Il reverse charge e la non imponibilità Iva, anche da lettera d’intento, hanno la precedenza rispetto allo split payment. Tra inversione contabile e non imponibilità, secondo le Entrate, non è invece possibile fissare una regola generale di prevalenza. Queste sono le conclusioni cui si può pervenire confrontando l’interpretazione fornita dall’Agenzia con la circolare 27/E/2017 e i precedenti orientamenti.
Il reverse charge
Il meccanismo della scissione dei pagamenti trova un primo arresto, per espressa previsione normativa, nel caso in cui l’operazione rientri nell’ambito del reverse charge. Infatti, è lo stesso articolo 17-ter del Dpr 633/1972 a stabilire che lo split payment scatta per le prestazioni di servizi e le cessioni di beni per i quali i committenti/cessionari non sono debitori dell’imposta in base alle disposizioni in materia d’imposta sul valore aggiunto.
Pertanto, se una società che ricade nel regime effettua degli acquisti nell’esercizio dell’impresa per i quali è prevista l’inversione contabile, non si applicherà lo split payment. È questo il caso delle operazioni elencate negli articoli 17 , commi 5 e 6, e 74, commi 7 e 8, del Dpr 633/1972, e, ovviamente, quello degli acquisti di beni (anche intracomunitari) e di servizi rilevanti in Italia da fornitori non residenti.
Per gli acquisti effettuati dalla Pa è necessario distinguere. Il reverse charge trova applicazione per:
• gli acquisti interni afferenti la sfera commerciale;
• gli acquisti intracomunitari di beni, se l’ente è un soggetto passivo;
• gli acquisti intracomunitari di beni, se l’ente non è soggetto passivo, ma si è identificato ai fini Iva in conseguenza del superamento della soglia di 10mila euro o per opzione;
• i servizi acquisiti, rilevanti in Italia, se l’ente è dotato di partita Iva.
La lettera d’intento
Allo stesso modo, lo split payment non si applica se l’acquirente, in possesso dello status di esportatore abituale, invia la dichiarazione d’intento al proprio fornitore. Infatti, come condivisibilmente affermato dall’agenzia delle Entrate, in questi casi l’operazione risulta non imponibile. Il chiarimento è in linea con quanto affermato nella circolare 1/E/2015 , dato che lo split payment riguarda le operazioni documentate mediante fattura che indichi, tra l’altro, l’imposta addebitata.
L’interpretazione ha inoltre il pregio di consentire agli esportatori abituali che oggi rientrano tra i destinatari della scissione dei pagamenti di mantenere inalterato il proprio comportamento con riferimento alla gestione del plafond.
Secondo quanto affermato nella circolare 14/E/2015 , la dichiarazione d’intento non ha invece alcun effetto sulle operazioni assoggettabili al meccanismo del reverse charge che, viste le finalità antifrode, costituisce la regola prioritaria.
Appare quindi evidente il differente approccio seguito dall’amministrazione finanziaria benché anche la disposizione riguardante lo split payment sia stata fin da subito (circolare 1/E/2015) ricondotta tra quelle volte a innovare il sistema di riscossione dell’imposta, al fine di ridurre il “Vat gap” e contrastare i fenomeni di evasione e le frodi Iva.
Il disorientamento aumenta se consideriamo che con la circolare 37/E/2015 è stata sostenuta la prevalenza della non imponibilità, anche se in questo caso “propria” dell’operazione effettuata (servizi internazionali), rispetto al reverse charge.
Gli altri «incroci»
Coerente con la funzione antifrode della disciplina è invece la previsione dell’applicazione prioritaria dello split payment rispetto al regime per cassa (articolo 32-bis, decreto legge 83/2012 ): sia il reverse charge (circolare 14/E/2015) che lo split payment (circolare 27/E/2017) hanno la precedenza.
Nel paragrafo 6 della circolare 27/E/2017 viene poi ricordato che quando il fornitore emette una nota di variazione in diminuzione che si riferisce a fatture emesse prima dell’entrata in vigore dello split payment, alla stessa si applicano le regole ordinarie.
Nell’ipotesi di variazione di una fattura originaria non imponibile a fronte del ricevimento della lettera d’intento, la nota di variazione dovrebbe recare il titolo di non imponibilità.
Fonte “Il fisco”