Accertamento, utilizzabili solo i dati «regolari»

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Se l’accesso presso i locali adibiti promiscuamente ad abitazione e a sede dell’attività non è autorizzato dalla Procura i dati acquisiti non sono utilizzabili a nulla rilevando la consegna spontanea ai verificatori da parte dell’interessato. Nessuna norma, infatti, subordina l’autorizzazione alla volontà del soggetto sottoposto a verifica. A fornire questo importante chiarimento è la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 13711 depositata ieri.

L’agenzia delle Entrate rettificava a un contribuente un avviso di accertamento fondato sulla documentazione rinvenuta in occasione dell’accesso presso i locali adibiti promiscuamente ad abitazione e a sede dell’attività. Il contribuente impugnava l’atto impositivo evidenziando tra i diversi motivi di ricorso che l’accesso dei verificatori era avvenuto in assenza dell’autorizzazione (ex articolo 52 del Dpr 633/1972).

Entrambi i giudici di merito annullavano l’accertamento e l’agenzia delle Entrate ricorreva in Cassazione. In particolare, l’Ufficio evidenziava che la spontanea consegna della documentazione da parte del contribuente avrebbe escluso la necessità della predetta autorizzazione, potendosi utilizzare il materiale indiziario comunque raccolto.

I giudici di legittimità hanno premesso che non esiste nell’ordinamento tributario un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite, con la conseguenza che i verificatori devono solo rispettare le disposizioni dettate dalle norme tributarie. Tuttavia, proprio tali norme, prevedono la necessità di una preventiva autorizzazione del procuratore della Repubblica per procedere a specifici accessi diversi dalla mera sede dell’attività.

La giurisprudenza in proposito ha chiarito che la mancanza di tale autorizzazione, ove richiesta, determina la inutilizzabilità degli elementi probatori sui quali sia stato fondato l’accertamento solo nell’ipotesi di accesso domiciliare. Più precisamente, la norma dispone che se i locali sono adibiti anche ad abitazione (cosiddetto uso promiscuo) è necessaria l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, quale mero atto amministrativo. Mentre se si tratta di un accesso presso la sola abitazione occorre un’autorizzazione con specifica indicazione degli indizi gravi indizi di violazione delle norme tributarie.

Tale inutilizzabilità, sebbene non espressamente prevista per legge, deriva sia dalla regola generale secondo cui l’assenza del presupposto di un procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali si articola, sia dal principio dell’inviolabilità del domicilio (articolo 14 della Costituzione). Il giudice deve così vagliare le prove offerte in causa solo se ritualmente acquisite.

La Cassazione, alla luce di queste premesse, ha rilevato che tali principi non possono essere derogati per effetto della consegna spontanea della documentazione da parte del contribuente. Ed infatti, l’accesso, effettuato senza la necessaria autorizzazione, in ogni caso non è legittimo; l’eventuale consenso o dissenso del contribuente è privo di rilievo giuridico non essendo richiesto e o preso in considerazione da nessuna norma di legge. Nella specie, quindi, poiché la sede era adibita sia ad attività sia ad abitazione, occorreva l’autorizzazione del procuratore della Repubblica a prescindere che il contribuente avesse spontaneamente consegnato i documenti richiesti.

La decisione è particolarmente importante poiché non di rado, in occasione dei controlli, i verificatori ritengono di poter bypassare le necessarie autorizzazioni solo perché il contribuente si mostra collaborativo, consegnando ciò che gli viene richiesto.

Fonte “Il sole 24 ore”