Con la sentenza n. 24823 del dicembre scorso, le Sezioni Unite hanno sancito che non esiste, nell’ordinamento nazionale, un principio generale che impone all’Amministrazione finanziaria un obbligo circa l’instaurazione del preventivo contraddittorio con il contribuente.
In altri termini, la necessità del previo confronto tra le parti sussiste, almeno per i tributi non armonizzati, solo quando è la legge stessa ad imporlo, si pensi al caso degli accessi, ove ciò si evince dall’art. 12 comma 7 della L. 212/2000.
Di contro, per l’IVA (e, in genere, per i tributi armonizzati), la questione è diversa, posto che il principio deriva in via diretta dal diritto comunitario. Tuttavia, in tal caso la nullità dell’atto si verifica solo quando sia dimostrato che, se il contraddittorio fosse stato instaurato, il procedimento avrebbe potuto avere un esito diverso.
In ragione di ciò, in un precedente articolo avevamo affermato che se la pretesa fiscale riguarda, nel contempo, imposte sui redditi, IRAP e IVA, il contraddittorio, sussistendo “a macchia di leopardo”, cagiona, fermo restando quanto detto, la nullità dell’atto esclusivamente in merito all’IVA, quantomeno nelle c.d. “indagini a tavolino”, in cui difetta una norma che, in via generale, elevi il contraddittorio a “dignità normativa” (si veda “Lavoro del difensore complicato dal contraddittorio «a macchia di leopardo»” del 6 gennaio 2016).
La Commissione tributaria regionale di Firenze, con un’ordinanza emessa a seguito di udienza tenutasi il 21 dicembre 2015, ha rinviato la questione alla Corte Costituzionale, di fatto “bacchettando” le Sezioni Unite.
Anni fa, su Eutekne.info la problematica era stata ben evidenziata: se si accetta quello che, poi, è stato il ragionamento delle Sezioni Unite, la necessità del contraddittorio viene a essere in sostanza subordinata a una scelta discrezionale degli uffici (si veda “Accertamento «anticipato» nullo anche se emesso «a tavolino»” del 31 luglio 2013). Infatti, esiste una norma (l’art. 12 comma 7 della L. 212/2000) che impone la formazione del verbale a seguito di controllo sostanziale, ma non ve ne è alcuna che dica quando lo stesso debba esserci.
I giudici fiorentini, in primo luogo, evidenziano che nel processo tributario non esiste, a differenza di quanto avviene nel sistema penale, una fase preventiva ove le prove vengono raccolte con l’ausilio di un organo terzo e imparziale, o comunque in contraddittorio.
Nemmeno è prevista una fase istruttoria all’interno del contenzioso; vero è che, in base all’art. 7 del DLgs. 546/92 (“parallelismo dei poteri”) il giudice può, a posteriori, verificare l’attendibilità di ogni prova o indizio portato dall’ente impositore, ma ciò è del tutto eventuale. Per di più, la prassi ha dimostrato che l’art. 7, in gran parte, è una norma inutilizzata.
La pretesa fiscale, spesso, è retta da meri indizi, e il confine tra indizio e prova a volte sfuma del tutto, diventando impercettibile: “l’esito sfavorevole al privato può essere determinato dal «più probabile e non» e non occorre certo il superamento, necessario invece nel processo penale, di «ogni ragionevole dubbio»”.
Coloro i quali frequentano le aule delle Commissioni tributarie sanno quanto è vero il passo appena riportato dell’ordinanza della Regionale di Firenze.
Riprendendo il paragone con il processo penale, i giudici affermano che è dal momento in cui il soggetto diviene indiziato di un reato che il contraddittorio assume la sua funzione; “è sufficiente sostituire al concetto di «indiziato di reato» quello di «soggetto nei cui confronti la Amministrazione prospetta la emissione di un atto di accertamento»”.
Vi sono poi delle situazioni in cui, oggettivamente, il contraddittorio, anche se si tratta di c.d. “indagine a tavolino”, è imprescindibile: pensiamo all’accertamento fondato su “liste” di terzi come nel caso Falciani, o a elementi derivanti da verbali redatti a carico di terzi contribuenti, oppure a indagini finanziarie sui conti cointestati, e così via.
Per queste ragioni, è stata rimessa alla Consulta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 comma 7 della L. 212/2000, nella parte in cui riconosce al contribuente il diritto a ricevere il verbale e a formulare preventive osservazioni solo nel caso di accessi presso il luogo ove si svolge l’attività del medesimo.