Se l’imposta evasa superiore alla soglia penale è stata quantificata in misura analitica dalle Dogane è irrilevante ai fini della sussistenza del reato che poi vi sia stata una ricostruzione induttiva da parte dall’agenzia delle Entrate.
A precisarlo è la Corte di cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 11919 depositata ieri (15/03/2018).
Il Tribunale aveva condannato un imprenditore per i reati di occultamento delle scritture contabili e per omessa presentazione della dichiarazione dei redditi per più anni di imposta. La Corte di appello confermava solo parzialmente la pena con riferimento all’omessa dichiarazione per un solo periodo di imposta.
L’imputato ricorreva così in Cassazione lamentando che il giudice territoriale non aveva verificato la corretta quantificazione dell’imposta evasa. Nell’appello, infatti, era stato evidenziato che tutto derivava da una ricostruzione induttiva compiuta dall’agenzia delle Entrate, con la conseguenza che non poteva dirsi certo il superamento delle soglie di punibilità rilevanti ai fini penali.
I giudici di legittimità hanno ritenuto inammissibile il ricorso perché con la doglianza proposta era stata richiesta una nuova valutazione di merito non consentita nel giudizio di legittimità.
La Suprema Corte ha rilevato che l’imputato aveva riconosciuto le operazioni illecite oggetto di contestazione. Inoltre, l’agenzia delle Dogane, intervenuta nel controllo al contribuente, aveva quantificato l’imposta evasa in oltre 600mila euro.
Ne conseguiva che, a prescindere dalla ricostruzione induttiva e quindi solo presuntiva operata dalle Entrate, la soglia di rilevanza penale (all’epoca 77.468,53 euro), era stata sicuramente superata.
In altre parole, la quantificazione operata dalle Dogane, essendo analitica, era sufficiente per dimostrare il superamento della soglia e quindi non smentire la ricostruzione induttiva delle Entrate.
La decisione induce ad una riflessione sulla valenza presuntiva in ambito penale degli accertamenti tributari.
Le presunzioni tributarie non possono di per sé essere utilizzate ai fini della quantificazione dell’imposta penalmente rilevante, poiché è il giudice a dover accertare l’ammontare dell’evasione mediante una verifica che privilegi il dato fattuale rispetto ai criteri formali che caratterizzano l’ordinamento fiscale. Esiste così un “doppio binario”:
nel processo penale, l’onere della prova è sempre a carico dell’accusa e non è ammessa un’inversione probatoria attraverso l’utilizzo di presunzioni;
nel giudizio tributario, invece in presenza di presunzioni pro fisco deve essere il contribuente a fornire la prova contraria.
Per completezza va detto che, in ambito penale, la presunzione viene invece ritenuta sufficiente ai fini della richiesta del sequestro.
Fonte “Il sole 24 ore)