La Cassazione non molla l’osso sull’utilizzo dell’articolo 20 del Testo unico del registro (Dpr 131/1986), nella versione vigente fino al 31 dicembre 2017, per riqualificare gli atti sottoposti alla registrazione a seconda del loro significato economico, dando rilevanza interpretativa anche a elementi extratestuali e al collegamento tra una pluralità di atti. Con la sentenza n. 2007 del 26 gennaio 2018, la Cassazione ha infatti sancito che la modifica della legge di Bilancio non ha valenza retroattiva e che, quindi, per tutte le fattispecie originatesi prima del 1° gennaio 2018, l’articolo 20 non può essere letto – nel modo indicato dal suo nuovo testo – come riferito al solo atto presentato per la registrazione e al suo contenuto giuridico.
Dalle sentenze del 2008 (n. 30055, 30056 e 30057), con le quali la Cassazione ha ritenuto l’esistenza di un immanente principio anti-elusivo, derivato dall’articolo 53 della Costituzione, la giurisprudenza di legittimità si è schierata per utilizzare l’articolo 20 del Tur, in un primo tempo, come la norma anti-elusiva nell’ambito dell’imposta di registro e, da ultimo, come norma che legittima la tassazione della sostanza economica degli atti presentati per la registrazione, tenendo conto anche del loro eventuale collegamento.
Ne è prova l’inversione di rotta sulla questione (share deal/asset deal) della riqualificabilità della cessione di quote societarie come cessione di azienda: dapprima negata (ad esempio, Cassazione 27 dicembre 1948; Commissione centrale a Sezioni unite 38977/1952 e Commissione centrale 3636/1981; Cassazione 5862/2003) e poi affermata dal 2008 al 2015 in molte occasioni.
Ebbene, si presumeva che, nell’estate 2015, con l’introduzione della norma anti-elusiva generale di cui all’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente, la tenzone tra la giurisprudenza di legittimità e il “resto-del-mondo” terminasse: e cioè che l’articolo 20 del Dpr 131/1986, tornasse a svolgere il suo ruolo di norma interpretativa degli effetti giuridici del singolo atto presentato per la registrazione e che le contestazioni in termini di elusività (e di significato economico dell’attività giuridica) fossero formulabili dall’amministrazione e giudicabili dalla giurisprudenza con modalità, procedure e garanzie di cui all’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente.
Mai previsione fu meno azzeccata. La Cassazione (con l’unica eccezione della sentenza 2054/2017, sconfessata dalla giurisprudenza successiva) ha continuato a ritenere l’articolo 20 vocato alla tassazione della “causa reale” degli atti presentati alla registrazione (ad esempio, sentenze 25001/15 e 11873/17), tanto che il legislatore ha dovuto far dire all’articolo 20 quel che l’opinione dominante (eccetto la Cassazione) già riteneva dicesse, e cioè che si tratta di una norma preordinata a tassare il mero significato giuridico del singolo atto presentato alla registrazione.
Il legislatore ha però dimenticato di esplicitare la natura retroattiva della modifica, alla quale si allude solo nei lavori preparatori della legge di Bilancio. Con la conseguenza che è facile per la Cassazione nella sentenza 2007/2018 utilizzare tutta la retorica che viene utile in casi come questo: parlando di «modifica» il legislatore avrebbe inteso significare che il nuovo articolo 20 ha una portata «prettamente innovativa» e che dal suo «dato letterale» si dovrebbe desumere che il legislatore ha voluto operare una «rivisitazione strutturale e antitetica della fattispecie impositiva pregressa».
La Cassazione insomma non ci sta a sentirsi dire come l’articolo 20 del Dpr 131/1986 avrebbe dovuto essere interpretato ante 2018. E c’è da pensare che non sia finita qui, quando si legge, nella sentenza 2007/2018, che il collegamento negoziale e la rilevanza degli elementi extratestuali, fuoriusciti ipso iure dall’articolo 20 del Dpr 131/1986, sono ora di possibile «recupero» nei giudizi dove si applicherà l’articolo 10-bis dello statuto del contribuente. Non è irrealistico prevedere che sulla vicenda share deal/asset deal l’arbitro disporrà un recupero e che la parola “fine” sia ancora tutta da scrivere.
Fonte “Il sole 24 ore”