Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti
Cassazione Penale, sentenza depositata il 16 dicembre 2015
Affinchè si configuri il reato di dichiarazione fraudolenta ex art. 2 del D.Lgs. 74/2000 è indispensabile la presentazione della dichiarazione fiscale nella quale vi sia stato l’effettivo inserimento di elementi passivi fittizi, mentre le condotte prodromiche di acquisizione e registrazione nelle scritture contabili di fatture o altri documenti falsi restano del tutto irrilevanti, sul piano penale, non potendo essere punite neppure a titolo di tentativo.
Deve pertanto essere mandato assolto, “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”, il commercialista che ha registrato le fatture false per conto dei clienti se non è dimostrato l’inserimento delle stesse nelle varie dichiarazioni fiscali presentate.
È quanto emerge dalla sentenza n. 49570/15 della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione.
Un commercialista è stato riconosciuto responsabile dalla Corte d’Appello, a titolo di concorso, del reato previsto dall’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000 per avere, secondo le accuse, fatto da tramite tra una società estera che emetteva fatture false e i destinatari delle stesse, suoi clienti (precisamente dei promotori finanziari per i quali teneva la contabilità), così consentendo loro di evadere le imposte.
Ebbene, il giudizio di responsabilità è stato annullato senza rinvio dalla Suprema Corte, in accoglimento del motivo difensivo centrato sulla violazione di legge, posto che l’addebito contestato non contemplava l’avvenuta presentazione di alcuna delle necessarie dichiarazioni annuali, riportanti le fittizie componenti passive enunciate, limitandosi genericamente a contestare l’utilizzazione delle fatture per operazioni inesistenti. Da qui, fra l’altro, la mancanza di accertamento, da parte del giudice di merito, del momento consumativo del reato contestato.
Gli Ermellini hanno argomentato che il reato in questione si consuma all’atto della presentazione della dichiarazione. In tal senso depone, infatti, il dato testuale dell’art. 2 D.lgs. 74/2000, norma rimasta immodificata anche a seguito del D.L. n. 158 del 2015.
Occorre poi evidenziare come l’art. 6 dello stesso decreto abbia previsto che il delitto in questione non sia comunque punibile a titolo di tentativo; ed è significativo che la stessa relazione ministeriale al D.Lgs. 74/00 spieghi che la ratio della norma è appunto quella di evitare che il trasparente intento del legislatore delegante di bandire il modello del reato prodromico risulti concretamente vanificato dall’applicazione dell’art. 56 del codice penale: si potrebbe sostenere, difatti, ad esempio, che le registrazioni in contabilità di fatture per operazioni inesistenti o sottofatturazioni, scoperte nel periodo d’imposta, rappresentino atti idonei diretti in modo non equivoco a porre in essere una successiva dichiarazione fraudolenta o infedele, come tali punibili ex se a titolo di delitto tentato. Da qui dunque la conseguenza, da un lato, che solo con la presentazione della dichiarazione il reato di cui all’art. 2 del D.Lgs. 74/00 può dirsi perfezionato e, dall’altro, che, a differenza di quanto in precedenza stabiliva l’art. 4, lett. g), della L. 516/82, le condotte ad essa pregresse restano, sul piano penale, del tutto irrilevanti, non potendo essere punite neppure a titolo di tentativo.
E allora il supremo collegio ha ravvisato giusti motivi per ritenere errato il verdetto di responsabilità pronunciato dalla Corte territoriale, poiché “il fatto contestato al professionista non ha disvalore penale, mancando in esso qualunque riferimento alla necessaria e imprescindibile indicazione in dichiarazione delle fatture emesse: nel capo d’imputazione riportato in sentenza, ed esattamente corrispondente al contenuto dell’addebito indicato nel decreto che dispone il giudizio, si è contestato infatti all’imputato di aver, in concorso con altre sessantanove persone, aver consentito a queste di evadere le imposte avvalendosi di fatture inesistenti, avendo in particolare fatto da tramite tra detti soggetti e la struttura della (omissis) s.a. che, attraverso società estere, curava l’emissione delle fatture ‘registrate nelle scritture contabili obbligatorie o tenute a fini di prova nel confronti dell’amministrazione finanziaria, a fronte di una provvigione sugli importi fatturati’. Ed è del resto significativo che la motivazione della sentenza impugnata, in qualche modo ‘accontentandosi’, ai fini della utilizzazione illecita, del dato invece neutro rappresentato dalla registrazione delle fatture nelle scritture contabili, non dia conto per nulla dell’avvenuta indicazione delle stesse nelle varie dichiarazioni”.
In definitiva, per la Suprema Corte il commercialista in questione non ha commesso alcun reato.