di Massimo Romeo
L’onere della prova circa la legittima deduzione dei costi ed il diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto, in relazione ad importi fatturati per operazioni qualificate dal fisco come oggettivamente inesistenti, grava sul contribuente, il quale deve dimostrarne la non fittizietà, non essendo sufficiente la mera esibizione delle fatture, né la sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, normalmente utilizzati per far apparire reale un’operazione fittizia. Questo il principio che emerge dalla sentenza della Ctp Milano n. 2081/2018 depositata il 14 maggio.
Il focus della controversia milionaria finita all’attenzione dei giudici tributari milanesi traeva origine dalle risultanze di un’ indagine della Gdf, culminata in un pvc, a cui facevano seguito avvisi di accertamento per la presunta inesistenza oggettiva di prestazioni di servizi rese a favore della ricorrente da imprese operanti nel settore della logistica e dei trasporti, definite dal fisco “fantasma”, cioè prive di personale e di mezzi sufficienti a generare un così alto volume d’affari.
La ricorrente eccepiva la ricostruzione fatta dai verificatori già nella fase di presentazione delle osservazioni al pvc , contestandone l’omessa motivazione nei successivi avvisi di accertamento e ritenendo carente l’impianto probatorio offerto dall’Ufficio che avrebbe determinato a suo carico una grave ingiustizia per essersi tramutata l’infedeltà dei singoli prestatori ( accertata in esito ad un’indagine penale dinanzi al tribunale) in uno strumento per aggredirla attraverso mere «allusioni e illazioni>; a conforto produceva contestazioni da parte dell’Inps, verbali d’infrazione al codice della strada nonché emessi dalla Polizia stradale a carico di automezzi di una delle ditte fornitrici dei servizi, dichiarazioni dei dipendenti che facevano riferimento ad attività espletata in outsourcing, tutti elementi che, a suo parere, dovevano condurre a presupporre l’esistenza di strutture operanti sul territorio.
L’ufficio considerava inconfutabili le situazioni emerse dalle indagini del Nucleo di polizia tributaria ritenendo altresì incontestabile l’esosità dei prezzi esposti nelle fatture, assolutamente fuori mercato e pertanto antieconomici i servizi pretesi dalla ricorrente come espletati; ne faceva quindi discendere il disconoscimento dei costi ai fini delle dirette e la non deducibilità dell’Iva, spostando l’onere della prova sulla contribuente in virtù della rilevanza e gravità degli elementi emersi.
Preliminarmente ed in punto di diritto i giudici ambrosiani rigettano le eccezioni della contribuente richiamando a supporto alcuni principi espressi dai giudici di legittimità:
•sul mancato rispetto dell’articolo 12 comma 7 dello Statuto, in ordine all’omessa motivazione dell’avviso sulle osservazioni prodotte, in quanto le parti si sono contrapposte con articolate argomentazioni e repliche che non consentono di ipotizzare una potenziale limitazione dell’esercizio del diritto di difesa;
•sull’onere della prova, in quanto in presenza di operazioni oggettivamente inesistenti grava sul contribuente ( articolo 1 lettera a Dlgs 74/2000) l’onere di dimostrare che le operazioni fatturate siano state effettivamente eseguite ed all’Ufficio contestarne l’effettività anche sulla base di presunzioni;
•sulla prova, che non può consistere nella mera esibizione delle fatture, né nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, normalmente utilizzati per far apparire reale un’operazione fittizia ( Cassazione 23550 novembre 2014 – Cassazione 11155 del 21 maggio 2014).
Nel merito il Collegio, a parte rigettare tutte le varie eccezioni sullo “sforzo” compiuto dalla ricorrente di dimostrare l’effettiva operatività delle imprese fornitrici, considera dirimente e decisivo, «per sgombrare il campo da qualsiasi incertezza» e smentire l’asserita diligenza invocata dalla ricorrente nei rapporti con le imprese prestatrici di servizi ( esibizione Durc), l’analisi dei “mastrini contabili”, di cui ne ha appositamente richiesto il deposito con ordinanza, nonché l’assenza assoluta di documentazione di dettaglio in soccorso della laconicità della descrizione delle fatture disconosciute.
In particolare i giudici osservano che l’analisi di congruità dei movimenti riportati nelle sopracitate schede contabili non può prescindere dalle rilevazioni dei verificatori in merito alla consistenza patrimoniale (alquanto modesta) dei prestatori nonché dalla natura delle prestazioni (che richiedono molta manodopera); pertanto, in siffatto contesto, emergeva una sostanziale incongruenza in quanto le varie imprese avrebbero dovuto pagare la forza lavoro al massimo mensilmente, rendendo non possibile la concessione di un credito così ampio e duraturo nel tempo, in considerazione della rilevata modesta inconsistenza patrimoniale delle imprese che avrebbero eseguito i lavori fatturati. Non avendo pertanto assolto l’onere della prova la Ctr decide di respingere i ricorsi riuniti.
Fonte “Il sole 24 ore”
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