La Corte di Giustizia con la sentenza di ieri nella causa C- 524/15 (si veda anche la pagina precedente) ipotizza la possibilità del cumulo delle sanzioni amministrative e penali nel caso di omesso versamento di imposte, ma condiziona tale cumulo alla verifica che gli effetti che si determinano non risultino eccessivi rispetto alla gravità del reato commesso e che, perseguendo un interesse generale, non violi il principio di proporzionalità. La domanda che ci dobbiamo porre (ovvero a cui devono rispondere i giudici nazionali) è se le fattispecie di omesso versamento e le relative sanzioni amministrative e penali previste rispondono effettivamente alle condizioni richieste.
Le norme unionali che informano le scelte del legislatore nazionale sono l’articolo 2 della direttiva 2006/112/CE, che prevede tutte le operazioni che sono soggette ad Iva, e l’articolo 273, che consente agli Stati membri di introdurre degli obblighi supplementari necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’Iva e ad evitare le evasioni.
Sul piano delle violazioni concorrenti bisogna far riferimento, da una parte, all’articolo 13 del Dlgs 471/97 e, dall’altra, all’articolo 10 ter del Dlgs 74/2000. La prima fattispecie prevede, in caso di ritardati o omessi versamenti, una sanzione amministrativa (definita dalla corte di natura penale) pari al 30% dell’importo non versato o versato in ritardo. In caso di versamento in ritardo la norma prevede, in presenza di un ritardo non superiore a 90 giorni, che la sanzione edittale sia ridotta alla metà (15%). Inoltre, nel caso di ritardo nel versamento non superiore a 15 giorni, tale sanzione è ulteriormente ridotta a un importo pari a un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo.
La fattispecie di reato di cui all’articolo 10 ter del Dlgs 74/2000, invece, prevede la reclusione da 6 mesi a 2 anni per chi, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, nn versa l’imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a 250.000 euro per ciascun periodo d’imposta. Tale sanzione penale in base all’articolo 13 dello stesso Dlgs non si applica (rectius: il reato non è punibile) se prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti.
Le sanzioni considerate perseguono, come chiede la Corte, l’interesse generale di assicurare la riscossione integrale dell’Iva. Questo interesse però, seppure importante, non è di per sé sufficiente a consentire la cumulabilità delle sanzioni. In effetti, come specificato al punto 44 della sentenza, le sanzioni concorrenti devono riguardare scopi complementari vertenti su aspetti differenti della medesima condotta di reato interessata. Circostanza questa che nel caso di specie sembra non essere presente poiché entrambe le fattispecie sono dirette a sanzionare l’omesso versamento Iva, anche se con tempistiche differenziate. Al contrario, sul piano della proporzionalità delle sanzioni e dell’esistenza di norme che consentano di garantire che la severità del complesso delle sanzioni sia adeguato, è la stessa Corte che sembra individuare nelle norme e nei meccanismi attenuanti elementi sufficienti perché le condizioni siano soddisfatte. Ciononostante, la Corte evidenzia che i giudici sono chiamati a verificare se, in concreto, il cumulo sanzionatorio sia in linea con la gravità del reato commesso. E su questo punto, l’indagine è molto più complessa e solleva in concreto più di un dubbio.
Fonte “Il sole 24 ore”