L’amministrazione finanziaria avrà a disposizione ben cinque anni per incassare le debenze dalle società cessate ma esclusivamente qualora l’istanza di cancellazione risulti depositata successivamente al 13/12/2014 in quanto, la disciplina accolta nell’articolo 28 del Dlgs 175/2014, che ha esteso le tempistiche di recupero per le poste debitorie esigibili da parte dell’agenzia delle Entrate, non può essere considerata retroattiva e, di conseguenza, è in grado di manifestare la sua efficacia esclusivamente qualora la procedura di cessazione risulti essere stata innescata successivamente all’entrata in vigore del decreto legislativo menzionato. A questa conclusione è giunta la Suprema Corte la quale, attraverso l’ordinanza 20427/2017 (conformi Cassazione, sentenza 6743/2015, 18385/2015, 19142/2016) ha cassato il ricorso depositato dall’amministrazione finanziaria. I Giudici del Palazzaccio hanno infatti chiarito che «l’articolo 28, comma 4, del Dlgs 21 novembre 2014, n. 175, recante disposizioni di natura sostanziale sulla capacità delle società cancellate dal registro delle imprese, non ha valenza interpretativa, neppure implicita, e non ha, quindi, alcuna efficacia retroattiva. Ne consegue che il differimento quinquennale (operante nei confronti soltanto dell’amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione indicati nello stesso comma, con riguardo a tributi e contributi) degli effetti dell’estinzione della società derivanti dall’articolo 2495, comma 2, Codice civile, si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese (che costituisce il presupposto di tale differimento) sia presentata nella vigenza della nuova disciplina di detto Dlgs, ossia il 13 dicembre 201, o successivamente”.
In buona sostanza l’Ufficio può contare su un intervallo di tempo superiore per incassare i propri crediti maturati nei confronti delle società (di capitali e di persone), il cui liquidatore ha presentato un’istanza di cancellazione in quanto, seguendo il disposto del comma 4, articolo 28, l’efficacia della cessazione di una società, qualora scaturisca da un’istanza di estinzione volontaria dal registro delle imprese, risulta essere differita di cinque anni dalla richiesta di depennamento limitatamente a comparti tributario e contributivo. Pertanto la cancellazione presentata, per tutta la durata del menzionato quinquennio non inertizza la validità e l’efficacia degli avvisi di accertamento, liquidazione e riscossione afferenti ai tributi e ai contributi e alle relative sanzioni e interessi oltre che degli atti processuali.
Una parte della dottrina è dell’avviso che l’enunciazione contenuta nel comma 4 dell’articolo 28 del Dlgs 175/2014 fosse funzionale a soddisfare l’esigenza di sanare gli atti invalidi notificati, in passato, dall’agenzia delle Entrate nei confronti delle società cancellate dal registro delle imprese. A conferma di tale tesi l’amministrazione finanziaria, attraverso le circolari n. 31/E/2014 e 6/E/2015, ha avuto modo di articolare, asserendo la natura di norma “procedimentale” della disciplina, al fine di ascrivere una valenza retroattiva in grado di “accomodare” il passato. La tesi sostenuta dall’Ufficio risulta essere però inammissibile, considerata la manifesta valenza sostanziale della disposizione, tenuto conto che la medesima influisce palesemente sulla sedicente capacità giuridica della società cancellata.
Il nostro convincimento è tuttavia che la disposizione contenuta nel Dlgs 175/2014, risultando illegittima, non possa trovare applicazione nemmeno nei confronti delle società cancellate a far data dal 13/12/2014 in quanto, alle irresolutezze evidenziate dagli Ermellini attraverso la sentenza n. 6743/2015, secondo la quale la disciplina genererebbe una ingiustificata disuguaglianza di trattamento tra i differenti creditori della società, la medesima disposizione apparirebbe promulgata travalicando gli ambiti di competenza attribuiti agli articoli 1 e 7 della Legge di Delegazione n. 23/2014 e tutto ciò condurrebbe a qualificarla come illegittima. Risulta infatti evidente che una società cancellata dal registro delle imprese non è in grado di intraprendere un giudizio e, di conseguenza, la disciplina contenuta nell’articolo 28 del Dlgs 175/2014 non consente al soggetto chiamato in causa di esercitare il proprio diritto di difesa, tutelato dall’articolo 24 Costituzione. Tale considerazione è stata condivisa anche dai Giudici del Palazzaccio che, nella menzionata sentenza n. 6743/2015, hanno sostenuto che il ricorso proposto da una società estinta risulta essere inammissibile in conseguenza del difetto di capacità della società e dell’improponibilità del ricorso stesso.
Fonte “Il fisco”