di Laura Ambrosi e Antonio Iorio
Più tutele per i contribuenti nel pignoramento presso terzi dall’agente della riscossione. È stata infatti dichiarata incostituzionale la norma che non ammetteva nell’esecuzione esattoriale la tutela prevista dal codice di procedura civile in occasione delle esecuzioni ordinarie. A sancirlo è la Consulta con la sentenza 114, depositata ieri.
Ma vediamo, in estrema sintesi, i termini della questione. Nell’ipotesi in cui, a seguito della cartella di pagamento, il contribuente non adempia al proprio debito tributario richiesto dall’agente della riscossione, tra i vari poteri a disposizione di quest’ultimo vi è il pignoramento presso terzi.
In questi casi la controversia non riguarda il giudice tributario e il contribuente può solo opporsi all’esecuzione davanti al giudice ordinario. Tuttavia, rispetto alla normativa del codice di procedura civile, nell’esecuzione esattoriale e segnatamente nel pignoramento presso terzi, esistono alcune deroghe a favore del creditore (l’agente della riscossione) previste dal Dpr 602/73.
A norma dell’articolo 57 di questo decreto nel pignoramento presso terzi nelle esecuzioni esattoriali non sono ammesse: le opposizioni regolate dall’articolo 615 Cpc, fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni; le opposizioni regolate dall’articolo 617 Cpc relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo.
Ne consegue che il contribuente interessato, una volta effettuato il pignoramento presso terzi dall’agente della riscossione, ha di fatto pochissimi strumenti di tutela proprio perché quelli previsti dal codice di procedura civile subiscono delle forti limitazioni.
In questo contesto i tribunali di Trieste e Sulmona rilevavano in opposizione ad atti di pignoramento dell’agente della riscossione la fondatezza sostanziale e processuale dell’impugnazione del contribuente. In particolare, nella vicenda sottoposta al vaglio dei giudici triestini, il contribuente lamentava la violazione da parte di Equitalia dell’articolo 7 del Dl 70/2011, relativo alla sospensione ex lege degli atti esecutivi esattoriali per la durata di 120 giorni.
Tuttavia, si trattava di circostanze che non potevano essere fatte valere né davanti alle commissioni tributarie, poiché gli atti dell’esecuzione esulano dalla giurisdizione tributaria, né davanti al giudice ordinario per le limitazioni poste dal ripetuto articolo 57. Vi sarebbe, così, un difetto assoluto di giurisdizione con conseguente violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione. Da qui, in buona sostanza, la remissione alla Consulta.
La Corte ha ritenuto fondata la questione sollevata dal tribunale di Trieste. Secondo la Consulta, in estrema sintesi, la peculiarità dei crediti tributari, che può determinare una disciplina di favore per l’amministrazione fiscale, come già rilevato dalla Corte stessa anche recentemente (da ultimo, sentenza n. 90 del 2018), e che è a fondamento della speciale procedura di riscossione coattiva tributaria rispetto a quella ordinaria di espropriazione forzata, non è però tale da giustificare che, nelle ipotesi in cui il contribuente contesti il diritto di procedere a riscossione coattiva e sussista la giurisdizione del giudice ordinario, non vi sia una risposta di giustizia se non dopo la chiusura della procedura di riscossione ed in termini meramente risarcitori.
Per tali ragioni è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 57, comma 1 lettera a) del Dpr 602/73, nella parte in cui non prevede per le controversie relative agli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella le opposizioni regolate dall’articolo 615 codice procedura civile.
Fonte “Il sole 24 ore”