di Antonio Iorio
Il reato di omesso versamento delle ritenute, prima delle modifiche in vigore dal 22 ottobre 2015, non può essere provato soltanto con la dichiarazione del sostituto di imposta, essendo necessarie le certificazioni rilasciate ai percipienti. A fornire questa importante interpretazione sono le Sezioni unite penali della Corte di cassazione, con la sentenza 24782 depositata ieri.
La pronuncia dovrebbe definitivamente risolvere un contrasto interpretativo sorto all’interno della terza sezione penale sulla rilevanza della sola dichiarazione del sostituto di imposta per la configurazione del reato di omesso versamento delle ritenute, previsto dall’articolo 10 bis Dlgs 74/2000.
La versione iniziale del citato articolo 10 bis, (precedente alle modifiche introdotte con il Dlgs 158/2015) prevedeva la reclusione da sei mesi a due anni per chiunque non avesse versato, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta, le ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo.
Di sovente, in passato l’accusa per provare al colpevolezza di questo reato si basava esclusivamente sui dati “autodichiarati” dal contribuente nel 770, trasmesso dall’Agenzia delle Entrate al Pm.
Inizialmente, la Suprema corte ha ritenuto soddisfatto l’onere probatorio con la mera allegazione del modello 770 all’interno del quale sono elencate le ritenute.
Successivamente la Cassazione ha mutato orientamento, fornendo un’interpretazione più aderente al dato letterale: il reato è collegato all’omesso versamento, non delle ritenute indicate nel 770, ma di quelle risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti e quindi la prova dell’illecito è rappresentata dalle certificazioni e non dalla dichiarazione.
Il Dlgs 158/2015 ha modificato anche questa fattispecie penale. In particolare il nuovo delitto ora concerne le omissioni risultanti anche dalla dichiarazione, non essendo più necessaria la prova delle certificazioni ai sostituiti. E quindi, con l’entrata in vigore (22 ottobre 2015) del predetto decreto, per la commissione del reato non sono più necessarie le certificazioni, ma è sufficiente l’indicazione nel modello 770 dell’importo poi non versato.
Secondo alcune pronunce della terza sezione penale, questa modifica doveva intendersi quale chiarimento della precedente norma: quindi anche per il passato si sarebbe potuta provare la sussistenza del delitto, mediante la semplice produzione della dichiarazione 770.
Da qui l’intervento delle Sezioni Unite, che ora hanno definitivamente chiarito che per il passato la dichiarazione 770 proveniente dal sostituto di imposta non può essere ritenuta di per sé sola sufficiente ad integrare la prova dell’avvenuta consegna al sostituito della certificazione fiscale.
Nonostante, come si è detto, il reato sia poi stato modificato a decorrere da ottobre 2015, per i delitti consumati fino a quella data (i cui procedimenti, anche numerosi, sono tuttora in corso), l’assenza di produzione da parte del Pm delle certificazioni (circostanza frequente in quanto l’agenzia delle Entrate in genere inviava il solo modello 770 del contribuente) comporterà l’assoluzione del’imputato.
Fonte “Il sole 24 ore”