Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti
Cassazione Penale, sentenza depositata il 24 novembre 2015
Affidare al commercialista il compito di predisporre e presentare la dichiarazione annuale non esonera l’imprenditore dalla responsabilità penale per il reato di omessa dichiarazione. Non solo. Laddove si proceda per detto reato, il giudice può ritenere superata la soglia monetaria fissata dalla norma incriminatrice sulla base dell’accertamento induttivo dell’imponibile compiuto dagli organi dell’amministrazione finanziaria.
È quanto emerge dalla sentenza n. 46500/15 della Terza Sezione Penale della Cassazione.
I giudici penali del Palazzaccio hanno esaminato il ricorso di un legale rappresentate di società riconosciuto responsabile del reato previsto dall’art. 5 del D.Lgs. n. 74/2000 in relazione a due annualità: il 2006 e il 2007. Va precisato che per quanto riguarda la prima annualità, gli ermellini hanno rilevato l’estinzione del reato per prescrizione, con conseguentemente eliminazione della relativa pena. Il giudizio di responsabilità della Corte d’appello è invece stato confermato per l’anno 2007.
Nel respingere le numerose censure operate dai difensori dell’imputato, la Suprema Corte ha ribadito l’orientamento secondo cui, in tema di reati tributari, l’accertamento induttivo compiuto dagli uffici finanziari può rappresentare un valido elemento di indagine per stabilire, in sede penale, se vi sia stata evasione e se questa abbia raggiunto le soglie di punibilità previste dalla legge, a condizione che il giudice non si limiti a constatarne l’esistenza e non faccia apodittico richiamo agli elementi in essi evidenziati, ma proceda a specifica autonoma valutazione degli elementi nello stesso descritti comparandoli con quelli eventualmente acquisiti “aliunde” (cfr. Cass. n. 1904/99, n. 40992/13, fra le altre).
Di questi principi, secondo gli ermellini, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione assumendo – si legge – “che a) l’accertamento era fondato su dati obiettivi, derivando dalla sommatoria degli importi portati dalla fatture emesse dalla società e non contabilizzate; b) non erano state fornite dall’imputato fatture passive; c) era ininfluente la presenza di eventuali operazioni esenti iva, dal momento che la condotta omissiva in contestazione riguardava esclusivamente l’imposta diretta sul reddito (IRES); d) la base imponibile determinata in sede di accertamento era stata accettata dallo stesso imputato che aveva provveduto al pagamento della imposte dovute; e) la soglia di punibilità risultava pertanto ampiamente superata”.
Quanto all’elemento soggettivo del reato, la difesa ha sostenuto che la prova del dolo di evasione, richiesto dalla norma, non può essere fatto discendere da un comportamento colpevole come quello di non aver verificato la trasmissione telematica della dichiarazione da parte del professionista incaricato.
Ebbene, gli ermellini hanno ribattuto che l’affidamento a un professionista dell’incarico di predisporre e preparare la dichiarazione annuale dei redditi non esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per il reato di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 74, “in quanto, trattandosi di reato omissivo proprio, la norma tributaria considera come personale e non delegabile il relativo dovere”. Ciò vale a maggior ragione in un caso come quello di specie in cui è rimasta indimostrata la negligenza del professionista incaricato e in cui è stata ritenuta irrilevante la circostanza della presentazione delle dichiarazioni per gli anni precedenti perché, come osservato dal giudice di merito, “il dolo specifico richiesto dalla norma, oltre che dalla mancata presentazione della denuncia, era desumibile anche dalla mancata esibizione delle fatture emesse dalla società e dall’effettuazione del pagamento delle imposte solo dopo la contestazione”.