Vecchi assegni irregolari: vie d’uscita da rivedere

di Nicola Forte

Sotto tiro i “vecchi” assegni senza clausola di non trasferibilità di importo pari o superiore a 1.000 euro: le prime contestazioni del Mef sono già arrivate nelle scorse settimane ed è probabile che aumenteranno. Chi li ha emessi ha violato l’articolo 49 del Dlgs 231/2007 e ora corre il rischio di subire una sanzione di importo variabile tra 3.000 e 50.000 euro. Anche chi ha disatteso la previsione di legge per mera disattenzione, dovrà valutare le alternative offerte dalla stessa normativa per ridurre al minimo la sanzione da versare. Nei casi migliori potrebbero anche non dovere niente al Mef.

L’origine del problema

L’obbligo di emissione degli assegni con l’indicazione della clausola di non trasferibilità è in vigore da oltre 10 anni risiede, in particolare, nel citato articolo 49 del Dlgs 231/2007. Il limite attuale di 1.000 euro è stato previsto dal Dl 201/2011.

Un assegno trasferibile, quindi privo di tale clausola, è nella sostanza assimilabile a un titolo al portatore. Può essere pagato a vista a colui che lo esibisce per l’incasso, è equiparabile al denaro contante e quindi deve essere sottoposto a limitazioni con finalità di prevenzione e contrasto del riciclaggio.

Le banche dal 30 aprile del 2008 rilasciano i carnet di assegni con l’indicazione prestampata della dicitura «non trasferibile». Di conseguenza, i titoli non possono circolare liberamente mediante girata e potranno soltanto essere presentati in banca per l’incasso dal beneficiario.

Le possibili violazioni

In primo luogo, potrebbe essere stato utilizzato un assegno tratto da un “vecchio” carnet rilasciato dalla banca prima del 30 aprile del 2008. In questa ipotesi è certo che la banca non avrà apposto sul titolo la dicitura «non trasferibile». Pertanto, se anche la clausola non è stata apposta dal traente per mera disattenzione e l’assegno è stato emesso per un importo pari o superiore a 1.000 euro, la violazione è sicuramente commessa.

Il limite attualmente in vigore è però variato nel tempo. In passato era pari a 12.500 euro, poi diminuito, in seguito aumentato per poi diminuire ancora fino a raggiungere la soglia attuale di 1.000 euro. È dunque possibile che sia conservato nel cassetto un vecchio carnet di assegni con l’indicazione dell’obbligo di apporre la clausola «non trasferibile» per i titoli emessi di importo pari o superiore a 12.500 euro.

In questo caso, l’avvertenza rischia ancor di più di trarre in inganno il traente perché si deve fare riferimento al limite in vigore al momento di emissione dell’assegno e non al momento del rilascio del carnet. Il problema, comunque, riguarda solo l’utilizzo dei vecchi assegni. Da molti anni, infatti, i correntisti devono richiedere espressamente alla banca il rilascio di carnet di assegni “liberi”, cioè senza l’indicazione della clausola. In questo caso è necessario pagare un’imposta di bollo pari a 1,50 euro per ogni assegno.

L’oblazione

La possibilità di avvalersi dell’oblazione è indicata nello stesso atto di contestazione. Dal 4 luglio 2017 le sanzioni sono state elevate tra un minimo di 3mila e un massimo di 50mila euro. Prima di allora la sanzione era variabile e commisurata all’importo dell’assegno emesso senza l’apposizione della clausola di non trasferibilità: tra l’1% e il 40% dell’importo pagato con l’assegno trasferibile, con un minimo di 3mila euro.

L’importo della sanzione minima era dunque equivalente a quella applicabile oggi, ma con effetti diversi sul calcolo dell’oblazione. L’oblazione consente di pagare due volte il minimo della sanzione prevista. Tuttavia in passato si riteneva che il computo dell’oblazione fosse pari al 2% dell’importo dell’assegno. La base di partenza era comunque rappresentata dall’importo del titolo e non dal minimo di 3mila euro: ciò in quanto la sanzione – tra l’1% e il 40% – doveva essere comunque parametrata all’importo. Attualmente, invece, la sanzione è completamente scollegata dall’importo dell’assegno e quindi l’oblazione va commisurata all’importo della penalità minima di 3mila euro.

Si consideri ad esempio il caso in cui sia stato emesso un assegno libero per 4mila euro. La sanzione minima, secondo le vecchie regole, era comunque pari a 3mila euro, ma il calcolo dell’oblazione non teneva conto del minimo ed era calcolata in misura pari a 2% dell’assegno: quindi nell’esempio sarebbe risultata pari a 80 euro. Ora, invece, l’importo è di 6mila euro (due volte il minimo) se si vuole evitare il rischio di una sanzione molto elevata, fino ai 50mila euro. L’oblazione, quindi, risulta oggi poco conveniente.

Fonte “Il sole 24 ore”