La fatturazione elettronica, ai fini dei controlli cui è demandata l’amministrazione finanziaria, altro non è che uno spesometro continuo, con una rilevante differenza. Gli spesometri sono due, quello relativo alle fatture emesse dal fornitore e quello relativo alle fatture ricevute dal cliente, da cui la necessità di incrociare i due elenchi per porre in evidenza eventuali difformità. La fatturazione elettronica, invece, è un flusso univoco generato solo dal fornitore, che – attraverso il passaggio dal sistema di interscambio – viene acquisito dal cliente senza che possano più esistere differenze tra mittente e destinatario. Ne consegue che la fattura emessa indicando un destinatario errato ed estraneo al rapporto con quel fornitore non può – a differenza della procedura verso la pubblica amministrazione – essere respinta dal destinatario, il quale dovrà attivarsi (extra SdI, § 6.2 del provvedimento 30 aprile 2018) con il fornitore, che deve a questo punto emettere una nota di variazione per stornare la fattura errata. Vengono peraltro i brividi al pensiero della veicolazione automatizzata di queste fatture per operazioni di fatto inesistenti, che il sistema carica sulla posizione del destinatario, il quale potrebbe erroneamente esercitare il diritto di detrazione per mera negligenza di non aver controllato il flusso in entrata. La centralità della posizione del fornitore trova il fondamento nell’articolo 26 della legge Iva: solo chi ha emesso la fattura può ridurne l’imponibile e/o l’imposta.
In questo contesto meritano ulteriori approfondimenti alcune recenti affermazioni verbali dell Entrate. La prima riguarda la nota di variazione elettronica emessa nel 2019 a fronte di una fattura tradizionale del 2018. La risposta, pubblicata sul «Sole» il 13 novembre parla del contribuente che «dovesse emettere una nota di variazione nel 2019 di una fattura ricevuta nel 2018». Ma, tornando ai criteri generali e all’articolo 26 legge Iva, la nota di variazione può riguardare solo fatture emesse, cioè può essere fatta e immessa nello SdI solo dal fornitore e non dal cliente. Un analogo problema “direzionale” del flusso riguarda l’integrazione con imponibile e Iva della fattura emessa in reverse charge interno. La circolare 13/E/ 2018, § 3.1, ribadisce la non modificabilità della fattura immessa dal fornitore, così che questi dati ulteriori vanno indicati dal cliente in «un altro documento, da allegare al file della fattura». Questo tema viene ripreso nella risposta pubblicata sempre il 13 novembre, ove si fa richiamo a questa circolare, ma poi si afferma che questo documento, per consuetudine chiamato autofattura, “può” essere inviato allo SdI, anche ai fini di usufruire del servizio gratuito di conservazione elettronica offerto dall’Agenzia. Ma se andiamo al provvedimento del 30 aprile 2018, la causale autofattura “TD20” nei rapporti interni può essere usata solo come autofattura-denuncia, nel caso in cui il fornitore non abbia emesso la fattura entro i 4 mesi successivi alll’operazione. Questo input è di tutta evidenza: il fornitore non ha caricato la vendita nello SdI, lo fa il cliente. Ma se a fronte di una fattura caricata dal fornitore in reverse charge anche il cliente carica una autofattura, il sistema rileva due operazioni.
Fonte “Il sole 24 ore”