È illegittima la rettifica dei ricavi per differenze inventariali se per la mole dei volumi trattati dal contribuente potrebbe essersi verificato un errore umano nella quantificazione. Così la Corte di cassazione con la sentenza n. 439 depositata ieri.
L’agenzia delle Entrate notificava a una società un avviso di accertamento con il quale disconosceva la deducibilità di costi infragruppo e presumeva ricavi non fatturati in conseguenza di una differenza inventariale rispetto alle giacenze. Il provvedimento veniva impugnato e i giudici di merito rigettavano l’eccezione. L’articolo 4 del Dpr 441/97 disciplina le presunzioni che possono conseguire alle differenze inventariali riscontrate in sede di accesso. Più precisamente, la norma consente di presumere ceduti senza fattura i beni che non si trovano nei depositi senza un’evidente ragione. In altre parole, si considera ceduto in «nero» il prodotto acquistato di cui il contribuente non riesce a giustificare l’assenza dal magazzino. Una presunzione legale ai fini Iva in favore del Fisco, contro la quale l’impresa può opporre prova contraria.
La società impugnava in Cassazione la decisione lamentando, tra l’altro, che le differenze inventariali erano minime rispetto ai volumi trattati e potevano al più derivare da meri «errori umani» di quantificazione. Tanto più che l’Ufficio nella propria rideterminazione non aveva compensato le differenze negative e positive, limitandosi ad applicare la presunzione solo sui valori negativi.
Secondo i giudici di legittimità, in caso di differenze inventariali, ovvero differenze tra merci giacenti in magazzino e scritture di carico e scarico, opera una presunzione legale. Il contribuente è tenuto alla prova contraria e cioè che le merci non rinvenute siano state impiegate nella produzione, perdute o distrutte. Nella specie, la Ctr non aveva riconosciuto alcuna rilevanza all’esiguità dei valori e alla plausibile circostanza che la differenza potesse dipendere da errate quantificazioni da parte del personale addetto. La Cassazione ha così ritenuto che questi elementi possono rappresentare un’adeguata prova contraria prodotta dal contribuente. La decisione appare importante poiché esclude un’applicazione automatica della presunzione legale in favore di una valutazione di buon senso da parte del giudice.
Fonte “Il sole 24 ore”