Archivi categoria: Novità Normative

Società estinta. Accertamento nullo

5 Marzo 2015

Sentenza della CTP di Siracusa

L’accertamento notificato a una società cancellata dal Registro delle imprese è nullo in quanto emesso nei confronti di un soggetto giuridicamente inesistente.

A sostenerlo è la sentenza n. 111/01/15 della Commissione Tributaria Provinciale di Siracusa (pubblicata lo scorso 21 gennaio).

Gli ex rappresentanti di una SRL hanno eccepito con successo il difetto di legittimazione rispetto ad alcuni avvisi di accertamento intestati alla società e notificati dall’Agenzia delle Entrate alla medesima e ai suoi soci quando ormai era intervenuta la cancellazione dal Registro delle imprese.

Il collegio di primo grado, in linea con l’insegnamento della Suprema Corte, ha affermato che la cancellazione di una società consente di presumere il venir meno della capacità e soggettività giuridica della stessa, rendendo opponibile ai terzi tale evento, con la conseguente nullità degli avvisi di accertamento notificati alla società estinta e cancellata dal registro delle imprese, nonché, per derivazione, degli avvisi di accertamento notificati ai soci.

La Cassazione ha infatti chiarito che “la cancellazione volontaria dal registro delle imprese di una società, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società medesima, impedisce che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio” (cfr. sent. n. 6070/2013).

Di qui la decisione dei giudici siracusani di annullare gli avvisi di accertamento in questione, poiché mancanti di un elemento essenziale: il soggetto destinatario (infatti sono stati notificati a una società inesistente).

È doveroso a questo punto ricordare che il comma 4 dell’articolo 28 del D.Lgs. n. 175/2014 (c.d. decreto “semplificazioni”) stabilisce che “ai soli fini della liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società, disciplinata dall’art. 2495 del codice civile, produce effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese”.

L’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 31 del 30 dicembre 2014, ha attribuito efficacia retroattiva alla nuova disposizione che, di fatto, “resuscita” per cinque anni le società estinte, seppure ai soli fini fiscali e contributivi.

In occasione di Telefisco 2015, l’Agenzia delle Entrate ha poi sostenuto che, a partire dal 13 dicembre 2014, data di entrata in vigore del decreto “semplificazioni”, l’avviso di accertamento contenente la rettifica della dichiarazione della società estinta potrà essere emesso nei suoi confronti e notificato presso la sede dell’ultimo domicilio fiscale in quanto, a tal fine, l’effetto dell’estinzione si produrrà solo dopo cinque anni dalla data della cancellazione; “la società, precedentemente alla cancellazione, potrà avvalersi, comunque, della facoltà di eleggere domicilio presso una persona o un ufficio nel comune del proprio domicilio fiscale per la notificazione degli atti o degli avvisi che lo riguardano ai sensi dell’articolo 60, comma 1, lettera d) del D.P.R. n. 600/73. Si ritiene che il suddetto atto sia impugnabile dai soggetti responsabili ai sensi degli articoli 2495 del Codice civile e/o 36 del D.P.R. n. 602 del 1973” (circ. n. 6/E del 2015).

Autore: Redazione Fiscal Focus

PESANTI SANZIONI PER LA MANCATA ISTITUZIONE DEL POS DA PARTE DI PROFESSIONISTI ED IMPRESE

5 Marzo 2015

Pubblichiamo quanto pervenuto in redazione

La battaglia sull’obbligatorietà del pos per professionisti ed imprese è l’oggetto del disegno di legge 1747 presentato in Senato il 22 gennaio scorso dai senatori Aiello, Gentile, Bilardi e Di Giacomo.
Il suddetto provvedimento prevede di premiare con uno sconto fiscale i soggetti “meritevoli” e sanzionare chi non si adegua alla norma introdotta dal decreto legislativo 179/2012. Ad essere premiati, dunque, i professionisti che istituiscano il pos con agevolazioni di natura fiscale e, nel contempo, anche i consumatori o fruitori del servizio nel caso venga negata la legittima possibilità di procedere al pagamento mediante gli strumenti elettronici previsti dalla legge.

Nel dettaglio il Ddl presentato (atto parlamentare 1747) prevede all’art.1 che chi utilizza il pos ha diritto a detrarre dall’imponibile reddituale il costo percentuale di ciascuna transazione eseguita tramite questo strumento di pagamento; introduce poi ammende sul fronte delle sanzioni: una prima ammenda di 500 euro per chi è sprovvisto di pos. Competente alla rilevazione dell’irregolarità è la Guardia di Finanza durante controlli di routine o a seguito di segnalazioni da parte dei clienti. Pagata la sanzione si hanno 30 giorni per adeguarsi e 60 giorni per comunicare alla Gdf l’avvenuta installazione. In caso di mancato adeguamento o comunicazione scatta una seconda ammenda, questa volta di mille euro, e l’esercente o professionista ha ancora un mese di tempo per mettersi in regola. Per i più refrattari scatta infine la sospensione dell’attività professionale o commerciale sino al completo adeguamento alla normativa in materia.

L’obbligatorietà del Pos (l’apparecchio che consente di pagare con il bancomat) per imprese, professionisti, artigiani e commercianti, scattato già a far data dal 30 giugno 2014, ha suscitato tanto scalpore lo scorso anno, ma finalmente la norma è arrivata, seppure senza espresse sanzioni per i “fuori legge” e con nessuna agevolazione per chi, invece, la legge la rispetta.

“Questa introduzione, purtroppo, non ha portato a quella diffusione capillare tanto auspicata, che avrebbe dovuto creare ancora più tracciabilità nei sistemi di pagamento”, ha dichiarato il coordinatore regionale Campania UNAGRACO, Fabio Cecere, “il risultato è stato che chi già aveva il Pos ha continuato ad usarlo, e qualcuno tra quelli che ne erano sprovvisti, lo ha installato ma si tratta di una minoranza di casi”.

L’obbligo di accettare pagamenti in moneta elettronica scatta oltre i 30 euro, ma tanti consumatori non sanno che il pagamento con il bancomat che va oltre una certa cifra è un diritto che non viene fanno valere.

“In questo momento di crisi generale in cui i professionisti stentano a ricevere i compensi ordinari per carenza di liquidità e  di totale stagnazione dell’economia, inserire l’obbligatorietà dell’istituzione del pos con sanzioni così elevate risulta essere anacronistica ed addirittura dannosa”, ha aggiunto il Presidente Nazionale UNAGRACO, Giuseppe Diretto,  “l’introduzione di premi e sanzioni crea ulteriori ostacoli e non garantisce da sola la trasparenza nella tracciabilità fiscale”

“L’obiettivo è quello della lotta all’evasione, che la nostra categoria condivide e supporta – ha continuato il numero uno UNAGRACO, Giuseppe Diretto – mi sembra doveroso  evidenziare che noi commercialisti, da anni, rappresentiamo un fronte contro l’evasione. Basti pensare alle norme sull’antiriciclaggio e a tutte le responsabilità che a vario titolo ricadono ad oggi sui nostri studi. La nostra professione si è molto evoluta e nel tempo siamo diventati i garanti ideali del rispetto della normativa fiscale. Per questi motivi, non possiamo condividere questo ulteriore strumento che il legislatore ha individuato per perseguire la lotta al cosiddetto “nero”. L’introduzione dei Pos premia soltanto gli Istituti bancari che fra commissioni, costi di installazione, costi di chiamata e canoni diverranno soci dei nostri Studi.

L’evasione non si combatte con il POS. Obbligo che ricordiamo riguarda non solo i Professionisti ma anche artigiani e commercianti. L’evasione si combatte attuando una politica di esame analitica delle posizioni individuali, ma coerente con le realtà produttive.

Il POS è una “mezza misura” e come tale non funge allo scopo per cui è stata concepita.

Acquisti Intra-Ue per i minimi

19 Febbraio 2015

Rilevante la soglia di 10.000 euro

Premessa – Per i nuovi contribuenti forfettari se nell’anno precedente non è stata superata la soglia di 10.000 euro, e fino a quando tale limite non viene superato in quello in corso, gli acquisti non si considerano intracomunitari. Il fornitore deve emettere quindi fattura addebitando la propria imposta. Al contrario, in caso di superamento del predetto limite, si effettua un acquisto intracomunitario per il quale si dovrà procedere a integrazione della fattura e al versamento dell’Iva, presentando l’Intrastat.

Legge di Stabilità – Per il nuovo regime forfettario istituito dalla Legge di Stabilità 2015 viene previsto che i contribuenti “non esercitano la rivalsa dell’imposta di cui all’articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, per le operazioni nazionali”. La normativa sopra richiamata prevede quindi che le operazioni nazionali non diano origine ad alcun addebito dell’Iva a titolo di rivalsa e, conseguentemente, viene meno il diritto alla detrazione della stessa sugli acquisti effettuati.

Cessioni intracomunitarie – Per quanto riguarda le cessioni intracomunitarie, la norma prevede che a tali operazioni si applichi il comma 2-bis dell’art. 41 del D.L. n. 331/1993, secondo il quale “non costituiscono cessioni intracomunitarie […] le cessioni di beni effettuate dai soggetti che applicano, agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, il regime di franchigia”. Le cessioni di beni intracomunitarie sono, quindi, assimilate alle cessioni interne senza diritto alla rivalsa (e nell’altro Stato membro non si configura un acquisto intracomunitario). In tal caso, il cedente nazionale deve indicare sulla fattura emessa nei confronti dell’operatore comunitario che l’operazione è soggetta al regime forfettario, e pertanto non costituisce cessione intracomunitaria, ai sensi dell’articolo 41, comma 2-bis del citato decreto legge.

Acquisti intracomunitari – Relativamente agli acquisti intracomunitari si rinvia al regime previsto dall’art. “38, comma 5, lettera c), del decreto legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427”. Secondo tale disposizione legislativa gli acquisti di beni intracomunitari, fino alla soglia di 10.000 euro annui, sono considerati non soggetti ad Iva nel Paese di destinazione e rimangono assoggettati a tassazione nel Paese di provenienza, conformemente a quanto disposto dall’articolo 38, comma 5, lettera c), del Decreto Legge 331/1993. Al superamento della citata soglia annua i soggetti operanti nel regime devono integrare la fattura con l’indicazione dell’aliquota e della relativa imposta che deve essere versata.

Servizi intracomunitari – Per la territorialità dei servizi generici nel regime forfettario trovano applicazione le regole dell’articolo 7-ter D.P.R. 633/1972: in caso di servizi resi si emette fattura senza addebito d’imposta e in caso di servizi ricevuti (rilevanti in Italia) si procede ad integrazione o autofatturazione e si versa l’Iva. Quando la controparte è un soggetto passivo Ue si dovrebbe compilare l’Intrastat, eventualmente come da circolare 36/E/2010. Per i servizi in deroga (articoli successivi al 7-ter) valgono le stesse considerazioni previste sui servizi generici. In caso di servizi resi rilevanti in altri Paesi si dovrà anche fare attenzione alla necessità di identificarsi ai fini Iva, qualora sia richiesto dalle disposizioni in tali Stati. Non si compilano mai i modelli Intrastat.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Minimi: vecchio regime anche per il 2015

18 Febbraio 2015

Milleproroghe approvato alla Camera

Premessa – La legge di conversione del decreto legge Milleproroghe ha ottenuto il via libera dalla Camera nella serata di ieri, adesso è necessario che entro il 1° marzo il testo venga approvato dal Senato. Le principali novità introdotte riguardano lo slittamento al 2015 per il “vecchio” regime dei minimi, il blocco dell’aumento Inps per le partite Iva e la proroga della rateazione delle cartelle di Equitalia. 
Proroga per i minimi – Nel testo della legge di conversione del decreto legge Milleproroghe compare l’intervento annunciato nei giorni scorsi che prevede, in deroga alla legge di stabilità, la proroga a tutto il 2015 del “vecchio” regime dei minimi. In altre parole viene lasciata ancora per tutto il 2015 la possibilità di aderire al regime agevolato con aliquota del 5% che coesisterà con il nuovo regime forfettario con aliquota al 15% in attesa di una riforma definitiva da attuare nella delega fiscale. In questo modo anche per tutto l’anno in corso viene concesso ai soggetti che aprono partita Iva di beneficiare della tassazione ultraridotta dei vecchi minimi e con soglie di ricavi o compensi a 30.000 € uguali per tutti.

Bloccato aumento Inps per le Partite Iva –
 Approvato anche l’emendamento che prevede il blocco al 27,72%, per il terzo anno consecutivo dell’aumento previsto dell’aliquota contributiva Inps per le partite Iva, grazie alla copertura di 120 milioni di euro individuata dal governo. L’aliquota dei contributi previdenziali dovuta dai titolari di partita Iva iscritti alla gestione separata Inps aumenterà gradualmente nei prossimi anni: salirà al 28% nel 2016 e al 29% nel 2017.

Sfratti, mini proroga di 4 mesi – Arriva inoltre una sorta di “mini-proroga” per 4 mesi del blocco degli sfratti: la riformulazione di diversi emendamenti al Milleproroghe prevede che il giudice possa “disporre la sospensione dell’esecuzione” dello sfratto “fino al centoventesimo giorno dall’entrata in vigore della legge di conversione”, per consentire il “passaggio da casa a casa”.

Proroga rateazione Equitalia 
– Prevista, inoltre, la possibilità per i contribuenti decaduti da un precedente piano di rateazione con Equitalia di accedere nuovamente alla negoziazione dilazionata del pagamento. Nel dettaglio il testo di legge prevede la possibilità di richiedere la concessione di un nuovo piano, fino a un massimo di 72 rate mensili, alla luce dell’esperienza positiva maturata lo scorso anno con il D.L. n. 66/2014. Viene inoltre previsto che a seguito della richiesta di rateazione non possano essere avviate nuove azioni esecutive. Nella relazione illustrativa si legge che “il periodo di scadenza per la concessione viene prorogato per la decadenza dal 22 giugno 2013 al 31 luglio 2015, mentre per la relativa richiesta dal 31 luglio 2014 al 31 luglio 2015”. Il nuovo piano non sarà prorogabile e ne è prevista la decadenza in caso di mancato pagamento di due rate, anche non consecutive.

Rientro ‘cervelli’ – Prorogati, infine, di altri due anni (quindi fino al 31.12.2017) gli incentivi per il rientro in Italia dei lavoratori ex L. 238/2010.

Autore: Redazione Fiscal Focus

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Sgravio triennale. Arrivano le istruzioni INPS

  • 17 Febbraio 2015

Tutto pronto per le assunzioni agevolate: ecco le istruzioni per i datori di lavoro

Se un datore di lavoro supera per un dato mese la soglia massima di esonero dal versamento contributivo – pari a 671,66 euro – può conguagliare l’eccedenza nei mesi successivi nel rispetto sempre della capienza (671,66 euro mensili e 8.060 euro annuali).È questo il chiarimento principale contenuto nel tanto atteso messaggio INPS (n. 1144/2015) che detta le regole per fruire dello sgravio contributivo triennale per le nuove assunzioni con contratto a tempo indeterminato nel corso del 2015 (art. 1, c. 118 e seguenti della L. n. 190/2014).

Bonus assunzioni – La Legge di Stabilità (L. n. 190/2014) all’art. 1, c. 118 ha introdotto un importante esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro in relazione alle nuove assunzioni con contratto a tempo indeterminato nel periodo “1° gennaio 2015 – 31 dicembre 2015”.
Esso è rivolto a tutti i datori di lavoro privato, anche agricoli (con modalità, condizioni e misure specifiche). Rientrano nel beneficio anche i soggetti non imprenditori. Mentre restano esclusi i contratti di lavoro domestico e i contratti di apprendistato.
L’incentivo è pari all’ammontare dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, con esclusione dei premi e contributi INAIL, nel limite massimo di un importo pari a euro 8.060 su base annua (671,66 euro su base mensile).
La durata è pari a 36 mesi (tre anni) dalla data di assunzione.

Codifica e flusso UniEmens – Passando ora alle specifiche tecniche fornite dall’INPS, è stato precisato che i datori di lavoro aventi titolo all’esonero contributivo dovranno richiedere all’INPS l’attribuzione del codice di autorizzazione “6Y”, avente il significato di “Esonero contributivo articolo unico, commi 118 e seguenti, legge n. 190/2014”. Richiesta, questa, che potrà essere effettuata avvalendosi della funzionalità “Contatti” dal cassetto previdenziale aziende selezionando nel campo oggetto la denominazione “esonero contributivo triennale legge n. 190/2014”, utilizzando la seguente locuzione: “Richiedo l’attribuzione del codice di autorizzazione 6Y ai fini della fruizione dell’esonero contributivo introdotto dalla legge n. 190/2014, art. 1, commi 118 e seguenti, come da circolare n. 17/2015”.
In caso di esito positivo della richiesta, l’INPS ne darà comunicazione al datore di lavoro mediante il cassetto previdenziale.

Ai fini UniEmens, per esporre il beneficio spettante i datori di lavoro dovranno valorizzare all’interno di “DenunciaIndividuale”, “DatiRetributivi”, elemento “Incentivo” i seguenti elementi:
• nell’elemento “TipoIncentivo” dovrà essere inserito il valore “TRIE” avente il significato di “Esonero contributivo articolo unico, commi 118 e seguenti, della Legge 23 dicembre 2014, n. 190”;
• nell’elemento “CodEnteFinanziatore” dovrà essere inserito il valore “H00” (Stato);
• nell’elemento “ImportoCorrIncentivo” dovrà essere indicato l’importo posto a conguaglio relativo al mese corrente, calcolato in base ai criteri illustrati nella circolare n. 17/2015;
• nell’elemento “ImportoArrIncentivo” dovrà essere indicato l’importo dell’esonero contributivo relativo all’esonero contributivo dei mesi di competenza di gennaio e/o febbraio 2015. Sul punto, viene precisato che la valorizzazione del predetto elemento può essere effettuata esclusivamente nei flussi UniEmens di competenza di febbraio 2015, relativamente all’arretrato del precedente mese di gennaio, o di marzo 2015, relativamente all’arretrato dei precedenti mesi di gennaio e/o febbraio.

Casi particolari – Quali dati vanno esposti nel flusso UniEmens in caso di superamento della soglia mensile massima, pari a 671,66 euro? Ebbene, in tal caso l’esposizione dell’agevolazione nel flusso UniEmens deve avvenire valorizzando all’interno di “DenunciaIndividuale” di “DatiRetributivi”, l’elemento “AltreACredito” i seguenti elementi:
• “CausaleACredito”, con l’indicazione del codice causale “L700” avente il significato di “conguaglio residuo esonero contributivo articolo unico, commi 118 e seguenti, legge n. 190/2014”;
• “ImportoACredito”, con l’indicazione dell’importo dell’esonero contributivo da recuperare sulla base della metodologia sopra illustrata.
Sul punto, l’INPS ha ritenuto opportuno effettuare una precisazione importante per quanto concerne i casi di superamento della soglia massima mensile. Ebbene, in tal caso l’eccedenza può essere esposta nel mese corrente e nei mesi successivi e comunque rispettivamente entro il primo, il secondo e il terzo anno di durata del rapporto di lavoro, fermo restando la soglia massima annua (pari a 8.0600 euro).
Facciamo due esempi.
Ipotizziamo un rapporto di lavoro agevolato a tempo pieno instaurato l’1.05.2015. Per i primi due mesi di maggio e giugno l’importo dei contributi non dovuti è pari a euro 600. A luglio, invece, a seguito di un aumento dell’imponibile per corresponsione di premi o altri emolumenti, l’importo dell’esonero spettante è pari a euro 750.
Nella denuncia relativa al mese di luglio, il datore di lavoro non può esporre la somma di euro 750,00 nell’elemento corrente in quanto superiore alla soglia massima mensile, per cui indicherà nell’elemento “ImportoCorrIncentivo” la somma di € 671,66.
A questo punto, la differenza fra l’importo dell’esonero spettante per il mese di luglio e la soglia massima mensile di esonero, pari a € 78,34 (750,00-671,66) può essere fruita nello stesso mese, in quanto inferiore alla quota residuale di esonero non fruita nei due mesi precedenti, pari per maggio a 671,66-600,00 e per giugno a 671,66-600,00, per un totale di 143,32 euro.
Ipotizziamo sempre un datore di lavoro che i primi due mesi fruisce un esonero contributivo di 600 euro. Nel terzo mese, però, l’importo dell’esonero spettante è pari a euro 750.
Come nell’esempio precedente, nella denuncia relativa al mese di luglio il datore di lavoro non può esporre la somma di € 1.750 nell’elemento corrente in quanto superiore alla soglia massima mensile, per cui indicherà nell’elemento la somma di 671,66.
La differenza spettante è pari a € 1.078,34 (1.750,00-671,66), supera la quota residuale di esonero non fruita nei due mesi precedenti, pari per maggio a 671,66-600,00 e per giugno a € 671,66-600,00 per un totale di 143,32 euro.
Potrà pertanto essere conguagliata nel mese solo la somma di euro 143,32. Mentre l’ulteriore eccedenza pari a € 935,02 (1.078,34-143,32) potrà essere conguagliata secondo le istruzioni sopra indicate nei mesi successivi nel rispetto della capienza.

Importi indebiti 
– Qualora un datore di lavoro si sia avvalso di importi indebiti, dovrà valorizzare all’interno di “DenunciaIndividuale”, “DatiRetributivi”, “AltreADebito”, i seguenti elementi:
• nell’elemento “CausaleADebito” dovrà essere inserito il codice causale “M304” avente il significato di “Restituzione esonero contributivo articolo unico, commi 118 e seguenti, legge n. 190/2014”;
• nell’elemento “ImportoADebito”, indicheranno l’importo da restituire.

Infine, utili precisazioni arrivano anche per i datori di lavoro agricoli, i quali potranno accedere al beneficio previo invio telematico del modello di comunicazione “ASSUNZIONE OTI 2015”, disponibile all’interno del “Cassetto previdenziale aziende agricole”, sezione “Comunicazioni bidirezionali – Invio Comunicazione”.
Attenzione. Entro 14gg lavorativi dalla ricezione della comunicazione di prenotazione positiva dell’Istituto, il datore di lavoro, per accedere all’incentivo, ha l’onere di comunicare all’Istituto – compilando la seconda sezione del modulo di domanda – l’avvenuta stipula del contratto di assunzione a tempo indeterminato. Il termine è perentorio.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Telefisco 2015: i chiarimenti dell’Agenzia

30 Gennaio 2015
Molte le novità apportate dalla Legge di stabilità 2015, L. 190/2014 e dai decreti di fine 2014 in materia tributaria, dunque molti i temi trattati in occasione di Telefisco 2015: appuntamento annuale in cui la stampa specializzata incontra i professionisti e i funzionari dell’Agenzia delle Entrate. 
Di seguito riportiamo i principali chiarimenti forniti dall’Amministrazione Finanziaria.

Split payment – L’Amministrazione Finanziaria ha confermato l’interpretazione che esclude dall’applicazione dello split payment i compensi erogati ai professionisti soggetti a ritenuta a titolo di acconto.
Anche a parere dell’Amministrazione Finanziaria la volontà del Legislatore è quella di escludere dal meccanismo dello split payment i compensi per prestazioni di servizi assoggettati a ritenute alla fonte a titolo di acconto.

Comunicazione black list – Nel corso di Telefisco 2015 è stato chiesto all’Amministrazione Finanziaria se il nuovo limite di esonero di 10.000,00 possa essere applicato per le operazioni poste in essere con tutte le controparti paradisiache residenti o localizzate in un determinato Stato. La risposta è stata negativa. Si è richiamato quanto espresso con la C.M. 31/E/2014, quindi il riferimento è al complesso delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi effettuate e ricevute nei confronti di operatori economici aventi sede, residenza o domicilio in Paesi c.d. black list.

Patent box – È stato chiarito che per usufruire dell’agevolazione in caso di cessione degli intagibles si dovrà reinvestire il 90% del corrispettivo ottenuto e non della plusvalenza realizzata.

Regime forfettario – In relazione al nuovo regime forfettario, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che per la verifica del superamento del limite dei ricavi sarà necessario considerare anche le cessioni all’esportazione verso la Repubblica di San Marino e la Città del Vaticano, mentre il contribuente che nel 2014 operava con il “vecchio” regime dei minimi dovrà utilizzare il criterio di cassa.

Novità Irap – La deduzione integrale del costo del personale, assunto a tempo determinato, non vale anche per i lavoratori impiegati all’estero. L’Agenzia ha chiarito che non dovrebbe trovare applicazione in tal caso. Tra l’altro anche la deduzione per contributi assistenziali e previdenziali non è riconosciuta rispetto ai contributi per dipendenti impiegati all’estero (C.M. 19.11.2007, n. 61/E).

Credito d’imposta del 10% per contribuenti sprovvisti di forza lavoro – Il comma 21 della L. di stabilità 2015 introduce, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, (dal 2015 per i soggetti solari), per i soggetti che non si avvalgono di lavoratori dipendenti, un credito d’imposta, da utilizzare esclusivamente in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, a decorrere dall’anno di presentazione della corrispondente dichiarazione, pari al 10% dell’imposta lorda, determinata secondo le disposizioni del Decreto IRAP. Tale credito d’imposta IRAP genera una sopravvenienza attiva tassabile. L’Agenzia ha chiarito che ogni volta che il legislatore ha inteso escludere da imposizione una voce, lo ha fatto in modo esplicito. In questo caso non esistono norme specifiche che ne consentano la detassazione. Quindi, adottando un approccio interpretativo letterale, il credito sconta imposta, rappresentando una sopravvenienza attiva che, in quanto tale, risulta rilevante (ex art. 88 del Tuir), dato che non è disposto diversamente.
Per i lavoratori autonomi non rileva, invece, la sopravvenienza, in quanto gli artt.53 e 54 del Tuir non contemplano tali proventi come facenti parte della base imponibile.

Ravvedimento operoso – Per quanto riguarda il ravvedimento operoso, il chiarimento più importante riguarda la possibilità di fruire delle nuove riduzioni anche per le violazioni, commesse prima del 1° gennaio 2015, che in base alle nuove norme soddisfano ancora i requisiti per poter accedere al ravvedimento.

Voluntary disclosure – Raddoppio dei termini di accertamento – Ci si è chiesti se si debba applicare il raddoppio dei termini dell’accertamento, in caso di detenzione di attività in Paesi black list. L’Agenzia ha chiarito che è prassi consolidata considerare in caso di detenzione di attività finanziarie e investimenti in un Paese black list, operante la presunzioneiuris tantum di cui all’art.12 D.L. 78/2009, secondo cui tali attività si presumono costituite mediante redditi sottratti a tassazione – concetto applicabile in tutti i casi in esso contemplati.
Il comma 2-bis prevede che i termini di accertamento operato sulla base di tale presunzione venganoraddoppiati.
I commi 2 e 2-bis dell’art.12 hanno carattere procedimentale, quindi sono applicabili a tutti i periodi di imposta ancora accertabili (ex artt. 57 co. 3, D.P.R. 633/72 e art. c.1 e 2 D.P.R. 600/73), alla data di entrata in vigore del D.L. 78/2009.
Dunque:
– in caso di raddoppio dei termini e presunzione ex art.12 – e la violazione sia l’infedele dichiarazione, gli anni regolarizzabili vanno dal 2006 al 2013, nella VD effettuata nel 2015; se la violazione è l’omessa dichiarazione, gli anni regolarizzabili vanno dal 2004 al 2013, nella VD effettuata nel 2015;
– in caso non vi sia il raddoppio dei termini e presunzione ex art.12 – e la violazione sia l’omessa dichiarazione, e la violazione sia l’infedele dichiarazione, gli anni regolarizzabili vanno dal 2006 al 2013, nella VD effettuata nel 2015; se la violazione è l’omessa dichiarazione, gli anni regolarizzabili vanno dal 2004 al 2013, nella VD effettuata nel 2015.

Soggetti collegati – Chi sono i soggetti collegati contemplati dal modulo ministeriale della VOLUNTARY DISCLOSURE? L’Agenzia ha chiarito che essi sono tutti quei soggetti che hanno una posizione rilevante di collegamento:
– o con le somme (attività finanziarie e patrimoniali) detenute all’estero, oggetto di emersione (es. i cointestatari, legati o coloro che hanno alimentato la provvista finanziaria);
– o con i redditi oggetto di irregolarità – voluntary nazionale – (es. soci di società di persone o trasparenti).

Società in perdita sistematica – L’Amministrazione Finanziaria è tornata a ribadire che le novità introdotte dal Decreto Semplificazioni in tema di società in perdita sistematica trovano applicazione solo a decorrere dall’anno 2014, come già chiarito con la Circolare 31/E del 2014. Non sarà quindi possibile beneficiare retroattivamente del nuovo periodo di osservazione quinquennale nelle annualità 2012 e 2013.

Redditometro – Toccato anche il redditometro tra gli argomenti posti all’attenzione dell’Agenzia delle Entrate. Anche in questa occasione i tecnici delle Entrate hanno confermato la possibilità per il contribuente di fornire la prova che le spese contestate dall’Amministrazione Finanziaria sono state sostenute (in tutto o in parte) con risparmi di annualità precedenti.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Minimi: beni strumentali al netto di Iva

30 Gennaio 2015

L’Iva (detraibile e non) non deve essere considerata nel calcolo del limite di 20.000 €

Premessa – Ai fini del calcolo del limite di 20.000 euro previsto per l’ingresso al nuovo regime forfettario, il costo dei beni strumentali deve essere assunto al netto dell’Iva a prescindere dal fatto che sia stata esercitata la detrazione. Questo è quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate nel corso dell’incontro tenuto con la stampa specializzata lo scorso 22 gennaio.

Beni strumentali – Uno dei requisiti da verificare per l’accesso al nuovo regime (e anche per la permanenza nello stesso) concerne il valore complessivo, al lordo degli ammortamenti, dei beni strumentali esistenti alla data di chiusura del precedente periodo d’imposta che non deve essere superiore a 20.000 euro. Ai fini del computo del valore dei beni strumentali non si considerano quelli di costo pari o inferiore a € 516,46, mentre si considerano al 50% quelli ad uso promiscuo (autovetture, telefoni cellulari, altri beni utilizzati promiscuamente). Per i beni in locazione o in comodato si considera il valore normale. I beni immobili non hanno comunque rilevanza, qualsiasi sia il titolo di possesso.

Iva indetraibile – 
Come noto però per i contribuenti che operano nel regime in questione per le operazioni passive, non hanno diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto assolta, dovuta o addebitata sugli acquisti ai sensi degli articoli 19 e seguenti del D.P.R. 633/1972. Si è posto quindi il problema di come considerare tale imposta non detratta per i beni strumentali ai fini del calcolo del limite di 20.000 €.

Videoforum – Al riguardo l’Agenzia delle Entrate ha affrontato la questione nel corso dell’incontro tenuto con la stampa specializzata lo scorso 22 gennaio chiarendo che “con riferimento al regime dei minimi è stato chiarito con circolare n. 13/E del 2008 che, al fine di verificare il limite riferito all’acquisto dei beni strumentali, si assumono i corrispettivi relativi alle operazioni effettuate ai sensi dell’art. 6 del dpr n. 633/1972. Occorre, dunque, far riferimento all’ammontare dei corrispettivi degli acquisti che rilevano in base alle ordinarie regole dell’imposta sul valore aggiunto, secondo cui i corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi costituiscono la base imponibile cui è commisurata l’imposta”.

Valore al netto dell’Iva – Pertanto, come già chiarito dalla circolare 7/E del 2008, con riferimento al “precedente” regime dei minimi, sia in fase di accesso al regime forfetario che durante la sua applicazione, il rispetto del limite degli acquisti di beni strumentali va verificato con riferimento al costo sostenuto al netto dell’imposta sul valore aggiunto, anche se non è stato esercitato il diritto di detrazione.

Esempio – Ipotizzando quindi che un contribuente acquisti un bene di € 17.000 (+ Iva 3.740) ai fini del calcolo del superamento del limite di 20.000 € il valore da considerare sarà solamente 17.000 €. Al contrario i 3.740 € di Iva anche se non detratta non devono essere considerati al fine del computo del costo complessivo dei beni strumentali.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Bando Isi 2014. Via libera alle domande

 

30 Gennaio 2015

Le domande di partecipazione potranno essere inserite dal 3 marzo 2015 e fino alle ore 18.00 del 7 maggio 2015

Premessa – Tutto pronto per gli incentivi previsti in favore delle imprese che investono in sicurezza. Infatti, le imprese interessate al “Bando Incentivi ISI 2014”, che mette a disposizione delle aziende oltre 267 milioni di euro a titolo di contributi a fondo perduto per la realizzazione di progetti di investimento finalizzati al miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza del lavoro o all’adozione di modelli organizzativi e di responsabilità sociale, potranno inserire le domande di partecipazione dal 3 marzo 2015 e fino alle ore 18.00 del 7 maggio 2015, nella sezione “Servizi online” dell’INAIL. Destinatarie degli incentivi sono le imprese, anche individuali, iscritte alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura. I finanziamenti vengono assegnati fino a esaurimento, secondo l’ordine cronologico di arrivo delle domande.

Misura del contributo –
 Il contributo, in conto capitale, è pari al 65% delle spese sostenute dall’impresa per realizzare il progetto, a netto Iva. Il contributo massimo erogabile, in particolare, è di 130 mila euro, quello minimo di 5 mila euro. Mentre per le imprese fino a 50 dipendenti che presentano progetti di adozione di modelli organizzativi e di responsabilità sociale non è fissato il limite minimo di contributo. I finanziamenti ISI, inoltre, sono cumulabili con benefici derivanti da interventi pubblici di garanzia sul credito (es. gestiti dal Fondo di garanzia delle pmi e da Ismea). Essi vengono erogati dopo la verifica tecnico-amministrativa e la realizzazione del progetto.

Progetti ammissibili – I progetti ammessi al finanziamento sono: i progetti di investimento; i progetti di responsabilità sociale e per l’adozione di modelli organizzativi. L’intervento richiesto, in particolare, può riguardare tutti i lavoratori facenti capo a un unico datore di lavoro, anche se operanti in più sedi o più regioni. Inoltre, si può presentare un solo progetto per una sola unità produttiva, per una sola tipologia tra quelle sopra indicate.

La procedura – La procedura per accedere al suddetto finanziamento si articolo in tre fasi: inserimento online del progetto; inserimento del codice identificativo e invio del codice identificativo. La prima fase parte dal 3 marzo 2015 e dura fino alle ore 18.00 del 7 maggio 2015; durante tale fase le imprese registrate al sito INAIL (www.inail.it) hanno a disposizione un’applicazione informatica per la compilazione della domanda. In particolare, tale applicazione permette di: effettuare simulazioni relative al progetto da presentare, verificando il raggiungimento del punteggio “soglia” di ammissibilità; salvare la domanda inserita. Nella seconda fase invece, operativa dal 12 maggio 2015, le imprese che hanno raggiunto la soglia minima di ammissibilità e salvato la domanda possono accedere nuovamente alla procedura informatica ed effettuare il download del proprio codice identificativo che le individua in maniera univoca. Mentre nella terza e ultima fase le imprese possono inviare attraverso lo sportello informatico la domanda di ammissione al contributo, utilizzando il codice identificativo attribuito alla propria domanda, ottenuto mediante la procedura di download.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Assicurazione Casalinghe 1 euro al mese

 Scade il 31/01/2015 il termine per il pagamento del premio di assicurazione contro gli infortuni domestici di 12,91 Euro previsto per ogni cittadino in età compresa tra i 18 e i 65 anni che svolge in via non occasionale, gratuitamente e senza vincolo di subordinazione, lavoro finalizzato alle cure della propria casa e famiglia, escluso chi già svolge un’attività per la quale vi è obbligo di iscrizione ad altre forme di previdenza.
Pagamento anche On line
Il pagamento potrà essere effettuato anche on line sul portale internet dell’INAIL tramite carta di credito VISA o MASTERCARD, carta prepagata Postpay o conto Bancoposta.
Si può in alternativa ritirare il bollettino di c/c postale (intestato ad INAIL, P.le Pastore, 6- Roma) presso gli uffici postali o presso le sedi. La data del primo versamento del premio assicurativo coincide con quella in cui la persona inizia a dedicarsi alla cura della famiglia in modo esclusivo come ad esempio, il 18° anno di età oppure nel momento in cui viene a  cessare in modo definitivo o temporaneo la propria attività lavorativa (dimissioni, pensionamento o semplice interruzione di attività lavorativa o entrata in  mobilità o cassa integrazione).
L’importo non è frazionabile e deducibile dalla dichiarazione dei redditi.

L’ ASSICURAZIONE INFORTUNI PER LE CASALINGHE

La legge 3 dicembre 1999 n. 493, ha istituito una forma di assicurazione a favore di coloro che non svolgono alcun lavoro subordinato da cui deriva una copertura infortunistica, per la tutela dei numerosi infortuni che si consumano dentro le mura domestiche.
Anche se gli infortuni fra le mura di casa interessano soprattutto le donne, ciò non esclude che l’assicurazione in questo caso non abbia sesso.

Dal primo marzo 2001 infatti e’ divenuta obbligatoria l’iscrizione presso l’INAIL per coloro che hanno le seguenti caratteristiche:
• Età compresa tra i 18 ed i 65 anni;
• Svolgimento di un’attività rivolta alla cura dei componenti la famiglia e dell’ambiente in cui vive non legati da vincolo di subordinazione;
• Svolgimento lavoro domestico in modo abituale ed esclusivo senza effettuare cioè altre attività per le quali sussiste obbligo di iscrizione ad un altro ente e cassa previdenziale.
Rientrano quindi tra i soggetti assicurabili:
• I pensionati che non abbiano superato i 65 anni
• I cittadini stranieri che soggiornano regolarmente in Italia
Coloro che avendo compiuto i 18 anni, stanno in casa in attesa di prima occupazione
• I lavoratori in cassa integrazione guadagni o in mobilità ( con premio intero ma copertura solo per il periodo in cui non svolgono attività )
• Lavoratori stagionali, a tempo determinato (con premio intero ma copertura solo per il periodo in cui non svolgono attività)
Sono invece escluse:
• Le persone di età inferiore ai 18 anni o superiori a 65
• Lavoratori socialmente utili
• Borse lavoro
• Coloro che frequentano corsi di formazione e di orientamento
• Tirocinanti
• Lavoratori part-time
• i religiosi e le religiose in quanto non facenti parte di un nucleo familiare così come definito dal decreto.

 

Cosa fare in caso di infortunio
Nel caso in cui si verifichi un infortunio, l’infortunato si rivolgerà al pronto soccorso per le cure del caso, o al proprio medico di famiglia e se il medico riterrà che dall’infortunio sia risultata un’invalidità permanente pari o superiore al 27%, l’assicurato in regola con il pagamento annuale, farà denuncia all’INAIL per la liquidazione della rendita.
Si fa presente che la nuova percentuale del 27% si applica solamente agli infortuni occorsi dal primo gennaio 2007 in quanto fino al 2006 era del 33%.
In questo caso l’infortunato avrà diritto al pagamento mensile di una  rendita esentasse proporzionata all’entità dell’invalidità subita, compreso tra circa 200 euro per i casi meno gravi a un importo di circa 1.200 euro per inabilità fino al 100%.

Lo stato interviene nel pagamento nei seguenti casi:
• reddito personale complessivo lordo fino a 4648,11 appartenenza a un nucleo familiare il cui reddito complessivo non superi 9296,22 annui.
A dimostrazione di ciò andrà fatta un’autocertificazione su modelli disponibili presso tutte le sedi INAIL o i patronati, le associazioni delle casalinghe.

 

 

Il nuovo ravvedimento operoso

La Legge di Stabilità 2015 offre al contribuente nuove e più ampie possibilità di regolarizzare i propri errori, ritardi o dimenticanze in riferimento al versamento di tutti i tributi dovuti all’Agenzia delle Entrate e di tutte le omissioni riferite all’invio di dichiarazioni o comunicazioni obbligatorie, utilizzando in modo più ampio e ragionevole l’istituto del ravvedimento operoso.

La possibilità di ravvedere i propri debiti o dimenticanze nei confronti dell’Amministrazione finanziaria è oramai consolidata dal D.Lgs. 472/1997 e successive modificazioni.

 

Esistono infatti, fin da allora, due tipologie di ravvedimenti:

  • il ravvedimento “breve”, che consiste nel versamento di una sanzione pari al 3% dell’imposta dovuta (1/10 del 30%) entro i 30 giorni;
  • il ravvedimento “lungo”, che consiste nel versamento di una sanzione pari al 3,75% dell’imposta dovuta (1/8 del 30%) oltre il trentesimo giorno, ma entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale è commessa la violazione.

Già con il D.L. 98/2011 (il c.d. Decreto Salva Italia) è stata inserita l’agevolazione per il contribuente che intende ravvedersi in termini molto brevi (entro i 14 giorni dall’omissione) con l’istituzione del c.d. ravvedimento “sprint”. L’agevolazione consiste nel versamento di una sanzione pari allo 0,2% giornaliero, se il ravvedimento è effettuato entro il quattordicesimo giorno; dal quindicesimo ed entro il trentesimo, la sanzione si riconduce, ovviamente, al 3%.

I commi dal 634 al 641 della Legge 190/2014 (Legge di Stabilità 2015) istituiscono nuove tipologie di regolarizzazione, con lo scopo di agevolare i contribuenti nell’assolvimento degli obblighi tributari e di favorire l’emersione spontanea, modificando il comma 1 dell’art. 13 del D.Lgs. 472/1997. Pertanto avremo anche un c.d. ravvedimento “lunghissimo” che prevede il pagamento di:

  • sanzioni al 3,32% (1/9 del 30%), entro 90 giorni;
  • sanzioni al 4,29%, entro 2 anni (o seconda dichiarazione successiva);
  • sanzioni al 5%, oltre 2 anni (o oltre la seconda dichiarazione successiva).

Resta fermo il pagamento degli interessi calcolati giornalmente nella misura dello 0,50% (dal 1.1.2015), dell’1% (dal 1.1.2014) e del 2,50% (fino al 31.12.2013).

Riassumendo:

Saluti

Reti d’impresa senza notaio

26 Gennaio 2015

Pubblicato il decreto ministeriale che introduce le specifiche tecniche per la trasmissione del contratto di rete al registro delle imprese semplicemente con atto firmato digitalmente.

Gli interessati potranno procedere a iscrivere direttamente il contratto di rete nel Registro delle imprese, senza dover passare per il notaio.
È questa la rilevante novità introdotta a seguito del decreto dirigenziale del Ministero dello Sviluppo economico del 7 gennaio 2015.

L’iscrizione nel Registro delle imprese

Ai sensi dell’art. 3, comma 4-ter, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, ai fini dell’iscrizione del contratto di rete nel registro delle imprese, il contratto deve essere redatto:
– per atto pubblico o per scrittura privata autenticata;
– ovvero per atto firmato digitalmente da ciascun imprenditore o legale rappresentante delle imprese aderenti, e trasmesso ai competenti uffici del registro delle imprese attraverso un modello standard tipizzato con decreto del ministro della Giustizia, di concerto con il ministro dell’Economia e delle Finanze e con il ministro dello Sviluppo economico.

Dalla data di pubblicazione del decreto direttoriale con il quale si definiscono le specifiche tecniche, è quindi possibile procedere alla trasmissione per via telematica o alla presentazione su supporto informatico al Registro delle imprese dei contratti di rete.

A tal fine, sarà reso disponibile da Infocamere un apposito software per redigere online l’atto costitutivo in formato XML secondo il formato standard del Contratto di Rete.

Dopo la sua registrazione all’Agenzia delle Entrate, l’atto potrà essere importato in ComunicaStarWeb, ottenendo la compilazione automatica della modulistica RI, e trasmesso al Registro delle Imprese per l’iscrizione.

Il contratto di rete
Diventa quindi sempre più semplice la stipula dei contratti di rete.
Come noto, con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora a esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa.

Il contratto di rete è soggetto a iscrizione nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante e l’efficacia del contratto inizia a decorrere da quando è stata eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori originari.

Grazie alle novità introdotte non sarà necessario, a tal fine, rivolgersi a un notaio, ma sarà sufficiente che siano gli stessi imprenditori a firmare digitalmente il contratto.

Si ricorda, infine, che anche le modifiche al contratto di rete devono essere redatte e depositate per l’iscrizione, a cura dell’impresa indicata nell’atto modificativo, presso la sezione del registro delle imprese presso cui è iscritta la stessa impresa. L’ufficio del registro delle imprese provvede alla comunicazione della avvenuta iscrizione delle modifiche al contratto di rete, a tutti gli altri uffici del registro delle imprese presso cui sono iscritte le altre partecipanti, che provvederanno alle relative annotazioni d’ufficio della modifica.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Vecchie dichiarazioni d’intento fino all’11 febbraio

15 Gennaio 2015

Dal 1° gennaio 2015 dovrà essere l’esportatore abituale a trasmettere la dichiarazione d’intento all’Agenzia delle Entrate. Fino all’11 febbraio 2015 sarà tuttavia possibile continuare a consegnare la dichiarazione al proprio fornitore.

L’Agenzia delle Entrate annuncia che è disponibile il nuovo software aggiornato per la compilazione e il controllo delle nuove dichiarazioni di intento. 
Come noto, infatti, in virtù delle novità introdotte con il D.Lgs. 175/2014, per le operazioni da effettuare a partire dal 1° gennaio 2015, gli esportatori abituali che intendono acquistare o importare senza applicazione dell’IVA devono trasmettere telematicamente all’Agenzia delle Entrate la dichiarazione d’intento.Solo successivamente, la dichiarazione, unitamente alla ricevuta di presentazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate, potrà essere consegnata al fornitore o prestatore oppure in dogana.

Il fornitore, che prima era il soggetto obbligato all’invio della comunicazione, a seguito delle novità introdotte deve solo verificare l’avvenuta trasmissione all’Agenzia delle Entrate prima di effettuare la relativa operazione, pena l’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 7, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 471 del 1997 (dal cento al duecento per cento dell’imposta).
A tal fine, sul sito internet www.agenziaentrate.gov.it è resa disponibile una funzione a libero accesso attraverso la quale, inserendo il codice fiscale del cedente/prestatore, del cessionario/committente, nonché il numero di protocollo della ricevuta telematica, è possibile effettuare il predetto riscontro telematico.
A breve, per i soggetti abilitati ai servizi Entratel o Fisconline sarà inoltre possibile verificare nel proprio cassetto fiscale l’avvenuta presentazione della dichiarazione d’intento da parte del cessionario/committente, unitamente alla ricevuta telematica.

Si ricorda che rimangono invece invariati gli altri adempimenti (si pensi, a tal proposito, all’apposita tenuta del registro da parte del dichiarante e all’indicazione in fattura degli estremi della dichiarazione d’intento).

La disciplina transitoria
Le disposizioni richiamate trovano applicazione per le operazioni senza applicazione d’imposta da effettuare a decorrere dal 1° gennaio 2015, a nulla rilevando la circostanza che l’esportatore abituale abbia già inviato al proprio fornitore o prestatore la lettera d’intento secondo la precedente disciplina.

È però da ricordare che, fino all’11 febbraio 2015, gli operatori possono continuare a consegnare o inviare la dichiarazione d’intento al proprio cedente o prestatore, secondo le vecchie modalità.
In questo specifico caso, il fornitore non dovrà verificare l’avvenuta presentazione della dichiarazione d’intento all’Agenzia delle Entrate.

Questa specifica previsione è stata introdotta al fine di dare piena attuazione ai principi contenuti nello Statuto del contribuente che, all’articolo 3, comma 2, richiede che le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data dell’adozione del provvedimento.

Tuttavia, per le dichiarazioni d’intento che esplicano effetti anche per operazioni poste in essere successivamente all’11 febbraio 2015, vige l’obbligo, a partire dal 12 febbraio 2015, di trasmettere le dichiarazioni in via telematica e di riscontrare l’avvenuta presentazione della dichiarazione all’Agenzia delle Entrate.

La presentazione della dichiarazione d’intento
La dichiarazione d’intento dovrà quindi essere presentata all’Agenzia delle Entrate in via telematica, direttamente, da parte dei soggetti abilitati a Entratel o Fisconline, o tramite i soggetti incaricati (commi 2-bis e 3 dell’articolo 3 del D.P.R. 322/1998).

Sono già presenti, sul sito dell’Agenzia delle Entrate, i modelli e le istruzioni per le nuove dichiarazioni di intento che dovranno essere presentate direttamente dall’esportatore abituale.
Le nuove dichiarazioni si compongono di una prima parte, che rappresenta la vera e propria dichiarazione d’intento, e una seconda parte, dedicata al plafond. Per la consegna al fornitore è consentita la stampa della sola dichiarazione d’intento escludendo il quadro A “Plafond”.

L’aggiornamento

Il software già disponibile sul sito è stato oggetto di un recente aggiornamento, per la correzione di alcuni piccole anomalie, le quali però avevano spesso effetti non indifferenti.

È stato infatti corretto il controllo sulla provincia di nascita che prima impediva di accettare il valore EE, così come è stata corretta l’impostazione del valore 8 del codice carica del rappresentante.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Split payment: risvolti contabili e finanziari

14 Gennaio 2015
Premessa – Con il nuovo meccanismo dello split payment, introdotto dalla Legge di Stabilità 2015, si traslano gli obblighi di versamento dell’imposta, nei rapporti con gli enti pubblici espressamente indicati nel novellato art. 17 – ter, D.P.R. 633/1972, dal soggetto cedente/prestatore all’ente pubblico; quest’ultimo, in luogo di corrispondere l’IVA al soggetto fornitore, la verserà direttamente all’Erario, secondo modalità e termini fissati con decreto del ministro dell’economia di prossima emanazione.Operazioni escluse – Le uniche operazioni escluse dal nuovo meccanismo sono quelle per le quali l’ente pubblico è debitore d’imposta in quanto soggetto agli obblighi di reverse charge e, inoltre, i compensi per prestazioni di servizi assoggettati a ritenute alla fonte a titolo di imposta sul reddito.

Efficacia temporale – La nuova disciplina, come chiarito dal comunicato stampa del Mef (che anticipa il decreto attuativo) n. 7 del 09.01.2015, si applica alle operazioni fatturate a partire dal 1° gennaio 2015, per le quali l’esigibilità dell’imposta si verifichi successivamente alla stessa data.

I risvolti contabili – A partire dal 1° gennaio, dunque, le imprese che intrattengono rapporti con le P.A. dovranno gestire con particolare attenzione le suddette operazioni, tenendo conto che la relativa IVA va annotata nel registro vendite, ma non concorrerà alla liquidazione IVA periodica.

Da un punto di vista pratico, va in primo luogo chiarito casa va indicato in fattura e successivamente procedere ad identificare le relative registrazioni contabili.

In merito al primo aspetto, nella fattura, relativa ad operazioni effettuate a partire dal 1° gennaio 2015, andrà indicato che l’IVA non verrà mai incassata dal cedente ai sensi dell’art. 17 –ter del D.P.R. 633/1972 (split payment). Tale IVA andrà stornata dal totale della fattura.

Ad esempio, se l’impresa emette fattura di 10.000,00 euro + IVA 22%, questa dovrà indicare:

– che l’IVA di euro 2.200,00 sarà versata dal committente ai sensi dell’articolo 17-ter D.P.R. 633/72;
– indicherà il totale fattura per euro 12.200 (10.000,00 + 2.200,00);
– indicherà come netto da pagare euro 10.000,00.

Da un punto di vista contabile, l’impresa registrerà il credito verso l’ente pubblico, annotando in contropartita l’IVA – split payment e la voce di ricavo. Al fine di non far concorrere la suddetta IVA alla liquidazione periodica, l’IVA andrà stornata dal totale del credito acceso verso l’ente pubblico o contestualmente alla registrazione della fattura o con un’apposita scrittura.

In sostanza:

– si registrerà Crediti v/ente pubblico a IVA split payment e Ricavi;

– si stornerà l’IVA con apposita scrittura.

Le fatture emesse nel 2014 continuano a soggiacere al regime naturale dell’esigibilità differita di cui all’articolo 6, comma 5 del D.P.R. 633/72; per tali ultime operazioni all’atto dell’incasso sarà necessario esclusivamente registrare il sorgere del debito IVA e stornare il conto IVA a debito differita.

I risvolti finanziari – Da un punto di vista finanziario, le imprese che hanno come committenti prevalentemente enti pubblici, si troveranno con un costante credito IVA, che certamente potrà causare crisi di liquidità. Per far fronte a tale situazione, l’imminente decreto del ministro dell’Economia dovrà provvedere a inserire i soggetti in questione tra coloro a cui spetta il rimborso IVA in via prioritaria.

In caso di volumi d’affari elevati con le P.A., che portino ad avere eccedenze di credito superiori a euro 700.000,00, si dovrà fai conti con il limite annuale di compensazione.

Per quanto riguarda il limite annuale di compensazione si ricorda che l’art. 9 D.L. 35/2013, a decorrere dal2014, ha aumentato da € 516.456,90 a € 700.000 il limite di crediti fiscali e contributivi che possono essere compensati mediante modello F24.

Altra questione da non sottovalutare è le necessità che per utilizzare l’eccedenza di credito IVA di importo rilevante sarà necessaria l’apposizione del visto di conformità in dichiarazione.

Questi aspetti sono connessi ad altre recenti novità legislative.
Da un lato, l’obbligo dal 2016 (sempre previsto dalla Legge di Stabilità 2015) si presentare la Dichiarazione IVA in forma autonoma entro il 28.02 dell’anno successivo a quello di riferimento.

Dall’altro, la modifica dell’art. 38 – bis del D.P.R. 633/1972 ad opera dell’art. 13 del D.Lgs. Semplificazioni fiscali (D.Lgs. 175/2014, pubblicato nella G.U. 28.11.2014 n. 288) con la modifica pressoché integrale della disciplina in materia di rimborsi Iva. Il novellato co. 1 dell’art. 38 – bis del D.P.R. 633/1972, il quale prevede che:

– i rimborsi previsti nell’art. 30, D.P.R. 633/1972, sono eseguiti, su richiesta fatta in sede di dichiarazione annualeentro 3 mesi dalla presentazione della dichiarazione.

Dunque, il disposto combinato delle richiamate disposizioni prevede l’ottenimento del rimborso IVA entro il 30 maggio dell’anno successivo a quello di riferimento.

Si pone però il problema della eventuale presentazione della garanzia.

Il nuovo art. 38-bis, D.P.R. 633/1972, prevede che i rimborsi eccedenti la soglia di euro 15.000 possano essere eseguiti senza la presentazione della garanzia:
• previa presentazione della relativa dichiarazione o istanza (trimestrale) da cui emerge il credito richiesto a rimborso recante il visto di conformità o la sottoscrizione alternativa dell’organo di controllo;

• a condizione che alla dichiarazione o istanza sia allegata una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, a norma dell’art. 47 D.P.R. 445/2000, che attesti la sussistenza delle seguenti condizioni in relazione alle caratteristiche soggettive del contribuente:

1. il patrimonio netto non è diminuito, rispetto alle risultanze contabili dell’ultimo periodo d’imposta, di oltre il 40%;

2. la consistenza degli immobili non si è ridotta, rispetto alle risultanze contabili dell’ultimo periodo d’imposta, di oltre il 40% per cessioni non effettuate nella normale gestione dell’attività esercitata;

3. l’attività stessa non è cessata né si è ridotta per effetto di cessioni di aziende o rami di aziende compresi nelle suddette risultanze contabili;

4. non risultano cedute, se la richiesta di rimborso è presentata da società di capitali non quotate nei mercati regolamentati, nell’anno precedente la richiesta, azioni o quote della società stessa per un ammontare superiore al 50% del capitale sociale;

5. sono stati eseguiti i versamenti dei contributi previdenziali e assicurativi.

Autore: Rredazione Fiscal Focus

Split payment: nota operativa FNC

13 Gennaio 2015

Fondazione Nazionale Commercialisti

Premessa – Con la nota diffusa dalla Fondazione Nazionale Commerciali (FNC) viene fatto il punto sul meccanismo dello split payment, introdotto dalla Legge di Stabilità 2015, il quale prevede per le cessione di beni e prestazioni di servizi effettuate nei confronti della P.A. che l’imposta sia versata in ogni caso dagli enti stessi secondo modalità e termini fissati con decreto del ministro dell’Economia. 
La FNC ha ritenuto opportuno fornire le linee guida a imprese e P.A., chiarendo le varie questioni controverse relative al nuovo istituto, così da permettere una corretta gestione delle prossime liquidazioni IVA e dei prossimi pagamenti da parte della P.A.

I chiarimenti in merito all’efficacia temporale delle nuove disposizioni – È bene premettere che sulla questione è di recente intervenuto il MEF con il comunicato stampa n. 7 del 09.01.2015 (che anticipa il decreto attuativo attualmente in fase di definizione), fornendo chiarimenti in merito all’efficacia temporale delle nuove disposizioni.
Come evidenziato dalla FNC, nonostante la norma faccia riferimento alle operazioni la cui esigibilità dell’Iva sorge dal 1° gennaio 2015, con il comunicato stampa n. 7 del 09.01.2015, il MEF ha reso noto che nello schema di decreto di attuazione viene precisato che il meccanismo della scissione dei pagamenti si applica alle operazioni fatturate a partire dal 1° gennaio 2015, per le quali l’esigibilità dell’imposta si verifichi successivamente alla stessa data.
Viene in sostanza modificato il testo normativo in merito all’efficacia temporale delle nuove disposizioni, prevedendo l’applicazione dello split payment alle operazioni fatturate a partire dal 1° gennaio 2015, per le quali l’esigibilità dell’imposta si verifichi successivamente alla stessa data, in luogo delle operazioni la cuiesigibilità dell’Iva sorge dal 1° gennaio 2015.
Sottolinea la FNC che a seguito dei citati chiarimenti, lo split payment:
– non si applica alle operazioni fatturate entro il 31.12.2014, comprese quelle in regime di esigibilità differita ai sensi dell’articolo 6, comma 5 del D.P.R. 633/72 effettuate nel 2014 con incasso successivo al 1° gennaio 2015;
– si applica alle operazioni fatturate a partire dal 1° gennaio 2015 per le quali l’esigibilità dell’imposta si verifichi successivamente a tale data.

In sostanza:
– le fatture emesse nel 2014 continuano a soggiacere al regime naturale dell’esigibilità differita di cui all’articolo 6, comma 5 del D.P.R. 633/72;
– quelle emesse a partire dal 2015 sono invece sottoposte allo split payment.

Split payment ad ampio raggio
 – Altro chiarimento fornito dalla FNC riguarda l’ambito applicativo della nuova disposizione.

Se infatti da un lato c’era chi sosteneva che lo split payment trovasse applicazione solo per gli acquisti effettuati dalla P.A. nello svolgimento dell’attività commerciale, altra tesi aderente al dettato normativo riteneva applicabile la nuova disposizione a tutti gli acquisti effettuati dalla P.A., sia nella veste istituzionale che commerciale.

La FNC ha ritenuto prevalente la seconda tesi, ovvero quella in base alla quale sono da assoggettare allo split payment tutti gli acquisti effettuati dalla P.A., sia che agiscano nella veste istituzionale che commerciale, a eccezione di quelli per i quali l’ente è debitore d’imposta in quanto soggetto agli obblighi di reverse charge.

A parere della FNC, infatti, il riferimento effettuato nel comunicato stampa del MEF n. 7 del 09.01.2015 alle pubbliche amministrazioni acquirenti di beni e servizi, ancorché non rivestano la qualità di soggetto passivo dell’IVA, porta a sposare la rigorosa lettura della norma e ad estendere il nuovo meccanismo a tutti gli acquisti effettuati dalla P.A.

La gestione contabile delle operazioni 
– Vengono inoltre chiarite le modalità operative per l’emissione delle fatture nei confronti della P.A. a partire dal 1° gennaio 2015. Il FNC chiarisce che il fornitore dovrà emettere fattura, per le operazioni poste in essere a partire dal 1° gennaio, con la rivalsa dell’IVA, indicando che tale imposta non verrà mai incassata ai sensi dell’art. 17 –ter del D.P.R. 633/1972 (split payment); l’imposta indicata in fattura verrà regolarmente registrata in contabilità dal cedente e andrà stornata o contestualmente alla registrazione della fattura o con un’apposita scrittura dal totale del credito accesso verso l’ente pubblico.

Altri chiarimenti – Da evidenziare inoltre che a parere della FNC il nuovo istituto trova applicazione in riferimento esclusivamente agli enti pubblici elencati nel novellato art. 17 –ter, D.P.R. 633/1972. A tal proposito viene sottolineato che “analogamente a quanto previsto per la normativa sulla esigibilità differita,ex art. 6, co. 5, D.P.R. 633/1972, l’elenco previsto dalla norma non sarebbe estendibile per analogia ad altri enti pubblici, salvo che il decreto del ministro dell’economia, per pure esigenze di gettito, non effettui un’interpretazione estensiva della norma”.

Si segnala inoltre che a parere della FNC, lo split payment NON trova applicazione per le cessioni di crediti nei confronti della P.A. relativi a fatture ad esigibilità differita, ceduti anteriormente al 1° gennaio 2015, in quanto il nuovo meccanismo si applica esclusivamente alle fatture emesse a partire dal 1° gennaio 2015 per le quali l’esigibilità dell’imposta si verifica successivamente a tale data.

Viene infine segnalato la possibilità per le P.A. di sospendere i versamenti dell’imposta trattenuta ai fornitori fino al 31.03.2015, che dovrà comunque essere effettuata entro il 16 aprile 2015.

Rimborsi IVA: semplificazioni “retroattive”

 

2 Gennaio 2015

C.M. 32/E/2014

Con la Circolare 32/E del 30.12.2014, l’Amministrazione Finanziaria ha fornito chiarimenti in merito alle nuove regole per i rimborsi IVA, dopo le modifiche operate dall’art. 13 del Decreto semplificazioni fiscali(D.Lgs. 175/2014).

Considerando che il D.Lgs. Semplificazioni fiscali è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 277 del 28.11.2014, S.O. n. 90, a più di un mese dalla sua approvazione, avvenuta nel CDM del 30.10.2014, questo è entrato in vigore il 13.12.2014.

Nella C.M. 32/E/2014 sono stati forniti importanti chiarimenti sull’applicazione delle nuove regole sui rimborsi in corso alla data di entrata in vigore del Decreto semplificazioni, distinguono in base agli importi chiesti in restituzione.

Per quanto riguarda le richieste di rimborso in corso al 13 dicembre 2014 di importo superiore a euro 5.164,57 (precedente soglia che esonerava dalla presentazione di polizze fideiussorie), ma inferiore a 15.000 euro, queste potranno beneficiare della nuova soglia di esenzione, pari a euro 15.000,00, con conseguente azzeramento degli adempimenti.

In particolare, l’ufficio o l’agente della riscossione non procede a richiedere la garanzia successivamente all’entrata in vigore della nuova disposizione. Nel caso in cui alla stessa data la garanzia sia stata già richiesta, laddove il contribuente non vi abbia già provveduto non è tenuto a presentarla. Per i rimborsi di importo superiore a 15.000 euro già richiesti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo, se la dichiarazione è munita del visto di conformità (o della sottoscrizione del revisore) e non sussistono le condizioni di rischio che impongono comunque la prestazione della garanzia ex articolo 38-bis, comma 4, del D.P.R. 633/1972, è possibile presentare (all’ufficio o all’agente della riscossione) la dichiarazione sostitutiva di atto notorio (e copia del documento d’identità di chi la sottoscrive) attestante le condizioni di solidità patrimoniale, continuità aziendale e regolarità contributiva, evitando così la garanzia.

In questo caso, la sussistenza dei requisiti e delle condizioni previste per l’apposizione del visto di conformità e la presentazione della dichiarazione sostitutiva deve essere verificata con riferimento alla data di entrata in vigore del decreto legislativo (13.12.2014) e non alla data di richiesta del rimborso, in modo che la valutazione del rischio tenga conto della situazione attuale del contribuente.

Si precisa che la disciplina introdotta dal nuovo articolo 38-bis non esplica effetti sui rapporti per i quali la procedura di erogazione del rimborso sia già conclusa, pertanto le garanzie prestate in corso di validità non possono essere restituite per i rimborsi già erogati all’entrata in vigore del decreto legislativo.

Nel caso in cui sia intervenuta la sospensione degli interessi a seguito di ritardo nella consegna della garanzia, il periodo di sospensione termina e gli interessi riprendono a decorrere dalla data della presentazione della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, sempreché la dichiarazione rechi il visto di conformità o la sottoscrizione alternativa.

Autore:
Redazione Fiscal Focus

Il governo accelera sullo Spid, Madia: “Tre milioni di utenti nel 2015”

Il ministro della PA e Semplificazione: “Identità digitale e anagrafe unica assi portanti dell’Agenda digitale”. Nel 2017 previsti dieci milioni di cittadini dotati di pin unico

di F.Me.

Lo Spid, il sistema pubblico per la gestione dell’identità digitale di cittadini ed imprese, “insieme all’anagrafe unica rappresenta lo strumento portante dell’agenda per la semplificazione”. Così il ministro della Semplificazione e PA, Marianna Madia, durante un’audizione in Commissione Semplificazione che aggiunge come per lo “Spid o pin unico, il risultato atteso è di avere tre milioni di utenti con l’identità digitale entro settembre 2015 e dieci per dicembre 2017”.

Lo scorso 9 dicembre è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il testo del decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri del 24 ottobre, quello che definisce le caratteristiche del sistema pubblico per la gestione dell’identità digitale di cittadini e imprese, il cosiddetto Spid, e i tempi di adozione del sistema per pubbliche amministrazioni e imprese. Il decreto è in sintesi il provvedimento legislativo che dà attuazione a una delle norme principali che compongono l’agenda digitale italiana.

Nello specifico lo Spid, Sistema pubblico dell’identità digitale, è un insieme di credenziali per accedere in rete a tutti i servizi della PA e quelli degli operatori commerciali che man mano aderiranno.

A metà novembre il ministro Marianna Madia aveva presentato la roadmap per l’identità digitale, con l’accordo tra Stato, Regioni e Comuni. La tabella di marcia prevede due fasi, la prima scatterà ad aprile del 2015 per arrivare al 2017 con 10 milioni di utenti collegati, ovvero un italiano su sei.

In un tweet il ministro, con l’hashtag #Repubblicasemplice, sintetizzava così l’accordo raggiunto in Conferenza unificata: “tempi certi su digitale, fisco, welfare, edilizia, impresa”. Cinque capitoli quindi che raccolgono le semplificazioni di cui si parla da molti anni con alcune novità come la dichiarazione di successione online, con riduzione di tempi e oneri (basterà un adempimento unico per denuncia di successione, voltura catastale e trascrizione).

Il Sistema pubblico per la gestione dell’identità digitale di cittadini e imprese (Spid) mira a consentire al cittadino, una volta espletate le procedure di autenticazione con uno dei soggetti coinvolti, di usufruire di tutti i servizi online forniti da tutti gli altri autenticatori che hanno aderito alla rete, senza dover ogni volta adottare una procedura differente. Per fare un esempio: se un utente richiede all’impresa X, autenticatore privato, delle credenziali, potrebbe usarle per accedere ai servizi del Comune Y o dell’amministrazione Z, anch’essi nella rete Spid.

Si verrà dunque a creare una rete di autenticatori, che dovrà sottostare a regole, procedure e controlli delle credenziali e degli strumenti di accesso in rete nei riguardi di cittadini e imprese.

L’identità digitale che va intesa come un ecosistema innovativo a cui partecipano diversi attori, primo fra tutti il cittadino, il quale potrà ottenere una o più identità digitali. Il sistema è di fatto l’equivalente di un Passaporto Digitale, che conterrà alcune informazioni identificative obbligatorie, come il codice fiscale, il nome, il cognome, il luogo di nascita, la data di nascita e il sesso. Oltre a queste informazioni, l’identità conterrà altre informazioni come un indirizzo di email e un numero di telefono, utili per poter comunicare con il soggetto titolare dell’Identità. Oltre a queste informazioni, l’Identità conterrà una o più credenziali, utilizzate per poter accedere ai servizi in modo sicuro.

Il secondo attore è il Gestore delle Identità. Il Gestore è un soggetto pubblico o privato che, previo accreditamento presso l’Agenzia per l’Italia Digitale, si occuperà di creare e gestire le Identità Digitali. Oltre ai Gestori di Identità, sono previsti i Gestori di Attributi qualificati, ovvero soggetti che per legge sono titolati a certificare alcuni attributi, come un titolo di studio, una abilitazione professionale, ecc.

Il cittadino potrà utilizzare l’Identità Digitale sui “Gestori di Servizi”. I Gestori di Servizi saranno tutte le pubbliche amministrazioni, ovvero tutti quei soggetti privati che decideranno di aderire a Spid in maniera volontaria.

Il cittadino che desidera ottenere una Identità Digitale, si dovrà rivolgere ad uno dei Gestori di Identità Digitale accreditati. Il Gestore per poter fornire una Identità Digitale dovrà procedere con un riconoscimento forte del cittadino, attraverso una verifica de-visu.

Nel caso in cui il  cittadino disponga già di una Identità Digital Spid oppure già in possesso di una Carta d’Identità Elettronica attiva o di una Carta Nazionale dei Servizi o di una Tessera Sanitaria con Carta Nazionale dei Servizi, potrà richiedere un’Identità Spid direttamente on-line, poiché il Gestore dei Servizi potrà usufruire della verifica de-visu e degli attributi già effettuata. Al momento della creazione dell’Identità Digitale, il cittadino verrà fornito di una o più credenziali di sicurezza.

 

Locazioni: news per la deduzione del 20% del compra-affitta

5 Gennaio 2015
La nuova deduzione del 20% dedicata alla persone fisiche che hanno acquistato o acquisteranno dal 1° gennaio al 31 dicembre 2017 immobili di tipo abitativo nuovi e destinati alla locazione, viene limitata agli immobili che risultino invenduti alla data del 12 novembre 2014, data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto.

Le linee guida dell’incentivo previsto dall’art. 21 del dl 12 settembre 2014, n. 133 (c.d. Decreto «Sblocca – Italia»), durante la fase di conversione in legge hanno subito rilevanti modifiche, a partire dalle disposizioni iniziali che prevedevano solo che gli immobili venissero ceduti direttamente dalle imprese di costruzione o derivassero da ristrutturazione immobiliare.
Le delibere finali, infatti, ricomprendono tra le altre la clausola che gli immobili devono essere rimasti invenduti alla data di entrata in vigore (12 novembre 2014) della Legge 164 di conversione, agevolando lo smaltimento dell’“invenduto” dei costruttori. A far fede la data del rogito notarile essendo di nessun conto eventuali acconti versati.

Secondo quanto disposto dalla norma, è fondamentale che l’immobile, appaia tra le rimanenze di bilancio della ditta costruttrice, affinché spetti la deduzione. La persona fisica intenzionata all’acquisto e che non conosce la situazione degli immobili alla data suddetta, potrà essere messa a conoscenza del fatto che l’immobile sia un invenduto attraverso una dichiarazione resa dal costruttore, consentendo così al potenziale acquirente di usufruire del bonus.

A tale limite, se ne aggiungono altri di non poco conto:
o l’immobile non deve trovarsi in zone omogenee classificate E, ai sensi del decreto del ministro dei Lavori pubblici n. 1444 del 2 aprile 1968 (parti del territorio destinate a usi agricoli);
o l’immobile non deve essere classificato o classificabile nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 ossia tra gli immobili di lusso, signorili o di pregio;
o l’immobile deve conseguire prestazioni energetiche certificate in classe A o B ai sensi dell’allegato 4 delle Linee guida nazionali per la certificazione energetica (decreto del ministro dello sviluppo economico 26 giugno 2009) o della normativa regionale;
o il canone di locazione non deve essere superiore a quello indicato nelle convenzioni-tipo comunali ai fini del rilascio del permesso di costruire (art. 18 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), ovvero non superiore al minore importo tra il canone definito dagli appositi accordi effettuati in sede locale fra le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative (art. 2, co. 3, della Legge 9 dicembre 1998, n. 431) e quello stabilito per i contratti di locazione a canone speciale (art. 3, co. 114, della Legge 24 dicembre 2003, n. 350);
o tra locatore e locatario non devono esistere rapporti di parentela entro il primo grado (genitore – figlio);
o l’immobile, entro sei mesi dall’acquisto o dal termine dei lavori di costruzione, deve essere dato in locazione per almeno otto anni continuativi; tuttavia, il beneficio non si perde nel caso in cui la locazione si interrompa, per motivi non imputabili al locatore, ed entro un anno venga stipulato un nuovo contratto.

La deduzione introdotta con la legge Sblocca Italia spetta nella misura del 20 per cento del prezzo di acquisto dell’immobile nel limite massimo di 300.000 euro.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Black list: comunicazione con vecchie regole

22 Dicembre 2014

Art. 21 del D.Lgs semplificazioni fiscali

Con il comunicato stampa del 19.12.2014, l’Amministrazione Finanziaria ha fornito importanti chiarimenti in merito alla nuova decorrenza delle disposizioni dell’art. 21 del D.lgs. 175/2014 (meglio noto come Decreto semplificazioni);la richiamata disposizione ha riscritto l’articolo 1 del D.L. 98/2010, cambiando la periodicità della comunicazione delle cessioni e prestazioni di servizi effettuate e ricevute, registrate o soggette a registrazione nei confronti di operatori Black list, che diventa annuale (in luogo della precedente comunicazione mensile o trimestrale), innalzando inoltre la soglia di esenzione a 10.000,00 euro.

L’efficacia delle nuove norme riguarda le operazioni “poste in essere nell’anno solare in corso alla data di entrata in vigore” del provvedimento (13.12.2014) e dunque già a partire dal 2014.

Di conseguenza, sembrava ipotizzabile che i soggetti obbligati dovessero presentare una comunicazione riepilogativa del 2014.

Considerando l’effetto retroattivo delle disposizioni, si pensava non fosse più necessario procedere all’invio delle comunicazioni mensili di novembre (che scade il 31 dicembre) e dicembre né quella relativa all’ultimo trimestre 2014 (entro il 12 Febbraio 2015), in quanto tutte le operazioni sarebbero state riepilogate nella comunicazione 2015 contenente tutte le operazioni effettuate nel 2014 “sopra soglia”.

Tale interpretazione, tuttavia, avrebbe richiesto che la comunicazione annuale comprendesse tutte le operazioni sopra la soglia di esenzione effettuate nel 2014 con controparti “paradisiache”, con una duplicazione della comunicazione, in quanto oggetto di comunicazione avrebbero dovuto essere anche le operazioni già comunicate nei mesi da gennaio a ottobre per i contribuenti mensili e nei primi tre trimestri per quelli trimestrali.

Per evitare tale duplicazioni di adempimenti, compatibilmente con quanto previsto dall’art. 6, co. 4, dello statuto del contribuente, ai sensi del quale non possono essere chiesti ai contribuenti dati già in possesso dell’Amministrazione Finanziaria, nel suddetto comunicato stampa è stato chiarito che “per evidenti finalità di semplificazione e per consentire gli adempimenti dell’intero anno 2014 secondo le regole già adottate per la maggior parte dell’anno, i contribuenti possono continuare a effettuare le comunicazioni mensili o trimestrale secondo le regole previgenti fino alla fine del 2014; tali comunicazioni saranno ritenute pienamente valide anche secondo le nuove modalità”.

Ciò significa che per le operazioni effettuate a novembre e dicembre, o nell’ultimo trimestre 2014, è possibile (facoltà) procedere all’invio della comunicazione delle operazioni con controparte black listseguendo le regole ante decreto semplificazioni (compresa la soglia dei 500,00 euro) e dunque secondo le vecchie scadenze.

Queste comunicazioni saranno ritenute pienamente valide anche secondo le nuove modalità e, pertanto, non vi sarà necessità di procedere all’ulteriore invio della nuova comunicazione annuale sul 2014.

Chi invece non dovesse procedere in tal senso pare sia obbligato a presentare la comunicazione annuale black list 2015 (periodo d’imposta 2014) comprendente tutte le operazioni sopra soglia (10.000,00 euro) effettuate nel 2014.

Autore: Redazione Fiscal Focus

VIES: iscrizione immediata

16 Dicembre 2014
Con il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 159941 del 15.12.2014, in attuazione dell’art. 22 del Decreto semplificazioni fiscali (D.Lgs. 175/2014), sono state definite le modalità per l’inclusione immediata nell’archivio VIES (Vat information exchange system) per chi apre una partita Iva o anche successivamente, senza più dover attendere 30 giorni di tempo, con la possibilità dunque di effettuare fin da subito operazioni con gli altri Paesi UE.

Si ricorda che con l’art. 22 del Decreto semplificazioni fiscali (D.Lgs. 175/2014), è stato riscritto l’art. 35 del D.P.R. 633/1972, prevedendo che con l’esercizio dell’opzione per l’inclusione nell’archivio VIES, o al momento di presentazione della Dichiarazione di inizio attività o in un momento successivo, con modalità da stabilirsi con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, il soggetto viene automaticamente incluso nell’archivio VIES e può iniziare da subito a effettuare operazioni intracomunitarie (senza attendere 30 giorni).

Nella previgente normativa, l’iscrizione all’archivio VIES poteva avvenire o al momento di presentazione della Dichiarazione di inizio attività o in un momento successivo. Tale iscrizione diveniva efficace decorsi 30 giorni dalla presentazione della richiesta, tranne il caso in cui nel medesimo termine l’Amministrazione Finanziaria emanasse un provvedimento motivato di diniego, che precludeva l’inserimento nel Vies. Ciò che si vuole evidenziare è che la soggettività attiva e passiva all’effettuazione di operazioni intracomunitarie era sospesa nel periodo di 30 giorni dall’effettuazione della richiesta, ovvero dopo la notifica del diniego.

Con il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 159941 del 15.12.2014 sono state definite le modalità per l’inclusione immediata nell’archivio VIES (Vat information exchange system) per chi apre una partita Iva o anche successivamente, senza più dover attendere 30 giorni di tempo, con la possibilità, dunque, di effettuare fin da subito operazioni con gli altri Paesi UE .

L’esercizio dell’opzione all’apertura della partita IVA –
 I paragrafi 1.1. e 1.2 del citato Provvedimento stabiliscono che per esercitare l’opzione per l’inclusione nell’archivio VIES al momento di apertura della partita IVA, basta compilare nella dichiarazione inizio attività il campo “Operazioni Intracomunitarie” del quadro I dei modelli AA7 (soggetti diversi dalle persone fisiche) o AA9 (imprese individuali e lavoratori autonomi). Gli enti non commerciali non soggetti Iva esprimono l’opzione selezionando la casella “C” del quadro A del modello AA7.

Viene stabilito altresì che tutti i contribuenti interessati a eseguire operazioni commerciali con altri Paesi dell’Unione Europea, che hanno richiesto al Fisco l’autorizzazione a partire da 30 giorni fa (15.11.2014) senza ricevere diniego dall’Agenzia, sono automaticamente iscritti nell’elenco Vies dal 15.12.2014 (paragrafo 2.3 del provvedimento).

I soggetti già titolari di partita IVA – Anche per i soggetti già titolari di partita IVA, che esercitano l’opzione per l’inclusione nell’archivio VIES vengono inclusi nel momento in cui esprimono tale opzione.

I soggetti già titolari di partita IVA, ivi compresi i soggetti non residenti identificati direttamente ai fini IVA ai sensi dell’articolo 35-ter del D.P.R. n. 633 del 1972, possono:
a) esprimere l’opzione per effettuare operazioni intracomunitarie utilizzando le apposite funzioni rese disponibili nei servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate, direttamente, da parte dei soggetti abilitati a Entratel o Fisconline, o tramite i soggetti incaricati di cui ai commi 2-bis e 3 dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322;
b) comunicare, con le modalità di cui alla precedente lettera a), la volontà di retrocedere da tale opzione.

Per i soggetti già in possesso di partita IVA che intendono esercitare l’opzione per l’inclusione nell’archivio VIES si ricorda che l’Agenzia delle Entrate con il comunicato stampa del 26.03.2014 ha reso noto l’attivazione del nuovo servizio che consente ai soggetti già titolari di partita Iva, abilitati a Fisconline o Entratel, di richiedere direttamente in via telematica la propria iscrizione nell’archivio VIES.
Utilizzando il nuovo servizio on line basta indicare nel campo dedicato la propria partita Iva, “candidata” a entrare nell’elenco Vies.

I controlli dell’Agenzia delle Entrate – L’Amministrazione Finanziaria potrà effettuare i necessari controlli volti a verificare l’esattezza dei dati del contribuente ed eventualmente cancellare il soggetto dall’archivio VIES ed inoltre decretare la cessazione della partita Iva se i dati forniti dal contribuente sono non veritieri, incompleti o inesatti, come previsto anche dell’art. 23 del regolamento UE n. 904/2010.

Se il soggetto non presenterà gli Elenchi Intrastat, per quattro trimestri successivi all’inclusione nell’archivio VIES successivamente alla data di entrata in vigore del Decreto legislativo n. 175 del 21 novembre 2014. (sintomo di non effettuazione di operazioni intracomunitarie) verrà automaticamente cancellato dall’archivio.

L’esclusione dall’archivio Vies dovrà essere preceduta da una comunicazione delle Entrate, con l’obiettivo di instaurare un contradditorio con il contribuente che potrà giustificare le eventuali ragioni della mancata presentazione degli elenchi, evitando così l’estromissione dalla banca dati.

Al punto 3.2 del Provvedimento si chiarisce che l’esclusione dalla banca dati è effettuata a cura della Direzione provinciale competente in ragione del domicilio fiscale del contribuente, previo invio di un’apposita comunicazione, e ha effetto dal sessantesimo giorno successivo alla data della comunicazione.

Autore: Redazione Fiscal Focus

IVA 2013: il pagamento entro il 29 dicembre esclude il reato

15 Dicembre 2014
Il prossimo 29 dicembre 2014 (il 27 dicembre cade di sabato) rappresenta il termine ultimo per la liquidazione e il versamento dell’acconto IVA 2014. Il suddetto termine rappresenta inoltre il termine ultimo per il versamento del debito IVA 2013, onde evitare sanzioni penali qualora l’imposta non versata fosse superiore a euro 50.000.

Configurazione reato di omesso versamento IVA – L’art. 10 ter, D.Lgs. 74/2000 
dispone quanto segue:
La disposizione di cui all’articolo 10-bis – omesso versamento ritenute – si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo”.

Gli elementi necessari per la configurazione del delitto, sono individuati:
• nella presentazione della dichiarazione IVA da cui risulti indicato un saldo Iva di importo superiore a 50.000,00 euro;
• mancato versamento entro il termine di versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo.

La presentazione della dichiarazione è il presupposto ineludibile ai fini integrativi del reato, anche perché il dato letterale della norma si riferisce a “chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale”.
Anche motivi legati all’impostazione sistematica del dato normativo inducono a ritenere che sia necessaria la presentazione della dichiarazione: il mancato versamento dell’imposta, laddove non venga presentata la dichiarazione Iva, è già previsto e sanzionato dall’art. 5 del D.Lgs. n. 74/2000 (“Omessa dichiarazione”). Di conseguenza, una diversa interpretazione porterebbe a un’inammissibile sovrapposizione tra la fattispecie de qua e quella ex art. 5, D.Lgs. 74/200.
La dichiarazione, affinché risulti idonea ai fini integrativi dell’ipotesi in esame, è necessario che sia presentata in maniera fiscalmente valida. Se ciò non avviene, essa dovrà essere considerata omessa: in tal caso è eventualmente integrabile il delitto ex art. 5, D.Lgs. 74/2000.
Per quanto riguarda il secondo elemento costitutivo del reato, l’art. 10-ter in materia d’IVA prevede che la rilevanza penale degli omessi versamenti si verifica solo laddove questi si protraggano fino al termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo (generalmente il 27 dicembre; quest’anno il 27 dicembre cade di sabato e pertanto la scadenza slitta al 29 dicembre).

Per la sussistenza del delitto è necessario che l’Iva dovuta in base alla dichiarazione annuale e non versata ammonti a una somma che risulti “superiore a euro cinquantamila per ciascun periodo di imposta”. Con l’aumento dell’aliquota IVA ordinaria, efficace dal 1° ottobre 2013, è più facile raggiungere tale soglia. Se infatti prima, per le attività a imposta ordinaria del 21%, era necessario un imponibile di circa 239mila euro, ora basteranno 227mila euro.

Per quanto riguarda le soglie di punibilità, la dottrina ha evidenziato che il reato in questione può configurarsi soltanto con riferimento all’Iva autodichiarata dallo stesso contribuente e che pertanto non rileva l’eventuale maggiore imposta accertata dall’Ufficio.
Tuttavia, altra parte della dottrina ritiene che il reato di “omesso versamento di Iva” risulti senz’altro configurabile anche in alcune ipotesi in cui, dal punto di vista tributario, la debenza delle somme si fonda sull’attività di accertamento dell’Amministrazione Finanziaria.

Da un punto di vista pratico, a titolo esemplificativo, per chi aveva presentato la Dichiarazione IVA 2013 (periodo d’imposta 2012) con un debito superiore a 50.000,00, senza effettuare il relativo versamento o comunque effettuare un versamento parziale che riduceva il debito al di sotto della soglia di punibilità, si è consumato il reato di omesso versamento dell’IVA lo scorso 27 dicembre 2013. Allo stesso modo, per chi aveva presentato la Dichiarazione IVA 2014 (periodo d’imposta 2013) con un debito superiore a 50.000,00, senza provvedere a versate quanto dovuto o comunque a effettuare un versamento parziale che riduca il debito al di sotto della soglia di punibilità, il reato di omesso versamento dell’IVA si configurerà il 29 dicembre 2014.

La sanzione prevista è la reclusione da sei mesi a due anni e alla sentenza di condanna conseguono, oltre alla pena principale, le pene accessorie stabilite dall’art. 12, comma 1, del D.Lgs. n. 74/2000.

Va rilevato che il reato si ritiene comunque commesso anche se successivamente al 29 dicembre 2014 il contribuente provveda a regolarizzare il versamento.

Il versamento effettuato “dopo il 29 Dicembre” non esclude la configurazione del reato, però il soggetto attivo può usufruire dell’attenuante prevista dall’art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000, norma che prevede la diminuzione fino a un terzo della pena principale prevista ed esclude l’applicazione delle pene accessorie.

Secondo la giurisprudenza di legittimità prevalente, al fine di ottenere, la riduzione della pena, è necessario che l’estinzione integrale del debito avvenga prima dell’apertura del dibattimento. In concreto, quindi, per beneficiare dell’attenuante il contribuente dovrà estinguere le rate prima di tale udienza.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Rateazioni Equitalia con un click

11 Dicembre 2014

Nel nuovo sito di Equitalia rate più semplici

Rateazioni molto più semplici e a portata di click: è questa una delle più importanti novità introdotte con il nuovo sito di Equitalia, che consentirà ai contribuenti di evitare le file agli sportelli o gli inconvenienti delle spedizioni postali.

Il nuovo sito

Il nuovo sito internet del Gruppo Equitalia, www.gruppoequitalia.it, si presenta nettamente migliorato rispetto al precedente, ma oltre al linguaggio più diretto e alla grafica più moderna, spicca la possibilità di poter finalmente richiedere le rateazioni semplicemente via internet, senza doversi recare presso gli sportelli o inviare raccomandate.

Il nuovo servizio è denominato “rateazioni online”, e permette di richiedere direttamente dal web la dilazione dei debiti fino a 50 mila euro.

Questo nuovo strumento si aggiunge agli altri già disponibili e oggi più facili da usare grazie al nuovo sito: “paga online” che consente di saldare i debiti con la carta di credito, “estratto conto” per controllare con maggior dettaglio la propria situazione debitoria e le procedure in corso, “sospensione online”, che in pochi passaggi permette di inviare la richiesta per sospendere la riscossione e attivare la verifica su quanto richiesto dagli enti pubblici creditori, il “trova sportello” e i canali di contatto diretti per chiedere l’assistenza di Equitalia.

Il servizio “rateazioni online”

Con il nuovo servizio offerto sul sito internet di Equitalia è possibile chiedere e ottenere una dilazione per importi fino 50 mila euro direttamente via web, seguendo pochi e semplicissimi passi:

– In primo luogo il contribuente dovrà inserire i propri dati anagrafici;

– Il contribuente dovrà successivamente specificare il documento per cui richiede la dilazione e procedere quindi con la domanda di rateazione;

– Equitalia invierà il piano di ammortamento con i relativi bollettini per effettuare il pagamento.

I debiti di importo superiore a 50.000 euro

La nuova procedura è ammessa solo per i debiti di importo inferiore a 50.000 euro.

Per i debiti superiori a 50 mila euro, infatti, sono necessari alcuni documenti aggiuntivi che attestino la situazione di difficoltà economica del contribuente: in questi casi si rende pertanto necessario utilizzare i canali tradizionali (sportello Equitalia o posta raccomandata).

Dal sito sarà possibile soltanto scaricare i modelli necessari.

Rateazioni sempre più facili

Quanto appena annunciato si aggiunge ad un’altra importante novità annunciata con il comunicato stampa Equitalia del 18 agosto 2014: nel 2015 cominceranno a essere notificate le cartelle con allegati i piani di rateizzazione precompilati del debito che possono essere concessi in base ai parametri previsti dalla legge.

Il contribuente potrà quindi scegliere di saldare in un’unica soluzione oppure aderire al piano di pagamento più adatto alle sue esigenze e alle sue disponibilità economiche.

Autore: Redazione Fiscal Focus

 

 

Voucher: le registrazioni contabili in tre fasi

2 Dicembre 2014
La regolamentazione delle prestazioni di lavoro occasionale di tipo accessorio è stata introdotta dalla Manovra d’estate 2008 (D.L. n. 112/08, convertito in L. n. 133/08) e ha riconosciuto l’Inps quale concessionario del servizio.

Il voucher disponibile sia in forma cartacea che telematica, è un “buono lavoro”che viene utilizzato per il pagamento di lavoratori che svolgono un servizio in modo saltuario al netto di trattenute previdenziali e assistenziali obbligatorie.

Il valore nominale è da intendersi al lordo della contribuzione a favore della gestione separata INPS, di quella in favore dell’INAIL e di una quota per la gestione del servizio.
Ne consegue che il valore netto di un voucher da 10 euro nominali, in favore del lavoratore è pari a € 7,50 (per il buono da 50 euro sarà invece di € 37,50) e corrisponde al compenso minimo di un’ora di prestazione, salvo che per il settore agricolo, dove, in ragione della sua specificità, si considera il contratto di riferimento. In sostanza ogni buono-voucher incorpora sia l’assicurazione anti-infortuni dell’INAIL che il contributo INPS, il quale viene accreditato sulla posizione individuale contributiva del lavoratore che, ove non presente, sarà aperta d’ufficio dall’istituto.

Il buono può essere riscosso dal lavoratore presso tutti gli uffici postali, il valore nominale di ogni singolo voucher è pari a 10 euro. È previsto un carnet o “buono multiplo” del valore di 50 euro, equivalente a cinque buoni non separabili.

Tuttavia, lo svolgimento di prestazioni di lavoro occasionale accessorio non dà diritto alle prestazioni a sostegno del reddito dell’Inps, quali la disoccupazione, la maternità, la malattia, gli assegni familiari, ecc., ma è riconosciuto ai fini del diritto alla pensione.
Di qui nasce una particolare caratteristica delle registrazioni nel caso in cui il datore di lavoro sia obbligato alla tenuta delle scritture contabili.

Gli elementi del buono lavoro sono:
– 10 x 13% = 1,3 contribuzione Inps
– 10 x 7% = 0,70 copertura assicurativa Inail
– 10 x 5% = 0,50 compenso al concessionario Inps
– 10 – 1,3 – 0,70 – 0,50 = €7,50 somma netta per il lavoratore

Contabilmente si possono riconoscere tre fasi:

1. Acquisto dei buoni lavoro presso l’Inps
All’atto dell’acquisto l’azienda dovrà rilevare l’uscita finanziaria e il valore corrispondente del voucher come valori in deposito. Si prenda ad esempio l’acquisto n°10 buoni lavoro:

Cassa voucher ———- a ——– Banca c/c ———- € 100,00

2. Utilizzo della prestazione di lavoro accessorio
Al momento di utilizzo degli stessi si dovrà contabilizzare il costo pari a quanto erogato al lavoratore per la sua prestazione, tenendo presente il principio di competenza. Poniamo ad esempio venga utilizzato n° 1 buono lavoro:

Diversi ———————————– a ————– Cassa voucher ——– € 10,00
costo lavoro accessorio ————————————————————– € 7,50
contributi Inps lavoro accessorio ————————————————- € 1,30
costo Inail lavoro accessorio —————————————————— € 0,70
compenso concessionario Inps ————————————————– € 0,50

3. Restituzione all’Inps dei buoni lavoro non utilizzati
Se l’azienda non utilizzerà tutti i buoni lavoro, li potrà restituire all’Inps in cambio della somma corrispondente. Poniamo ad esempio che vi sia la restituzione di n° 9 buoni lavoro non utilizzati:

Banca c/c —————- a ———– Cassa Voucher ———– € 90,00

Autore: Redazione Fiscal Focus

L’opzione per la trasparenza direttamente in dichiarazione

 

27 Novembre 2014
Il regime di trasparenza fiscale è quello tipico delle società di persone; permette di tassare il reddito della società direttamente in capo ai soci, e indipendentemente dalla distribuzione degli utili.
Questo regime fiscale può essere adottato, al sussistere di particolari requisiti, anche dalle società di capitali. Il vantaggio per queste ultime è evidente: si evita la doppia tassazione prevista per le società di capitali, dove il reddito conseguito viene prima tassato in capo alle società e poi in capo al socio una volta distribuito il dividendo.

Per applicare il regime di trasparenza fiscale alle società di capitali, deve trattarsi di:
• società di capitali i cui soci sono altre società di capitali (art. 115 del Tu.i.r.);
• s.r.l. i cui soci sono esclusivamente persone fisiche (art. 116 del Tu.i.r.).

L’opzione per il regime di trasparenza ha effetto dall’inizio dell’anno nella quale è manifestata, è vincolante per un triennio e può essere rinnovata per i trienni successivi.

L’opzione fino a tutto il 2014 viene esercitata:
– da tutti i soggetti (società e soci) che intendono adottare il regime di trasparenza;
– entro la fine del primo dei tre periodi d’imposta interessati.

Pertanto, per una S.r.l. con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare e con riferimento al triennio 2012 – 2014, l’opzione andava esercitata entro il 31.12.2012.

In caso di rinnovo è necessario che esso sia espressamente manifestato sia dai soci che dalla società. In assenza della comunicazione da parte della società, il rinnovo (così come l’opzione) non può considerarsi perfezionato, a nulla rilevando l’eventuale comportamento concludente osservato dalla società e dai soci.
Come precisato dall’Agenzia delle Entrate nella Risoluzione 21.6.2007, n. 142/E, la società può effettuare l’opzione solo se, a monte, tutti i soci hanno inviato alla società la raccomandata con ricevuta di ritorno con cui dichiarano l’adesione al regime.

Con il via libera da parte del Consiglio dei ministri dello scorso 30 ottobre, il decreto legislativo sulle semplificazioni fiscali agli artt. 16 e 17 intende accentrare la comunicazione relativa all’esercizio dell’opzione con la dichiarazione dei redditi. In tal modo si eviterà di compilare un modello di comunicazione separato, come attualmente previsto.
La nuova modalità dell’opzione entrerà in vigore solo a partire dal 2015.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Società di persone: nuove scadenze di versamento delle imposte

26 Novembre 2014

Grazie al Decreto semplificazioni, si avranno nuovi termini di versamento delle imposte pre-operazione straordinaria e nuove modalità di presentazione della dichiarazione.

Con il c.d. Decreto semplificazioni, approvato lo scorso 30 ottobre 2014 e in corso di pubblicazione in G.U., sono stati modificati i termini di versamento delle imposte per le società di persone, qualora abbiano posto in essere operazioni straordinarie.
È comunque necessario attendere la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e quindi la successiva entrata in vigore del decreto, prima di poter applicare tali norme.

La norma – L’art.17 del decreto legislativo, nella sua versione definitiva, prevede quanto segue:
– comma 1 All’art. 1, comma 1, del regolamento di cui al d.P.R. 22 luglio 1998, n.322 e successive modificazioni, le parole ‘relativamente ai soggetti di cui all’art. 2, comma 2’ sono soppresse.
– comma 2 All’articolo 17, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 7 dicembre 2001, n. 435, e successive modificazioni, il primo periodo è sostituito dal seguente: ‘1. Il versamento del saldo dovuto con riferimento alla dichiarazione dei redditi ed a quella dell’imposta regionale sulle attività produttive da parte delle persone fisiche, e delle società o associazioni di cui all’articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, compresa quella unificata, è effettuato entro il 16 giugno dell’anno di presentazione della dichiarazione stessa; le società o associazioni di cui all’articolo 5 del citato testo unico delle imposte sui redditi, nelle ipotesi di cui agli articoli 5 e 5-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322 effettuano i predetti versamenti entro il giorno 16 del mese successivo a quello di scadenza del termine di presentazione della dichiarazione’
”.

Il comma 1, dunque, interviene sull’articolo 1, comma 1 del D.P.R. 322/1988 che disciplina le modalità di redazione e sottoscrizione delle dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP. Espungendo il riferimento ai soli soggetti IRES, la norma consente l’utilizzo dei modelli di dichiarazione approvati nel corso dello stesso anno solare, nel quale si chiude l’esercizio sociale, anche alle società di persone ed enti equiparati con periodo d’imposta non coincidente con l’anno solare.

Il comma 2, riformulando il primo periodo dell’articolo 17, comma 1, del D.P.R. 435/2001, nelle ipotesi di operazioni straordinarie (liquidazione, trasformazione, scissione e fusione – si tratta delle ipotesi di cui agli articoli 5 e 5-bis del D.P.R. 22 luglio 1988, n. 322) che coinvolgono società di persone o associazioni prevede che il versamento del saldo dovuto con riferimento alla dichiarazione dei redditi e a quella dell’IRAP è effettuato entro il giorno 16 del mese successivo a quello di scadenza del termine di presentazione della dichiarazione.
Il comma 2 introduce di fatto un termine mobile per il versamento del saldo dovuto, con riferimento alla dichiarazione dei redditi e a quella IRAP, da parte delle società semplici ed equiparate, coinvolte in operazioni straordinarie.
La norma, dopo aver affermato che sono rivisti i termini di versamento per le società di persone, al fine di evitare di dover versare le imposte in largo anticipo, rispetto alla presentazione della dichiarazione, evidenzia che la disposizione in esame non comporta effetti in termini di gettito.
Anche nella relazione illustrativa si legge che con la modifica si evita, in tal modo, ai soggetti di dover versare le imposte in un unico termine fisso, con largo anticipo rispetto alla presentazione della dichiarazione.

Il nuovo termine di versamento: entro il 16 del mese successivo alla presentazione della dichiarazione (del periodo ante-operazione) – Dunque, l’art.17 del decreto semplificazioni prevede che i versamenti dovuti dalla società di persone per il periodo d’imposta precedente quello in cui assume efficacia l’operazione straordinaria, scadano il 16 del mese successivo alla presentazione della dichiarazione, non più entro il 16 giugno dell’anno in cui viene presentata la dichiarazione.
Tale modifica razionalizza la normativa, evitando lo slittamento di un anno nel versamento delle imposte, che si ha per tutte le operazioni divenute efficaci entro il mese di marzo.
La novità riguarda tutte le operazioni straordinarie del tipo liquidazione, trasformazione, fusione e scissione, nelle quali la società dante causa è una società di persone.
Ad esempio, nel caso di trasformazione societaria progressiva, cioè da società di persone a società di capitali o viceversa, la determinazione e il termine di versamento delle imposte va effettuata tenendo conto che:
– l’anno solare viene distinto in 2 periodi d’imposta. La data che fa da spartiacque è quella del deposito presso il registro imprese dell’atto di trasformazione;
– vanno applicati i principi generali in materia di versamento degli acconti alla componente patrimoniale.
Se la data di registrazione dell’atto di trasformazione fosse il 10.05.2013, per il periodo ante-trasformazione, dal 01.01.2013 al 09.05.2013, il termine di presentazione della dichiarazione sarebbe il 28.02.14 (entro la fine del 9° mese data trasformazione) e il termine per il versamento del saldo IRAP sarebbe il 16.06.14 (16.6 dell’anno di presentazione della dichiarazione), secondo la regola prevista per le società di persone.
Grazie al Decreto semplificazioni, la nuova data per la presentazione della dichiarazione rimarrebbe il 28.02.14 (entro la fine del 9° mese data trasformazione), ma il termine di versamento del saldo Irap sarebbe il 16.03.14 (16 del mese successivo alla presentazione della dichiarazione).

Autore: Redazione Fiscal Focus

Società in perdita sistematica: occhio agli acconti!

13/11/2014

L’articolo 18 del Decreto sulle semplificazioni ha introdotto un’importante previsione, secondo la quale potranno considerarsi in perdita sistematica soltanto le società che nei cinque periodi d’imposta precedenti hanno riportato una perdita fiscale oppure in quattro esercizi una perdita fiscale e in uno il reddito imponibile sia stato inferiore al reddito minimo.

In considerazione di quanto appena esposto, pertanto, una società potrà considerarsi in perdita sistematica per l’anno 2014 soltanto se ha riportato una perdita fiscale negli esercizi 2009, 2010, 2011, 2012 e 2013 (o un reddito inferiore a quello minimo in uno degli esercizi e una perdita fiscale negli altri).

Orbene, immaginiamo il caso di una società che era in perdita sistematica nell’anno 2013, per aver registrato una perdita fiscale sia nell’anno 2010 che nel 2011 e 2012.
La stessa società, però, nel 2009 aveva riportato un risultato positivo.
Immaginiamo altresì che, sempre la stessa società, abbia chiuso anche l’esercizio 2013 con una perdita fiscale.
Ebbene, nonostante il perdurare della perdita la società non potrà essere considerata in perdita sistematica nell’anno 2014, pertanto non potranno essere nuovamente applicate tutte le penalizzazioni previste dalla disciplina in oggetto.

Gli effetti sugli acconti
In considerazione delle novità introdotte dal Legislatore dovrà essere attentamente valutata l’opportunità di un ricalcolo degli acconti secondo il metodo previsionale, escludendo quindi tutte le penalizzazioni che la disciplina in tema di perdite sistematiche ha comportato.

Soprattutto per i soggetti Ires, utilizzando il metodo previsionale si dovrà calcolare l’imposta dovuta tenendo presente che:

– potranno essere utilizzate le perdite degli esercizi precedenti (mentre, nel 2013, essendo la società in perdita sistematica, era precluso l’utilizzo delle perdite);

– non dovrà essere calcolata l’imposta applicando la maggiorazione dell’aliquota pari al 10,5% (la quale, come noto, ha portato l’aliquota dal 27,5% al 38%).

L’imposta calcolata con il metodo previsionale non dovrà pertanto tenere in considerazione la maggiorazione Ires applicata, in quanto non più dovuta.
Con riferimento invece alla perdita degli esercizi precedenti, si ricorda che la stessa potrà essere utilizzata solo nel limite dell’80%.

Merita tuttavia di essere ricordato che, qualora la previsione risulti successivamente errata, ad esempio perché la società non supera comunque il test di operatività o perché, più banalmente, il reddito sarà più elevato, la società dovrà sottostare all’irrogazione delle sanzioni previste (che sono comunque ravvedibili).

Autore: Redazione Fiscal Focus

Dichiarazione IVA entro febbraio

13 Novembre 2014

Abrogata la Comunicazione annuale dati IVA

Una delle misure di maggior interesse contenute nel DDL di Stabilità 2015 concerne l’anticipo dei termini di invio della Dichiarazione annuale IVA al 28 febbraio, dunque fuori dal Modello Unico, e la contestuale abrogazione della Comunicazione annuale dati IVA.

Nell’attuale contesto normativo, al fine di rispettare quanto sancito dall’art. 252 della Direttiva 2006/112/UE, che prevede l’obbligo di fornire le informazioni relative alle operazioni attive e passive effettuate dal contribuente entro due mesi dalla fine del periodo d’imposta, per calcolare le risorse che competono all’UE, il contribuente ha la possibilità:
– di presentare la Dichiarazione IVA in forma unificata dal 01.05 ed entro il 30.09, con l’obbligo di presentare la Comunicazione annuale dati IVA entro il 28.02 del periodo d’imposta successivo a quello cui la comunicazione si riferisce;
– di presentare la Dichiarazione IVA in forma autonoma, cioè sganciata dal Modello Unico, dal 1° febbraio ed entro il 30 settembre del periodo d’imposta successivo a quello cui la dichiarazione si riferisce; se la dichiarazione IVA in forma autonoma viene presentata entro il 28.02 si è esentati dalla presentazione della Comunicazione annuale dati IVA; viceversa, se la dichiarazione IVA in forma autonoma viene presentata dopo il 28.02 si è comunque obbligati alla presentazione della comunicazione annuale dati IVA.

La possibilità di presentare la Dichiarazione Iva in forma autonoma entro il 28 febbraio dell’anno successivo al periodo d’imposta cui si riferisce sussiste sia per i contribuenti che presentano un credito d’imposta (D.L. n. 78/2009), sia per i contribuenti con saldo IVA annuale a debito (Circolare 25 gennaio 2011, n. 1).

In pratica, la normativa attualmente in vigore già consente alla gran parte dei contribuenti (facoltà) di non presentare la Comunicazione annuale dati IVA, presentando la Dichiarazione annuale in forma autonoma entro il 28.02 così ottenendo anche gli altri vantaggi connessi a tale scelta (anticipo termini rimborso IVA, anticipare il momento di utilizzo dei crediti IVA di importo superiore ad € 5.000,00 e fino a 15.000,00 euro, eliminare i rischi di sanzioni per errata/mancata compilazione della Comunicazione annuale dati IVA).

Quella che fino a ora è nella generalità dei casi una facoltà, potrà diventare un obbligo a partire dal periodo d’imposta 2015 (Dichiarazione IVA 2016). Di conseguenza, i soggetti obbligati dovranno presentare obbligatoriamente la Dichiarazione IVA entro il 28 Febbraio successivo al periodo d’imposta cui si riferisce. Contestualmente, viene abrogato l’obbligo di presentare la Comunicazione annuale dati IVA.

Volendo analizzare gli effetti della proposta di legge, non si può non evidenziare che tale misura di per sé non apporta elementi di vantaggio per i contribuenti. Di contro si genera l’effetto indesiderato di dover anticipare obbligatoriamente i termini di versamento dell’eventuale IVA a debito al 16 marzo dell’anno di presentazione della Dichiarazione IVA.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Pos: l’introduzione di penalità per chi è inadempiente

10 Novembre 2014
Ancora novità per i pagamenti attraverso il Pos. Questa volta però si parla di sanzioni e interdizioni per gli inadempienti.

L’obbligo di dotarsi del Pos nasce dall’articolo 15, comma 4 e 5 del decreto sviluppo-bis del 2012 (D.L. 179), il quale prevede che «i soggetti che effettuano l’attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito. Sono in ogni caso fatte salve le disposizioni del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231».

A riaprire la questione sui pagamenti mediante carte di debito è stato il sottosegretario al Ministero dell’economia, Enrico Zanetti, che rispondendo a una domanda di Giovanni Paglia, ha spiegato lo stato delle misure adottate, al fronte degli impegni che il governo si è assunto (con la risoluzione 8-00070, approvata il 29 luglio) in merito all’abbattimento dei costi fissi del Pos e sull’ulteriore proroga di 12 mesi per le transazioni gratuite presso le pompe di benzina e i tabaccai.
Zanetti fa riferimento ai lavori del tavolo sulla diffusione delle transazioni con carte di pagamento, presso il Mise, con Banca d’Italia e Ministero dell’economia.

I lavori in atto porteranno, secondo il sottosegretario, alla realizzazione di un monitoraggio degli effetti sul mercato sia in termini di volumi sia di prezzi e valuteranno “la possibile introduzione di sanzioni o interdizioni in caso di inadempienza”. La cui mancanza è stata interpretata come un “tacito permesso” a non adempiere.

Attualmente installare il Pos ha un costo fisso che va dai 25 ai 180 euro l’anno, legato all’installazione dell’apparecchio, senza contare il costo variabile per ogni singola transazione. Per tale motivo, il sottosegretario ha annunciato che è «allo studio un’ipotesi di proposta normativa agevolativa che potrebbe essere strutturata attraverso il meccanismo del credito di imposta (a regime)». È da tenere in considerazione comunque che la misura di defiscalizzazione dovrà avere una copertura finanziaria pari all’intensità dell’agevolazione.

Per quanto attiene i pagamenti con carta di credito per i carburanti, non vi sarà un periodo ulteriore di gratuità delle commissioni alla pompa di benzina.
D’altra parte, l’azzeramento introdotto con la Legge 183/2011 (articolo 34, comma 7) è stato poi cancellato dal D.L. 201/2011 con decorrenza dalla data di pubblicazione del D.M. 51/2014.
Non si parla, invece, dei tabaccai, che nella vendita di valori bollati hanno un aggio così basso che spesso è inferiore al costo della commissione per l’uso del Pos.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Riciclaggio: la mancata segnalazione è reato?

29 Ottobre 2014
Se un professionista non effettua la segnalazione delle operazioni sospette ai sensi dell’art. 41 de D.Lgs. 231/2007, può essere condannato per il reato di riciclaggio? Si potrebbe argomentare che con l’omissione della segnalazione il professionista abbia accettato il rischio che venisse compiuta un’operazione illecita?Per poter giungere a una risposta deve in primo luogo essere ricordato che nel nostro ordinamento penale sono puniti anche i reati omissivi, in quanto, come stabilisce l’art. 40 c.p., “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Il reato di riciclaggio, così come è stato ribadito da ultimo dalla Corte di Cassazione con la sentenza n.43881 del 22.10.2014, “è a forma libera e potenzialmente a consumazione prolungata, attuabile anche con modalità frammentarie e progressive”. Possiamo quindi tranquillamente affermare che, anche in caso di condotta omissiva, è integrato il reato di riciclaggio: in altre parole, è indifferente, per il legislatore, come si pulisca il denaro sporco, essendo sufficiente il realizzarsi del risultato offensivo.Passiamo quindi all’elemento soggettivo del fatto tipico. La costante giurisprudenza ha ritenuto che ricorra il reato di riciclaggio anche nel caso in cui si configuri il mero dolo eventuale. Pertanto, non è necessario che il soggetto agisca con l’obiettivo di realizzare il fatto tipico (dolo intenzionale), ma è sufficiente che il soggetto abbia agito rappresentandosi la verificazione dell’evento come solamente probabile o possibile (appunto, il dolo eventuale). Il dolo nel reato di riciclaggio In primo luogo è necessario ricordare che il riciclaggio di denaro, essendo un delitto, è punibile solo se commesso con dolo. Così come chiarisce l’art. 43 c.p. è quindi necessario che “l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione o omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione o omissione”. Non ricorre invece il reato di riciclaggio nel caso in cui il soggetto abbia agito con colpa, ovvero quando l’agente, pur prevedendo l’evento non lo ha voluto, agendo con negligenza, imprudenza, imperizia o con inosservanza delle leggi, regolamenti, ordini e discipline. Pertanto, limitarsi a non effettuare la segnalazione delle operazioni sospette, significa agire con inosservanza delle leggi, senza però volere l’evento dannoso o pericoloso: si può quindi parlare soltanto di colpa. È inoltre da rilevare come la giurisprudenza abbia ormai chiarito che l’elemento soggettivo, nel reato di riciclaggio, è integrato dal dolo generico. È quindi sufficiente che sia riscontrata la volontà di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro. Non è invece necessario perseguire scopi di profitto o di lucro (Cassazione, sentenze n. 546/2011, 6350/2007, 16980/2008) Affinchè si configuri il reato di riciclaggio è inoltre sufficiente il dolo eventuale (Cassazione, sentenza n.43881 del 22.10.2014). Non è quindi necessario che la sostituzione e il trasferimento dei beni e delle altre utilità sia obiettivo consapevole del comportamento, ma è sufficiente che il soggetto abbia agito rappresentandosi la verificazione dell’evento come probabile o possibile. Questa interpretazione amplia notevolmente i rischi di incriminazione, soprattutto in capo ai professionisti, che spesso si trovano ad essere parte di un ingranaggio da terzi designato. La posizione della Guardia di Finanza La Guardia di Finanza, nella sua circolare 83607 del 19 marzo 2012 ha espressamente chiarito che “la descritta condotta può essere realizzata anche nella forma omissiva, ad esempio, quando il titolare di un’attività finanziaria, ben consapevole della condotta criminis e dell’origine illecita delle somme da trasferire, non impedisca scientemente un’operazione in itinere che aveva l’obbligo giuridico di impedire, attraverso la procedura dell’obbligo di sospensione dell’operazione imposta dal decreto 231/2007”. La giurisprudenza Con riferimento a quanto prospettato, non può che tornare alla mente la sentenza delle Corte d’Appello di Milano del 9 maggio 2011, sulla quale vi è stato un ampio dibattito e che ha suscitato non poche perplessità. Con la sentenza in oggetto si ritenevano colpevoli di riciclaggio il direttore generale della banca e il direttore della filiale presso la quale erano stati accesi dei conti correnti di alcune procedure fallimentari. La curatrice si era infatti appropriata di diversi milioni di euro prelevati dai conti correnti in questione. Il direttore di filiale è stato condannato per riciclaggio perché “aveva collaborato direttamente alle attività dei B., in particolare fungendo costantemente da consulente di B.C. che si recava in filiale per le operazioni sui conti del gruppo familiare; il direttore di filiale assisteva personalmente il B. e dava disposizioni agli impiegati per effettuare le operazioni secondo le citate modalità, ovvero con falsa indicazione che si trattava di operazioni per contanti, rassicurando gli sportellisti sulla sostanziale regolarità”. Tuttavia, anche il direttore generale è stato condannato per riciclaggio in quanto si è ritenuto che “omettendo di agire, pure a fronte di evidenti anomalie, l’imputato ha dimostrato di accettare il rischio che il cliente utilizzasse la banca per ripulire i proventi illecii, consentendogli di operare senza ostacoli”. La sentenza è stata poi annullata dalla Corte di Cassazione, ma per il semplice motivo che “le specifiche disposizioni regolamentari della Banca d’Italia e la procedura interna della CrediEuronord, dati incontestabilmente risultanti dagli atti non valutati, escludevano un obbligo di intervento diretto del C. in assenza di comunicazioni di operazioni sospette. È quindi erroneo ritenere che, anche senza comunicazione delle movimentazioni anomale, vi fosse una posizione di garanzia dalla cui violazione derivi responsabilità ex articolo 40 cod. pen.”. In considerazione di tali precisazioni, “non residuano elementi che dimostrino la conoscenza del C. delle operazioni anomale e la omissione da parte sua delle segnalazioni obbligatorie”. Obbligo di segnalazione e astensione Cosa fare, dunque, quando i professionisti sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo? In primo luogo è necessario inviare una segnalazione alla UIF ai sensi dell’art. 41 del D.Lgs. 231/2007. Inoltre, i soggetti tenuti all’obbligo di segnalazione devono astenersi dal compiere le operazioni finché non hanno effettuato la segnalazione, tranne che detta astensione non sia possibile, tenuto conto della normale operatività, o possa ostacolare le indagini.
Autore: Redazione Fiscal Focus

Niente contributi per tre anni se il datore di lavoro assume nel 2015 un lavoratore a tempo indeterminato

29 Ottobre 2014

Assunzioni. Sale lo sgravio INPS

Premessa – Nuovo tetto massimo per le assunzioni a tempo indeterminato. Infatti, secondo l’ultima versione del testo del Ddl Stabilità 2015 – che sta proseguendo il suo iter legislativo per la conversione in legge – il Governo ha incremento da 6.200 euro a 8.060 euro lo sgravio totale dei contributi INPS fruibili. Ciò porterebbe (sempre secondo fonti governative) a 790mila nuove assunzioni a tempo indeterminato nel 2015, alle quali, aggiungendo anche i 210 mila contratti che potranno usufruire di una riduzione parziale degli oneri sociali, i rapporti di lavoro agevolabili salgono a un milione.

Sgravio contributivo –
 Si rammenta che il Ddl Stabilità 2015 garantisce la totale decontribuzione in favore dei datori di lavoro i quali intendono assumere, nel periodo 1° “gennaio-dicembre 2015”, nuovi lavoratori a tempo indeterminato. L’importo massimo agevolabile, come precisato in premessa, sale a 8.060 euro e ha durata triennale (36 mesi). Ad essere agevolate sono esclusivamente le assunzioni dei datori di lavoro del settore privato, con esclusione del settore agricolo. L’agevolazione, inoltre, non varrà per: i lavoratori domestici e per gli apprendisti. Restano altresì escluse le assunzioni di lavoratori che nei sei mesi precedenti sono stati occupati con contratto a tempo indeterminato “presso qualsiasi datore di lavoro” e non spetta alle persone che abbiano già avuto benefici su assunzioni a tempo indeterminato. Ne consegue che il lavoratore assunto deve essere alla ricerca di prima occupazione o disoccupato da almeno sei mesi o con contratti di lavoro diversi da quello standard a tempo indeterminato. Inoltre, l’agevolazione non è accessibile per i lavoratori che fanno parte di imprese collegate o controllate; inoltre, il nuovo bonus non è cumulabile con altri sgravi o riduzioni contributive.

La stima – Dato che l’incentivo è pieno per retribuzioni imponibili ai fini previdenziali fino a circa 26 mila euro su base annua, in base ai dati INPS sulle classi di retribuzione sono stimati in circa 790mila i contratti per cui i datori di lavoro potranno beneficiare dello sgravio totale dei contributi previdenziali a loro carico essendo questi inferiori al limite massimo di 8.060 euro annui e in circa 210 mila i contratti per cui i datori di lavoro potranno beneficiare dello sgravio entro il tetto di 8.060 euro. Il Governo, dunque, stima un notevole effetto incentivante verso il tempo indeterminato, con riduzione delle altre più costose tipologie di assunzione a contribuzione piena, come il tempo determinato.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Professionisti, nessuna presunzione per i prelevamenti bancari

La Corte Costituzionale, con la recente sentenza n. 228/2014, ha dichiarato illegittima la presunzione in materia di indagini finanziarie che consente al Fisco di desumere l’esistenza di compensi “non dichiarati” sulla base dei “prelevamenti effettuati “dai lavoratori autonomi dai propri conto correnti. La problematica riguarda diverse disposizioni normative, in particolare, l’art. 32, co. 1, n. 2), del D.P.R. n. 600/1973, secondo cui i dati e gli elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e rilevati – a norma, rispettivamente, del n. 7) e dell’art. 33, co. 2 e 3, del predetto Decreto – oppure ottenuti ai sensi dell’art. 18, co. 3, lett. b), del D.Lgs. n. 504/1995, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38 e ss. del D.P.R. n. 600/1973, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto ai fini della determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine. Alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempre che non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni. Entrando nel merito, è possibile desumere che la previgente formulazione dell’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973 – in vigore prima della modifica operata dalla Legge n. 311/2004 – prevedeva nella propria formulazione il solo termine “ricavi”, per cui la presunzione si riteneva riguardasse solo ed esclusivamente i prelevamenti dei titolari di reddito d’impresa. Successivamente, il predetto mutamento normativo ha aggiunto il riferimento ai “compensi” e, pertanto, si è giunti alla conclusione che detta presunzione fosse applicabile anche ai lavoratori autonomi. La Cassazione ha sempre sostenuto che la presunzione relativa ai prelevamenti trovasse applicazione nei confronti dei lavoratori autonomi anche prima delle modifica operata dalla Legge n. 311/2004, in quanto il legislatore con il termine “ricavi” ha inteso ricomprendere non solo i redditi d’impresa, ma anche i “compensi” professionali e di lavoratore autonomo (Cass. nn. 19692/2011 e 802/2011). Per la Corte Costituzionale, il lavoratore autonomo, pur avendo alcune caratteristiche comuni all’imprenditore, conserva delle specificità che fanno ritenere arbitraria l’omogeneità di trattamento prevista dalla disposizione secondo cui anche per il lavoratore autonomo, come per l’imprenditore, in seguito ad un prelevamento dal conto corrente è logico attendersi un costo da cui a sua volta si origina un ricavo. Se, poi, il costo non è transitato dalla contabilità, si deve presumere che anche il corrispondente ricavo non sia stato annotato. Inoltre, secondo la Corte, “la non ragionevolezza della presunzione” è avvalorata anche dal fatto che i prelevamenti si inseriscono in un sistema di contabilità semplificata che presenta una promiscuità tra entrate e spese professionali e personali. Sulla irragionevolezza della presunzione, si è più volte espressa anche l’Agenzia delle Entrate che, relativamente ai prelevamenti bancari di minore entità dei professionisti, aveva invitato gli Uffici ad esonerare tali soggetti dal fornire una precisa prova in proposito, attesa la riconducibilità di tali operazioni alle normali esigenze personali e familiari (CC.MM. nn. 28/E/2006 e 32/E/2006). Infine, anche la recente C.M. n. 25/E/2014 ha ribadito che “le presunzioni fissate dalla citata norma a salvaguardia della pretesa erariale devono essere applicate dall’Ufficio secondo logiche di proporzione e ragionevolezza”.

Auto, dal 3 novembre obbligo aggiornamento carta di circolazione

Auto, dal 3 novembre obbligo aggiornamento carta di circolazione

Dal 3 novembre scatterà l’obbligo di richiedere l’aggiornamento della carta di circolazione in caso di variazione delle generalità o della denominazione dell’intestatario dei veicolo, o anche in caso di temporanea disponibilità del veicolo in favore di un soggetto terzo per un periodo superiore a 30 giorni

A partire dal prossimo 3 novembre 2014, ci saranno importanti novità per i veicoli, i motoveicoli ed i rimorchi. Infatti, in caso di variazione delle generalità della persona fisica intestataria della carta di circolazione relativa a veicoli, motoveicoli e rimorchi, o della denominazione dell’ente intestatario della carta di circolazione, o nel caso in cui si verifichi la temporanea disponibilità, per un periodo superiore a 30 giorni, di un veicolo intestato a soggetto terzo (ad esempio, a titolo di comodato, affidamento in custodia giudiziale o locazione senza conducente), il soggetto interessato (l’avente causa) deve richiedere all’ufficio del Dipartimento per i trasporti l’aggiornamento della carta di circolazione. In caso di mancato rispetto dell’obbligo, scatterà una sanzione che parte da un minimo di € 705.

La novità era stata inserita nel Codice della Strada dalla Legge n. 120/2010 ed il regolamento era stato adottato con D.P.R. n. 198/2012, ma la nuova procedura diverrà operativa solo dal 3 novembre 2014 quando saranno attivate le necessarie procedure informatiche, come reso noto dalla Motorizzazione civile con Circolare n. 15513 del 10 luglio 2014.

Decorrenza

Come chiarito dalla Circolare della Motorizzazione civile, l’obbligo di richiesta di aggiornamento riguarda gli atti posti in essere a decorrere dal 3 novembre 2014 e solo da quel giorno scatteranno le sanzioni nei confronti dell’avente causa (comodatario, affidatario in custodia giudiziale, locatario o sublocatario in caso di locazione senza conducente, erede in caso di veicolo ancora intestato al de cuius nelle more dell’acquisizione della titolarità del bene da parte dell’erede stesso, utilizzatore con contratto di rent to buy). Sono da ritenere comunque legittimamente assolti gli obblighi qualora la comunicazione sia effettuata dal dante causa (l’intestatario) su delega scritta dell’avente causa.
Il soggetto che, invece, in forza di un atto posto in essere prima del 3 novembre 2014, usa già un veicolo non proprio o ha un’intestazione non aggiornata non dovrà far nulla; se lo vorrà, comunque, potrà effettuare lo stesso la registrazione, ma si tratta appunto di una facoltà e non di un obbligo sanzionabile, come lo sarebbe invece per gli atti posti in essere dopo il 3 novembre.

Veicoli non interessati

La Circolare della Motorizzazione Civile ha precisato che, per ora, le procedure informatiche predisposte non si applicano ai veicoli la cui disponibilità sia assoggetta al possesso di titoli autorizzativi, cioè quei veicoli in disponibilità di soggetti che effettuano attività di autotrasporto sulla base di: iscrizione al REN (Registro elettronico nazionale) o all’albo degli autotrasportatori; licenza per il trasporto di cose in conto proprio; autorizzazione al trasporto di presone mediante autobus in uso proprio o mediante autovetture in uso di terzi (es.: taxi o noleggio con conducente). Per tali tipi di veicoli, infatti, verranno emanate apposite disposizioni.

Registrazione di un’intera flotta aziendale

Se le registrazioni riguardano “n” veicoli per un medesimo soggetto (ad esempio, registrazione di un’intera flotta aziendale), si può fare un’istanza cumulativa con un unico modello TT2120 (pagando, quindi, una sola imposta di bollo per l’istanza – € 16,00). Tuttavia, le carte di circolazione vanno aggiornate una per una, in quanto l’aggiornamento della denominazione di un veicolo non produce automaticamente anche l’aggiornamento, nell’Archivio nazionale dei veicoli, della denominazione dello stesso intestatario relativamente ai restanti veicoli. Si pagheranno, pertanto, “n” diritti di motorizzazione (“n” x € 9,00) quante sono le carte di circolazione da aggiornare. La Circolare precisa che, ai fini della regolarità della circolazione del veicolo, non è necessario che l’attestazione di avvenuta annotazione dell’Archivio Nazionale dei Veicoli (rilasciata dall’ufficio a fronte dell’istanza) venga tenuta a bordo del veicolo aziendale. Lo stesso vale anche in caso di comodato di veicoli aziendali.

Fonte: www.fiscoetasse.com

 

Responsabilità degli amministratori verso i soci

 

24 Ottobre 2014

Cassazione Civile, sentenza pubblicata il 23 ottobre 2014

Le scelte degli amministratori che arrecano danno al patrimonio della società e solo di riflesso al socio non danno diritto a quest’ultimo di pretendere un risarcimento. È quanto emerge dalla sentenza 23 ottobre 2014 n. 22573 della Corte di Cassazione – Prima Sezione Civile.

Il socio di una SRL ha convenuto in giudizio gli amministratori della stessa, lamentando di aver subito un danno dalla risoluzione di alcuni contratti di vendita vantaggiosi per la società.

L’adito Tribunale ha dichiarato inammissibile la domanda, qualificata ai sensi dell’articolo 2395 c.c., rilevando che nella specie il danno si era prodotto nella sfera patrimoniale dell’attore solo di riflesso, atteso che pregiudicata in via immediata dalla condotta dei convenuti era la stessa società.

La Corte d’appello di Torino ha confermato il verdetto del Tribunale. Di qui il ricorso del socio ai supremi giudici.

Ebbene, in un passaggio chiave delle motivazioni della sentenza pubblicata ieri, la Prima Sezione Civile del Palazzaccio ha sostenuto che l’azione individuale del socio nei confronti dell’amministratore di una società di capitali non è esperibile quando il danno lamentato costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l’articolo 2395 cod. civ. esige che il singolo socio sia stato danneggiato “direttamente” dagli atti colposi o dolosi dell’amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società.

La mancata percezione degli utili e la diminuzione di valore della quota di partecipazione, ad avviso degli Ermellini, non costituiscono danno diretto del singolo socio, poiché gli utili fanno parte del patrimonio sociale fino all’eventuale delibera assembleare di distribuzione e la quota di partecipazione è un bene distinto dal patrimonio sociale, la cui diminuzione di valore è conseguenza soltanto indiretta ed eventuale della condotta dell’amministratore (cfr. Cass., Sez. III, n. 4548/12).

Ne è derivato il rigetto del ricorso del socio, con condanna del medesimo alle spese processuali liquidate dalla Suprema Corte in complessivi euro 20mila, di cui 200 euro per esborsi oltre accessori di legge e spese forfettarie.

Autore: Redazione Fiscal Focus

IMU: l’80% dei comuni ha ritoccato le regole

22 Ottobre 2014

Le aliquote IMU 2014 per il saldo di dicembre sono quelle incluse nelle nuove delibere

Ieri, 21 ottobre 2014, scadeva il termine entro il quale i Comuni avrebbero dovuto inviare al dipartimento Finanze le delibere con le nuove aliquote IMU, per evitare che i contribuenti versassero il saldo di dicembre, come è accaduto per l’acconto, con le aliquote 2013 e con i criteri dell’anno scorso.
L’adempimento non interessava tutti i Comuni, ma solo quelli che avevano l’intenzione di modificare le aliquote e le regole 2013.
Sono circa 6.767 le delibere presenti sul sito www.finanze.it, dunque circa l’80% dei Comuni ha inviato i propri atti al Ministero.
Il clima di incertezza e il timore dei tagli, che stanno per essere attuati con la nuova Legge di stabilità 2015 (es. il congelamento di un fondo di bilancio, in caso di mancata riscossione dei tributi, per l’importo non introitato), possono aver indotto le giunte a ritoccare al rialzo le aliquote o a eliminare alcune detrazioni o agevolazioni specifiche.

La diversa deducibilità fa abbassare le aliquote IMU e alzare quelle TASI – Il fatto, poi, che da un punto di vista fiscale la TASI sugli immobili strumentali sia deducibile al 100%, ai fini Ires/Irpef, per la ditta individuale o per il lavoratore autonomo, mentre ai fini IMU il tributo 2014 sia deducibile al 20% (al 30% l’IMU 2013), molti Comuni, per venire incontro alle esigenze delle attività produttive site nel territorio, hanno alzato le aliquote TASI e calmierato quelle IMU.
Una scelta che non intaccava il gettito dell’ente locale, ma solo quello erariale.
Ed è per questo che spunta nella Legge di stabilità 2015 o in decreti successivi, l’ipotesi di uniformare le regole di deducibilità dei due tributi, che probabilmente verranno fusi in un’unica imposta già dal 2015.

Si ricorda, come precisato nella Circolare n. 10/E del14.05.2014, che il concetto di immobili strumentali è quello mutuato dall’art. 43, co. 2 del Tuir, cioè si considerano tali, gli immobili utilizzati”esclusivamente” per l’esercizio dell’arte o della professione, o dell’impresa commerciale da parte del possessore; sono, quindi, esclusi gli immobili ad uso promiscuo, come quelli adibiti promiscuamente all’esercizio dell’arte o della professione o all’impresa commerciale e all’uso personale o familiare del contribuente.
L’Imu per tali immobili è deducibile nella misura del 20% ai fini Ires/Irpef, ma indeducibile ai fini Irap.
Per i soggetti titolari di reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 99, co. 1, secondo periodo del Tuir, le imposte sono deducibili nell’esercizio in cui avviene il pagamento.
Dunque, l’Imu di competenza 2013 è deducibile, a condizione che venga pagata dal contribuente. Se essa viene versata tardivamente nel 2014, diventerà un costo deducibile nel periodo d’imposta 2014 mediante una variazione in diminuzione in Unico.
Per i lavoratori autonomi si applica il principio di cassa (art.54, co. 1 del Tuir) e, dunque, l’Imu diventa un costo deducibile nell’anno in cui avviene il pagamento, anche se tardivo e comunque a partire dall’Imu 2013.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Fisco pesante se l’inquilino è moroso

AFFITTI

Fisco pesante se l’inquilino è moroso
DOMANDA
Nel 2013 si è conclusa la procedura per convalida di sfratto per morosità nei confronti del mio inquilino che dal 2012, dopo tre anni dalla stipula del contratto, non ha più pagato i canoni di locazione relativi a due distinte unità immobiliari, di cui sono usufruttuario: un negozio e un piccolo appartamento contiguo. La procedura si è conclusa prima del termine utile per la presentazione di Unico 2013 e quindi non ho dichiarato i canoni relativi al 2012, ma limitatamente all’unità abitativa, poiché mi è stato detto che sono esclusi da questa regola i canoni delle locazioni a uso diverso dall’abitazione. È corretto il comportamento che ho tenuto?P.C. – LODI
RISPOSTA
In molti casi la morosità degli inquilini si riflette sul proprietario, costretto a pagare le imposte anche su canoni che non ha incassato: non si tratta, però, di una regola assoluta, dal momento che la legge prevede qualche (limitata) eccezione. Ma andiamo con ordine. In generale i redditi delle persone fisiche – esclusi quelli conseguiti in regime di impresa – vanno dichiarati e assoggettati a tassazione soltanto nell’anno in cui avviene la loro materiale percezione: è il cosiddetto criterio di cassa. Questo principio incontra una deroga per i redditi fondiari – e in particolare dei fabbricati – che scontano il prelievo d’imposta semplicemente al verificarsi della loro maturazione. L’articolo 26 del Tuir, infatti, presuppone il mero possesso dell’immobile (a titolo di proprietà, usufrutto e di ogni altro diritto reale), sia esso tenuto a disposizione che ceduto in locazione. Perciò, nell’ipotesi in cui l’inquilino non paghi i canoni, il locatore dovrà comunque farli concorrere alla formazione del proprio reddito complessivo. Considerati gli effetti penalizzanti che derivano da questa norma, è previsto un temperamento – anche se articolato e circoscritto – che esclude l’imponibilità del reddito immobiliare non percepito (in questa eventualità, il possessore dell’unità immobiliare sarà, comunque, tenuto ad assoggettare a tassazione la rendita catastale), in presenza delle seguenti condizioni: 1) che la locazione sia a uso abitativo; 2) che il mancato pagamento dei canoni derivi dalla morosità del conduttore; 3) che quest’ultima venga accertata giudizialmente a seguito del procedimento per convalida di sfratto per morosità. Queste condizioni devono essere concomitanti e, pertanto, se la morosità nel pagamento riguarda un immobile commerciale (negozio, ufficio, capannone), il locatore dovrà pagare l’Irpef, anche se ha esperito il procedimento di convalida di sfratto, poiché la norma in questo caso non gli attribuisce alcun effetto fiscale (circolare 150/1999 del ministero delle Finanze). Questa “discriminazione” ha generato un inevitabile contrasto interpretativo, nell’ambito del quale, secondo un orientamento più garantista, anche la morosità che si manifesta nella locazione di immobili non abitativi autorizza a non dichiarare i canoni non percepiti, secondo il codificato principio di capacità contributiva (Cassazione, sentenza n. 6911/2003). È importante mettere in evidenza che questa composita tematica è stata comunque riequilibrata dalla Corte costituzionale (sentenza n. 362 del 26 luglio 2000), attraverso la formulazione di principi perequativi di portata generale, che come tali trovano applicazione indistintamente, sia ai rapporti locativi di natura abitativa che commerciale. Nel dettaglio, la Consulta ha statuito che: • il riferimento al canone di locazione potrà operare nel tempo solo fin quando risulterà in vita un contratto di locazione e quindi sarà dovuto un canone in senso tecnico; • tornerà in vigore la regola generale, e quindi si potrà evitare la tassazione, quando la locazione sia cessata per scadenza del termine (articolo 1596 del Codice civile) e il locatore pretenda la restituzione dell’immobile essendo in mora il locatario per il relativo obbligo, oppure quando si sia verificata una qualsiasi causa di risoluzione del contratto, ivi comprese quelle di inadempimento in presenza di clausola risolutiva espressa e di dichiarazione di avvalersi della clausola (articolo 1456 del Codice civile), o di risoluzione a seguito di diffida ad adempiere (articolo 1454 del Codice civile). Pertanto, la presenza nel contratto di una clausola risolutiva dello stesso e la dichiarazione di avvalersene al ricorrere dei sopravvenuti presupposti (quale, appunto, la morosità del locatario) sono da ritenere elementi sufficienti a legittimare il locatore a non dichiarare i canoni non riscossi (Cassazione sentenza n. 12905/2007), senza necessariamente attendere un eventuale pronuncia giudiziale: l’attivazione di quest’ultima sarà, invece, richiesta per far accertare anche la morosità di anni pregressi, finalizzata all’utilizzo del credito d’imposta. Attenzione: queste regole di favore si estendono a qualsiasi tipologia di immobile compreso nel rapporto di locazione, dal momento che il giudice delle leggi non fa alcuna distinzione fra unità abitativa e commerciale. È importante ricordare che qualora venga esercitata la facoltà di risolvere anticipatamente il rapporto contrattuale rispetto alla a scadenza naturale, occorre segnalare la circostanza all’anagrafe tributaria. L’esecuzione di questo obbligo persegue nel contempo anche lo scopo di dare coerenza e giustificazione alla più ridotta consistenza reddituale del locatore in conseguenza del mancato incasso dei canoni (si veda l’Esperto risponde del 10 febbraio 2014). Tutte queste considerazioni valgono a prescindere dal regime impositivo prescelto dal contribuente, ordinario o della cedolare secca. Il principio di tassazione in base alla maturazione del reddito fondario dei fabbricati trova infine un’ulteriore attenuazione nell’articolo 36, Tuir, che consente al contribuente di evitare il prelievo Irpef sul reddito derivante dall’immobile qualora quest’ultimo venga sottoposto a lavori di restauro, risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia. Gli interventi devono essere supportati dai titoli abilitativi richiesti dalla normativa edilizia, e l’esimente impositiva sarà conseguibile per tutto il periodo di validità del provvedimento amministrativo. Questa esimente opera sia per la rendita catastale che per i canoni di locazione: infatti, anche se ci fosse un rapporto locativo, sarebbe sospeso o risolto in anticipo per consentire i lavori. Anche in questo caso, questa eccezione vale sia in relazione agli immobili a destinazione abitativa che commerciale. © RIPRODUZIONE RISERVATA IL CASO RISOLTO ESENTE L’INDENNITÀ DI OCCUPAZIONE Qualora il conduttore venga messo in mora, non in relazione all’omesso pagamento dei canoni, ma al mancato rilascio dell’immobile alla scadenza del contratto, gli importi da lui pagati successivamente a questo termine potranno essere riqualificati dal proprietario come indennità occupazione locali. Questi, infatti, se introitati come indennizzo per un danno (emergente) e non sostitutivi o integrativi di reddito (lucro cessante) assumeranno natura e funzione risarcitoria e come tale perderanno rilevanza reddituale (articolo 6, Tuir). A questo scopo tuttavia occorre che sia stata manifestata un’inequivocabile volontà da parte del proprietario, contraria alla prosecuzione della locazione (circolare 43/E/2007; circolare 50/E/2002 paragrafo 2; risoluzioni ministeriali n. 27/1997 e 560661/1991). © RIPRODUZIONE RISERVATA Le tappe (vedi grafico) NORME E CIRCOLARI Occupazione abusiva dell’immobile Il reddito fondiario (rappresentato dalla rendita catastale) va in ogni caso dichiarato dal possessore anche qualora l’immobile venga temporaneamente sottratto alla sua disponibilità. È l’ipotesi che può verificarsi, ad esempio, nelle situazioni di occupazione abusiva dell’immobile, fermo restando il diritto al risarcimento del danno derivante dalla perdita della disponibilità del fabbricato. • Circolare ministeriale 150/1999 Morosità del conduttore: Corte costituzionale e conferme recenti della Cassazione La Corte di cassazione, nel ribadire il principio formulato dalla Corte costituzionale, ha fornito un’interpretazione estensiva dell’articolo 26 del Tuir, in base alla quale i canoni di locazione (a uso abitativo e diverso) non percepiti per morosità del locatario sono tassabili fino a che non sia intervenuta la risoluzione, anche non giudiziale, del contratto. • Articolo 26 del Tuir. • Corte costituzionale, sentenza 362/2000 • Cassazione, sentenze n. 11158/2013, 22588/2012 e 651/2012 Effetti della risoluzione del contratto La risoluzione consensuale del contratto di locazione, in assenza di una manifestazione inequivoca di volontà delle parti che vada in tal senso non può produrre effetti retroattivi. • Cassazione, sentenze n. 24444/2005 e 12905/2007 Immobili patrimonio dell’impresa Le disposizioni sopra riportate assumono rilevanza anche ai fini della determinazione del reddito d’impresa per gli immobili patrimonio (diversi, cioè, dai beni strumentali, e da quelli alla cui produzione o scambio è diretta l’attività d’impresa) che concorrono a formare il reddito come redditi fondiari. • Articolo 90 del Tuir • Circolare ministeriale 150/1999
Quesito con risposta a cura di Alfredo Calvano | 24/02/2014 – Il sole 24 ore

Agenti e rappresentanti: come si calcola l’indennità di scioglimento del contratto

Cambiano i meccanismi di calcolo dell’indennità per lo scioglimento del contratto per gli agenti e rappresentanti di commercio del settore industriale. Il recente rinnovo dell’accordo economico collettivo contiene diverse integrazioni e modifiche al testo precedentemente in vigore.

Le associazioni rappresentative delle aziende preponenti (Confindustria, Confcooperative) e degli agenti di commercio (Fnaarc, Fiarc, Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl, Uiltucs-Uil, Ugl, Usarci) hanno recentemente sottoscritto il nuovo accordo economico collettivo per la disciplina dei rapporti di agenzia e rappresentanza commerciale nel settore industriale e della cooperazione. L’accordo, datato 30 luglio 2014 ed entrato in vigore il 1° settembre 2014, sostituisce il precedente a.e.c. stipulato il 20 marzo 2002.
Sotto il profilo economico la novità più rilevante è senz’altro costituita dal nuovo criterio di calcolo dell’indennità meritocratica, che le parti hanno introdotto con l’intento di adeguare più compiutamente la regolamentazione contrattuale della materia alle disposizioni dell’ordinamento comunitario e della nostra disciplina civilistica in caso di recesso dal contratto di agenzia.
L’art. 1751 del codice civile fa obbligo al preponente, con norma inderogabile a svantaggio dell’agente, di corrispondere alla cessazione del rapporto un’indennità se ricorrono le seguenti condizioni: che l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente incrementato il fatturato con i clienti esistenti e il preponente ne riceva ancora sostanziali vantaggi; che il pagamento dell’indennità risponda a criteri di equità “tenuto conto di tutte le circostanze del caso” (in particolare delle provvigioni che l’agente perde).

Indennità per lo scioglimento del contratto: indennità meritocratica

Secondo l’accordo economico collettivo l’indennità per lo scioglimento del contratto è ora costituita da tre componenti:
· l’indennità di risoluzione del rapporto (FIRR), accantonata dall’azienda presso l’Enasarco
· l’indennità suppletiva di clientela (ISC)
· l’indennità meritocratica di nuova istituzione.
Le prime due componenti sono rapportate alle provvigioni maturate nel corso del rapporto e sono dunque riconosciute all’agente anche in assenza di un incremento della clientela e/o del giro di affari, la nuova componente è invece collegata all’incremento della clientela e/o del giro di affari (art. 10). Si noti che l’indennità di risoluzione del rapporto spetta, al pari del t.f.r., anche in caso di disdetta da parte dell’agente o di risoluzione per giusta causa ad opera del preponente, mentre le altre due indennità non competono in caso di recesso (non per giusta causa) dell’agente.
Premesso che gli importi erogati a titolo di FIRR e di ISC sono dovuti anche se superano il limite massimo dell’indennità prevista dal citato art. 1751 (corrispondente alla media annuale delle provvigioni pagate all’agente negli ultimi 5 anni), la determinazione dell’indennità meritocratica richiede una serie di passaggi:
1. Raffronto tra le provvigioni del periodo iniziale e quelle del periodo finale del contratto di agenzia. Se le provvigioni pagate nel periodo finale sono inferiori l’indennità non è dovuta.
2. Se le provvigioni pagate nel periodo finale del rapporto sono superiori si procede ad una stima, secondo parametri convenzionali, dei vantaggi che il preponente continuerà a ricavare dall’attività dell’agente nell’arco di un periodo (c.d. “periodo di prognosi”) che varia da un minimo di 2,25 anni ad un massimo di 3 anni, in base alla tipologia di agente e alla durata complessiva del rapporto. Ai fini del calcolo viene preso in considerazione un determinato tasso di migrazione della clientela (variabile dal 15% al 37%).
3. La stima dei vantaggi futuri viene ridotta di una quota forfettaria variabile da un minimo del 10% per i contratti di durata fino a 5 anni ad un massimo del 20% per i contratti di durata superiore a 10 anni. Al netto della riduzione il risultato non può comunque eccedere il valore massimo previsto dell’art. 1751 cod. civ. (un anno di provvigioni).
4. Per ottenere il valore finale dell’entità dell’indennità meritocratica si detrae dal risultato di cui sopra la somma dell’indennità di risoluzione del rapporto e dell’indennità suppletiva di clientela.
In definitiva: se l’indennità meritocratica risultante dopo i conteggi è inferiore alla somma di FIRR + ISC, vengono corrisposte all’agente solo queste ultime; se l’indennità meritocratica risulta superiore alla somma di FIRR + ISC, le sostituisce. L’accordo contiene una norma transitoria che mantiene le regole previgenti per i contratti di agenzia in corso di esecuzione al 30 luglio 2014 e stipulati prima del 1° gennaio 2014. A partire dal 1° gennaio 2016 i nuovi criteri si applicheranno anche ai predetti contratti di agenzia a condizione che rimangano in vigore almeno fino al 31 marzo 2017.

Altre novità

Tra le altre novità entrate in vigore dal 1° settembre 2014 si segnalano:
– variazioni di zona: il limite massimo delle variazioni considerate di media entità viene ridotto dal 20% al 15% delle provvigioni di competenza dell’agente nell’anno precedente; per le variazioni di media entità è richiesto l’assenso dell’agente (in precedenza l’assenso era richiesto solo per le variazioni di rilevante entità); viene ampliato da 12 a 18 mesi (24 mesi per gli agenti monomandatari) l’arco temporale nel quale l’insieme di più variazioni di lieve entità può considerarsi come un’unica variazione; è prevista la possibilità di derogare in via consensuale al preavviso richiesto dall’accordo collettivo per procedere ad una variazione di rilevante entità (art. 2);
– campionario: viene espressamente stabilito che il valore del campionario può essere addebitato all’agente solo in caso di mancata o parziale restituzione e in caso di danneggiamento non dovuto alla normale usura (art. 3);
– contratto a tempo determinato: nel caso di successivi rinnovi di rapporti a termine con lo stesso contenuto, il periodo di prova può essere pattuito solo nel primo rapporto (art. 4);
– proposta d’ordine: il termine entro il quale il preponente può rifiutare la proposta d’ordine è ridotto da 60 a 30 giorni (art. 5);
– provvigioni: il diritto alla provvigione sussiste con riferimento agli affari conclusi durante il rapporto ed a quelli andati a buon fine nei 6 mesi successivi allo scioglimento del contratto; nel testo previgente tale periodo successivo era di 4 mesi (art. 6);
– gravidanza e puerperio: il periodo di sospensione del rapporto viene prolungato da 8 a 12 mesi; nel caso (in precedenza non regolato) di interruzione della gravidanza il rapporto resta sospeso fino ad un massimo di 5 mesi (art. 13).
L’accordo prevede infine la costituzione di commissioni di studio per la realizzazione di un ente bilaterale degli agenti e rappresentanti (art. 20) e di una forma di assistenza sanitaria integrativa (art. 21).
Fonte: IPSOA

TASI: la responsabilità è dell’inquilino

9 Giugno 2014

La TASI è dovuta da chiunque possieda detenga qualsiasi titolo le unità immobiliari su cui grava il tributo.

Dunque:
– il proprietario
– l’usufruttuario
– il locatario
 (nei contratti di locazione finanziaria)
– il concessionario 
delle aree demaniali
– l’ex coniuge assegnatario dell’immobile coniugale
– il coniuge superstite

Ma anche in qualità di occupante:
– il comodatario
– il locatario nei contratti locazione

PROPRIETA’ O POSSESSO DI UN IMMOBILE DA PARTE DI SOGGETTI DIVERSI DAGLI OCCUPANTI- In caso di pluralità di proprietari (o possessori) o di occupanti( detentori), essi sono tenuti in solido al versamentodell’unica obbligazione tributaria (comma 671 L. 147/2013).
Proprietario e occupante hanno un’obbligazione tributaria, invece, autonoma. Dunque, il proprietario non risponde solidalmente del tributo (10% – 30%) eventualmente non versato dall’inquilino.
Nel caso in cui la proprietà o il possesso di un immobile sia detenuta da soggetto diverso dall’occupante, va effettuata una ripartizione del carico impositivo tra possessore e detentore:
– l’occupante versa la TASI nella misura stabilita dal comune nel regolamento (che varia dal 10% al 30%), mentre il residuo lo versa il proprietario o detentore del diritto reale.
– se nella delibera non viene specificato nulla sulla ripartizione, l’occupante versa il 10% del tributo e il 90% il detentore del diritto reale – (FAQ Ministero del 04.06.2014).
Tale onere riguarda tutti i detentori, non solo gli inquilini dei fabbricati a destinazione abitativa (locazioni) ma anche i fabbricati utilizzati nell’ambito di attività imprenditoriali o professionali come negozi, laboratori, uffici)

DELIBERA SENZA RIPARTIZIONE DELLA TASI – Qualora il comune nella delibera non abbia indicato la percentuale per il riparto dell’imposta tra proprietario e inquilino, quest’ultimo deve versare il tributo nella misura minima del 10 per cento, in quanto si ritiene che una diversa percentuale di imposizione a carico del detentore debba essere espressamente deliberata dal comune stesso.

ANCHE IN CEDOLARE SECCA LE REGOLE NON CAMBIANO – Anche se il locatore ha optato per il regime della cedolare secca, dovrà applicare le regole di ripartizione appena viste. Il regime della cedolare secca è alternativo a quello di tassazione Irpef e non ha alcun rilievo sui presupposti impositivi TASI.

LOCAZIONI DI BREVE PERIODO – In caso di detenzione temporanea di durata non superiore a 6 mesi nel corso dell’anno solare (es.le case vacanza), la TASI è dovuta solo dal possessore dei locali e delle aree a titolo di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e quindi l’utilizzatore non dovrà versare nulla. (L. 147/2013, co. 673).
Lo stesso vale anche per tutte le detenzioni – es. locazione cessata nel corso del 2014 entro 6 mesi dall’inizio del periodo d’imposta, per il 2014 la TASI è dovuta interamente dal possessore.
Stessa cosa per un contratto sottoscritto nel 2014 iniziato entro 6 mesi dalla fine del periodo d’imposta.

MANCATO PAGAMENTO TASI DA PARTE DELL’INQUILINO – Nell’ipotesi di mancato pagamento da parte dell’inquilino della propria quota della Tasi, il proprietario non è responsabile. Si ricorda infatti, come ognuno è titolare di un’autonoma obbligazione tributaria. La responsabilità solidale esiste solo tra possessori o detentori e non tra possessore e detentore.

Autore: Redazione Fiscal Focus

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Cessazione attività. Chiarimenti sulla compatibilità degli indennizzi

3 Ottobre 2014

L’indennizzo è compatibile con l’assegno sociale solo se inferiore a 5.818,93 euro per l’anno 2014

Premessa – Stop all’indennizzo per cessazione dell’attività commerciale in caso di raggiungimento dei nuovi requisiti previdenziali previsti dalla manovra “Salva-Italia” (L. n. 214/2011). Infatti, la prestazione economica è incompatibile con la pensione di vecchiaia se al momento della domanda di indennizzo sono stati maturati i requisiti previsti dalla legge. Diverso è il discorso per i soggetti già titolari o che abbiano maturato i requisiti per la pensione di anzianità e quella anticipata nella gestione commercianti. Per questi ultimi, infatti, l’indennizzo spetta fino al mese di compimento delle età pensionabili previste dalla riforma Monti-Fornero. Inoltre, l’indennizzo in commento è compatibile anche con l’assegno sociale, purché il beneficiario non possegga redditi superiori, per l’anno 2014, a 5.818,93 euro. A chiarirlo è l’INPS con il messaggio n. 7384/2014, a seguito di numerose richieste di chiarimento dalle singole Sedi territoriali in merito alla compatibilità dell’indennizzo con la titolarità di una pensione di vecchiaia, di anzianità, anticipata ed assegno sociale.

Indennità per cessazione attività –
 L’art. 1 del D.Lgs. n. 207/1996 ha previsto “un indennizzo per la cessazione definitiva dell’attività commerciale ai soggetti che esercitano, in qualità di titolari o coadiutori, attività commerciale al minuto in sede fissa, anche abbinata ad attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, ovvero che esercitano attività commerciale su aree pubbliche”. Affinché gli interessati possano godere dell’indennizzo in questione, è necessario che questi ultimi siano in possesso dei seguenti requisiti:
• più di 62 anni di età, se uomini, ovvero più di 57 anni di età, se donne;
• iscrizione, al momento della cessazione dell’attività, per almeno 5 anni, in qualità di titolari o coadiutori, nella Gestione dei contributi e delle prestazioni previdenziali degli esercenti attività commerciali presso l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS).
Ai soggetti idonei spetta un assegno mensile, sino alla data di decorrenza della pensione di vecchiaia, pari all’importo del trattamento minimo di pensione (come detto, 501,38 euro nel 2014). Al riguardo, è bene tener presente che l’erogazione dell’indennizzo spetta fino a tutto il mese in cui i beneficiari compiono le età pensionabili previste per la vecchiaia dalla riforma Fornero.Legge di Stabilità 2014 – Ora, la Legge di Stabilità 2014 ha prorogato tale indennizzo anche ai soggetti che maturino i requisiti pensionistici nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2009 e il 31 dicembre 2016. Per cui, possono presentare domanda di indennizzo tutti coloro che maturano i requisiti per l’indennizzo di cui all’articolo 2 del Decreto Legislativo n. 207 del 1996 nel periodo “1° gennaio 2012 – 31 dicembre 2016”. Rientrano nell’agevolazione anche coloro che, pur avendo maturato i requisiti per il diritto alla predetta prestazione ai sensi del previgente articolo 19-ter nel periodo “1° gennaio 2009 – 31 dicembre 2011”, non avevano presentato la relativa domanda o gli era stata rigettata perché presentata oltre il termine ultimo del 31 gennaio 2012.

Pensione di vecchiaia – Ciò detto, l’INPS precisa che l’indennizzo non può essere concesso ai soggetti che, al momento della domanda di indennizzo, hanno compiuto le nuove età pensionabili previste dalla Legge n. 214 del 2011. Quanto alla scadenza degli indennizzi, essa è prevista al compimento, da parte del titolare, dell’età pensionabile adeguata agli incrementi della speranza di vita che, per le lavoratrici iscritte alle gestioni speciali dei lavoratori autonomi coincide a 64 anni e 9 mesi, per il periodo “1° gennaio 2014-31 dicembre 2015”; mentre per i lavoratori scade a 66 anni e 3 mesi, sempre per lo stesso periodo. Non è pertanto possibile estendere il godimento del trattamento al compimento dei 70 anni. L’indennizzo, tra l’altro, non è concedibile anche ai soggetti già titolari di pensione di vecchiaia nella Gestione commercianti o che sono in possesso dei requisiti, anche previgenti la legge di riforma n. 214 del 2011, per il conseguimento della pensione di vecchiaia nella gestione medesima.

Pensione di anzianità e anticipata –
 Differente è il discorso per i soggetti che siano già titolari o abbiano maturato i requisiti per la pensione di anzianità ovvero per la pensione anticipata nella gestione commercianti. In questi casi, l’indennizzo può essere concesso in presenza dei requisiti e delle condizioni richieste dalla legge. In ogni caso, il trattamento spetterà fino al mese di compimento delle età pensionabili previste dalla manovra “Salva-Italia”. A tal proposito, l’Istituto previdenziale tiene a precisare che durante il periodo di godimento dell’indennizzo non sarà accreditata in favore del beneficiario alcuna ulteriore contribuzione figurativa nell’ambito della Gestione dei contributi e delle prestazioni previdenziali degli esercenti attività commerciali. Nell’ipotesi in cui il diritto alla pensione anticipata venga perfezionato, in corso di godimento dell’indennizzo, anche utilizzando i contributi figurativi maturati durante la percezione dello stesso, il beneficiario potrà accedere alla suddetta prestazione pensionistica e continuare a usufruire dell’indennizzo fino al mese di compimento dell’età pensionabile.

Assegno sociale –
 Infine, per quanto concerne l’assegno sociale l’indennizzo è compatibile con il trattamento previdenziale solo se quest’ultimo non supera il limite reddituale annuale, per l’anno 2014 è pari a 5.818,93 euro.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Detrazione ristrutturazioni con certificazione al coniuge incapiente

3 Ottobre 2014

Bonus ristrutturazioni al marito per le spese cointestate

Premessa – In presenza di lavori su parti comuni condominiali, per le quali l’amministratore ha certificato al condomino (proprietario al 100% che non possiede reddito) la relativa quota detraibile, il coniuge convivente può detrarre le spese di ristrutturazione pagate con l’emissione di assegni su un c/c cointestato, ancorché la delibera assembleare e la tabella millesimale di ripartizione delle spese siano intestate al solo proprietario. Sul punto l’Agenzia specifica che nel suddetto documento rilasciato dall’amministratore il coniuge convivente deve indicare i propri estremi anagrafici e l’attestazione dell’effettivo sostenimento delle spese.

Parti comuni condominio – Dal 2012 l’agevolazione 36%-50% è normativamente ammessa per gli interventi effettuati su tutte le parti comuni degli edifici residenziali, individuate dall’articolo 1117, C.c. Nel caso di interventi su parti comuni condominiali, ogni singolo condomino può beneficiare dell’agevolazione proporzionalmente alle quote millesimali di proprietà. In tale ipotesi gli adempimenti necessari per beneficiare della detrazione del 36%-50% sono generalmente eseguiti dall’amministratore di condominio.

Certificazione – 
Con Circolare 1 giugno 1999, n. 122, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che in luogo di tutta la documentazione “ordinaria”, l’amministratore può provvedere a consegnare a ogni condomino una certificazione, attestante: l’espletamento di tutti gli adempimenti previsti ai fini della detrazione del 36%-50% e l’importo per il quale il contribuente può beneficiare dell’agevolazione (ovvero la propria quota millesimale).

Certificazione coniuge incapiente – Un caso particolare si può presentare qualora l’amministratore abbia certificato regolarmente al condomino la quota detraibile delle spese affrontate su parti comuni ma contribuente proprietario al 100 per cento però non possiede reddito. In tale ipotesi nasce il dubbio se il coniuge convivente possa detrarre le spese di ristrutturazione anche se le rate condominiali sono state saldate con l’emissione di assegni su un conto corrente cointestato ai due coniugi.

Circolare 121/1998 – Al riguardo la circolare n. 121/E dell’11 maggio 1998, al punto 2.1, ha precisato che la detrazione prevista per gli interventi di ristrutturazione edilizia compete anche al familiare convivente del possessore o detentore dell’immobile sul quale sono effettuati i lavori.

Circolare 122/1999 –
 Con successiva circolare n. 122/E del 1999 è stato chiarito, ai fini della detrazione relativa alle spese sulle parti condominiali, che nel caso in cui la certificazione dell’Amministratore del condominio indichi i dati relativi a un solo condomino, mentre le spese per quel determinato alloggio sono state sostenute da altri soggetti, il contribuente, qualora ricorrano tutte le altre condizioni che comportano il riconoscimento del diritto alla detrazione, può fruirne a condizione che attesti sul documento comprovante il pagamento della quota relativa alla spese in questione il suo effettivo sostenimento e la percentuale di ripartizione.

Delibera – Con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 149646 del 2 novembre 2011, è stato disposto che, nell’ipotesi di lavori su parti comuni di edifici residenziali, ogni contribuente è tenuto ad esibire la delibera assembleare e la tabella millesimale di ripartizione delle spese. Il citato Provvedimento non stabilisce le modalità con le quali i singoli condomini devono versare le somme al condominio.

Detrazione –
 Alla luce di tale situazione, l’Agenzia delle Entrate nella circolare 21.5.2014, n. 11/E ha ritenuto che nel caso in esame il contribuente, coniuge convivente del proprietario dell’immobile, possa portare in detrazione nella propria dichiarazione dei redditi le spese sostenute relative ai lavori condominiali pagate con assegno bancario tratto sul conto corrente cointestato ai due coniugi. Sul documento rilasciato dall’amministratore comprovante il pagamento della quota millesimale relativa alla spese in questione il coniuge convivente dovrà indicare i propri estremi anagrafici e l’attestazione dell’effettivo sostenimento delle spese.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Locazioni già assoggettate a tassazione e locazioni non abitative

3 Ottobre 2014
La normativa dispone che i canoni di locazione immobiliare a uso abitativo concorrono alla determinazione del reddito imponibile del locatore indipendentemente dalla loro percezione.
Nel caso specifico di canoni di locazione non incassati, ma che comunque sono già stati assoggettati a tassazione negli anni precedenti, si potrà determinare un credito d’imposta generato dalla rideterminazione delle imposte versate nei dieci anni precedenti.

Ciò significa che si potrà procedere al calcolo con riferimento alle dichiarazioni presentate negli anni precedenti, ma non oltre quelle relative ai redditi 2004, sempreché per ciascuna delle annualità risulti accertata la morosità del conduttore nell’ambito del procedimento di convalida dello sfratto conclusosi nel 2013. Nel frangente viene concesso al locatore un credito d’imposta pari alle maggiori imposte pagate in conseguenza dei canoni non riscossi ma comunque dichiarati.
Per la definizione del credito, il contribuente deve rideterminare le imposte sul reddito (IRPEF o IRES, a seconda della tipologia del contribuente) del periodo interessato e poi sottrarla dall’imposta a suo tempo versata.

Al fine del ricalcolo dell’imposta dovuta, si dovrà sottrarre dal reddito complessivo il canone non percepito, aggiungere il valore della rendita catastale in modo da ottenere il “nuovo” reddito imponibile sul quale applicare le aliquote vigenti nel periodo interessato dal ricalcolo.
Il credito d’imposta sarà riconosciuto solo se alla formazione del reddito complessivo della precedente dichiarazione ha concorso il canone e non la rendita catastale (perché superiore al canone ridotto della percentuale forfetaria).

Riscossione di canoni già oggetto di credito d’imposta – Per le imprese individuali ed esercenti arti e professioni, nonché per le persone fisiche non titolari di partiva IVA, nel caso in cui i canoni di locazione che hanno permesso di usufruire del credito d’imposta siano successivamente riscossi, tali contribuenti sono obbligati a dichiarare il maggiore imponibile determinato tra i redditi soggetti a tassazione separata nel relativo quadro del modello dichiarativo (salvo opzione per la tassazione ordinaria). Tra le più importanti vi è a “clausola risolutiva espressa” (ex art. 1456 del c.c.) e la risoluzione a seguito di diffida ad adempiere ex art. 1454 del codice civile.

Immobili non abitativi – Sia la non tassabilità dei canoni non riscossi sia il credito d’imposta che si genera a seguito della conclusione della convalida di sfratto per morosità del conduttore si applicano solo sugli immobili che vengono concessi in locazione ma sono a uso abitativo.
Per le locazioni di immobili non abitativi il legislatore tributario non ha previsto una disposizione analoga. Ne consegue che:
– il relativo canone, ancorché non percepito, va comunque dichiarato, nella misura in cui risulta dal contratto di locazione, fino a quando non intervenga una causa di risoluzione del contratto medesimo;
– le imposte assolte sui canoni dichiarati e non riscossi non potranno essere recuperate.

Si fa presente, infine, che la Circolare 11/E dell’Agenzia delle Entrate richiama la sentenza n. 362 del 2000 della Corte Costituzionale, con cui quest’ultima ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 23 (ora articolo 26) del TUIR in quanto il sistema di tassazione che presiede allelocazioni non abitative non risulta gravoso e irragionevole dal momento che il locatore può utilizzare tutti gli strumenti previsti per provocare la risoluzione del contratto di locazione (dalla clausola risolutiva espressa ex art. 1456 del codice civile, alla risoluzione a seguito di diffida ad adempiere ex art. 1454, alla azione di convalida di sfratto ex artt. 657 e ss del c.p.c.) e far “riespandere” la regola generale di attribuzione del reddito fondiario basata sulla rendita catastale.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Omessa IVA. Assoluzione per insussistenza del fatto

5 Settembre 2014

Cassazione Penale, sentenza depositata il 4 settembre 2014

Con la sentenza n. 36859/14, pubblicata ieri, la Terza Sezione Penale della Cassazione ha mandato assolto un imprenditore che, in relazione ai periodi d’imposta 2006 e 2007, non ha versato l’IVA per importi inferiori alla soglia di euro 103.291,38.

Incostituzionalità dell’art. 10-ter. L’imprenditore in questione – condannato dalla Corte d’appello alla pena della reclusione (7 mesi) – ha beneficiato degli effetti derivanti dalla sentenza 8 aprile 2014 n. 80con cui la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000 nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento dell’IVA dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori a euro 103.291,38, per ciascun periodo d’imposta.

Il fatto non sussiste. Preso atto del fatto che le contestazioni mosse al ricorrente hanno riguardato omessi versamenti IVA d’importo inferiore a quello indicato dai giudici costituzionali – nel caso di specie l’imposta dovuta era pari a euro 53.962 per l’anno 2006 e a euro 52.297 per l’anno 2007 – gli Ermellini hanno annullato la condanna “per insussistenza del fatto”, formula da preferire a quella “perché il fatto non costituisce reato”. Quest’ultima, infatti, va adottata “là dove il fatto non corrisponda a una fattispecie incriminatrice in ragione o di un’assenza di previsione normativa o di una successiva abrogazione della norma o di un’intervenuta dichiarazione (integrale e non parziale, come nel caso di specie) d’incostituzionalità, permanendo in tutti tali casi la possibile rilevanza del fatto in sede civile; la formula ‘il fatto non sussiste’, che esclude ogni possibile rilevanza anche in sede diversa da quella penale, va invece adottata quando difetti un elemento costitutivo del reato, come nel caso in esame” – si legge in sentenza.

Osservazioni. In virtù della sentenza n. 80/14 della Corte Costituzionale, per i fatti commessi entro il 17 settembre 2011, non può più essere punito con la pena della reclusione da sei mesi a due anni chi non abbia versato l’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale entro il termine per il versamento dell’acconto inerente al periodo d’imposta successivo per un ammontare inferiore a 103.291,38 euro per ciascun periodo d’imposta.

Questa importante conseguenza interessa i contribuenti che hanno omesso il versamento, per un importo superiore a 50mila euro ma inferiore a 103.291,38 euro, relativamente ai periodi di imposta: 2005 (scadenza 27 dicembre 2006); 2006 (scadenza 27 dicembre 2007); 2007 (scadenza 27 dicembre 2008); 2008 (scadenza 27 dicembre 2009); 2009 (scadenza 27 dicembre 2010) – ferma restando l’eventuale intervenuta prescrizione.

Autore: Redazione Fiscal Focus

L’F24 Elide semplifica la vita

5 Settembre 2014

Locazione: risoluzione anticipata del contratto

L’F24 Elide semplifica la vita! Come sprecare il proprio tempo, facendosi identificare ai fini antiriciclaggio, per versare 67 euro al fisco!

Già dal 1° febbraio 2014 è possibile versare con il modello “F24 Versamenti con elementi identificativi” (F24 Elide) l’imposta di registro, i tributi speciali e compensi, l’imposta di bollo, le sanzioni e gli interessi, relativi alla registrazione dei contratti di locazione e affitto di beni immobili. Un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate del 3 gennaio 2014 ha previsto questa nuova possibilità stabilendo, inoltre, un periodo di convivenza con il modello F23 finora utilizzato per il versamento. La misura fa parte del pacchetto delle semplificazioni fiscali presentate, con relativa tabella di marcia, nella conferenza stampa dello scorso 3 luglio 2013!!!

Le istruzioni dell’Agenzia circa le modalità di versamento con il modello F24 Elide – Per versare le imposte relative alla registrazione dei contratti di locazione o affitto di beni immobili, i contribuenti che non sono titolari di partita Iva potranno presentare l’F24 Elide sia online, direttamente o tramite intermediari abilitati, sia presso banche, Poste Italiane e agenti della riscossione.
titolari di partita Iva, invece, dovranno versare gli importi con l’F24 Elide esclusivamente online, direttamente o tramite intermediari abilitati.
Così ci dice il provvedimento dell’Agenzia Entrate in materia. La pratica è tuttavia ben diversa dalla teoria. Provate a recarvi in Posta e chiedere il pagamento di un F24 elide. Ebbene rischiate di perdere almeno mezz’ora, perché vi richiedono i dati per l’identificazione e la registrazione nelle loro banche dati, ai fini antiriciclaggio.
Se poi scegliete la via più comoda e dall’ufficio compilate il modello tramite il software dell’Agenzia “F24on-line”, vedrete che non è aggiornato e l’F24 elide ai fini del versamento dell’imposta di registro è ancora una chimera.
Dunque, un consiglio, recatevi in banca e sperate in un funzionario accondiscendente e paziente.
Per evitare inutili perdite di tempo, vi forniamo le indicazioni pratiche da seguire:

Il versamento dell’imposta per risoluzione anticipata del contratto – L’articolo 17 del TUR, D.P.R. n. 131/1986 disciplina le “Cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite dei contratti di locazione e di affitto di beni immobili”.
In particolare, il comma 1 del citato articolo, prevede che l’imposta dovuta per la registrazione dei contratti di locazione e affitto di beni immobili esistenti nel territorio dello Stato, nonché per le cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite degli stessi, è liquidata dalle parti contraenti e assolta entro 30 giorni mediante versamento del relativo importo presso uno dei soggetti incaricati della riscossione.
Con provv. del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 3 gennaio 2014 sono state estese, in attuazione dell’articolo 2 del decreto del MEF 8 novembre 2011, le modalità di versamento con F24, di cui all’art. 17, D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, alle somme dovute in relazione alla registrazione dei contratti di locazione e affitto di beni immobili esistenti nel territorio dello Stato, prima effettuate tramite F23.

Per consentire il versamento delle predette somme è stato istituito con Risoluzione n. 14/E del 24 gennaio 2014 il codice tributo da utilizzare esclusivamente nel modello “F24 Versamenti con elementi identificativi” per il versamento dell’imposta di Registro per risoluzioni del contratto, cioè il “1503”.
Inoltre, per consentire la corretta identificazione nel modello “F24 Versamenti con elementi identificativi” del soggetto quale “controparte” del contratto, è stato istituito il codice identificativo “63” denominato “Controparte”.
In sostanza, i campi del modello di pagamento “F24Versamenti con elementi identificativi” vanno così compilati:
• nella sezione “CONTRIBUENTE”, è indicato il “codice fiscale” e “dati anagrafici”, della parte che effettua il versamento (locatore o locatario, dato che c’è responsabilità solidale nel versamento);
• nel campo “Codice fiscale del coobbligato, erede, genitore, tutore o curatore fallimentare”, il codice fiscale del soggetto, quale controparte (oppure di una delle controparti – nel nostro caso del locatario o locatore), unitamente al codice identificativo “63”, da indicare nel campo “codice identificativo”;
• nella sezione “ERARIO ED ALTRO”, è indicato: nei campi “codice ufficio” e “codice atto”, nessun valore;
• nel campo “tipo”, la lettera “F” (identificativo registro);
• nel campo “elementi identificativi”, il codice identificativo del contratto (composto da 17 caratteri e reperibile nella copia del modello di richiesta di registrazione del contratto restituito dall’ufficio o, per i contratti registrati per via telematica, nella ricevuta di registrazione).
Tale codice è formato nel modo seguente:
• nei caratteri da 1 a 3 è inserito il codice Ufficio presso il quale è stato registrato il contratto;
• nei caratteri da 4 a 5 sono inserite le ultime due cifre dell’anno di registrazione;
• nei caratteri da 6 a 7 è inserita la serie di registrazione – in caso di numero inferiore di caratteri, completare gli spazi, a partire da sinistra, con gli zeri (“0”);
• nei caratteri da 8 a 13 è inserito il numero di registrazione – in caso di numero inferiore di caratteri, completare gli spazi, a partire da sinistra, con gli zeri (“0”);
• nei caratteri da 14 a 16 è inserito, se presente, il sottonumero di registrazione oppure “000”;
• nel campo “codice”, il codice tributo “1503”;
• nel campo “anno di riferimento”, l’anno di scadenza dell’adempimento, nel formato “AAAA”;
• nel campo “importi a debito versati ”, gli importi da versare.

F23 ancora utilizzabili – Non disperate, per non disorientare i contribuenti e per consentire agli intermediari di adeguare le procedure, dall’1 febbraio 2014 al 31 dicembre 2014 i contribuenti potranno ancora utilizzare alternativamente l’F23 o l’F24 Elide. Dal 1° gennaio 2015, invece, i versamenti dovranno essere eseguiti esclusivamente con il modello F24 Elide.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Circolazione del contante: limiti anche nei rapporti tra familiari

4 Settembre 2014
Molto spesso, parlando dei limiti alla circolazione al contante, si finisce per circoscrivere il suo ambito di applicazione al mondo delle transazioni commerciali. Soltanto gli imprenditori, pertanto, sembrerebbero tenuti a ricorrere a strumenti di pagamento tracciabili nel caso in cui la transazione dovesse superare la soglia limite dei 999,99 euro.

Ebbene, va ricordato come, in realtà, il limite non abbia alcuna restrizione nella sua applicazione, estendendosi pertanto ai rapporti tra privati senza alcuna forma di esonero.

Qualora un soggetto decidesse di prestare 1.000 euro al suo amico, pertanto, sarebbe comunque tenuto a farlo con un assegno bancario non trasferibile o con qualsiasi altro strumento di pagamento tracciabile.

Deve inoltre ricordarsi che, se la transazione supera il limite fissato dal Legislatore, i soggetti sanzionabili sono sia colui che ha pagato sia colui che ha riscosso gli importi: il dipendente che riceve la sua intera retribuzione, pari a 1.500 euro, interamente in contanti, sarà pertanto ugualmente sanzionabile, così come lo può essere l’imprenditore.

Una transazione in contanti è ammessa invece se nel trasferimento interviene una banca, un istituto di moneta elettronica o Poste Italiane. Ben potrà, quindi, il pensionato, decidere di ritirare la sua intera pensione, pari a 1.200 euro, dal suo conto corrente bancario, per poi provvedere agli acquisti mensili, singolarmente di importo inferiore alla soglia.

Tuttavia, è sempre bene ricordare che frequenti versamenti o prelevamenti in contanti, soprattutto se di importo rilevante, potrebbero rappresentare un campanello d’allarme per la banca, la quale potrebbe ritenere necessaria la segnalazione dell’operazione sospetta.

I trasferimenti di denaro tra familiari

Anche tra i componenti dello stesso nucleo familiare sono applicabili i limiti previsti in tema di circolazione del contante.

Il padre, pertanto, non potrà corrispondere al figlio un importo superiore a 1.000 euro in contanti al fine di poter finanziare le spese che lo stesso dovrà sostenere per gli studi, anche se successivamente il figlio effettuerà singole transazioni di importo inferiore alla soglia limite.

Unica eccezione è rappresentata dal coniuge in regime di comunione legale. In questo caso, infatti, la transazione non può ritenersi effettuata tra soggetti diversi e ben potrà quindi il marito consegnare alla moglie l’importo di 1.500 euro in contanti.

I pagamenti frazionati
Particolare attenzione deve essere poi riservata ai pagamenti frazionati. I singoli versamenti in contanti di importo inferiore al limite facenti parte di un’operazione di importo complessivamente superiore ai 1.000 euro sono infatti consentiti solo laddove il frazionamento sia previsto dalle prassi commerciali o a fronte del contratto sottoscritto tra le parti.

Potrà pertanto accadere che una famiglia decida di pagare la nuova caldaia istallata in rate mensili da 200 euro (preferibilmente mettendo per iscritto l’accordo), così come sarà possibile versare in contanti l’affitto di 300 euro mensili (sebbene il contratto riporti, ovviamente, come canone annuale, l’importo di 3.600 euro).

Con specifico riferimento ai contratti di locazione si ricorda che dal 1°gennaio 2014 è necessario avere una prova documentale delle transazioni per poter fruire dei benefici fiscali (si pensi, in primo luogo, alle detrazioni fiscali previste per gli inquilini). Non sarà tuttavia necessario ricorrere a uno strumento di pagamento tracciabile, in quanto è sufficiente una semplice ricevuta di pagamento (sempre che l’importo sia inferiore ai 999,99 euro).

La possibile soluzione
Anche quando il pagamento in contanti sembra essere l’ultima strada percorribile, vi è sempre una soluzione per poter evitare le sanzioni.

Se, ad esempio, è necessario corrispondere gli importi a un soggetto privo del conto corrente, è sempre possibile ricorrere a un intermediario, al quale potrà essere inoltrato l’ordine di mettere a disposizione del soggetto in questione una prestabilita somma in contanti.
In questo caso, infatti, grazie all’intermediazione della banca, è garantita la tracciabilità e, di conseguenza, nessuna sanzione può essere irrogata.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Art-bonus: istruzioni del Fisco

In una circolare l’Agenzia detta le modalità per fruire del credito

Premessa – Il nuovo regime fiscale agevolato, Art-Bonus, prevede per le persone fisiche e giuridiche che effettuano erogazioni liberali in denaro a favore di cultura e spettacolo, un credito di imposta pari al 65 % delle erogazioni fatte tra il 2014 e il 2015 e al 50% di quelle eseguite nel 2016. La circolare 24/E di ieri fa il punto sul bonus, introdotto dal Dl n.83 del 2014, e specifica quali sono le modalità di effettuazione delle liberalità e di utilizzo dell’agevolazione. 
Ambito oggettivo – Danno diritto all’Art-Bonus le erogazioni in denaro destinate a:
– interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici (anche nel caso in cui tali beni siano gestiti da soggetti concessionari o affidatari);
– sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica (musei, biblioteche, archivi, aree e parchi archeologici, complessi monumentali);
– realizzazione di nuove strutture, restauro e potenziamento di quelle esistenti, delle fondazioni lirico-sinfoniche o di enti o istituzioni pubbliche che, senza scopo di lucro, svolgono esclusivamente attività nello spettacolo.

Ambito soggettivo – La misura agevolativa è riconosciuta a tutti i soggetti, indipendentemente dalla natura e dalla forma giuridica, che effettuano le erogazioni liberali a sostegno della cultura previste dal D.L. n. 83/2014.

Misura dell’agevolazione – L’agevolazione fiscale spetta nella misura del 65% delle erogazioni liberali in denaro effettuate in ciascuno dei due periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2013 e del 50% per quelle effettuate nel periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015.

Limiti – In relazione alla qualifica del soggetto che effettua le liberalità sono previsti diversi limiti massimi di spettanza del credito di imposta nonché modalità di fruizione differenziate. Alle persone fisiche e agli enti che non svolgono attività commerciale, il credito d’imposta è, infatti, riconosciuto nei limiti del 15% del reddito imponibile, mentre ai titolari di reddito d’impresa spetta nel limite del 5 per mille dei ricavi. Tra le persone fisiche vanno ricompresi quei soggetti che non svolgano attività d’impresa, quali, a titolo esemplificativo, i lavoratori dipendenti, i pensionati, i lavoratori autonomi e i titolari di redditi di fabbricati.

Modalità di fruizione – Il credito, che non ha alcuna rilevanza ai fini delle imposte sui redditi e dell’Irap, è ripartito in tre quote annuali di pari importo. Persone fisiche e enti non commerciali possono fruire della prima quota nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui hanno effettuato l’erogazione, ai fini del versamento delle imposte sui redditi. Le imprese possono invece utilizzare il credito, nell’ambito dei pagamenti dovuti tramite modello F24, a partire dal primo giorno del periodo d’imposta successivo a quello in cui hanno eseguito le erogazioni.

Credito – L’Art-Bonus, che deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi, può essere fruito annualmente senza alcun limite quantitativo, quindi anche per importi superiori al tetto dei 250.000 euro solitamente previsto per i crediti d’imposta agevolativi. Al credito, inoltre, non si applica il limite generale di compensabilità di crediti d’imposta e contributi, pari a 700.000 euro a decorrere dal primo gennaio 2014. Nessun limite all’utilizzo del bonus neanche sul versante temporale, eccetto la ripartizione in 3 anni; la quota annuale non utilizzata può essere portata agli anni successivi se non “sfruttata” per intero. Le persone fisiche e gli enti non commerciali, infatti, possono riportare la quota annuale non utilizzata nelle dichiarazioni degli anni successivi, mentre i titolari di reddito d’impresa possono compensarlo nei periodi d’imposta successivi, secondo le modalità proprie del credito.

Comunicazione– I beneficiari delle erogazioni devono comunicare ogni mese al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo l’ammontare delle erogazioni ricevute. Sono inoltre tenuti a dare pubblica comunicazione di tale ammontare, oltre che del suo utilizzo, anche attraverso un’apposita sezione nei propri siti web istituzionali.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Accertamento. Socio uscente obbligato per la Sas

21 Luglio 2014

Una sentenza della CTR di Trento

Il socio receduto è responsabile in solido e in via di regresso delle obbligazioni tributarie relative alla società in accomandita semplice, anche se non ha ricevuto la notifica dell’accertamento.

È quanto emerge dalla sentenza n. 19/02/14 della Commissione Tributaria Regionale di Trento.

Il contenzioso riguarda un avviso di accertamento notificato nel dicembre 2009 al legale rappresentante di una società in accomandita semplice (già Srl) per contestare presunte maggiori imposte (IRES, IRAP e IVA, oltre sanzioni e interessi) per l’anno 2004. I due soci e la Sas, nel febbraio 2010, hanno presentato istanza di accertamento con adesione. Successivamente, il 100 per cento delle quote sociali è stato ceduto a terzi. Scaduto il termine per impugnare l’avviso, l’Ufficio ha iscritto a ruolo il credito erariale accertato nei confronti della società e dei coobbligati – ossia il nuovo legale rappresentante della Sas e il socio recesso. Ebbene, quest’ultimo ha proposto ricorso contro la cartella esattoriale chiedendone l’annullamento poiché non preceduta dalla notifica nei suoi confronti dell’avviso di accertamento presupposto.

Investita dell’esame del ricorso, la CTP di Trento ha confermato l’operato dell’Ufficio, escludendo l’obbligo per l’Amministrazione finanziaria di notificare l’atto presupposto anche al ricorrente. Di poi il giudizio d’appello, nel corso del quale il contribuente ha sostenuto che, non essendo più socio accomandatario della società, non aveva avuto modo di conoscere l’esito del procedimento promosso con l’istanza di accertamento con adesione; di non aver potuto beneficiare dei vantaggi del pagamento del debito d’imposta nei termini indicati nell’avviso di accertamento o ricorrere contro i vizi di merito dell’accertamento stesso. Lamentava, quindi, di aver subito le conseguenze di un atto divenuto definitivo per scelte imputabili alla società, ma a lui, in quanto coobbligato/solidale, non notificato.

L’Amministrazione Finanziaria ha resistito in giudizio evidenziando la responsabilità illimitata, solidale e di regresso del contribuente per le somme accertate alla società in ragione di quanto previsto dagli articoli 2290 e 2500-sexies del codice civile. La doglianza dell’Ufficio ha colto nel segno.

La CTR osserva che con la trasformazione della società da Srl a Sas, l’appellante – socio accomandatario aveva assunto la responsabilità illimitata anche per le obbligazioni sociali sorte in epoca precedente alla stessa trasformazione. Nella sua qualità di rappresentante legale della Sas poi, gli era stato notificato l’avviso di accertamento in esame. Ne conosceva, dunque, il contenuto e i rilievi contestati dall’Agenzia delle Entrate, avendo egli presentato istanza di accertamento con adesione.

La CTR aggiunge che la cessione delle quote sociali a terzi non è circostanza che fa venire meno la responsabilità illimitata di cui si è detto, salvo che cedenti e cessionari non abbiano stabilito patti per limitare la responsabilità o escludere la solidarietà tra i soci. Il che non è avvenuto nel caso in esame, sicché il contribuente “è responsabile – scrivono i giudici – per tutte le obbligazioni sociali, e perciò anche tributarie, fino al giorno in cui fu stipulato l’atto di cessione delle quote sociali (art. 2290); responsabilità che, ex art. 2269 c.c., si aggiunge a quella del nuovo socio. Sicché la responsabilità diretta del ricorrente consente all’A.F.di non notificare al socio l’avviso di accertamento, in quanto questo, eseguito nei confronti della società, ha effetto anche nei confronti dello stesso socio, benché receduto”.

La CTR, pertanto, respinge l’appello e condanna il contribuente al pagamento delle spese di lite, in favore del Fisco.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Controlli e capitale minimo: tra opportunità e rischi

Il diritto societario continua ad essere riformato, con interventi dettati da esigenze contingenti, che, se da un lato comportano dei benefici in capo alle imprese, dall’altro sollevano qualche perplessità.
L’ultimo intervento, in ordine di tempo, è quello del D.L. 91/2014 che ha introdotto diverse novità nella disciplina delle società per azioni, nonché nell’ambito dei controlli nelle società a responsabilità limitata.
Un intervento, questo, che se da un lato ha sollevato qualche polemica, ha indubbiamente il merito di ridurre notevolmente i costi dei controlli in capo alle società, nonché quello di favorire la nascita delle società per azioni.
Ma andiamo con ordine, e analizziamo le principali novità, nonché gli effetti che le stesse potrebbero avere.

La riduzione del capitale minimo – La prima novità introdotta, forse la più rilevante, è quella relativa alla riduzione del capitale minimo previsto per le S.p.a.
Al fine di favorire la diffusione di questa forma societaria, il capitale sociale minimo prima richiesto (pari a 120.000 euro), è stato portato a 50.000 euro.
La normativa italiana si allinea così a quella europea(si pensi che negli altri Paesi il limite minimo è di 25.000 euro), favorendo la nascita di Spa, che, per definizione, sono il modello di riferimento per accedere al mercato dei capitali di rischio e di debito.

Meno controlli nelle Srl – Un intervento che ha sollevato qualche critica riguarda invece l’abrogazione del secondo comma dell’art. 2477 del codice civile: se prima della riforma le Srl che avevano un capitale sociale non inferiore a quello minimo previsto per le Spa dovevano nominare l’organo di controllo, a seguito delle novità introdotte tale disposizione non è più applicabile.
Saranno pertanto obbligate a nominare l’organo di controllo soltanto le Srl che sono tenute alla redazione del bilancio consolidato, che controllano società obbligate alla revisione legale dei conti o che per due esercizi consecutivi hanno superato i limiti previsti per la redazione del bilancio in forma abbreviata.
Se è vero che, da un lato, questo intervento porta con sé un abbattimento dei costi in capo alle piccole e medie imprese, dall’altro lato, come è stato già sottolineato da alcuni Autori, è vero anche le novità introdotte rappresentano un duro colpo ai livelli di controllo delle nostre Srl, esponendo l’intero Paese a rischi di ulteriore instabilità.
D’altro canto, non è perfettamente chiaro il motivo per il quale una Spa debba necessariamente ricorrere alla revisione legale dei conti mentre una Srl avente lo stesso capitale sociale possa operare senza alcuna forma di controllo.
Alcuni dubbi sono stati inoltre sollevati con riferimento alla sorte degli attuali organi di controllo delle Srl nominati a seguito del superamento del limite del capitale sociale previsto per le Spa.
Nessuna disposizione in merito a tale fattispecie è stata infatti introdotta nel decreto, ragion per cui non è chiaro se il mandato dei sindaci possa essere sin da subito revocato o sia necessario attendere la sua scadenza.

Le azioni a voto plurimo – Altra novità introdotta con il decreto legge 91/2014 è la possibilità di emettere azioni a voto plurimo.
Se ad una prima analisi questa disposizione potrebbe apparire come quella meno rilevante, dall’altro lato, merita di essere sottolineatocome la stessa assuma estrema rilevanza al fine di favorire la quotazione delle imprese del nostro Paese.
È infatti noto come un importante freno alla quotazione delle imprese familiari, è rappresentato proprio dal timore di perdere il controllo della società.

A seguito delle novità introdotte, invece, potranno essere emesse azioni con un massimo di 2 voti, a favore di quei soggetti che si rendono disponibili a detenerle per almeno 24 mesi: questi nuovi strumenti non rappresentano però una speciale categoria di azioni, in quanto, in caso di successiva cessione, tornano ad essere ordinarie azioni con un solo voto.

Autore:
Redazione Fiscal
Focu

Fisco: Equitalia riapre la rateazione

4 Luglio 2014

Equitalia si concentra sull’importanza delle rateizzazioni ed illustra la nuova possibilità offerta ai contribuenti decaduti alla data del 22 giugno 2013 con il comunicato stampa del 3 luglio.

Le rateizzazioni – Equitalia sottolinea l’importanza delle rateizzazioni, le quali rappresentano uno strumento a cui hanno fatto ricorso moltissimi contribuenti: ad oggi ne risultano infatti attive 2,3 milioni per un importo di oltre 25 miliardi di euro.

La possibilità offerta ai contribuenti decaduti – L’importanza di questa modalità di pagamento è stata riconosciuta anche dal Legislatore, che, accogliendo le proposte avanzate da Equitalia ha concesso una nuova possibilità anche a coloro che, per Legge, avevano ormai perso il beneficio della rateizzazione perché non in regola con i pagamenti alla data del 22 giugno 2013.

Secondo quanto stabilito dal Decreto Irpef (DL 66/2014, convertito con modificazioni dalla Legge 89/2014), infatti, i contribuenti interessati potranno richiedere fino a un massimo di 72 rate (6 anni) presentando la domanda entro il prossimo 31 luglio.

Equitalia ha già messo a disposizione un apposito modulo sul suo sito internet, nella sezione “Rateizzare”, denominato appunto “Istanza di rateazione ai sensi dell’art. 11-bis del Decreto Legge n. 66/2014 convertito con modificazioni dalla legge n.89/2014”.

Questo strumento dovrebbe rappresentare un’importante opportunità per i contribuenti.
Come ha infatti spiegato l’amministratore delegato di Equitalia, Benedetto Mineo “dalle nostre stime emerge un importo di circa 20 miliardi di euro che potrebbe essere rimesso in rateizzazione .. Il provvedimento va incontro alle esigenze dei contribuenti in difficoltà, che possono usufruire di nuove condizioni favorevoli per i pagamenti, garantendo al contempo il recupero degli importi dovuti all’Erario, all’Inps, ai Comuni e ai vari enti pubblici creditori”. 

La nuova rateizzazione concessa – Come sottolinea anche Equitalia ci sono però alcuni aspetti sui quali è necessario concentrare l’attenzione.

In primo luogo, il nuovo piano concesso non è prorogabile in caso di peggioramento della situazione di difficoltà che non consente più di sostenere il piano di dilazione in corso.

Inoltre è prevista la decadenza in caso di mancato pagamento di due rate anche non consecutive, anziché dopo 8 rate, come attualmente previsto per le altre rateazioni.

Le altre forme di rateizzazione – Nel suo comunicato stampa Equitalia non dimentica inoltre le altre forme di rateazione che possono essere concesse ai contribuenti non decaduti.

È infatti da ricordare che è possibile ottenere un piano di rateizzazione straordinario fino a 120 rate (10 anni) oppure un piano ordinario a 72 rate (6 anni). In ogni caso, l’importo minimo di ogni rata è, salvo eccezioni, pari a 100 euro.

I piani sono alternativi per cui, in caso di mancata concessione di una dilazione straordinaria, è comunque possibile chiedere una rateazione ordinaria.

Entrambi gli strumenti consentono al contribuente di non essere più considerato inadempiente finché i pagamenti sono regolari, ed è quindi possibile ottenere il Durc e il certificato di regolarità fiscale per poter lavorare con le pubbliche amministrazioni.
Inoltre, il contribuente che paga a rate, è al riparo daeventuali azioni cautelari o esecutive (fermi, ipoteche, pignoramenti).

Autore: Redazione Fiscal Focus