Aderire o no al regime forfettario: si avvicina l’ora delle scelte per i 909mila contribuenti Iva con un volume d’affari tra i 30 e i 65mila euro. Cifra, quest’ultima, destinata a diventare dal 1° gennaio il nuovo tetto di ricavi e compensi per l’applicazione dell’imposta flat al 15 per cento. Ma una decisione s’impone anche per molti soci di società di persone (circa 830mila tra Snc e Sas) e società di capitali (1,26 milioni tra Srl e Spa). Tutti questi soggetti, per sfruttare la nuova tassazione, possono valutare di liberarsi di quote minoritarie o addirittura – in casi limite – scegliere di operare individualmente.
Proprio per evitare che la cosiddetta flat tax si traduca in un incentivo a far da soli – a danno della crescita dimensionali di microimprese e start-up – si potrebbero introdurre correttivi alla normativa, ma solo dopo l’approvazione della legge di Bilancio (si veda Il Sole 24 Ore di sabato scorso, 15 dicembre).
Sta di fatto che, come riferiscono gli operatori, nei giorni scorsi alcuni titolari di partita Iva che detenevano quote in Srl non in regime di trasparenza hanno iniziato a cederle: infatti, il possesso di tali quote non preclude l’accesso al forfait quest’anno, ma lo farà nel 2019, secondo l’impianto delineato dalla manovra. E allora, meglio non rischiare.
Posto che tutti i forfettari eviteranno l’emissione obbligatoria della fattura elettronica, la valutazione di fattibilità e convenienza è diversa per chi ha già una partita Iva (ma non ha ancora aderito al forfait) e per chi, invece, avvierà l’attività l’anno prossimo. Pensiamo a giovani, disoccupati, dipendenti o pensionati che avviano un secondo lavoro.
Le statistiche dicono che nei primi nove mesi di quest’anno il 39,7% delle nuove partite Iva è stato aperto optando fin da subito per il regime forfettario. In pratica, 160.851 contribuenti, cui corrisponde la percentuale più alta rilevata negli ultimi anni. L’appeal del regime agevolato, insomma, cresce tra i “nuovi”. E nel 2019 non ci si dovrà neppure più preoccupare dei compensi ai collaboratori (oggi il limite è 5mila euro annui) e degli investimenti in beni strumentali (oggi 20mila euro). Né rileverà l’ammontare dello stipendio o della pensione: l’importante è che i compensi sottoposti alla flat tax rientrino nella soglia dei 65mila euro. Ma per chi ha un datore di lavoro – o l’ha avuto nei due anni precedenti – la manovra che in settimana proseguirà l’iter in Parlamento prospetta un vincolo da non sottovalutare: i ricavi ottenuti dal datore non possono essere prevalenti. Una salvaguardia per evitare dipendenti mascherati da partite Iva, che si estende anche ai soggetti riconducibili indirettamente al datore (come società controllate o affiliate).
L’innalzamento del tetto dei ricavi e l’eliminazione degli altri requisiti può rendere il forfait conveniente anche per chi già opera con partita Iva. Ad esempio, il 18,7% degli avvocati e il 23,7% dei commercialisti dichiara a fini previdenziali compensi tra i 30 e i 65mila euro. Tuttavia, al di là delle altre valutazioni di convenienza (si veda l’articolo in basso) va subito stimato l’eventuale rimborso dell’Iva detratta sugli acquisti di beni strumentali effettuati negli ultimi cinque anni e sulle rimanenze. Un fatto che può trasformare un’auto o un furgone in un ticket d’ingresso.
Fonte “Il sole 24 ore”