La legge di Bilancio 2018 è intervenuta anche sull’equo compenso, introdotto dal collegato fiscale che era uscito in Gazzetta poche settimane prima. La legge 205/2017, per lo più, ha irrigidito la disciplina, con modifiche mirate sulla quantificazione dei compensi, sulla possibilità di negoziare clausole vessatorie e sul regime dell’azione di nullità delle clausole contrarie alla legge. Ma vediamo il quadro d’insieme che ne è venuto fuori.
I rapporti disciplinati
Le norme riguardano i rapporti tra, da un lato, banche, assicurazioni e in generale le grandi imprese e, dall’altro lato, i professionisti, iscritti o meno a ordini professionali. L’obiettivo principale sono gli affidamenti di servizi professionali standardizzati e ripetitivi, come il recupero dei crediti, per i quali spesso la concorrenza sui prezzi diviene molto agguerrita. Le norme entrano in gioco quando i servizi sono regolati da convenzioni predisposte unilateralmente dai clienti, con la presunzione legale che siano tali salvo prova contraria.
La doppia tutela
Le tutele per i professionisti sono due: il diritto all’equo compenso e il divieto di clausole vessatorie. Non sono propriamente una novità perché, in parte, si sovrappongono a quelle della legge 81/2017 sulle «clausole abusive» e sugli abusi di dipendenza economica nei confronti dei lavoratori autonomi.
Come regola generale, l’equo compenso va stabilito in relazione alla quantità e qualità della prestazione, al tipo di servizio da svolgere. In pratica, quello che peserà di più è il rinvio ai decreti ministeriali con i parametri per i compensi professionali. La legge forense ne prevede uno specifico per gli avvocati, per le altre professioni regolamentate si fa riferimento ai parametri per la determinazione giudiziale dei compensi. Qui la legge di Bilancio ha introdotto una modifica importante, precisando che l’equo compenso deve essere «conforme» a questi parametri, mentre in precedenza era sufficiente che ne «tenesse conto». Per i rapporti disciplinati dalla legge, equivale a un ritorno alle tariffe minime.
Le clausole vessatorie
Il divieto di clausole vessatorie è costruito sulla falsariga del codice del consumo. C’è anche qui un criterio generale, per il quale sono vessatorie le clausole che generano un «significativo squilibrio» contrattuale a carico del professionista.
La norma elenca poi alcuni casi tipici di clausole vietate. Ad esempio, le convenzioni non possono riservare al cliente il potere di modificare unilateralmente il contratto, né prevedere prestazioni gratuite a carico del professionista. Il testo originario della norma consentiva di salvare alcuni tipi di clausole vessatorie se era dimostrato che fossero il frutto di una trattativa. La legge di Bilancio ha eliminato questa possibilità, per cui clausole del genere potrebbe essere applicate solo quando la convenzione nel suo insieme sia stata negoziata.
L’azione di nullità
La legge considera nulle le clausole che riconoscono compensi non equi o che hanno carattere vessatorio. La nullità è del genere cosiddetto di protezione, va soltanto a vantaggio del professionista e non si estende al resto del contratto. Il professionista potrà così chiedere in giudizio che il compenso sia rideterminato o che le clausole vessatorie non siano applicate.
Nel testo iniziale, la norma prevedeva per l’azione di nullità un termine di decadenza di ventiquattro mesi. Questa limitazione, che era singolare rispetto alla ordinaria imprescrittibilità della nullità, è venuta meno con la legge di Bilancio. Possono sempre prescriversi, però, le altre azioni che derivano dalla nullità. Le azioni per ottenere i compensi professionali e i rimborsi spese, ad esempio, si prescrivono in tre anni.
Le pubbliche amministrazioni
Sullo sfondo di tutto c’è il settore pubblico. Anche le pubbliche amministrazioni devono garantire il principio dell’equo compenso, per gli incarichi conferiti dopo l’entrata in vigore della legge. L’impatto è ancora tutto da appurare.
Qualche preoccupazione deve essere però sorta da subito, perché la legge di bilancio ha stabilito un regime speciale per gli agenti della riscossione, i cui aggi pesano in definitiva sulle entrate fiscali. Per loro la normativa non si applica, occorre solo che garantiscano compensi «adeguati» all’importanza dell’opera da prestare, tenendo anche conto della sua eventuale ripetitività.
Fonte “Il sole 24 ore”