La maggiore criticità della sanatoria dei processi verbali di constatazione, prevista nell’articolo 1 del decreto fiscale (decreto legge 119/2018), è rappresentata dal fatto che occorre definirne integralmente il contenuto. Si tratta di una limitazione non da poco, atteso che, a regime, è sempre possibile regolarizzare le singole violazioni, attraverso il ravvedimento, con il pagamento della sanzione pari a un quinto del minimo. D’altra parte, è del tutto evidente come un simile obbligo possa determinare, da lato, un costo eccessivo della sanatoria, difficilmente sostenibile dal contribuente, dall’altro, l’accettazione anche di rilievi palesemente infondati.
In attesa dei necessari chiarimenti dell’agenzia delle Entrate è tuttavia possibile proporre alcune riflessioni sul punto.
In primo luogo, occorre chiedersi come comportarsi in presenza di un processo verbale afferente una pluralità di periodi d’imposta. Nonostante la dizione letterale della norma, si ritiene che il principio di autonomia dell’obbligazione d’imposta consenta di scegliere quantomeno le annualità che intende regolarizzare. Pertanto, in presenza ad esempio di un processo verbale afferente gli anni dal 2013 al 2015, dovrebbe essere ammesso presentare la dichiarazione integrativa unicamente per il 2015. Una simile interpretazione, peraltro, rafforzerebbe la considerazione secondo cui l’eventuale notifica di un avviso di accertamento avvenuta entro il 24 ottobre scorso risulterebbe ostativa unicamente per l’anno accertato. Se infatti si accetta l’idea che i singoli periodi d’imposta sono autonomi, si giunge agevolmente alla conclusione che anche la cause impeditive della sanatoria in esame debbano essere limitate a ciascun anno.
Occorre altresì interrogarsi se l’obbligo del recepimento integrale del contenuto del processo verbale di constatazione debba necessariamente comprendere anche i rilievi che l’Ufficio ha successivamente abbandonato.
Si pensi, solo per fare uno dei tanti esempi possibili, ad un pvc che abbia contestato l’omessa dichiarazione di ricavi, senza tenere in considerazione i maggiori costi a essi riferibili. O ancora, si ipotizzi una contestazione di indeducibilità dei costi per difetto di inerenza.
Qualora il contribuente abbia presentato memorie difensive, ai sensi dell’articolo 12 della legge 212/2000, evidenziando gli errori in cui sono incorsi i verificatori e documentando la fondatezza delle proprie richieste, l’Ufficio sarebbe tenuto a valutare tali deduzioni. Laddove nelle more della presentazione della dichiarazione integrativa, e cioè entro il 31 maggio 2019, venisse notificato l’avviso di accertamento derivante dal processo verbale con accoglimento delle eccezioni del contribuente, sarebbe molto importante capire come dovrebbe essere compilata la dichiarazione di condono.
Al riguardo, si è dell’opinione che il contribuente sia legittimato a ridurre il maggiore imponibile da dichiarare in misura corrispondente agli importi accertati. La valutazione dell’Ufficio, manifestata nell’avviso di accertamento, svolgerebbe infatti una funzione analoga a quella dell’autotutela, con effetti normalmente retroattivi. Sarebbe d’altra parte piuttosto singolare se vi fosse l’obbligo di integrare l’imponibile per un importo maggiore di quello preteso dal Fisco.
Se così fosse, i soggetti passivi avrebbero tutto l’interesse ad anticipare il momento della notifica degli atti di accertamento, con la necessaria collaborazione dell’agenzia delle Entrate.
A tale riguardo, non è di aiuto la proroga biennale dei termini dell’accertamento, prevista per i periodi d’imposta fino al 2015, relativa alle violazioni constatate nei processi verbali definibili. Si tratta di un differimento dei termini che riguarda la generalità dei processi verbali consegnati entro il 24 ottobre scorso, a prescindere dalla circostanza che il contribuente provveda o meno a regolarizzarli con la sanatoria in esame.
Fonte “Il sole 24 ore”