, nessuna perdita di tempo.
Chi non può o non vuole cimentarsi con il computer, invece, può comunque continuare a presentare il 730 cartaceo, al proprio datore di lavoro o al Caf, in quanto la versione on line e quella di carta viaggiano insieme. Non c’è, quindi, alcun obbligo di cambiare le proprie abitudini e i Caf non potranno imporre l’uso del modello precompilato, a costi più elevati, a chi decide di presentarsi con  il 730 in versione “tradizionale”.

Compensazioni crediti tributari, aspetti contabili e fiscali

ACCADEMIA ROMANA DI RAGIONERIA –

Compensazioni crediti tributari, aspetti contabili e fiscali

Nella nota operativa n. 11, l’Accademia Romana di Ragioneria fa il punto sull’istituto della compensazione dei crediti tributari, sia orizzontale, che verticale, approfondendone i relativi aspetti contabili e fiscali.

Sul piano oggettivo, il documento identifica i debiti e i crediti che ai sensi dell’art. 17, D.Lgs. n. 241/1997 possono essere compensati in via orizzontale.
Si tratta, in particolare, dielle imposte sui redditi, relative addizionali e ritenute alla fonte riscosse mediante versamento diretto, dell’IVA, delle imposte sostitutive delle imposte sui redditi, dei contributi previdenziali e assistenziali, del diritto camerale e della tassa di concessione governativa.
La suddetta modalità di compensazione è soggetta a precisi limiti normativi, a differenza di quanto previsto per la compensazione verticale.
La compensazione verticale di un tributo può avvenire secondo due modalità alternative:
1) attraverso il modello F24;
2) direttamente in sede di dichiarazione (modalità, quest’ultima, non applicabile in alcuni casi particolari).
Più complesso è il caso della compensazione orizzontale.
L’utilizzo di crediti d’imposta per il pagamento di tributi di tipologia diversa, come si è anticipato, è infatti sottoposto a maggiori limiti e controlli.
Proprio con riferimento a tali operazioni, il legislatore è intervenuto di recente con la L. n. 147/2013.
In primo luogo è necessario tenere distinte le compensazioni orizzontali dei crediti IVA con quelli derivanti da altre imposte.
Per quanto riguarda il credito IVA, infatti, vi sono diverse limitazioni in base all’importo utilizzato in compensazione orizzontale:
– compensazione di crediti IVA inferiori a 5.000 euro
Le compensazioni orizzontali per importi inferiori a 5.000 euro possono essere effettuate dal primo giorno del periodo d’imposta successivo a quello in cui il credito è maturato tramite F24 (ad esempio, per i contribuenti che hanno il periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, il credito IVA 2013 è utilizzabile dal 1° gennaio 2014).
– credito IVA compensato compreso tra 5.000 e 15.000 euro
La compensazione può essere effettuata solo dopo la presentazione della dichiarazione IVA e in particolare dal giorno 16 del mese successivo a quello in cui la dichiarazione è stata inviata. Per effettuare la compensazione si devono utilizzare esclusivamente i canali messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate.
– compensazioni di crediti IVA superiori a 15.000 euro
La compensazione può essere effettuata, sempre dal giorno 16 del mese successivo a quello in cui la dichiarazione è stata inviata e tramite fisconline/entratel, a condizione che la dichiarazione sia provvista di visto di conformità apposto da soggetti abilitati, iscritti in un apposito registro tenuto dall’Agenzia delle Entrate.
Per le compensazioni che superano 5.000 euro, l’invio del modello F24, tramite i software dell’Agenzia delle Entrate, può avvenire dal decimo giorno successivo alla presentazione della dichiarazione.
La data di addebito tuttavia non potrà essere precedente al giorno 16 del mese successivo a quello in cui la dichiarazione è stata inviata (circolare n. 1/E del 2010).
La compensazione orizzontale relativa alle altre imposte (IRES, IRPEF, IRAP, etc.) segue regole leggermente diverse rispetto a quelle in vigore per l’IVA.
In particolare, le compensazioni di imposte diverse dall’IVA possono essere effettuate dal primo giorno del periodo d’imposta successivo a quello in cui il credito è maturato, a prescindere dall’importo. In nessun caso, dunque, la dichiarazione nella quale viene evidenziato il credito deve essere obbligatoriamente presentata prima della compensazione (circolare n. 10/E/2014).
Qualora il credito fosse superiore a 15.000 euro, così come avviene per l’IVA, sarà obbligatorio apporre il visto di conformità alla dichiarazione che potrà essere comunque presentata successivamente alla compensazione. Detto limite si applica ai crediti maturati a partire dal periodo d’imposta 2013.
In quest’ultimo caso – rileva l’Accademia Romana di Ragioneria – l’utilizzo dei software messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate non sembra obbligatorio, in quanto il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate n. 185430/2009 fa riferimento esclusivamente all’utilizzo del credito IVA.
L’utilizzo di Entratel/Fisconline, anche per le compensazioni di tributi diversi dall’IVA, è, però, sicuramente consigliabile.