Quando un’impresa in forma societaria viene programmata sulla base di un accordo tra un socio di maggioranza e un socio di minoranza, la prassi professionale immancabilmente suggerisce che nello statuto della società in questione vi siano, tra le altre:
– clausole anti-stallo, vale a dire clausole che scongiurino l’evenienza del disaccordo dei soci e che esso provochi una paralisi dell’attività societaria (che può addirittura condurre, nei casi più gravi, allo scioglimento della società stessa);
– clausole che tutelino il socio di minoranza, nell’ipotesi in cui il socio di maggioranza intenda uscire dalla società, alienando la sua quota di partecipazione;
– clausole che tutelino il socio di maggioranza nel caso in cui egli voglia vendere la sua quota di partecipazione ma il potenziale acquirente ponga la condizione di acquisire tutto il capitale sociale (e, quindi, non solo la quota del socio di maggioranza).
I tipi di clausole
Le clausole anti-stallo, di solito, prevedono la reiterazione dei tentativi di arrivare a una decisione concordata (ad esempio, disponendo che si svolgano altre riunioni, dopo quella andata in fumo per il mancato formarsi del quorum decisionale occorrente) e, in caso di fallimento di questi tentativi di accordo, impongono una escalation del livello decisionale: vale a dire, ad esempio, che se gli amministratori non si mettono d’accordo, la decisione venga rimessa all’assemblea dei soci; e che, se anche qui, non si raggiunge l’accordo, se si tratta di una società-veicolo, la questione venga rimessa ai capi-azienda delle rispettive case-madri. Oltre a questi rimedi, o in connessione con essi, si può poi ricorrere ad altre soluzioni più “vigorose”, come, ad esempio, quella della russian roulette, illustrata nell’articolo qui a fianco.
La clausola che tipicamente si utilizza per tutelare il socio di minoranza nel caso in cui questi tema di avere svantaggi qualora il socio di maggioranza venga la propria quota prende il nome (mutuato dalla contrattualistica anglo-americana) di clausola di tag-along (diritto di co-vendita): con essa, in sostanza, il socio di minoranza ottiene il diritto di “appiccicarsi” (tag significa infatti “etichetta”) al socio di maggioranza e, cioè, di vendere la propria quota alle stesse condizioni concordate dal socio di maggioranza con il terzo acquirente.
Il socio di maggioranza, dal canto suo, ha il problema contrario: e cioè quello di tutelarsi nel caso in cui il potenziale acquirente sia disposto a comprare la quota del socio di maggioranza solo se anche il socio di minoranza venda la propria partecipazione. Due sono, di solito, le clausole con le quali questo problema viene gestito:
– la clausola di drag along, recante il diritto del socio di maggioranza di trascinare con sé nella vendita l’altro socio;
– la clausola di bring along, simile alla precedente, ma con la variante che il diritto di trascinamento spetta non al socio di maggioranza ma al terzo acquirente.
Le clausole di tag, drag e bring along sono di solito strutturate come opzioni (call o put): vale a dire, ad esempio, con riguardo al tag, che il socio di minoranza ha un’opzione put, e cioè di pretendere dal socio di maggioranza la vendita della propria quota a favore del terzo potenziale acquirente; e, con riguardo al drag, che il socio di maggioranza ha un’opzione call, e cioè di pretendere l’acquisto, a favore del terzo, della quota del socio di minoranza.
Il Notariato del Triveneto
Così strutturate, le clausole in questione si possono introdurre nello statuto (e, poi, modificare o rimuovere) solo con il consenso del socio che da esse ritrae il diritto di vendita o di acquisto. Secondo un recente orientamento del Notariato triveneto , peraltro, una decisione a maggioranza sarebbe legittima se la clausola sia strutturata come diritto del socio di maggioranza di terminare l’esistenza della società e di metterla in liquidazione (massima H.I.19).
Caratteristica comune di queste clausole è che esse (specie in base a una nota sentenza del Tribunale di Milano, datata 31 marzo 2008) devono assicurare al socio di minoranza una valorizzazione della sua quota almeno pari a quella che egli otterrebbe in caso di recesso dalla società. Ma si tratta di una tesi che appare discutibile, specialmente in base all’argomento secondo il quale queste clausole vengono introdotte in statuto con il consenso di tutti i soci. Essi – a tacere del fatto che sono tutti imprenditori dotati di assistenza professionale – ben sanno quel che firmano quando approvano lo statuto che contiene queste clausole, dalle quali evidentemente non si sentono vessati.
Fonte “Il sole 24 ore”