di Antonio Zappi
Se un cessionario/committente assume consapevolezza che un’operazione economica è stata posta in essere da una controparte diversa da quella indicata in fattura come fornitore, ma se ne accorge solo dopo aver presentato la dichiarazione, incappa in una operazione accertabile come soggettivamente inesistente e rischia di vedersi contestare la falsità documentale.
Molto spesso, allora, il contribuente, nella difficoltà di provare con elementi oggettivi la propria buona fede, preferirebbe rinunciare a difendere la detrazione del tributo ed a ravvedere un’indebita detrazione dell’Iva, ante-accertamento, per evitare ogni contaminazione da illecito altrui e non subire conseguenze penali, nonché anche per evitare il rischio della sanzione per infedele dichiarazione (aumentabile anche della metà per violazioni da falsa fatturazione, ex articolo 5, comma 4-bis, del Dlgs 471/1997, ovvero dal 135% al 270% dell’imposta). Detta sanzione, peraltro, assorbe anche quella per l’utilizzo in compensazione del credito illecito, giusto quanto chiarito con la risoluzione 36/E/2018, con la quale le Entrate hanno illustrato il trattamento sanzionatorio da adottare nei casi di detrazione e/o di utilizzo di crediti Iva derivanti da falsa fatturazione, ma nella quale, per ovvie ragioni, non hanno fatto alcun cenno all’ipotesi di poter anche ravvedere infrazioni alla normativa tributaria suscettibili di fraudolenza, in quanto è ben nota la netta chiusura espressa sul tema nel corso del Telefisco 2018, sia dalle Entrate che dalla Guardia di finanza.
Tuttavia, se già l’impossibilità di ravvedere gli effetti delle fatture false inserite in dichiarazione è alquanto controversa, poiché la posizione del Fisco (circolare 180/E/98) non per tutti coincide né con la formulazione dell’articolo 13 del Dlgs 472/1997, né con quella dell’articolo 13-bis del Dlgs 74/2000 (Cassazione, sentenza 5448/2018), in un caso come quello prospettato, anche a voler aderire alla tesi erariale secondo cui il concetto di «errore od omissione» va escluso per le violazioni connotate dalla fraudolenza, un ravvedimento operoso sarebbe difficilmente sindacabile anche dal Fisco, perché l’erronea identificazione in buona fede della controparte di una operazione economica realmente avvenuta integra un errore qualificabile come colposo, ovvero, mutuando le stesse parole espresse dalle Entrate per giustificare le inibizioni dal ravvedimento, un’infrazione non considerabile come “caratterizzata da un grado di intrinseca antigiuridicità”, al punto che, in assenza di ravvedimento, per il contribuente estraneo alla frode la detrazione del tributo sarebbe anche ammessa.
Proponendo, quindi, una resipiscenza dall’errore originario con una dichiarazione a sfavore non appena si assume consapevolezza della diversità anagrafica del reale fornitore, un ravvedimento operoso per escludere fatture includenti un elemento antigiuridico, ma avente origine in un errore/omissione, appare perfezionabile, mentre risulterebbe illegittimo far derivare solo da una non adeguata verifica della controparte di un’operazione economica (oggettivamente esistita) un’ipotesi preclusiva del ravvedimento operoso di un’indebita detrazione ed infedele dichiarazione (sanzione base 90%): perché finché c’è inconsapevolezza non può esserci frode.
Fonte “Il sole 24 ore”