Poco più di un mese fa, il Consiglio di Stato aveva considerato legittimo un appalto pubblico di servizi professionali al compenso simbolico di un euro. Il legislatore idealmente risponde con una modifica alla legge forense, introducendo nel Dl fiscale appena approvato al Senato (si veda questo articolo ) due nuove tutele per i lavoratori autonomi – il diritto a un «equo compenso» e il divieto di «clausole vessatorie». L’obiettivo sono gli affidamenti standardizzati di servizi professionali ripetitivi, come il recupero dei crediti, che ormai molte imprese, e talvolta anche le amministrazioni, fanno a condizioni ridotte all’osso. Le nuove tutele si aggiungono e in parte si sovrappongono a quelle che la legge 81/2017 ha previsto per la «clausole abusive» e gli abusi di dipendenza economica nei confronti dei lavoratori autonomi.
Le norme nascevano per i soli avvocati ma nella redazione finale del testo la loro applicazione è stata estesa a tutti i lavoratori autonomi. Esse riguardano i rapporti, anche in essere, tra i professionisti e i loro clienti grandi imprese, banche e assicurazioni in testa, quando sono regolati da convenzioni predisposte unilateralmente dalle imprese. Negli incarichi conferiti dopo la nuova legge, il diritto all’equo compenso dovrà essere garantito anche dalle pubbliche amministrazioni.
Il parametro per stabilire l’«equità» del compenso è simile a quello dell’articolo 36 della Costituzione sulla retribuzione del dipendente: il compenso deve essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione. Nell’articolo 36 la concretizzazione del criterio è di fatto rimessa ai contratti collettivi, qui la legge rinvia a successivi decreti ministeriali.
Le clausole «vessatorie» sono invece individuate sulla falsariga del codice del consumo, come quelle che creano un «significativo squilibrio» contrattuale a carico del professionista. La norma elenca i casi tipici di vessatorietà, sempre che le clausole non siano frutto di una trattativa e di un’approvazione specifica. Ad esempio, il potere di rifiutare la stipulazione del contratto in forma scritta, l’anticipazione delle spese da parte del professionista, il pagamento a termini superiori a sessanta giorni. C’è poi una lista nera di clausole che sono vessatorie anche se oggetto di trattativa e approvazione: il potere del cliente di modificare unilateralmente il contratto e di esigere prestazioni aggiuntive gratuite.
Le clausole con compensi iniqui o vessatorie sono nulle, secondo un regime speciale. Per le clausole vessatorie la nullità è del genere cosiddetto di protezione, la può far valere solo il professionista e comunque non si estende al resto del contratto. Anche in questo caso, la soluzione è in linea con il codice del consumo. Per il compenso non equo è prevista la sostituzione con il compenso determinato dal giudice. L’azione di nullità non è imprescrittibile, come sarebbe per regola generale, e va proposta a pena di decadenza entro ventiquattro mesi dalla firma delle convenzioni.
Nell’insieme, non si può dire che le nuove norme siano un semplice ritorno al passato, ai tempi delle tariffe professionali minime. La legge prova a correggere alcuni rapporti di forza nei quali il professionista è considerato il contraente debole. Forse questo è anche il limite dell’intervento. Le norme affrontano il problema senza una riflessione più generale sulla natura dei servizi coinvolti e senza domandarsi se, in definitiva, occorra ripensare anche le forme in cui i professionisti si organizzano per svolgerli e la loro disciplina uniforme.
Fonte Il fisco