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S.p.a., riduzione del capitale sociale minimo senza effetti per le s.r.l.

L’art. 20, co. 7, del D.L. n. 91/2014 ha stabilito la riduzione da euro 120.000 ad euro 50.000 del capitale sociale minimo previsto per la costituzione delle società per azioni dall’art. 2327 c.c., applicabile anche alle società in accomandita per azioni (art. 2454 c.c.). Per le società a responsabilità limitata, il capitale sociale minimo è, invece, fissato in euro 10.000 dall’art. 2463 c.c., essendo peraltro contemplata la possibilità che sia determinato in misura inferiore alla predetta soglia, purchè almeno pari ad euro 1: al ricorrere di tale ipotesi, i conferimenti devono essere effettuati in denaro, per intero, alle persone a cui è affidata l’amministrazione. In tale circostanza, è altresì prescritto l’accantonamento degli utili netti – risultanti dal bilancio regolarmente approvato – alla riserva legale (art. 2430 c.c.), nella misura del 20%, anziché di quella ordinaria del 5%, sino a quando tale riserva, unitamente al capitale sociale, non abbia raggiunto l’ammontare di euro 10.000.

La novità introdotta dall’art. 20, co. 7, del D.L. n. 91/2014 produce, pertanto, effetti esclusivamente sulle s.p.a. e s.a.p.a., ma non nei confronti delle s.r.l., come, invece, inizialmente prospettato: il successivo co. 8 ha, infatti, modificato l’art. 2477 c.c., abrogando il co. 2, che imponeva alla s.r.l. l’obbligo di nominare l’organo di controllo o il revisore nel caso di capitale sociale non inferiore a quello minimo previsto per le società per azioni. In mancanza di tale modifica normativa, sarebbe aumentato notevolmente il numero di s.r.l. obbligate a nominare l’organo di controllo o il revisore.
L’obiettivo del legislatore è, pertanto, quello, da un lato, di incentivare – attraverso la fissazione di un capitale sociale minimo decisamente più contenuto rispetto al passato – la costituzione delle s.p.a. e, dall’altro, rendere meno gravosi gli oneri per la s.r.l. in presenza di un capitale sociale non inferiore a quello minimo delle società per azioni.
Conseguentemente, per tutte le s.r.l. aventi un capitale sociale non inferiore ad euro 120.000 e che, quindi, hanno nominato l’organo di controllo o il revisore si pone, ora, il dubbio in merito all’automatica decadenza dello stesso – in virtù dell’abrogazione del co. 2 dell’art. 2477 c.c. – oppure del mantenimento della carica, sino alla naturale scadenza del mandato, salvo preventiva presentazione delle dimissioni dall’incarico.
Si segnala, infine, che il D.L. n. 91/2014 non ha, invece, modificato le altre disposizioni dell’art. 2477 c.c., per effetto delle quali la nomina dell’organo di controllo o del revisore è obbligatoria, qualora la s.r.l. si trovi in una delle seguenti circostanze: è tenuta alla redazione del bilancio consolidato; controlla una società obbligata alla revisione legale dei conti; ha superato, per due esercizi consecutivi, almeno due dei limiti previsti dall’art. 2435-bis, co. 1, c.c. per la redazione del bilancio in forma abbreviata.

30 giugno: la data dell’obbligo Pos

30 Giugno 2014
Il tanto discusso 30 giugno, data di entrata in vigore dell’obbligo Pos è arrivato. Dopo gli ultimi chiarimenti professionisti e imprenditori si approcciano tuttavia a questo nuovo adempimento con un animo più leggero, sebbene non manchino le perplessità.

L’obbligo di accettare il pagamento con carte di debito – L’obbligo Pos è stato introdotto per promuovere la diffusione e l’uso dei pagamenti con carte di debito e credito e limitare l’uso del contate, favorendo il contrasto all’evasione.

I costi connessi a tale nuova previsione non sono tuttavia trascurabili, e, per tali motivi, vivaci sono state le proteste degli operatori.

In risposta all’interrogazione n. 5-02936 in Commissione Finanze alla Camera il Ministero dell’Economia ha però chiarito che non è prevista alcuna sanzione nel caso in cui i professionisti non dovessero dotarsi di POS entro la data del 30 giugno 2014.
Si aderisce, in tal modo, all’interpretazione fornita dal Consiglio nazionale Forense, che, con riferimento alla disposizioni che dovrebbero trovare attuazione parla di mero “onere”, piuttosto che di “obbligo giuridico”.

Le conseguenze connesse al mancato rispetto dell’obbligo
 – Qualora il cliente volesse effettuare il pagamento con carta di debito, ma il professionista ne fosse sprovvisto, si configurerebbe la fattispecie della “mora del creditore”.

In questo caso il debitore non è liberato dall’obbligazione, ma, comunque non può essere addebitato allo stesso il ritardo nel pagamento.
Per questo motivo il professionista/imprenditore non dotato di Pos non potrà chiedere al cliente che vuole pagare con carta di debito gli interessi maturati.

In tal senso una possibile soluzione potrebbe essere quella di inserire un’apposita clausola contrattuale con la quale si individua un metodo di pagamento diverso dalla carta di debito: nulla vieta infatti alle parti di derogare la disposizione introdotta.

Alcune perplessità sorgono invece con riferimento agli altri operatori: si pensi, a tal proposito ad un piccolo ristorante, in cui il cliente decida di pagare con carta di debito il conto superiore a 30 euro.
In questo caso, evidentemente, la mora del creditore non è una conseguenza priva di effetti.
Come comportarsi con il cliente che dopo aver consumato, possa pagare soltanto con carta di debito? Potrebbe allontanarsi dal locale senza saldare il conto?
È sempre vero che il debitore non è liberato dall’obbligazione, ma quante probabilità ci sono che un cliente torni dopo alcuni giorni con il contante per provvedere al pagamento?

Si pensi poi all’idraulico che, con i suoi due dipendenti, si rechi presso le famiglie per piccoli interventi di manutenzione.
Cosa dovrà fare, nel caso in oggetto, l’idraulico? Dovrà fornire un Pos a ciascuno dei suoi due dipendenti ed averne anche uno per sé? Sicuramente il costo sarebbe eccessivo.

Il tutto senza considerare l’aspetto relativo ai rapporti con il cliente: è ovvio che, a parità di altre condizioni, un consumatore scelga l’imprenditore che gli assicuri maggiore facilità nei pagamenti, così come decida di evitare quello, che non rispettando una disposizione di legge, lo obbliga al pagamento in contante.

Appare quindi ovvio il motivo per il quale si parli di una semplice “arma spuntata” nella lotta contro l’evasione, in grado di generare soltanto confusione.

Si spera quindi che, molto presto, si intervenga anche sui costi connessi all’obbligo Pos, al fine di poter consentire a tutti di adeguarsi all’obbligo imposto dal legislatore.
La mancata previsione di sanzioni, infatti, se da un lato ha ridotto le proteste, dall’altro non può rappresentare la soluzione definitiva al problema.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Interessi passivi e coniuge a carico

30 Giugno 2014
Il caso – Due coniugi in regime di separazione dei beni acquistano nel 2008 la loro abitazione principale per una quota del 50% ciascuno. L’acquisto viene perfezionato con un mutuo ipotecario cointestato per la “prima casa” al 50%.
Attualmente nessuno dei due coniugi è a carico dell’altro (mentre in precedenza Tizia era a carico di Caio).

Il mutuo da sempre viene pagato integralmente da Caio con addebito RID sul suo conto corrente personale (che non è cointestato e non prevede deleghe a Tizia).

È possibile imputare gli interessi passivi del mutuo prima casa al coniuge che paga le rate del mutuo al 100% ?

L’analisi
Le istruzioni del modello 730/2014 chiariscono espressamente che “se il mutuo è intestato a più persone, ogni cointestatario può fruire della detrazione unicamente per la propria quota di interessi”.

L’unica eccezione a questa regola è appunto limitata all’ipotesi del coniuge fiscalmente a carico.
Merita infatti di essere ricordato che se il mutuo è cointestato con il coniuge fiscalmente a carico, il coniuge che sostiene interamente la spesa può fruire della detrazione per entrambe le quote di interessi passivi.

In considerazione di quanto appena esposto, avendo il coniuge superato il limite di reddito previsto per essere qualificato come familiare a carico, il contribuente non può continuare a detrarsi il 100% della quota di interessi.

Dall’annualità in cui il coniuge cessa di essere a carico, pertanto, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 15, lettera b) del D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, ognuno potrà fruire della detrazione unicamente per la propria quota di interessi ed entro il limite massimo di 4.000 euro riferito all’ammontare complessivo degli interessi e oneri accessori effettivamente sostenuti.

Purtroppo, nel caso prospettato, qualora il coniuge dovesse avere un reddito superiore alla soglia prevista per i familiari a carico, ma comunque troppo basso per poter fruire della detrazione in oggetto, quest’ultima finirà per essere persa.

Gli interessi per la costruzione dell’abitazione principale
Se abbiamo visto che, con riferimento agli interessi sostenuti per l’acquisto dell’abitazione principale, il legislatore ha introdotto un’importante eccezione, costituita dalla possibilità di detrarre gli interessi passivi sostenuti anche per il coniuge fiscalmente a carico, lo stesso non può dirsi con riferimento agli interessi sui mutui contratti per la ristrutturazione/costruzione dell’abitazione principale.

Con la circolare 11/E del 21 maggio 2014 è stato infatti chiarito che in caso di mutuo contratto per la costruzione dell’abitazione principale, la quota di interessi del coniuge fiscalmente a carico non può essere portata in detrazione dall’altro coniuge.
Il motivo di tale limitazione può essere individuato semplicemente nel fatto che, mentre la norma relativa agli interessi sull’acquisto dell’abitazione principale contempla espressamente l’ipotesi della detrazione degli oneri sostenuti per il coniuge fiscalmente a carico, lo stesso non può dirsi con riferimento agli interessi sulla costruzione dell’abitazione principale.

Gli altri familiari

In entrambi i casi è infine da escludere che il contribuente possa detrarre le spese sostenute per altri familiari fiscalmente a carico.
L’esempio più banale è quello di un genitore che provveda ad acquistare l’abitazione principale al figlio, stipulando apposito mutuo ipotecario.

Ebbene, in questo caso, gli interessi non potranno essere portati in detrazione né dal genitore né ovviamene dal figlio fiscalmente a carico.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Cessioni intracomunitarie: come provare il trasferimento delle merci

20 Giugno 2014
L’art. 41, D.L. 331/1993, prevede che un’operazione di cessione assume la qualifica di scambio intracomunitario non imponibile ai fini Iva nel caso in cui siano rispettate le seguenti condizioni: i) onerosità dell’operazione; ii) acquisizione o trasferimento del diritto di proprietà o di altro diritto reale sui beni; iii) status di operatore economico del cedente nazionale e del cessionario comunitario; iv) effettiva movimentazione del bene dall’Italia a un altro Stato membro, indipendentemente dal fatto che il trasporto o la spedizione avvengano a cura del cedente, del cessionario o di terzi per loro conto (R.M. 19/E/2013).Tra i requisiti necessari affinché un’operazione di cessione assuma la qualifica di scambio intracomunitarionon imponibile ai fini Iva, assume particolare rilievo quello della fuoriuscita dei beni dall’Italia e l’arrivo in un altro Stato membro.

Sulla questione la Corte di Giustizia UE ha sancito la necessità che il fornitore dia “prova che il bene sia stato spedito o trasportato in un altro Stato membro e che, in seguito a tale spedizione o trasporto, esso abbia lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione” (sentenza in causa C- 409/04, punto 42 – in senso conforme anche la sentenza del 27/09/2007, in causa C-184/05, punto 23). Negli interventi giurisprudenziali richiamati, il giudice comunitario ha altresì evidenziato che la Direttiva 2006/112/CE non predetermina la forma e la tipologia della prova atta a dimostrare che si è realizzato il trasporto nel territorio di un altro Stato membro, lasciando invece che siano gli Stati membri a definire ciò, nel momento in cui fissano le condizioni e i requisiti per l’applicazione del regime di non imponibilità, nel rispetto dei principi fondamentali del diritto comunitario, quali la neutralità dell’imposta, la certezza del diritto e la proporzionalità delle misura adottate (cfr. sentenze della Corte di Giustizia del 27 settembre 2007).

Sulla questione non è intervenuto in modo puntuale il Legislatore. A tale lacuna ha sopperito l’Amministrazione Finanziaria con vari interventi.
Inizialmente, nella R.M. n. 345/E/2007, l’Agenzia ha elencato alcuni documenti validi per provare la cessione intracomunitaria, quali:
• la fattura di vendita;
• gli elenchi Intrastat;
• la documentazione bancaria;
• e il documento di trasporto (CMR), sottoscritto dal trasportatore, per presa in carico della merce, e dal destinatario, per ricevuta.

Con la R.M. 19/E/2013, l’Amministrazione Finanziaria ha apportto ulteriori indicazioni sulla questione, affermando che ai fini di dimostrare l’uscita dei beni dal territorio nazionale può essere esibito anche il c.d.CMR elettronico, avente lo stesso contenuto di quello cartaceo.
Nel citato documento di prassi, l’Amministrazione Finanziaria sottolinea ulteriormente che “costituisce mezzo di prova equivalente al CMR cartaceo un insieme di documenti dal quale si possono ricavare le medesime informazioni presenti nello stesso, e le firme dei soggetti coinvolti (cedente, vettore, e cessionario); possono essere utilizzate anche le informazioni tratte dal sistema informatico del vettore”.

In base alla giurisprudenza comunitaria (causa C-146/05), la prova dell’avvenuta cessione intracomunitariapuò essere fornita anche in un momento successivo all’effettuazione dell’operazione, essendo però indispensabile che il cedente acquisisca «senza indugio» i documenti rilevanti, ovverosia non appena la prassi commerciale lo renda possibile.

fonte: Redazione Fiscal Focus

Associazione in partecipazione. Deduzione con data certa

19 Giugno 2014
Una sentenza della CTR Liguria
Le quote corrisposte agli associati in partecipazione sono deducibili come costi anche quando è mancato l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata. In questo caso è sufficiente che la data certa del contratto di associazione risulti dall’iscrizione all’INPS. È quanto emerge dalla sentenza 232/01/2014 della Commissione Tributaria Regionale della Liguria.

Il caso. Con la pronuncia in rassegna è stato parzialmente annullato un avviso di accertamento di rettifica del reddito dichiarato a favore di un esercizio commerciale di ristorazione. Il ricorrente ha eccepito che l’azienda era condotta in forza di un contratto di associazione in partecipazione. Agli associati – che prestavano lavoro e figuravano a libro matricola – erano stati assegnati utili che costituivano costi da dedurre dal reddito complessivo dell’imprenditore associante. Tali costi sono stati però disconosciuti dall’Agenzia delle Entrate perché l’associazione in partecipazione non risultava da scrittura privata registrata o riportante sottoscrizione autenticata, con conseguente impossibilità di appurare la certezza di data.

La tesi dell’Amministrazione circa la mancanza dei presupposti per portare in deduzione le quote degli associati in partecipazione ha trovato l’avallo dei giudici di primo grado. Diversa la posizione espressa dalla CTR Liguria, che ha distinto tra idoneità della scrittura privata per il perfezionamento del contratto e opponibilità al Fisco al fine della deduzione.

Osservazioni della CTR. La CTR osserva che il contratto di associazione in partecipazione si perfeziona mediante una scrittura privata, com’è avvenuto nella fattispecie. Per quanto concerne invece la possibilità per l’associante di portare in diminuzione dal proprio reddito d’impresa le quote di utili spettanti, l’Amministrazione Finanziaria (cir. n. 50/E del 2002) ha affermato che ciò è possibile solo se il contratto di associazione risulti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata giacché “in mancanza di atti aventidata certa la quota spettante all’associato non deve assumere alcuna rilevanza fiscale“. La problematica pertanto riguarda il concetto di “data certa”. In proposito “va considerato – si legge in sentenza – che l’assenza di registrazione o autentica delle firme non consente un automatico e inoppugnabile appuramento della certezza della data, ma va anche considerato che è compito del giudice del merito valutare caso per caso la sussistenza e l’idoneità dei fatti dedotti per stabilire la certezza della data del documento, fatto salvo il limite del carattere obbiettivo del fatto stesso, che non deve essere riconducibile al soggetto che lo invoca e deve essere, altresì, sottratto alla sua disponibilità” (cfr. Cass. n. 4646/1997).

Nel caso in esame è risultato che le iscrizioni alla gestione degli associati in partecipazione erano state regolarmente depositate all’INPS, il che ha dato dimostrazione della data certa delle relative scritture private che quindi hanno potuto dispiegare effetti anche ai fini fiscali. Per la CTR, infatti, le iscrizioni alla gestione degli associati in partecipazione che risultino depositate all’INPS provano che le scritture private hanno data certa. “L’idoneità probatoria – spiegano i giudici di secondo grado – sussiste perché discende da un fatto estrinseco ai soggetti interessati e alle annotazioni nei registri, costituito dalla ricevuta di deposito da parte dell’INPS (bollo tondo a datario apposto sulle predette domande di iscrizione alla gestione degli associati in partecipazione)”.

In conclusione, la CTR Liguria, in parziale accoglimento dell’appello del contribuente, ha demandato all’Ufficio il ricalcolo del reddito del contribuente, stante la deducibilità dei costi corrispondenti agli utili spettanti agli associati in partecipazione.

FONTE: Redazione Fiscal Focus

Dichiarazione IMU: Invio entro il 30 giugno

19 Giugno 2014
La lett. a) del comma 4, dell’art. 10 del D. L. n. 35/2013 ha modificato il comma 12-ter dell’art. 13 del D. L. n. 201 del 2011, relativo alla presentazione della dichiarazione IMU, laddove sono presenti le parole “novanta giorni dalla data”. Pertanto, il primo e l’ultimo periodo del comma 12-ter presentano la seguente formulazione: “I soggetti passivi devono presentare la dichiarazione entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui il possesso degli immobili ha avuto inizio o sono intervenute variazioni rilevanti ai fini della determinazione dell’imposta, utilizzando il modello approvato con il decreto di cui all’articolo 9, comma 6, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23. […]
Per gli immobili per i quali l’obbligo dichiarativo è sorto dal 1° gennaio 2012, la dichiarazione deve essere presentata entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto di approvazione del modello di dichiarazione dell’imposta municipale propria e delle relative istruzioni
”.
Tale modifica normativa trovava il suo scopo nel tentare di evitare un’eccessiva frammentazione dell’obbligo dichiarativo derivante dal precedente termine mobile dei 90 giorni e di risolvere i problemi sorti in ordine alla possibilità, da parte dei contribuenti, di ricorrere all’istituto del ravvedimento, di cui alla lett. b), comma 1, dell’art. 13 del D. Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 che, altrimenti non avrebbero trovato soluzione.

Dunque, per le variazioni intervenute o per l’inizio del possesso nel 2013, la Dichiarazione IMU va presentata entro il 30 giugno 2014.

Chi deve presentare la Dichiarazione IMU? La Dichiarazione IMU va presentata nei seguenti due casi:
1) qualora gli immobili godano di riduzioni d’imposta;
2) nei casi in cui il comune non è comunque in possesso delle informazioni necessarie per verificare il corretto adempimento dell’obbligazione tributaria.

Casi particolari

Fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati – La base imponibile per tali fabbricati è ridotta del 50% (art. 13 co.3 del D.L. n.201/2011), purché sussistano congiuntamente l’inagibilità o l’inabitabilità e l’assenza di utilizzo dell’immobile, laddovel’inagibilità consiste in:
– un degrado fisico sopravvenuto (ad esempio, fabbricato diroccato, pericolante, fatiscente);
– o in un’obsolescenza funzionale, strutturale e tecnologica, non superabile con interventi di manutenzione.
L’inagibilità o l’inabitabilità deve essere accertata dall’ufficio tecnico comunale con perizia a carico del proprietario, che allega idonea documentazione alla dichiarazione o presenta dichiarazione sostitutiva ai sensi del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, con la quale dichiara di essere in possesso di una perizia accertante l’inagibilità o l’inabitabilità, redatta da un tecnico abilitato.
La dichiarazione IMU va presentata solo nel caso in cui si perda il diritto alla riduzione, poiché è in questa ipotesi che il comune non dispone delle informazioni necessarie per verificare il venir meno delle condizioni richieste dalla legge per l’agevolazione in questione.
Nel modello ministeriale definitivo è stata eliminata rispetto alla versione in bozza la frase: “Occorre richiamare l’attenzione sul fatto che i comuni, nell’esercizio della propria potestà regolamentare, possono, comunque, stabilire ulteriori modalità di attestazione di tale condizione”.

Fabbricati di interesse storico o artistico – La base imponibile per tali fabbricati è ridotta del 50% (art.13 co.3 del D.L. n. 201/2011), ma solo per quelli previsti dall’art. 10 del D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, recante il “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137”.

FONTE: Redazione Fiscal Focus

Slitta al 7 luglio il termine per i versamenti di Unico

DICHIARAZIONI FISCALI – 16 GIUGNO 2014 ORE 06:00
Slitta al 7 luglio il termine per i versamenti di
Unico
E’ in corso di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale il D.P.C.M. che dispone il rinvio dal 16 giugno al 7
luglio 2014 del termine per effettuare i versamenti derivanti dalla dichiarazione dei redditi e IRAP
dei contribuenti soggetti agli studi di settore.
La proroga – si precisa nel comunicato – riguarda anche i contribuenti che, pur facendo parte di
categorie per le quali sono previsti gli studi di settore, presentano cause di esclusione o
inapplicabilità (ad esempio, nel caso di non normale svolgimento di attività, o per il primo anno di
attività) e i contribuenti che rientrano nel regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e
per i lavoratori in mobilità (c.d. “nuovi minimi”).
Il differimento interessa, inoltre, i contribuenti che partecipano a società, associazioni e imprese
che applicano gli studi, ossia i soci di società di persone, gli associati, i collaboratori di imprese
familiari, nonché i soci di SRL che abbiano optato per il regime di trasparenza fiscale.
Contestualmente al rinvio al 7 luglio 2014, il D.P.C.M. dispone la proroga al 20 agosto della
scadenza per effettuare i versamenti con la maggiorazione dello 0,40%.
Così come per lo scorso anno, il rinvio riguarderà anche gli altri versamenti in scadenza entro i
medesimi termini stabiliti per l’IRPEF come, ad esempio: la cedolare secca sugli affitti; l’IVIE e
l’IVAFE.
Gli altri contribuenti alla cassa entro oggi
Resta confermata a oggi (16 giugno) la scadenza per effettuare il versamento delle imposte
dovute a saldo per il 2013 e per il primo acconto 2014 da parte dei contribuenti non soggetti agli
studi di settore, fatta salva la possibilità di effettuare il pagamento con maggiorazione dello 0,40%
entro il 16 luglio.

Bonus assunzioni. Stop con il licenziamento

13 Giugno 2014

Il licenziamento, anche se per giusta causa, fa perdere all’azienda i benefici fiscali

L’azienda che licenzia per giusta causa o per giustificato motivo il nuovo assunto perde il bonus fiscale. È quanto emerge dalla sentenza n. 12160/14, pubblicata lo scorso 30 maggio dalla Sezione Tributaria della Cassazione.

Il caso.
 I giudici del Palazzaccio hanno accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate contro la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Basilicata che aveva annullato la revoca del credito d’imposta ex art. 4 L. 449/97 riconosciuto alla società contribuente, a seguito di incremento del livello occupazionale esistente.

Nel caso di specie la revoca è stata motivata con il mancato mantenimento del livello occupazionale nel periodo agevolato perché il lavoratore neo assunto era stato licenziato per giusta causa, mentre un altro dipendente aveva rassegnato le proprie dimissioni.

Nel giudizio davanti alle Commissioni di primo e di secondo grado la contribuente ha negato la violazione dell’articolo 4 della Legge 449 del 1997 perché la riduzione del livello occupazionale non era dipesa dalla sua volontà. Tale argomentazione difensiva ha trovato terreno fertile presso la CTR di Potenza, ma non presso le aule del Palazzaccio, dove ha invece prevalso l’Agenzia delle Entrate.

Orientamento consolidato. Con la sentenza 12160/14 la Suprema Corte riafferma il principio per cui, “in tema di credito d’imposta riconosciuto per l’incremento dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, secondo i requisiti e per l’ambito territoriale di cui all’articolo 4 della l. n. 449/97, la relativa revoca, connessa alla riduzione del livello occupazionale raggiunto, è legittima e opera in modo obiettivo, cioè anche se tale riduzione sia indipendente dalla volontà del datore di lavoro […] e salvo che si verifichi la reintegrazione da parte dell’impresa del precedente livello degli occupati” (cfr. Cass. n. 8736, n. 23796 e n. 4933 del 2013).

L’articolo 4, comma 5, lettera c) della L. 449/97, infatti, “condiziona espressamente l’applicazione delle agevolazioni previste dalla normativa di riferimento al mantenimento, nel periodo agevolato, del livello occupazionale raggiunto con le nuove assunzioni; di conseguenza rimane del tutto indifferente, ai fini della decadenza dal credito di imposta, la circostanza che i rapporti di lavoro così instaurati siano cessati per fatti non imputabili alla volontà del datore di lavoro”.

Nessuna rilevanza in senso contrario può invece attribuirsi alla circolare ministeriale richiamata dalla contribuente (ossia la n. 219/E del 1998), in quanto è noto che tali tipologie di documenti non sono fonti del diritto bensì atti unilaterali della P.A., che li utilizza per disciplinare e indirizzare in modo uniforme l’attività dei propri organi (cfr. Cass. 23796/13 cit. e n. 2850 del 2012).

In conclusione, si deve ritenere che la revoca del credito d’imposta in questione è legittima anche quando la riduzione del personale è totalmente sganciata dalla volontà del datore di lavoro. La CTR di Potenza ha invece sostenuto il contrario, il che ha determinato l’accoglimento, nel merito, del ricorso del Fisco, con conseguente rigetto dell’atto introduttivo del giudizio. Spese di lite compensate.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Tasi senza sanzioni

13 Giugno 2014
In diverse occasioni siamo tornati a parlare del caos Tasi che sta facendo impazzire professionisti e contribuenti.

Ora anche il MEF ha ammesso che intorno alla nuova tassa per i servizi indivisibili ruotano troppi dubbi operativi: è per questo che è stata prospettata, in occasione della risposta all’interrogazione parlamentare n. 5/02955, l’applicazione dell’art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente, in base al quale non sono irrogate sanzioni “quando la violazione dipendente da obiettive condizioni di incertezza”.

Il chiarimento in oggetto si è reso necessario in considerazione delle richieste di proroga avanzate da Caf e professionisti, i quali sono stati letteralmente travolti dall’“ingorgo scadenze” del 16 giugno.

L’intervento del legislatore
Se è vero che può essere applicata la disposizione prevista dallo statuto del contribuente, è altrettanto vero che è necessario fissare un termine oltre il quale non sono più ammesse tardività.

Per questo motivo il sottosegretario Zanetti ha richiesto l’intervento del legislatore, così come fu fatto, tempo fa, in occasione delle sanzioni previste per il saldo Imu e la maggiorazione Tares.
È invece da escludere qualsiasi intervento di prassi amministrativa.

La richiesta di proroga ai Comuni

Confedilizia, con un comunicato diffuso nei giorni scorsi ha richiesto direttamente ai Comuni il rinvio del termine per il pagamento della Tasi al 15 luglio o almeno al 30 giugno.

Secondo quanto chiarito dal suo ufficio legale, infatti, ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs. n. 446/97, gli stessi Comuni potrebbero disporre il rinvio dei versamenti nell’ambito della potestà di regolamentare le entrate proprie.

Le incertezze
Le situazioni di incertezza che consentirebbero l’applicazione dell’art.10 dello Statuto del contribuente non sono certo poche: prima fra tutte la stessa data prevista per il versamento.

Volendo fornire una panoramica di quelle che sono le scadenze attualmente previste possiamo richiamare:
• il 16 giugno: è la data entro la quale i contribuenti sono chiamati alla cassa nei comuni che hanno pubblicato le delibere Tasi entro il 31 maggio;
• la diversa data prevista dalle delibere: se il 16 giugno rappresenta, in linea generale, la data prevista per il versamento, non possiamo dimenticare che vi sono comuni che, nella stessa delibera, hanno individuato un diverso termine per il versamento.
Per tale motivo, a Vicenza, Pordenone e Lodi la Tasi si pagherà il 16 luglio, a Venezia il 21 luglio, ad Ancona il 16 settembre e a Bari il 16 dicembre in un’unica soluzione;
• la data fissata con le proroghe decise dai singoli comuni: in molti Comuni sono state infatti fissati dei rinvii nei termini di pagamento.
Si pensi, a tal proposito, a Piacenza e Ferrara, nelle quali la Tasi si pagherà il 30 giugno, a Brescia, che ha fissato la scadenza al 12 luglio, a Mantova, che chiama i contribuenti alla cassa il 12 luglio, e a Bologna, che ha fissato il termine di pagamento per il 31 luglio.
In alcuni comuni, invece, pur lasciando ferma la data di versamento, è stata disposta la disapplicazione delle sanzioni per i versamenti tardivi;
• il 16 ottobre, è la scadenza prevista per i comuni che non abbiano pubblicato le delibere entro i termini previsti, e che provvederanno a farlo entro il 10 settembre.

Altro aspetto poco chiaro, con riferimento alla nuova tassa sui servizi indivisibili, riguarda la quota a carico degli occupanti, che rappresenta una quota compresa tra il 10 e il 30% della Tasi, determinata dal Comune.

Anche in questo caso le delibere fissano aliquote completamente diverse tra loro, rendendo necessaria un’analisi dettagliata delle singole posizioni.

In considerazione di quanto comunicato da Confedilizia, vi sarebbero inoltre Comuni che hanno deliberato la non applicazione della Tasi agli occupanti degli immobili, ponendosi in contrasto con quello che è il dettato normativo. In tal caso è comunque necessario far versare agli occupanti il 10% della Tasi.

Alcuni problemi operativi riguardano inoltre la quota minima prevista per il pagamento della tassa. Infatti, non è necessario effettuare il versamento se l’importo è inferiore a 12 euro (o altro limite fissato dal Comune). Ma, nel caso in cui gli occupanti siano più d’uno, il confronto non dovrà essere effettuato con la singola delega di pagamento, ma con la complessiva “quota occupanti”.

Autore: Redazione Fiscal Focus

RIMBORSI 730

Con comunicato stampa del 10 giugno l’Agenzia delle Entrate

ntrate fa chiarezza sul rimborso dei modelli 730 quando lo stesso supera i 4.000 euro.

Il rimborso da parte dell’Agenzia delle entrate, previo controllo preventivo, coinvolge solamente nei casi in cui il rimborso risultante dalla liquidazione del modello semplificato, di importo superiore ai 4.000 euro, riguardi il contribuente che riporta anche detrazioni di familiari a carico o crediti derivanti dalla dichiarazione dei redditi dello scorso anno.

Questa nuova modalità di rimborso si è resa necessaria, scrive l’agenzia, a seguito di numerose frodi  su rimborsi erogati direttamente dal sostituto d’imposta nelle buste paga o cedolini di pensione.

Nella maggior parte dei casi i rimborsi saranno disposti dall’Agenzia delle

Entrate non più tardi di ottobre, prima cioè del termine massimo di sei mesi

previsto dalla Legge di Stabilità.

Comunicato AE

http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/file/Nsilib/Nsi/Agenzia/Agenzia+comunica/Comunicati+Stampa/Tutti+i+comunicati+del+2014/CS+Giugno+2014/CS+10062014+rimborsi/074_Com++st++Rimborsi+sopra+4mila+euro+10+06+14.pdf

 

LA CIRCOLARE N. 14/E/2014 – Perdite su crediti: deduzione ammessa solo se sono trasferiti tutti i rischi

La sussistenza degli elementi certi e precisi per la deducibilità dei crediti, in caso di cancellazione dei crediti medesimi dal bilancio, si realizza soltanto quanto sono trasferiti al cessionario tutti i rischi ad essi inerenti.

Con la circolare n. 14/E del 4 giugno 2014, l’Agenzia delle Entrate ha reso alcuni chiarimenti in ordine alle modifiche apportate alla disciplina sulla deducibilità delle perdite su crediti dal reddito d’impresa dalla Legge di stabilità per l’anno 2014.

L’art. 1, comma 160, legge n. 147/2013 è, infatti, intervenuto sulla formulazione dell’art. 101, comma 5, TUIR, consentendo la deduzione ai fini IRES dei crediti cancellati dal bilancio, in applicazione dei principi contabili nazionale: al ricorrere di tale fattispecie si considerano sussistere gli elementicerti e precisi.
La riferita modifica normativa è stata finalizzata ad estendere anche ai soggetti che redigono il bilancio in applicazione dei principi contabili nazionali (OIC) la presunzione secondo la quale gli elementi certi e precisi per dedurre le perdite su crediti dal reddito d’impresa sussistono in caso di cancellazione dei crediti dal bilancio in applicazione dei riferiti principi, previsione introdotta nel 2012 per i soggetti IAS adopter.
È stata in tal modo superata la disparità di trattamento venutasi a creare mediante il D.L. n. 83/2012, che aveva previsto tale possibilità soltanto ai soggetti IAS adopter.
L’Agenzia delle Entrate (circolare n. 26/E/2013) aveva precisato che gli elementi certi e precisi per la deducibilità della perdita su crediti sussistono soltanto nell’ipotesi in cui è possibile effettuare la derecognition in applicazione degli IAS (ossia occorre fare riferimento alle ipotesi di cancellazione per eventi estintivi previste nello IAS 39).
Resta, tuttavia, ferma la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di sindacare la deducibilità della perdita su crediti, ancorchè sussistano gli elementicerti e precisi, in relazione all’inerenza della stessa quale costo sostenuto dall’imprenditore nel compimento dell’attività di gestione dell’azienda.
Con riferimento alla prassi contabile nazionale, l’Agenzia delle Entrate ha in primo luogo precisato che la nuova versione dell’OIC15 “I crediti” trova applicazione soltanto in via opzionale per i bilanci chiusi al 31 dicembre 2013; pertanto appare opportuno esaminare sia le fattispecie che legittimano la cancellazione dei crediti dal bilancio contemplate nella previgente disciplina contabile sia quelle previste dalla nuova formulazione dell’OIC15.
E ciò in considerazione del fatto la disciplina introdotta dalla legge di Stabilità 2014 trova applicazione a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013, e che per tale periodo è consentita la redazione del bilancio in applicazione della previgenteformulazione dell’OIC15.
La previgente formulazione dell’OIC15 prevedeva due distinte ipotesi di cancellazione dei crediti dal bilancio:
– una obbligatoria, nel caso di cessione pro soluto del credito. In tal caso, i crediti devono essere rimossi dal bilancio, in modo definitivo e senza azione di regresso. Il rischio di insolvenza viene di fatto trasferito al cessionario;
– una opzionale, nel caso di cessione pro solvendo. Sebbene alla cessione dei crediti non sia collegato il trasferito tutti i rischi, è consentita sia la cancellazione del credito sia la possibilità di mantenere lo stesso iscritto in bilancio.
Tale disciplina contabile deve essere, tuttavia, coordinata con il dettato dell’art. 101, comma 5 del TUIR, che nella sua vigente formulazione ancora la ricorrenza degli elementi certi e precisi necessari per la deduzione della perdita su crediti alla cancellazione degli stessi dal bilancio.
Di conseguenza, la presunzione della ricorrenza dei riferiti elementi sussiste solo nel caso di cessionepro solutodei crediti, con il sostanziale trasferimento di tutti i rischi di insolvenza in capo al cessionario.
Di contro, nell’ipotesi di cessione di crediti pro-sovendo, non è ravvisabile la presunzione di sussistenza degli elementi certi e precisi, in quanto anche nel caso in cui il cedente abbia optato per la cancellazione del credito dal bilancio – secondo quanto previsto dall’OIC15 – l’Agenzia è dell’avviso che non si tratti di un’espunzione in senso proprio, quanto piuttosto di una riclassificazione di una posta patrimoniale, senza interessare alcuna voce del conto economico.
La nuova formulazione del principio contabile in commento ha in primo luogo superato la dicotomia tra cancellazione obbligatoria e cancellazione opzionale dei crediti, prevedendo soltantola cancellazione del credito dal bilancio tutte le volte in cui il credito si estingue o viene ceduto in un’operazione di cessione, con la quale si trasferiscono al cessionario tutti i rischi inerenti allo stesso.
In particolare, si deve procedere alla cancellazione del credito dal bilancio quando:
– i diritti contrattuali su flussi finanziari derivanti dal credito si estinguono;
– la titolarità dei diritti contrattuali sui flussi finanziari derivanti dal credito viene trasferita e con essa sono trasferiti sostanzialmente tutti i rischi inerenti al credito.
Tra le ipotesi al ricorrere delle quali si ha cancellazione del credito dal bilancio si annoverano:
– il forfaiting;
la datio in solutum;
– il conferimento del credito;
– la vendita del credito, compreso il factoring con cessione pro-soluto con trasferimento sostanziale di tutti i rischi del credito;
– la cartolarizzazione con trasferimento sostanziale di tutti i rischi del credito.
Nel caso in cui al trasferimento del credito non corrisponda anche quello dei rischi, il credito resta iscritto in bilancio, come ad esempio nel caso di:
– mandato all’incasso;
– pegno di crediti;
– cessione a scopo di garanzia;
– operazioni di sconto, cessioni pro-solvendo e pro-soluto che non comportano il trasferimento dei rischi inerenti al credito.
Ciò detto, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che la sussistenza degli elementi certi e precisi per ladeduzione del credito si realizza soltanto nei casi di cancellazione dello stesso dal bilancio al ricorrere delle ipotesi contemplate dalla nuova formulazione dell’OIC15.
Diversamente, tale presunzione non sussiste e, pertanto, i crediti non possono essere dedotti ai fini IRES.
di Roberta De Pirro – SASPI – Crowe Horwath

IMU e TASI: i chiarimenti del Ministero

5 Giugno 2014

FAQ del 4 giugno 2014 – Se Il Comune non delibera la percentuale per l’inquilino, egli partecipa comunque al 10%

Il Ministero con un comunicato del 4 giugno 2014 fornisce i chiarimenti ad alcune domande frequentemente poste all’Amministrazione finanziaria da contribuenti, operatori professionali e dai soggetti che realizzano i software per il calcolo dei tributi, in merito alla corretta applicazione della TASI e dell’IMU.

Riportiamo i chiarimenti più significativi.

TERRENI AGRICOLI MONTANI – L’art. 22 c. 2 del D.L. n. 66 del 24/4/2014 ha sostituito il c. 5 bis dell’art. 4 del D.L. n. 16/2012 prevedendo un decreto con il quale sono individuati i comuni nei quali, a decorrere dall’anno di imposta 2014, si applica l’esenzione per i terreni agricoli sulla base della loro altitudine, diversificando eventualmente tra terreni posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, iscritti nella previdenza agricola, e gli altri ed in maniera tale da ottenere un maggior gettito complessivo annuo non inferiore a 350 milioni di euro a decorrere dal medesimo anno 2014.
Visto l’approssimarsi della scadenza dell’acconto IMU, ci si è chiesti se il decreto previsto dalla nuova disposizione è in fase di emanazione e nel caso in cui il suddetto decreto non venga emanato in tempo utile per il pagamento dell’acconto IMU, e sia possibile continuare a riferirsi all’elenco allegato alla Circolare n. 9 del 14/6/1993, così come previsto dalla circolare del MEF n. 3/2012.
Il Ministero ha fatto sapere che se il decreto non verrà emanato in tempi utili per il versamento della prima rata dell’IMU, i contribuenti applicano le norme attualmente in vigore, quindi ci si deve continuare a riferire all’elenco allegato alla Circolare n. 9 del 14 giugno 1993, così come previsto dalla circolare del MEF n. 3 del 2012.

TERRENI AGRICOLI POSSEDUTI E CONDOTTI DA COLTIVATORI DIRETTI E IAP – Nella riformulazione del comma 669, dell’art. 1 della legge di stabilità per l’anno 2014, il presupposto impositivo della TASI è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di fabbricati ivi compresa l’abitazione principale e le aree edificabili, come definiti ai fini IMU, ad eccezione in ogni caso dei terreni agricoli.
Ci si è chiesti se il rinvio alla disciplina IMU, per la definizione degli immobili da assoggettare al tributo, comporti l’applicazione del comma 2 dell’art. 13, D.L. n 201/2011, secondo cui per i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionali di cui all’art. 1 del D.Lgs n. 99/2004, iscritti alla previdenza agricola, trova applicazione la c.d. “fictio iuris” (ex art. 2, comma 1 del D.Lgs n. 504/92), per effetto della quale non si considerano fabbricabili i terreni posseduti e condotti dai predetti soggetti e sui quali persiste l’esercizio delle attività agricole.
Per tali beni, dal momento che vengono considerati terreni agricoli, chiarisce il Ministero, vale l’esclusione ai fini TASI.
Pertanto, sono esclusi dalla TASI i terreni posseduti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali di cui all’art. 1 del D. Lgs. n. 99 del 2004, iscritti alla previdenza agricola e condotti dagli stessi soggetti, sui quali persiste l’esercizio delle attività agricole.

AREE EDIFICABILI CONCESSE IN AFFITTO SOGGETTE A TASI –
 L’art. 1, comma 671, della legge di stabilità per il 2014 stabilisce che la TASI è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo le unità immobiliari di cui al comma 669 della stessa legge.
Nel caso in cui le aree edificabili non sono possedute da coltivatori diretti (CD) e da imprenditori agricoli professionali (IAP) di cui all’art. 1 del D. Lgs. n. 99 del 2004, iscritti alla previdenza agricola, ma sono date in affitto a CD o IAP che coltivano l’area edificabile, la TASI è dovuta.
La TASI è dovuta, poiché il terreno resta area edificabile. L’imposta complessiva deve essere determinata con riferimento alle condizioni del proprietario e, successivamente, ripartita tra quest’ultimo e l’affittuario o il comodatario sulla base delle percentuali stabilite dal comune.

IMMOBILI LOCATI – Ci si è chiesti come vada ripartita la TASI nel caso in cui l’immobile sia locato. Il comma 681 dell’art. 1 della legge di stabilità 2014, prevede che il titolare del diritto reale e l’occupante sono titolari di un’autonoma obbligazione tributaria; l’occupante versa la TASI nella misura compresa tra il 10 e il 30 per cento dell’ammontare complessivo dell’imposta, in base alla percentuale stabilita dal comune nel proprio regolamento, calcolata applicando l’aliquota determinata dal comune. La norma prevede, infine, che la restante parte dell’imposta sia corrisposta dal titolare del diritto reale.
Le disposizioni appena richiamate portano a concludere che l’imposta complessiva deve essere determinata con riferimento alle condizioni del titolare del diritto reale e successivamente ripartita tra quest’ultimo e l’occupante sulla base delle percentuali stabilite dal comune.
Si può fare l’esempio di un comune che abbia fissato all’1 per mille l’aliquota per gli immobili locati e al 2,5 per mille l’aliquota per l’abitazione principale.
In tal caso, nell’ipotesi di un immobile locato, l’imposta è determinata applicando l’aliquota dell’1 per mille prevista dal comune, senza tenere conto dell’eventuale utilizzazione dell’immobile da parte dell’inquilino a titolo di abitazione principale. L’imposta così determinata deve essere ripartita tra proprietario e inquilino sulla base delle percentuali stabilite dal comune.
Occorre, comunque, sottolineare che resta nella facoltà del comune prevedere particolari detrazioni a favore dell’occupante.
Se il comune nella delibera non ha indicato la percentuale per il riparto dell’imposta tra proprietario e inquilino, l’occupante deve versare il tributo nella misura minima del 10 per cento, in quanto si ritiene che una diversa percentuale di imposizione a carico del detentore debba essere espressamente deliberata dal comune stesso.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Slitta al 16 giugno la consegna del 730

In accoglimento delle richieste avanzate dalle associazioni di categoria, è stato pubblicato ieri in Gazzetta Ufficiale il Dpcm 3 giugno 2014 con il quale è ufficializzata al 16 giugno la proroga del termine per la consegna del modello 730 a CAF e professionisti abilitati.
In base del provvedimento, i contribuenti ammessi alla compilazione del 730, potranno presentare la dichiarazione entro il 16 giugno 2014, unitamente alla documentazione necessaria all’effettuazione delle operazioni di controllo.
I CAF e i professionisti abilitati, a loro volta, avranno tempo fino al 24 giugno 2014 (rispetto alla scadenza originaria del 15 giugno), per la restituzione al contribuente della copia della dichiarazione elaborata e del relativo prospetto di liquidazione (modello 730-3).
In conseguenza dello slittamento dei termini di consegna, il provvedimento dispone la proroga all’8 luglio 2014 della data ultima per la trasmissione del modello e la comunicazione del risultato contabile finale.
Successivamente l’Agenzia delle Entrate renderà disponibili i modelli 730-4 entro 10 giorni dalla data di ricezione delle dichiarazioni trasmesse.

Consulenti del lavoro e infermieri, pronti i codici tributo

I nuovi codici tributo dovranno essere utilizzati a partire dal 3 giugno per i contributi dovuti agli Enti previdenziali dei consulenti del lavoro e degli infermieri

Con le risoluzioni 55/E e 54/E del 29.05.2014 sono stati istituiti i codici tributo per versare i contributi dovuti, a vario titolo, dai soggetti assistiti dall’Enpacl (Ente nazionale di previdenza e assistenza per i consulenti del lavoro) e dall’Enpapi (Ente nazionale di previdenza e assistenza della professione infermieristica). I codici saranno operativi dal prossimo 3 giugno e nascono dalle convenzioni sottoscritte nel mese di aprile dall’Agenzia delle Entrate e dai due enti di previdenza Enpacl ed Enpapi. I codici tributo Enpacl dovranno essere versati con F24 mentre quelli Enpapi con F24 Accise. Vista la molteplicità dei codici, si rimanda al testo delle risoluzioni 55/E e 54/E per l’elenco completo degli stessi.
Fonte: Fisco Oggi

IMU: i chiarimenti del Fisco

16 Maggio 2014

L’Agenzia Entrate con la Circolare n.10/E del 15 maggio 2014 recepisce i chiarimenti forniti in occasione degli incontri con la stampa specializzataLa Legge di stabilità 2014 al comma 715 ha previsto la parziale deducibilità dell’IMU:
– ai fini IRES per gli immobili strumentali delle società di capitali;
– e ai fini IRPEF per gli immobili strumentali dei professionisti e delle società di persone e ditte individuali;
nella misura del:
– 20% a partire dal 2014;
– e del 30% (in via transitoria)per l’anno d’imposta 2013.
Fino al 2012 l’IMU non è mai stata deducibile né ai fini Ires né tantomeno ai fini Irap. Dal 2013 diventa deducibile ai fini IRPEF e IRES, ma rimane l’indeducibilità ai fini IRAP.

Come individuare gli immobili strumentali – La Circolare n.10/E del 15 maggio 2014 al paragrafo 8 chiarisce che ai sensi dell’art. 43, comma 2, del TUIR, si considerano strumentali:
– gli immobili utilizzati “esclusivamente” per l’esercizio dell’arte o professione o dell’impresa commerciale da parte del possessore.
Restano, dunque, esclusi dall’agevolazione perché non rientrano nella “nozione di immobili strumentali” gliimmobili ad utilizzo promiscuo. Pertanto, per espressa previsione normativa, è esclusa la deducibilità dell’IMU relativa agli immobili adibiti promiscuamente all’esercizio dell’arte o professione o all’impresa commerciale e all’uso personale o familiare del contribuente.

Vige il criterio di cassa – Il criterio applicabile per la verifica della deducibilità per le imprese è quello dicassa (art.99, c.1, 2° periodo del Tuir). Cioè per competenza va imputato contabilmente l’importo dell’imposta da versare e fiscalmente va considerato deducibile l’importo del 30% (per il 2013) dell’IMUrealmente pagataSe esso non viene versato, non è deducibile.
L’Agenzia ha chiarito che l’IMU di competenza 2012, versata tardivamente nel 2013 è da considerarsi indeducibile e l’IMU di competenza 2013 non versata nei termini ordinari (nel 2013) è anch’essa indeducibile, mentre se versata tardivamente nel 2014, è deducibile al 30% operando una variazione in diminuzione in Unico.
L’IMU è deducibile se formata nel 2013, non è possibile dedurre oggi quella formatasi nel 2012.

Per i soggetti che esercitano il lavoro autonomo non esiste una norma speciale per le imposte, dunque ci si rifà all’art. 54 comma 1 del Tuir che stabilisce la deducibilità fiscale per le spese sostenute dal lavoratore autonomo. L’IMU è deducibile nell’anno del pagamento, ma dal 01.01.2013.

L’IMU del 2012, pagata tardivamente nel 2013, non è da considerarsi deducibile ai fini Irpef, in quanto si avrebbe una disparità di trattamento tra soggetti lavoratori autonomi e imprese.
Inoltre, il comma 716 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 reca una norma , secondo quanto chiarito dall’Agenzia nella Circolare in commento, di decorrenza specifica, stabilendo che la stessa ha effetto a decorrere dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013. Al riguardo, ai sensi dell’art. 9, comma 2, del d.lgs. n. 23 del 2011, l’IMU è dovuta per anni solari e, quindi, l’IMU relativa al periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013 coincide con l’IMU dovuta per l’anno 2013. Si ritiene, di conseguenza, che il legislatore abbia voluto consentire la deducibilità dell’IMU dal reddito di impresa e di lavoro autonomo a partire da quella relativa all’anno 2013.

Per i soggetti titolari di reddito di impresa, inoltre, tale ricostruzione va coordinata con quanto disposto dal secondo periodo del comma 1 dell’articolo 99 del TUIR in base al quale “Le altre imposte sono deducibili nell’esercizio in cui avviene il pagamento”.
Pertanto, ai fini della determinazione del reddito d’impresa, costituisce costo deducibile l’IMU di competenza del periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013 a condizione che l’imposta sia pagata dal contribuente. L’articolo 99, comma 1, del TUIR non introduce, infatti, ai fini della determinazione del reddito d’impresa, un puro criterio di cassa in deroga a quello generale di competenza dei componenti negativi, ma costituisce una norma di cautela per gli interessi erariali introducendo un’ulteriore condizione di deducibilità per le imposte che è appunto l’avvenuto pagamento.

In conclusione, un’eventuale IMU 2012 versata tardivamente nel 2013 è indeducibile, trattandosi di un costo di competenza del periodo di imposta 2012. Diversamente l’IMU 2013 versata tardivamente nel 2014 è un costo di competenza del periodo di imposta 2013 indeducibile in detto periodo di imposta, in assenza del pagamento, e deducibile nel successivo periodo di imposta 2014 all’atto del pagamento mediante una variazione in diminuzione in sede di UNICO.

I professionisti deducono per cassa, ma sempre dal 2013- Per i soggetti titolari di lavoro autonomo, in assenza di una specifica disposizione, si applica il principio generale dell’art. 54, comma 1, del TUIR, secondo cui sono deducibili le spese sostenute nel periodo di imposta nell’esercizio dell’arte o professione. Quindi, l’IMU è deducibile nell’anno in cui avviene il relativo pagamento, anche se tardivo, comunque a partire dall’IMU relativa all’anno 2013. Peraltro, una diversa conclusione diretta a consentire la deducibilità dell’IMU per l’anno 2012 in caso di versamento tardivo, comporterebbe una disparità di trattamento, penalizzando i soggetti che hanno eseguito tempestivamente il pagamento dell’IMU.

Autore: Redazione Fiscal Focus

 

Pubblicato i DPCM sulla detassazione 2014

Il data 29/4/2014 è stato pubblicato sulla G.U. n. 98, il DPCM del 19/2/2014 relativo alla detassazione finalizzato all’incremento della produttività.

 Queste le direttive principali che riguardano il periodo compreso tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2014:

l’agevolazione (art. 1, comma 481, legge 228/2012), trova applicazione con esclusivo riferimento al settore privato, per i titolari di reddito da lavoro dipendente non superiore, nell’anno 2013, ad euro 40.000, al lordo delle somme assoggettate nel medesimo anno 2013 all’imposta sostitutiva.

La retribuzione che può beneficiare dell’agevolazione non può comunque essere complessivamente superiore, nel corso dell’anno 2014, ad euro 3.000 lordi.

Si ricorda che gli importi detassabili fino a 3.000 euro, per i soggetti rientranti nel limite di reddito di euro 40.000 euro nell’anno precedente, saranno assoggettati all’imposta sostitutiva di IRPE e addizionali regionali e comunali pari al 10%, anziché all’ordinaria fascia d’aliquota cui si è giunti con il proprio reddito imponibile.

 

1655 il codice per compensare gli 80 euro

Con risoluzione n. 48/E L’agenzia delle Entrate ha comunicato l’istituzione del codice tributo da utilizzare in F24 per il recupero del così detto “bonus in busta paga” di 80 euro, di cui all’articolo 1 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66.

Nell’attesa di una complessiva revisione del prelievo fiscale finalizzata alla riduzione strutturale del cuneo fiscale, con il D.L. n. 66/2014 è stato previsto un credito a favore di lavoratori dipendenti e assimilati per i redditi fino a 26.000 euro da stimarsi fino alla fine dell’anno. L’importo massimo del bonus è pari a 640 euro per l’anno 2014 che, divisi per i mesi da maggio a dicembre, dovrebbero corrispondere a 80 euro per 8 mesi.

Si ricorda che essendo tale credito riconosciuto in via automatica dai sostituti d’imposta, qualora il dipendente e/o collaboratore abbia più datori di lavoro o più committenti, è opportuno farselo riconoscere da un sostituto solo e per questo dovrà dichiarare agli altri di non volerlo per non rischiare di doverlo ripagare in sede di denuncia dei redditi o nel conguaglio di fine anno.

I sostituti, per recuperare quanto anticipato ai dipendenti, utilizzeranno il nuovo codice tributo “1655” denominato “Recupero da parte dei sostituti d’imposta delle somme erogate ai sensi dell’articolo 1 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66”.

In F24 il codice tributo è esposto in nella sezione “Erario” nella colonna “importi a credito compensati”, con l’indicazione nel campo “rateazione/regione/prov./mese rif.” e nel campo “anno di riferimento”, del mese e dell’anno in cui è avvenuta l’erogazione del beneficio fiscale, rispettivamente nel formato “00MM” e “AAAA”.

Il modello F24 deve essere inviato anche se con saldo zero.

 

Accertamento. Notifica solo con Poste italiane

8 Maggio 2014

Inesistente la notifica eseguita da un soggetto non abilitato a svolgere un pubblico servizio

Deve essere annullato l’atto impositivo notificato a mezzo di soggetto privato e non dalle Poste italiane o altra società abilitata a svolgere un pubblico servizio. Lo ha chiarito la Commissione Tributaria Provinciale di Benevento con la sentenza 382/3/2014 (depositata 17 marzo).

La vicenda. La controversia trae origine da due avvisi di accertamento TARSU, derivanti dall’infedele presentazione della denuncia prevista dall’articolo 70 del D.Lgs. n. 570/1993. La notifica di tali atti è stata eseguita attraverso il servizio reso da una società di poste private, sicché la parte contribuente ha proposto impugnazione dinanzi alla competente CTP di Benevento, eccependo, fra l’altro, l’illegittimità dell’operato del Comune.

Osservazioni della CTP. Ebbene, il collegio campano ha accolto il ricorso del cittadino, avendo rilevato un vizio insanabile della procedura di notificazione prescelta dall’ente impositore.

Devono infatti essere annullati gli atti di accertamento non notificati dal servizio pubblico (o comunque da società abilitata a svolgere un pubblico servizio), poiché, come evidenziato dal ricorrente, la vigente normativa impone che per la notificazione o la spedizione di un atto, nell’ambito di una procedura amministrativa o giudiziaria, debba essere utilizzato il fornitore del servizio postale universale (art.1, comma 4, D.Lgs.58/2011).

In tal senso si è espressa anche la Suprema Corte, che con la sentenza n. 11098 del 2008 ha precisato che per notificazione di atti e di comunicazioni per posta connesse con la notificazione di atti giudiziari di cui alla Legge 20 novembre 1982 n. 890 deve intendersi il servizio postale di Poste Italiane e non di poste private, così come riconosciuto dal D.Lgs. n. 261/1999 e confermato anche dal D.Lgs. n.58/2011, che all’articolo 4 indica i servizi affidati in esclusiva.

Inutile per il Comune controbattere che gli atti erano comunque pervenuti materialmente nella sfera del destinatario – che aveva proposto tempestivo ricorso – e, soprattutto, che la società, cui era stato affidato il servizio postale, era fornita della regolare autorizzazione rilasciata dal Ministero delle Comunicazioni per la consegna delle raccomandate con e senza avviso di ricevimento. L’ente impositore non ha fornito prova documentale dei suoi assunti.

Buoni motivi per compensare le spese. In conclusione, i giudici beneventani accolgono i ricorsi riuniti del contribuente, compensando le spese di lite in virtù della novità delle questioni trattate e della mancanza di giurisprudenza consolidata “su una tematica che presenta un acceso e contrastante dibattito dottrinario”.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Associazione in partecipazione: profili reddituali

8 Maggio 2014
L’associazione in partecipazione, disciplinata dagli artt. 2549-2554 c.c., è il contratto di collaborazione con il quale un soggetto, l’associante, attribuisce a un altro soggetto, l’associato, una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari, verso il corrispettivo di un determinato apporto.

Sotto il profilo fiscale, l’utile conseguito dall’associato nell’ambito di un contratto di associazione in partecipazione è considerato reddito di lavoro autonomo o reddito di capitale, in base alla natura del suo apporto; più in dettaglio:
• qualora l’apporto sia costituito da solo lavoro, il reddito percepito dall’associato ha natura di reddito di lavoro autonomo e la relativa remunerazione è deducibile dal reddito d’impresa dell’associante;
• qualora, di converso, l’apporto sia diverso da opere e servizi, il reddito dell’associato ha natura di reddito di capitale e la relativa remunerazione è indeducibile dal reddito d’impresa dell’associante.

Va tuttavia precisato che, ove l’associante emetta titoli o strumenti finanziari partecipativi a fronte dell’apporto dell’associato, il reddito di quest’ultimo si considera sempre di capitale, indipendentemente dalla natura dell’apporto (lavoro, capitale o misto); di conseguenza, la relativa remunerazione è sempre indeducibile in capo all’associante (cfr. Circolare Agenzia delle Entrate 26/E del 16.6.2004, § 2.3).

La qualificazione degli apporti. Sotto il profilo normativo, occorre fare riferimento, da un lato, all’art. 53 co. 2 lett. c) del TUIR, che ricomprende tra i redditi di lavoro autonomo “non professionale” i proventi dei contratti per i quali l’apporto “è costituito esclusivamente dalla prestazione di lavoro; dall’altro, al combinato disposto dell’art. 47 co. 2 e dell’art. 109 co. 9 lett. b) del TUIR, che prevede, invece, l’assimilazione al regime dei dividendi per i proventi dei contratti “allorché sia previsto un apporto diverso da quello di opere e servizi“.

Nella Circolare 26/E del 2004 (§ 2.3), secondo l’Agenzia, sono assimilati ai contratti nei quali l’apporto è rappresentato da solo lavoro quelli nei quali è prevista la partecipazione agli utili e alle perdite, ma senza il corrispettivo di alcun apporto (c.d. “cointeressenza propria“). In tali casi, di conseguenza, laremunerazione è integralmente deducibile dal reddito dell’associante.

Reddito da apporto di solo lavoro: criterio di cassa o di competenza. Come si è visto, il reddito dell’associato che apporta esclusivamente opere o servizi ha natura di reddito di lavoro autonomo “non professionale”. In tal caso, ai sensi dell’art. 54 co. 8 del TUIR, il reddito soggetto a tassazione è rappresentato dall’intero ammontare percepito e va dichiarato nel periodo d’imposta in cui è percepito (secondo il criterio di cassa). Non sono pertanto ammessi in deduzione eventuali costi sostenuti dall’associato, quali quelli, ad esempio, corrisposti a collaboratori coordinati e continuativi (cfr. circ. 12.6.2002 n. 50/E, § 1.1). All’associato non viene, peraltro, riconosciuta alcuna deduzione forfetaria né detrazione (come previsto, invece, per altre tipologie di redditi di lavoro autonomo non professionali).

Se l’associato effettua l’apporto nell’esercizio della propria impresa (in forma individuale o collettiva), opera il principio di attrazione dei proventi percepiti nell’ambito del reddito d’impresa, come componenti positivi di reddito e, per l’imputazione, vale il criterio di competenza. Va tuttavia precisato che, mentre per le società (di persone e di capitali) tale presunzione è assoluta, per l’associato imprenditore individuale il reddito continuerebbe a mantenere natura di reddito di lavoro autonomo, se il contratto è riferibile alla sfera non imprenditoriale della persona.

La deducibilità delle remunerazioni per l’associante. Sotto il profilo dell’associante che eroga le remunerazioni all’associato (nei contratti con apporto solo di opere e servizi), ai sensi dell’art. 95 co. 6 del TUIR, dette remunerazioni risultano integralmente deducibili nell’ambito della determinazione del reddito d’impresa, secondo il criterio di competenza e indipendentemente dall’imputazione a conto economico (anche se, in altre parole, l’associante non ha iscritto la remunerazione a Conto economico, ma la rileva in sede di ripartizione dell’utile di esercizio).

In merito alle condizioni per poter operare la deducibilità delle erogazioni a beneficio dell’associato, le istruzioni ai modelli di dichiarazione attuali non riportano più le condizioni affermate, da ultimo, dal mod. Unico 2004 PF, fascicolo 3, Appendice.

Ci si chiede pertanto se possano essere ancora considerati attuali i requisiti ivi fissati, in base ai quali la deducibilità delle quote di partecipazione agli utili spettanti agli associati in partecipazione è consentita, agli effetti fiscali, solo a condizione (cfr. anche circ. 12.6.2002, n. 50/E, § 1.2):
– che il contratto di associazione in partecipazione risulti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata, ovvero da scrittura privata registrata;
– che il contratto contenga la specificazione dell’apporto e, qualora questo sia costituito da denaro e altri valori, contenga elementi certi e precisi comprovanti l’avvenuto apporto;
– che, qualora l’apporto sia costituito da una prestazione di lavoro, gli associati non siano familiari dell’associante, ai sensi dell’art. 62 co. 2 (ora art. 60 co. 1) del TUIR;
– che il contratto non consista nell’apporto rappresentato dall’emissione, da parte dell’associante, di titoli o certificati in serie o di massa, i cui proventi sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta (c.d. “titoli atipici”).

La tesi dell’Associazione dei Dottori Commercialisti di Milano. Secondo quanto sostenuto dall’Agenzia nella circ. 50/E del 2002, pertanto, se il contratto di associazione in partecipazione (con apporto di solo lavoro) è privo di data certa, la remunerazione spettante all’associato non concorrerebbe alla formazione del reddito di quest’ultimo né sarebbe deducibile in capo all’associante.

In senso contrario a tale linea interpretativa, si pone la norma di comportamento dell’Associazione dei Dottori Commercialisti di Milano -ADC 1.10.2003 n. 153, secondo la quale tali condizioni non si desumono da alcuna norma, per cui l’effettività del rapporto può essere dimostrata anche con altri elementi di prova, indipendentemente dall’esistenza di un contratto scritto avente data certa.

Autore: Marco Brugnolo

Rottamazione cartelle, c’è tempo fino al 31 maggio

8 Maggio 2014
Comunicato Stampa Equitalia.
Con il comunicato stampa diffuso ieri, Equitalia aggiorna il calendario dopo l’ennesima proroga alla “rottamazione delle cartelle”, per effetto delle modifiche normative introdotte dalla Legge 68/2014, di conversione del decreto legge n. 16/2014. 
A seguito del suddetto intervento legislativo, per la definizione agevolata delle cartelle si avrà tempo fino al prossimo 31 Maggio, come già evidenziato in un nostro precedente intervento (Rottamazione cartelle al 31 maggio –FiscalFocus.info del 06.05.2014).

Per effetto dell’ulteriore proroga, si precisa nel comunicato stampa, “entro il 31 ottobre 2014, e non più il 30 giugno, Equitalia trasmetterà a ciascun ente interessato l’elenco dei debitori che hanno pagato tempestivamente e, tramite posta ordinaria, informare dell’avvenuta estinzione del debito coloro che hanno effettuato il versamento. Inoltre, con la proroga la sospensione della riscossione dei debiti interessati dalla definizione agevolata slitta dal 15 aprile al 15 giugno 2014”.

Dunque, fino al 31 maggio si potrà beneficiare dello stralcio degli interessi di mora (che maturano dalla data di notifica della cartella in caso di mancato pagamento delle somme entro i 60 giorni previsti) e degli interessi per ritardata iscrizione a ruolo (che decorrono dalla scadenza del termine previsto per il versamento dell’imposta fino alla data di consegna all’agente della riscossione dei ruoli).

Si ricorda come non tutti gli importi possano essere ammessi alla definizione agevolata dei ruoli: le entrate erariali, come l’Irpef e l’Iva, beneficiano infatti integralmente dello stralcio degli interessi, mentre per le entrate non erariali, come il bollo dell’auto e le multe per violazione al codice della strada, l’agevolazione è limitata agli interessi di mora.

Sono invece espressamente escluse dalla previsione le somme dovute per effetto di sentenze di condanna della Corte dei Conti, i contributi richiesti dagli enti previdenziali (Inps, Inail), i tributi locali non riscossi da Equitalia e le richieste di pagamento di enti diversi da quelli ammessi.

Chi sceglie di aderire dovrà versare in un’unica soluzione il restante importo del debito, l’aggio, le spese di notifica e quelle per eventuali procedure attivate.
Equitalia invierà entro il prossimo 31 ottobre mediante posta ordinaria una comunicazione di avvenuta estinzione del debito ai contribuenti che avranno pagato nei termini previsti.

È possibile effettuare il versamento in tutti gli sportelli di Equitalia, negli uffici postali tramite bollettino F35, indicando nel campo “Eseguito da”, oltre ai dati personali, anche la dicitura “Definizione Ruoli – L.S. 2014”.
Nel comunicato stampa viene evidenziato che “per la corretta ricezione del pagamento, si consiglia di utilizzare un bollettino F35, completo di codice fiscale, per ognuna delle cartelle/avvisi che si vuole pagare in forma agevolata”.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Ecco i codici per la IUC

L’Agenzia delle Entrate, con tre risoluzioni (nn. 45/E46/E e 47/E del 24 aprile), ha utilizzato, per la Tari, gli stessi codici l’anno scorso assegnati alla Tares  e per la Tasi, ha istituito nuovi codici da utilizzare su F24.

I codici tributo riservati alla Tasi sono:

“3958” – Tasi, abitazione principale e relative pertinenze
“3959” – Tasi, fabbricati rurali ad uso strumentale
“3960” – Tasi, aree fabbricabili
“3961” – Tasi, altri fabbricati
“3962” – Tasi, interessi
“3963” – Tasi, sanzioni

I codici rinominati che identificano la Tari (o la tariffa) sono:

per l’F24

“3944” – Tari (e Tares)
“3945” – Tari (e Tares), interessi
“3946” – Tari (e Tares), sanzioni
“3950” – tariffa
“3951” – tariffa, interessi
“3952” – tariffa, sanzioni

IUC – Imposta Unica Comunale – è il termine con il quale si intende racchiudere più tasse per la famiglia : la TASI, la TARI e l’IMU.

Quindi di per sé la IUC non è nulla se non uno scatolone pieno di insidie.

Per quanto ci hanno rassicurato per mesi che nessun costo aggiuntivo sarebbe gravato sui proprietari di case, alla resa dei conti la fregatura ci sta tutta.

Iniziamo con

La TASI.

  • Si tratta della tassa sui servizi indivisibili e cioè? Sono tutti quei servizi comunali rivolti alla collettività in modo indistinto di cui noi cittadini usufruiamo magari senza pensarci su, come ad esempio l’illuminazione stradale,  la manutenzione del manto stradale.
  • Sono soggetti al pagamento i proprietari di prima e seconda casa
  • Quanto si paga? Ancora non si sa, anche se la base imponibile è la stessa dell’IMU ma le aliquote il Comune le deve ancora decidere partendo da una base del 2,5 per mille.
  • Quando scade? Unitamente all’IMU e cioè probabilmente il 16/6 la prima rata e il saldo entro il 16/12

La TARI

  • Si tratta della rinominata “tassa sui rifiuti urbani”….sulla “monnezza” detta alla romana….
  • Soggetti al pagamento sono i possessori di abitazioni o locali che producono rifiuti ad esclusione di chi già paga per i rifiuti speciali
  • Quanto si paga? È sempre il Comune a decidere le aliquote e quindi attendiamo…. E comunque, nonostante l’obbligo della “differenziata”, sarà sicuramente sempre troppo cara
  • Quando si paga? Il pagamento dovrebbe rimanere in due rate semestrali come già lo è oggi per questo servizio.

L’IMU

E questa non ce la leviamo comunque di mezzo.

  • E’ la ormai nota Imposta sulla casa che tanto ha fatto discutere in questi ultimi anni: prima casa si, prima casa no, e poi lo scorso anno ci è toccato pagare la mini IMU sulla prima casa.
  • Sono esclusi i possessori di prima casa con eccezione dei proprietari di prima casa classificata al catasto  nelle categorie A/1, A/8 o A/9, case di lusso. Obbligo di pagamento sulle seconde case.
  • Quanto si paga? Sempre in attesa delle decisioni Comunali, le aliquote possono variare da un minimo  del 4,6 per mille a un massimo del 10,6 per mille.
  • Quando si paga? Sempre in due rate scadenti il 16/6/2014 e 16/12/2014

 

Noleggio occasionale: codice tributo

24 Aprile 2014

R.M. 43/E/2014

L’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione 43/E del 23 aprile 2014, ha istituito il codice tributo per il versamento, tramite modello “F24”, dell’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e delle relative addizionali, sui proventi derivanti dall’attività di noleggio occasionale di cui all’articolo 49-bis del decreto legislativo 18 luglio 2005, n. 171.

L’articolo 49-bis del D.Lgs. 171/2005
 prevede che “al fine di incentivare la nautica da diporto e il turismo nautico, il titolare persona fisica o società non avente come oggetto sociale il noleggio o la locazione ovvero l’utilizzatore a titolo di locazione finanziaria, di imbarcazioni e navi da diporto, di cui all’articolo 3, comma 1, può effettuare in forma occasionale, attività di noleggio della predetta unità. (…)”.

Per lo svolgimento della suddetta attività, di durata complessiva non superiore a quarantadue giorni, è previsto il pagamento di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e delle relative addizionali, nella misura del 20 per cento, entro il termine di versamento del saldo IRPEF.

Per consentire il versamento, mediante il modello F24, dell’imposta sostitutiva in argomento, si istituisce il seguente codice tributo:

  • 1847” denominato “Imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e delle relative addizionali sui proventi derivanti dall’attività di noleggio occasionale – Art. 49-bis del D.Lgs. n. 171/2005”.

In sede di compilazione del modello di versamento F24, il suddetto codice tributo è esposto nella sezione “Erario”, in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a debito versati”, con l’indicazione, nel campo “anno di riferimento”, dell’anno d’imposta per cui si effettua il versamento, nel formato “AAAA”. Il codice è utilizzabile anche in corrispondenza degli “importi a credito compensati”.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Bonifici esteri: abrogata la ritenuta

24 Aprile 2014
Il Decreto Legge IRPEF ha abrogato definitivamente la tanto discussa ritenuta del 20% sui bonifici esteri. Più in dettaglio, nel suddetto Decreto si prevede l’abrogazione del comma 2 dell’articolo 4 del decreto legge 28 giugno 1990 n. 167 convertito con modificazioni nella Legge 4 agosto 1990 n. 227.

Come noto, l’art. 4, co. 2, del D.L. 167/1990, come riscritto dalla Legge Europea 2013 (L. 97/2013), prevedeva, accanto al principio di carattere generale in base al quale su tutti i redditi di capitale e sui redditi diversi derivanti da investimenti esteri e da attività estere di natura finanziaria, gli intermediari dovevano applicare le ritenute già previste da specifiche disposizioni non soltanto quando le attività erano a essi affidate in gestione, custodia o amministrazione, ma anche qualora intervenissero nella mera riscossione dei relativi flussi, una “ritenuta d’ingresso” a titolo di acconto nella misura del 20% su determinate tipologie di redditi di capitale e di redditi diversi che derivano da investimenti detenuti all’estero o da attività estere di natura finanziaria.

La decorrenza della norma era inizialmente fissata al 1° gennaio 2014. Successivamente, ilProvvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 18 dicembre 2013:

  • rinviava l’applicazione della ritenuta, per ragioni di ordine pratico, al 1° febbraio 2014;
  • prevedeva il versamento delle ritenute operate dagli intermediari per il periodo dal 1° febbraio – 30 giugno 2014, entro il 16 luglio 2014, maggiorate dei relativi interessi e senza applicazione di sanzioni.

Con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 19.02.2014 (Protocollo 2014/24663), tenuto conto delle difficoltà sollevate dagli operatori, si rinviava al 1° luglio 2014 la decorrenza degli adempimenti connessi alle disposizioni contenute nell’art. 4, comma 2, D.L. 167/1990.

Con comunicato del Mef, n. 46 del 19.02.2014, era stato reso noto che nell’ambito del disegno di legge per l’attuazione dell’accordo “Iga” e l’implementazione del “Common Reporting Standard”, era stata predisposta una norma per la definitiva abrogazione della ritenuta. Si ricorda che sempre nel comunicato del MEF, oltre a sottolineare l’inutilità della nuova ritenuta in ingresso in quanto finalizzata a ottenere informazioni già disponibili attraverso il canale delle scambio di informazioni, veniva ulteriormente precisato che “gli acconti eventualmente già trattenuti da intermediari finanziari sulla base della norma in oggetto saranno rimessi a disposizione degli interessati dagli stessi intermediari”. Ci si riferiva alle ritenute eventualmente operate nel periodo 1° febbraio 2014 – 19 febbraio 2014, considerando la sospensione prevista per i flussi ricevuti nel mese di gennaio 2014.

Ora, con il Decreto IRPEF si risolve in maniera definitiva la questione, abrogando la disposizione normativa tanto contestata.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Rivalutazione: imposta in un’unica rata

23 Aprile 2014

Nella bozza del Decreto del Governo eliminate le tre rate

Premessa – Il consiglio dei ministri dei venerdì 18 aprile, oltre ai vari provvedimenti sugli sgravi Irpef/Irap e aumento aliquote delle rendite finanziarie, ha altresì previsto che l’imposta sostitutiva sulla rivalutazione dei beni d’impresa venga versata tutta in un’unica soluzione entro il 16 giugno eliminando la possibilità di dividere l’importo dovuto in tre rate. Si attende ora la conferma ufficiale con la pubblicazione del testo definitivo.

Rivalutazione – Come noto la legge di stabilità 2014 (Legge 27 dicembre 2013, n. 147) ai commi da 140 a 146 ha riproposto la rivalutazione dei beni d’impresa e delle partecipazioni riservata alle società di capitali ed enti commerciali che non adottano i principi contabili internazionali. La rivalutazione va effettuata nel bilancio 2013 e deve riguardare tutti i beni risultanti dal bilancio al 31 dicembre 2012 appartenenti alla stessa categoria omogenea.

Saldo attivo – Il saldo attivo di rivalutazione va imputato al capitale o in un’apposita riserva che ai fini fiscali è considerata in sospensione d’imposta. Si può provvedere all’affrancamento, anche parziale, di tale riserva con il pagamento di un’imposta sostitutiva dei redditi e dell’Irap in misura pari al 10%.

Imposta sostitutiva –
 Il maggior valore dei beni è riconosciuto ai fini fiscali (redditi e Irap) dal terzo esercizio successivo a quello della rivalutazione (in generale, dal 2016) tramite il versamento di un’imposta sostitutiva determinata nelle seguenti misure: 16% per i beni ammortizzabili; 12% per i beni non ammortizzabili.

Versamento –
 In base all’art. 1, comma 145, Legge di Stabilità 2014 le imposte sostitutive dovute per il riconoscimento della rivalutazione e per l’eventuale affrancamento della riserva vanno versate in 3 rate annuali, senza interessi, entro il termine previsto per il saldo delle imposte sui redditi. Gli importi dovuti possono essere compensati con eventuali crediti disponibili.

Termine – In particolare la norma prevede che la prima rata deve essere versata “entro il termine di versamento del saldo delle imposte sui redditi dovute per il periodo di imposta con riferimento al quale la rivalutazione è eseguita, e le altre con scadenza entro il termine rispettivamente previsto per il versamento a saldo delle imposte usi redditi relative ai periodi d’imposta successivi”. In sostanza la prima rata andrà versata il prossimo 16 giugno 2014 e le altre due, rispettivamente, il 16 giugno 2015 e 16 giugno 2016.

Bozza Decreto Cdm –
 Venerdì 18 aprile si è riunito il consiglio dei ministri che ha varato una serie di provvedimenti di misura fiscale (Bonus Irpef in busta paga, Taglio Irap, Aumento aliquote rendite finanziarie). Tra le varie misure adottate figura anche la modifica del temine per pagare l’imposta sostitutiva a seguito della rivalutazione dei beni d’impresa sopraesposta. Il decreto approvato dal Governo, sostituisce, infatti il comma 145 della legge di stabilità: ai sensi della nuova disposizione “le imposte sostitutive di cui ai commi 142 e 143 sono versate in unica soluzione entro il termine di versamento del saldo delle imposte sui redditi dovute per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013”. Non sarà più possibile, quindi, suddividere l’importo dovuto su tre rate annuali. Resta tuttavia salva la possibilità di compensare il quantum dovuto con eventuali altri importi vantati a credito dal contribuente.

Carico fiscale –
 Tale disposizione, ancora in bozza, qualora venisse confermata porterà secondo le stime dell’esecutivo un esborso immediato per le aziende pari a 600 milioni di euro. Onere fiscale che si aggiunge al fatto che il maggior valore dei beni derivante dalla rivalutazione è riconosciuto ai fini fiscali (redditi e Irap) dal terzo esercizio successivo a quello della rivalutazione (in generale, dal 2016), mentre in caso di cessione, assegnazione ai soci/autoconsumo o destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa prima dell’inizio del quarto esercizio successivo a quello di rivalutazione, la plus/minusvalenza è calcolata con riferimento al costo del bene antecedente alla rivalutazione.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Sconto Irap dal 2014

23 Aprile 2014
Con il decreto legge del 18 aprile 2014 il Governo ha rilanciato una serie di misure volte a stimolare l’economia attraverso un aumento dei consumi e la creazione di un ambiente economico più favorevole agli imprenditori: tra queste, un ruolo sicuramente importate è da riconoscersi all’abbattimento dell’aliquota Irap a decorrere dall’esercizio 2014.

La finalità della disposizione

La finalità dell’agevolazione è quella di favorire la riduzione del costo del lavoro, in considerazione della nota indeducibilità ai fini Irap delle spese sostenute per il personale dipendente.

È bene tuttavia rimarcare come l’abbattimento generalizzato dell’aliquota Irap non premia soltanto le imprese che sostengono spese per il personale, in quanto la minor aliquota è applicabile a tutte le imprese, indipendentemente dalla presenza di lavoratori dipendenti.

Tuttavia, se da un lato la concreta applicazione del beneficio tradisce in parte le finalità della norma, è pur sempre vero che è stata introdotta una misura di semplice applicazione, in grado di favorire il mondo delle imprese.

Le nuove aliquote

L’abbattimento dell’aliquota Irap si applicherà “a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2013”, quindi sul 2014.

A seguito delle nuove agevolazione, le nuove aliquote Irap saranno pertanto le seguenti:

– imprese e professionisti: 3,50% (in luogo dell’attuale 3,90%);
– imprese agricole: 1,70 % (in luogo dell’attuale 1,90%);
– banche e le imprese finanziarie: 4,20%, (in luogo del 4,65%);
– assicurazioni: 5,30 % (in luogo del 5,90%);
– imprese concessionarie diverse da quelle di costruzione e gestione di autostrade e trafori: 3,80% (in luogo del 4,20%).

Il versamento degli acconti

Al fine di ridurre la contrazione del gettito erariale per il 2014, il Governo ha tuttavia previsto l’introduzione di un abbattimento graduale dell’aliquota, il quale ha effetti sulla misura degli acconti da versarsi con il metodo previsionale.

Infatti, in sede di versamento degli acconti è possibile optare per il metodo storico o per il metodo previsionale.

Nel primo caso sarà sufficiente versare un acconto pari al 100% (per le società di persone e le imprese individuali) o al 101,50% (per le società di capitali) dell’imposta versata l’anno prima.

Nel secondo caso, invece, si dovrà tener conto delle nuove aliquote previste dal decreto legge appena emanato.

Le aliquote previste per il versamento degli acconti con il metodo previsionale sono infatti le seguenti:
– imprese e professionisti: 3,70% ;
– imprese agricole: 1,80%;
– banche e le imprese finanziarie: 4,40%;
– assicurazioni: 5,60%;
– imprese concessionarie diverse da quelle di costruzione e gestione di autostrade e trafori: 4%

Le questioni ancora aperte

Seppure sia da ammirare l’intervento del Governo volto a limitare l’Irap per le imprese e professionisti, deve rilevarsi come ancora non sia stata data una risposta a tutti quei soggetti (professionisti in primo luogo) che non dispongono ancora di un quadro legislativo certo in tema di autonoma organizzazione.

Tali soggetti dovranno quindi, nell’incertezza, continuare a versare l’Irap (sebbene in misura ridotta), in attesa di futuri chiarimenti.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Canoni di locazione: tracciabilità dei pagamenti

23 Aprile 2014

Tutto come prima per i canoni di locazione: non possono infatti essere riscontrate particolari novità rispetto al passato, sebbene la Legge di stabilità 2014 abbia richiesto l’obbligo di tracciabilità dei pagamenti dei canoni, pena l’applicazione di imprecisate sanzioni.

Infatti, se è vero che l’obbligo è entrato in vigore il 1° gennaio, sono intervenute subito dopo, il 5 febbraio 2014, le precisazioni del Mef che, con la nota DT10492, ha praticamente annullato le novità introdotte.

Una disposizione, quindi, nata e morta in appena due mesi: appena il tempo per creare confusione tra i contribuenti e obbligarli a dotarsi di apposito conto corrente bancario, per poter garantire una tracciabilità successivamente rivelatasi non necessaria.

L’obbligo

L’obbligo di tracciabilità di pagamento dei canoni di locazione è stato introdotto con la Legge di stabilità 2014 che aveva escluso i pagamenti non tracciabili, qualunque fosse l’importo degli stessi.

Inizialmente, nel silenzio della disposizione, si ritennero applicabili le sanzioni previste dalla disciplina antiriciclaggio in tema di violazione delle norme in tema di circolazione del contante: sanzioni salatissime, comprese tra l’1 e il 40% dell’importo trasferito, con una soglia minima di 3.000 euro.

I chiarimenti del MEF

Con la nota DT 10492 del 5 febbraio 2014 il Mef ha precisato che è comunque possibile il pagamento dei canoni in contanti, se l’importo non supera i 999,99 euro, in quanto la sanzione prevista dalla disciplina antiriciclaggio è confinata soltanto ai casi in cui sia superata la soglia prevista in tema di circolazione del contante.

La tracciabilità richiesta dalla norma potrà quindi essere soddisfatta fornendo una semplice prova documentale: la vecchia e cara “ricevuta”, in altre parole.

È ovvio come, in questi termini, non pare vi siano particolari novità rispetto agli anni precedenti, in quanto, anche in passato, coloro che effettuavano i pagamenti in contanti avevano tutto l’interesse di richiedere una quietanza di pagamento.

La sanzione

Dato il quadro prospettato, l’unica sanzione prevista nel caso in cui non sia assicurata la tracciabilità dei pagamenti è rappresentata dalla perdita delle agevolazioni di natura fiscale.

Pertanto, non si potrebbero indicare in dichiarazione, ad esempio, le detrazioni spettati ai conduttori per i contratti di locazione delle unità immobiliari a uso abitativo utilizzate quali abitazioni principali.

L’anno prossimo, quindi, il contribuente che voglia fruire della detrazione in oggetto non potrà limitarsi a fornire copia del contratto di locazione, ma dovrà altresì conservare copia delle ricevute di pagamento dei singoli canoni di locazione.

Autore: Redazine Fiscal Focus

Comunicazione Beni ai soci e finanziamenti

Dopo le prime anticipazioni dei giorni scorsi, ecco che arriva puntuale il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate che fa slittare la scadenza della comunicazione dei beni ai soci a dopo l’invio di Unico.

Non si tratta tuttavia di un semplice differimento: con il Provvedimento in oggetto si interviene sulle scadenze fissate dal Provvedimento del 2 agosto 2013, indicando dei veri e propri nuovi termini di trasmissione.

Il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 16 aprile sposta infatti il termine per la comunicazione dei dati in oggetto al trentesimo giorno successivo al termine di presentazione della dichiarazione dei redditi, confermando così le prime ipotesi che vedevano la scadenza del nuovo adempimento alla fine di ottobre.

Un provvedimento, questo, che appare come necessario, in quanto, con riferimento alla disciplina relativa ai beni dell’impresa concessi in godimento a soci o familiari, l’unico modo per comprendere se la comunicazione è o no dovuta, è connesso, appunto, alla dichiarazione presentata, non solo dai soci e dai familiari dell’imprenditore, ma anche dalla stessa impresa/società che concede i beni in godimento.

Assumeranno infatti rilievo esclusivamente le fattispecie in cui sia riportato un reddito diverso, determinato confrontando il minor corrispettivo pattuito e il valore di mercato del diritto di godimento, per i soggetti che ricevono in godimento beni aziendali, nonché quei casi in cui sia stata fissata l’indeducibilità dei relativi costi sostenuti, per i soggetti concedenti i beni in godimento.

Tuttavia, se inizialmente era stata ipotizzata una convergenza tra le scadenze di Unico e della comunicazione dei beni ai soci, con il provvedimento in oggetto si evita la concentrazione dell’adempimento comunicativo e di quello dichiarativo in un’unica scadenza, prevedendo un lasso di tempo di 30 giorni tra i due adempimenti.

I soggetti tenuti alla comunicazione

Dovranno pertanto rispettare il termine previsto dei 30 giorni successivi al termine di presentazione della dichiarazione dei redditi:

– coloro che esercitano attività d’impresa, sia in forma individuale che collettiva, i quali devono comunicare i dati relativi ai soci o familiari dell’imprenditore che hanno concesso all’impresa, nell’anno d’imposta precedente, finanziamenti o capitalizzazioni per un importo complessivo, per ciascuna tipologia di apporto, pari o superiore a 3.600 euro;

– coloro che esercitano attività d’impresa, sia in forma individuale che collettiva, i quali devono comunicare i dati dei soci e dei familiari dell’imprenditore che hanno ricevuto in godimento beni dell’impresa, nel caso in cui sussista una differenza tra il corrispettivo annuo relativo al godimento del bene e il valore di mercato del diritto di godimento, con riferimento all’anno d’imposta precedente. In alternativa, può provvedervi lo stesso socio o familiare che ha ricevuto il bene in godimento.

Autore: Redzione Fiscal Focus

Fari puntati sull’antiriciclaggio

9 Aprile 2014
Aumentano le segnalazioni di operazioni sospette e, nel 56% dei casi, dalle stesse emergono reati fiscali: è questo, in estrema sintesi, il bilancio dei dati giunti al nucleo di polizia valutaria della Guardia di Finanza nell’anno 2013.

Insomma, la lotta al riciclaggio di denaro assume sempre più rilevanza, anche in considerazione del fatto che, attraverso le indagini relative al reimpiego di denaro si intensifica la lotta alla criminalità organizzata, così come il contrasto all’evasione fiscale.

Sicuramente i professionisti continuano ad avere un ruolo marginale, mentre, come al solito, molto più numerose sono le segnalazioni effettuate dagli intermediari finanziari.

L’autoriciclaggio

Come ormai noto, in Italia l’antiriciclaggio è spesso associato a tutti gli adempimenti amministrativi connessi a questa particolare disciplina. Principale rilievo assumono pertanto gli aspetti relativi all’adeguata verifica della clientela e la segnalazione delle operazioni sospette.

Ma non dobbiamo dimenticare che nel nostro ordinamento il riciclaggio costituisce anche un reato penale, disciplinato dall’art. 648 bis del codice penale, che punisce con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 1.032 a euro 15.493 chiunque compia operazioni in grado di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro.

È bene tuttavia sottolineare come soggetto attivo del reato non possa mai essere colui che commette il reato presupposto o il concorrente, in quanto il nostro ordinamento considera l’occultamento dei proventi criminosi da parte degli stessi soggetti che hanno commesso il reato presupposto semplicemente come fatto derivante non punibile.

Da mesi ormai si parla dell’introduzione, anche nel nostro ordinamento penale del reato di autoriciclaggio, ma i tentativi sono tutti naufragati.

Si pensi, da ultimo, alle anticipazioni in merito al primo provvedimento sulla volontary disclosure che il Consiglio dei ministri avrebbe dovuto approvare: in quella sede si era parlato addirittura dell’introduzione del reato di autoriciclaggio già dal mese di agosto 2014.

Sparite le disposizioni in tema di autoriciclaggio dal Dl sulla volontary disclosure si continua però a parlare di un semplice rinvio e si annuncia che, presto, un pacchetto di articoli volto a disciplinare il reato di autoriciclaggio vedrà la luce.

Si parla infatti di una bozza allo studio dei Ministeri Interno e Giustizia che non si occupa soltanto di disciplinare il nuovo reato di autoriciclaggio, ma introduce la figura di appositi commissari di governo nei comuni sciolti per mafia, i quali andranno quindi a sostituire i prefetti.

Altro nodo all’attenzione dei tecnici riguarda il riordino dell’Agenzia dei beni sequestrati e confiscati, soprattutto con riferimento ai ruoli chiave della struttura.

È necessario infatti ricordare come, a causa dell’uscita del prefetto Giuseppe Caruso per sopraggiunti limiti di età, attualmente l’Agenzia sia senza una guida, in quanto non sono stati ancora raggiunti i necessari accordi per la designazione di un successore.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Lite temeraria di Equitalia per il fermo

8 Aprile 2014

Accolta la domanda di risarcimento formulata dal contribuente privato dell’autovettura per un debito erariale prescritto da tempo

Paga il risarcimento danni da lite temeraria l’Agente della riscossione che ha proceduto all’iscrizione di fermo amministrativo nonostante l’evidente avvenuto decorso del termine ordinario di prescrizione del credito portato dalla cartella esattoriale. Equitalia non può affidare agli estratti di ruolo la prova della notifica di atti interruttivi della prescrizione. È quanto si ricava dalla sentenza n. 182/01/13 della Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso.

Il caso. 
Una contribuente ha impugnato il provvedimento di fermo amministrativo dell’autovettura chiedendone l’annullamento poiché basato su tre cartelle di pagamento portanti crediti (previdenziali e tributari) già prescritti. La donna ha anche chiesto di essere risarcita ex articolo 96 c.p.c., posto che l’Agente della riscossione, di certo a conoscenza della prescrizione dei diritti per cui agiva, aveva comunque notificato il preavviso di fermo e successivamente, pur essendo a conoscenza del ricorso contro il preavviso e della imminente pronuncia sulla sospensiva, aveva proseguito “senza il minimo raziocinio e senza alcuna oculatezza con l’iscrizione del fermo”. La ricorrente ha precisato di essere un’insegnante e di lavorare presso un istituto scolastico parecchio distante dall’abitazione (200 KM) sicché la privazione dell’autovettura le aveva causato notevoli disagi materiali e morali.

Osservazioni della CTP. 
L’adita CTP di Campobasso, premessa la giurisdizione dell’AGO per i crediti dell’INPS, ha accolto il ricorso della contribuente, limitatamente ai crediti tributari, annullando il fermo e condannando Equitalia al risarcimento dei danni da lite temeraria (art. 96 c.p.c.).

Nel merito, i giudici molisani hanno ritenuto documentalmente provato che il provvedimento opposto fu emesso sulla base di cartelle di pagamento notificate nel 2001, “onde è fin troppo evidente – si legge in sentenza – che quando fu effettuata la notifica del fermo, ovvero il 15 aprile 2013, il credito tributario era ampiamente prescritto per avvenuto decorso del termine ordinario di prescrizione di cui all’art.2946 c.c. È appena il caso di rilevare che l’Equitalia ha solo affermato di avere interrotto il termine di prescrizione ordinaria con la notifica di ulteriori atti, ma non ha affatto provato il suo assunto, nessun valore probatorio potendosi attribuire al prodotto estratto di ruolo ai fini della rituale notifica di atti interruttivi”.

Con riguardo alla domanda di risarcimento dei danni da lite temeraria, la CTP non ha avuto dubbi circa la sussistenza della responsabilità di Equitalia ex art. 96 comma 2 c.p.c., che è riferibile ai casi in cui, come nella specie, il giudice accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare. Quanto alla sussistenza dell’elemento soggettivo, poi, non è richiesto affatto il dolo o la colpa grave (che pure è ravvisabile nella specie), ma unicamente che il creditore abbia agito senza la normale prudenza, “elemento di cui non si vede come potrebbe ritenersi l’insussistenza nella specie – puntualizza la CTP – trattandosi di diritto abbondantemente prescritto”. A proposito del quantum debeatur, infine, la ricorrente ha dimostrato di avere subito un danno, anche se si può prescindere da tale prova, stante l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità: il danno da lite temeraria è costituito non già dalla lesione della posizione materiale della parte vittoriosa, ma dagli oneri di ogni genere (patema d’animo, perdite di tempo occorrenti per approntare la propria difesa, preoccupazione di potere soccombere di fronte a un evidente abuso dell’autorità) che essa abbia dovuto affrontare per essere stata costretta a contrastare l’ingiustificata iniziativa della parte avversa e dai disagi in genere sopportati per effetto di quella iniziativa, danni la cui esistenza può essere desunta dalla comune esperienza (v. Cass. n. 6796/2003 e n. 17485/2011).

Autore: Redazione Fiscal Focus

Destinare il 2 per mille ai partiti politici: scheda e istruzioni

8 Aprile 2014

In attuazione dell’art. 12, D.L. 149/2013, sono state pubblicate le schede e le istruzioni per la compilazione, utilizzabili dai contribuenti persone fisiche per destinare il 2‰ della propria Irpef a uno dei partiti politici che hanno superato l’esame della “Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici”. La suddetta scheda può essere utilizzata, già a partire dal 2014, anno 2013, non soltanto dai contribuenti che presentano il 730 o Unico PF, ma anche dalle persone fisiche che, pure essendo titolari di redditi, non sono tenuti alla presentazione della dichiarazione.

Il quadro normativo – Il D.L. 149/2013 ha abolito il finanziamento pubblico diretto ai partiti. In sostituzione del vecchio metodo di finanziamento, l’art. 12, D.L. 149/2013, ha introdotto la possibilità per ciascun contribuente di destinare volontariamente il 2‰ della propria Irpef a uno dei partiti politici che hanno superato l’esame della “Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici”.

Modalità di presentazione della scheda – La contribuzione volontaria ai partiti politici può essere effettuata per l’anno 2013 esclusivamente mediante l’utilizzo della suddetta scheda, con presentazione cartacea o telematica. Il contribuente può trasmettere la scheda direttamente, utilizzando i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate, oppure attraverso i sostituti d’imposta che prestano assistenza fiscale, i Caf e gli altri intermediari abilitati, o rivolgendosi agli uffici postali.
In tale ultimo caso, sulla busta di corrispondenza, debitamente sigillata e contrassegnata sui lembi di chiusura dal contribuente, devono essere apposti la dicitura “Scelta per la destinazione volontaria del due per mille dell’Irpef”, il codice fiscale, il cognome e il nome del contribuente.
I contribuenti che presentano la dichiarazione in forma congiunta devono inserire le schede per destinare il due per mille dell’Irpef in due buste distinte.

Struttura scheda – La scheda, oltre a contenere l’informativa sul trattamento dei dati personali, è composta da due sezioni:

  • nella prima sezione vanno indicati i dati anagrafici del contribuente che effettua la scelta;
  • nella seconda sezione sono contenuti i riquadri con i partiti politici ammessi al beneficio. Nella seconda sezione è necessario firmare in corrispondenza del partito che s’intende sostenere. La scelta riguarda i seguenti partiti: Fratelli d’Italia, Lega Nord per l’Indipendenza della Padania, PD, Movimento Politico Forza Italia, Partito Autonomista Trentino Tirolese, Partito Socialista Italiano, Sinistra Ecologia e Libertà, Scelta Civica, Sudtiroler VolkSpartei, UDC, Union Valdotoine.

Termini per l’invio – I contribuenti, compresi quelli esonerati dagli obblighi dichiarativi, presentano la scheda secondo le ordinarie scadenze relative alla dichiarazioni fiscali, comunque entro il termine per la presentazione telematica del Modello Unico Persone Fisiche 2014.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Irap deducibile anche per il 2013

3 Aprile 2014

Anche quest’anno doppia deduzione Irap dalla base imponibile delle imposte sui redditi.

Come noto infatti, affianco alla deduzione forfettaria del 10% (applicabile qualora siano state sostenute delle spese per interessi passivi) si affianca quella analitica per i costi del lavoro.

Ma attenzione: l’Irap dedotta non potrà essere superiore a quella effettivamente corrisposta.
È questo un dettaglio che può apparire abbastanza banale, ma che, nel vortice dei calcoli, rischiamo di dimenticare, indicando quindi dati errati.

Nessun vincolo, invece, alla cumulabilità delle deduzioni: chi ha sostenuto spese per interessi passivi e contestualmente anche spese per lavoratori dipendenti, potrà tranquillamente continuare a fruire delle detrazioni.

Il punto di riferimento, in occasione della compilazione di Unico 14, dovrà quindi essere l’Irap versata nel 2013, sia a titolo di saldo 2012 che di acconto 2013.
È tuttavia necessario considerare che gli importi versati in acconto per il 2013 rilevano solo nel limite di quanto effettivamente dovuto. Pertanto, in sede di determinazione dell’Irap deducibile, dovremo confrontare i versamenti in acconto effettuati e quanto dovuto per l’anno 2013: il minore dei due importi dovrà essere considerato nella determinazione degli importi deducibili.

Tuttavia è sempre bene ricordare che nel calcolo potranno essere considerati anche eventuali importi versati, sempre nell’anno 2013, in sede di ravvedimento operoso o di iscrizione a ruolo, così come chiarisce la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n.8/E del 2013.

Il calcolo

Al fine di poter calcolare la deduzione spettante è in primo luogo necessario chiarire se vi sono i presupposti per la stessa.

Pertanto, nel caso della deduzione forfettaria, sarà necessario individuare la quota di interessi passivi di competenza dell’esercizio. Tale importo deve comprendere anche gli interessi impliciti nei canoni di leasing, nonché quelli relativi a meri rapporti commerciali.
La somma in oggetto dovrà essere successivamente confrontata con la quota di interessi attivi di competenza dell’esercizio: se gli interessi attivi sono superiori a quelli passivi non vi sono i presupposti per poter fruire della detrazione.
Se invece gli interessi passivi sono superiori, allora scatta la possibilità di fruire di una deduzione ai fini delle imposte sui redditi del 10% dell’Irap effettivamente versata, indipendentemente da quello che è l’importo degli interessi passivi stessi.

Passando poi alla deduzione analitica per i costi del lavoro, in questo caso il calcolo richiede uno sforzo maggiore.
In primo luogo sarà necessario individuare quello che è stato l’effettivo costo del lavoro sostenuto. Al costo sostenuto per i rapporti di lavoro dipendente e assimilato andranno pertanto sommati i compensi per gli amministratori e le indennità di trasferta.
Al fine di poter individuare i costi da poter considerare nel calcolo anzidetto il criterio da tenere a mente è il seguente: occorre riprendere tutti i costi del lavoro che non sono deducibili ai fini Irap. Per tale motivo, ad esempio, non dovremo considerare i rimborsi analitici o le spese per indumenti da lavoro, perché, in questo caso, gli importi sono deducibili ai fini Irap.
Una volta individuato il costo del lavoro, sottrarremo le deduzioni spettanti ai sensi dell’art. 11 del D.Lgs. 446/1997.
L’importo residuo (costo del lavoro meno deduzioni spettanti) andrà rapportato al totale della base imponibile Irap, al fine di poter calcolare la percentuale di incidenza.
Tale percentuale di incidenza sarà effettivamente la percentuale che dovrà essere applicata all’Irap versata nell’anno 2013 al fine di poter individuare la quota deducibile.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Cedolare secca al 10% sui canoni concordati

Scende a decorrere dal 1/1/2014 la percentuale di imposta per la cedolare secca per  affitti a canone concordato, dal 15 al 10%.

Il decreto legge per “le misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per l’EXPO 2015” n. 47 del 28/3/2014, porta l’imposta agevolate dal 15% al 10%.

Rimane al 21% l’imposta sugli altri canoni.

In un regime fiscale così opprimente, l’opportunità di sfruttare la cedolare secca è un’opportunità  favorevole ai provati cittadini che, per un reddito medio, pagherebbero altrimenti un’imposta che si aggira intorno ad una percentuale media del 33%.

Si tratta di un’imposta  che si applica ai canoni di locazione uso abitativo (libero o concordato) stipulati da privati e sostituisce

  • l’Irpef e le addizionali sul reddito degli affitti
  • l’imposta di registro e il l’imposta di bollo alla registrazione

E ancora:

  • l’imposta di registro sulle risoluzioni e proroghe del contratto di locazione
  • l’imposta di bollo, se dovuta, sulle risoluzioni e proroghe del contratto

Resta comunque l’obbligo di versare l’imposta di registro per la cessione del contratto di locazione

La cedolare secca si distingue in due diverse aliquote impositive;

  • la nuova aliquota agevolata del 10% (passata dal 19% al 15% fino al 10% dal 2014)
  • l’aliquota agevolata del 21%

da applicare sul canone libero di locazione annuo stabilito dalle parti.

E’ possibile applicare l’aliquota super agevolata del 10%  in caso di stipula di contratti a canone concordato relativi a immobili siti nei Comuni con carenze di disponibilità abitative (individuati dal Dl 551/1998, all’articolo 1, lettera a e b (si tratta, in pratica, dei comuni di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Venezia e dei comuni confinanti con gli stessi nonché gli altri comuni capoluogo di provincia) e in quelli ad alta tensione abitativa. individuati dal Cipe.

Il reddito assoggettato a cedolare:

  • è escluso dal reddito complessivo
  • sul reddito assoggettato a cedolare e sulla cedolare stessa non possono essere fatti valere rispettivamente oneri deducibili e detrazioni
  • il reddito assoggettato a cedolare deve essere compreso nel reddito ai fini del riconoscimento della spettanza o della determinazione di deduzioni, detrazioni  o benefici di qualsiasi titolo collegati al possesso di requisiti reddituali (determinazione dell’Isee, determinazione del reddito per essere considerato a carico).

Si ricorda inoltre che a decorrere dal 2013 la deduzione forfetaria da applicare agli affitti percepiti e da dichiarare nel quadro relativo ai fabbricati del modello di dichiarazione, è scesa dal 15% al 5% a sfavore del contribuente e questo rende la cedolare secca ancor più conveniente.
L’opzione non può essere effettuata nell’esercizio di attività di impresa o di arti e professioni inoltre non possono aderire al nuovo regime le società e gli enti non commerciali.

 

Srl semplificata anche per il lavoratore

2 Aprile 2014

Il caso – Due lavoratori dipendenti a tempo pieno possono costituire una srl semplificata?

L’analisi – Con specifico riferimento alla disciplina prevista in tema di srl semplificata, non possono essere individuati limiti alla possibilità, per due lavoratori dipendenti, di costituire una nuova società.

Al contrario, è possibile richiamare un’importante novità introdotta con il D.L. 76/2013 (c.d. Decreto lavoro), e con le successive modifiche della legge di conversione (L.9 agosto 013, n. 99).
A seguito dell’intervento normativo in oggetto è stata infatti ammessa l’amministrazione anche da parte dei non soci, oltre ad altri importanti aspetti quali la possibilità di costituire una srls anche per coloro che hanno più di 35 anni e la completa inderogabilità delle clausole dello statuto standard.

Potrà quindi ben accadere che, nel caso in cui i soggetti non possano seguire le vicende societarie, in quanto impegnati con il loro lavoro, sia nominato un amministratore esterno, il quale provvederà alla gestione dell’attività della società in completa autonomia.

Il divieto di concorrenza – Occorre tuttavia osservare alcuni accorgimenti per quanto riguarda i rapporti con il datore di lavoro, sebbene debba essere escluso che possano essere posti dei limiti allo svolgimento di ulteriori attività da parte dei dipendenti.

Si parla, nello specifico, di quello che l’art. 2105 c.c. definisce come “obbligo di fedeltà”.
Secondo l’articolo in oggetto il prestatore di lavoro non deve infatti trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né può divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare a essa pregiudizio.

Pertanto risulta essenziale prestare particolare attenzione ove l’attività che la nuova srls andrà a svolgere possa configurarsi come in concorrenza con quella dell’attuale datore di lavoro: in questo caso, infatti, il rischio non si concretizza soltanto in un possibile licenziamento, in quanto la responsabilità potrebbe avere anche natura risarcitoria.

Per detti motivi spesso risulta utile ottenere un consenso scritto da parte del datore di lavoro (eccezion fatta, ovviamente, per tutte quelle situazioni in cui il rischio di concorrenza tra le due attività può essere decisamente escluso).

Il dipendente pubblico – Ben diversa è la situazione per i dipendenti pubblici.
Come noto, infatti, il D.Lgs. 165/2001, mentre lascia alcuni spiragli di libertà ai lavoratori aventi un rapporto di lavoro a tempo parziale, impedisce al lavoratori full time lo svolgimento delle attività di commercio, industria, e di qualsiasi altra professione, nonché l’instaurazione di rapporti di lavoro con società private.

Sono altresì esclusi incarichi da società esterne, se non a seguito dell’autorizzazione dell’ente di appartenenza, che dovrà verificare che non vi possano essere conflitti né attuali né potenziali.

Allo stesso modo, il dipendente pubblico non potrà in alcun modo accettare cariche in società aventi finalità di lucro, eccezion fatta per tutti quegli enti e società per i quali la nomina è riservata allo Stato. Unica eccezione riguarda le società cooperative, per le quali non risultano costituiti dei limiti.

Gli aspetti previdenziali – Merita infine di essere ricordato come tra i casi nei quali è prevista la “non iscrivibilità” alle gestione commercianti ai fini INPS vi è altresì quello dello svolgimento di attività da lavoro dipendente a tempo pieno.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Lo Spesometro 2014 per i lavoratori autonomi

2 Aprile 2014

Il 10 aprile 2014 sono chiamati all’invio dello Spesometro 2014, con i dati 2013, i soggetti che liquidano l’IVA mensilmente nel 2014 e il 22 aprile 2014 quelli che la versano con scadenza diversa (coloro che aderiscono al regime dell’art.13, L. 388/2000 e coloro che liquidano l’IVA trimestralmente).

Lavoratori autonomi e spesometro – I professionisti (commercialisti, avvocati, notai, medici, consulenti in genere) sono tenuti a comunicare tutte le operazioni, anche se di modesto ammontare, registrate nel 2013.
I lavoratori autonomi, infatti, non rientrando tra i contribuenti disciplinati dall’articolo 22 del D.P.R. 633/72, hanno l’obbligo di emettere la fattura, anche per operazioni effettuate nei confronti di privati e in locali aperti al pubblico. Essi sono, dunque, fortemente penalizzati dall’eliminazione delle soglie per le operazioni supportate da fattura.

Il documento riepilogativo – Unica soluzione per evitare la comunicazione di una miriade di fatture, è effettuare la registrazione di un unico documento riepilogativo sia per le fatture attive che per le passive, ai sensi del D.P.R. 695/96, evitando così l’evidenza dei singoli clienti o fornitori, barrando un’apposita casella.
Le fatture emesse nel corso del mese, di importo inferiore a 300 euro, possono essere registrate, con riferimento a tale mese, con un unico documento riepilogativo, nel quale devono essere indicati:
– i numeri delle fatture cui si riferisce;
– l’ammontare complessivo imponibile delle operazioni;
– e l’ammontare dell’imposta, distinti secondo l’aliquota applicata (art. 6, comma 1 del D.P.R. n. 695/96).
Il contribuente deve provvedere all’immissione dei dati del documento che sintetizza le fatture di importo inferiore ai 300 €, compilando solo i campi: “Importo” e “Imposta”, che accoglieranno la somma degli importi (imponibili\non imponibili\esenti) delle fatture oggetto di riepilogo, nonché l’imposta complessivamente conteggiata. È obbligatorio indicare la “Data del documento” oppure la “Data di registrazione” e il “Numero fattura/Documento Riepilogativo” è invece obbligatorio.

Fatture cointestate –
 Se sono, invece, emesse fatture cointestate (si pensi ad esempio a un notaio che addebita l’onorario di un rogito stipulato da due coniugi), occorre evidenziare l’operazione distintamente per ciascuno di essi (ripartendo, anche se le istruzioni non lo precisano, il corrispettivo tra i diversi co-acquirenti).

L’acquisto di carburante – I professionisti, inoltre, nell’acquisto di carburanti, devono prestare attenzione alla modalità utilizzata per documentare la spesa. Nello spesometro non va indicato nulla, se essi si avvalgono della semplificazione introdotta dal D.L. n. 70/2011, che consente di non utilizzare la “scheda”, qualora i pagamenti avvengano esclusivamente mediante carte di credito, carte di debito o prepagate emesse da operatori finanziari italiani. Se permane la tenuta delle schede carburante, invece, occorre predisporre la comunicazione, avvalendosi delle modalità previste per i documenti riepilogativi.

Prestazioni a clienti esteri – 
Se il professionista ha fatturano prestazioni attive a clienti esteri, dal 2013 esse vanno include nel modello.
Entrano nello spesometro, infatti, anche le fatture emesse non soggette a Iva ai sensi dell’articolo 7-ter.
Ad esempio, un commercialista che ha reso una prestazione a una società statunitense deve emettere la fattura senza Iva e l’operazione andrà inserita nello spesometro.
Se, invece, si tratta di servizi svolti nei confronti di operatori Ue, la fattura andava inclusa negli elenchi Intrastat ed è, quindi, esonerata dallo spesometro.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Spesometro: i chiarimenti del Fisco quadro per quadro

1 Aprile 2014

Le operazioni estere nei diversi quadri della comunicazione polivalente

Mancano pochi giorni alla scadenza per il secondo (dalla reintroduzione dell’adempimento) invio del modello di comunicazione polivalente, dedicato alle operazioni rilevanti ai fini Iva, registrate nel 2013.
Il 10 e il 22 aprile 2014 sono le due date di riferimento per l’invio del modello, rispettivamente per i soggetti con liquidazione IVA mensile e per tutti gli altri.

L’Agenzia delle Entrate proprio in occasione del primo invio, posticipato a fine gennaio 2013, aveva fornito importanti chiarimenti circa i dubbi degli operatori. Rivediamone alcuni.

Quadro BL – Operazioni con soggetti residenti in Paesi della black list – Quanto già comunicato relativamente alle operazioni con controparte black list nel quadro BL, non deve essere ripetuto nel quadro SE.
In linea con il disposto dell’articolo 6, comma 4, dello Statuto del contribuente, che presiede l’intero assetto del Provv. n. 2013/94908 del 2/8/2013, infatti, le operazioni con controparte black list, che siano già confluite nella comunicazione mensile o trimestrale (quadro BL del nuovo modello polivalente) restano escluse dalla comunicazione annuale relativa alle operazioni rilevanti IVA (quadro SE dello stesso modello). Anche le operazioni con Paesi Black list di importo uguale o inferiore a 500 euro non comunicate ai sensi dell’art. 1, comma 1, del D.L. n. 40/2010, non devono essere inserite negli altri ordinari quadri del modello polivalente.

Quadro BL- caselle “operazioni con soggetti non residenti” e “acquisti di servizi da non residenti” – Per quanto concerne la finalità delle due caselle “operazioni con soggetti non residenti” e “acquisti da soggetti non residenti” presenti nel quadro BL, l’Agenzia ha chiarito che la prima va barrata in presenza di operazioni attive, mentre la seconda in presenza di operazioni passive.
Si tratta dell’opzione per l’esposizione in forma aggregata delle operazioni con soggetti non residenti (in forma analitica nel quadro FN) e degli acquisti da soggetti non residenti (in forma analitica nel quadro SE).

Quadro FE – casella Autofattura – La casella “Autofattura” del quadro FE va barrata per segnalare le autofatture emesse ai sensi dell’art. 17, co. 2, D.P.R. 633/1972, quindi per acquisti da soggetti non residenti. Vanno inserite, pertanto, le operazioni documentate da autofattura relative ad:
– acquisti da fornitori Extra- UE, fatta eccezione per le importazioni;
– acquisti da fornitori UE non già ricompresi negli elenchi INTRASTAT.

Quadro FR – casella “Autofattura” –
 La casella ‘Autofattura’ va spuntata in caso di autofatture emesse per:

– operazioni rientranti nella fattispecie disciplinata dagli articoli 7-bis e 7-ter del D.P.R. n. 633 del 1972, in mancanza degli elementi identificativi del fornitore non residente e nell’ipotesi di documentazione emessa dalla controparte non residente, illeggibile o recante dati formalmente non utilizzabili;

– acquisto da un imprenditore agricolo esonerato ai sensi dell’articolo 34, comma 6, del D.P.R. n. 633 del 1972, dall’emissione della fattura;

– acquisto per il quale il cessionario o committente obbligato alla comunicazione, non avendo ricevuto la fattura da parte del fornitore o avendola ricevuta per un importo inferiore a quello reale, regolarizza con l’emissione di autofattura o di fattura integrativa e con il versamento della relativa imposta ai sensi dell’articolo 6, comma 8 del D.Lgs. n. 471 del 1997 e dell’articolo 46, comma 5 del D.L. n. 331 del 1993.
La casella non può essere spuntata per il caso di documento riepilogativo. La casella non deve essere spuntata per il caso di operazioni in reverse charge.
In tali ipotesi va indicata la partita IVA della controparte.

Quadro SE – Nel quadro SE in generale, vanno riportate tutte le operazioni passive effettuate con non residenti, sia comunitari che extra comunitari, purché rilevanti in Italia e che non costituiscano importazioni o operazioni da indicare negli elenchi Intrastat.
Va fatta attenzione tuttavia, al fatto che:
– in caso di impossibilità di identificazione della controparte estera (come, ad esempio, un acquisto tramite internet a fronte del quale il fornitore non emette documentazione che riporti tutte le proprie generalità anagrafiche oppure una indicazione mancante o illeggibile dello Stato estero sulla fattura ricevuta) va comunicata la sola autofattura nel quadro FR;
– in caso di controparte estera da cui si riceve fattura completa di tutti i dati necessari, è sufficiente comunicare la fattura estera nel quadro SE.

Quadro FN – Nel quadro FN vanno indicate le sole operazioni attive effettuate con soggetti non residenti, ad esclusione delle esportazioni e delle operazioni da indicare negli elenchi Intrastat.
Si fa presente che vanno ivi incluse anche operazioni non documentate da fattura realizzate in Italia con soggetti non residenti (sia UE che EXTRA – UE).

Autore: Redazione Fiscal Focus

Iscrizione telematica al VIES

27 Marzo 2014

Comunicato stampa Agenzia delle Entrate

Semplificate le modalità d’iscrizione al VIES (Vat information exchange system). È bene premettere che l’inclusione nell’archivio Vies è condizione necessaria, per coloro che esercitano attività di impresa, arte o professione nel territorio dello Stato (o vi istituiscono una stabile organizzazione), per poter effettuare operazioni intracomunitarie (articolo 27, D.L. 78/2010).

La richiesta può essere effettuata direttamente nella dichiarazione di inizio attività oppure, successivamente, inviando un’istanza all’ufficio o, è questa la novità, un’istanza telematica in modalità diretta.

Con il comunicato stampa diffuso ieri, l’Amministrazione Finanziaria ha reso noto che è attivo il nuovo servizio che consente ai soggetti già titolari di partita Iva, abilitati a Fisconline o Entratel, di richiedere direttamente in via telematica la propria iscrizione nell’archivio VIES. L’adozione della modalità telematica d’iscrizione al VIES è finalizzata alla semplificazione degli adempimenti per gli operatori del settore.

La nuova modalità telematica d’iscrizione al VIES si affianca alla modalità tradizionale che prevede che i contribuenti già in possesso di partita Iva, per essere iscritti nell’archivio Vies, devono necessariamente presentare l’apposita istanza – a mano, con raccomandata o via Posta elettronica certificata (Pec) – all’ufficio.

L’adempimento viene semplificato oltreché nella forma anche nella sostanza.

Infatti, utilizzando il nuovo servizio online basta indicare nel campo dedicato la propria partita Iva, “candidata” a entrare nell’elenco Vies. Per avvalersi di questa nuova opportunità è necessario essere abilitati a Fisconline o Entratel.

Alla richiesta effettuata dal contribuente, seguirà apposita procedura di controllo da parte dell’Amministrazione Finanziaria.

Più in dettaglio, entro 30 giorni dal ricevimento della dichiarazione di volontà a porre in essere operazioni intracomunitarie, l’Agenzia effettua le analisi propedeutiche all’inserimento della posizione nel Vies. Il soggetto interessato può verificare l’avvenuta inclusione della propria posizione nell’archivio Vies utilizzando il servizio di verifica online.

Nel comunicato stampa diffuso ieri dall’Amministrazione Finanziaria si confermano le regole generali per l’inclusione negli archivi VIES. Vale il silenzio – assenso, ovvero se dall’analisi preliminare non emergono elementi di rischio di finalità evasive o di frode, il soggetto viene automaticamente incluso nell’archivio il trentunesimo giorno successivo a quello della attribuzione della partita Iva o della ricezione dell’istanza. In caso contrario, l’ufficio emette un provvedimento motivato di diniego, che preclude l’inserimento nel Vies, entro 30 giorni dal ricevimento della dichiarazione di volontà a porre in essere operazioni intracomunitarie.

Successivamente all’inserimento nel Vies, ed entro sei mesi dalla ricezione della dichiarazione di inizio attività o dell’istanza, l’ufficio effettua specifici approfondimenti, a completare l’analisi svolta nei primi 30 giorni. Ove identifichi specifici profili di rischio, l’ufficio emette un provvedimento di revoca dell’inclusione del contribuente nell’archivio.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Rivalutazione dei beni per le imprese

L’articolo 1, commi da 140 a 146, della legge di stabilità (legge 147/2013) ha introdotto una nuova chance di rivalutazione dei beni per le imprese che adottano i principi contabili nazionali. Una possibilità che riguarda anche i beni immateriali come, tra gli altri, marchi e diritti di brevetto. Sono esclusi, invece, i beni in leasing. La rivalutazione produce effetti civili e fiscali a fronte del pagamento di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’Irap nella misura del 16% per i beni ammortizzabili e del 12% per quelli non ammortizzabili. Non è consentita la mera rivalutazione civilistica nel bilancio.

I soggetti interessati sono tutti gli esercenti attività d’impresa, anche in contabilità semplificata, in relazione ai beni materiali e immateriali iscritti tra le immobilizzazioni nonché alle partecipazioni in società controllate e collegate di cui all’articolo 2359 del Codice civile. La rivalutazione è eseguita nel bilancio dell’esercizio 2013 e costituisce l’ultima operazione dell’esercizio. Dal punto di vista contabile, per i beni ammortizzabili, possono essere adottati, anche combinandoli tra loro, tre metodi di rilevazione: la rivalutazione del solo cespite, la rivalutazione dei cespiti e del relativo fondo di ammortamento nonché la riduzione del fondo di ammortamento. Il terzo metodo è quello meno vantaggioso dal punto di vista fiscale e determina un allungamento del periodo di ammortamento. Sono rivalutabili, oltre ai beni posseduti a titolo di proprietà, i diritti reali parziari come l’usufrutto. Non è invece possibile rivalutare i beni utilizzati sulla base di contratti di leasing in quanto fino al momento del riscatto restano di proprietà del concedente.  Fra i beni materiali rivalutabili sono compresi anche quelli in fase di costruzione qualora iscritti tra le immobilizzazioni in corso. I beni immateriali rivalutabili sono quelli giuridicamente tutelati (diritti di brevetto, licenze, marchi, know how) mentre non possono essere oggetto di rivalutazione i costi pluriennali come l’avviamento, i costi di ricerca e sviluppo che non integrino know how e i costi di pubblicità.

Rivalutazione: il ruolo dei sindaci

25 Marzo 2014

Controllo sul valore attribuito e sui criteri utilizzati

Premessa – Nel caso in cui una società proceda nel bilancio al 31.12.2013 a usufruire della rivalutazione dei beni d’impresa prevista dalla legge di stabilità 2014, gli amministratori, sindaci e revisori dovranno illustrare, motivare e attestare la bontà delle operazioni compiute al fine di rendere il più possibile edotti i terzi circa le scelte compiute e i criteri seguiti.

Collegio sindacale – Per quanto riguarda in particolare le verifiche a cui è tenuto il collegio sindacale, queste si inseriscono nel generale dovere posto dall’art. 2403, c.c., che prevede a carico del collegio sindacale la vigilanza sull’osservanza della legge e dello statuto, nonché sul rispetto dei principi di corretta amministrazione. Inoltre, anche se privo del controllo contabile, il collegio sindacale è comunque chiamato a vigilare affinché non si verifichino gravi ed evidenti violazioni dei principi contabili applicabili.

Congruità del valore – Da ciò deriva quindi lo specifico adempimento che la normativa in tema di rivalutazione monetaria ha posto a carico del collegio sindacale, che quindi, oltre ad essere tenuto a vigilare sull’osservanza del corretto iter di rivalutazione da parte degli amministratori, è soprattutto chiamato ad attestare nella propria relazione al bilancio d’esercizio la congruità del valore rivalutato rispetto al valore economico e/o di funzionamento del bene, nonché a descrivere i criteri utilizzati per rivalutare le varie categorie di beni.

Verifica – Il collegio sindacale deve, quindi, verificare la correttezza del valore economico ai fini della rivalutazione con rispetto del principio contabile nazionale Oic 16, a prescindere dalle indicazioni delle norme di rivalutazione.

Presupposti –
 Il collegio sindacale dovrà in primo luogo vigilare sul rispetto dei presupposti di applicazione del provvedimento: soggettivi, oggettivi e procedurali (ad esempio, se la rivalutazione può essere motivo di rinvio ai 180 giorni dell’assemblea di approvazione del bilancio; articolo 2364, Codice civile. Su questo punto, consta peraltro una precedente opinione contraria di Assonime, circolare n. 23/06).

Criteri – Con l’applicazione dell’articolo 11 della Legge n. 342/00, il Collegio sindacale è tenuto a riferire nella propria relazione all’assemblea in merito ai “criteri” utilizzati dagli amministratori nell’operare la rivalutazione, e al rispetto del “limite massimo” iscritto in bilancio riferito al “valore interno d’uso” e al “valore corrente” di mercato degli immobili. È proprio riguardo al valore a cui gli immobili sono iscritti in bilancio post-rivalutazione che si manifesta la deroga all’articolo 2426, Codice civile.

Valore mercato – Ad esempio se gli amministratori hanno basato la rivalutazione sul valore di mercato del bene secondo un’apposita perizia di stima; gli amministratori avranno poi verificato la tenuta di questa valutazione anche in base alla recuperabilità mediante l’impiego dell’immobile “interno” all’impresa. Su queste basi e con questi supporti, il Collegio sindacale potrà basare l’attestazione circa il rispetto del limite economico massimo.

Vigilare – Quando la rivalutazione fosse compiuta da società che, in mancanza, si sarebbero trovate nelle condizioni indicate dagli articoli 2446 o 2447, il Collegio sindacale dovrà attentamente vigilare sull’effettiva tenuta del valore a cui i beni sono iscritti rispetto a quanto è recuperabile tramite il loro uso, e anche la sussistenza del presupposto della “continuità aziendale”.

Giudizio – Queste considerazioni potranno influenzare il giudizio sul bilancio del Collegio sindacale, a partire da un semplice richiamo di informativa esposto in relazione, sino ad arrivare nei casi di evidenti carenze o errori significativi, a esprimere un rilievo, o anche un giudizio negativo (articolo 2409 ter, Codice civile).

 

Il nuovo contratto a termine

Ricambiano le regole per i contratti a termine. Ne hanno viste e riviste di novità e questa non sarà sicuramente l‘ultima.

Il D.lgs n. 368, dalla sua emanazione nel 2001, ha visto ben 12 interventi ma evidentemente nessuno estremamente efficace per quanto sperato. Questa ultima modifica libera il contratto a temo determinato dal vincolo della causale e dall’unica proroga ma lo incatena al limite quantitativo di utilizzo.

Dal 21/3/2014, con la pubblicazione del decreto legge n. 34 pubblicato in G.U. n. 66 del 20/3/2014,

i contratti a termine conclusi fra un datore di lavoro o utilizzatore, potranno essere stipulati SENZA l’inserimento di una causale, per un limite massimo di 36 mesi, durante i quali potranno inserirsi 8 proroghe a condizione che si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato.

IMPORTANTE limitazione è stata inserita in relazione al limite di utilizzo dei contratti a temine che non può eccedere il limite del 20 per cento dell’organico complessivo, SALVO modifiche all’interno della contrattazione collettiva che non si sa quando e se interverrà. Per le imprese che occupano fino a cinque dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato.

Il limite del 20% dell’organico complessivo deve essere rispettato fatto salvo quanto disposto dall’articolo 10, comma 7 del D.lgs. n. 368/2001 ai sensi del quale sono in ogni caso esenti da limitazioni

quantitative i contratti a tempo determinato conclusi:

a) nella fase di avvio di nuove attività per i periodi che saranno definiti dai contratti collettivi

nazionali di lavoro anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici;

b) per ragioni di carattere sostitutivo, o di stagionalità, ivi comprese le attività già previste

nell’elenco allegato al decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525, e

successive modificazioni;

c) per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi;

d) con lavoratori di età superiore a 55 anni.

 

Al via l’elenco dei destinatari del 5 per mille – scad 07/05/2014

24 Marzo 2014

Al via l’elenco dei destinatari del 5 per mille

Le procedure di iscrizione sono attivate a partire dal 21 marzo 2014.
I ritardatari possono inviare la documentazione entro il 30.09.2014 versando la sanzione di 258 euro

L’articolo 1, comma 205, della Legge 27 dicembre 2013, n. 147, c.d. Legge di stabilità 2014, ha previsto, anche per l’esercizio finanziario 2014, la possibilità per i contribuenti di destinare una quota pari al 5 per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche a sostegno delle stesse categorie di soggetti beneficiarie del contributo per l’esercizio finanziario 2010.
Per l’anno finanziario 2014, il 5 per mille è pertanto destinato, nel dettaglio, a sostegno delle seguenti finalità:

1. sostegno degli enti del volontariato:

  • enti del volontariato di cui alla Legge 266 del 1991;
  • Onlus – Organizzazioni non lucrative di utilità sociale (articolo10 del D.Lgs. 460/1997);
  • associazioni di promozione sociale iscritte nei registri nazionale, regionali e provinciali (articolo 7, commi da 1 a 4, Legge 383/2000);
  • associazioni riconosciute che operano nei settori indicati dall’articolo 10, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 460/1997;
  • fondazioni riconosciute che operano nei settori indicati dall’articolo10, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 460/1997;

2. finanziamento agli enti della ricerca scientifica e dell’università;
3. finanziamento agli enti della ricerca sanitaria;
4. sostegno delle attività sociali svolte dal Comune di residenza del contribuente;
5. sostegno alle associazioni sportive dilettantistiche riconosciute ai fini sportivi dal Coni a norma di legge che svolgono una rilevante attività di interesse sociale.

Anche per l’anno finanziario 2014, tra le finalità alle quali può essere destinata, a scelta del contribuente, una quota pari al cinque per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche è inserita altresì quella delfinanziamento delle attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici (articolo 23, comma 46, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni dalla Legge 15 luglio 2011, n. 111). Con il Dpcm 30 maggio 2012 – pdf sono state stabilite le modalità di richiesta, le liste dei soggetti ammessi al riparto e le modalità di riparto delle somme.

Gli enti ritardatari possono provvedere all’iscrizione entro il 30.09.2014 – 
Possono partecipare (articolo 2, comma 2, del D.L. 16/2012 – Circolare n. 7/E del 20 marzo 2014) al riparto delle quote del cinque per mille gli enti ritardatari che presentino le domande di iscrizione e provvedano alle successive integrazioni documentalientro il 30 settembre 2014, versando contestualmente una sanzione di importo pari a 258 euro utilizzando il modello F24 con il codice tributo 8115 (risoluzione n. 46 del 11/5/12). I requisiti sostanziali richiesti per l’accesso al beneficio devono essere comunque posseduti alla data di scadenza della presentazione della domanda di iscrizione relativa a ogni settore.

Le ASD – Le associazioni sportive dilettantistiche che svolgono una rilevante attività sociale possono partecipare al riparto del 5 per mille per l’anno 2014.
In particolare, possono accedere al beneficio le associazioni nella cui organizzazione è presente il settore giovanile e che sono affiliate a una Federazione sportiva nazionale o a una disciplina sportiva associata o a un Ente di promozione sportiva riconosciuti dal Coni.
Inoltre le associazioni devono svolgere prevalentemente una delle seguenti attività:
• avviamento e formazione allo sport dei giovani di età inferiore a 18 anni;
• avviamento alla pratica sportiva in favore di persone di età non inferiore a 60 anni;
• avviamento alla pratica sportiva nei confronti di soggetti svantaggiati in ragione delle condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari.
A partire dal 21 marzo 2014, le associazioni sportive dilettantistiche in possesso dei requisiti presentano la domanda di iscrizione all’Agenzia delle Entrate, utilizzando modello – pdf e software specifici.
La domanda va trasmessa in via telematica direttamente dai soggetti interessati, se abilitati ai servizi Entratel o Fisconline, oppure tramite gli intermediari abilitati a Entratel (professionisti, associazioni di categoria, Caf, ecc.).
L’iscrizione deve essere presentata entro il 7 maggio 2014. Non saranno accolte le domande pervenute con modalità diversa da quella telematica.
I requisiti sostanziali richiesti per l’accesso al beneficio devono essere comunque posseduti alla data di scadenza della presentazione della domanda di iscrizione (7 maggio 2014).
All’atto dell’iscrizione il sistema rilascia una ricevuta che attesta l’avvenuta ricezione e riepiloga i dati della domanda.
Chi vuole accedere al beneficio del 5 per mille di quest’anno deve, comunque, presentare la domanda anche se l’ha già inviata per gli anni 2006, 2007, 2009, 2010, 2011, 2012 e 2013 oppure è presente nell’elenco trasmesso dal Coni per l’anno 2008.

Adempimenti successivi all’iscrizione nell’elenco delle AD: presentazione della dichiarazione sostitutiva – I legali rappresentanti delle associazioni sportive dilettantistiche iscritte in elenco devono spedire entro il 30 giugno 2014 tramite raccomandata con ricevuta di ritorno, all’Ufficio del Coni nel cui ambito territoriale si trova la sede legale dell’associazione interessata, una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ai sensi dell’articolo 47 del D.P.R. n. 445 del 2000, che attesta la persistenza dei requisiti che danno diritto all’iscrizione. Questo è il modello di dichiarazione sostitutiva – pdf.
Per agevolare la compilazione e l’invio della dichiarazione sostitutiva, la procedura telematica dell’Agenzia mette a disposizione il modello parzialmente precompilato con le informazioni fornite dagli interessati all’atto della iscrizione. Il contribuente deve solo inserire le informazioni che mancano.
Alla dichiarazione deve essere allegata, a pena di decadenza, fotocopia non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore

Minimi: possibilità di aumentare i ricavi

5 Dicembre 2013

Il Consiglio Europeo dà la possibilità di aumentare il limite dell’esenzione Iva da 30.000 a 65.000 euro

Premessa – Possibilità di innalzare la soglia di esenzione del c.d. Regime dei minimi fino a 65.000 euro di fatturato. Con la decisione 2013/678/Ue del Consiglio Ue pubblicata nella gazzetta ufficiale europea n. L316 del 27/11/13 infatti, in deroga all’articolo 285 della direttiva 2006/112/CE, l’Italia è autorizzata a esentare dall’Iva i soggetti passivi il cui volume d’affari non superi i 65.000 euro annui.

Decisione precedente – 
Con la decisione n. 2010/688/UE del 15 ottobre 2010 il Consiglio dell’Unione Europea autorizzava l’Italia ad applicare il regime dei minimi, di cui all’articolo 1, comma 96 e seguenti, Legge 244/07, fino al 31 dicembre 2013. La decisione in questione consentiva al nostro Paese di mantenere quale soglia massima, per l’applicazione del regime, gli attuali 30.000 euro di fatturato. Ciò in deroga all’art. 285 della direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006, che fissa la soglia per l’esenzione a 5 mila euro (soglia derogata, comunque, da numerosi Paesi Ue, già autorizzati dal Consiglio ad adottare limiti ben più elevati).

Decisione del 2008 – Analogamente a quanto contenuto nella precedente decisione (n. 2008/737/Ce del 15 settembre 2008), lo stesso Consiglio aveva autorizzato l’Italia ad conservare la citata soglia di 30.000 euro al fine di mantenere il valore dell’esenzione in termini reali; aveva altresì disposto che l’autorizzazione scadeva alla data di entrata in vigore di norme comunitarie che fissassero una soglia comune di volume di affari al di sotto della quale i soggetti passivi possono essere esonerati dall’IVA, o al più tardi, entro il 31 dicembre 2013.

Limite aumentato – 
Accogliendo le richieste dell’Italia, con la decisione di esecuzione 2013/678/Ue del 15 novembre scorso, il Consiglio ha autorizzato il mantenimento del regime speciale di esenzione dall’Iva fino al 31 dicembre 2016 e l’aumento a 65.000 euro del volume d’affari annuo per l’accesso al regime speciale stesso. Nelle motivazioni del provvedimento, il Consiglio osserva, tra l’altro, che l’importo richiesto dall’Italia è compatibile con la proposta di modifica della direttiva presentata dalla Commissione europea il 29 ottobre 2004 che, allo scopo di semplificare gli obblighi Iva, intende permettere agli Stati membri di fissare fino a 100.000 euro la soglia di volume d’affari annuo per l’accesso al regime speciale di esenzione dall’Iva delle piccole imprese.

Decorrenza – 
La decorrenza della nuova disposizione è stata fissata al 1° gennaio 2014 ed è applicabile fino al 31 dicembre 2016, salvo che nel frattempo non intervenga una direttiva che, modificando gli importi dei massimali del volume di affari, stabilisca anche l’esenzione dall’Iva per i soggetti passivi rientranti nei nuovi parametri.

Recepimento –
 La palla ora passa al legislatore italiano. La nuova soglia permetterebbe di ampliare il numero dei contribuenti per i quali le attuali norme prevedono tutta una serie di semplificazioni e di riduzioni degli obblighi fiscali come l’esonero della registrazione e della tenuta delle scritture contabili, delle liquidazioni e dei versamenti periodici e dell’acconto dell’imposta sul valore aggiunto. Inoltre, le agevolazioni possono estendersi alle imposte dirette e all’Irap, con la previsione di un’aliquota di vantaggio. In questo modo il regime dei minimi potrebbe essere ampliato.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Decadenza rateazione: chiarimenti del Fisco

Risoluzione 32/E del 19.03.2014

Il D.L. 69/2013 (“decreto del fare”), modificando l’art. 19 del D.P.R. 602/1973, ha innalzato il numero di rate che fa perdere il beneficio della rateazione.
In particolare, il novellato art. 19, co. 3, D.P.R. 602/1973 innalza da due a otto il numero delle rate non pagate che determina l’annullamento di tale beneficio. Per quanto riguarda il numero di rate che fanno perdere il beneficio della rateazione, rileva il mancato pagamento anche di rate “non consecutive” nel corso dell’intero piano di rateazione.

La questione – In merito alla norma in esame, ci si chiedeva se l’innalzamento (da due a otto) del numero delle rate il cui mancato pagamento determina la decadenza dal beneficio della rateazione, di maggior favore per il contribuente, fosse applicabile anche ai piani di rateizzazione già in essere alla data di entrata in vigore del “Decreto Fare”, ossia alla data del 22 giugno 2013.

Nota Equitalia 1° luglio 2013 –
 Sulla questione era intervenuta Equitalia con la Nota del 1° luglio 2013.
Nel richiamato documento, Equitalia estendeva, compatibilmente con la ratio della norma, l’innalzamento (da due a otto) del numero delle rate il cui mancato pagamento determina la decadenza dal beneficio della rateazione ai piani di rateizzazione, non decaduti, già in essere alla data di entrata in vigore del “Decreto Fare”, ossia alla data del 22 giugno 2013, auspicando che la stessa fosse estesa anche in presenza di decadenza del beneficio intervenuta a tale data.

R.M. 32/E/2014 – Con la Risoluzione 32/E del 19.03.2014, l’Amministrazione Finanziaria estende l’innalzamento, da due a otto, del numero di rate, che fa perdere il beneficio della rateazione anche ai piani di rateizzazione pendenti – dunque non decaduti – alla data di entrata in vigore del “decreto del fare” ovvero alla data del 22 giugno 2013 (D.L. 69/2013, conv. con mod. L. 98/2013).

Le motivazioni sottostanti una tale interpretazione, favorevole al contribuente, sono individuabili nella ratio di altre disposizione presenti del Decreto del Fare sulla stessa materia.

Infatti, il citato Decreto Fare, con riferimento alla disciplina della rateazione delle somme iscritte a ruolo, ha previsto che, ove il debitore si trovi, per ragioni estranee alla propria responsabilità, in una comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica, la rateazione può essere aumentata fino a centoventi rate mensili. Anche tale disposizione risultava applicabile ai piani di rateazione già accordati alla data di entrata in vigore della modifica normativa.

In sostanza, l’Agenzia delle Entrate estende l’innalzamento, da due a otto, del numero di rate, che fa perdere il beneficio della rateazione anche ai piani di rateizzazione pendenti, non decaduti, applicando il medesimo principio espresso dal Legislatore sul piano di rateazione straordinario previsto dal “decreto del fare” a favore del contribuente che si trovi “per ragioni estranee alla propria responsabilità, in una comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica”.

Autore: Redazione Fiscal Focus