La Corte di Cassazione con la sentenza n. 30811 , del 22 dicembre 2017, ha respinto il ricorso dell’agenzia delle Entrate confermando la tesi dei giudici del merito: le rimanenze finali del materiale di cancelleria non rilevano come ricavi e non concorrono, secondo le disposizioni del Dpr 917/86, alla determinazione del reddito di impresa.
Una società ha impugnato dinanzi alla Ctp l’avviso di accertamento per l’anno d’imposta 1998, notificatole nel settembre 2005, con cui l’agenzia delle Entrate ha recuperato a tassazione rilevanti importi a titolo di imposte sul reddito e Irap, irrogando contestualmente, anche le relative sanzioni.
La Ctpha rigettato il ricorso della società che è stato appellato davanti alla Ctr; i giudici tributari del merito di secondo grado, riassumendo in sintesi la vicenda, hanno invece, dichiarato la legittimità delle deduzioni delle spese di cancelleria sostenute dalla società.
Avverso la sentenza sfavorevole l’agenzia delle Entrate è ricorsa in Cassazione.
Con riferimento alla parte della sentenza che interessa il presente commento l’agenzia delle Entrate denuncia, nel ricorso in Cassazione, la violazione del Dprn. 917/1986, ex artt. 53 e 59 (ora artt. 85 e 92), nella formulazione vigente ratione temporis, dovendosi includere le rimanenze finali del materiale di consumo (nella specie, materiale di cancelleria) nei ricavi.
Per i giudici di legittimità, la tesi sostenuta dall’agenzia delle Entrate è infondata in quanto gli articoli di cancelleria non costituiscono né beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività d’impresa, né materie prime e sussidiarie, semilavorati e altri beni mobili acquistati o prodotti per essere impiegati nella produzione di beni da parte della contribuente, che è società avente ad oggetto la produzione di componenti di auto.
Per i giudici di legittimità, di conseguenza, le relative rimanenze finali non possono concorrere alla formazione del reddito, ai sensi del combinato disposto del Dpr n. 917/1986, degli artt. 53 e 59 (ora artt. 85 e 92).
Non è condivisibile, rileva la Corte di Cassazione, la tesi sostenuta dall’agenzia delle Entrate, secondo cui il materiale di cancelleria, pur non partecipando direttamente al processo produttivo, deve essere ricompreso nelle rimanenze finali, analogamente a quanto avviene in sede civile ex art. 2423 ter c.c., visto che non può essere usato ripetutamente.
Per la Cassazione il ricorso va , pertanto , rigettato sulla base del principio che in tema di reddito d’impresa, le rimanenze finali del materiale di cancelleria non rilevano ai sensi del Dpr n. 917/86, ai fini della quantificazione dei ricavi di un’impresa che ha ad oggetto la produzione di articoli di diversa tipologia, trattandosi di beni che, pur non essendo destinati ad essere utilizzati ripetutamente, sono strumentali, in quanto non coinvolti direttamente nel processo produttivo, ma aventi solo funzione di supporto rispetto all’attività imprenditoriale.