La Cassazione dice ancora no all’applicazione, prima del 2009, della presunzione di evasione per le attività finanziarie detenute nei paradisi fiscali e non dichiarate. È quanto stabilito dall’ordinanza 5471 dello scorso 25 febbraio , che consolida l’orientamento già invalso nella giurisprudenza di legittimità (sentenza 2662/2018) su una questione giuridica – ancora – oggetto di numerosi contenziosi pendenti.
I fatti riguardavano l’accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, per gli anni 2005-2008, di un maggior reddito in capo ad una persona fisica residente in Italia che non aveva dichiarato le attività detenute all’estero. La contestazione era fondata sull’applicazione (retroattiva) della presunzione introdotta dall’articolo 12, comma 2, Dl 78/2009. La norma prevede che gli investimenti e le attività finanziarie detenuti, negli Stati a fiscalità privilegiata, in violazione dei relativi obblighi di dichiarazione (nel quadro RW della dichiarazione dei redditi) si presumono costituiti, salvo prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione. In tal caso, le sanzioni, i termini di decadenza per le violazioni in materia di monitoraggio fiscale e i termini per l’accertamento dei redditi connessi alle attività estere sono raddoppiati.
Sin dall’entrata in vigore (1 luglio 2009) della citata presunzione è scaturito un contrasto interpretativo circa la sua possibile applicazione retroattiva. Secondo l’amministrazione finanziaria, la norma avrebbe carattere processuale e, come tale, sarebbe applicabile anche in relazione ai periodi antecedenti il 2009. Secondo una diversa interpretazione, accolta dalla prevalente giurisprudenza di merito, la nuova presunzione inciderebbe sui profili sostanziali del rapporto tributario e, pertanto, sarebbe applicabile solo per il futuro.
L’intervento chiarificatore della Suprema Corte fissa ora alcuni principi condivisibili e, si spera, definitivi:
a) l’articolo 12, comma 2, Dl 78/2009, ha previsto, rispetto alla disciplina previgente, una più favorevole presunzione legale a beneficio del fisco;
b) nell’ordinamento italiano, le norme in tema di presunzioni sono collocate – non a caso – nel Codice civile, tra quelle sostanziali, e non nel codice di rito;
c) sicché anche alla norma in esame non può che attribuirsi natura sostanziale e non processuale.
Il meccanismo presuntivo incide, infatti, sulla ripartizione dell’onere della prova tra contribuente e amministrazione finanziaria perché consente a quest’ultima di ravvisare una maggiore capacità contributiva in capo al soggetto detentore di attività offshore non dichiarate.
Peraltro, una differente interpretazione risulterebbe in contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione, potendo pregiudicare l’effettività del diritto di difesa, con riferimento, ad esempio, alla scelta del contribuente di non conservare documentazione riguardante periodi ante 2009. Tale scelta, compiuta in maniera legittima prima dell’introduzione della presunzione in esame, limiterebbe irragionevolmente la prova contraria in caso di accertamento “attivato” dopo l’entrata in vigore della norma.
Fonte “Il sole 24 ore”