Sì alla condanna per concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale a carico dei sindaci che, malgrado fosse evidente che le condotte degli amministratori potevano determinare il fallimento della società, non hanno impedito l’evento omettendo i controlli. La Cassazione, con la sentenza 52433/2017 , afferma la corresponsabilità nel reato del presidente del collegio sindacale e di un componente del collegio di una Spa i cui amministratori, in un separato giudizio, avevano patteggiato una pena per una vasta gamma di operazioni illegali, dall’eccesso abusivo al credito all’eccessivo accantonamento delle indennità di infortunio dei lavoratori, dall’illegittima contabilizzazione dei costi per lo smaltimento dei rifiuti ai finanziamenti alle società a loro riconducibili.
Secondo la corte d’appello le azioni dei vertici erano così macrospiche da non poter “sfuggire” al controllo dei sindaci, per questo i fatti reati andavano imputati anche a loro. I ricorrenti contestano la lettura dei giudici di merito, condivisa invece dalla Cassazione, per la parte in cui, alla contestazione del reato per aver determinato il fallimento, per effetto delle operazioni dolose (articolo 223, comma 2 n.2 della legge fallimentare), sia seguita una condanna per bancarotta distrattiva o dissipativa (articolo 223 comma 1 della legge fallimentare). Per i giudici però il rimando alle distrazioni è coerente con le fattispecie contestate e la conclusione raggiunta in linea con la giurisprudenza di legittimità che ha definito i contorni del reato di determinazione del fallimento per effetto di operazioni dolose. Una fattispecie – precisano i giudici – che si distingue dalle ipotesi generali di bancarotta fraudolenta patrimoniale in quanto la nozione di “operazione” presuppone una modalità di pregiudizio patrimoniale che non dipende direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione) «bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante in procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato».
I giudici respingono poi anche l’appunto secondo il quale i giudici di merito avrebbero dedotto la responsabilità dei sindaci una volta appurate le “colpe” degli amministratori grazie al patteggiamento fatto da questi ultimi. La Cassazione però precisa che i giudici di merito non hanno fondato il loro giudizio solo sul fatto storico della dell’applicazione della pena da parte dei membri del board, ma hanno ricostruito le loro condotte, presupposto della responsabilità dei sindaci, specificando tutti gli elementi di prova.
Fonte “Il fisco”