di Giulio Andreani
La proposta di definizione dei debiti fiscali disciplinata dall’articolo 182-ter della legge fallimentare (la “transazione fiscale”) è obbligatoria, nell’ambito di un concordato preventivo di qualsiasi tipo, qualora il piano concordatario non preveda il pagamento integrale e senza dilazione di questi debiti (quindi sostanzialmente sempre). Pertanto la mancata presentazione della stessa costituisce un vizio del ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato.
Ma che cosa accade, ai fini dell’ottenimento delle falcidie e delle dilazioni richieste, se la proposta, una volta presentata, non è approvata dal Fisco?
Posizione paritaria per il Fisco
All’Erario non sono attribuiti diritti diversi e maggiori di quelli spettanti agli altri creditori e pertanto, se le maggioranze previste dalla legge vengono comunque raggiunte, il suo rigetto della proposta di transazione fiscale non impedisce l’approvazione della domanda di concordato e la produzione degli effetti previsti da tale proposta.
Lo ha affermato da tempo la Cassazione (sentenza 22931/2011 ), stabilendo che la omologazione del concordato obbliga tutti i creditori, indipendentemente dal loro voto favorevole o contrario, poiché è da escludere la sussistenza di un particolare statuto per il Fisco, non essendo dubbio che un’eccezione al principio maggioritario, se fosse stata voluta, sarebbe stata espressamente prevista dal legislatore. In assenza di una previsione di tale natura, vale quindi anche nei confronti dell’amministrazione finanziaria il disposto dell’articolo 184 L.f. ai sensi del quale «il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso di cui all’articolo 161».
È vero che la Suprema corte ha affermato questo principio prima delle modifiche apportate al citato articolo 182-ter dalla Legge di bilancio 2017, quando la transazione fiscale era facoltativa, ma non vi è ragione per non ritenerlo applicabile tuttora, perché il principio traeva origine dal menzionato articolo 184 e non dall’articolo 182-ter. Va da sé che, indipendentemente dalle considerazioni che precedono, per effetto dell’entità dei debiti fiscali il voto del Fisco può anche risultare decisivo, così come può esserlo quello di qualsiasi altro creditore; ma ciò è, semmai, l’effetto di una situazione di fatto e non di un particolare diritto attribuito all’Erario.
Gli effetti del «no»
Nel concordato in continuità gli effetti della mancata approvazione della proposta di transazione fiscale sono più incerti, perché l’articolo 186-bis, comma 2, lettera c), della L.f stabilisce che il piano può prevedere «una moratoria fino ad un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni sui quali sussiste la causa di prelazione».
L’incertezza nasce dal fatto che la dottrina e la giurisprudenza interpretano diversamente questa norma. Infatti, secondo un primo orientamento, essa avrebbe natura precettiva solo ai fini della esclusione del diritto di voto da parte dei creditori prelatizi di cui sia previsto il soddisfacimento entro un anno dalla omologazione, ma non impedirebbe un pagamento ultrannuale, a condizione che i creditori prelatizi cui esso è offerto vengano ammessi al voto, essendo in tal caso il loro trattamento equiparabile a un pagamento non integrale.
In base, invece, a un secondo orientamento, la norma testé citata impedirebbe in assoluto al debitore di prevedere una moratoria oltre l’anno per il pagamento dei creditori prelatizi, tra i quali rientra il Fisco, salvo il caso in cui il creditore vi abbia acconsentito attraverso la stipula di un apposito patto. La prima tesi è prevalente ed è stata avallata dalla Cassazione, ma la seconda ha trovato conforto nelle pronunce di alcuni tribunali, come quelli di Roma e di Milano.
I dubbi sullo stop oltre l’anno
Adottando questo secondo indirizzo, l’accoglimento della proposta di transazione fiscale da parte dell’agenzia delle Entrate risulta decisiva ai fini della possibilità di pagare i debiti fiscali oltre un anno dalla omologazione; infatti, in base a questo orientamento, l’obbligo di pagamento infrannuale stabilito dal citato articolo 186-bis può essere derogato solo in presenza del consenso dei creditori prelatizi interessati, da esprimere mediante un patto paraconcordatario, che, per quanto attiene i rapporti con il Fisco, dovrebbe essere costituito dalla transazione fiscale.
Questo consenso è ritenuto necessario anteriormente alla domanda di concordato, ma relativamente ai crediti fiscali ciò non è possibile, visto che la proposta di transazione fiscale viene approvata mediante il voto della proposta di concordato, che può essere espresso solo successivamente.
Fonte “Il sole 24 ore”