Quando la dichiarazione d’intento dell’esportatore è ideologicamente falsa, per la non imponibilità delle cessioni alle esportazioni effettuate nei confronti di esportatori abituali, occorre che il cedente dimostri l’assenza di un suo coinvolgimento nella frode accertata. Lo ha affermato la Cassazione nella sentenza 31116 del 29 dicembre.
Una Srl ha impugnato l’avviso di accertamento con il quale l’ufficio aveva recuperato anche l’Iva 2002, detratta indebitamente per le cessioni di veicoli in sospensione di imposta, su dichiarazioni di intento presentate dal cessionario. Nei gradi di merito il giudizio è risultato favorevole alla società. Non così in Cassazione dove l’Agenzia ha lamentato come la Ctr aveva erroneamente ritenuto sufficiente che, ai fini della non imponibilità Iva e dell’esclusione della compartecipazione nell’illecito ascritto al cessionario, esportatore abituale, la cedente dimostrasse solo la regolarità formale della dichiarazione d’intento.
In particolare, i giudici di legittimità hanno richiamato il principio (n.12751/11) secondo il quale la non imponibilità Iva dei beni destinati all’esportazione (subordinata alla dichiarazione scritta di responsabilità del cessionario e al possesso dei requisiti soggettivi e oggettivi previsti dall’articolo 8, comma 1, lettera c, Dpr 633/72) viene meno se viene accertato che i beni non sono stati effettivamente esportati e che la dichiarazione è ideologicamente falsa. In tali ipotesi, il cedente è esonerato dall’obbligo di assolvere l’Iva su tali beni solo se dimostra di aver adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere per escludere la sua partecipazione alla frode e quindi che, anche usando la diligenza propria dell’imprenditore avveduto operante nel medesimo settore economico, non sarebbe potuto comunque venire a conoscenza dell’insussistenza dei presupposti necessari per qualificare il cessionario esportatore abituale (Cassazione, n.176/15 e n. 19896/16).
Nella fattispecie esaminata, la Cassazione ha concluso che, al di là del mero controllo formale dei documenti allegati dal cessionario, la cedente avrebbe potuto accertare agevolmente la qualità dei precedenti intestatari dei veicoli e degli anteriori cedenti, e cioè verificare, mediante l’acquisizione di dati di rapido reperimento rispetto a quelli allegati dal cessionario, se gli intestatari erano o meno legittimati a detrarre l’Iva. Ma così non è stato, poiché la società non ha adottato le ragionevoli misure in suo potere per escludere il proprio coinvolgimento nella frode accertata.
Fonte “Il sole 24 ore”