Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti
Il valore di avviamento non può essere aprioristicamente escluso, né dall’esistenza né dall’ammontare delle perdite intervenute negli anni precedenti e in quello di cessione. È ben possibile che un’impresa, benché in perdita, possieda un avviamento consistente.
È quanto emerge dalla sentenza n. 22506/2015 della Sezione Tributaria della Cassazione.
La controversia è originata da un avviso di accertamento che rettificava il valore della cessione di un complesso aziendale con rivalutazione in oltre 21 mld delle vecchie lire della voce “avviamento – marchio – testata”, che le parti avevano invece dichiarato pari a una lira (valore simbolico).
A intraprendere il giudizio di cassazione è stato l’Ufficio finanziario dopo che la CTC, a conferma del verdetto della CTR, aveva sostenuto l’illegittimità della rettifica nella misura in cui non aveva tenuto conto della persistente inattitudine dell’azienda a produrre reddito, testimoniata dai risultati economici negativi anteriori e successivi, tali da far ritenere corretta la riduzione dell’avviamento a valore simbolico, praticamente corrispondente al suo annullamento.
Ebbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate ritenendo fondate le censureinvolgenti, rispettivamente, la violazione e falsa applicazione di legge (artt. 48 D.P.R. n. 634/72; 51 D.P.R. n. 131/86) e l’insufficiente motivazione in punto di determinazione del valore di avviamento.
La CTC ha desunto dal mero fatto delle perdite intervenute negli anni precedenti e in quello di cessione la “persistente inattitudine dell’azienda alla produzione di un reddito”, quindi l’esclusione di un valore di avviamento superiore a quello simbolico dichiarato dalle parti (1 £).
Ad avviso della CTC, quindi, la circostanza delle perdite intervenute negli anni precedenti nonpoteva comportare, di per sé, un valore positivo dell’avviamento, stante la persistenza delle stesse anche dopo la vendita. Tuttavia una simile affermazione, secondo la S.C., rappresenta un errore giuridico, in quanto, costituendo una qualità dell’azienda, l’avviamento possiede un valore che si somma a quello degli altri beni che compongono l’azienda stessa e tale operazione, anche considerando il testo della norma applicata, deve precedere la detrazione delle passività. Sicché il valore di avviamento non può essere aprioristicamente escluso, né dall’esistenza né dall’ammontare delle perdite.
In altre parole, per la S.C., tanto l’art. 51 del D.P.R. n. 131, quanto la previgente norma del D.P.R. n. 634 del 1972 sono “nel senso che per gli atti che hanno per oggetto aziende o diritti reali rileva il valore complessivo dei beni che compongono l’azienda, compreso l’avviamento, al netto delle passività. Il che traduce un dato coerente con la natura stessa dell’avviamento, che è un valore patrimoniale e che, come tale, non configura un valore dell’attività d’impresa ma dell’azienda (obiettivamente considerata); un valore che non necessariamente risente dell’esito (in termini di utili o di perdite) dell’attività d’impresa. Consegue che la circostanza che un’impresa abbia prodotto delle perdite negli anni precedenti alla cessione dell’azienda, pur potendo esser rilevante e meritevole di attenta considerazione ai fini della determinazione dell’avviamento commerciale, non esaurisce (non può esaurire) l’oggetto dell’indagine perché è ben possibile che l’impresa sia in perdita per ragioni che nulla hanno a che fare con l’avviamento aziendale (l’insufficiente liquidità, il peso degli oneri finanziari, le consistenza di perdite su crediti e così via), sebbene l’azienda – correttamente gestita – persista nel possesso di un considerevole valore di avviamento”.
Dunque il ricorso del Fisco è stato ritenuto fondato circa la questione della determinazione dell’avviamento; il che ha determinato la cassazione con rinvio dell’impugnata sentenza.
Autore: redazione fiscal focus