Giurisprudenza Studi settore. Occorre adattare l’accertamento alla specifica realtà aziendale

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

È illegittimo l’avviso di accertamento basato unicamente sulle risultanze dello studio di settore anche laddove l’Amministrazione abbia utilizzato lo strumento più recente. È questo emerge dalla sentenza n. 1307/10/15 della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna.

La CTR dell’Emilia Romagna ha ritenuto illegittimo – così come la CTP – un avviso di accertamento basato sugli studi di settore, atto con cui l’Ufficio finanziario aveva rideterminato induttivamente i ricavi di una società operante nel settore dell’informatica e dedita all’attività di “sviluppo di sistemi informatici integrati di gestione della fabbrica, adattati per ogni specifico cliente”.

La ricorrente (che aveva aderito al preventivo invito al contraddittorio) ha eccepito con successo l’inadeguatezza dello studio di settore a rappresentare la propria specifica realtà aziendale; tant’è vero che era stata la stessa Amministrazione finanziaria a riconoscere, in sede di contraddittorio endoprocedimentale, l’imprecisione dello studio TG66U il quale, pertanto, era stato sostituito col più evoluto UG66U, con conseguente riduzione dei maggiori ricavi inizialmente contestati.

L’Ufficio resistente, dal canto suo, ha inutilmente sostenuto la legittimità dell’accertamento in questione, posto che esso non poteva dirsi il prodotto di una presunzione semplice di maggior reddito ma il frutto dell’adeguamento dell’elaborazione statistica alla concreta realtà economica della contribuente e, quindi, portatore di quel quid pluris richiesto dalla giurisprudenza (su tutte: Cass.,S.U., n. 26635/2009).

Ebbene, secondo i giudici di primo grado, gli accertamenti basati sull’incongruenza fra ricavi dichiarati e quelli desumibili dagli studi di settore, così come disposto dall’art. 62-sexies del D.L. 331/93, costituiscono di per sé una presunzione grave, precisa e concordante a favore dell’Amministrazione finanziaria ma solo “se risulta applicata correttamente la procedura di rilevazione degli studi di settore, come le relazioni esistenti tra le variabili contabili e quelle strutturali, andamento della domanda, livello dei prezzi in relazione ai vari periodi temporali, concorrenza, ecc. ferma restando la facoltà del contribuente di fornire prova contraria”. Nella fattispecie, l’Ufficio – secondo la CTP – non ha fornito una convincente dimostrazione del fatto che lo studio di settore utilizzato potesse rappresentare con sufficiente attendibilità un’azienda, come la contribuente, “altamente specializzata in una materia, quella dell’informatica, oggi in continua evoluzione. Nonostante gli sforzi effettuati dall’ufficio nella ricerca di uno studio più aderente alla realtà aziendale, le rilevazioni effettuate, la prima con lo studio TG66U e la seconda con lo studio UG66U ritenuto più attendibile, non appaiono convincenti per dimostrare la legittimità dell’atto impositivo”.

Queste argomentazioni del Collegio di prime cure hanno trovato concordi i giudici regionali, secondo i quali, nel caso di specie, “mentre dagli atti risulta che la parte abbia profuso dati ed argomenti, l’Ufficio ha identificato nella mera applicazione dello studio di settore più evoluto GU66U l’operazione di concreto adattamento alla specifica realtà aziendale”. Inoltre, una volta instauratasi la controversia, l’Ufficio ha replicato che “se è vero, infatti, che l’Ufficio deve valutare ulteriori elementi rispetto alle risultanze degli studi di settore, per rapportare il calcolo alla realtà del singolo contribuente, è anche vero che tale analisi potrà essere fatta se e solo se il contribuente stesso fornisce tali elementi, supportati da idonei mezzi di prova e dovrà essere basata proprio su quanto da questi esposto”; ma per la CTR un simile assuntocostituisce una curiosa inversione dell’onere della prova: se il ripetuto insegnamento della Cassazione pretende che le risultanze dell’applicazione di uno studio di settore pertinente siano corroborate da altre prove con onere a carico dell’Ufficio, questo non può cavarsela sostenendo ‘non ho potuto addurre le prove ulteriori perché il contribuente non ha fornito gli elementi, supportati dalle prove, che mi avrebbero consentito di arricchire le risultanze dello studio di settore applicato’”.

La CTR conclude dicendo: “non si ritiene ricorrano gravità e persistenza del disallineamento per rafforzare la presunzione derivante dalla mera applicazione dello studio di settore (pure contestato). Per converso si ritiene carente l’indagine dell’Ufficio circa la concreta applicazione delle risultanze dello studio di settore alla realtà gestionale ed organizzativa della società accertata, nonché al particolare mercato in cui essa opera”.

L’Ufficio finanziario paga le spese processuali.

Autore: redazione fiscal focus