Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti
Cassazione Tributaria sentenza depositata il 2 dicembre 2015
Sono affetti da nullità, per violazione dell’art. 42 del D.P.R. 600/73, gli avvisi di accertamenti sottoscritti da soggetto diverso dal Capo dell’ufficio in assenza d’indicazione alcuna in ordine alla qualifica e ai poteri a esso conferiti e in mancanza di prova circa l’esistenza di un provvedimento di delega da parte del Capo dell’ufficio.
A fronte della tempestiva eccezione formulata dal contribuente/ricorrente, l’Ufficio finanziario è tenuto a fornire la prova del corretto esercizio del potere di delega.
È quanto emerge dalla sentenza 2 dicembre 2015, n. 24492, della Quinta Sezione Civile della Corte di Cassazione.
La controversia è originata da un accertamento per il recupero a tassazione di ricavi non contabilizzati. L’Agenzia delle Entrate ha agito sulla base dei rilievi operati dalle Fiamme gialle e la società interessata dalla ripresa ha proposto tempestivamente impugnazione, senza tuttavia avere successo nei primi due gradi di giudizio.
Nel giudizio di legittimità, invece, gli ermellini hanno ritenuto fondata l’eccezione involgente la sottoscrizione degli atti impugnati, per essere questi stati firmati da soggetto diverso dal capo dell’Ufficio e senza che l’amministrazione resistente abbia fornito elementi sufficienti a far ritenere l’esistenza di una valida delega di firma in capo all’impiegato firmatario.
Da tempo la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la sottoscrizione dell’avviso di accertamento da parte di funzionario diverso da quello istituzionalmente competente a sottoscriverlo, oppure da parte di un soggetto da detto funzionario non validamente ed efficacemente delegato, non soddisfa il requisito di sottoscrizione prescritto, a pena di nullità, dall’art. 42 (commi 1 e 2) del D.P.R. 600 (cfr. Cass. 14195/2010).
È pacifico, poi, l’orientamento secondo cui, nell’individuazione del soggetto legittimato a sottoscrivere l’avviso di accertamento, in forza dell’art. 42 sopra citato, incombe all’Agenzia delle entrate l’onere di dimostrare il corretto esercizio del potere e la presenza di eventuale delega (cfr. Cass. n. 14942/2013).
Sempre la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che l’onere probatorio posto in capo all’amministrazione è effetto diretto dell’espressa previsione della tassativa sanzione legale della nullità dell’avviso di accertamento; previsione che trova la sua ragion d’essere nel fatto che gli avvisi di accertamento costituiscono la più complessa espressione del potere impositivo e incidono con particolare profondità nella realtà economica e sociale. Le qualità professionali di chi emana l’atto, quindi, costituiscono un’essenziale garanzia per il contribuente (da ultimo, Cass. n. 22800/2015).
Solo in diversi contesti, ha precisato la Quinta Sezione del Palazzaccio – quali ad esempio la cartella esattoriale, il diniego di condono, l’avviso di mora e l’attribuzione di rendita -, e in assenza di una sanzione espressa, opera la presunzione generale di riferibilità dell’atto all’organo amministrativo titolare del potere nel cui esercizio è adottato; mentre in materia di IVA l’art. 56 del D.P.R. 633/72 richiama implicitamente l’art. 42 del D.P.R. 600/73; pertanto vale anche per gli avvisi di accertamento IVA la sanzione prevista (nullità) per il vizio di sottoscrizione.
I giudici del Palazzaccio, infine, hanno ritenuto opportuno sottolineare che i superiori principi non sono stati contraddetti dall’orientamento recentemente espresso dalla sentenza n. 22800 del 9 novembre scorso in tema di interpretazione del concetto di “impiegato della carriera direttiva” che può essere delegato.
Detta sentenza è giunta all’approdo che per le Agenzie fiscali la vecchia carriera direttiva deve oggi essere individuata nella terza area, che ha assorbito la nona qualifica funzionale, la quale è stata ritenuta idonea da diverse pronunce a determinare la validità della delega, con conseguente rigetto della tesi secondo cui il delegato dovrebbe essere un dirigente vero e proprio.
Resta dunque fermo il principio secondo cui, ove sia contestato l’esistenza di uno specifico atto di delega da parte del capo dell’ufficio e/o l’appartenenza dell’impiegato delegato alla carriera direttiva come sopra definita, spetta all’Amministrazione finanziaria fornire la prova della non sussistenza del vizio dell’atto; e tanto si deve sia al principio di vicinanza della prova (in quanto si discute di circostanze che coinvolgono direttamente la parte pubblica, mentre per il contribuente sarebbe difficile l’accesso ai documenti) sia a quello di leale collaborazione che grava sulle parti processuali (soprattutto quella pubblica). Non è, dunque, nemmeno consentito al giudice tributario attivare d’ufficio i poteri istruttori.
Ebbene, nel caso in esame, la CTR Lombardia non ha fatto buongoverno di questi principi. Di qui la decisione dei supremi di giudici di cassare la sentenza di secondo grado, con rinvio.