I contribuenti dipendenti che prestano la propria opera all’estero sono sempre più numerosi e, ai fini di una corretta tassazione e, quindi, compilazione del modello Redditi PF o del 730, occorre domandarsi se il lavoratore si considera ancora residente in Italia e se con il Paese estero sia stata firmata una Convenzione contro le doppie imposizioni, in quanto, in caso di risposta affermativa alla prima domanda, si applica il principio della world wide taxation, secondo cui i soggetti residenti in Italia sono ivi tassati sui redditi ovunque prodotti, mentre per un contribuente non residente sono imponibili i soli redditi prodotti in Italia (articolo 3, Tuir). La presenza della Convenzione, invece, influisce sulla possibilità di recuperare le imposte eventualmente pagate nell’altro Stato tramite il credito d’imposta oppure presentando un’istanza di rimborso.
Stando l’articolo 2 del Tuir, una persona si considera residente quando per almeno 183 giorni dell’anno solare è iscritta nelle anagrafi della popolazione residente o ha nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi dell’articolo 43 del Codice civile. In queste ipotesi, nonostante il lavoro sia prestato all’estero, il contribuente si considera residente nel territorio dello Stato e, pertanto, i redditi esteri saranno tassati in Italia, dovendoli dichiarare nel quadro RC del modello Redditi PF 2018, nei righi da RC1 a RC3. Tuttavia, in presenza di una Convenzione contro le doppie imposizioni con lo Stato estero, occorre, in primis, verificare in che Stato il lavoratore si considera residente, per poi appurare se il reddito da lavoro dipendente sia imponibile in entrambi i Paesi oppure unicamente nello Stato di residenza.
La maggior parte delle Convenzioni stipulate dall’Italia ricalcano il modello Ocse, il quale all’articolo 15, paragrafo 2, prevede la tassazione esclusiva da parte dello Stato di residenza e, quindi, l’Italia quando si verificano congiuntamente le seguenti tre condizioni:
1. il lavoratore soggiorna nello Stato estero per un periodo non superiore a 183 giorni;
2. le remunerazioni sono pagate da o a nome di un datore di lavoro che non è residente del Paese estero;
3. le somme non sono erogate da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nello Stato estero.
Sussistendo tali condizioni, i redditi da lavoro dipendente devono essere tassati esclusivamente in Italia, con la possibilità di richiedere il rimborso delle imposte pagate all’estero alla corrispondente agenzia delle Entrate del Paese estero.
Qualora, invece, la Convenzione preveda l’imponibilità delle remunerazioni in entrambi gli Stati, il contribuente potrà recuperare il versamento delle imposte estere fruendo del credito d’imposta di cui all’articolo 165 del Tuir. A tale fine, dovrà compilare il quadro CE di Redditi PF quando l’imposta estera sarà definitiva, non potendo richiedere le eventuali ritenute a titolo di acconto subite nell’altro Stato. Il credito d’imposta non compete per l’intero importo versato all’estero, ma spetta fino a concorrenza dell’imposta italiana calcolata sul rapporto tra il reddito estero e il reddito complessivo e, comunque, sempre nel limite dell’imposta italiana di competenza del 2017. In assenza di una Convenzione, i fenomeni di doppia imposizione possono essere superati con lo stesso iter appena analizzato.
Infine, si ricorda che ai fini della determinazione del reddito imponibile, le retribuzioni percepite da un lavoratore dipendente che presta il proprio lavoro all’estero per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di un anno, sono determinate sulla base di quelle convenzionali stabilite dal ministero del Lavoro con un decreto annuale e , per il 2017, sono fissate dal Dm 22 dicembre 2016, mentre per l’anno 2018 il decreto di riferimento è stato emanato in data 20 dicembre 2017.
Fonte “Il sole 24 ore”