di Michele Brusaterra
In caso di cessione di un bene immateriale per cui risulta applicabile il «patent box», la plusvalenza è esclusa da tassazione, per la parte del 50 per cento del valore risultante dall’applicazione alla stessa del «nexus ratio».
Questa, in sintesi, la regola da tenere a mente per sfruttare la detassazione stabilita dalle norme sul patent box e che riguarda la cessione di uno di quegli «Intellectual property» individuati dalle disposizioni stesse.
Viene stabilito, più precisamente, che tale plusvalenza è esclusa dal reddito complessivo, a condizione che almeno il 90 per cento del corrispettivo che deriva da tale cessione venga reinvestito in attività di ricerca e sviluppo che servono per lo «sviluppo, mantenimento e accrescimento di altri beni immateriali», diversi da quelli già posseduti dall’impresa, e con esclusione dell’importo sostenuto per il loro acquisto, come chiarito dalla circolare dell’agenzia delle Entrate n. 11/E/2016 .
Tale somma va reinvestita, prima della chiusura del secondo periodo d’imposta successivo a quello di cessione, nelle attività di ricerca e sviluppo svolte direttamente dal soggetto che beneficia dell’agevolazione, ovvero in contratti di ricerca stipulati con università, enti di ricerca od organismi equiparati, con società, anche start up innovative, sia che esse appartengano o non appartengano al gruppo del beneficiario dell’agevolazione.
Sostiene, inoltre, sempre la citata circolare n. 11/E/2016, che la plusvalenza costituisce reddito agevolabile nei limiti scaturenti dall’adozione della stessa regola valida per la determinazione del reddito agevolabile derivante dallo sfruttamento degli asset, applicando, quindi, il «nexus ratio», ossia il rapporto fra costi qualificati e costi complessivi, sostenuti dall’azienda.
Più precisamente il «nexus ratio» è dato dal rapporto tra i costi sostenuti per le attività di ricerca e sviluppo, sia svolte direttamente dal soggetto beneficiario dell’agevolazione, sia da università o enti di ricerca e organismi equiparati, da società, anche se start up innovative, diverse da quelle che controllano, direttamente o indirettamente, l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, costi, tutti, che vanno indicati al numeratore del rapporto.
Sempre al numeratore possono anche essere inseriti i costi relativi ad attività di ricerca e sviluppo, che sono addebitati da soggetti facenti parte dello stesso gruppo societario, ma solo per la quota di tali costi che rappresentano «un mero riaddebito di costi sostenuti da tali società del gruppo nei confronti di soggetti terzi per l’effettuazione delle medesime attività di ricerca e sviluppo».
Dopo l’intervento del Dl 3/2015, il numeratore può essere anche aumentato di un importo pari alla differenza tra quanto indicato al denominatore e quanto indicato al numeratore, ma nel limite, comunque, del 30 per cento di quest’ultimo valore.
Al denominatore si devono indicare, invece, tutti i costi indicati al numeratore, a cui vanno sommati il costo di acquisizione, anche tramite licenza di concessione in uso, del bene immateriale e i costi per operazioni intercorse con le società che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa.
Una volta determinato il «nexus ratio», esso va applicato alla plusvalenza realizzata, e il risultato costituisce reddito agevolabile nella misura del suo 50 per cento, percentuale stabilita nel 30 per cento per il 2015 e nel 40 per cento nel 2016.
Fonte “Il sole 24 ore”